Agnosticismo
In generale il termine agnostico (dal greco antico ἀ- (a-), "senza", e γνῶσις ( gnōsis ),
"sapere ", " conoscenza ") indica un atteggiamento concettuale con cui si sospende il
giudizio rispetto a un problema, poiché non se ne ha, o non se ne può avere,
sufficiente conoscenza. In senso stretto è l'astensione sul problema del divino.
L'agnostico afferma cioè di non sapere la risposta, oppure afferma che non è
umanamente conoscibile una risposta e che per questo non può esprimersi in modo
certo sul problema esposto. Nello specifico questa posizione è solitamente assunta
rispetto al problema della conoscenza di Dio. In forme del tutto secondarie e in
disuso può anche riguardare l'etica, la politica o la società.
Storia
Il termine era stato utilizzato inizialmente da Sant'Agostino polemicamente, nella
prima delle sue lettere ( Epistolae ), per indicare certi accademici della scuola
Platonica che sostenevano che " alla natura umana è negata la conoscenza ",
allontanandosi dalla credenza dei Padri della Chiesa, gli esegeti cristiani, dove invece
è supposta anche la conoscenza certa e vera, "per ricondurre gli uomini a ricercare la
verità... Ognuno poi, distolto per quelle argomentazioni da ciò che di saldo e
inconcusso aveva creduto di possedere..." [1]
Si vuole distinguere, riguardo ai non credenti in alcuna religione, tra ateismo e
agnosticismo. La differenza sta nel fatto che, mentre l'agnostico afferma
semplicemente l'impossibilità di conoscere la verità sull'esistenza di Dio o di altre
forze soprannaturali, l'ateo non crede nell'esistenza di alcun Dio o qualsiasi altro
tipo di entità o forza superiore. La posizione " agnostica " deriva nell'antichità da
Protagora e successivamente dallo scetticismo, che praticava una simile ma più
radicale sospensione del giudizio nell'epistemologia, ritenendo tutta la conoscenza
umana sempre dubitabile e perfettibile.
Gli agnostici non sono necessariamente indifferenti al problema della fede e
all'attività spirituale o religiosa. Molti di coloro che stanno attivamente cercando una
fede o sono in dubbio, hanno sostanzialmente una posizione agnostica, paragonabile al
dubbio metodologico nella filosofia. Di converso, alcuni agnostici, pur essendo
fondamentalmente scettici circa l'esistenza di una entità superiore, ritengono in via
razionale che, così come l'esistenza di questa non si può dimostrare, non si possa
neppure negare.
Il termine fu introdotto nella modernità nel 1869 dal naturalista britannico Thomas
Henry Huxley, per descrivere la sua posizione rispetto alla credenza in Dio; il
termine deriva come contrapposizione alle antiche dottrine cristiane gnostiche, che
affermano che la conoscenza della realtà ultima (gnosi) è interiore a ogni uomo.
Posizioni agnostiche sono rinvenibili, nella cultura occidentale, sin dall'antichità, ma
furono spesso oggetto di attacchi violenti. Diogene Laerzio riferisce che Protagora
fu bandito dagli ateniesi e i suoi libri pubblicamente bruciati dopo che egli scrisse:
(citato in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi , libro IX, cap. VIII).
La posizione agnostica diviene permanente in vari filosofi post-kantiani. Come
dimostrò Immanuel Kant, nella dialettica trascendentale della critica della ragion
pura, la ragione che pretende di parlare dell'incondizionato, il noumeno, cade in
contraddizione, tanto per dimostrarne l'esistenza quanto per negarla.
Note:
1. ^ 1a epist. Agostino d'Ippona.
Tratto da Wikipedia, l'enciclopedia libera.