La filosofia dell`identità e la fase teosofica

CAPITOLO 12
La filosofia dell’identità e la fase teosofica
La filosofia della natura e della storia hanno come presupposto la teoria dell’Assoluto come identità o
indifferenza di soggetto e oggetto. Per questo si pensa che la fase della filosofia dell’identità sia una
continuazione di quella precedente. In realtà no, perché mentre prima Schelling partiva dalla natura e dallo
spirito per giungere all Assoluto ora fa il contrario convinto che la vera difficoltà non sia quella di cercare
l’unità divina negli opposti, ma di dedurre gli opposti dall’unità.
Schelling si trova di fronte al problema di spiegare come dall’uno discendano i molti e come dall’eterno nasca il
tempo. Egli afferma che dall’infinito al finito non vi è passaggio, se non a patto di ammettere che il finito è gia
in Dio. Ma il finito può essere nell’Assoluto solo se ci è in modo infinito ed eterno, ossia sottratto ai limiti di
spazio e di tempo. Per questo afferma che il finito è presente in Dio sotto forma di un sistema di idee. Però il
questo fatto non da ancora ragione di come mai le idee si specifichino a loro volta nelle cose.
Nella fase teosofica o della filosofia della libertà egli afferma che dall’infinito al finito o dall’Assoluto al
relativo non vi può essere passaggio ma solo rottura che deriva dalla libertà umana che operando il male
provoca il distacco del finito dall’Assoluto. Tuttavia in questo modo Schelling non fa che presupporre gia
l’esistenza del finito della libertà e del male, ossia ciò che vorrebbe spiegare. Da ciò deriva il problema della
giustificazione metafisica di tali realtà: da dove derivano il finito il male e la libertà?
Di fronte a queste domande il teismo creazionista (Dio puro personale e creatore), l’emanazionismo (Dio superessente da cui emana l’universo) e il panteismo (Dio-mondo) appaiono impotenti. La prima e la seconda perché
partendo da un Dio puro non riesce a spiegare perché l’Assoluto da vita all’imperfetto. Inoltre il teismo
riducendo il male al non-essere non lo può giustificare nel mondo. Il panteismo perché non riesce a spiegare né
il salto dall’infinito al finito né l’esistenza del male.
Ciò lo porta a ritenere che in Dio vi sia una serie di opposti – irrazionalità e razionalità, necessità e libertà,
egoismo ed amore ecc. – che danno luogo ad un percorso avente come teatro il mondo, in cui si ha un
progressivo trionfo del positivo sul negativo. In Dio vi è da un lato un fondo abissale inconsapevole,
un’oscura brama o desiderio d’essere (detta natura) e dall’altro una ragione consapevole (detta essere). In
Dio l’essere emerge dalla natura irrazionale. In tal modo l’Assoluto cessa di essere un atto puro per
configurarsi come un Dio vivente ossia come un Dio che non è, ma diviene.
La creazione sgorga dal volere inconscio di Dio e dal suo oscuro desiderio d’essere e rappresenta un momento
necessario della vita divina, che non può farese stressa se non facendo il mondo. Inoltra fra l’aspetto inconscio
e abissale di Dio e il suo essere razionale non vi è antitesi, ma armonica compenetrazione. Nella teofania
cosmica di Schelling la vera possibilità del male sorge soltanto in relazione all’uomo quando egli turbando il
piano divino sceglie il negativo ribellandosi a Dio.
© Federico Ferranti
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