cardiopatia ischemica - Associazione nuovo millennio

COOPERATIVA MEDICI DI MEDICINA GENERALE
CASERTA 2
LINEE - GUIDA
CARDIOPATIA ISCHEMICA
INTRODUZIONE………………………………………………………………………………………………………………..2
DEFINIZIONE E MODALITÀ DI PRESENTAZIONE……………………………………………………………………….2
CLASSIFICAZIONE…………………………………………………………………………………………………………….3
ATEROSCLEROSI CORONARICA CON ISCHEMIA DEL MIOCARDIO REVERSIBILE ……………………………...3
ATEROSCLEROSI CORONARICA CON ISCHEMIA DEL MIOCARDIO IRREVERSIBILE E NECROSI.
…………3
FATTORI DI RISCHIO ………………………………………………………………………………………………………..4
RACCOMANDAZIONI PER LA CORREZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO ……………………………………………5
ANGINA STABILE ……………………………………………………………………………………………………………..9
ANGINA INSTABILE …………………………………………………………………………………………………………14
MANAGEMENT DEL PAZIENTE NELLA FASE POST INFARTUALE …………………………………………………20
VALUTAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO ………………………………………………………………………….……20
RACCOMANDAZIONI……………………………………………………………………………..……….………….……..21
RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA ………………………………………………………………………………..………23
INTRODUZIONE
Le malattie cardiovascolari ed in particolare la cardiopatia ischemica (CI) rappresentano la più frequente causa di
mortalità e di morbilità sia in Italia che in tutti i paesi occidentali; da sola, direttamente o indirettamente,
rappresenta la causa di mortalità nel 30% dei casi e di morbilità nel 40%. Essa colpisce prevalentemente individui
adulti tra la quinta e la sesta decade di vita. Il sesso maschile è più frequentemente colpito.
Le complicanze anatomocliniche delle coronaropatie comportano gravi invalidità e sono la causa degli alti
costi della spesa sanitaria anche nel nostro paese. Tanto che tra gli adempimenti primari del nuovo “ Piano
Sanitario Nazionale (1998-2000) ” il Ministro della Sanità si prefigge:
1.
Una riduzione almeno del 10% della mortalità per malattie ischemiche del cuore;
2.
Una riduzione delle disuguaglianze in termini di mortalità fra aree geografiche e gruppi sociali;
3.
Un miglioramento della qualità di vita dei pazienti affetti da malattie cardio-cerebrovascolari.
Di qui l’urgenza di un efficace strategia di prevenzione cardiovascolare che non può essere più rinviata.
La Task Force Internazionale per la Prevenzione delle Malattie Coronarichei , le Società Europee di
Cardiologia, Ipertensione e Aterosclerosiii ed in Italia il Forum per la Prevenzione delle Malattie Cardiovascolariiii
hanno sviluppato strategie e documenti comuni per un univoca e più forte diffusione del messagio. Tale
documento preparato e rielaborato dalla citata Task Force Internazionale è stato recentemente pubblicatoiv.
DEFINIZIONE E MODALITÀ DI PRESENTAZIONE
L’ischemia miocardica origina da uno squilibrio fra le richieste e l’apporto d’ossigeno al miocardio: l’apporto di
ossigeno (O2) al cuore, a differenza degli altri distretti vascolari, è essenzialmente flusso dipendente. Nel circolo
coronarico, infatti, l’estrazione di O2 è già quasi completata in condizioni di riposo. Di conseguenza incrementi del
fabbisogno miocardico di O2 (in seguito a sforzi fisici, emotivi o altro) possono essere soddisfatti solo da aumento
del flusso. In presenza di stenosi significative (riduzione del lume > 70%), tale aumento del flusso può non
verificarsi in maniera adeguata. Nei pazienti ischemici si devono sempre monitorare i fattori che determinano
aumento del consumo di O2 miocardico (espressa indirettamente dalla Pressione Arteriosa Sistemica e dal volume
del cuore).
E’ comprensibile che il meccanismo dell’ischemia miocardica possa variare nello stesso individuo in diverse
circostanze e, di conseguenza, anche le manifestazioni cliniche possono variare.
La cardiopatia ischemica si manifesta con dolore toracico (il segno più frequente e più tipico), ma anche più
raramente con aritmie, insufficienza cardiaca o in maniera totalmente silente (specie nei pazienti diabetici).
2
CLASSIFICAZIONE
1.
ATEROSCLEROSI CORONARICA CON ISCHEMIA MIOCARDICA REVERSIBILE
2.
ATEROSCLEROSI CORONARICA CON ISCHEMIA MIOCARDICA IRREVERSIBILE
ATEROSCLEROSI CORONARICA CON ISCHEMIA MIOCARDICA REVERSIBILE
Una volta stabilita l’origine ischemica del dolore anginoso in base al pattern degli attacchi ed ai risultati dei test,
gli episodi anginosi devono essere classificati in:
1.
Stabili (l’ischemia si realizza per aumenti del consumo di O2 indotti in genere da sforzi in presenza di una
stenosi definita dell’A.coronarica. Cioè è spesso una angina da sforzo che presenta sintomi e sottoslivellamento
significativo del tratto ST (maggiore di 1 mm) ad un carico di lavoro fisso (con variazioni nei diversi test
ergometrici < 15 %).
2.
Instabili (l’ischemia indotta da riduzione primaria del flusso coronarico che può intervenire anche a riposo da
riferire a riduzione del lume per fatti che inducono vasocostrizione. Lo spasmo può interessare coronarie sane o
più spesso alterate per processi stenotici. Le angine destabilizzate, post-infartuali, di nova insorgenza, refrattarie
alla terapia, a sintomatologia in crescendo vengono classificate come instabili.
Di solito l’Angina cronica stabile tende a non evolvere; mentre il 5-20% dei pazienti con Angina Instabile
sviluppa infarto del miocardio (IMA) o va incontro a morte cardiaca improvvisa entro tre-sei mesi dalla diagnosi
(richiede, dunque un trattamento più aggressivo).
ATEROSCLEROSI CORONARICA CON ISCHEMIA MIOCARDICA IRREVERSIBILE E NECROSI
ƒ
Infarto precoce in evoluzione
ƒ
Infarto non complicato
ƒ
Infarto complicato
ƒ
Morte improvvisa
ƒ
Sincope per aritmie cardiache?
3
FATTORI DI RISCHIO
La stesura di Linee Guida per la Cardiopatia Ischemica non possono prescindere da una attenta disamina dei
singoli Fattori di Rischio Coronarico.
Numerosi studi hanno evidenziato una riduzione del rischio coronarico o cerebro-vascolare di circa il 15-20% in
prevenzione primaria e di circa il 35-40% in prevenzione secondaria.
L’analisi omnicomprensiva del Rischio Coronarico è di primaria importanza. Nell’ambito della prevenzione
primaria (in assenza di eventi documentati cardio-cerebro-vascolari) così come in prevenzione secondaria (in
presenza di eventi documentati cardio-cerebro-vascolari), il concetto di “Rischio Globale” sottolinea
l’importanza di considerare insieme tutte le variabili predisponenti conosciute per la caratterizzazione del profilo
di rischio cardiovascolare nel singolo individuo1 2 v. Di conseguenza ciascuna variabile di rischio va identificata,
interpretata e corretta nel contesto del rischio complessivo di ciascun individuo in esame. Poiché variabili
coesistenti possono interagire, con potenziamento insidioso, la identificazione di un “profilo di rischio multiplo” è
essenziale per un efficace trattamento della cardiopatia ischemica.
Nell’ambito della valutazione del rischio globale si devono individuare, valutare e soppesare l’influenza dei
singoli fattori di rischio (Tab.1).
Di questi è utile per la pratica clinica e per la valutazione del rischio multiplo dividerli in:
1.
I principali Fattori di Rischio Non-Modificabili
ƒ
Familiarità: se un parente di primo grado ha un IMA prima dei 55 anni se maschio e dei 50 anni se femmina;
ƒ
Sesso
ƒ
Razza
ƒ
Età
Tali fattori pur essendo immodificabili devono essere presi in considerazione in quanto rappresentano variabili
fondamentali nella determinazione de “Rischio Globale”.
I principali Fattori di Rischio Modificabili
ƒ
Obesità
ƒ
Diabete
ƒ
Ipertensione arteriosa
ƒ
Ipercolesterolemia
ƒ
Fumo
ƒ
Vita sedentaria
ƒ
Stress
ƒ
Elevati valori di fibrinogeno
Fattore VII della coagulazione, iperomocistenemia, l’inibitore dell’attivatore del fibrinogeno oltre che
l’ipertrigliceridemia sembrano giocare, per le conoscenze attuali, un ruolo di secondaria importanza.
4
RACCOMANDAZIONI PER LA CORREZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO
Iperlipemia:
L’iperlipemia può essere primitiva o secondaria. Le iperlipemie primarie sono prevalentemente quelle
familiari; quelle secondarie si hanno nell’ipotiroidismo, nell’abuso di alcolici, nel diabete, per l’uso di alcuni
farmaci, etc. In queste forme occorre ovviamente correggere la causa primaria.
Le iperlipidemie primitive vanno corrette a seconda del tipo e della gravità del rischio globale del singolo
individuo. Cinque importanti trial di terapia ipolipidemizzante con statine (4S, WOSCOPS, CARE, LIPID,
TexCAPS) in tutte le fascie di età su una popolazione complessiva superiore a 35.000 soggetti hanno chiaramente
dimostrato che la riduzione dell’LDL-Colesterolo (la frazione lipopropteica più aterogena del plasma) riduce, sia
in prevenzione primaria che secondaria, l’incidenza di infarto del miocardio e ictus cerebrali.
OBIETTIVO: è la riduzione dell’ LDL-Colesterolo in proporzione al rischio globale del
soggetto in prevenzione primaria ed in prevenzione secondaria primaria.
Il trattamento farmacologico è istituito solo se non si riescono ad ottenere valori lipidemici desiderabili dopo 3-6
mesi di trattamento non farmacologico (Tabella II).
Tabella n°2.
Obiettivi per intervento ipocolesterolemizzante: linee guida dell’ NIH,ATP-II
COLESTEROLO LDL
Livello di intervento
Obiettivo terapeutico
Assenza di segni di CHD
< 2 fattori di rischio concomitanti
≥ 190 mg/dl
< 160 mg/dl
≥ 160 mg/dl
< 130 mg/dl
≥ 130 mg/dl
≤ 100 mg/dl
Assenza di segni di CHD
> 2 fattori di rischio concomitanti
Segni di CHD
ATP-II, 1994
FUMO:
Circa il 30 % delle morti cardiovascolari sono dovute al fumo di sigaretta 1vi
I medici devono contribuire al benessere della popolazione dando precisi consigli ed informazioni sui danni del
fumo. L’impiego di cerotti epidermici alla nicotina di dosaggio progressivamente minore può essere efficace nella
persona motivata. La sospensione è da consigliare a tutti. Si sottolinea in ogni caso che anche una significativa
riduzione rimane un grosso risultato in quei soggetti irricuperabili.
ƒ
Obiettivo: completa astensione
ƒ
Incoraggiare fortemente il paziente e la famiglia a smettere di fumare.
5
ƒ
Fornire consigli e presentare programmi formali
ATTIVITÀ FISICA
ƒ
Obiettivo minimo 30 minuti 3-4 volte a settimana
ƒ
Valutare il rischio, preferibilmente con la prova da sforzo per guidare la prescrizione
ƒ
Vantaggio massimo con 5-6 ore per settimana d’attività fisica (camminare, jogging, bicicletta ed altre attività’
aerobiche)
TRATTAMENTO DEL PESO
L’aumento del grasso corporeo che caratterizza l’obesità è più insidioso per il rischio cardiovascolare se
localizzato al tronco ed in posizione periviscerale (obesità centrale). In tal caso condiziona l’aumento della
lipidemia, della resistenza insulinica ed della pressione arteriosa. Si consiglia pertanto la valutazione del rapporto
vita/fianchi (valore normale < 1.0 nell’uomo e < 0.85 nella donna).
ƒ
Indice di massa Corporea (IMC) desiderabile (sec. GARROW)
(IMC = Peso espresso Kg/ Altezza2 espresso in mt.)
ƒ
IMC -Uomini
IMC-Donne
Peso Desiderabile
20-25
18.7-23.8
Obesità I gradi
25.1-30
23.9-28.6
Obesità II grado
30.1-40
28.7-40
Obesità III grado
> 40
> 40
Iniziare una dieta intensiva ed un’appropriata attività fisica nei Pazienti con Bmi esprimenti obesità di II e III
grado.
ƒ
Sottolineare la necessità di perdere peso nei Pazienti con rischio globale medio-alto.
ESTROGENI
ƒ
Consigliare la possibilità di terapia estrogenica sostitutiva nelle donne ad alto rischio globale cardiovascolare
in post-menopausa.
ƒ
Consigli personalizzati (valutare l’aggiunta di progestinici) in accordo con il rischio del soggetto.
CONTRACCETTIVI ORMONALI
ƒ
E’ utile raccomandare a chi usa contraccettivi orali di non fumare.
ƒ
L’uso di contraccettivi nelle pazienti con iperlipidemia, ipertensione arteriosa o diabete mellito richiede
maggiore attenzione poiché possono interagire con questi fattori di rischio potenziandoli.
6
DIABETE MELLITO
Diabete:
Nel diabete l’aterosclerosi coronarica ed extracoronarica è responsabile della maggior parte delle
complicanze invalidanti e mortali. Recentissimi lavori hanno dimostrato che pazienti diabetici in assenza di
precedenti episodi di accidenti cerebro-cardio-vascolari hanno lo stesso elevato rischio dei soggetti non diabetici
con pregresso infarto miocardico di sviluppare un infarto (cioè soggetti diabetici in prevenzione primaria hanno
rischio globale paragonabile ai soggetti non diabetici in prevenzione secondaria ). Conseguenzialmente per
migliorare la prognosi è importante il controllo metabolico costante mantenendo il livello dell’emoglobina
glicosilata HbA1c < 7,0 %. Il contemporaneo controllo dei singoli fattori di rischio coronarico permetterà di
ridurre in maniera altamente significativa il rischio globale di questi soggetti. Abolizione del fumo, controllo
periodico della pressione arteriosa, del quadro lipoproteico e un quotidiano esercizio fisico sono elementi
indispensabili per una corretta terapia. Aspetto importante in questi soggetti gioca l’alimentazione. Recentemente
le Società Americane di Diabetologia e di Cardiologia (1998) hanno definito delle linee guida, in prevenzione
primaria del paziente diabetico, nelle quali suggeriscono un monitoraggio cardiologico più aggressivo (tabella III)
Tabella III (schema raffigurante il follow-up consigliato in seguito al rischio globale del soggetto diabetico ed un
test ergometrico valutato preliminarmente)
Appropiato
Follow–up
Rischio globale
Test
Normale
Alto Rischio
dubbio
Ergometrico
media positivo forte positività
v
vvv
vvv
vvvv
v
vvv
vvv
vvvv
vv
vvv
vvvv
vvvv
4-5 FRC
Alto Rischio
4-5 FRC
Alto Rischio
4-5 FRC
v
Routine follow-up (Visita con valutazione segni, rischio globale, sintomi ed Ecg annuale) e test
ergometrico ogni 3-5 anni
vv
Routine follow-up (Visita con valutazione segni, rischio globale, sintomi ed Ecg annuale) e test
ergometrico ogni 1-2 anni
vvv
Test scintigrafico o ecocardiostress
Vvvv
Centro cardiologico per eventuale valutazione emodinamica
7
IPERTENSIONE ARTERIOSA
Il suo trattamento riduce l’incidenza di ictus di circa il 40 % e di infarto e/o angina di circa il 14 % in 5
anni di osservazione. L’obiettivo da raggiungere è una pressione sistolica di 140 mmHg e una pressione diastolica
di 85-90 mmHg o meno. Una ipertensione sistolica isolata è fattore di rischio cardiovascolare soprattutto
nell’anziano ed il suo trattamento è stato trovato utile anche dopo gli 80 anni. La riduzione del sovrappeso, del
sale negli alimenti, dei grassi saturi e degli alcolici sono utilissimi presidi terapeutici che devono essere attuati in
ogni paziente iperteso.
ƒ
Vedi linee guida specifiche
IPERFIBRINOGENEMIA
Recentissimi studi in corso di pubblicazione evidenziano un ruolo indipendente e primario del fibrinogeno
plasmatico, tale che molti autori lo individuano come uno degli elementi fondamentali nella valutazione del
rischio globale.
8
ANGINA STABILE
Gli obiettivi iniziali perseguiti nel sottoporre ad esami diagnostici un paziente che presenta una sintomatologia
dolorosa toracica stabile consistono nello stabilire una diagnosi di malattia coronarica e, se questa è presente, nel
formulare una prognosi.
La prognosi è legata alle dimensioni e alla funzione ventricolare sinistra, alla sede e alla quantità del miocardio
che ha subito l’insulto ischemico, all’estensione della coronaropatia.
I test aiutano, anche, a valutare la capacità funzionale, la presenza di miocardio vitale, le aritmie e l’efficacia della
terapia.
OBIETTIVI DELLE PROVE DIAGNOSTICHE
ƒ
Diagnosi
ƒ
Prognosi
ƒ
Capacità funzionale
ƒ
Vitalità miocardica
ƒ
Aritmie
ƒ
Risultati della terapia
ALTRI FATTORI DA CONSIDERARE
ƒ
Disponibilità dei test ed affidabilità
ƒ
Costi
ƒ
Caratteristiche del pazienti (es. non può eseguire test da sforzo)
ƒ
Preferenza del paziente
ƒ
Sequenza dei test diagnostici
L’approccio al paziente con sospetta Angina stabile consiste nella raccolta di un’anamnesi accurata, definendo il
rischio globale del soggetto, ricercando eventuali pregressi episodi di accidenti cerebro-cardio-vascolari,
identificando il tipo di dolore, acquisendo notizie sullo stile di vita, e abitudini alimentari e sulla famiglia del
paziente.
L’esame obiettivo, spesso, non è d’aiuto.
Si registra un ECG e se questo non è suggestivo per cardiopatia ischemica si richiede un test da sforzo, nel corso
del quale devono essere registrati:
1.
La durata dell’esercizio
2.
Il carico di lavoro raggiunto
3.
Il prodotto frequenza-pressione
4.
Le modifiche del tratto “ST” (corrette per la frequenza)
5.
Le aritmie cardiache (se presenti)
6.
L’incremento dei valori pressori
7.
Il recupero
9
Altri esami utili:
ECOCARDIODOPPLER. Permette un adeguata valutazione delle dimensioni e della funzione ventricolare
sinistra, parametri indispensabili per una stratrificazione diagnostica terapeutica del soggetto. Dato altrettanto
importante è l’esclusione di patologie valvolari che possono complicare il quadro ischemico.
Nei pazienti in cui il test da sforzo non è diagnostico si deve ricorrere alla tecnica d’immagine: eco-stress
(dobutamina, dipiridamolo); scintigrafia miocardica con tecnica spect.
INDICAZIONI ALL’ANGIOGRAFIA CORONARICA
1.
Candidati alla rivascolarizzazione
2.
Sintomi gravi
3.
Inadeguato controllo medico
4.
I test non invasivi rivelano un’estesa ischemia
Alla fine degli anni 80, è emerso chiaramente che spesso è impossibile prevedere quale lesione coronarica andrà
incontro ad occlusione acuta e provocherà un infarto miocardico.
“L’unica scelta valida” afferma Maseri consiste nell’effettuare la coronarografia nei pazienti con un rischio così
alto che una riduzione del loro rischio del 50 % ha un senso.
Ridurre del 50% il rischio di un paziente che di base ha un rischio annuo dell’1% non ha senso perché esso diverrà
la metà di un solo punto percentuale.
I pazienti con coronarografia positiva per coronaropatia ma con normale perfusione ed assenza d’ischemia
inducibile hanno una prognosi molto buona, con un tasso di mortalità annuo inferiore allo 0.5% (Beller).
Se, invece, la funzione ventricolare è compromessa lo studio CASS ha evidenziato che la rivascolarizzazione
miocardica migliora la prognosi per due ragioni:
ƒ
Perché la prognosi è cattiva e la rivascolarizzazione consente un miglioramento.
ƒ
Perché pazienti che hanno già perso una parte del muscolo cardiaco non potendo permettersi un’ulteriore
perdita, certamente, traggono giovamento dalla possibilità di ritardare quest’ultima.
L’angiografia, dunque, è un obbligo oltre che in questi casi, anche, in quelli con Angina stabile e funzione
ventricolare compromessa.
Per concludere l’angiografia coronarica, stabiliscono le linee-guida dell’Anmco-Sic, non rappresenta in genere
una metodica utile per la diagnosi d’Angina stabile e va pertanto indicata solo quando ogni tentativo diagnostico
strumentale è risultato inefficace.
DEFINIZIONE DEL RISCHIO
Oltre che per porre una diagnosi corretta, l’iter diagnostico deve servire a stratificare la prognosi dei pazienti con
Angina stabile.
10
Nella stratificazione prognostica è assolutamente importante tenere presente che il rischio di andare incontro ad
eventi cardiovascolari gravi è molto basso. In questi pazienti l’incidenza di morte cardiaca è stata calcolata tra lo
0.5% ed il 2% ad un anno, e quella d’infarto non fatale intorno all’1 % annuo.
PROGNOSI DELL’ANGINA STABILE
Generalmente molto buona.
Cambia in relazione a:
ƒ
Rischio globale medio-alto
ƒ
Diabete Mellito
ƒ
Presenza o assenza d’ischemia
ƒ
Precedente infarto miocardico
ƒ
Disfunzione ventricolare sinistra
Grazie ai risultati diagnostici, ciascun paziente può essere definito a basso rischio, a rischio intermedio oppure ad
alto rischio.
PAZIENTI A BASSO RISCHIO
ƒ
Assenza o buon controllo dei Fattori di Rischio Cardiovascolare
ƒ
Pazienti con test da sforzo positivo ad alto carico
ƒ
Pazienti con funzione ventricolare sinistra normale (ef >50%)
ƒ
Pazienti con funzione ventricolare sinistra normale di base che non peggiora durante lo sforzo (difetto
reversibile di perfusione di limitata estensione).
ƒ
Pazienti con funzione ventricolare sinistra normale o malattia di uno o due vasi ma senza interessamento
dell’arteria discendente anteriore.
PAZIENTI AD ALTO RISCHIO
ƒ
Pazienti affetti da Diabete Mellito o dove non si realizza un buon controllo dei singoli attori di Rischio
Cardiovascolare (rischio Globale Elevato)
ƒ
Pazienti in classe III (secondo la Canadian Cardiovascular Society) o in classe I e II che rispondono con criteri
di gravità ai test provocativi.
ƒ
Pazienti con funzione ventricolare sinistra depressa (Ef <30%)
ƒ
Test da sforzo positivo a basso carico
ƒ
Eco stress positivo per criteri di gravità
ƒ
Test con radionuclidi positivo per criteri di gravità.
ƒ
Malattia del tronco comune e malattia multivasale con funzione ventricolare sinistra depressa.
PAZIENTI A RISCHIO INTERMEDIO
Possono essere considerati a rischio intermedio tutti i pazienti non inquadrabili in una delle precedenti categorie.
11
PREVENZIONE E TERAPIA
Il primo trattamento è il controllo e la gestione dei singoli fattori di rischio cardiovascolare. Si ricorda che in
tutti i numerosi ampi studi con follow-up di 5 e più anni si è evidenziato in maniera inequivocabile una riduzione
delle complicanze o di accidenti cerebro-cardio-vascolaritrial di circa il 15-20% in prevenzione primaria e di circa
il 35-40 % in prevenzione secondaria controllando i fattori di rischio primari (Ipertensione arteriosa,
ipercolesterolemia, fumo).
La terapia farmacologica è rivolta fisiopatologicamente al miglioramento del rapporto tra perfusione coronarica e
richieste metaboliche del miocardio. Aumentare l’apporto di O2 è ancora tutt’oggi molto difficile mentre si
dispone di molti farmaci capaci di agire sulle sullo stato metabolico e sulle principali determinanti del consumo di
O2 quali frequenza cardiaca, dimensioni e funzione ventricolare sinistra.
TERAPIA IPOLIPIDEMIZZANTE
ƒ
Obiettivo primario: Valore del colesterolo LDL in relazione al rischio globale del soggetto in prevenzione
primaria e inferiore a 100 mg/dl in prevenzione secondaria.
ƒ
Obiettivi secondari: HDL > 35 mg/dl trigliceridi < 200 mg/dl
ƒ
Iniziare in tutti i pazienti, la dieta proposta dall’AHA (< 30% grassi, < 7% grassi saturi, < 200 mg di
colesterolo pro die).
Colesterolo < 200 mg/dl
LDL < 130 mg/dl
Valori desiderabili
Colesterolo compreso fra. 200-240 mg/dl
LDL compreso fra 130-160 mg/dl
Colesterolo > 240 mg/dl
Colesterolo
>mg/dl
240 mg/dl
LDL > 160
LDL > 160 mg/dl
Rischio moderatamente aumentato
Rischio alto
Considerare l’aggiunta di farmaci
alla dieta
Aggiungere farmaci alla dieta
Trigliceridi compresi fra 180400 mg/dl
Fibrati
Statine
Resine
Trigliceridi >400 mg/dl
Considerare terapia combinata
12
ƒ
Se non si raggiunge l’obiettivo primario (LDL < 100 mg/dl) considerare la terapia combinata
ƒ
La colesterolemia è un importante fattore di rischio per la cardiopatia ischemica, ma dovrebbe essere
considerata insieme con altri fattori di rischio come il fumo, l’ipertensione arteriosa e la sedentarietà.
ƒ
Il colesterolo da solo è poco predittivo del rischio individuale di cardiopatia ischemica. La maggior parte degli
eventi cardiovascolari si verificano, infatti, in persone con livello di colesterolo medio. Perciò uno screening di
popolazione per la colesterolemia ha poche possibilità’ di ridurre la mortalità.
ƒ
Le persone d’età compresa fra 70 ed 80 anni, ovviamente più a rischio per patologia coronarica non sono state
incluse negli studi più recenti (effettuati con statine – WOSCOP 1995; 4S 1994; CARE 1996; LIPID 1997). Il
trattamento con questi farmaci in tale età rimane quindi una materia di valutazione clinica, almeno fino alla
pubblicazione dello studio Allhat, prevista per il 2002.
DIABETE MELLITO
Ipoglicemizzanti orali o insulina per mantenere il livello dell’emoglobina glicolisata HbA1c < 7,0%.
Vedi linee guide.
IPERTENSIONE ARTERIOSA
Valori inferiori a una pressione < 140/90 mmHg.
Vedi linee guide.
FARMACI
•
Beta bloccanti
•
Nitroderivati - Le basi razionali della terapia anti-anginosa devono quindi puntare alla prevenzione o
correzione delle alterazioni della circolazione coronarica (da cui le linee guida ANMCO sconsigliano l’uso
della nifedipina nel post infarto)
•
Calcio antagonisti
•
Aspirina a basso dosaggio
•
Statine
•
Ace inibitori
13
OBIETTIVI DELLA TERAPIA
ƒ
Controllo della sintomatologia dolorosa (o altro)
ƒ
Miglioramento della tolleranza all’esercizio fisico
ƒ
Riduzione, a lungo termine, degli eventi cardiovascolari maggiori.
La terapia anti ischemica tradizionale consente di raggiungere solitamente i primi due obiettivi ma non influenza
la sopravvivenza (Boccanelli).
Una prognosi significativamente migliore può essere raggiunta con il concomitante trattamento dei fattori di
rischio e delle condizioni morbose associate: ipertensione arteriosa, diabete, obesità, tabagismo, dislipidemia.
QUANDO RICORRERE ALLA RIVASCOLARIZZAZIONE ?
Secondo le linee guida Anmco-Sic una procedura di rivascolarizzazione miocardica è indicata quando la terapia
medica ottimale non riesce a controllare i sintomi ed il paziente. Continua ad accusare angor durante la sua vita
abituale, oppure quando la coronarografia ne ravvisi la necessità uniformemente alle linee guida internazionali.
ANGINA INSTABILE
L’Angina Instabile, come quella cronica stabile, dev’essere considerata una sindrome piuttosto che una malattia,
poiché i fattori che provocano l’instabilità e la sua evoluzione verso l’IMA possono essere molteplici (Maseri).
La sua caratteristica principale è l’instabilità delle lesioni coronariche che possono portare in maniera
imprevedibile all’IMA.
E con l’IMA, l'Angina Instabile ha una notevole somiglianza fisiopatologica: danno endoteliale dovuto a
fissurazione o rottura di una placca ricca di lipidi che provoca un’aggregazione piastrinica seguita dalla
formazione di un trombo endoluminale con limitazione del flusso sanguigno.
La gestione dell’angina instabile è estremamente complicata essendo una patologia subdola, di difficile
gestione, prognosi e terapia. Si consiglia di interagire con il centro cardiologico di riferimento.
CLASSIFICAZIONE PROPOSTA DA BRAUNWALD
La classificazione proposta dall’American Heart Association e successivamente modificata da Braunwald ha
dimostrato di avere un notevole potere prognostico.
I sottogruppi si basano su quattro categorie: gravità, condizioni cliniche, variazioni ECG (assenti o presenti e di
che tipo) ed intensità del trattamento.
14
GRAVITÀ CLASSE I
Angina di nuova insorgenza, grave od accelerata.
Pazienti con Angina da meno di due mesi, con sintomi gravi, che si verificano tre o più volte al dì o che si
verificano con maggiore frequenza. Ed intensità, o che sono indotti da sforzi di lieve entità.
GRAVITÀ CLASSE II
Angina a riposo subacuta.
Pazienti con uno o più episodi d’Angina a riposo nell’ultimo mese, ma non nelle ultime 48 ore.
GRAVITÀ CLASSE III
Angina a riposo acuta.
Pazienti con uno o più episodi d’Angina a riposo nelle ultime 48 ore.
CONDIZIONI CLINICHE
Classe a
Angina Instabile secondaria
E’ presente una situazione estrinseca al letto coronarico che aggrava l’ischemia miocardica, per esempio:
ƒ
Anemia
ƒ
Infezioni
ƒ
Febbre
ƒ
Ipotensione
ƒ
Tachiaritmie
ƒ
Tireotossicosi
ƒ
Ipossiemia secondaria ad insufficienza respiratoria.
Classe b
Angina Instabile primaria
Classe c
Angina Instabile post infartuale
Entro due settimane dall’IMA.
INTENSITÀ DEL TRATTAMENTO
Classe 1
Trattamento assente o minimo.
Classe 2
Terapia standard per Angina.
Normali dosi per Os di beta bloccanti, nitrati, aspirina, calcio
Antagonisti.
Classe 3
Massima dose tollerata di tutte le tre categorie di farmaci per Os compresa nitroglicerina e.v.
Aspetti elettrocardiografici
Assenza di modificazioni:
15
ƒ
Il paziente è portatore di patologia ischemica: il dolore dev’essere ritenuto in prima istanza come di natura
ischemica salvo dimostrazioni contrarie.
ƒ
Il paziente ha anamnesi negativa per cardiopatia ischemica: la mancanza di un segnale elettrocardiografico
impone di documentare con altri accertamenti l’origine ischemica del dolore ed eventualmente devono essere
indagate altre possibilità.
Pazienti con attacchi d’ischemia e sopraslivellamento del tratto “ST”
Equivalenti ECG:
1.
Aumento di voltaggio dell’onda “t”
2.
Pseudonormalizzazione di un’onda “t” negativa spesso si verifica in pazienti che non presentano storia
d’Angina.
3.
L’ischemia, transmurale, è prodotta da una brusca, ma transitoria riduzione del flusso di un vaso.
Poiché vi è corrispondenza tra il segnale ECG e l’ischemia transmurale si può, con buona approssimazione,
individuare il vaso coronarico responsabile dell’instabilità.
Sulla base della durata del dolore si possono ipotizzare due differenti meccanismi causali:
1.
Episodi d’ischemia di breve durata (per lo più < 10 minuti): l’interruzione del flusso può essere attribuita, con
buona certezza, ad un vasospasmo coronarico che può anche verificarsi a coronarie integre. Lo spasmo occlusivo
coronarico sembra essere provocato dall’interazione di due componenti:
ƒ
Un’alterazione locale di un segmento d’arteria coronaria epicardica, che rende il vaso iperattivo agli stimoli
costrittori;
ƒ
Una varietà di stimoli scatenanti (farmacologici: istamina, serotonina, dopamina, acetilcolina, norepinefrina e
di provocazione fisiologici: esercizio, handgrip, cold pressor test). Le cause d’iperattività locale a diversi stimoli
costrittori che agiscono sui recettori diversi sono ancora speculative. Teoricamente potrebbero essere correlate ad
alterazioni primarie dell’endotelio, delle cellule muscolari lisce, d’alcuni tipi di cellule della parete arteriosa o
dell’innervazione locale (Maseri). Facile il controllo farmacologico: calcio antagonisti e nitrati aumentano la
concentrazione intracellulare di GMP ciclico prevenendo efficacemente lo spasmo coronarico. La caratteristica
saliente di questo tipo d’Angina è la sua natura ciclica. Indipendentemente dalle caratteristiche anatomiche di
base, la malattia è spesso fasica e, quando i pazienti si trovano in periodo di remissione, anche le infusioni
d’ergonovina non provocano lo spasmo e le variazioni del tratto “st”. La fase attiva perdura tre sei mesi. In
contrapposizione molti degli episodi che compaiono mentre i pazienti sono nella fase attiva della loro malattia
risultano asintomatici, perché il monitoraggio spesso rivela episodi di sopraslivellamento del tratto “st” che non è
accompagnato da alcun sintomo.(friesinger in hurst). Quando il vaso è scevro da stenosi critiche è difficile
l’evoluzione verso l’occlusione stabile e l’infarto e la mortalità a breve e lungo termine è bassa. Il rischio
maggiore nella fase critica può essere rappresentata dall’insorgenza d’aritmie complesse.
2.
Episodi di ischemia di lunga durata (> 15-20 minuti): il meccanismo fisiopatologico è da attribuire ad un
fenomeno ostruttivo intraluminale in un vaso non protetto da circolo collaterale, seguito da riperfusione. Si tratta
di un meccanismo analogo a quello dell’IMA e questo spiega l’elevata incidenza di tale complicanza in questo
gruppo di pazienti: oltre il 10 % (l’Abbate). Al riscontro angiografico si riscontra una prevalenza di trombosi
maggiore che nei pazienti con sottoslivellamento del tratto “st”, ma una meno diffusa coronaropatia.
Pazienti con attacchi d’ischemia e sottoslivellamento del tratto “st”
16
Più spesso rientrano in questo gruppo di pazienti con storia d’Angina e pregresso IMA.
L’Ischemia è dovuta:
ƒ
Talora ad una sub-occlusione di un vaso
ƒ
Talaltro ad un’occlusione protetta da un circolo collaterale
ƒ
Più spesso è legata alla progressione della malattia su un vaso che fornisce anche un circolo di compenso ad un
territorio dipendente da un vaso già occluso o gravemente stenotico (scompenso coronarico). Questo tipo
d’ischemia può essere precipitato da una condizione peggiorativa extracardiaca (per es. anemia post emorragica).
In questi pazienti alla coronarografia prevalgono lesioni multivasali ed è anche significativamente più frequente
una patologia del tronco comune od un suo equivalente e spesso è presente una disfunzione ventricolare sinistra
(l’Abbate).
Questi substrati patologici spiegano la maggiore gravità prognostica rispetto ai soggetti con ischemia di tipo
transmurale.
severità’
circostanze
cliniche
a
in
b
presenza
di
in
c
assenza
di
entro
condizioni
condizioni
settimane
cardiache
cardiache
un’ima
aggravanti
aggravanti
ia
ib
ic
II a
II b
II c
III a
III b
III c
due
da
Angina severa de
novo
classe i
od
ingravescente. Non
eoisodi a riposo,
Angina a riposo
con episodi insorti
classe II
da 1 mese ma non
entro le 48 ore
Angina a riposo
classe III
con episodi entro
le 48 ore
I pazienti con Angina Instabile possono essere, ulteriormente, suddivisi in sottogruppi in base:
alla terapia:
ƒ
In assenza di terapia;
17
ƒ
Durante terapia;
ƒ
Nonostante dosi massimali di farmaci.
alle modificazioni ECG :
ƒ
assenti;
ƒ
presenti ( tipo ).
Classificazione dell’Angina Instabile secondo Braunwald
in base alla classificazione della gravità la prognosi :
ƒ
E’ migliore per la classe II
ƒ
Intermedia per la classe I
ƒ
Peggiore per la classe III
Quindi un paziente con ripetuti episodi d’Angina a riposo con sottoslivellamento transitorio del tratto “st” che si
verifichi diversi giorni dopo un’IMA nonostante il trattamento con le massime dosi tollerate (anche nitroglicerina
ev) sarebbe in classe III c3:
ƒ
Classe III Angina a riposo, acuta;
ƒ
Classe C Angina Instabile post infartuale:
ƒ
Classe III Angina Instabile non risponde ai massimi dosaggi della terapia.
Benché questa classificazione sia di tipo prevalentemente clinico può essere correlata, con buon grado di
precisione, alla malattia sottostante.( per es. i pazienti in classe III: Angina a riposo di recente insorgenza con
sopraslivellamento acuto del tratto st o comparsa di bbs all’ECG più spesso hanno un trombo intracoronarico e,
quindi, la terapia trombolitica può essere molto utile, mentre non lo è per quelli in classe I e II con dolore toracico
associato a sottoslivellamento del tratto st.).
In questi casi l’approccio terapeutico consiste nella associazione aspirina a basse dosi ed eparina (regolando la
dose di quest’ultima IMA sull’aPTT: 50-70) con l’aggiunta di nitrati per Os ed ev e di beta bloccanti o calcio
antagonisti e.v. Per i pazienti che non rispondono adeguatamente alla terapia medica le uniche alternative possibili
sono Ptca o Cabg anche se effettuate in urgenza sono associate ad un tasso di morbilità e mortalità aumentata
rispetto agli interventi effettuati in via elettiva (ma è un rischio che bisogna correre per es. in pazienti con Angina
Instabile refrattaria o con riserva di flusso coronarico marcatamente ridotta e con area di miocardio a rischio
estesa (Maseri). I risultati del Timi III b indicano che nei casi incerti, la scelta è determinata dall’esperienza del
chirurgo e dalla preferenza del paziente.
Il trattamento anti ischemico dovrebbe essere continuato per almeno 2 mesi e l’Asa a basso dosaggio
indefinitivamente. I pazienti dovrebbero essere rivalutati a due mesi dalla dimissione, ma avvisati di ricorrere
immediatamente al medico in caso di ricomparsa dei sintomi.
Nei pazienti completamente asintomatici e con prova da sforzo massimale negativa, eseguita senza trattamento
anti ischemico, a terapia può essere gradatamente ridotta e possibilmente sospesa se non necessaria per il controllo
della ipertensione arteriosa o per il rimodellamento ventricolare. Tali pazienti devono essere seguiti a lungo
termine come prospettato per i pazienti con Angina Instabile quiescente.
18
TERAPIA DELL’ANGINA INSTABILE
ƒ
Terapia trombolitica: rari casi (è indicata solo nei pazienti con sopraslivellamento del tratto st o comparsa di
blocco di branca sn)
ƒ
Aspirina a basse dosi
ƒ
Eparina ( in fase acuta )
ƒ
Nitroglicerina (in fase acuta ev e per os)
ƒ
Betabloccanti ( in fase acuta ev)
ƒ
Calcio antagonisti ( in fase acuta ev. elettivi nella forma variante )
ƒ
Ptca o Cabg (di urgenza solo nei casi ad altissimo rischio)
ƒ
Nulla si può dire ancora sugli antitrombotici ed antipiastrinici più potenti (per es. irudina, irulog) perché sono
tuttora oggetto di studio e mancano delle EBM che ne confortino l’utilizzo nella pratica clinica.
INQUADRAMENTO GLOBALE DEI PAZIENTI CON ANGINA INSTABILE
ƒ
Tenere distinti i soggetti con e senza Angina a riposo
ƒ
Stabilire se in corso d’attacco è presente un segnale elettrocardiografico di sopra o sottoslivellamento del tratto
“st”
ƒ
Assicurarsi che la terapia sia rapidamente efficace nell’abolire gli attacchi ischemici sia sintomatici sia silenti
ƒ
Nei soggetti sensibili alla terapia rilevare se ci sono quei segni di maggiore rischio che spesso sottintendono
una coronaropatia grave
ƒ
Se mancano evidenti elementi di rischio procedere nella stratificazione prognostica, in prima istanza mediante
test ergometrico e, in caso di risposta non decisiva, mediante un test di imaging.
Per una stima del rischio medio definito in base ai determinanti acuti e cronici della prognosi è necessaria la
raccolta dei dati prospettici, ma il gradiente del rischio è, probabilmente, di tipo continuo :
ƒ
A rischio più basso sarebbe il paziente di età inferiore a 65 anni con Angina Instabile de novo probabilmente
risolta.
ƒ
A rischio maggiore sarebbero i pazienti di età superiore a 65 anni con Angina Instabile de novo, appartenenti
al gruppo “C”, con Angina Instabile refrattaria.
Per i pazienti con diagnosi clinica di Angina in crescendo (classe 2) in terapia con Asa ed antiischemici o per
quelli con Angina Instabile de novo non ancora in trattamento è necessario il ricovero in unità coronarica.
I pazienti con instabilità persistente (classe I) e quelli con Angina Instabile probabilmente risolta possono essere
trattati, dopo appropriata valutazione, a livello ambulatoriale, ma dovrebbero essere scrupolosamente consigliati a
ricevere immediatamente l’assistenza del medico in caso di recidiva od aggravamento dei sintomi.
19
MANAGEMENT DEL PAZIENTE NELLA FASE POST INFARTUALE
FATTORI DI RISCHIO:
La mortalità ad un anno dalla dimissione per infarto miocardico acuto è attualmente tra il 4% ed il 7% è più bassa
(3%-5% ) per pazienti di età inferiore a 70 anni che abbiano ricevuto una terapia trombolitica.
I fattori predittivi di eventi cardiaci tardivi morte, reinfarto, includono:
ƒ
Età avanzata
ƒ
Sesso femminile
ƒ
Valori ventricolari sinistri telesistolici e telediastolici aumentati
ƒ
Ridotta frazione di eiezione del ventricolo sinistro
ƒ
Gravità della classe della New York Heart Asdsociation o presenza di scompenso cardiaco
ƒ
Estensione della coronaropatia
ƒ
Occlusione dell’arteria relativa all’infarto
ƒ
Angina post-infartuale
ƒ
Infarto pregresso, infarto non “q” o infarto della parete anteriore
ƒ
Infarto di grosse dimensioni in base a quanto stimato dai livelli ematici di CPK–MB
ƒ
Fibrillazione atriale
ƒ
Extrasistolia ventricolare complessa o frequente
ƒ
Potenziali tardivi
ƒ
Diabete mellito
ƒ
Ipertensione
ƒ
Mancata interruzione del fumo di sigaretta
ƒ
Livelli elevati di colesterolo
Molti di questi fattori di rischio non sono indipendenti. Parecchi possono essere modificati dalle procedure di
rivascolarizzazione. La disfunzione ventricolare sinistra è il fattore di rischio più importante, ma anche l’età il
sesso la presenza di aritmie ventricolari ed il diabete mellito sono fattori
VALUTAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO
I più importanti fattori di rischio da valutare sono:
•
Adeguato controllo dei fattori di rischio coronarici
•
funzione ventricolare sinistra (che, solitamente si stabilizza entro un paio di settimane dall’evento acuto).
•
Dimensioni del ventricolo sinistro (le dimensioni del diametro telesistolico del ventricolo sinistro viene
da molti individuato come un importante indice per la valutazione della prognosi)
•
Aritmie (altra stima importante da valutare è quella del rischio aritmico che si può valutare con
l’elettrocardiografia ad alta risoluzione ed il monitoraggio ambulatoriale secondo Holter (classe II b).Va segnalato
che questi studi possono identificare pazienti ad alto rischio, ma, almeno al momento attuale, non giustificano una
terapia antiaritmica specifica in assenza di una aritmia sostenuta. I
pazienti, invece, che presentano una
tachicardia ventricolare sostenuta, in genere, necessitano di una angiografia coronarica).
•
Ischemia residua. La presenza di ischemia residua nella zona perinfartuale oppure nel territorio di
distribuzione di un altro vaso si rende, spesso, manifesta durante la degenza ospedaliera.
20
RACCOMANDAZIONI
Classe I :
1.
ECG DA SFORZO:
a
Prima della dimissione, per la stratificazione prognostica o per la valutazione della capacità funzionale
(sottomassimale in IV –VI giornata o limitata dai sintomi in X – XIV giornata)
b
Subito dopo la dimissione, sia per la stratificazione prognostica sia per la valutazione funzionale ( XIV – XXI
giornata )
c
A distanza dalla dimissione (3-6 settimane) sia per la prognosi sia per la valutazione funzionale, se quella
iniziale è stata sottomassimale;
2.
SCINTIGRAFIA
DA
SFORZO
O
CON
TEST
PROVOCATIVO
FARMACOLOGICO
O
ECOCARDIOGRAMMA DA SFORZO:
a
Se l’ECG di base presenta alterazioni che ne impediscono l’interpretazione (Blocco di branca sinistro,
ipertrofia/sovraccarico del ventricolo sn., sr. di pre-eccitazione ventricolare, ritmo da pacemaker. Si deve tenere
presente che, in pazienti digitalizzati o che presentano un sottoslivellamento del tratto “st” < 1 mm. nell’ECG a
riposo e che eseguono un test da sforzo, un ulteriore sottoslivellamento del tratto “st” indotto dall’esercizio può
avere un minimo significato diagnostico.)
Classe II:
1. Scintigrafia da sforzo con dipridamolo o adenosina prima della dimissione per la stratificazione prognostica dei
pazienti che non sono in grado di compiere sforzi fisici.
2.
Ecocardiogramma bidimensionale o scintigrafia da sforzo (prima della dimissione o subito dopo per la
stratificazionne prognostica).
Classe III :
1.
Test da sforzo entro 2-3 giorni dall’IMA.
2.
Test provocativo ergometrico o farmacologico in qualunque momento per la valutazione del paziente con
Angina Instabile post-infartuale.
3.
In qualunque momento, per valutare pazienti con IMA ed insufficienza cardiaca scompensata, aritmie
cardiache o condizioni che limitino in maniera significativa la capacità di esercizio.
4.
Prima della dimissione per valutare pazienti già indirizzati al cateterismo cardiaco. In questa situazione, un
test da sforzo può essere utile dopo la coronarografia per una valutazione funzionale o per identificare l’eventuale
presenza di ischemia inducibile nei territori perfusi da vasi con stenosi coron subcritiche.
21
FOLLOW-UP DEL PAZIENTE INFARTUATO
Alla ricerca di un approccio completo alle problematiche del post infarto, uno tra gli esempi più autorevoli
riguarda la Mayo Clinic di Rochester che si può considerare come una tra le strutture più quotate, a livello
mondiale, per quanto riguarda la riabilitazione cardiologica.
mantenere il trattamento avviato in acuto, salvo la
segnalazione di effetti collaterali che ostacolano la
compliance.
infarto non complicato
tre mesi dopo l’evento
ecg
sei mesi dopo l’evento
ecg
un anno dopo l’evento
ecg
eco-stress / scintigrafia (spect)
due anni dopo l’evento
ecg
eco-stress / scintigrafia (spect)
infarto complicato
(frazione ejezione >50%)
tre mesi dopo l’evento
ecg
eco-stress / scintigrafia (spect)
sei mesi dopo l’evento
ecg
eco-stress / scintigrafia (spect)
N.b. lo schema vale a patto che siano entro i limiti il quadro lipidico, la glicemia ed i valori pressori.
22
RIABILITAZIONE CARDIOLOGICA
La riabilitazione cardiologica e tutti i mezzi indirizzati a promuovere l’attività fisica, il controllo delle
dislipidemie, dell’ipertensione e l’astensione dal fumo possono ridurre la mortalità cardiovascolare, migliorare la
capacità funzionale, ridurre la sofferenza ischemica del miocardio, ritardare la progressione e favorire la
regressione dell’Aterosclerosi coronarica e ridurre il rischio di ulteriori eventi coronarici. La riabilitazione
cardiologica dev’essere, quindi, considerata come una terapia standard integrata nel trattamento complessivo del
paziente affetto da cardiopatia ischemica.
OBIETTIVI DELLA RIABILITAZIONE
1.
Stratificazione del rischi: viene operata sulla base del quadro clinico e delle indagini strumentali; consente di
distinguere tra pazienti a basso rischio che possono seguire un protocollo di riabilitazione più intenso, da quelli ad
alto rischio che necessitano di maggiore cautela nella scelta del programma riabilitativo.
2.
Miglioramento delle condizioni fisiche: progressiva mobilizzazione al fine di un precoce reinserimento nella
vita di tutti i giorni e della ripresa, non appena possibile, dell’attività lavorativa.
3.
Educazione all’esercizio fisico: il paziente dev’essere incoraggiato a svolgere regolarmente attività fisica a
domicilio e deve comprendere gli effetti benefici che questa determina in termini di controllo dei fattori di rischio
cardiovascolare e di protezione da successivi eventi cardiaci (importante il ruolo svolto dal medico di famiglia).
4.
Interventi psicosociali: una educazione sanitaria (medico di famiglia) e di supporto, la psicoterapia e lo stress
management, possono dare ottimi risultati nel migliorare la qualità della vita e nel ridurre i disturbi psicosociali
(depressione, ansia, disfunzioni sessuali, collera, eccessivo distress/stress, problemi lavorativi, isolamento sociale,
alterazione delle dinamiche familiari) in pazienti coronaropatici, specialmente nelle prime fasi del recupero.
5.
Conoscenza della propria malattia: il paziente deve diventare consapevole della patologia da cui è affetto, delle
possibilità terapeutiche e dell’utilità dei diversi esami strumentali (che di volta in volta saranno richiesti, in
accordo, tra il cardiologo ed il curante).
6.
Riduzione dei fattori di rischio: il paziente deve conoscere i principali fattori di rischio cardiovascolare e deve
sapere come correggerli e prevenirli deve dunque, diventare consapevole che la modificazione dello stile di vita
rappresenta un vero e proprio presidio terapeutico, necessario, in aggiunta ai farmaci, per prevenire nuovi eventi
cardiaci e controllare la progressione della propria malattia.
FASI DELLA RIABILITAZIONE
1.
fase I : si svolge in regime di degenza, ha inizio dal primo giorno successivo all’evento acuto e si protrae fino
alla dimissione. Il paziente stabile viene precocemente e gradualmente mobilizzato ed aiutato a superare
psicologicamente l’evento acuto anche attraverso la conoscenza della malattia che lo ha colpito, della prognosi e
dell’iter diagnostico.
2.
fase II : si svolge in regime ambulatoriale. in questa fase il paziente viene inquadrato dal punto di vista
funzionale-prognostico e quindi avviato a sedute di esercizio fisico supervisionato. Ogni incontro con il paziente
deve rappresentare una occasione per rafforzare l’importanza dello stile di vita per un efficace controllo dei
principali fattori di rischio cardiovascolare (stretta collaborazione cardiologo/curante).
23
3.
fase III : “fase di mantenimento”, autogestita dal paziente sotto la supervisione attenta e costante del medico
curante. Il paziente prosegue sia il programma di attività fisica (a domicilio o in palestra) sia il programma di lotta
ai fattori di rischio.
CONTROINDICAZIONI ALLA RIABILITAZIONE
ƒ
Assolute;
ƒ
Segni e/o sintomi di shock;
ƒ
Angina Instabile;
ƒ
Scompenso intrattabile;
ƒ
Episodi di tachicardia ventricolare;
ƒ
Blocchi atrio ventricolari avanzati;
ƒ
Aneurisma post infartuale;
ƒ
Cardiomegalia marcata,
ƒ
Gravi malattie sistemiche avanzare e resistenti insufficienza renale, diabete, distiroidismo;
ƒ
Gravi flebopatie recidivanti;
ƒ
Relative o temporanee;
ƒ
Aritmie sopraventricolari non trattate e/o non controllate;
ƒ
Aritmie ventricolari minacciose;
ƒ
Labile compenso di circolo;
ƒ
Embolia polmonare o sistemica recente;
ƒ
Anemia severa;
ƒ
Miocardite o pericardite attiva;
ƒ
Infezioni sistemiche acute;
ƒ
Patologie osteomuscolari invalidanti
MALATTIE PSICONEVROTICHE MANIFESTE.
Condizioni richiedenti particolari precauzioni:
1.
Extrasistole ventricolare frequente
2.
Disturbi di conduzione (wpw;bbs)
3.
Angina pectoris a bassa soglia
4.
Obesità marcata
5.
Vasculopatia cerebrale o periferica.
i
Recommendations of the European Atherosclerosis Society prepared by Tnternational Task Force for the Prevention of coronary heart desease (1992).
Prevention of coronary heart desease: scientific background and new clinical guideliness. Nutr Metab Cardiovasc Dis 2:113-156.
ii
Pyorala K, De backer I, Poole-Wilson P, ood D, on behalf of the Task Force (1994) Prevention of coronary heart desease in clinical practise.
Recommendations of the Task Force of the European Society of Cardiology, European Atherosclerosis Society and European Society of Hypertension. Eur
Heart J 15:1300-1331.
iii
Forum per la Prevenzione delle Malattie Cardiovascolari in Italia (1994) Prevenzione della cardiopatia ischemica, Annali Italiani di Medicina Interna
9(1):50-51.
iv
The International Task Force for Prevention of Coronary Heart Desease, (1998) Coronary Heart Desease NMCD vol.8(4):205-271.
v
Levy D, Wilson PWF, Anderson KM, and castelli WP. Stratifyng the patients at risk from coronary heart desease: new insights fro the Framingam study. Am
Heart J 1990;119: 712-717.
24