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©2009 Neuroscienze.net
Journal of Neuroscience, Psychology and Cognitive Science
On-line date: 2009-06-04
Per non dimenticare
da un commento psicologico al piccolo principe
di Chiara Lukacs Arroyo
Keywords: Piccolo Principe, Adulti, Mondo, Bambino
Permalink: http://www.neuroscienze.net/index.asp?pid=idart&cat=3&arid=527
Si dice che una grande storia possa definirsi tale per la sua capacità di condurci a riflettere. In
questa qualità il Piccolo Principe va oltre: genera in noi una sorta di rinascita, un'apertura. E chi
può resistere a un'apertura? Questo piccolo libro resta ancora oggi una tra le più significative
storie per bambini. E' in rispetto ai bambini la correzione della dedica "A LEONE WERTH
QUANDO ERA UN BAMBINO". Ma quando arriva l'ora per i bambini di chiudere il libro e andare a
dormire, allora LEONE WERTH può farsi adulto come ogni lettore che voglia concedersi la
preziosa opportunità di riflettere interiormente attraverso la lettura. E può accadere che in quel
momento egli torni a ricordare. "Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne
ricordano)" sono le parole del Narratore Saint-Exupéry. Una storia per bambini dunque, ma
soprattutto per grandi. Intramontabile. Per i bambini poiché risuona profondamente con quel ricco
universo della realtà e della fantasia dell'infanzia, aprendolo a un tocco intimo e ad una visione
libera delle cose. Ma soprattutto per gli adulti: per risvegliare in essi quel bambino che dorme: per
non dimenticare, come direbbe il Narratore. Dunque non solo racconto per bambini, ma molto di
più. Un viaggio psicologico nel mondo dell'infanzia, dove gli uomini e i pianeti, nei quali ognuno di
essi vive, rappresentano vere e proprie realtà di un mondo che il Piccolo Principe ci riporta a
guardare attraverso gli occhi di un bambino. Dolce e spesso amara rievocazione, oltre che
racconto misteriosamente autobiografico, poiché si svela come premonizione nell'epilogo. Come
il Narratore della storia, Saint-Exupéry era aviatore di professione, all'epoca in cui volare
rappresentava una eroica sfida. Accadde realmente una grave avaria col suo aeroplano, nel
deserto del Sahara (1935), dove fu salvato dagli indigeni quasi in fin di vita. Il bambino che
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incontra improvvisamente nel deserto è una parte di se stesso, una parte che non tutti gli uomini
adulti hanno la fortuna di ritrovare. Il luogo da cui egli proviene è il tempo della sua infanzia,
"senza il quale il Narratore avrebbe finito per dimenticare come di solito succede ai grandi nel
tempo" (Nico Orengo, Prefazione al Piccolo Principe; corsivo mio). Nella narrazione non è fatto
riferimento alcuno all'età di questo bambino: "poiché il Piccolo Principe non risponde alle
domande, non si conosce la sua età" (ivi). Ma da molti indizi si può ritenere che egli abbia
pressappoco sei anni, l'età in cui si comincia a prendere a poco a poco conoscenza della vita che
ci sta intorno. "Ecco perchè il Piccolo Principe aveva dovuto lasciare la sua stella e la sua rosa"
(ivi): per conoscere tutti gli altri pianeti che esistevano oltre al suo. Pianeti lontani e così diversi...
Realtà difficili da comprendere, come i segni che formavano la parola "imbuto", poiché gli adulti
che abitavano ognuno di quei pianeti, si erano abituati a vivere attraverso ragionamenti a circolo
vizioso, di cui essi stessi erano ormai schiavi. Adulti che si erano allontanati, come il Piccolo
Principe dalla sua stella, da quel piccolo mondo della loro infanzia. In questo senso ne Il Piccolo
Principe è pungente la denuncia del mondo adulto. Adulti dai ragionamenti contorti, come
possono apparire agli occhi di un bambino, sconvolgendone la semplicità. Adulti bizzarri, eppure
reali, tanto reali da ricordare gli adulti in carne ed ossa che abitano il pianeta nel quale viviamo...
Mondi di personalità psicologiche e umane come il vanitoso, realtà morali o professionali,
interdipendenze professionali come il geografo e l'esploratore. Pianeti ma soprattutto realtà
mentali, dove uomini contabili e realtà numeriche paradossali si alternano a re senza sudditi.
Esemplare metafora, quella del re di un regno disabitato, della solitudine dell'anima che può
condurre alla cecità fino alla negazione della realtà del proprio stesso isolamento. Adulti che
hanno perduto il senso della propria esistenza, come l'ubriacone che beveva per dimenticare che
si vergognava. "Vergogna di che?" "Vergogna di bere!" aveva risposto l'ubriacone, prima di
cadere nel silenzio. Pianeti altrettanto incomprensibili tutti gli altri che il Piccolo Principe aveva
avuto occasione di visitare. Come il vanitoso che dava ascolto soltanto a coloro che si
dichiaravano suoi ammiratori. Altra metafora estremamente ironica dell'uomo narcisista, malato di
se stesso, e di quel suo "Io" ingombrante. Come l'uomo d'affari che trascorreva il suo tempo a
contare le stelle, "cinquecento e un milione di stelle", nell'illusione che contandole tutte gli
sarebbero appartenute, e poiché esse brillano come l'oro, riteneva che possederne tante
significasse essere ricco per poi poterne così comprare altre ancora per poi contarle di nuovo.
Oppure come il pianeta del geografo, che basava il suo lavoro sulle ricerche degli esploratori, ma
che non conoscendo nessun esploratore, viveva nell'ignoranza. Mondi bizzarri, eppure reali, dove
lo stesso Saint-Exupéry, aveva imparato a vivere, si erano a poco a poco ingoiato l'immaginario
di quel bambino di sei anni che era stato, esattamente come il serpente boa si era ingoiato
l'elefante tutto intero. Così, lentamente, quel bambino era scomparso sotto quello che a tutti gli
adulti non sembrava niente altro che un cappello, dimenticandosi di essere mai stato un bambino.
Mondi ai quali quel bambino di sei anni, crescendo, aveva dovuto guardare sempre più da vicino,
allontanandosi così da quel piccolo mondo che lentamente aveva finito col dimenticare. Uno dei
più gravi vizi acquisiti dagli adulti e denunciati dal Narratore, quello di dimenticare. In questo
senso ricordare quel piccolo mondo acquista il significato di un dovere morale. Un mondo fatto
dell'anima delle cose, e in cui è possibile inventare tutto e a cui non fanno certamente da ostacolo
le leggi fisiche né quelle numeriche dell'astronomia, altro vizio degli adulti che hanno bisogno di
calcoli per comprendere. Ed infatti è a causa loro che la stella del Piccolo Principe è riconosciuta
con il nome di asteroide B 612. Per credere alla sua esistenza agli adulti non basterà sapere che
semplicemente esiste e che c'è una rosa, ma piuttosto, per dimostrarne l'esistenza sarà
necessario conoscerne i dati numerici, le misure e la distanza dal pianeta Terra, intorno al quale
essi, peraltro, ritengono roteare tutte le cose. Le piccole cose, come l'esistenza di una rosa, non
possono bastare agli adulti per credere. Così quel bambino che gli si presenta improvvisamente
nel deserto è il Principe di quel piccolo-grande mondo. Egli consegnerà al Narratore, quel pilota
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così impegnato a riparare l'avaria del motore - al pari degli uomini incontrati in ogni pianeta, tutti
indaffarati nelle proprie attività - "le grandi cose imparate nel deserto" (ivi). Un bambino di sei anni
può insegnare grandi cose, che persino le maestre che insegnano ai bambini nelle scuole hanno
dimenticato. E' il momento in cui il racconto diventa intima confessione, nel ricordo di un tempo in
cui anche il Narratore "guardava non con gli occhi ma con il cuore" (ivi). Un tempo anche lui,
come il Piccolo Principe, sarebbe stato capace di trovare le pozze, esaurita la riserva dell'acqua.
"Una pozza miraggio in cui l'acqua è un nettare" (ivi). Dopo qualche mese dalla pubblicazione
dell'ultimo libro Il Piccolo Principe (1943), il 31 luglio 1944, durante una missione nella regione di
Grenoble-Annecy, sorvolando la Baia degli Angeli al largo di Saint-Raphaёl,
Saint-Exupéry sarà dato per disperso sparendo nel nulla. Alla luce della sua morte, l'epilogo del
Piccolo Principe acquista il significato di una miracolosa visione. Esattamente come quel bambino
il Narratore scompare nel silenzio. "Cadde dolcemente come cade un albero. Non fece neppure
rumore sulla sabbia". "Ma so che è ritornato nel suo pianeta - scrive il Narratore - perché al levar
del giorno non ho ritrovato il suo corpo". Nonostante le ricerche, il corpo di Saint-Exupéry non fu
mai ritrovato e neppure del suo aereo da ricognizione non è mai stata rinvenuta alcuna traccia.
Scomparso per sempre con il suo mistero, il "pilota-poeta" (ivi) che veniva chiamato
Pizzicalaluna, a causa del suo naso rivolto verso l'alto. "Continuare a vivere senza volare, questo
gli volevano imporre ritenendo che a quarantaquattro anni un pilota è già vecchio, era troppo
triste" (ivi). Anche per lui, "il desiderio della rosa era stato troppo forte per potervi resistere
ancora" (ivi).
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