LO STOICISMO ANTICO: L’ ETICA (testimonianze di Diogene Laerzio)
Distinguono la parte etica della filosofia nella dottrina dell’impulso, in quella del bene e del male, in
quella delle passioni, della virtù e del fine e del primo (più alto) valore, delle azioni e dei doveri.
Essi dicono che il primo impulso dell’essere vivente è quello della conservazione e che gli è stato
dispensato dalla Natura sin dall’inizio. La prima proprietà di ogni essere vivente è la sua stessa
costituzione e la coscienza di essa. Non si può logicamente ammettere né che la Natura renda a se stesso
estraneo l’essere vivente (altrimenti non l’avrebbe creato) né che lo abbia estraneo né che non l’abbia
come creatura propria. Bisogna dunque dire che la Natura che l’ha costruito lo concilia a stesso come
creatura propria; per questo respinge da lui ciò che può danneggiarlo ed accoglie tutto quello che si confà
alla sua costituzione. Mostrano che dicono il falso quanti sostengono che il primo impulso degli esseri
viventi sia verso il piacere.
Gli Stoici sostengono infatti che il piacere, se realmente esiste, viene in un secondo tempo, quando la
Natura per se stessa ha cercato e rinvenuto tutto che s’adatta alla sua costituzione: in questo modo gli
animali hanno l’umore lieto e le piante la piena fioritura.
Essi dicono inoltre che la Natura non fa alcuna differenza tra le piante e gli animali, perché essa regola
anche la vita delle piante senza impulso e senza sensazione, e d’altra parte in noi si generano fenomeni
nella medesima guisa che nelle piante. Ma poiché agli animali è stato ingenerato per sovrappiù l’impulso
per mezzo del quale essi si dirigono ai loro propri fini né deriva che la loro disposizione Naturale si attua
nel seguire l’impulso. E poiché gli esseri razionali hanno ricevuto la ragione per una condotta più perfetta,
il loro vivere secondo ragione coincide rettamente col vivere secondo Natura, in quanto la ragione si
aggiunge per loro come plasmatrice e educatrice dell’istinto.
Perciò Zenone per primo nella sua opera Della Natura dell’uomo definì fine il vivere in accordo con la
Natura, cioè vivere secondo virtù perché la Natura ci guida alla virtù. Così anche Cleante nel libro Sul
piacere e Posidonio ed Ecatone nell’opera Dei fini.
Crisippo nel libro primo Dei fini afferma inoltre che le nostre nature sono parti della Natura
dell’universo.
Per questo motivo il fine è costituito dal vivere secondo Natura, cioè secondo la Natura singola e la
Natura dell’universo, nulla operando di ciò che suole proibire la 1egge a tutti comune, che è identica alla
retta ragione diffusa per tutto l’ universo ed è identica anche a Zeus, guida e capo dell’universo. Ed in ciò
consiste la virtù dell’uomo felice e il facile corso della vita, quando tutte le azioni compiute mostrino il
perfetto accordo di noi col volere del signore dell’universo.
Per la Natura conformemente alla quale dobbiamo vivere, Crisippo intende sia quella comune sia quella
umana nella sua propria particolarità. Per virtù egli intende una disposizione spirituale armoniosa, degna
di essere scelta in sé e per sé, non per qualche timore o speranza o impulso esterno; nella virtù consiste la
felicità e la virtù è l’ armonia stessa della vita. L’essere razionale si allontana talvolta da lei, sia quando è
corrotto da cose esterne sia quando subisce l’influsso di coloro che frequenta, ma in ogni caso per colpa
solo sua, perché la Natura offre punti di partenza solidi e non inganna mai l’uomo. [..]
Riferendoti al testo letto via di seguito, esponi in breve i seguenti punti:
1. Ambiti di interesse dell’ Etica
2. Teoria dell’impulso Naturale - sua dimostrazione - critica agli Epicurei
3. Unità del genere vivente
- posizione della uomo tra i viventi e nell’ Universo
4. Definizioni stoiche di “fine” e “virtù”
5. Felicità e suo contrario - confronto con Epicuro
6. Virtù e vizio - confronto con Epicuro
BENI, MALI, INDIFFERENTI
Gli Stoici affermano che tutti i beni sono eguali e che ogni bene è desiderabile in altissimo grado e non
suscettibile né di diminuzione né d’accrescimento. Buone sono le virtù, prudenza, giustizia, fortezza,
moderazione ecc.; cattive sono i vizi, stoltezza, ingiustizia, incontinenza ecc.; indifferenti sono tutte le
cose che non portano né vantaggio né danno: per esempio vita, salute, piacere, bellezza, forza, ricchezza,
buona reputazione, nobilita di nascita e i loro contrari, morte, infermità, pena, bruttezza, debolezza,
povertà, ignominia, oscura nascita e simili. Questi dunque non sono beni né mali, e quindi degne di essere
desiderate in senso relativo, non in senso assoluto. Come, infatti, proprietà del caldo è riscaldare, non
raffreddare, così anche proprietà del bene è giovare, non danneggiare; la ricchezza e la salute possono
giovare, ma pure danneggiare rendendoci meno virtuosi: dunque non sono beni in sé, ma in relazione all’
uso che ne facciamo, poiché sia della ricchezza sia della salute si può fare uso buono e cattivo; dunque né
la ricchezza è un bene né la salute. Infatti non è un bene ciò di cui si può fare buono e cattivo uso.
Ecatone e Crisippo nell’opera Del piacere sostengono che neppure il piacere sia un bene; vi sono infatti
dei piaceri vergognosi; nulla che sia vergognoso è bene. Il giovare è un muoversi o un uniformarsi
ispirato dalla virtù, il danneggiare è un muoversi o un comportarsi ispirato dal vizio. Comunque Il termine
“indifferente” ha un duplice significato: in primo luogo designa ciò che può contribuire egualmente alla
virtù o al vizio; infatti, anche senza di queste cose è possibile conseguire la felicità. In secondo luogo il
termine "indifferente" designa ciò che non desta né propensione né avversione, per esempio l’avere sulla
testa un numero di capelli pari o dispari o il tenere il dito disteso o contratto. Non in questo senso sono
definite indifferenti le cose prima menzionate, ricchezza e salute e simili, perché esse possono generare
sia propensione sia avversione.
E perciò queste in parte sono scelte, in parte sono rigettate, mentre le cose indifferenti del secondo
genere non pongono per niente il problema di essere scelte o evitate. Delle cose indifferenti del primo
genere, gli Stoici successivi ai fondatori pongono alcune dicono degne di essere scelte, altre rigettate.
Degne di essere scelte sono quelle che hanno un valore, degne di essere evitate sono quelle che non hanno
valore.
Dunque è degno di essere scelto tutto ciò che ha un valore: nel campo spirituale la dote dell’ingegno, la
capacità tecnica, il progredire e simili; nel campo materiale la vita, la salute, la forza, la buona
complessione fisica, l’integrità degli organi, la bellezza e simili; nel campo dei beni esterni la ricchezza,
la gloria, la nobiltà di natali e simili. Invece degno di essere rigettato: nel campo spirituale l’assenza di
doti Naturali o tecniche, e simili; nel campo materiale la morte, la malattia, la debolezza, la cattiva
complessione fisica, la mutilazione, la bruttezza e simili; nel campo esterno la povertà, l’assenza di gloria,
l’oscurità di natali e simili. Ma vi sono anche cose che non fanno parte di nessuna delle due classi e pertanto non devono essere né scelte né evitate. Con tale distinzione tra gli indifferenti, gli Stoici successivi
hanno reso più facile la via verso la virtù .[...1
I DOVERI
Inoltre gli Stoici intendono per “dovere” (kathèkon.) l’atto che è possibile giustificare razionalmente,
perché sia conforme alla Natura nella vita, che si estende anche alle piante e agli animali:
Perché secondo gli Stoici anche in queste sì vedono i doveri .
Fu Zenone il primo a adottare il termine kathèkon. Ed è un atto coerente alle disposizioni della Natura.
Delle azioni ispirate dall’impulso alcune sono conformi al dovere, altre sono contrarie al dovere, altre né
conformi né contrarie al dovere. Sono conformi al dovere le azioni dettate dalla ragione, per esempio
onorare i genitori, i fratelli, la patria, avere buoni rapporti con gli amici; non sono conformi ai doveri le
azioni non ammesse dalla ragione, per esempio trascurare i genitori, non curarsi dei fratelli, non essere
d’accordo con gli amici, disprezzare la patria e simili. Né conformi né contrarie al dovere sono quante
azioni la ragione né impone né vieta di fare, per esempio togliere gli sterpi, tenere lo stilo o la spazzola, e
simili. 1...
(Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, libro VII)
Vedi anche LDT Testo 50 pagg. 392/95 limitatamente alle note 2, 4, 6, 7, 9, 10
1. Beni, mali, indifferenti e loro sottotipi , come schema ad albero
2. Spiega perché la dottrina sugli indifferenti ha mitigato la severità dell’ etica stoica rendendo più
facile l’ accesso alla virtù
3. Spiega la relazione logica esistente tra la dottrina dei beni/mali e quella del dovere
4. Costruisci una tabella di questo tipo, in modo da confrontare la tua scala di valori con quella dello
Stoicismo:
genere
Beni
Mali
Indifferenti – a
Indifferenti – b
Indifferenti – c
Quali per lo Stoicismo
Amicizia,…
Quali secondo te