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Zenone di Cizio (333/2-264/3)
Cleante di Asso (304-232)
Crisippo di Soli (281/77-208/4)
• Sono i fondatori della scuola filosofica che
prende il nome dal Portico (Stoà in greco)
dove si riuniva Zenone con i suoi seguaci per
approfondire i temi più esistenzialmente
importanti della filosofia.
• I tre iniziatori dello stoicismo daranno vita ad
una delle più feconde scuole filosofiche della
tarda antichità, che si estenderà ben oltre la fine
del periodo ellenistico e caratterizzerà anche
una cospicua parte della riflessione romana.
Lo stoicismo come filosofia
ellenistica
• Lo stoicismo condivide con le altre filosofie
dell’ellenismo ed in particolare con l’epicureismo
- Il primato dell’etica e la concezione della
filosofia come esercizio spirituale finalizzato a
curare l’anima;
- Il rifiuto della trascendenza (materialismo);
- La partizione della filosofia in logica, fisica ed
etica
Rispetto all’epicureismo, gli stoici non concordano
con l’identificazione di bene e piacere e con
l’atomismo fisico.
L’uomo è libero?
• Se vi è un dovere, l’uomo deve essere libero. La
causa perfetta del suo volere, dice Crisippo, è la sua
volontà, mentre le cause esterne sono semplicemente
condizioni.
Per es.
Quando un cilindro rotola, la condizione che lo fa rotolare
è che qualcuno o qualcosa l’abbia spinto, mentre la
causa perfetta del suo rotolare è la sua natura
cilindrica.
Ciò vale anche per l’agire umano, la cui causa perfetta va
ritrovata appunto nella volontà, che dunque appare
essere autonoma rispetto alle catene causali del cosmo.
Preservare la libertà
• Questo tentativo di preservare la libertà,
attribuendo alla volontà la vera ragione dell’agire
umano, che così si sottrarrebbe alla rigida
connessione delle condizioni esterne (cioè del
fato-destino), è destinata a spostare solamente il
problema.
• Infatti anche la volontà, in quanto parte
dell’anima e sua facoltà, se è reale, deve
essere inserita nella concatenazione delle cause
che costituisce tutta la realtà.
L’unica libertà
• In realtà l’unica libertà che gli stoici concedono all’uomo
è quella di conformarsi al destino:
Ducunt volentem fata nolentem trahunt (Seneca che
liberamente traduce Cleante, Ep. 107,10)
anche se, a rigore, per conformarsi al destino, bisogna
mantenere una certa libertà e autonomia del volere
(infatti il dovere di conformarsi al destino, comporta
anche la possibilità di non farlo).
Insomma per gli stoici, che in ogni momento ribadiscono
l’universale cogenza della NECESSITÀ, mantenere una
possibilità di decisione, seppur limitata all’anima umana
e alla sua ragione e seppur limitata alla possibilità di
assenso ad un destino già deciso, appare comunque
fonte di contraddizione.
L’ETICA stoica
• Il tema della libertà ci introduce a quello che
rimane l’interesse principale degli stoici, cioè
l’etica,
disciplina che studia il comportamento umano con
il fine di poterne fornire una valutazione in
termini di bene o male, di giusto o ingiusto,
cercando il fine ultimo della vita umana su questa
terra, cioè la sua più completa realizzazione.
Il fine
• Fine dell’uomo è il raggiungimento della
FELICITÀ
in questa vita.
Tale fine si raggiunge
VIVENDO SECONDO NATURA.
La oikéiosis
• Il primo livello, quello diremmo animale, del
“vivere secondo natura” è relativo alla oikéiosis
(appropriazione).
• Si tratta di favorire quello che è una sorta di
istinto di autoconservazione che appartiene
ad ogni vivente e che induce tutti ad
APPROPRIARSI DI CIÒ CHE FAVORISCE IL
PROPRIO ESSERE E A FUGGIRE CIÒ CHE LO
DANNEGGIA.
Bene e male nell’oikeiosis
• Nella logica dell’oikeiosis bene è ciò che ci
conserva, male è ciò che ci danneggia.
• Già in questa fase si nota una presa di distanza
dalle conclusioni epicuree: il piacere è
assolutamente ininfluente quale fine e oggetto di
valutazione dei comportamenti naturali. I viventi
non cercano il piacere (che è appunto
accidentale) bensì la conservazione di se
stessi.
Etica e umanità
• L’uomo però è chiamato a superare la fase
dell’oikeiosis, poiché è caratterizzato dal
pieno possesso del logos.
• Se il logos, e non il semplice essere al
mondo, è ciò che va incrementato e
supportato in quanto elemento distintivo e
costitutivo della dignità dell’umano,
BENE sarà ciò che incrementa il logos,
MALE ciò che vi si oppone.
Le passioni contro il logos
• Le passioni sono propriamente il male e la malattia
dell’uomo.
• Esse non sono naturali.
• Sono dovute ad errori nel giudizio, cioè a cadute
dell’anima umana nell’ opinione comune e affrettata e
nell’irrazionalità.
• Il tutto a causa di “leggerezza”:
“I perturbamenti non sono suscitati da alcuna forza della
natura e sono tutti opinioni e giudizi di leggerezza”
(Cicerone, De finibus, III, 35);
“… gli stoici li chiamano malattie, non ingenite per natura,
ma prese per opinione perversa” (Lattanzio, Divinae
Institutiones, VI, 14).
Bene, logos e virtù
• L’estirpazione delle passioni deve essere lo scopo
dell’agire morale in vista dell’incremento del logos.
• L’ APATIA (assenza di passioni), si ottiene facendo della
ragione la regola e misura di ogni appetito, cosa che
ci permette di conseguire la virtù.
• La virtù fondamentale è eminentemente “logica” cioè si
identifica con la sapienza.
• Essa viene poi declinata secondo uno schema diventato
ormai tradizionale: prudenza, fortezza, giustizia,
temperanza (le cosiddette virtù cardinali).
Gli INDIFFERENTI
• Di fronte al bene supremo del LOGOS, le
cose che giovano al corpo e alla sua
natura animale sono “retrocessi” al rango
di
INDIFFERENTI
cioè né bene, né male
(morte e vita, salute e malattia, ricchezza e
povertà, fama e disonore).
Indifferenti che giovano e no
Delle cose indifferenti, alcune gli stoici (in
particolare Crisippo) dicono preferibili,
altre reiette: preferibili quelle che hanno
un valore, cioè possono, se usate bene,
concorrere all’armonia della vita (fra le
cose spirituali: ingegno, arte; fra quelle
corporee: salute, forza etc; fra le esteriori:
ricchezza, fama etc.); reiette quelle che
rappresentano comunque un disvalore
(ottusità o malattia o povertà etc.).
Azioni convenienti o doverose
Se un individuo persegue gli indifferenti che
giovano, le sue azioni possono essere definite
CONVENIENTI o DOVEROSE. Esse sono, tra i
preferibili, quegli atti che appaiono essere più
conformi a natura (onorare i genitori i fratelli, la
patria, perseguire l’amicizia etc.). La dottrina
delle azioni convenienti o doverose nasce
con il fine di elaborare una morale per i più,
per i non saggi, che di per sé non possono
compiere nulla di veramente buono e le cui
azioni tuttavia vanno discriminate.
Le azioni del saggio
• Le azioni del saggio saranno invece le azioni
rette che perseguono il bene e la virtù
(prudenza, giustizia etc.). Esse non sono
esternamente diverse dalle azioni convenienti
ma se ne differenziano per lo spirito con cui
sono compiute, uno spirito di consapevole
adesione al logos universale. La perfezione
morale non sta dunque in quello che si fa ma in
COME lo si fa.
• La morale stoica si caratterizza quindi per
essere una morale dell’intenzione e
dell’interiorità consapevole.
Il fine delle azioni rispetto al logos
• L’errore e l’irrazionalità delle azioni
sbagliate sta nell’isolamento del fine
particolare, perseguito dal soggetto
agente, dall’universale, “mentre il saggio
deve guardar sempre le cose non nella
particolarità loro, ma nell’ordine e
nell’armonia dell’universo” (R. Mondolfo, Il
pensiero stoico ed epicureo, NuovaItalia,
firenze, 1957, p. 42).
Il suicidio stoico
• Quando le circostanze impediscono
l’esercizio della virtù, il saggio può
decidere di rinunciare a quell’indifferente
che è la vita suicidandosi.
LA POLITICA
• L’uomo è per natura un essere sociale:
“Poiché nessuno vuole condurre la vita nella
più deserta solitudine, neppure con infinita
abbondanza di piaceri, è facile intendere
che noi siamo nati per la congiunzione ed
associazione degli uomini e per la naturale
comunità” (Cicerone, De finibus, 20, 6567).
cosmopolitismo
• L’ oikéiosis si estende oltre l’individuo fino a
coinvolgere, la famiglia, la comunità, lo Stato e
l’intero genere umano. Ciò fa della politica stoica
una politica a carattere cosmopolitico in cui
l’ordine della società umana deve rispecchiare la
razionalità del cosmo intero: “L’uomo che si
conforma alla legge è francamente cittadino del
mondo (cosmopolita) e dirige le azioni secondo
il volere della natura, conformemente alla quale
tutto quanto il mondo si governa” (Filone, De
opificio mundi, III).
L’ideale del saggio
• Il saggio stoico è il perno del mondo, è l’interprete presso gli
uomini del logos universale e divino, sul quale ogni legge umana
va commisurata. Egli è impassibile e imperturbabile, è insensibile
alle lusinghe del piacere e alle preghiere degli altri, non si piega di
fronte a nessun evento esterno e obbedisce solo alla legge
interiore del logos che è la sua dimensione propriamente divina.
Pur acquisendo in questo modo un carattere freddo e forse
disumano, egli è lì a sottolineare l’esigenza di razionalità connessa
ad ogni etica che voglia essere stabile e non dipendere da
sentimenti ed emozioni effimere. Egli vuole così essere artefice di
un’umanità rocciosa e virile, anche se nasconde in fondo a tale
voglia di granitica serenità uno sfondo di vuoto, un sorta di
disperazione del senso ultimo delle cose, che non può ritrovarsi in
un cosmo in cui tutto ha il suo posto, ma la cui ragione di fondo non
può essere espressa da una razionalità che divinizza il finito, la
materia e l’immanenza.