Spinoza

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Spinoza (Amsterdam, 1632 - 1677)
Opere principali: Trattato teologico-politico 1670, Opera Posthuma 1677 (Ethica more geometrico
demonstrata, Trattato sull'emendazione dell'intelletto, Trattato politico, Compendium grammatices
linguae hebraeae)
Parti dell’Ethica:
 Dio (sostanza, critica del finalismo)
 Natura e origine della mente (parallelismo, la conoscenza)
 Natura e origine degli affetti (geometrismo: Umana actiones, non ridere, nec lugere, neque detestari, sed
intelligere)
 La schiavitù umana, ossia le forze degli affetti (naturalità ma necessità discriminazione
razionale)
 La potenza degli affetti, ossia la libertà umana (conoscenza sub specie aeternitatis = libertà,
virtù = vero utile)
Significato generale Delusione nei confronti dei comuni valori e beni (ricchezze, onori, piaceri),
ritenuti vani, transeunti, esteriori, incapaci di appagare i bisogni profondi dell'animo e spesso fonte
di inquietudini e sofferenze, ma nonostante ciò universalmente desiderati al punto da incatenare le
menti. Essi non sono malvagi in sé, ma solo in quanto impediscono di raggiungere il vero bene per
l'uomo. Come mezzi, se goduti con misura, possono essere anche utili. Come fini, precludono
all'uomo la vera felicità, che risiede solo nell'eterno e nell'infinito, nell'unione della mente con la
natura panteisticamente concepita.
La metafisica
Problemi suscitati dal dualismo cartesiano delle sostanze:
- comunicazione fra le sostanze;
- validità della conoscenza (rapporto idee-cose)
Punto di partenza di Spinoza è la definizione di sostanza = «ciò che è in sé e per sé si concepisce,
vale a dire ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un'altra cosa da cui debba essere
formato» (Etica, I, def. III), cioè la sostanza è qualcosa di completamente autosufficiente, che per
esistere sul piano ontologico e per essere concepito come concetto sul piano logico non ha bisogno
di null'altro fuorché di se stessa.
Da questa definizione derivano logicamente le proprietà di base della sostanza:
- increata (per esistere non ha bisogno d'altro): è causa di se stessa
- eterna ( se è, ed è increata, non può essere che eterna)
- infinita (se fosse finita dipenderebbe da qualcos'altro)
- unica (in quanto infinita; due sostanze non potrebbero essere infinite, limitandosi a vicenda)
- indivisibile (in quanto unica; se fosse divisibile non sarebbe unica)
Una sostanza con tali proprietà non può essere che Dio
Dio non può non esistere, in quanto
- ha in sé la propria ragion d'essere (prova ontologica o a priori);
- esiste come causa necessaria degli esseri contingenti (prova cosmologica o a posteriori)
Se la sostanza è unica, tutto è nella sostanza, tutto è la sostanza o manifestazione della sostanza: Dio
è la Natura (Deus sive Natura) = panteismo. Dio è causa (Natura naturans) ed è effetto (Natura
naturata). Dio è causa immanens, non causa transiens, cioè attività il cui prodotto esiste in se stessa
Se la sostanza è infinita, infinite saranno le sue manifestazioni. Ma la limitatezza dell'uomo fa sì che
esso possa conoscerne soltanto due: il pensiero e l'estensione
1
Gli attributi si manifestano attraverso modi infiniti, definibili come manifestazioni strutturali degli
attributi, e che a loro volta si manifestano tramite modi finiti.
Attributi

Modi infiniti

Modi finiti
Pensiero
Estensione
Intelletto, volontà
Moto, quiete
Singoli pensieri,
Singoli corpi
singoli atti di volontà
Dio non deve essere concepito come una somma unitaria di cose e di esseri o come una forza
generatrice (l'Uno emanante di Plotino, la Potenza generatrice di Bruno): Egli è soprattutto l'ordine
assolutamente necessario1, geometrico, impersonale e immanente dell'universo (da cui le cose
seguono in modo necessario così come dalla definizione di triangolo segue che la somma dei suoi
angoli interni è 180°), è l'insieme delle sue leggi eterne e immutabili, il sistema delle cause
concatenate e delle relazioni costanti fra le cose e i fenomeni (rapporto tra la filosofia di Spinoza e
la rivoluzione scientifica, di cui lo spinozismo costituisce quasi una traduzione metafisica).
Necessitarismo: la necessità matematicamente pensata diventa per Spinoza la categoria
fondamentale per spiegare la realtà: nulla è contingente, tutto si realizza necessariamente così come
deve essere, la possibilità non è altro che necessità in potenza. Nulla nell'universo è imperfezione o
male: bene, male, giusto, ingiusto sono solo modi di pensare dell'uomo, che percepisce così ciò che
favorisce o no il conatus; sub specie aeternitatis tutto è necessario. La libertà di Dio consiste nella
sua necessità, nella perfetta conformità alle leggi della sua stessa natura. Dio è libero perché agisce
senza condizionamenti esterni, ed è necessitato perché agisce necessariamente in virtù della propria
legge immanente. Tutto ciò che Dio può, lo fa necessariamente dall'eternità, perché il suo è un
ordine immutabile. Da ciò deriva il rifiuto dei miracoli: se Dio è il principio impersonale
dell'ordine del mondo, tale ordine non può essere spezzato nemmeno da Dio. Del resto, è proprio
l'esistenza di quell'ordine mirabile il miracolo più grande.
Rifiuto del creazionismo: il concetto di creazione, implicando volontà, arbitrio, scelta, è errato, e si
fonda sulla riduzione antropomorfica della sostanza al modello umano.
Rifiuto dell'emanazionismo, che implica la pluralità delle sostanze e, soprattutto, non comporta la
concezione di Dio come ordine dell'universo.
Radicale rifiuto del finalismo biblico tradizionale e dell'antropomorfismo religioso: la credenza
nelle cause finali è un pregiudizio della mente umana (humana figmenta) che, di fronte all'esistenza
delle cose di natura vantaggiose per l'uomo, è portata a considerarle mezzi creati appositamente da
Dio per i fini dell'uomo stesso (d'altro canto, anche l'esistenza di cose svantaggiose li conferma in
tale pregiudizio).
Il finalismo è da respingere, un quanto:
- è un residuo antropomorfico, che forgia Dio a immagine dell'uomo e delle sue passioni, e che
«spiega il mondo mediante nozioni come il bene, il male, l'ordine, la confusione, il bello, il
brutto, le quali non esprimono se non il modo in cui le stesse colpiscono gli uomini e non hanno
valore oggettivo»;
- confonde cause ed effetti (non è il calore la causa del Sole, ma viceversa);
- rende imperfetta la perfezione del mondo (ciò che deriva da Dio è perfetto; ma se si ammette
che sia solo un mezzo per conseguire un certo fine, allora è meno perfetto di questo fine);
- rende imperfetta la perfezione di Dio (se Dio agisse per un fine, allora si dovrebbe ammettere
che Egli manca di questo fine, è imperfetto rispetto ad esso).
1
Nel senso che dall'ordine di Dio tutto scaturisce in modo necessario, come dalla definizione del triangolo segue che la
somma dei suoi angoli interni è uguale a 180°.
2
Parallelismo psico-fisico = superamento del dualismo cartesiano: il pensiero e l'estensione non
sono due sostanze distinte, bensì due manifestazioni inseparabili della stessa sostanza, e per ciò
stesso sempre e automaticamente corrispondenti (ordo et connexio rerum idem est ac ordo et
connexio idearum). Il parallelismo psico-fisico, coniugando strettamente i due piani dell'essere,
ribadisce l'ordine unitario della realtà e della sostanza = monismo metafisico: «sia che concepiamo
la natura sotto l'attributo dell'estensione, sia che la concepiamo sotto l'attributo del pensiero, o sotto
un qualunque altro attributo, troveremo un solo e medesimo ordine, o una sola e medesima
connessione di cause».
Il rapporto idee-realtà cessa di essere un problema come nella filosofia cartesiana, l'ordine delle idee
è l'ordine delle cose, e dunque la conoscenza è in sé valida.
L'etica
Significato della filosofia: ricercare il vero bene per l'uomo, al di là dei beni esteriori e vani che
provocano inquietudini e sofferenze. Solo l'eterno e l'infinito conferiscono una felicità stabile e
ferma. La felicità consiste dunque nel perseguire l'utile in modo razionale e vivere la vita nella
migliore maniera possibile, rapportandosi serenamente al Tutto eterno e necessario di cui si è
transitoria manifestazione.
Naturalità dell'uomo L'uomo non è una creatura privilegiata nell'economia dell'universo, bensì è
un elemento dell'insieme della natura al pari degli altri, sottomesso alle stesse leggi immutabili.
Dunque anche le passioni sono naturali e i comportamenti umani obbediscono a leggi necessarie
che possono essere studiate con matematica obiettività («considererò le azioni umane e gli umani
appetiti come se si trattasse di linee, di piani e di corpi»), senza indulgere in atteggiamenti
moralistici o polemici; il compito della filosofia è «non ridere, nec lugere, neque detestari, sed
intelligere», cioè comprendere le passioni, trattandole «non come vizi della natura umana, ma quali
proprietà che le appartengono necessariamente, così come alla natura dell'aria appartengono il
caldo, il freddo, il temporale, il tuono e simili», a differenza dei moralisti fanatici che pensano di
«attingere il colmo della sapienza quando hanno appreso a lodare in mille modi una natura umana
che non esiste e a perseguitare con i propri detti quella che realmente esiste, concependo gli uomini
non come sono, ma come vorrebbero che fossero».
Geometrismo morale Spinoza costruisce una geometria delle emozioni umane fondata su leggi
rigorose che derivano le une dalle altre. In sostanza, il punto di partenza dell'etica spinoziana è lo
sforzo di autonservazione (conatus) che spinge ogni cosa a perseverare nel proprio essere, e che si
manifesta come volontà quando è riferito al piano spirituale, come appetito quando si riferisce tanto
alla mente quanto al corpo. Da esso derivano le due passioni fondamentali della letizia e della
tristezza, che si hanno quando lo sforzo di autoconservazione implica il passaggio da una minore a
una maggiore perfezione o viceversa. Quando letizia e tristezza si accompagnano all'idea di una
causa esterna danno origine all'amore e all'odio. Tutte le altre passioni sono poi derivate more
geometrico da queste fondamentali.
Alla base del comportamento naturale di ogni essere vivente è lo sforzo di autonservazione, e
dunque la ricerca del proprio utile: tutto il comportamento umano è ferreamente determinato da
questa legge naturale, sottrarvisi è impossibile (determinismo morale). Il libero arbitrio è
un'illusione, come se una pietra, cadendo, credesse di poter dirigere la propria traiettoria e scegliere
il luogo e il momento della caduta. Ma essere soggetti alla natura non è essere schiavi; la schiavitù
si ha solo quando l'uomo è impotente a reprimere razionalmente le passioni. La libertà non consiste
in una impossibile evasione dal determinismo naturale, bensì nel dominio attivo della ragione sulle
passioni scaturenti dal conatus. L'uomo infatti, essendo ragione oltre che passione, anziché limitarsi
a subire passivamente lo sforzo di autoconservazione può manovrarlo consapevolmente. La virtù
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consiste nel fatto che egli, pur senza sfuggire alle passioni, può dirigere il conatus verso un calcolo
razionale dell'utile, pilotandolo verso la migliore sopravvivenza possibile. Si tratta in sostanza di
discriminare razionalmente fra le passioni, favorendo quelle conformi alla ragione e ostacolando
quelle ad essa contrarie (cfr. Socrate). In tal modo l'uomo si 'libera' dalle passioni, imparando a
governarle e a indirizzarle verso fini razionalmente utili di perfezionamento morale: «la ragione
nulla esige contro la natura, ma vuole che ciascuno ami se stesso, ricerchi il proprio utile, ciò che è
veramente utile, e appetisca tutto ciò che conduce veramente l'uomo a una perfezione maggiore».
Si noti che Spinoza concepisce la ricerca della virtù e dell'utile in chiave sociale: l'uomo morale è
un uomo sociale, in quanto la ragione spinge l'individuo a unirsi ai suoi simili, per meglio
conseguire l'utile stesso.
Il realismo politico
Come Hobbes, Spinoza sostiene che nello stato di natura il diritto di ogni uomo coincide con la sua
potenza, ma ciò non provoca una guerra di tutti contro tutti: poiché nessuno può sopravvivere senza
gli altri, la stessa considerazione dell'utile spinge gli uomini ad associarsi e sottomettersi a norme
comuni; nasce così il diritto, la nozione di giusto e ingiusto, e con esse le valutazioni morali.
Tanto nello stato di natura quanto nello stato civile gli uomini seguono la fondamentale e naturale
legge dell'utile, ma è proprio per la ricerca della propria utilità che la ragione naturale consiglia di
sottrarsi all'insicurezza e all'isolamento dello stato di natura e di sottomettersi alle leggi dello Stato
civile, la cui occasionale irrazionalità è compensata dai vantaggi della vita associata.
Il diritto dello Stato, tuttavia, non è assoluto: esso limita ma non annulla i diritti naturali degli
individui, e soprattutto la libertà di pensiero e di religione.
Infatti, come ogni altra 'cosa' naturale, lo Stato non può esistere né conservarsi se non si conforma
alle leggi della propria natura: il limite della sua azione è perciò determinato da quelle regole senza
le quali esso cesserebbe di essere lo Stato e distruggerebbe se stesso. In altre parole anche lo Stato,
come l'individuo, vuole autoconservarsi; e dunque la sua azione dovrà essere ispirata a quei precetti
razionali che garantiscono la sua conservazione.
Il fine naturale dello Stato è assicurare la pace, la sicurezza della vita e la libertà, e quindi i limiti
della sua azione saranno dettati dal perseguimento di questi fini.
La conoscenza
Spinoza distingue 3 gradi di conoscenza:
- percezione sensibile, in cui la mente coglie la realtà in modo frammentario e parziale, attraverso
idee «oscure e confuse», incomprensibili in quanto non connesse tra loro secondo un preciso ordine
causale. È una conoscenza inadeguata e superficiale, cui il mondo appare come una pluralità di cose
molteplici, contingenti, temporali. L' errore è dunque reso possibile dal fatto che esse esprimono
una conoscenza parziale, sradicata dall' ordine necessario che mostra la loro derivazione dalle idee
che ne sono causa e, se si risale l' intera catena causale, da Dio.
Sul piano etico essa corrisponde alla schiavitù delle passioni: non comprendendo adeguatamente il
necessario ordine causale della realtà o delle emozioni, l'uomo si lascia travolgere dall'errore oppure
dalle proprie passioni;
- idee comuni della ragione, cioè il grado di conoscenza che coglie le caratteristiche strutturali delle
cose attraverso idee chiare e distinte (fondamentalmente i concetti della moderna scienza
meccanicistica come l'estensione, il movimento, la causa, la quantità, ecc.), che a loro volta
connettono i contenuti della conoscenza fra di loro considerandoli secondo rapporti necessari di
causa e di effetto. È una conoscenza più adeguata, che tuttavia, progredendo razionalmente di causa
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in causa, non può esaurire l'infinita catena causale dell'essere per giungere a una conoscenza
assoluta.
Sul piano etico essa corrisponde alla vita secondo virtù, in cui l'uomo è capace di padroneggiare il
proprio sforzo di autonservazione e dirigere razionalmente il proprio agire;
- amore intellettuale di Dio, cioè il grado di conoscenza che, scaturendo dall'intelletto, coglie
intuitivamente l'unità, la necessità e l'eternità dell'essere, della sostanza: la molteplicità appare come
l'insieme delle manifestazioni visibili dell'unica sostanza, la contingenza scaturisce solo dal fatto
che siamo noi a ignoranza dell'ordine causale necessario della sostanza, la temporalità un nostro
modo di concepire ciò che invece al di fuori del tempo. La conoscenza intuitiva si identifica dunque
con la stessa metafisica spinoziana, che coglie la profonda unità dei molti e di Dio nel ferreo ordine
causale dell'universo-Tutto, elevandosi al di sopra dei limiti del finito fino a raggiungere una
visione assoluta, «sub specie aeternitatis»: Dio è l'ordine geometrico dell'universo; la conoscenza di
ogni singola cosa come manifestazione necessaria di quest'ordine è consapevolezza della necessità
del Tutto, è lieta contemplazione di Dio, è amore intellettuale di Dio che è parte dell'amore infinito
con cui Dio ama se stesso.
5
Spinoza
(schema di autoverifica)
Cerca di studiare ricollocando all'interno dello schema le nozioni che apprendi dal libro di testo,
cogliendone la connessione logica.
Per ogni punto dello schema, accertati di saper rispondere alle seguenti domande:
 cosa vuol dire? (cosa significa la parola in questione, di cosa sto parlando?)
 perché? (quale concetto esprime lo schema?)
Il razionalismo spinoziano (la filosofia come geometria); cfr. Cartesio e Galilei
Il concetto di sostanza e le sue manifestazioni (attributi, modi), studiate all'uso della geometria
 
Monismo Panteismo
Il problema della comunicazione spirito/materia = parallelismo  validità della conoscenza

cfr. Cartesio, Galilei e il metodo
Il problema di Dio come ordine immanente del mondo2  necessitarismo,  rifiuto dei miracoli
determinismo

rifiuto del finalismo

rifiuto dell'antropomorfismo religioso
Metafisica (immutabilità della natura)  etica (naturalezza delle passioni), studiata all'uso della

geometria
rifiuto del moralismo  determinismo morale  rifiuto del libero arbitrio

libertà come discriminazione
razionale delle passioni
Unicità della sostanza  conoscenza dell'unica sostanza

gradi di maggiore o minore capacità di cogliere le connessioni delle parti
In conclusione:
Realtà (mondo, natura, sostanza, Dio) = necessità EPPURE  libertà etica
 libertà politica
 libertà religiosa
Tabella di confronto
Filosofo
Quante sostanze?
Di natura?
2
Cartesio
3
Divina (libera),
spirituale (libera),
materiale (meccanica)
Hobbes
1
Materiale
(meccanica)
Spinoza
1
Divina (determinata
dalla propria natura)
Cfr. la concezione galileiana della natura come ordine immutabile di fenomeni regolati da leggi, studiate dalla scienza.
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a) Il dualismo Dio/Natura
Come gli uomini sono soliti definire “divino” quel sapere che trascende le capacità umane di comprensione, cosí sono abituati a chiamare “divino”,
oppure opera di Dio, ogni fenomeno la cui causa è sconosciuta al volgo. Il volgo infatti ritiene che la potenza e la provvidenza divine si manifestino
nel modo piú luminoso possibile quando accade in Natura qualcosa di inconsueto e di contrario all'opinione che per consuetudine esso ha riguardo
alla Natura stessa, particolarmente se l'evento gli ha portato qualche profitto o gli è riuscito vantaggioso. E cosí il volgo è convinto che la
dimostrazione piú chiara dell'esistenza di Dio può essere data soltanto dal fatto che la Natura non si attiene (cosí si crede) al proprio corso; perciò esso
ritiene che neghino Dio, o quanto meno la provvidenza, tutti coloro che spiegano gli accadimenti in genere e i miracoli in particolare mediante cause
naturali o che in tal modo si sforzano di comprenderli.
Il volgo crede, evidentemente, che Dio non faccia nulla quando la Natura agisce secondo l'ordine consueto, e viceversa che restino oziose la potenza
della Natura e le cause naturali quando agisce Dio. Ci si immagina pertanto due potenze nettamente separate l'una dall'altra: la potenza di Dio e la
potenza delle cose naturali, quest'ultima tuttavia determinata da Dio in qualche particolare modo o anzi (come i piú credono ai giorni nostri) da lui
creata. Ma che cosa poi il volgo intenda per l'una e per l'altra delle due potenze, come concepisca Dio e la Natura, ciò invero non lo sa; esso si
raffigura la potenza divina come l'autorità di un monarca assoluto e la potenza della Natura come una sorta di violenza senza freno.
Il volgo, pertanto, chiama miracoli o opere di Dio gli eventi straordinari della Natura; e, parte per zelo religioso, parte per smania di osteggiare coloro
che coltivano la scienza della Natura, desidera di ignorare le cause naturali delle cose e si mostra voglioso di ascoltare soltanto ciò che gli è del tutto
oscuro e che di conseguenza suscita la sua massima ammirazione. Il che s'intende: infatti in nessun altro modo, se non escludendo le cause naturali e
immaginando cose estranee all'ordine della Natura, la moltitudine degli incolti può adorare Dio e ricondurre ogni cosa al suo dominio e al suo volere;
essa non ammira mai tanto la potenza divina come quando immagina che la potenza della Natura sia da Lui quasi soggiogata.
b) I miracoli sono impossibili
Tuttavia, prima di porre fine a questo capitolo, mi resta ancora un avvertimento da dare. A proposito del miracolo ho proceduto con un metodo del
tutto differente da quello usato a proposito della profezia. Circa la profezia, non ho affermato nulla che non potesse essere ricavato dai princípi rivelati
nei testi sacri; invece, nel presente capitolo, ho tratto le conclusioni piú importanti esclusivamente dai princípi che ci sono noti grazie al lume naturale.
E l'ho fatto di deliberato proposito, in quanto la profezia, come tale, trascende le possibilità umane di comprensione ed è questione propriamente
teologica, e quindi non potevo affermare nulla intorno ad essa, né sapere in che cosa particolarmente consiste, se non basandomi sui dati fondamentali
della rivelazione. Mi sono visto cosí costretto a trattare questo argomento sotto un profilo storico e a enucleare nel corso della mia ricerca certi
princípi che mi guidassero, per quanto possibile, nella comprensione della Natura della profezia e delle sue caratteristiche. Non avevo invece bisogno
di nulla di simile per quanto riguarda i miracoli, dato che l'oggetto dell'indagine (e cioè se si possa ammettere che in Natura accada qualcosa che
ripugni alle sue leggi o che comunque non dipenda da esse) appartiene ad una tematica esclusivamente filosofica; anzi ho ritenuto piú ragionevole
risolvere la questione fondandomi sui princípi noti per lume naturale, che sono poi quelli piú e meglio noti. Dico che l'ho ritenuto piú ragionevole:
perché, a dire il vero, avrei anche potuto facilmente risolvere la questione solo in base alle affermazioni dogmatiche della Scrittura, e lo mostrerò in
poche parole perché possa essere palese a chiunque.
In piú di un luogo la Scrittura dice che la Natura osserva un ordine fermo e immutabile: cosí in Salmo, CXLVIII, 6 e in Geremia, XXXI, 35 e 36. Il
Filosofo, inoltre, nel suo Ecclesiaste, I, 10, insegna nel modo piú reciso che in Natura non avviene mai nulla di nuovo e ai versetti 11 e 12, nel chiarire
tale sentenza, dice che accade talvolta qualcosa che sembra costituire una novità, ma di novità realmente non si tratta perché un caso identico si
produsse in secoli precedenti dei quali è spento ogni ricordo. Infatti, com'egli stesso dice, nessuna memoria dei tempi antichi è presente nei
contemporanei, cosí come presso i posteri non vi sarà memoria di coloro che vivono oggi. Inoltre, sempre nell'Ecclesiaste (III, 11), il Filosofo afferma
che Dio ebbe a stabilire esattamente ogni cosa nel suo tempo, e al versetto 14 dichiara di sapere che, qualunque cosa Dio faccia, essa permarrà in
eterno e che nulla può esserle né aggiunto né sottratto. Ciò fa capire in modo inequivocabile che la Natura mantiene un ordine stabile e non passibile
di mutamenti, che Dio persistette identico in tutte le ere a noi note e ignote, che le leggi della Natura sono tanto perfette e feconde che nulla può esser
loro aggiunto o da esse eliminato, e finalmente che i miracoli sembrano essere qualcosa di nuovo e di straordinario soltanto a causa dell'ignoranza
degli uomini.
Tutto ciò si trova espressamente insegnato nella Scrittura, e in nessuna parte di essa è detto che in Natura accade qualcosa di incompatibile con le sue
leggi e che non possa venir ricondotto ad esse: sarebbe quindi illecito attribuirle simili affermazioni. A ciò si aggiunge che i miracoli richiedono
(come già mostrammo) condizioni e circostanze di fatto, che essi traggono origine non da un presunto potere di monarca che il volgo malamente
attribuisce alla divinità, bensí dalla volontà e dal decreto divino in quanto questo è tutt'uno con il regolato ordinamento della Natura (come del resto
mostrammo anche alla luce della stessa Scrittura), che infine artefici di miracoli sono stati anche dei Profeti ingannatori, come si può sicuramente
dimostrare in base a Deuteronomio, XIII e a Matteo, XXIV, 24. Ne segue con la massima evidenza che i miracoli raccontati dalla Scrittura furono
fenomeni naturali e che perciò debbono essere spiegati in modo tale che essi non appaiano né “nuovi” (per esprimermi come Salomone), né in
contraddizione con la Natura; occorre al contrario, se è possibile, mostrare che essi sono perfettamente attinenti al mondo naturale. E perché ciò possa
esser fatto da chiunque piú agevolmente, ho formulato ed esposto alcune regole tratte proprio dalla Scrittura.
Debbo peraltro precisare che, sostenendo che la Scrittura offre tali insegnamenti, non intendo dire che essa li impartisce come necessari alla salvezza,
ma soltanto ai Profeti hanno assunto un punto di vista vicino al nostro. Ciascuno ha dunque la libertà di professare intorno a queste questioni le
opinioni che gli sono piú congeniali e piú idonee al fine di accogliere sinceramente nel proprio animo i sentimenti religiosi e il culto dovuto alla
divinità. Flavio Giuseppe giudica anch'egli cosí, e infatti scrive nella conclusione al libro II delle Antichità: “Nessuno respinga la parola miracolo, se
risulta dalla tradizione che ad uomini di epoche remote, esenti da vizi, si aperse una via di salvezza attraverso il mare, sia per volontà divina, sia in
modo spontaneo e naturale; poiché anche per coloro che tempo fa seguivano Alessandro re di Macedonia, il mare di Pamfilia che li separava dai
nemici, si divise offrendo ad essi un transito, dato che mancava ogni altra strada. Voleva Dio infatti in tal modo distruggere l'impero persiano. Questo
fatto è riconosciuto concordemente come vero da tutti coloro che scrissero delle gesta di Alessandro; pertanto giudichi ciascuno, di ciò, secondo il
proprio criterio”. Tali sono le parole di Giuseppe e tale è la sua opinione circa la credenza nei miracoli.
(B. Spinoza, Etica e Trattato teologico-politico, UTET, Torino, 1988, cap. VI, pagg. 486-487, 504-507)
Proposizione LXIV
La conoscenza del male è una conoscenza inadeguata.
Corollario
Da ciò deriva che se la Mente avesse solo idee adeguate non formerebbe alcuna nozione del male.
B. Spinoza, Etica, UTET, Torino, 1988, Parte quarta, pag. 323)
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