Il Corpo nella filosofia occidentale 3. La classificazione delle passioni nel ‘600 Cartesio, Pascal, Spinoza: l’indagine filosofica sulla relazione tra pensiero e corpo, tre esempi di un tentativo di classificazione scientifica delle passioni umane. Il “corpo moderno” “Mortuus in anima / Curam gero cutis” si legge nel componimento 191 dei Carmina Burana, le poesie medievali ritrovate nel monastero di Benediktenbeuern e musicate da Carl Orff nel 1937: “morto nell’anima, curo la mia pelle”. Sarebbe frettoloso e superficiale affermare che l’intero Medioevo si rispecchiasse nella teologia o nella letteratura religiosa del tempo. Sicuramente nel Medioevo le ‘gioie della carne’, in tutte le accezioni dell’espressione, venivano assaporate con voluttà, anche per il senso di precarietà e di miseria che accompagnava le sorti di uomini e donne molto spesso privi di risorse e di tutela. La stessa idea del Carnevale, come forma di legittimazione e al tempo stesso di argine dinanzi all’abbandono ai piaceri corporali, dimostra quanto fosse per la Chiesa ancora resistente il ‘nemico’. Questo assumeva la veste ancora più pericolosa del corpo femminile, vero teatro delle ossessioni della cultura ufficiale del Medioevo: ricettacolo del Male, tentatrice, tutt’al più “pallido riflesso dell’uomo” (San Tommaso d’Aquino). Salvo redimere la donna ‘angelicandola’ – ossia in ogni caso ‘snaturandola’, privandola della sua natura corporea – nelle figure di Maria o, in Dante, di Beatrice. 1 Con l’età moderna, il corpo riconquista la centralità perduta durante il Medioevo. Ne sono simboli l’immagine leonardesca dell’Uomo Vitruviano, con la quale il corpo torna a essere il parametro della perfezione e la misura della bellezza, e la perfezione della Venere di Botticelli, che rappresenta la straordinaria rivalutazione estetica e morale della donna. Non meno importanti sono le tavole anatomiche del Vesalio, che segnano un decisivo passo della medicina verso la realtà con il supporto delle qualità del tratto di un tipico genio rinascimentale, capace di eccellere nelle scienze mediche e nelle arti grafiche. In epoca controriformista, il corpo è nuovamente oggetto di un’attenzione sociale repressiva, che tuttavia non è in grado di cancellare un dato acquisito nella cultura delle élite e così, per esempio, nella pittura assistiamo al tripudio di carni di un Rubens, che compensa in parte l’avvento di una società effetto di opposte tensioni, sia in campo cattolico sia in quello protestante. La classificazione delle passioni Nella filosofia del Seicento il corpo diventa oggetto di un’indagine approfondita, che possiamo riassumere a partire da Descartes. Per il pensatore francese, la ricerca sul corpo è di duplice natura: da un lato, il corpo è la materia in generale, la res extensa, che occupa ogni luogo del cosmo e spiega tutti i fenomeni meccanici; dall’altro, il corpo non è l’unico principio della realtà, in quanto l’uomo è anima, res cogitans. Descartes scinde i due ordini di sostanze: da una parte il corpomacchina le cui azioni possono tutte (per gli animali) o quasi tutte (per l’uomo) spiegarsi sulla base dello schema fisiologico che lega circolazione del sangue, refrigerazione del sangue nei polmoni, riscaldamento del sangue nel cuore. Da condensazione ed evaporazione – come in una sorta di macchina a vapore naturale – 2 si generano gli “spiriti animali” che determinano la pressione sul sistema nervoso attraverso il cervello senza che in nessuno di questi passaggi si chiami in causa l’anima. La quale interviene, secondo Descartes, solo quando ne ha necessità, entrando in contatto col corpo tramite la ghiandola pineale. La mente razionale è condizionata dal corpo e dalle passioni che esso è in grado di trasmettere. Le passioni non sono tout court da condannare, giacché esse possono anche essere la fonte di ogni bene, non solo di ogni male della vita. Tutto sta nel saperle governare, temperare, soggiogare. Il dominio sulle passioni, il vincere se stessi più che la fortuna, è il succo dell’etica cartesiana, nella quale la conoscenza delle passioni, ricavata da un’indagine quasi fisiologica dei processi mentali, è il primo passo per poterle sottomettere. Cosa assai necessaria non solo per la condotta morale, ma anche per non commettere sbagli di giudizio e metodologici, giacché il prevalere della volontà sulla ragione è ciò che più di tutto conduce all’errore. Conoscere il nemico per combatterlo potrebbe definire in sintesi l’indagine sulle passioni che Pascal conduce nei Pensieri. Le passioni offuscano il giudizio morale e contribuiscono ad alimentare quella volontà di distrazione, il divertissement, da cui scaturisce l’incapacità di fissare le autentiche priorità dell’esistenza umana. Tali priorità s’individuano meglio nel concentrarsi su se stessi e riconoscere, con spirito geometrico, le passioni allo scopo di poterle oltrepassare per cogliere, con l’esprit de finesse, gli autentici fondamenti. Ciò che in Pascal è un abbozzo non sistematico, costituisce il programma di ricerca di Spinoza nell’Ethica more geometrico demonstrata. Nel suo capolavoro, Spinoza oltrepassa il dualismo cartesiano e dal duplice ordine di sostanze procede verso un rigoroso monismo che identifica pensiero e materia quali attributi della Sostanza Unica, Dio. Corpi e Menti sono modi finiti di tale sostanza e gli affetti sono le modificazioni del corpo “con le quali la potenza dello stesso Corpo è aumentata o diminuita, favorita o ostacolata e, simultaneamente, le idee di queste affezioni” (Ethica, III, Definizione III). L’intera terza parte dell’Ethica è dedicata alla classificazione degli affetti, a partire dal corrispettivo in campo morale del principio d’inerzia della fisica, ossia il conatus sese conservandi sive preservandi, l’istinto dell’uomo di perseverare nel suo essere. Da qui, gli affetti primari Gioia, Tristezza e Cupidità generano in correlazione geometrica tra loro e l’idea delle cose esterne o degli stati mentali interni tutta la scenografia barocca degli affetti secondari (Odio, Amore, Ammirazione, Disprezzo ecc.). Scopo dell’etica spinoziana è la comprensione della reale natura degli affetti e dell’inganno prospettico del quale siamo vittime nella nostra incapacità di trascendere una forma di conoscenza inadeguata – quella nella quale ci riteniamo enti individuali e vediamo il mondo sub specie temporis – per conquistare 3 la conoscenza adeguata, la beatitudine del comprendere il mondo e noi stessi in esso quali forme dell’unica sostanza, Dio, e cominciare a guardare il tutto sub specie aeternitatis. Il paradigma fisicalista Thomas Hobbes è l’ultima stazione di questo itinerario. Nel De Corpore, Hobbes teorizza una forma di monismo materialistico, noto come corporeismo per il fatto che “tutto è corpo”, perfino Dio, tesi che condusse il filosofo a un duro scontro con il vescovo Bramhall. Tempo e Spazio sono definiti rispettivamente “fantasmi” di un moto o di uno spazio. “Fantasmi” in quanto né Tempo né Spazio possono essere colti in se stessi, ma solo in quanto tracce di corpi in transito per successione o che occupino una determinata posizione. Le sostanze incorporee vengono confutate da Hobbes, e quindi tutto viene ricondotto a una rigorosa unità nel corporeo di cui esse sono parti, così come la mente, o anima. Di conseguenza, la conoscenza si fonda sulla sensazione e sulla conservazione nella mente, tramite “conati” – infinitesimi di moto – di “fantasmi” dell’oggetto o dello stato interiore che ha generato la sensazione. Ne scaturiscono le idee cui per convenzione si associano nomi e da qui nozioni più ampie, ma per questo ancora più convenzionali. Dal paradigma fisicalista Hobbes deriva un criterio di verità innovativo: essa non si configura come corrispondenza tra un pensiero e un oggetto, ma un sapere è certo se è costruito da noi e, quindi, noi possiamo legittimamente dedurre a partire dagli universali convenzionali che abbiamo creato. Pertanto, la fisica – i cui oggetti sono extraconvenzionali – non è un sapere certo, mentre lo sono matematica, politica ed etica, in quanto qui siamo noi a creare i termini che utilizziamo e le regole di utilizzo. Ciò posto, la disamina delle passioni che trova spazio nel De Cive e nel Leviatano, altro non è che la fissazione del recinto delle regole di validità del razionalismo politico hobbesiano. Il dibattito seicentesco sulle passioni si diluì nelle disquisizioni più salottiere del secolo successivo, ma contribuì in maniera essenziale, assieme alla nascita del romanzo moderno tra ‘700 e ‘800 allo sviluppo dell’antropologia filosofica e della psicologia. 4