07 313-337 - Recenti Progressi in Medicina

Rassegne
Vol. 97, N. 6, Giugno 2006
Pagg. 313-337
Il nodulo tiroideo.
Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
Salvatore Sciacchitano1,2,3, Armando Bartolazzi4,5, Mario Andreoli6
Riassunto. In questa rassegna è offerto un panorama aggiornato sulle più attuali conoscenze in tema di meccanismi molecolari della carcinogenesi tiroidea. Sono altresì
illustrate le più recenti trasposizioni applicative delle metodologie biomolecolari nell’ambito dei protocolli diagnostici da attuare, per la caratterizzazione delle lesioni tumorali. Particolare enfasi è riservata al ruolo della diagnostica molecolare delle lesioni che non possono essere riconosciute con l’analisi citologica tradizionale e che sono etichettate “proliferazione follicolare”. Tra le innovative metodologie diagnostiche
incentrate sulle applicazioni delle più recenti acquisizioni biomolecolari in tema di
oncogenesi tiroidea, la metodica immunocitochimica che implica la colorazione con
galectina-3 svolge un risolutivo ruolo diagnostico di marcatore di malignità. Nella nostra esperienza questa metodologia immunoistochimica fornisce un sussidio diagnostico assai selettivo, dotato di elevata sensibilità ed è in grado di dirimere il quesito
diagnostico sollevato dalla incertezza del neutro referto diagnostico citologico di “proliferazione follicolare”. Inoltre le nuove conoscenze in tema di meccanismi molecolari offrono elementi utili per lo sviluppo e le applicazioni di ulteriori markers genetico-molecolari da impiegare routinariamente ai fini diagnostici e prognostici.
Parole chiave. Citologia agoaspirativa, carcinogenesi tiroidea, carcinoma tiroideo, diagnostica molecolare, galectina-3, marker genetico molecolari, nodulo tiroideo, proliferazione follicolare.
Summary. Thyroid nodule: morphostructural diagnosis and molecular substrate.
This survey offers an up-to-date overview of the latest findings relevant to molecular
mechanisms of thyroid carcinogenesis, also based on our considerable experience with regard to the paradigmatic and atypical cytohistogenetic alterations specific to the various
forms of thyroid proliferation, both malignant and benign. We have, moreover, illustrated
the most recent applicative interchanges of the biomolecular methodologies relating to the
diagnostic protocols to be carried out, in order to characterize the tumorous lesions. Particular emphasis has been focused on the role played by the molecular diagnosis of those
lesions which cannot be pinpointed using traditional cytologic analysis and which are
called “follicular proliferations”. Among the innovative, diagnostic methodologies centered
on the applications of the latest biomolecular findings relevant to thyroid oncogenesis, the
immunocytochemical method, involving galectina-3 staining, plays a pivotal, diagnostic
role as a marker of malignancy. In our experience this modern immunohistochemical
methodology provides an extremely selective diagnostic support, possessing considerable
sensitivity. This molecular approach is able to solve the diagnostic issue raised by the uncertainty of the neutral cytologic diagnostic report which demands a precise biomolecular
specification of the nature of the nodules, cytologically set within the framework of the lesions described as aspecific, follicular structure anomalies. Furthermore, the new findings
relating to the molecular mechanisms involved in the formation and neoplastic progression of the proliferous thyroid anomalies offer useful elements for the development and application of further genetic-molecular markers for diagnostic and prognostic purposes.
Key words. Fine needle aspiration, follicular proliferation, galectin-3, genetic-molecular
markers, molecular diagnostic, thyroid carcinogenesis, thyroid carcinoma, thyroid nodule.
1Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia, II Facoltà di Medicina, Univerisità La Sapienza, Roma; 2Ospedale S. Pietro Fatebene Fratelli, Associazione Fatebenefratelli per la Ricerca (AFaR), Roma; 3Istituto di Neurobiologia
e Medicina Sperimentale e Molecolare, CNR Roma; 4Dipartimento di Anatomia Patologica, Ospedale Universitario S.
Andrea, Roma; 5Cellular and Molecular Tumor Pathology Laboratory, Cancer Center Karolinska Hospital, Stockolm;
6Professore Emerito di Endocrinologia, II Facoltà di Medicina, Università La Sapienza, Roma.
Pervenuto il 2 febbraio 2006.
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Recenti Progressi in Medicina, 97, 6, 2006
Premesse fisiopatologiche,
istogenetiche e replicative
La tiroide è contraddistinta da un’estesa fisiologica eterogeneità, volumetrica e strutturale, dei
singoli follicoli, o unità acinari, che si riflette nella
variabilità delle formazioni “lobulari”; tali strutture anatomo-funzionali sono provviste di un asse arterovenoso e delimitate da sepimentazioni derivanti dalla capsula e sono costituite dalla aggregazione di 20-40 follicoli. L’esasperazione delle
specifiche connotazioni morfofunzionali di difformità distrettuale del tessuto tiroideo si esprime con
il costituirsi di variazioni plurifocali, ad impronta
“pseudo-nodulare”, diversificate sia sul piano dimensionale sia a livello morfostrutturale, oltre che
nelle espressioni funzionali, dovute alla presenza di
tireociti dotati di proprietà replicative e funzionali
di variabile entità1. Per tale motivo, ogni stimolo
proliferativo, sia esso rappresentato da fattori ambientali esterni, o costituito da alterazioni genetiche, ovvero per l’intervento sinergistico di entrambi i tipi di elementi, endogeni ed esogeni, induce effetti diversi, di ordine trofico e metabolico, sulle
varie componenti cellulari, acinari e vascolari, del
tessuto tiroideo. Tali variegati eventi, in ultima
analisi reciprocamente cooperanti, determinano
l’insediarsi di lesioni proliferative, tutte germinate
dagli stessi istotipi, ma che coinvolgono cellule tireocitiche dotate di differenti potenzialità accrescitive, implicate nella genesi dei vari quadri di nodularità, neoplastica e non neoplastica, della tiroide.
A motivo di tali peculiari connotazioni, istogenetiche, funzionali e replicative, la ghiandola tiroidea
rappresenta dunque un modello ideale per analizzare le varie fasi di progressione della crescita tumorale2. In accordo con l’ipotesi della carcinogenesi a tappe multiple, affinché una lesione tumorale
si manifesti è necessario il sommarsi progressivo di
molteplici danni genetici3. Si ritiene che nella fase
iniziale del processo di trasformazione maligna
debba essere operante un’alterazione genetica predisponente allo sviluppo del fenotipo mutageno;
pertanto la cellula così alterata risulta più suscettibile al realizzarsi degli ulteriori interventi di fattori mutazionali che modificano i geni regolatori
della proliferazione e dell’apoptosi, ovvero il ciclo
della “vita e della morte cellulare programmata”.
Allo stato attuale, pur non essendo ben definite le tappe iniziali del processo carcinogenetico tiroideo, sono stati identificati alcuni degli eventi
genetico-molecolari che contribuiscono alla trasformazione ed alla progressione neoplastica. Questi eventi si realizzano a livello di molteplici geni,
schematicamente suddivisibili in proto-oncogeni
ed in geni oncosoppressori. È da sottolineare che,
mentre alcune di tali alterazioni sono risultate comuni a vari stipiti cellulari in diversi organi e tessuti, altre appaiono elettivamente specifiche per
le cellule dell’epitelio follicolare tiroideo3. In questa rassegna ci proponiamo di delineare, anche alla luce della nostra esperienza in tema di paradigmatiche ed atipiche alterazioni cito-istogenetiche
proprie delle varie forme di proliferazioni tiroidee
sia benigne che maligne, un panorama aggiornato
sullo stato delle attuali conoscenze in tema di meccanismi molecolari della carcinogenesi tiroidea, sia
sperimentale che clinica.
Attuali conoscenze nella diagnostica tradizionale
e recenti progressi innovativi
nella tipizzazione molecolare del nodulo tiroideo
Ruolo e limiti della tradizionale citologia agoaspirativa (FNA) nella definizione diagnostica del
substrato lesivo del nodulo tiroideo
• L’esame citologico del tessuto tiroideo prelevato mediante aspirazione con ago sottile (FNA), eseguito
ambulatoriamente sotto monitoraggio ecografico , appare risolutivo nella più parte dei casi, anche nella evenienza di lesioni minime non rilevabili palpatoriamente ma identificabili alla scansione ultrasonografica; tale procedura, routinariamente eseguita in centri specializzati, ed affidata ad operatori
esperti, consente di caratterizzare, con assoluta accuratezza, i quadri citomorfologici paradigmatici dei
noduli sicuramente benigni, discriminandoli dagli specifici patterns citostrutturali delle rare proliferazioni tumorali.
• Il limite principale della citologia agoaspirativa è rappresentato dalla indeterminatezza del quadro
citostrutturale di un gruppo eterogeneo di formazioni nodulari, per le quali si ricorre ad una catalogazione non diagnostica, definita con la terminologia anodina di “proliferazione follicolare”.
Caratterizzazione molecolare della tettonica citostrutturale del nodulo tiroideo.
• Le più recenti conoscenze , sia sperimentali che cliniche, in tema di meccanismi molecolari della carcinogenesi tiroidea consentono, oggi, di caratterizzare le paradigmatiche, ed atipiche, alterazioni proprie delle varie forme di proliferazione tiroidea , sia benigna che maligna.
• In questa rassegna ci soffermiamo, anche sulla scorta della nostra vasta esperienza, clinica e sperimentale, sulle più innovative trasposizioni applicative delle recenti nozioni in tema di carginogenesi
tiroidea: sono illustrate le più attuali acquisizioni in tema di diagnostica molecolare delle lesioni proliferative, caratterizzabili sul piano genetico-molecolare, anche in fase pre-clinica . Particolare enfasi
è riservata alla caratterizzazione molecolare, delle lesioni citologicamente neutre, “indeterminate”, che
non sono definibili con la tradizionale citologia agoaspirativa.
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
In particolare ci soffermeremo sulle più recenti
trasposizioni applicative in tema di diagnostica
pre-clinica delle lesioni tumorali, e segnatamente
di quelle non riconoscibili all’analisi citologica tradizionale del substrato lesivo che sottende alla formazione nodulare, di frequente rilevabile nella popolazione generale1-3.
315
ria del substrato lesivo dei noduli tiroidei 1-5. A scopo riepigolativo, di seguito sono illustrati in dettaglio gli specifici pattern, citologici ed istologici, delle varie tipologie di lesioni che sottendono alle nodularità tiroidee (figura 1).
NODULO COLLOIDO-CISTICO ED IPERPLASTICO
Aspetti citologici ed istomorfologici
delle lesioni nodulari tiroidee
Il quadro morfostrutturale ad impronta prevalentemente colloide rappresenta la lesione benigna di più frequente riscontro, quale substrato alPer quanto riguarda la tradizionale diagnostica
terativo proprio delle formazioni nodulari tiroipre-operatoria, la citologia ago-aspirativa, o FNA
dee; il più spesso riflette lo stadio iniziale
(Fine Needle Aspiration) è, nella più parte dei cadell’iperplasia gozzigena, contraddistinta da vasi, risolutiva. Essa consente un adeguato campioriabile dilatazione dei follicoli, ricolmi di colloide.
namento tessutale rappresentativo delle lesioni
Tale variazione anatomofunzionale è sostenuta
che sottendono le diverse
dalla intensa e protratta
nodularità tiroidee, sia di
stimolazione, trofica e
quelle clinicamente rilemetabolica, svolta dalla
L’approccio diagnostico al paziente portavabili, che di quelle
molecola tireotropinica
tore di noduli tiroidei deve essere polarizzaprofonde, spesso sub-censull’epitelio follicolare e
to su una duplice finalità:
timetriche, palpatoriasulle sue funzioni iodio• valutare, in sede pre-operatoria, la tettonimente non apprezzabili,
concentranti, ormonogeca citostrutturale ed i meccanismi fisiopama rilevabili con le attuanetiche ed ormonosecretitologici del tessuto nodulare, al fine di opli metodologie ultrasonotare per il trattamento conservativo o per
ve. Questa patologia si
grafiche, fornite di elevato
proporre procedimenti demolitivi;
esprime con quadri di
• caratterizzare la lesione rimossa chirurgipotere risolutivo. La citoiperplasia ad impronta
camente, per classificarla secondo i paralogia ago-aspirativa delle
nodulare, con il formarsi
metri istologici standardizzati e, in presenza
lesioni nodulari tiroidee,
di noduli singoli o, più
di una neoplasia maligna, definirne lo stadio
inizialmente sviluppata
spesso, plurifocali. Sul
evolutivo, il grado di differenziazione, e preal Karolinska Hospital di
piano istologico i diversi
vederne la prognosi.
Stoccolma4, oggi è consitipi di noduli iperplastici
derata una metodica irripossono essere distinti in
nunciabile per la carattenoduli adenomatosici, od
rizzazione pre-operatoria del nodulo tiroideo, soipercellulari (generalmente microfollicolari), noprattutto se eseguita da operatori esperti ed in
duli colloidi od ipocellulari (con architettura norCentri specializzati. Infatti la citologia ago-aspiramo-macrofollicolare) ed in iperplasie papillari,
tiva offre quadri citomorfologici paradigmatici dei
quasi sempre associate ai quadri adenomatosi e
noduli tiroidei sicuramente benigni, discriminancolloidei (tabella 1). I diversi assetti morfostrutdoli da quelli maligni1,5. La routinaria utilizzazioturali dell’iperplasia tiroidea, non configurandosi
ne di questa metodica ha certo contribuito a ridurpatologie distinte, riflettono il diversificato stadio
re drasticamente il numero di interventi chirurgievolutivo della lesione proliferativa e del consenci eseguiti in passato a scopo esplorativo,
suale atteggiamento funzionale delle cellule follicontraendo significativamente la spesa sanitaria.
colari normali. Nell’iperplasia multinodulare – a
Con l’avvento della citologia tiroidea ago-aspirativolte clinicamente definita gozzo multinodulare
va, infatti, si è registrata una riduzione del 50%
od adenomatoso – i tireociti si dispongono a fordelle tiroidectomie, mentre la frequenza chirurgimare follicoli di piccole-medie dimensioni, conteca dei carcinomi tiroidei si è raddoppiata. Oltre alnenti scarsa colloide. Quando tali cellule cessano
la sua validità diagnostica, questa tecnica offre il
di proliferare, aumenta il contenuto di colloide alvantaggio di essere espletata ambulatoriamente,
l’interno delle strutture follicolari, i follicoli si diessendo pressoché incruenta, e del tutto priva di
latano fino ad assumere un assetto di cisti ripiene
qualsiasi rischio. Il limite principale della metodidi colloide (condizione clinicamente designata coca è costituito dalla indeterminatezza dei quadri
me gozzo colloido-cistico) (figura 2). Mentre nell’i“neutri”, non diagnostici, catalogati nella forma ciperplasia adenomatosa, ed ancor più nei noduli
tostrutturale anodina definita “proliferazione folliiperplastici isolati a prevalente struttura micolare”; ma la vasta esperienza ormai maturata in
crofollicolare, il quadro citologico pone problemi
tema di valutazione citologica delle formazioni nodi diagnostica differenziale con gli adenomi ed i
dulari tiroidee e la istituzione di centri polispeciacarcinomi follicolari; i preparati citologici dell’ilistici per la patologia tiroidea, consentono oggi di
perplasia nodulare colloido-cistica mostrano invadefinire il substrato molecolare di queste lesioni
riabilmente cellule follicolari tipiche, sparse o dicitologicamente indeterminate1. Pertanto, allo stasposte in monostrato, un discreto numero di linfoto attuale, la citologia ago-aspirativa costituisce il
citi e cellule ematiche, istiociti schiumosi, ed
cardine diagnostico nella definizione pre-operatoabbondante colloide.
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Citologia tiroidea ago-aspirativa (FNA)
Referto diagnostico
definitivo
Benigno
Referto non diagnostico
(Proliferazione Follicolare)
Benigno
– Tiroidite Cronica
– Iperplasia
Colloido-cistica
– Adenoma
Follicolare
– Iperplasia
Nodulare
Maligno
Maligno
– Carcinoma
Follicolare
– variante
Follicolare di
Carcinoma
Papillare
– Carcinoma
Papillare
– Carcinoma
Anaplastico
Figura 1. Ruolo della citologia aspirativa nell’algoritmo diagnostico del nodulo tiroideo: attendibilità del referto citologico nel definire il substrato morfostrutturale della neoformazione, benigna o maligna.
Nei preparati citologici
convenzionali, quando la colloide è densa, si osserva il fenomeno del “crack colloideo”,
una sorta di frantumazione,
simile alle crepe di una superficie vetrosa (figura 2
A,B,D). Il quadro istologico
che si osserva in questi casi,
mostra una strutturazione
ipocellulare, composta da
follicoli larghi, rivestiti da tireociti, cubici o piatti, ricolmi
di colloide densa (figura 2 F).
I tireociti che compongono i
noduli iperplastici sono contraddistinti da citoplasma
chiaro, nucleo omogeneo,
cromatina fine ed uniformemente distribuita; i nucleoli
sono appena visibili. A motivo della fragilità del citoplasma, alcuni tireociti isolati
possono assumere un aspetto linfocito-simile.
Il quadro istomorfologico dei noduli adenomatosi,
a struttura microfollicolare, è costituito, invece, da
un gran numero di piccoli
follicoli con scarsissima
colloide, rivestiti da tireociti cilindrici.
Tabella 1. - Pattern morfostrutturale e molecolare del nodulo tiroideo.
NODULO IPERPLASTICO
Aspetti cito-istologici
Substrato genetico-molecolare
Citologia
Suscettibilità genetica
Aspirazione di liquido brunastro, a volte similcioccolato, Occasionali osservazioni di loci genici di maggiore suscettibilità
emorragico o giallo-brunastro
Lesioni colloidee: popolazione prevalente di istiociti – 14q (MNG1); X22p; 2q, 3p, 7q, 8p
schiumosi, frammisti a tireociti tipici
Citogenetica
Noduli iperplastici/adenomatosi, abbondante numero di
Sporadiche osservazioni di alterazioni cromosomiche
tireociti tipici
– polisomie dei cromosomi 7 e 12
Quadro indeterminato di lesione follicolare non attendi- – alterazioni strutturali a 19q13
bile sul piano diagnostico
LOH a 7q21
LOH a 2p24-25 (in prossimità del locus della TPO)
Istologia
Vari quadri di iperplasia delle cellule follicolari.
Mutazioni geniche
Sporadiche e non frequenti mutazioni di geni implicati
Ipercellulare: cellule follicolari tipiche, sparse a struttu- nelle varie tappe dell’ormonogenesi tiroidea
ra microfollicolare o arrangiate in monostrato,
– TPO; Nis; TSH-R ; RAS
Ipocellulare: con variabile dilatazione dei follicoli ricolmi
di colloide,
Clonalità
Papillare: paradigmatica struttura a papille con arboriz- Variabile associazione di noduli monoclonali e di lesioni
zazioni
policlonali
Adenomatosa
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
In questo caso nei preparati citoaspirativi si osserva scarsa colloide ed elevato numero di cellule
follicolari, spesso disposte in monostrato, od aggregate in follicoli di esigue dimensioni. Le cellule
tiroidee mostrano abbondante citoplasma e mini-
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me variazioni dimensionali del nucleo (figura 2 C,
E). Un discreto pleomorfismo nucleare, con nucleoli evidenti, è a volte osservabile nei pazienti
più anziani, od in quelli in trattamento con tiroxina, o con farmaci tireostatici.
A
D
B
E
C
F
Figura 2. Aspetti cito-istostrutturali della iperplasia tiroidea: A) Materiale agoaspirato da un nodulo cistico, innestato in gozzo multinodulare: istiociti schiumosi, cellule ematiche ed isolati tireociti tipici. B) Tireociti iperplastici tipici, raggruppati in
“clusters”. C) Tireociti tipici a strutturazione microfollicolare. Tale quadro può riflettere lesioni variegate: area microfollicolare iperplastica; adenoma follicolare nel contesto di una iperplasia; carcinoma follicolare ben differenziato. D) Cluster di
cellule tiroidee tipiche, con abbondante colloide con gli aspetti del “crack colloideo”. E) Quadro istologico di iperplasia, contrassegnato da area a prevalente struttura microfollicolare. F) Quadro istologico di iperplasia normo-macrofollicolare.
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Nei noduli iperplastici, innestati in parenchima
iperfunzionante che causa tireotossicosi è, inoltre,
riscontrabile la presenza di vacuoli citoplasmatici,
quale indice di attività di riassorbimento della colloide, in genere ben visibile nei preparati istologici.
In alcuni noduli iperplastici, in particolar modo in
quelli normo-macrofollicolari, è a volte evidente la
presenza di strutture papillari iperplastiche. Il rilievo di tali papille, impone la diagnosi differenziale con il carcinoma papillare della tiroide, i cui caratteri citologici ed architetturali (strutture papillari rivestite da epitelio neoplastico e tipiche
alterazioni nucleari) sono ben delineati, e nettamente diversificabili da quelle della iperplasia (papillare), rivestite da tireociti tipici, generalmente
senza alterazioni nucleari rilevanti. In generale,
tutte le condizioni iperplastiche possono essere associate con fenomeni regressivi, necrosi ischemica,
cellule giganti multinucleate e cellule infiammatorie, fibrosi, calcificazioni ed ossificazione. Sono anche di comune riscontro noduli iperplastici associati a cisti colloidi, isolate o multiple. Il materiale agoaspirato da queste strutture cistiche è costituito da
un liquido brunastro, a volte simil-cioccolato (cisti
cioccolato), francamente emorragico o giallo-brunastro. All’esame citologico si osserva una popolazione
prevalente di istiociti schiumosi frammisti a tireociti tipici (figura 2A). Mentre la tipizzazione istologica (post-operatoria) di queste lesioni non presenta alcuna difficoltà, la caratterizzazione preopera-
toria dei noduli iperplastici, a struttura microfollicolare, è assai ardua, sulla base esclusiva delle connotazioni citomorfologiche. Infatti, la distinzione citologica tra noduli iperplastici/adenomatosi, adenomi follicolari, carcinomi follicolari ben differenziati,
e varianti follicolari di carcinomi papillari, è improba, se non velleitaria. Per questo tipo di lesioni, la
strategia diagnostica immuno-citochimica, basata
sull’utilizzazione di anticorpi monoclonali diretti
verso la galectina-3, ha contribuito a migliorare sensibilmente in fase preoperatoria, l’accuratezza diagnostica della citologia convenzionale6-8.
ADENOMA E CARCINOMA FOLLICOLARE
La classificazione nosografica degli adenomi follicolari è basata su criteri strutturali ben definiti:
adenomi normofollicolari; macrofollicolari (o colloidi); microfollicolari (denominati anche adenomi fetali); adenomi solidi-trabecolari (cosidetti embrionali);
adenomi trabecolari ialinizzanti (caratterizzati da
stroma ialino, collagenizzato); adenomi atipici (che
presentano atipie citologiche, od aspetti dubbi di infiltrazione capsulare); adenomi oncocitari (costituiti
da cellule ossifile, tradizionalmente dette anche cellule di Hürthle); ed altre varianti rare (tabella 2).
Dal punto di vista istomorfologico, queste lesioni sono nettamente delimitate da una capsula, ed il parenchima tiroideo circostante appare compresso.
Tabella 2. - Pattern morfostrutturale e molecolare del nodulo tiroideo.
ADENOMA FOLLICOLARE IPEFUNZIONANTE/NON FUNZIONANTE
Aspetti cito-istologici
Citologia
Abbondante numero di cellule tireocitiche senza atipie.
Quadro indeterminato non diagnostico di lesioni follicolari non attendibile sul piano diagnostico denominato
“‘proliferazione follicolare”
Substrato genetico-molecolare
Iperfunzionante
Clonalità
La quasi totalità delle lesioni è di natura monoclonale
Mutazioni geniche
– mutazione a carico degli esoni 9 e 10 del TSH-R
Istologia
nell’80% dei casi
Lesioni circondate da capsula con parenchima tiroideo – mutazione degli esoni 7-10 della proteina Gsα
circostante compresso
Non funzionante
– normofollicolari
– macrofollicolari (o colloidi)
Citogenetica
– microfollicolari (fetali)
Si osservano anomalie cromosomiche clonali nel 30-45%
– solidi-trabecolari (embrionali)
– trabecolari ialinizzanti (caratterizzati da stroma iali- dei casi.
– Trisomie a carico dei cromosomi 4,5,7,9,12,16,17,18,20
no, collagenizzato)
e 22;
– atipici (con atipie citologiche od aspetti dubbi di pene– Delezioni totali o parziali del cromosoma 2
trazione capsulare)
– Traslocazioni t(2;3) (q12-q13. p24-p25)
– oncocitari (con cellule ossifile di Hürthle)
– Traslocazioni t(5;19) (q13;q13),
– Delezioni del braccio lungo del cromosoma 10
– Delezioni del braccio lungo del cromosoma 13,
– Alterazioni della regione 19q13,
– Microsomia 21 e 22
– LOH 7q21
Mutazioni geniche
– Mutazione dei geni della famiglia RAS
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
Il carcinoma follicolare rappresenta il 10-15%
dei tumori maligni tiroidei; l’incidenza di questa
neoplasia è maggiore nelle aree di gozzismo endemico, e di carenza di iodio. Si distinguono due tipi
istologici di carcinoma follicolare: forma microinvasiva, caratterizzata dalla presenza di minimi
aspetti di invasione capsulare; forma estesamente
invasiva, nella quale gli aspetti di invasione capsulare e/o vascolare sono molto pronunciati (figura 3
a pagina seguente). Dal punto di vista strutturale
queste neoplasie possono avere una morfologia normofollicolare, microfollicolare, macrofollicolare, o
trabecolare (tabella 3). Si ribadisce che non esistono caratteri citologici distintivi per poter discriminare, in maniera attendibile, la lesione follicolare
sostenuta da proliferazione benigna, da quella che
riflette una lesione maligna. La citologia tiroidea
agoaspirativa appare inadeguata anche per poter
distinguere le neoplasie follicolari dai noduli iperplastici, così come sopra descritto. In linea generale, la presenza di colloide, nel contesto di un preparato citologico privo di atipie, orienta per una lesione follicolare benigna; ma tale riscontro non è
indice assoluto di benignità (figura 3A a pagina seguente). I carcinomi follicolari sono, generalmente,
associati alla presenza di scarsa colloide; pur tuttavia sono stati descritti anche carcinomi follicolari normo-macrofollicolari e, pertanto, con presenza
di colloide. Non ci sembra ridondante reiterare il
concetto che, per quanto concerne la diagnosi citologica di queste lesioni a struttura follicolare, le peculiari caratteristiche morfostrutturali (citologiche,
nucleari e cellulari), non consentono di formulare
un giudizio diagnostico biologicamente dirimente.
Effettivamente, nel caso dei cosiddetti “adenomi
atipici”, si possono riscontrare atipie cellulari, associate a modesto grado di pleomorfismo nucleare,
che, sulla base di specificazioni citologiche, indurrebbero a considerare maligne alcune lesioni per le
quali l’esame istologico definitivo dimostra, nella
maggioranza dei casi, integrità della struttura capsulare perilesionale e dei vasi che in essa decorrono. Sebbene la presenza di sovrapposizione dei nuclei, con nucleoli prominenti, sia fondatamente sospetta per neoplasia follicolare maligna, la loro
assenza non esclude, a priori, la presenza di un carcinoma. Pertanto la distinzione tra neoplasie follicolari benigne, e carcinomi follicolari ben differenziati non può essere fondata su criteri citomorfologici specifici e selettivi, che, invece, sono assai
discriminanti nelle forme di carcinoma papillare9.
Per queste ragioni il giudizio diagnostico differenziativo, espresso sulla base del quadro citologico
agoaspirativo, anche se formulato in Centri specializzati, non è attendibile per discriminare, nell’ambito dei molteplici quadri di lesioni tiroidee a struttura “follicolare”, quelle sicuramente benigne.
Una particolare tipologia di lesioni nodulari tiroidee è rappresentata dai noduli a cellule oncocitarie. Le cellule di Hürthle, (impropriamente denominate oncocitarie, cellule ossifile, o cellule di Askanazy), non sono altro che il risultato di cambiamenti
metaplastici delle cellule follicolari, peraltro reperibili sia nella tiroidite di Hashimoto che nel gozzo ba-
319
A
B
C
Figura 3. A) Quadro citologico indeterminato, anodino, da
considerare non diagnostico, di “proliferazione follicolare”;
B) Aspetto macroscopico di una neoplasia follicolare con
capsula sospetta. C) Carcinoma follicolare minimamente
invasivo; si osservi la minima infiltrazione della capsula
perilesionale da parte di microfollicoli.
sedowiano, così come nelle iperplasie nodulari, negli
adenomi e nei carcinomi, rappresentando un aspetto della ipertrofia tiroidea TSH-indotta10.
Le neoplasie (adenomi e carcinomi), sia di tipo
follicolare che papillare, originatesi da queste cellule ossifile, sono anche denominate oncocitarie
(figure 4 e 5C alle pagine seguenti).
320
Recenti Progressi in Medicina, 97, 6, 2006
Tabella 3. - Pattern morfostrutturale e molecolare del nodulo tiroideo.
CARCINOMA FOLLICOLARE
Aspetti cito-istologici
Substrato genetico-molecolare
Citologia
In genere scarsa colloide, ma a volte aspetto normo- macrofollicolare con presenza di colloide. Sovrapposizione
dei nuclei con nucleoli prominenti fortemente sospetta
per neoplasia follicolare maligna, ma l’assenza non esclude la malignità
Quadro indeterminato di lesioni follicolari non attendibile sul piano diagnostico
Citogenetica
Delezione del braccio corto del cromosoma 3 (regione
3p25-pter) osservabile nel 30% dei casi e rappresenta un
evento precoce
Delezione del braccio lungo del cromosoma 10 che rappresenta un evento tardivo
Delezione delle regioni 2p, 2q, 11p, 11q, 17p, e 22q
Traslocazione t(7;8)(p15;q24) ; appare associata ad una
forma più aggressiva di carcinoma
Istologia
Aspetto macroscopico indistinguibile da quello dell’ade- LOH a carico della regione cromosomica 7q (regione
noma. A livello microscopico evidenza di invasione della 7q21) specifica per il carcinoma follicolare ed anaplastico
capsula e dei vasi.
LOH a carico della regione 22q osservabile anche nei car– normofollicolare;
cinomi papillare ed anaplastico
– microfollicolare;
LOH a carico della regione 3p21-25, in corrispondenza
– macrofollicolare;
del gene oncosoppressore VHL
– trabecolare;
LOH a carico della regione 17p13.1, in corrispondenza
– oncocitari
del gene oncosoppressore p53
LOH a carico della regione 10q22-24, in corrispondenza
del gene oncosoppressore pTEN
Mutazioni geniche
– Mutazioni dei geni della famiglia RAS
Riarrangiamenti del gene PPARγγ
PPARγ/PAX-8 con traslocazione t(2;3)(q13;p25) e conseguente fusione del gene PPARγ e PAX-8, osservabile nel
29% dei casi
Per quanto concerne la diagnosi citologica preoperatoria, ed istologica, delle lesioni oncocitarie inquadrabili nelle forme indeterminate di “proliferazione follicolare”, devono essere adottati gli stessi
criteri previsti per le analoghe lesioni registrate a
carico delle cellule tireocitarie. Il quadro citologico
del prelievo agoaspirativo di queste lesioni mostra
abbondanza di cellule ossifile, in assenza, o con
scarsa quantità di colloide. Le cellule oncocitarie
mostrano scarsa coesività, hanno un citoplasma
eosinofilo a contorni ben definiti, finemente granulare, con presenza di un nucleo eccentrico, pleomorfo (figura 4).
L’aspetto del citoplasma è caratterizzato dalla
presenza di numerosi mitocontri (ben identificabili alla microscopia elettronica).
La presenza di un’alta percentuale di cellule
oncocitarie, l’aspetto monomorfo del preparato citologico, con lieve pleomorfismo nucleare, e l’assenza di un significativo infiltrato di tipo infiammatorio o linfocitario, consentono di disporre di
elementi idonei a distinguere, in termini citologici, la neoplasia oncocitaria dalla tiroidite di Hashimoto. La caratterizzazione definitiva di queste
lesioni neoformative richiede, comunque, l’esame
istologico post-operatorio.
Degna di menzione è la necrosi ischemica, che
può verificarsi a seguito delle procedure ago-aspirative in un nodulo di tipo “oncocitario”.
Figura 4. Agoaspirato di nodulo tiroideo a cellule ossifile. Si
osservi il citoplasma eosinofilo granulare, dovuto alla presenza di numerosi mitocondri, ed i nuclei eccentrici, polimetrici.
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
321
CARCINOMA PAPILLARE TIROIDEO
Il carcinoma papillare rappresenta il tumore
maligno più frequente della ghiandola tiroide, essendo riscontrabile nel 60-80% di tutti i tumori tiroidei. Istologicamente le caratteristiche morfologiche, necessarie e sufficienti per classificare come
tale una lesione tiroidea, sono rappresentate dalla paradigmatica presenza di papille e di tipiche
alterazioni nucleari; queste ultime costituiscono
elementi essenziali anche per la caratterizzazione
citomorfologica preoperatoria di lesioni carcinomatose.
Le strutture papillari sono composte da un asse centrale vascolo-connettivale rivestito da un
epitelio neoplastico, costituito da tireociti, cubici o
colonnari, con nuclei chiari. Istologicamente le papille possono mostrare ramificazioni complesse;
queste lesioni spesso sono associate ai cosiddetti
“corpi psammomatosi”. Trattasi di concrezioni calcifiche rotondeggianti, strutturate in una configurazione lamellare concentrica, probabilmente derivanti da cellule neoplastiche necrotiche, con calcificazioni distrofiche. Inoltre, nella lesione
carcinomatosa di tipo papillare, spesso si rinviene
abbondante stroma fibroso, associato a cellule infiammatorie linfocitarie, a testimoniare una risposta immune specifica. Le cellule neoplastiche
del carcinoma tiroideo di tipo papillare esibiscono
nella maggior parte dei casi, un quadro di caratteri morfologici che consente di formulare un giudizio diagnostico anche in fase preoperatoria. Le
specifiche connotazioni morfologiche nucleari sono rappresentate dall’aspetto chiaro, vetroso, del
nucleoplasma, dalla presenza di inclusi nucleari
eosinofili, e dalle incisure nucleari, definite “grooves” dagli anglosassoni (figura 5 A,B). L’esame citologico su campione tiroideo agoaspirativo mostra, nei casi paradigmatici, queste caratteristiche nucleari, ove si eccettui la presenza dei nuclei
chiari; questi sono visibili esclusivamente nei preparati istologici allestiti con la fissazione in formalina e l’inclusione in paraffina (figura 5 A, B).
Altre caratteristiche citologiche dei carcinomi papillari sono l’elevata cellularità e la presenza di
cellule neoplastiche disposte in strutture micropapillari; la colloide è generalmente scarsa o assente; quando presente, risulta densa, gommosa;
completano il quadro un discreto numero di cellule infiammatorie ed ematiche, sparse. Possono anche essere presenti cellule neoplastiche organizzate in strutture follicolari, frequentemente osservate nelle varianti follicolari del carcinoma
papillare. I tireociti neoplastici possono essere cubici, colonnari o pleomorfi, hanno abbondante citoplasma ed occasionalmente possono mostrare
metaplasia ossifila. Gli specifici caratteri nucleari non sono sempre ben delineati, ma prevale la
presenza di nuclei rotondeggianti, polimorfi, contenenti cromatina finemente granulare e nucleoli
incospicui. Si deve, comunque, sottolineare che i
caratteri nucleari del carcinoma papillare possono
essere considerati sicuramente diagnostici solo se
associati all’evidenza di una architettura papilla-
A
B
C
Figura 5. Aspetti citologici ed istologici del carcinoma papillare. A) Preparato citologico da FNA-tiroideo, che mette in
evidenza la presenza di inclusioni nucleari. B) All’istologia
convenzionale sono ben evidenti le strutture papillari e nuclei chiari. C) Carcinoma papillare, variante oncocitaria.
re, della lesione, anche se citologicamente appena
sfumata (vedi: micropapille). Infatti, le descritte
alterazioni nucleari, proprie del carcinoma papillare possono essere osservate anche in altre patologie tiroidee di tipo proliferativo e non neoplastiche: nei tumori metastatici in alcuni casi di tiroidite di Hashimoto.
322
Recenti Progressi in Medicina, 97, 6, 2006
Dal punto di vista istologico sono state descritte diverse varianti di carcinoma papillare9 (tabella 4). Il microcarcinoma papillare, indovato nel
contesto di un focolaio sclerotico, è rappresentato
da una lesione millimetrica di “accidentale” riscontro all’esame microscopico, nel contesto di una
tiroide chirurgicamente asportata per iperplasia
gozzigena, o per una valutazione post-mortem. La
catalogazione citologica preoperatoria di queste
lesioni minime è, in genere, non agevole, soprattutto a motivo delle variabili metodologie inerenti le varie procedure e la qualità del prelievo agoaspirativo.
La variante follicolare del carcinoma è contrassegnata, invece, da una struttura prettamente follicolare; la esatta catalogazione diagnostica
di tale istotipo tumorale è gravata da tutte le limitazioni correlate con le metodologie diagnostiche di ordine citologico, descritte nel paragrafo
delle lesioni follicolari. Infatti questo tipo di lesio-
ne può dissimulare aspetti analoghi, reperibili in
condizioni diverse, quali iperplasie nodulari, adenomi follicolari e carcinomi follicolari ben differenziati. Il carcinoma papillare cistico è una
neoformazione cistica la cui natura neoplastica
dovrebbe essere sempre sospettata quando l’agoaspirato tiroideo fornisca quadri citologici insolitamente ricchi in cellule follicolari, così come nell’evenienza che la lesione nodulare cistica evacuata
sia ancora palpabile dopo svuotamento della componente liquida.
Il carcinoma papillare diffuso sclerosante è caratterizzato da una rilevante componente stromale desmoplastica. In questo istotipo sono di riscontro frequente sia l’infiltrato infiammatorio che la
metaplasia squamosa.
Il carcinoma papillare “tall-cell variant” (a cellule alte), è caratterizzato da cellule cilindriche
con citoplasma cianofilo ed eosinofilo e con un elevato rapporto nucleo/citoplasma.
Tabella 4. - Pattern morfostrutturale e molecolare del nodulo tiroideo.
CARCINOMA PAPILLARE
Aspetti cito-istologici
Substrato genetico-molecolare
Citologia
Quadri tipici: elevata cellularità con presenza di cellule
neoplastiche arrangiate in strutture micropapillari. Sono
visibili le tipiche alterazioni nucleari, tranne i nuclei
chiari.
Citogenetica
Alterazioni numeriche e strutturali dei cromosmi 1, 3, 5, 7, 10,
17 e 20 LOH 4q, 5p, 7p e 11p LOH a 1q, 4p, 7q, 9p, 9q e 16q
Riarrangiamento strutturale, all’interno del cromosoma
10, banda 10q11.2, in corrispondenza del gene RET, osservabile nel 30% dei casi (RET/PTC1)
Istologia
Strutture papillari e corpi psammomatosi
Alterazioni nucleari tipiche, nuclei dall’aspetto chiaro,
vetroso; inclusi nucleari eosinofili; incisioni o solcature
nucleari definite “grooves” dagli anglosassoni
– carcinoma papillare tipico
– microcarcinoma papillare su sclerosi
– variante follicolare del carcinoma papillare con struttura follicolare (limitazioni diagnostiche citologiche
delle lesioni follicolari)
– carcinoma papillare cistico
– carcinoma papillare diffuso sclerosante con rilevante
componente stromale desmoplastica ed infiltrato infiammatorio con metaplasia squamosa
– carcinoma papillare tall-cell variant (a cellule alte) con
cellule cilindriche, citoplasma cianofilo ed eosinofilo e
con alto rapporto nucleo/citoplasma, rare incisioni nucleari e pseudoinclusi assenti.
– carcinoma papillare oncocitario, abbondanza di cellule oncocitarie
Riarrangiamenti del gene RET
Si riscontrano esclusivamente nel carcinoma papillare e la
loro frequenza massima è pari al 60% dei casi: RET/PTC1
con un’inversione paracentrica e conseguente fusione del
gene RET con il gene H4; RET/PTC2 con traslocazione bilanciata p(10;17)(q11.2;q23) e conseguente fusione del gene RET con la subunità regolatoria I del gene PKA;
RET/PTC3 con riarrangiamento intracromosomico tra il
geni RET ed ELE1 (è la forma più frequentemente associata all’esposizione alle radiazioni); RET/PTC4 con riarrangiamento intracromosomico tra il geni RET ed
ELE1;RET/PTC5 con fusione del gene RET con il gene “retfused gene” 5; RET/PTC6 con traslocazione bilanciata, inter-cromosomica: t(7;10)(q32;q11.2) e conseguente fusione
del gene RET con gene, “transcription intermediary factor”
1 (HTIF1), codificante per un fattore di trascrizione;
RET/PTC7 con traslocazione bilanciata, inter-cromosomica: (1;10)(p13;q11.2) e conseguente fusione del gene RET
con gene, correlato con il “transcription intermediary factor”1 (HTIF1); RET/PTC8 con traslocazione inter-cromosomica t(10;14)(q11.2;q22.1)e conseguente fusione del gene
RET con il gene “kinetin”.
Riarrangiamenti del gene NTRK
Al pari dei riarrangiamenti di RET sono esclusivi delle
forme di carcinoma papillifero. Si osservano con frequenza variabile dallo 0% al 10%.
Mutazioni geniche
Mutazioni del gene BRAF osservabili nel 40% dei casi
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
Le strutture papillari sono ben rappresentate e
appaiono rivestite da epitelio alto pseudostratificato. Le inclusioni nucleari sono rare e gli pseudoinclusi sono del tutto assenti. Anche in questa
variante possono rilevarsi aspetti di metaplasia
oncocitaria: allorché questa componente risulti
prevalente, dovrebbe essere considerata la formulazione del giudizio diagnostico di carcinoma papillare oncocitario (figura 5 C).
CARCINOMA SCARSAMENTE DIFFERENZIATO
ED ANAPLASTICO
Il carcinoma tiroideo scarsamente differenziato,
denominato anche carcinoma insulare, origina dalle cellule follicolari. Alcuni autori considerano questa neoplasia quale variante solida, scarsamente
differenziata, di carcinoma follicolare e papillare.
Tale impostazione nosografica è incentrata sul rilievo epidemiologico e morfostrutturale dimostrante che il carcinoma insulare è spesso associato ad un carcinoma papillare o, meno frequentemente, a carcinoma di tipo follicolare, essendo
caratterizzato da chiari aspetti di transizione tra
aree solide indifferenziate e distretti di carcinoma
tiroideo ben differenziato. Questi peculiari variegati aspetti morfostrutturali inducono a ritenere
che la stessa patologia neoformativa possa esprimersi in uno spettro morfologico continuo. A livello epidemiologico è oltremodo interessante segnalare che questa tipologia di tumore tiroideo è piuttosto frequente nell’Europa Centrale, ma la sua
prevalenza è rara negli USA.
323
Dal punto di vista istologico è dato osservare la
presenza di nidi solidi di cellule neoplastiche circondati da sottili setti fibrosi. La citologia agoaspirativa mostra in queste lesioni un elevato numero di cellule maligne, organizzate in trabecole di
varie dimensioni, ed in piccoli gruppi; sono anche
visibili elementi dispersi e la perdita di coesione
cellulare è piuttosto evidente. Le cellule neoplastiche contengono nuclei ampi, rotondeggianti, con
cromatina granulare e nucleoli prominenti. Talvolta possono essere rilevate strutture microfollicolari. Lo sfondo citologico mostra detriti, materiale
necrotico ed assenza di colloide; occasionalmente
sono evidenti i caratteri nucleari peculiari del carcinoma papillare tiroideo.
Il carcinoma anaplastico (figura 6A) rappresenta meno del 10% delle neoplasie maligne primitive
della tiroidee ed è caratterizzato da un comportamento biologico molto aggressivo; si assiste a rapida infiltrazione con fenomeni compressivi delle
strutture anatomiche limitrofe. Istologicamente
può essere composto da diverse tipologie cellulari,
quali ad esempio cellule squamose, epitelioidi, cellule fusate, cellule giganti, variamente assortite
(tabella 5). Spesso sono presenti aree necrotiche.
Dal punto di vista citologico risaltano l’estremo
pleomorfismo e il polimetrismo nucleare e cellulare, i nucleoli prominenti e le mitosi atipiche, in uno
sfondo di detriti, emazie e materiale necrotico. Tali aspetti peculiari consentono, in genere, l’agevole
caratterizzazione preoperatoria di queste lesioni,
ove si eccettui la rara evenienza di doverle differenziare da un processo sarcomatoso primitivo dell’organo.
Tabella 5. - Pattern morfostrutturale e molecolare del nodulo tiroideo.
CARCINOMI SCARSAMENTE DIFFERENZIATI ED ANAPLASTICI
Aspetti cito-istologici
Substrato genetico-molecolare
Citologia
Elevato numero di cellule maligne strutturate in trabecole di varie dimensioni, ed in piccoli gruppi; elementi dispersi con perdita di coesione cellulare
Nuclei larghi, rotondeggianti, con cromatina granulare e
nucleoli prominenti
Strutture microfollicolari. Nello sfondo citologico: detriti,
materiale necrotico ed assenza di colloide. Occasionalmente caratteri nucleari peculiari dei carcinomi papillari tiroidei
Citogenetica
È presente un cariotipo complesso, con segni d’amplificazione genica, ma in assenza di un pattern citogenetico
specifico:
– Delezioni del cromosoma 22q, riscontrabile nel 38%
dei casi
– LOH a livello della regione 7q osservabile nella quasi
totalità dei casi
Mutazioni geniche
– Mutazioni di p53, riscontrabili fino all’85% dei casi
– Polimorfismo di p53 (omozigosi Pro/Pro a livello del
Istologia
codone 72, dell’esone 4) correlato con la maggiore agNidi solidi di cellule neoplastiche circondati da sottili setgressività del tumore
ti fibrosi. Estremo pleomorfismo e polimetrismo nucleare e cellulare, nucleoli prominenti e mitosi atipiche, in
uno sfondo di detriti, emazie e materiale necrotico
– Carcinoma anaplastico a cellule squamose
– a cellule epitelioidi
– a cellule fusate
– a cellule giganti.
324
Recenti Progressi in Medicina, 97, 6, 2006
CARCINOMA MIDOLLARE
Tabella 6. - Pattern morfostrutturale e molecolare del nodulo tiroideo.
Le cellule che danno
origine al carcinoma midollare (figura 6 B) sono le
cellule parafollicolari C,
deputate alla sintesi e secrezione dell’ormone calcitonina. Questa neoplasia
ha quindi un origine embriologica ben distinta
(neuro-ectodermica), da
quella delle neoplasie tiroidee, derivanti dalle cellule
epiteliali follicolari. Istologicamente le cellule del
carcinoma midollare mostrano elementi polimorfici
e polimetrici, con nucleo
rotondeggiante uniforme e
citoplasma granulare, disposti in nidi e cordoni solidi (tabella 6). Generalmente è visibile l’accumulo
di sostanza amiloide nel
tessuto connettivale. Nei
CARCINOMA MIDOLLARE
Aspetti cito-istologici
Substrato genetico-molecolare
Istologia
Accumulo di sostanza amiloide nel tessuto connettivale. Elementi polimorfici
e polimetrici con nucleo rotondeggiante,
uniforme, e citoplasma granulare, disposti in nidi e cordoni solidi
Mutazioni somatiche del gene RET
nelle forme sporadiche, riscontrabili solo nel tumore mutazioni a carico del codone 918 del gene RET presente nel 2533% dei casimutazioni a carico dei codoni 618, 634, 768, 804, 833 del gene RET,
perdite alleliche, duplicazioni ed amplificazioni dell’allele mutato polimorfismi
in corrispondenza dei codoni 691 e 836
del gene RET
Citologia
Cellule neoplastiche isolate, scarsamente
coesive, altamente variabili in forma e dimensioni (forma rotondeggiante, pla- Mutazioni germinali del gene RET
smocitoide con nuclei eccentrici, fusifor- nelle forme ereditarie riscontrabili anmi, epitelioidi ed a volte talora binuclea- che nel sangue
te o multinucleate). Occasionalmente
inclusioni nucleari. La diagnosi differenziale con il carcinoma anaplastico e con
neoplasie oncocitarie può essere molto
difficile
A
preparati citologici allestiti dal prelievo agoaspirativo, si rilevano cellule neoplastiche isolate,
scarsamente coesive, altamente variabili in forma e dimensioni, potendo assumere una forma
rotondeggiante, plasmocitoide con nuclei eccentrici, fusiformi, epitelioidi ed a volte presentare
anche elementi binucleati o multinucleati (figura 6 B). In alcuni casi sono visibili inclusioni nucleari. L’amiloide, se presente, può essere visualizzata con la colorazione al Rosso Congo e l’osservazione al microscopio a luce polarizzata. La
diagnosi citologica differenziale con il carcinoma anaplastico e con neoplasie oncocitarie può
essere assai impegnativa. I livelli sierici elevati
di calcitonina e l’analisi dell’espressione di questo ormone, eseguibile mediante indagini immunocitochimiche, può essere dirimente per la corretta definizione preoperatoria di queste neoplasie.
ALTRE NEOPLASIE MALIGNE EPITELIALI DELLA TIROIDE
B
Figura 6. Aspetti citologici di carcinomi: A) anaplastico; B)
carcinoma midollare.
È opportuno utile ricordare che la tiroide può
essere sede di metastatizzazione di molte neoplasie epiteliali di diversa origine. In particolar
modo dei tumori del distretto testa – collo, dei
carcinomi mammari e polmonari, dei carcinomi
del colon. La caratterizzazione citologica ed istologica di queste lesioni deve essere ancorata ad
una accurata valutazione della storia clinica,
nonché delle connotazioni semeiologiche e evolutive.
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
Substrato genetico-molecolare
delle lesioni nodulari tiroidee
Le recenti acquisizioni sui danni genetici e
sulle alterazioni molecolari riscontrabili nei
vari tipi di lesioni nodulari della tiroide ci consentono oggi di poter classificare il substrato
lesivo anche sulla base delle alterazioni genetico-molecolari; tale caratterizzazione, oltre a
offrire ulteriori elementi integrativi della tradizionale valutazione morfologica, contribuisce alla più precisa definizione dei meccanismi
patogenetici delle alterazioni tiroidee neoformative, da valutare anche nella non remota
prospettiva di provvedimenti preventivi e terapeutici.
NODULO COLLOIDO-CISTICO E IPERPLASTICO
È ben documentato che la carenza iodica ed il
fumo sono da considerare quali fattori esogeni
determinanti nella patogenesi della tireopatia
nodulare gozzigena; è da sottolineare, inoltre, il
riscontro del nodulo gozzigeno in alcuni ceppi familiari, anche in zone ad apporto iodico sufficiente, suggerendo una sua possibile base genetica, trasmessa come carattere autosomico dominante11. A tale riguardo l’analisi genetica di
una famiglia canadese ha consentito di identificare uno specifico locus (MNG1) a livello del cromosoma 14q; questo rilievo è stato confermato
anche in una famiglia tedesca12, mentre, in una
famiglia italiana composta da 22 soggetti appartenenti a tre generazioni distinte, è stato individuato un altro locus a livello del cromosoma X,
regione p2213. Recentemente, uno studio genetico sistematico, integrato dall’analisi di 450 microsatelliti distribuiti in tutto il genoma, condotto su nuclei familiari danesi, tedeschi e sloveni, ha consentito di individuare 4 diversi loci
ad elevata suscettibilità per il gozzo, a livello
delle regioni cromosomiche 2q, 3p, 7q e 8p14. Va
sottolineato che, generalmente, il tireocita del
nodulo colloide non è sede di alterazioni molecolari; pur tuttavia, nelle forme di gozzo associato
ad ipotiroidismo congenito, sono state osservate
mutazioni di geni implicati nelle varie tappe dell’ormonogenesi tiroidea compromessa da mutazioni del gene della tireoperossidasi, da mutazioni del gene del trasportatore dello iodio 15,
nonché da mutazioni del gene del recettore del
TSH16. Non raramente, nelle lesioni nodulari di
tipo gozzigeno sono riscontrati geni mutati implicati nella proliferazione cellulare, quali i geni
della famiglia RAS (tabella 1). La presenza di
tali alterazioni, in lesioni nodulari tiroidee di tipo gozzigeno, ha indotto ad ipotizzare che, nell’evolvere del processo tumorigenetico tiroideo,
essi siano da considerare quali eventi iniziali
che caratterizzano uno stato pre-tumorale. Il
325
ruolo svolto dalle mutazioni di RAS nell’induzione delle alterazioni gozzigene, è basato sia sui
rilievi conseguiti nello studio di tumori umani
sia su osservazioni sperimentali in topi transgenici, nei quali il gene K-RAS mutato è stato selettivamente espresso nella tiroide dell’animale.
In questi animali si sviluppano alterazioni
morfostrutturali analoghe a quelle proprie dei
vari stadi evolutivi della proliferazione tiroidea
umana, ovvero l’iperplasia, l’adenoma ed il carcinoma, di tipo follicolare o papillifero. A tal riguardo è stato ipotizzato che la mutazione di
RAS possa determinare nella cellula un maggior
grado d’instabilità cromosomica, favorendo alterazioni geniche varie, e determinando un’accelerazione nella progressione proliferativa del tumore3,17.
Le lesioni nodulari della iperplasia gozzigena, in analogia al tessuto tiroideo normale, sono
in genere composte da una popolazione cellulare
di tipo policlonale; tale rilievo induce a ritenere
che i fattori stimolatori esogeni, rispetto a quelli
endogeni, possano svolgere un ruolo patogenetico preminente. In particolare, considerando anche la variabile etereogeneità della popolazione
cellulare tiroidea, si è propensi a ritenere che il
TSH possa svolgere una determinante azione di
stimolo replicativo, evocando effetti diversificati,
non solo in funzione del potenziale accrescitivo,
ma anche in rapporto alla diversa fase di crescita dei singoli tireociti. In tal senso depongono i
rilievi comprovanti la variabile coesistenza (3373%), nel contesto dello stesso gozzo plurinodulare, di noduli d’origine policlonale, alternati con
noduli di tipo monoclonale3,18. La presenza di noduli monoclonali nell’ambito del tessuto gozzigeno solleva rilevanti problemi diagnostici in quanto, allo stato attuale, non esistono dirimenti rilievi patologici, che consentano di discriminare le
lesioni monoclonali da quelle policlonali, anche
se è ipotizzabile che le lesioni monoclonali rappresentino le lesioni neoplastiche insorte de novo in una ghiandola alterata, affetta da lesioni di
natura iperplastica18,19. Nel contesto di lesioni
gozzigene si possono osservare anche alterazioni
di tipo citogenetico, quali le polisomie dei cromosomi 7 e 12 e le alterazioni strutturali a livello
della regione 19q13. Un altro evento precoce è
rappresentato da perdita di eterozigosi [“loss of
heterozigosity” (LOH)], che si osserva in particolari regioni cromosomiche. Recentemente, analizzando una vasta casistica di lesioni benigne e
maligne della tiroide, si è dimostrata la presenza di perdita allelica a livello di 7q21 nel 10%
delle lesioni gozzigene, e nel 41% delle lesioni di
tipo iperplastico, suggerendo che anche questo
evento genetico-molecolare possa essere incluso
tra i parametri più precoci nel corso dell’evoluzione della lesione neoformativa18. In una percentuale limitata di casi (16,2%) dei noduli ipofunzionanti innestati in un gozzo è dato riscontrare la presenza di una perdita allelica nella
regione 2p24-25, vicino al locus del gene della tireoperossidasi20.
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Recenti Progressi in Medicina, 97, 6, 2006
ADENOMA TIROIDEO IPERFUNZIONANTE
Gli studi di clonalità, eseguiti sui noduli tossici, hanno dimostrato che la quasi totalità dei noduli autonomi tossici, caratterizzati da una mutazione a carico degli esoni 9 e 10 del recettore del
TSH, o degli esoni 7-10 della proteina Gsα, sono di
natura monoclonale21 (tabella 2). Tale rilievo induce a formulare l’ipotesi che i noduli autonomi tossici della tiroide derivino dall’espansione clonale
di una singola cellula, la cui attivazione, proliferativa e funzionale, dipenda da eventi somatici mutazionali acquisiti. Negli stessi studi è stata riscontrata una monoclonalità anche nel 50% dei noduli autonomi tossici, privi di mutazioni a carico
del recettore del TSH o della proteina Gsα; tale riscontro suggerisce che in questi casi siano in gioco
mutazioni a carico di altri geni non ancora identificati. Le mutazioni a livello sia del TSH-R che della specifica G-protein ad esso associata, determinano un’attivazione costitutiva della via di trasmissione del segnale tireotropinico. Mutazioni di
entrambi questi geni determinano, infatti, un aumento dei livelli di cAMP, la attivazione costitutiva degli eventi molecolari intracellulari, con conseguente perpetuazione dello stimolo alla crescita,
così come della produzione di ormoni tiroidei. Le
mutazioni del TSH-R e del gene GSP, codificante
per la subunità Gsα, sono rispettivamente identificabili nell’80% e del 38% degli adenomi tiroidei
tossici. Le mutazioni del gene codificante per il
TSH-R coinvolgono in maniera prevalente alcuni
domini implicati nell’interazione con le G-protein,
ed in particolare la II ansa intracellulare ed il IV
segmento intramembranario; mentre quelle del gene GSP sono state identificate a livello di due codoni, 201 e 227, corrispondenti al dominio legante
il GTP. Assai rare appaiono invece le mutazioni sia
del recettore del TSH che delle G-protein nelle lesioni di tipo carcinomatoso22.
Dalla valutazione complessiva dei rilievi sopra
riportati appare evidente che la lesione proliferante che sottende al nodulo tiroideo autonomo, è dotata di una minima probabilità di trasformazione
maligna; peraltro le mutazioni del recettore del
TSH, e la conseguente attivazione della via di stimolazione dell’cAMP, non sono da considerare elementi rilevanti nel determinismo del processo di
acquisizione del fenotipo maligno. Le mutazioni
del TSHR e del GSP, infatti, appaiono invariabilmente associate allo sviluppo di lesioni a bassissimo rischio di malignità ed orientano il tireocita
verso una via a fondo cieco, lungo il processo
neoformativo tiroideo, senza ulteriore progressione
verso la malignità3,22.
ADENOMA NON FUNZIONANTE
Nell’adenoma follicolare, la principale via di trasmissione del segnale proliferativo tiroideo, ossia
quella che si esplica tramite l’interazione tra il TSH
ed il suo recettore (TSH-R), appare non dissimile da
quella del tessuto tiroideo normale. A tale riguardo
è stato osservato un analogo livello di trascritto del
TSH-R nei tumori benigni, rispetto al tessuto tiroideo normale. Anche per quanto concerne la capacità del TSH-R di legare il TSH e di stimolare la
produzione di adenilato-ciclasi, non sussistono differenze sostanziali. Per converso, sia l’entità di
espressione che la capacità legante del TSH, nonché la proprietà di stimolare la produzione dell’adenilato-ciclasi sembrano essere progressivamente
ridotte nelle forme più avanzate di tumori tiroidei.
Nei tumori tiroidei, infine, è stata osservata una diretta correlazione tra numero di copie del cDNA
del TSH-R ed una prognosi più favorevole. Nell’
analizzare la genesi dell’adenoma non funzionante,
devono essere, quindi, presi in considerazione anche altri meccanismi molecolari, indipendenti dal
TSH e dal suo recettore. Sul piano citogenetico si
osservano anomalie cromosomiche clonali nel 3045% dei casi, che comprendono trisomie a carico dei
cromosomi 4, 5, 7, 9, 12, 16, 17, 18, 20 e 22, delezioni, totali o parziali, del cromosoma 2, traslocazioni t (2;3) (q12-q13;p24-p25), traslocazioni t(5;19)
(q13;q13), delezioni del braccio lungo del cromosoma 10, delezioni del braccio lungo del cromosoma
13, alterazioni della regione 19q13, e microsomia
21 e 2223. Alcune osservazioni, basate sull’analisi di
delezioni a livello del braccio lungo del cromosoma
10, suggeriscono una origine diversa degli adenomi,
rispetto ai carcinomi follicolari. Peraltro, in un nostro recente studio, condotto su singole cellule microdissezionate con raggio laser, è stata riscontrata
una delezione a livello del braccio lungo del cromosoma 7, ed in particolare nella regione 7q21, con
frequenza crescente nel gozzo (10%), nell’iperplasia
(41%), nell’adenoma (50%), e nel carcinoma di tipo
follicolare (100%)18. Tale reperto suggerisce una
correlazione diretta tra questa specifica delezione e
le varie fasi di progressione neoplastica della cellula follicolare tiroidea, rappresentando una via di
progressione tumorale, specificamente seguita dal
carcinoma follicolare. Un altro evento precoce nella tumorigenesi tiroidea di tipo follicolare è costituito dalle già citate mutazioni dei geni della famiglia RAS. Nella tiroide le mutazioni dei geni ras
possono essere riscontrate sia nelle lesioni gozzigene che negli adenomi24. Per tale motivo, si è indotti
a ritenere che esse si realizzano prima ancora d’ogni altro evento implicato nella perdita del fenotipo differenziato.
CARCINOMA PAPILLARE
Il carcinoma tiroideo di tipo papillare, la più frequente forma di tumore tiroideo, presenta alterazioni cromosomiche non-random, sia nel numero
che nella struttura, a carico dei cromosmi 1, 3, 5, 7,
10, 17 e 20. Numerosi studi dimostrano che, per
quanto concerne la perdita allelica, le regioni cromosomiche alterate mostrano una frequenza di
LOH inferiore a quella osservata nella forma follicolare; inoltre, a tutt’oggi non sono state descritte
delezioni cromosomiche specifiche per il carcinoma
papillare tiroideo.
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
LOH è stata inizialmente identificata nelle regioni 4q, 5p, 7p, 11p e successivamente a livello dei
cromosomi 1q, 4p, 7q, 9p, 9q e 16q, dove la presenza di perdita allelica è stata correlata con un fenotipo più aggressivo, responsabile di una prognosi
più sfavorevole con evoluzione il più spesso letale18. L’alterazione cariotipica più frequente, riscontrata fino al 30% dei casi, risiede in un’alterazione
semplice dovuta ad un riarrangiamento strutturale, a livello della banda 10q11.2, all’interno del cromosoma 10. Il risultato di questo riarrangiamento
intracromosomico è rappresentato dalla fusione
della sequenza codificante per la porzione intracellulare del gene RET, contenente il dominio tirosino-chinasico, con una porzione 5’-terminale di altri geni non correlati e conseguente formazione di
prodotti proteici chimerici, con funzione oncogenica. Il proto-oncogene RET, localizzato a livello del
cromosoma 10 in posizione 10q11.2, codifica per
una proteina recettoriale appartenente alla famiglia delle tirosino-chinasi. I ligandi di questo recettore sono stati recentemente identificati e sono
rappresentati dal “glial cell-derived neurotrophic
factor (GDNF) e dalla neurturina ed appartengono
alla famiglia dei fattori neurotrofici correlati al
TGFβ.
Il gene RET è fisiologicamente espresso in cellule derivanti dalla cresta neurale, ed anche il
GDNF è espresso in diverse linee di cellule neuronali, oltre che nel rene e nel sistema nervoso enterico. Nella tiroide l’espressione di RET è limitata
alle cellule di origine neuro-ectodermica, dette parafollicolari, o C, che sintetizzano la calcitonina;
mentre non è espresso nelle cellule dell’epitelio follicolare tiroideo; e la sua attivazione, nei tumori
che si originano da queste cellule, è dovuta a fenomeni di riarrangiamento genico che si verificano a
livello del suo locus genico. Nei tumori delle cellule epiteliali tiroidee l’attivazione oncogenica del gene RET si realizza, infatti, a seguito di 8 diversi
riarrangiamenti genici specifici, denominati
RET/PTC, e numerati da 1 a 8 (ma tale lista è in
ulteriore aumento) (tabella 4). I riarrangiamenti
consistono invariabilmente nella fusione del dominio tirosino-chinasico del gene RET, localizzato all’estremità carbossi-terminale, con un dominio, in
posizione amino-terminale, derivante da altri geni.
Il risultato è l’espressione costitutiva in tiroide di
queste proteine di fusione e la stimolazione in maniera permanente dell’attivazione dell’attività chinasica di RET. In tutti i casi, la proteina chimerica
derivante dal riarrangiamento genico è espressa
nel citoplasma ed è attivamente implicata nella fosforilazione di substrati che partecipano all’attivazione della replicazione cellulare. La prima forma
di riarrangiamento di RET ad essere identificata è
stata denominata RET/PTC125.
Questo riarrangiamento, causato da un’inversione paracentrica a livello della regione cromosomica 10q, determina la giustapposizione della porzione di RET codificante il dominio tirosino-chinasico con l’estremità amino-terminale del gene
327
H426. Tale riarrangiamento comporta l’attivazione
dell’espressione di questa proteina chimerica nelle cellule follicolari tiroidee, non più regolata dal
promotore del gene RET, ma sotto il controllo del
promotore del gene H4. Successivamente sono state identificate altre forme di riarrangiamento genico a carico del gene RET. In particolare, è stata
descritta la variante RET/PTC2, dovuta ad una
traslocazione bilanciata p(10;17) (q11.2;q23), con
conseguente fusione del dominio tirosino-chinasico
di RET con la subunità regolatoria I α (RIα) della
proteina chinasi A, dipendente dall’AMP ciclico. Le
varianti RET/PTC3 e RET/PTC4 sono state descritte in tempi successivi ma sono entrambe causate da un riarrangiamento intracromosomico tra
gli stessi geni: RET ed ELE1. Nella variante
RET/PTC5 il gene RET è fuso con un gene di nuova identificazione, denominato “RET-fused gene” 5
(RFG)27.
I prodotti di fusione RET/PTC6 e RET/PTC7
derivano entrambi dalle traslocazioni bilanciate,
inter-cromosomiche che producono riarrangiamenti di RET con geni codificanti per fattori di trascrizione simili. Il gene RET/PTC6 è il prodotto di
fusione del dominio tirosino- chinasi di RET con
l’estremità amino-terminale del gene “transcription intermediary factor” 1 (HTIF1), ed è prodotto
a causa della traslocazione t(7;10)(q32;q11.2).
Il gene RET/PTC7 è il prodotto di fusione del
dominio tirosino- chinasico con un fattore di trascrizione correlato con l’HTIF1, causati dalla traslocazione t(1;10)(p13;q11.2). Nella proteina di fusione RET/PTC8 il gene RET è riarrangiato con il
gene “kinetin” a seguito di una traslocazione
t(10;14)(q11.2;q22.1)27. I riarrangiamenti di RET,
riscontrabili solo nei tumori della tiroide, si osservano esclusivamente nelle varianti di carcinoma
papillifero. Nei soggetti non esposti a radiazioni, i
riarrangiamenti più frequenti sono RET/PTC1 e
RET/PTC2, e la loro frequenza varia fino ad un
massimo pari al 60% dei casi28. L’isoforma più comune riscontrata nei tumori tiroidei indotti dalle
radiazioni è quella RET/PTC3, tanto da essere considerata un marker specifico. Gli studi condotti in
topi transgenici, iperesprimenti la proteina di fusione RET/PTC3 nella tiroide, dimostrano la sua
capacità di determinare la comparsa di tumori tiroidei analoghi alla variante solida del carcinoma
papillifero umano. Per converso, la trasfezione di
questa variante in cellule tiroidee di ratto in coltura, induce solo la perdita di specifiche funzioni
differenziate, tra cui la capacità di rispondere al
TSH, ma non è sufficiente a provocarne la trasformazione in senso carcinomatoso; si può pertanto
presumere che, per ottenere il fenotipo maligno
completo, sia necessaria anche la concomitante
presenza di altre condizioni, quali ad esempio
un’attivazione di RAS. I riarrangiamenti di RET
sono frequentemente riscontrabili nel carcinoma
papillifero giovanile, ed a questo riguardo è da sottolineare che tale istotipo tumorale è più strettamente correlabile con l’esposizione a radiazioni29.
328
Recenti Progressi in Medicina, 97, 6, 2006
Le osservazioni di riarrangiamenti di RET presenti nelle forme più circoscritte di tumore papillifero, rappresentate dai microcarcinomi, e
quelle relative all’assenza nelle forme più indifferenziate di carcinoma papillifero ed in quelle di
carcinomi anaplastici, peraltro non associate a
parametri clinici ed istologici tipici delle forme
più aggressive, hanno indotto a ritenere che queste alterazioni siano rilevanti quali eventi iniziatori della trasformazione maligna in senso papillifero e siano, invece, meno rilevanti nella progressione della malignità30,31. Il ruolo svolto, nel
carcinoma tiroideo, dalla via di trasmissione mediata da RAS/RAF/MEK/MAPK è, inoltre, confermato anche dagli effetti trasformanti delle
mutazioni del gene RET nel carcinoma midollare tiroideo, effetti che si esplicano attraverso l’attivazione della via SHC-RAS-MAPK così come
dal rilievo dimostrante che l’attivazione di questa via induce instabilità genomica nella linea
cellulare di carcinoma tiroideo PCCL-3, predisponendo la cellula al verificarsi di ulteriori danni genetici32.
Il gene “neutrotrophic tyrosine kinase receptor
type 1” (NTRK1 o TRKA) codifica per un recettore
di membrana della famiglia delle tirosino-chinasi
che lega il “nerve growth factor”(NGF), ed è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 1, in posizione 1q23-24. L’espressione del gene TRK nel topo è limitata al tessuto nervoso dei gangli periferici ma, in seguito ad attivazione oncogenica per
riarrangiamento, si produce una proteina di fusione che risulta espressa in maniera ubiquitaria e
che presenta un dominio tirosino-chinasico costitutivamente attivato. In analogia con quanto osservato per altri riarrangiamenti, ed in particolare per quelli del gene RET, i riarrangiamenti del
gene TRK sembrano essere peculiari delle forme di
carcinoma papillifero, essendo stati registrati nelle diverse casistiche con una frequenza variabile
dallo 0% al 10%. È da rilevare però che, a differenza di quanto osservato con i riarrangiamenti di
RET, l’attivazione di TRK non sembra essere aumentata di frequenza nei carcinomi tiroidei indotti dalle radiazioni. A questo riguardo è interessante notare che il carcinoma tiroideo di tipo papillifero costituisce l’unica forma di tumore, non
ematopoietico o mesenchimale, caratterizzato da
elevata frequenza di riarrangiamenti genici. È stato calcolato come, complessivamente considerati, il
riarrangiamento di RET o di TRK sia responsabile dell’attivazione costitutiva di un recettore tirosino-chinasico nel 50% di questi tumori31.
Si è inoltre rilevato che le proteine della famiglia BRAF, serine chinasi altamente conservate
durante l’evoluzione, svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione della proliferazione cellulare e dell’apoptosi32. Esse partecipano alla trasmissione di potenti segnali mitogenici tramite la stimolazione della “mitogen-activated protein
kinase” (MEK) e della “mitogen-activated protein
kinase” (MAPK).
Recenti studi hanno dimostrato, nel 69% dei
carcinomi papilliferi, mutazioni nel gene BRAF a
livello del nucleotide 1796 (T1796A)32. Questa mutazione, responsabile di un’attivazione costitutiva
del gene BRAF, è stata riscontrata indipendentemente dalla presenza di una mutazione attivante
di RAS. Essa consiste in una transversione timinaadenina responsabile di una sostituzione del residuo di valina (V) con quello di acido glutamico (E),
una mutazione “missense”, a livello del codone
599. Va sottolineato che le mutazioni di BRAF sono riscontrabili esclusivamente nelle forme papillari e nelle varianti di carcinoma scarsamente differenziato od anaplastico, che da esse originano, e
che ancora contengono aree di preesistente carcinoma papillare33. L’eventuale contemporanea presenza di alterazioni a carico del gene RET, BRAF,
ed NTRK nello stesso paziente potrebbe rivestire
un significato prognostico, ma recenti osservazioni
indicano che in nessun caso esse sono presenti in
contemporanea nella stessa lesione.
L’analisi di una casistica italiana di 60 carcinomi papillari ha dimostrato come l’alterazione più
frequente sia risultata la mutazione di BRAF (40%
dei casi), seguita dal riarrangiamento di RET
(33%) e quindi da quello di NTRK1 (5%)34,35.
CARCINOMA FOLLICOLARE
Le informazioni concernenti le alterazioni cromosomiche in questo istotipo di tumore tiroideo sono più limitate, a motivo della sua minore frequenza. Per quanto attiene alle alterazioni citogenetiche
descritte nella letteratura, esse riguardano infatti
solo un totale di circa 70 casi36. Tra le varie osservazioni descritte, la perdita del braccio corto del cromosoma 3, ed in particolare la regione 3p25-pter, riveste una particolare significatività. A questo livello, infatti, è stata identificata una regione minima
deleta, comune a tutte le lesioni esaminate, che potrebbero contenere un ipotetico gene oncosoppressore. La perdita di questo gene potrebbe essere determinante nello sviluppo della neoplasia follicolare. Le osservazioni concernenti la delezione di 3p
sono state confermate anche da altri autori i quali
hanno, peraltro, osservato una frequenza molto limitata, e non superiore al 30% dei casi. Il carcinoma
follicolare presenta, comunque, frequenti delezioni
anche a carico d’altre regioni cromosomiche quali
2p, 2q, 10q, 11p, 11q, 17p, e 22q37, talora correlabili
con la fase di progressione tumorale. In particolare,
è stato ipotizzato che, mentre la delezione del braccio corto del cromosoma 3 e del braccio lungo del cromosoma 10, costituisce un evento precoce, la perdita di LOH a carico del braccio corto del cromosoma
17 rappresenterebbe un evento più tardivo nel processo tumorigenetico del carcinoma follicolare tiroideo. La presenza di alterazioni citogenetiche è stata posta in relazione anche con l’evoluzione clinica
del carcinoma follicolare. A tale riguardo, è stato osservato che le forme con crescita più aggressiva siano caratterizzate dalla presenza di una traslocazione t(7;8)(p15;q24)37.
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
In sintesi, oggi, sulla base dei numerosi studi
sull’instabilità genomica nei tumori della tiroide, si
ritiene che il carcinoma follicolare della tiroide si
sviluppi tramite vie e meccanismi patogenetici distinti da quelli coinvolti nella genesi della forma
papillare (tabella 3). A tale riguardo, una metaanalisi degli studi condotti sulla perdita della eterozigosità (LOH), ha dimostrato che tumori di tipo
follicolare sono caratterizzati da una frequenza relativamente elevata di LOH, mentre i carcinomi
papilliferi mostrano una bassa frequenza di perdita allelica38. La perdita allelica nei carcinomi follicolari è stata correlata con la frequente instabilità
cromosomica in tale tipo di tumori, a seguito di alterazioni registrate nella fase di disgiunzione cromosomica. Di recente, analizzando un’ampia casistica, valutata nella LOH a livello di tutti i cromosomi, sono state identificate alcune regioni con più
elevata frequenza di LOH, e segnatamente le regioni corrispondenti ai bracci 7q, 11p e 22q37. La
perdita allelica a livello di 22q è riscontrabile in
tutti i tipi istologici di carcinoma tiroideo, compresi quelli papilliferi, con frequenza analoga (38% negli anaplastici, 19-33% nei papilliferi, e 41% nei
follicolari). Al contrario, una LOH a livello della
regione 7q è riscontrabile, con frequenza nettamente prevalente, nei carcinomi follicolari ed anaplastici38,39. Questi rilievi sono stati confermati da
un nostro recente studio, nel quale il locus genico
7q21.2 si è dimostrato sede di delezione monoallelica nella totalità dei casi di carcinoma follicolare18. Tali osservazioni suggeriscono l’esistenza di
un nuovo putativo gene oncosoppressore, la cui
identificazione è tutt’ora in corso. Altri autori hanno evidenziato una frequente positività per LOH a
livello di 3p21-25, in corrispondenza del locus genico responsabile della malattia di Von Hipple-Lindau (VHL), a livello di 17p13.1, in corrispondenza
del locus di p53, ed a livello di 10q22-24, in corrispondenza di PTEN, il gene della suscettibilità per
la sindrome di Cowden40.
I geni della famiglia RAS possono essere attivati in senso oncogenico in seguito alle mutazioni di
specifici codoni in posizione chiave, quali i codoni 12
o 61 e, meno frequentemente, 13 o 5941. L’incidenza
di mutazioni in uno dei tre geni di questa famiglia
è elevata in tutti gli stadi di tumorigenesi tiroidea,
da quelli ben differenziati fino a quelli altamente
indifferenziati e rappresentano una delle alterazioni molecolari più frequenti nei tumori tiroidei. In
analogia con quanto osservato nel colon, anche nella tiroide le mutazioni dei geni RAS possono essere
riscontrate in lesioni neoplastiche benigne (adenomi) ed in lesioni di tipo iperplastico. Per tale motivo, si ritiene che esse costituiscano un evento precoce nel processo tumorigenetico tiroideo, che si
realizza prima ancora d’ogni altro evento implicato
nella perdita del fenotipo differenziato.
Il gene PPARγ “peroxisome proliferator-activated receptor gamma”, localizzato a livello del braccio corto del cromosoma 3, in posizione 3p25, in seguito al legame con il suo ligando, attiva una serie
di eventi che determinano il differenziamento di linee cellulari tumorali; tale gene è stato riscontra-
329
to riarrangiato con il gene PAX-842 che codifica per
un fattore di trascrizione, essenziale per lo sviluppo della ghiandola tiroide e per la regolazione dell’espressione di geni tiroide-specifici. Il meccanismo molecolare alla base di questo riarrangiamento consiste in una traslocazione di materiale
genico tra il cromosoma 2 ed il cromosoma 3,
t(2;3)(q13;p25)42. L’analisi funzionale della proteina di fusione PAX8-PPARγ ha dimostrato come essa sia in grado di agire quale soppressore dominante negativo dell’attività antiproliferativa e differenziativa di PPARγ 43 . Il riarrangiamento
PAX8-PPARγ appare essere specifico per la forma
follicolare, essendo riscontrabile nel 29% dei carcinomi follicolari. A tale riguardo il riarrangiamento PAX8-PPARγ non è stato osservato nei carcinoma papillari ed anaplastici e negli adenomi follicolari. Queste osservazioni suggeriscono che tale
alterazione sia specificatamente implicata nel processo tumorigenetico del carcinoma follicolare.
CARCINOMA MIDOLLARE
Il carcinoma midollare tiroideo rappresenta il
5-10% dei carcinomi tiroidei ed origina dalle cellule C parafollicolari della tiroide, che costituiscono
meno dell’1% della popolazione cellulare tiroidea
totale, e che producono calcitonina44. La derivazione embrionale neuro-ectodermica delle cellule che
danno origine a questo raro tumore rende tale lesione tumorale assai diversa dalle altre più frequenti forme di tumore tiroideo, derivanti invece
dalle più abbondanti cellule dell’epitelio follicolare
tiroideo. Pertanto le alterazioni molecolari che sottendono a tale rara forma di tumore sono del tutto
diverse da quelle osservabili sia nei tumori differenziati che in quelli indifferenziati delle cellule tireocitiche. I carcinomi midollari tiroidei sono riscontrabili nella maggior parte dei casi, circa il
75%, in forma sporadica, ossia non associata con altri tumori, mentre nel 25% dei casi il carcinoma midollare è presente nel contesto di una delle tre diverse forme di sindromi tumorali ereditarie: la variante di carcinoma midollare familiare (FMTC), la
sindrome MEN-2A, comprendente, oltre al carcinoma midollare, anche il feocromocitoma e l’iperparatiroidismo primitivo, ed infine la sindrome MEN2B, caratterizzata dall’associazione del carcinoma
midollare con il feocromocitoma e con i neurinomi
multipli delle mucose44. In entrambe le varianti sono riscontrabili alterazioni dello stesso proto-oncogene RET (REarranged during Transfection), ma
con alcune significative diversità (tabella 6). Il gene RET è localizzato sul cromosoma 10 in posizione 10q11.2. La principale alterazione molecolare
del carcinoma midollare, e delle MEN, è costituita
da mutazioni puntiformi a carico del gene RET45.
Nelle forme sporadiche, l’alterazione genetica è
di tipo somatico, essendo riscontrabile esclusivamente nelle cellule tumorali, anche se è stato riportato che, in una percentuale, variabile dal 5 al 7%,
dei casi di carcinoma apparentemente sporadico, si
riscontra una mutazione della linea germinale45.
330
Recenti Progressi in Medicina, 97, 6, 2006
Nelle forme sporadiche l’alterazione più frequentemente osservabile consiste in una mutazione a carico del codone 918 del proto-oncogene RET,
che è presente nel 25-33% dei casi. Meno frequentemente sono riscontrabili mutazioni a livello di altri codoni, quali 618, 634, 768, 804, e 833, mentre
altre osservazioni indicano che il gene RET possa
essere danneggiato nei carcinomi sporadici midollari tiroidei, anche a seguito di eventi quali perdite alleliche, duplicazioni ed amplificazioni dell’allele mutato, oppure in seguito a polimorfismi in
corrispondenza dei codoni 691 e 83646.
Nelle forme ereditarie le alterazioni molecolari
sono definite germinali in quanto non appaiono
confinate solamente al tessuto tumorale, ma sono
riscontrabili anche in tutte le cellule dell’organismo, incluse le cellule linfocitarie circolanti; pertanto il loro riconoscimento può essere agevolmente ottenuto con un test genetico sul DNA estratto
dal sangue periferico46.
Le alterazioni genetiche caratteristiche del carcinoma midollare tiroideo possono essere riconosciute in fase pre-clinica, grazie alla attuale disponibilità di specifiche metodiche diagnostiche molecolari, ed inducono a proporre la tiroidectomia
“profilattica” nei portatori, clinicamente sani, di tali anomalie genetiche47.
CARCINOMA SCARSAMENTE DIFFERENZIATO
Il carcinoma anaplastico è caratterizzato da un
processo di dedifferenziazione assai spiccato, con
perdita di molte delle funzioni tipiche della cellula
follicolare tiroidea. La perdita di tali funzioni si
manifesta con la riduzione della capacità iodocaptante, a motivo della mancata espressione del NIS,
e con l’assente rensponsività al TSH, determinata
dalla perdita di espressione del recettore del TSH;
tali peculiari connotazioni biomolecolari costituiscono il substrato fisiopatologico di questo tipo di
tumore, gravato, a motivo dell’indisponibilità di
provvedimenti terapeutici idonei, da una prognosi
assai infausta. Sul piano molecolare sono presenti
numerose alterazioni citogenetiche e tra queste sono state riportate delezioni del cromosoma 22q, riscontrabile nel 38% dei casi, ed una LOH a livello
della regione 7q osservabile nella quasi totalità dei
casi18,48. È da rilevare che, nella maggior parte dei
casi, è stato riscontrato un cariotipo complesso, con
segni d’amplificazione genica, ma in assenza di un
pattern citogenetico specifico48.
L’alterazione genica più rilevante, riscontrabile nei carcinomi anaplastici della tiroide, è rappresentata dall’inattivazione della p53 a seguito di
mutazioni geniche puntiformi (tabella 5). Tale alterazione è pressoché esclusiva delle forme di carcinoma scarsamente differenziato o indifferenziato, nelle quali è riscontrabile fino all’85% dei casi,
a confronto della bassa frequenza (14% dei casi)
osservata nella totalità dei tumori tiroidei. Persino quando in una stessa lesione coesistano zone
carcinomatose a diverso grado di differenziazione,
le mutazioni di p53 si riscontrano solo in quelle zo-
ne con minore grado di differenziazione49. In particolare, la presenza di p53 mutata nei carcinomi
papilliferi è stata correlata sia con l’invasione locale che con invasione della capsula, con le dimensioni e l’estensione del tumore e, quindi, con
una prognosi più infausta. Per tutti questi motivi
le mutazioni di p53 sono considerate responsabili
delle fasi più tardive di progressione del carcinoma tiroideo e rivestirebbero un ruolo determinante nell’acquisizione di un fenotipo più aggressivo e
più indifferenziato. Le alterazioni di p53 nei tumori della tiroide sembrano essere specifiche e
non sono riscontrabili in geni correlati, come ad
esempio p63, codificante sei diverse isoforme,
strutturalmente e funzionalmente correlate alla
p5349. La proteina P53, codificata dal gene oncosoppressore p53, localizzato sul braccio corto del
cromosoma 17, in posizione 17p13.1, è una proteina nucleare che svolge una funzione fondamentale nella protezione contro l’insediarsi di lesioni nucleari carcinogenetche. Questa attività protettiva
si esplica tramite un blocco del ciclo cellulare, prevalentemente in fase G1, ma anche in fase G2,
nonché sull’apoptosi, in risposta ad un danno a carico del genoma. In particolare, il fattore genotossico attiva la P53 che, bloccando la progressione
del ciclo cellulare verso la mitosi, consente alla cellula di innescare i meccanismi di riparazione del
danno. Ove la riparazione del danno non sia possibile, P53 indirizza la cellula verso l’apoptosi, impedendo in tal modo che la cellula stessa vada incontro al processo di divisione e di trasmissione
del danno genetico alla progenie di cellule da essa
derivate. Le cellule portatrici di una proteina P53
alterata nella sua funzione presentano un maggior rischio di accumulare danni genetici, con conseguente maggiore tendenza allo sviluppo di lesioni di tipo neoplastico. Peraltro la presenza di
queste mutazioni è determinante non solamente
per la progressione del tumore, ma anche per la
sua sensibilità ai trattamenti chemioterapici e radianti, condizionando in tal modo l’evoluzione clinica della lesione. Il recente riscontro di un’associazione tra l’iperespressione di p53 e di c-fos, soprattutto nei carcinomi con metastasi ematiche e
linfonodali, suggerisce un possibile ruolo sinergistico di questi due fattori nella progressione del
carcinoma tiroideo49. Un altro possibile sinergismo, che vede implicata la p53, è stato recentemente analizzato in modelli animali di topi transgenici nei quali è stata postulata la possibile interazione di p53 con il riarrangiamento del gene
RET. Questi studi dimostrano che la contemporanea perdita di entrambe le copie di p53 (genotipo
p53-/-), associata con l’iperespressione di
RET/PTC1, determina la comparsa di tumori anaplastici, caratterizzati da dimensioni maggiori e
da comportamento più aggressivo di quelli riscontrati in topi, in cui l’iperespressione di RET/PTC è
abbinata al mantenimento di almeno una copia di
p53 (genotipi p53+/+ o p53+/-) inalterata. La mancanza di una p53 funzionalmente attiva svolge,
quindi, un ruolo rilevante nell’induzione dell’anaplasia e dell’invasività dei carcinomi tiroidei.
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
Recentemente è stata segnalata l’associazione
tra la presenza di un comune polimorfismo di p53
e la prognosi dei tumori tiroidei; la presenza di un
residuo di prolina in omozigosi (Pro/Pro), a livello
del codone 72 dell’esone 4 è stato riscontrata in
tutti i carcinomi indifferenziati della tiroide, ed in
quelli differenziati con prognosi infausta, suggerendo che questa variante possa costituire un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo e la progressione del carcinoma tiroideo50.
La rilevanza degli effetti causati dalla mancanza, o dalla inattivazione, di p53, sull’induzione e la
progressione dei tumori tiroidei è suffragata dai
recenti risultati conseguiti con l’ausilio di alcuni
protocolli sperimentali, incentrati su metodiche di
terapia genica. Infatti, grazie alla re-introduzione
di P53 nel tessuto tiroideo carcinomatoso, è stato
possibile valutare l’effetto onco-soppressivo di questa proteina sull’evoluzione del tumore51. Tali originali studi preliminari lasciano intravedere la potenziale utilità di un tale approccio nel trattamento delle forme di carcinoma indifferenziato, il cui
trattamento (chirurgico, farmacologico o radiante),
considerata la loro aggressività, allo stato attuale
risulta del tutto inefficace.
Il recettore per l’Epidermal Growth Factor (EGFR, c-erbB1) è un componente della famiglia dei
recettori chinasici di tipo 1; appartiene, inoltre, alla famiglia dei proto-oncogeni e può essere attivato
in seguito ad amplificazione genica o a stimolazione autocrina, contribuendo alla trasformazione in
senso tumorale in numerosi tessuti. L’EGFR riveste un ruolo rilevante nella tumorigenesi, tramite
effetti a livello di proliferazione, sopravvivenza tumorale, invasività, angiogenesi e disseminazione
metastatica52. In uno studio recente, eseguito su 25
casi di tumori anaplastici umani, l’EGFR è stato riscontrato normalmente espresso nel 40% di essi ed
iperespresso in un altro 40% dei casi. Questi risultati indicano che il recettore per l’EGF svolge un
ruolo definito in una rilevante parte dei carcinomi
anaplastici, ed hanno ispirato la articolazione di
protocolli sperimentali di trattamento di linee di
carcinoma anaplastico, con l’impiego di inibitori
delle chinasi, quali ad esempio il gefitinib (IRESSE); tali protocolli rappresentano il substrato razionale per la progettazione di trial clinici53.
Efficacia diagnostica e limiti
della citologia tiroidea ago-aspirativa
convenzionale
Con il ricorso alla metodica della citologia agoaspirativa convenzionale1, che offre specifici referti
diagnostici sul substrato lesivo dei noduli tiroidei, la
quasi totalità delle lesioni carcinomatose della tiroide è attualmente diagnosticata preoperatoriamente.
Dal punto di vista citologico, i referti diagnostici relativi alle formazioni nodulari, sono catalogabili in
due gruppi principali (figura 1 a pagina 316).
Referti diagnostici conclusivi rappresentano il
75-80% dei casi, con una variabilità intercentrica
di circa il 10-15%; tale variabilità è dovuta al fat-
331
to che questa procedura analitica viene eseguita
non solo presso Centri Oncologici ed in Strutture
specialistiche endocrinologiche per la diagnosi ed
il trattamento della patologia nodulare tiroidea,
ma anche in diverse strutture sanitarie dove, in
genere, non operano citologi e personale con esperienza specifica nel settore della diagnostica citologica tiroidea. Le diagnosi citologiche conclusive
riguardano la quasi totalità delle lesioni benigne
e dei carcinomi papillari (se si escludono alcune
varianti a struttura follicolare). In questi ultimi,
grazie alla identificazione delle peculiari connotazioni cito-strutturali del nucleo (nuclei chiari, a
“vetro smerigliato”, solcature, inclusi ed incisure
nucleari), ed alla presenza di corpi psammomatosi, nonché di una peculiare configurazione papillare dei tireociti, è possibile formulare un corretto giudizio diagnostico. Anche per quanto attiene
le diverse forme di tiroiditi e le iperplasie colloidocistiche, che offrono il più spesso quadri citologici
paradigmatici, il citologo può agevolmente formulare una diagnosi conclusiva. Le rare evenienze di
carcinomi anaplastici, per il loro alto grado di atipie citomorfologiche, non pongono particolari problemi diagnostici, utilizzando strisci citologici convenzionali di materiale cellulare prelevato mediante agoaspirazione con ago sottile.
I referti diagnostici non conclusivi riguardano
la maggioranza delle lesioni nodulari ad architettura follicolare1,54. Trattasi di noduli solitari iperplastici a struttura microfollicolare, o di iperplasie
focali microfollicolari, innestati nel contesto di
gozzi plurinodulari, di adenomi follicolari o trabecolari/solidi, di carcinomi follicolari e di alcune varianti follicolari di carcinoma papillare. Nel loro
complesso queste lesioni si presentano con caratteristiche citologiche del tutto sovrapponibili, e
vengono genericamente definite come «proliferazioni follicolari non altrimenti specificabili». Tali
quadri citologici indeterminati, sono sostenuti da
lesioni eterogenee, il più spesso benigne, ma anche, se pure raramente, da lesioni neoplastiche. Il
citopatologo, in questi casi, non può esprimersi in
termini di benignità o malignità della lesione, a
causa dell’assenza di specifici ed attendibili criteri morfologici.
Infatti il limite diagnostico della citologia tiroidea risiede nell’impossibilità reale di fornire nella
più parte dei casi, una precisa caratterizzazione
morfologica e biologica della lesione a “struttura
follicolare”. Per considerare maligna una proliferazione follicolare è, in realtà, necessario individuare chiari aspetti di invasione della capsula peri-lesionale, o delle strutture vascolari in questa
decorrenti. L’inequivocabile dimostrazione d’invasione capsulare e/o vascolare, che costituisce uno
specifico parametro di malignità biologica della lesione, non può essere rilevata citologicamente, per
ovvi motivi intrinseci al tipo di materiale ottenibile con il prelievo agoaspirativo. La identificazione
della disseminazione locoregionale a livello capsulare e vascolare è possibile solo, e non sempre, mediante esame istologico, dopo adeguato campionamento del tessuto asportato.
332
Recenti Progressi in Medicina, 97, 6, 2006
Nella pratica clinica corrente i referti citologici
non diagnostici che rappresentano poco meno di
un terzo del totale delle lesioni citologicamente “indeterminate”55, sono responsabili di molte resezioni chirurgiche “esplorative” di noduli tiroidei, richieste più per dirimere quesiti diagnostici che per
imperativa esigenza terapeutica. In presenza di
una “proliferazione follicolare” citologicamente accertata, infatti, si tende a consigliare l’asportazione chirurgica del nodulo, pur in assenza di elementi clinico-semeiologici sospetti. Ma va sottolineato che l’esame istologico definitivo dimostrerà
la presenza di una lesione maligna solo in una percentuale di casi inferiore al 10%54, anche se taluni
autori riportano una percentuale maggiore pari al
42%55. Questo problema diagnostico inerente l’incidenza della lesione maligna nell’ambito dell’indeterminato reperto citologico di lesione proliferativa di tipo follicolare, rischia di essere potenzialmente sottostimato, se si considera che i carcinomi
follicolari rappresentano circa il 10% delle lesioni
maligne tiroidee. A tale riguardo non va peraltro
dimenticato che la quasi totalità dei noduli tiroidei
benigni sono caratterizzati da una struttura follicolare. Dalla accurata valutazione della letteratura si evince che il 4% della popolazione statunitense, dai 30 ai 60 anni di età, è portatrice di uno
o più noduli tiroidei clinicamente evidenti, e che
questa percentuale è di gran lunga superiore se si
sommano le cosiddette “strutture pseudonodulari”
riscontrate in corso di valutazioni ecografiche della ghiandola tiroidea. Queste formazioni, ecograficamente registrate, possono essere sostenute da
una esasperazione della disomogeneità delle strutture “lobulari” risultanti dalla fisiologica aggregazione di molteplici unità acinari. Ne consegue che
il problema clinico della corretta interpretazione
del quadro ecografico che registra esclusivamente
un parametro densitometrico e la ulteriore caratterizzazione preoperatoria del nodulo tiroideo assume notevole rilevanza economica e sociale.
Metodologie per incrementare
l’accuratezza diagnostica
della citologia agoaspirativa
L’applicazione routinaria della citologia tiroidea ago-aspirativa ha decisamente affinato la capacità del clinico di selezionare in maniera più discriminante le lesioni nodulari tiroidee da trattare chirurgicamente. Infatti, con il ricorso
all’esame citologico, possono essere facilmente caratterizzate la maggioranza delle lesioni proliferative sostenute da carcinomi papillari, carcinomi
indifferenziati, nonché delle alterazioni proprie
delle più comuni forme di tiroiditi, e delle lesioni
cistiche. Per converso, nelle lesioni tiroidee a
“struttura follicolare”, caratterizzate da aspetti
morfologici sovrapponibili sia per le lesioni benigne che per quelle maligne, anche il citologo più
esperto non può discriminare con con assoluta
certezza il substrato biologico di tipo benigno o di
neoplasia maligna di questi quadri morfostruttu-
rali “indeterminati”. È questo il limite intrinseco
della citologia convenzionale, che non può evidenziare quegli aspetti morfologici di certezza di
malignità, riscontrabili esclusivamente con una
minuziosa analisi istologica, volta alla ricerca di
identificare i segni di invasione vascolare e capsulare, a livello delle strutture che delimitano i
noduli follicolari neoplastici6,54,55. Ne consegue
che, in presenza di quadri di iperplasie nodulari
microfollicolari, adenomi follicolari e carcinomi tiroidei a struttura follicolare, citologicamente indistinguibili l’uno dall’altro, l’inquadramento diagnostico, fondato sulla tradizionale valutazione
cito-morfologica, non può essere considerato attendibile. Pur tuttavia, la citologia agoaspirativa
rappresenta, comunque, una preziosa fonte di
materiale cellulare da sottoporre ad altre metodiche d’analisi, nell’intento di identificare alterazioni molecolari tipicamente correlate al progredire della lesione tumorale56,57.
L’attuale valutazione ultrasonografica della
ghiandola tiroidea, che offre possibilità di valutare, in tempo reale, la tipologia di vascolarizzazione della lesione nodulare in studio, rappresenta
un irrinunciabile presidio diagnostico, integrativo
della metodologia agoaspirativa. Gli studi volti a
correlare la specifica tipologia del pattern irrorativo, a distribuzione prevalentemente intralesionale con le sue connotazioni biologiche, allo stato attuale consentono interpretazioni univoche, considerando che alla proliferazione cellulare si osserva
una neoangiogenesi più o meno intensa ed estesa.
Anche la possibilità di valutare la dinamica di captazione di nuovi traccianti radiologici (es. Levovist) nei noduli benigni, rispetto ai maligni, comparando la cinetica della distribuzione del contrasto,
è oggetto di programmi di ricerca in corso di svolgimento.
Nell’ultimo ventennio, l’uso di anticorpi monoclonali specifici, diretti verso antigeni tumoreassociati, ha contribuito in maniera significativa
al progredire dell’accuratezza diagnostica dei metodi cito-istomorfologici convenzionali, contribuendo in maniera sostanziale ad una più dettagliata tipizzazione preoperatoria di molte neoplasie, sia primarie che metastatiche, ed in
alcuni casi (vedi leucemie e linfomi), ha anche rivoluzionato la classificazione nosologica di molte
patologie neoplastiche. In tale ambito, l’analisi
dell’espressione della galectina-3 mediante immunocitochimica56, nonché la caratterizzazione
molecolare delle singole lesioni57, alla luce delle
attuali conoscenze in merito al substrato molecolare delle varie lesioni neoplastiche e non neoaplastiche tiroidee, può contribuire a migliorare la
affidabilità diagnostica delle citologia tradizionale. La possibilità di formulare, in fase preoperatoria, un circostanziato giudizio diagnostico del
citoistotipo del nodulo tiroideo a struttura follicolare, utilizzando sia un moderno approccio immunofenotipico56 che molecolare57, ha da tempo
impegnato il nostro gruppo di ricerca ed alcune
delle più recenti applicazioni tecniche sono qui di
seguito illustrate in dettaglio.
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
Ruolo della galectina-3
nella diagnostica delle neoplasie tiroidee
Le galectine svolgono un ruolo rilevante nei
processi di sviluppo e di crescita embrionale, nella
mediazione delle risposte immunologiche e nella
regolazione dei processi apoptotici58. Esse, analogamente alle molecole d’adesione, intervengono
nel regolare interazioni tra cellula e cellula, e con
la matrice. La galectina-3 è una proteina appartenente alla famiglia delle lectine ed, al pari di queste, è dotata di capacità di legare, con elevata affinità, i residui carboidratici: il suo peso molecolare
è di circa 31 kDa ed è composta da due domini, uno
dislocato all’estremità carbossi-terminale, contenente la sequenza in grado di riconoscere il residuo
carboidratico, ed un altro localizzato all’estremità
amino-terminale, strutturalmente simile alle ribonucleoproteine. L’espressione della galectina-3 è
rilevabile sia nel citoplasma che nel nucleo, ed in
particolare nel nucleoplasma, ove è coinvolta nei
processi di espressione dell’mRNA. La sua espressione è modulata dallo stato di proliferazione della cellula e dalla sua fase del ciclo cellulare; in particolare è stato rilevato che la galectina-3 è molto
espressa nelle cellule attivamente proliferanti,
mentre risulta assente in quelle in fase di quiescenza58,59. Oltre alla sua elevata espressione, correlata allo stato proliferativo delle cellule, la galectina-3 è anche molto espressa nelle cellule trasformate in coltura, e particolarmente in quelle a
più elevato potenziale metastatizzante, suggerendo un suo possibile ruolo quale marker di proliferazione maligna59. Mediante esperimenti di runoff nucleare e di northern blot, si è dimostrato che
l’iperespressione della galectina-3 è determinata
da una regolazione a livello trascrizionale; si realizza precocemente dopo aggiunta di siero, non richiede la sintesi di proteine e precede la sintesi di
nuovo DNA. Il gene LGALS3, che codifica per la
galectina-3, è stato pertanto catalogato tra i cosiddetti “immediate early genes”58,59.
Di particolare interesse, al fine della caratterizzazione biostrutturale dei noduli tiroidei con
connotazioni morfostrutturali di tipo “follicolare”,
appare la recente utilizzazione di queste in analisi immunocitochimiche che consentono di individuare, in fase preoperatoria, la presenza o meno di
lesioni tireocitiche neoplastiche57-60. Va sottolineato che la galectina-3 non è di solito espressa nel citoplasma delle normali cellule follicolari tiroidee.
L’accumulo citoplasmatico di questa molecola avviene solo dopo trasformazione maligna delle cellule, con conseguente innesco del blocco dell’apoptosi, ovvero del processo di morte cellulare programmata. Queste recenti acquisizioni hanno
consentito di ideare e realizzare un test diagnostico, denominato “galectina-3 tireotest”, applicabile
sia su materiale citologico, ottenuto per ago-aspirazione (blocchi cellulari fissati in formalina ed inclusi in paraffina), ed applicabile anche su campione istologico. Tale metodologia immunocitochimica consente di identificare, con elevata
accuratezza diagnostica, sia la presenza di nidi iso-
333
lati di tireociti trasformati, che franche lesioni
neoplastiche maligne60. Il test è incentrato sulla
capacità di legame di un anticorpo anti-galectina3 purificato, con la molecola eventualmente presente all’interno delle cellule. Sul piano metodologico è importante sottolineare che il test deve essere eseguito in un sistema rigorosamente privo di
biotina, e può essere visualizzato con il metodo
della immunoperossidasi diretta o indiretta (figura 7). Il tireotest per la galectina-3 ha già ottenuto una validazione internazionale quale metodica
diagnostica preoperatoria del carcinoma tiroideo6,8, ed è attualmente in fase di trasferimento
routinario nella pratica clinica di un protocollo di
analisi con reagenti standardizzati di nuova generazione60.
L’applicazione clinica del test della galectina3 ha consentito d’acquisire numerosi rilievi,
estrapolati da vaste casistiche che, concordemente, indicano come l’espressione proteica della galectina-3 sia notevolmente aumentata (fino a 20
volte) in tutti i tumori tiroidei maligni, ma elettivamente in quelli tiroidei di tipo papillare. Da
uno studio multicentrico, di recente condotto su
1009 lesioni nodulari tiroidee incluse in paraffina,
e su 226 campioni citologici, ottenuti preoperatoriamente mediante agoaspirazione, emerge che la
misurazione, mediante immunoistochimica, dell’espressione della galectina-3 rappresenti un metodo efficace per l’identificazione preoperatoria
del carcinoma tiroideo8.
Figura 7. Preparato citologico incluso in cell-block, per valutare la espressione della galectina-3 quale marker immunocitochimico di malignità. Si osservi l’intensa positività citoplasmatica nelle cellule neoplastiche a sostegno della malignità della lesione. (immunoperossidasi indiretta biotina-free
con anticorpo purificato anti galectina-3 Mabtech, Svezia).
334
Recenti Progressi in Medicina, 97, 6, 2006
Il test appare soprattutto dirimente nel distico, ma anche un potenziale obiettivo terapeuscriminare, nell’ambito del quadro citologico anotico, e sottolineano, ancora una volta, il ruolo dedino della cosiddetta “proliferazione follicolare”,
terminante della p53 e della via di trasmissione
le lesioni neoplastiche di tipo maligno, quali i carad essa collegata, nella patogenesi dei tumori delcinomi papillari, e follicolari variante papillare,
la tiroide.
da quelle di tipo benigno, quali le iperplasie e gli
Oltre alla galectina-3, altre molecole sono staadenomi8,59,60. Il reperto di aumentata espressiote saggiate quale ipotetici marker di malignità
ne della galectina-3 in adenomi ossifili ed in carannidata in lesioni citologicamente non definibicinomi follicolari è, invece, non costante, e suggeli; tra queste menzioniamo la High Mobility
risce cautela interpretativa dell’esito offerto da
Group E-1 (HBME-1), la cheratina-19, la fibroquesto marker ai fini della definizione diagnostinectina-1, etc. A tutt’oggi, nelle nostre mani, pur
ca delle forme neoplastiche di tipo follicolare. Per
non escludendo la possibilità di poter utilizzare
converso, la galectina-3 non risulta espressa nelin casi selezionati60 alcuni di questi reagenti in
l’epitelio della tiroide umana fetale, mentre una
combinazione, nessuna di queste molecole, o comtrascurabile positività è stata riportata solamenbinazione di molecole, sembra offrire elementi
te nelle cellule stromali. La galectina-3, quindi,
più selettivi di quelli forniti dal tireotest alla ganon parteciperebbe al processo differenziativo
lectina-3.
dell’epitelio follicolare tiroideo, e la sua ipereApprocci molecolari diretti ad identificare spespressione nei tumori maligni deve essere intesa
cifici
profili genici, e conseguenzialmente proteocome una espressione de novo della proteina.
mici, nelle neoplasie maligne tiroidee, sono stati
L’aumento dell’espressione della galectina-3 è
estesamente riportati in letteratura. Diversi dati
stato correlato più al progredire della trasformasperimentali, molti dei quali derivanti da analisi
zione tumorale, piuttosto che riflettere uno specidi carcinomi papillari tiroidei, mostrano un ben
fico evento oncogenico; comunque il meccanismo
definibile pattern di over-espressione genica, assomolecolare che determina l’iperespressione della
ciata con questo istotipo neoplastico. Tra i geni ipegalectina dovrà essere ulteriormente definito.
respressi figurano GALS3L (galectina-3), FN1 (fiPur tuttavia in numerosi studi è stato dimostrabronectina-1), KRT19 (citocheratina-19) ed il gene
to che la positività di tale test è associata ad un
concomitante incremento dell’mRNA, misurato
MET (proteina c-met correlata).
mediante northern blot e
RT-PCR quantitativa.
Inoltre, grazie alla trasfezione di un costrutto antisenso, in una linea cellulaAdenoma
re umana di carcinoma paTossico
pillifero tiroideo, è stato
Gsp
TSH-R
monoclonale
dimostrato il ruolo della
galectina-3 nel manteniTiroide
Iperplasia
Adenoma c-myc Carcinoma
mento del fenotipo maliNormale
Follicolare
Follicolare
Follicolare
gno, ed in particolare della
Ras
Hmga pprγ
sua capacità di crescere,
Carcinoma
indipendentemente dalAnaplastico
l’ancoraggio 60 . RecenteCtnnb1
LOH
LOH
LOH Rb
p53
mente il nostro gruppo ha
policlonale
monoclonale 3p
7q21
11q13
osservato che l’iperespresp53
Ras
Ctnnb1
sione della galectina-3 sarebbe da ricondurre all’asc-myc
senza del normale effetto
Inv (1) Trk-T1
Carcinoma
Inv
(10)
RET/PTC-1,
3,
4
Inv
(1)
Trk-T2
inibitorio da parte di p53
t (10;17) RET/PTC-2 Lgals-3 Inv (1;3) Trk-T3 Hmga Met Rb Braf
Papillare
sull’espressione del gene
codificante per galectina3. La mancata inibizione
Cellule C
sarebbe, a sua volta, riconParafollicolari
ducibile alla mancata attiMutazioni germinali o somatiche di RET
vazione di p53 stessa da
Carcinoma
parte di una proteina regoMidollare
latrice, la Homeodomain
Interacting Protein Kinase-2 (HIPK2)61. L’insieme
di queste osservazioni sugFigura 8. Rappresentazione schematica delle principali alterazioni molecolari nei tumori delgerisce che la galectina-3 la tiroide (modificato da Sciacchitano S, Vecchio G. Basi molecolari del processo tumorigenico
della cellula dell’epitelio follicolare tiroideo. In: Andreoli M, ed. La tiroide. Fisiopatologia, diapossa rappresentare, in un
gnostica molecolare, clinica e terapia. Roma: Il Pensiero Scientifico editore, 2004; 498-523.
non remoto futuro, non solo un utile marker diagno-
S. Sciacchitano, A. Bartolazzi, M. Andreoli: Nodulo tiroideo. Diagnosi morfostrutturale e substrato molecolare
Considerazione conclusive
Dalla valutazione analitica dei più attuali studi
di oncogenesi, emerge che le lesioni nodulari della
tiroide rappresentano un ideale modello di studio
delle alterazioni citomorfologiche e molecolari che si
riscontrano nelle varie fasi di tumorigenesi. Le recenti acquisizioni in tema di patogenesi molecolare
dei tumori tiroidei costituiscono la base per la messa a punto di innovative metodologie diagnostiche
capaci di integrare la tradizionale valutazione preoperatoria del quadro cito-morfologico agoaspirativo
delle lesioni nodulari tiroidee, incrementando la affidabilità diagnostica dell’esame citologico. Tra queste metodiche immunocitochimiche, la colorazione
con la galectina-3 riveste, oggi, un definito ruolo
diagnostico di marcatore di malignità, utile nel caratterizzare preoperatoriamente le lesioni nodulari
sospette, che attualmente sono catalogate nel novero di quadri citostrutturali anodini propri della
indeterminata “proliferazione follicolare”. La positività alla galectina-3 consente l’identificazione,
nell’ambito delle eterogenee lesioni citologicamente
non discriminabili, di quelle maligne da esplorare
chirurgicamente per la verifica della presenza di
una lesione carcinomatosa, riservando, alle lesioni
risultate negative al test alla galectina-3, un trattamento conservativo, integrato da meticoloso e frequente follow-up. Nella nostra esperienza, la utilizzazione del test alla galectina-3, integrandolo con le
procedure citologiche e bioumorali convenzionali,
fornisce un sistema di indagine assai selettivo, dotato di assai elevata sensibilità, in grado di superare la problematica dicotomica della definizione biologica dei noduli tiroidei citologicamete inquadrati
nelle lesioni neutre, aspecificamente definite a
“struttura follicolare”. Pertanto la utilizzazione del
335
test della galectina-3, contribuisce a ridurre “l’area
grigia” della citologia tiroidea; inoltre, le nuove conoscenze, in tema di meccanismi di formazione e di
progressione neoplastica, offrono elementi utili per
la applicazione di ulteriori marker genetico-molecolari ai fini diagnostici e prognostici, nonché per la
messa a punto di nuove metodiche diagnostiche. È
prevedibile che tali acquisizioni biomolecolari possano presto essere trasferite anche sul piano terapeutico, per il trattamento delle forme più aggressive di tumore tiroideo scarsamente differenziato,
attualmente pressoché insensibile alle terapie disponibili.
Quale considerazione conclusiva di ordine generale, è doveroso sottolineare che
la citologia tiroidea da FNA e le tecniche
ancillari, sinteticamente descritte, hanno un
dirimente impatto diagnostico, se eseguite correttamente e razionalmente integrate nel contesto clinico-semeiologico. Per questi motivi e
nell’intento di ottimizzare l’assistenza ai pazienti portatori di noduli tiroidei, il reperto citostrutturale, oltre ad essere integrato da
un’attenta valutazione fisiopatologica e clinica
del singolo caso, deve avvalersi di tecniche di
definizione immunofenotipica e molecolare.
Quando la valutazione diagnostica del paziente con nodulo tiroideo è attuata correttamente, un significativo numero di pazienti non risulterà avere noduli sospetti meritevoli di ulteriori indagini; molti di questi pazienti
dovranno essere rassicurati e seguiti in un
meticoloso follow-up.
Punti chiave
• L’avvento dell’era citologica nella definizione diagnostica del substrato lesivo della proliferazione tiroidea ha consentito la caratterizzazione del paradigmatico quadro citostrutturale delle rare formazioni proliferative di tipo neoplastico, discriminandole dalle più frequenti proliferazioni sicuramente
benigne. Tale metodologia, oggi, routinariamente inserita nel razionale algoritmo diagnostico del nodulo tiroideo, offre il vantaggio di ridurre drasticamente gli interventi in passato eseguiti a scopo
esplorativo, nell’intento di verificare l’istotipo di lesione implicata nel formarsi della proliferazione tireocitaria, il più spesso benigna.
• L’accuratezza diagnostica, e la sensibilità, della citologia agoaspirativa, è limitata dalla aspecificità
del quadro citostrutturale della cosiddetta “proliferazione follicolare” .Tale anodina terminologia , talvolta impropriamente adottata, pur in assenza di anomalie citologiche, con il fuorviante giudizio diagnostico di “nodulo follicolare”, consente di selezionare una eterogenea popolazione di lesioni proliferative, a rischio di potenziare malignità, il cui riconoscimento era, in passato, affidato all’esame istologico definitivo post-chirurgico.
• Le peculiari connotazioni, istogenetiche, funzionali e replicative dell’epitelio follicolare, costituiscono
un modello ideale per l’analisi delle varie fasi di progressione della lesione accrescitiva, tumorale e
non tumorale, del tessuto tiroideo. Il substrato lesivo delle proliferazioni nodulari della tiroide oggi
può essere classificato, anche alla luce dei nostri contributi sulla caratterizzazione molecolare dei singoli tireociti isolati (adottando la microdisseszione mediante raggio laser), sulla base delle alterazioni genetico-molecolari. Tale caratterizzazione molecolare, oltre a fornire ulteriori elementi integrativi della tradizionale valutazione citomorfologica, offre la possibilità di contribuire alla definizione del
substrato patogenetico della proliferazione tiroidea, anche nella non remota prospettiva di poter disporre di provvedimenti preventivi e terapeutici.
336
Recenti Progressi in Medicina, 97, 6, 2006
L’esame citologico, eventualmente integrato da
indagini molecolari, dovrà concludere l’algoritmo
diagnostico, preliminarmente incentrato sulla razionale articolazione sequenziale di indagini
morfofunzionali, volti a definire la efficienza ormosintetica ed ormosecretiva della “pompa” tiroidea, nonché la integrità dei suoi meccanismi omeostatici, intraghiandolari e centrali ipotalamo-ipofisari, tireotropino-mediati; sulla scorta di tali
irrinunciabili rilievi, sarà possibile interpretare
correttamente i quadri ecografici, troppo spesso interpretati esclusivamente sul riscontro di variegate immagini densitometriche, che possono riflettere la dinamica plasticità morfo-funzionale del tessuto tiroideo, impegnato in reazioni adattative a
variabili fattori che possono interferire, a diversi
livelli, con la omeostasi tiroidea. È opportuno rammentare che l’immagine sonografica riflette le disomogenee unità follicolari, aggregate in fisiologiche strutture “lobulari” che, non di rado, sono etichettate quali ipotetiche patologiche strutture
“pseudonodulari”, e citologicamente classificate
con la fuorviante denominazione di “nodulo follicolare”; e che, il più spesso, tali presunti “noduli a
struttura follicolare” sono da inquadrare nell’ambito di una fisiologica disomogeneità del tessuto tiroideo e che, in assenza di qualsiasi elemento citostrutturale di sospetta malignità, non sono da
esplorare chirurgicamente.
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