Istituto MEME: Sol Re Do Sol... Le note attraversano gli invisibili

UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET
ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF
BRUXELLES - BELGIQUE
THESE FINALE EN
“Musicothérapie”
Sol Re Do Sol... Le note attraversano gli invisibili spiragli
della gabbia dorata di Davide
Relatore: Dott.ssa Roberta Frison
Specializzanda: Dott.ssa Francesca Curti Giardina
Matr. 2845
Bruxelles, Ottobre 2010
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
FRANCESCA CURTI GIARDINA – SST IN MUSICOTERAPIA - TERZO ANNO A.A. 2009 – 2010
Indice dei contenuti
INTRODUZIONE ................................................................................................... 4
CAP I: “L'ISOLA CHE NON C'E'” ........................................................................ 6
p. 1.1 Soprattutto il silenzio era musica .............................................................. 6
p. 1.2 Il bambino delle fate ................................................................................ 9
p. 1.3 Musicoterapia e autismo: la musica giunge sull'“isola che non c'è…” .... 12
p. 1.4 L'ISO di Davide ....................................................................................... 17
CAP. II: L'AUTISMO, UN PO' DI STORIA ........................................................ 20
p. 2.1: Definizione del disturbo e aspetti clinici ............................................... 20
p. 2.2: Le tappe evolutive ................................................................................. 24
p. 2.3 I primi passi importanti verso grandi scoperte ....................................... 28
p.2.4 Brevi cenni sul “Progetto Genoma Autismo” .......................................... 31
CAP. III: “I NEURONI SPECCHIO E L'AUTISMO” ......................................... 33
p. 3.1 “I favolosi quattro” del laboratorio di Parma ......................................... 33
p. 3.2: Dal macaco all'essere umano ................................................................. 36
p. 3.3 Verso una nuova comprensione del disturbo “sociale” dell'autismo ...... 40
CAP. IV: “DAVIDE INSIEME ALLA MUSICA... E AGLI ALTRI” ................... 44
p. 4.1: Un setting per Davide ............................................................................ 44
p. 4.2: Favole cantate... per la consapevolezza ................................................. 46
p. 4.3 Imitazione sonora ................................................................................... 48
p. 4.4 Le “antiche ninna-nanne” ....................................................................... 52
p. 4.5: Canzoni interrotte ... ............................................................................... 55
p.4.6: “Cinema Paradiso” e la filmtherapy ....................................................... 58
p. 4.7: Il contatto con lo strumento e con gli altri... .......................................... 61
CONCLUSIONI .................................................................................................... 66
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................... 67
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Al dono della musica
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INTRODUZIONE
La musica ha un carattere particolare che forse nessun altra disciplina possiede in
maniera così profonda, parlo della “appartenenza”, la musica appartiene ad ognuno
di noi, è parte della nostra vita come possono esserlo fasi del nostro percorso
evolutivo, ricordi del passato che rimangono impressi nella memoria.
Fin dalle sue prime forme l'essere umano vive circondato dai suoni intrauterini, ha
in sé i suoni a ritmo binario del battito cardiaco e della respirazione, viene poi
cullato da dolci ninna nanne materne, ha modo di ascoltare i suoni della
quotidianità e di crearsi man mano una identità sonora che si arricchisce sempre più
nel tempo.
L'uomo sonoro, si esprime, si relaziona attraverso forme diverse di sonorità come il
pianto, il grido, la parola, i movimenti nel tempo e nello spazio. Sono cresciuta con
la convinzione che il forte legame con la musica permetta a tale disciplina di
interagire in una relazione terapeutica anche e soprattutto con individui affetti da
patologie di natura fisica e mentale proprio perché ha radici solide piantate
all'interno del vissuto di ognuno.
Di conseguenza le foglie di quest’albero ben piantato fioriscono anche rimanendo
nascoste e possono dar voce alla propria vita esprimendosi in momenti e condizioni
diversi.
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Ho utilizzato una metafora per spiegare che grazie alla musica abbiamo la
possibilità di poter esprimere noi stessi nelle più diverse condizioni e circostanze.
Basta ascoltare un ritornello da una radio perché il nostro essere totale fisico e
psicologico si attivi o capita che spontaneamente ci ritroviamo a intonare un
motivetto che ci è entrato dentro, fischiettando.
Sebbene vagando su un'isola che non c'è chiuso in una sorta di mondo a parte, il
giovane autistico che ho accompagnato nel Project Work finale di musicoterapia ha
lasciato aperti o meglio ha permesso che fossero aperti dalla musica gli infiniti
spiragli del suo mondo e nelle pagine che seguono descrivo i momenti più
significativi del suo lasciarsi andare all'espressione musicale.
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CAP I: “L'ISOLA CHE NON C'E'”
p. 1.1 Soprattutto il silenzio era musica
“Seconda stella a destra questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino poi la
strada la trovi da te, porta all'isola che non c'è…”,1 son questi i versi iniziali di una
canzone le cui note hanno scandito i momenti del mio primo incontro con Davide,
giovane adolescente autistico con il quale ho svolto un percorso di musicoterapia
all'interno della scuola media che frequenta a Modena.
Gli incontri si sono svolti con cadenza settimanale e a fine giornata scolastica. In
una stanza dell'edificio attrezzata con diversi strumenti musicali e altro materiale
didattico, accolsi Davide per la prima volta, lo guardai e fui ricambiata con uno
sguardo molto sfuggente che durò pochissimo, quindi presi la chitarra e iniziai a
suonare “L'isola che non c'è”… Perché proprio questo brano?... Perchè Davide mi
ha ricordato da subito il personaggio Peter Pan della favola di J. M. Barrie, di cui è
rinomata la versione cinematografica di Walt Disney.
Gli occhi dolci, la leggiadria dei movimenti (correva da un punto all'altro della
stanza e muoveva le braccia come se desiderasse volare), l'aria sognante, i sorrisi
mi riportarono a quella figura fiabesca dalle ali fatate che nella storia parla ai
1 Edoardo Bennato, “L'isola che non c'è”, dall'album “Sono solo canzonette” Ricordi, 1980.
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personaggi che incontra durante il suo cammino dell'esistenza di un'isola un po'
particolare, magica, l'isola che non c'è per l'appunto, dove i fanciulli non crescono
mai e possono continuare a sognare: vedevo Davide che si aggirava nella sua
“gabbia dorata”, come Peter Pan sulla sua isola, lasciandosi raramente andare a
qualche coinvolgente risata.
Le note che venivano fuori dalla chitarra hanno quasi da subito attratto Davide che
si è seduto accanto a me rimanendo ad ascoltare, composto, sorridente.
Edoardo Bennato, cantante, cantautore, ha composto “L'isola che non c'è”
ispirandosi proprio alla fiaba citata, e il testo descrive un mondo incantato dove
non ci sono ingiustizie, violenza, sentimenti negativi, e in un certo qual modo
esorta a credere nell'esistenza di un luogo del genere seppure solamente nel cuore e
nella mente di ognuno di noi.
La canzone è in Sol Maggiore, tonalità solare, aperta, accogliente, ha una ritmica di
base abbastanza semplice senza grandi variazioni, la metrica del testo risulta
scorrevole, caratteristiche che mi hanno permesso di apportare delle variazioni alla
struttura del brano, con lo scopo di stabilire una prima relazione con Davide.
Durante l'ascolto il giovane man mano ha iniziato ad emettere dei suoni, sillabe, le
espressioni del volto cambiavano rapidamente, il suo sguardo era lontano.
Ho accolto quei suoni, li ho messi in musica e sono così diventati un nuovo testo
per “L'isola che non c'è”, li eseguivo modulando la voce e seguendo andamenti
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diversi, i toni erano dapprima forti, poi più in piano e dolci, poi simili a uno stile
rock graffiante, l'accompagnamento ritmico con lo strumento passava dal veloce, al
moderato, al lento.
La musica rispecchiava così gli stati d'animo più disparati cercando di passare
attraverso gli spiragli di luce del mondo di Davide.
Decisi ad un tratto di fermarmi, pochi minuti di silenzio e poi fui invitata con un
gesto della mano a continuare, i suoi occhi erano luminosi e incrociarono i miei,
continuai a fare delle pause prima brevi poi sempre più lunghe, durante i momenti
di silenzio, vibravano i nostri sorrisi, gli sguardi, i respiri, soprattutto il silenzio era
musica.
Pensavo alle parole di un musicista da me prediletto: “La musica ha un potere
incredibile, terapeutico, nella sua espressione più elevata conduce al silenzio, un
silenzio che vibra, che danza che canta”2.
Dopo il primo incontro e una volta instaurata una prima relazione basata in primis
sull'ascolto, poi su di un iniziale rivelamento di emozioni istantanee e infine sull'
incontro di sguardi e sorrisi, decisi di inserire musicalmente la consapevolezza del
contesto e di ciò che io e Davide facevamo durante i nostri incontri; di conseguenza
ero solita quasi a inizio seduta, cantargli a ripetizione, magari con inflessioni di
voce diverse, prevalentemente dolci e accoglienti, su tonalità in maggiore, queste
2 Annino La Posta, “Soprattutto il silenzio, biografia di Franco Battiato”, pg. 86, Ed. Giunti,
Firenze, 2010.
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brevi strofe: “Davide è qui con me ad ascoltare musica” “Davide è a scuola con
Francesca ad ascoltare musica” “Davide è qui con me e ascolta con piacere la
musica”.
G. Bateson era solito affermare: “Il contesto è la matrice dei significati” 3, dunque
che a seconda dell'ambiente in cui ci si trova, delle persone che hai di fronte e delle
emozioni che si provano in una determinata situazione, scaturiscono i diversi
significati delle relazioni che si vengono a creare tra le persone. Per un giovane
autistico immerso nel suo “rifugio” quindi spesso inconsapevole di ciò che gli
accade intorno avere degli strumenti tramite i quali riuscire gradualmente ad
acquisire consapevolezza della realtà esterna alla sua o quantomeno percepirla, può
risultare vantaggioso alla interazione e socializzazione.
p. 1.2 Il bambino delle fate
Ho iniziato questo mio lavoro con il ricordo di un personaggio fiabesco,
affermando che Davide mi ha ricondotto all'infanzia fin dal primo incontro, con i
suoi grandi occhi sognanti e la gestualità leggiadra di Peter Pan.
Molti personaggi fiabeschi (come nelle favole dei fratelli Grimm) riproducono
caratteri del disturbo autistico. Non dovrebbe poi risultare così strana l'ipotesi che i
3 Gregory Bateson, “Verso un'ecologia della mente”, pg 100, Adelphi, Milano, 1972.
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Grimm un soggetto autistico lo abbiano davvero incontrato piuttosto che
inventarselo di sana pianta.
In epoche antiche si diffuse una tesi che fraintese e interpretò in chiave religiosa e
magico-esoterica la patologia:
“Lo hanno chiamato in molti modi: bambino pesce, della luna, magico, fortezza
vuota, etc., in questo contesto preferisco individuarlo con l'appellativo di bambino
delle fate per il fatto che una volta l'autismo era visto come l'effetto del tocco delle
fate che avevano rapito il senno dei giovani fanciulli”.4
Per anni un alone di fiaba e sacro mistero ha avvolto il disturbo autistico. Un
esempio potrebbe riguardare i “folli beati della vecchia Russia”, una sorta di guru
che sfidavano nudi le avversità climatiche dell'inverno russo, assumendo
atteggiamenti autistico-simili, non parlavano infatti ed ogni tanto andavano in
escandescenza.
Eppure erano rispettati e ritenuti anche figure sacre, non solo tra il popolo ma
addirittura presso gli Zar. L'eccessiva adorazione verso questi soggetti nasceva da
fantasiose congetture.
Riportare Davide alla figura di Peter Pan non di certo è scaturito dall'intenzione di
supportare le antiche tesi.
Semplicemente penso al mondo autistico come al riflesso di un luogo magico
4 S. Bagalà, D. Raso, D. Vivanti, “L'autistico a scuola”, pg. 15, Ed. Laruffa, Reggio Calabria,
1998.
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racchiuso in una gabbia dorata di cui gli esseri coinvolti percorrono le strade
camminando per ore, immersi in mille pensieri e sentimenti che causano sofferenza
ma anche stati mentali e fisici di momentaneo benessere, e incontrano ogni tanto
porticine semiaperte che lasciano fuoriuscire spiragli della realtà in cui sono nati.
La maggior parte di noi nella vita si costruisce un rifugio, il mondo che vorrebbe,
un'isola che non c'è, dove “riposare”, ritrovarsi nei propri pensieri, e sogna che da
qualche parte possa esistere davvero; inoltre nelle relazioni che andiamo ad
instaurare giorno dopo giorno in contesti diversi capita di difendere con passione la
propria isola: “E non è un'invenzione e neanche un gioco di parole, se ci credi ti
basta perchè, poi la strada la trovi da te”.5
Nel soggetto autistico subentra l'aspetto preponderante della malattia da cui
scaturisce il mondo-rifugio, resta il fatto a mio avviso che anche le persone affette
dal disturbo difendano e proteggano i propri luoghi incantati e ne hanno tutto il
diritto.
Ecco perché durante il viaggio musicale con Davide ho cercato di non essere
eccessivamente invadente, lasciandogli i suoi spazi e accogliendo i momenti in cui
la nostra musica era il silenzio, qualche risata, stereotipie convulsive, lacrime.
Le tappe del percorso musicoterapico si sono susseguite ed evolute in modo da
raggiungere un obiettivo preciso: riuscire gradualmente a far sì che la musica
5 E. Bennato, ibidem.
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attraversasse gli spiragli di realtà della gabbia incantata e che le note potessero
illuminare chi avevo di fronte, alimentando anche se per brevi momenti la
consapevolezza di esserci, di poter creare delle relazioni, di avere intorno un dono
prezioso con cui poter lasciarsi andare, la musica.
Per fare ciò ho reso quanto più possibile dinamici gli incontri, utilizzando ogni
volta diverse modalità, a partire dall'uso della voce e del canto, dall'introduzione di
strumenti Orff e strumenti creati da me con semplice materiale, dal ricreare
musicalmente atmosfere in cui Davide potesse sentirsi a suo agio, fino ad arrivare
ad inserire negli incontri la presenza di suoi coetanei frequentanti la scuola per far
sì che condividesse con loro l'esperienza: tutto ciò tenendo sempre ben presente i
cambiamenti repentini di chi avevo di fronte, in base ai quali agivo apportando
modifiche alla struttura degli incontri.
p. 1.3 Musicoterapia e autismo: la musica giunge sull'“isola che non c'è…”
In tutte le culture dell'antichità la musica ha sempre rivestito una grande
importanza. Il sacerdote medico (lo sciamano) sapeva che il mondo è costituito
secondo principi musicali, che la vita del cosmo, ma anche quella dell'uomo, è
dominata dal ritmo e dall'armonia.
L'essere umano nasce nel suono: il feto cullandosi all'interno del liquido amniotico
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percepisce e accoglie i suoni del ventre materno e quelli che derivano dal mondo
esterno, quali la voce della madre in primis, acquisendone i ritmi e le armonie
naturali.
L'uomo da sempre vive a contatto con i fenomeni sonori. Ecco come si spiega la
risposta immediata che ognuno di noi ha rispetto ad uno stimolo musicale.
Durante il percorso di evoluzione è dai suoni stessi stimolato oltre che dai propri
impulsi interiori a “manipolarli” e a trasformarli in un veicolo di espressione,
piacere, stimolo sociale, elaborazione artistica.
Un gran numero d’indagini, eseguite attraverso le tecniche della tomografia ad
emissione di positroni (PET) che permettono di rivelare la distribuzione
differenziale del flusso sanguigno cerebrale durante l'esecuzione di compiti
sensoriali-percettivi, motori o cognitivi, ha dimostrato che l'attività cerebrale di
individui sottoposti all'ascolto di musica risulta maggiormente stimolata e
accompagnata dall'alterazione di parametri fisiologici del corpo quali il battito
cardiaco, il ritmo respiratorio e la conduzione elettrica della pelle (reazione
elettrodermica).
La Musicoterapia negli ambiti in cui opera (preventivo, riabilitativo, terapeutico
ecc.) si basa sui concetti descritti sopra in quanto permette di comunicare con
l'aiuto del terapeuta, attraverso un codice alternativo rispetto a quello verbale,
partendo dal principio dell'ISO (identità sonoro individuale) che utilizza il suono, la
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musica, il movimento per aprire canali di comunicazione ed una finestra nel mondo
interno dell'individuo.
L'aspetto terapeutico è relativo all'attivare la stimolazione multisensoriale,
relazionale, emozionale e cognitiva impiegata in diverse problematiche, al fine di
ottenere una maggiore integrazione sul piano intrapersonale ed interpersonale, un
migliore equilibrio e armonia psico-fisica.
L'impiego della musica a scopi terapeutici sembra essere stata molto importante in
numerose culture, dalla mitologia greca fin poi alle tradizioni ebraiche e cristiane.
Ancora oggi, nelle tradizioni delle culture sciamaniche possiamo trovare rituali che
ci permettono di immaginare lo spirito col quale venivano svolte simili cerimonie
agli albori della civiltà.
Le melodie erano probabilmente molto semplici, con una forte presenza ritmica,
cantilenanti, ripetute in continuazione dai membri della tribù raccolti attorno al
malato.
La funzione di questi canti era quella di indurre in uno stato di profondo
rilassamento la persona in cura che sentiva così di essere appoggiata e sostenuta
nella sua lotta contro la malattia.
Uno dei primi testi approfonditi di musicoterapia contemporanea risale al 1748,
quando Louis Roger, medico di Montpellier, pubblicò il “Trattato sugli effetti della
musica sul corpo umano”. Roger paragonava il corpo umano, con il suo alternarsi
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di parti cave e dense, a più strumenti musicali che vengono stimolati e attivati dalle
vibrazioni sonore, al pari di quelli solitamente utilizzati nelle orchestre.
Nel titolo di questo mio lavoro compare una metafora con cui ho voluto descrivere
la condizione dell'autistico: gabbia dorata dagli invisibili spiragli. Aggiungo poi che
tali spiragli vengono attraversati da note musicali, arrivando quindi sull'“isola che
non c'è” di Davide.
Un percorso di musicoterapia che può prevedere caratteristiche e modalità di
svolgimento ed evoluzione diverse utilizza la comunicazione sonoro-musicale,
quindi di tipo non verbale risultando così meno invadente e di maggiore attrattiva
per un soggetto autistico che spesso rimane lontano, senza prestare attenzione a ciò
che accade intorno, alle tante parole della quotidianità, alle persone con cui poter
instaurare relazioni.
La musica per di più dà loro struttura, le interazioni basate sulla musica sono meno
astratte degli altri scambi sociali. Questi ultimi sono invece, soprattutto simbolici e
relativi ai contesti culturali in cui si vive; al contrario il ritmo è prevedibile, il
ritornello di una canzone è lo stesso ogni volta che si ripete.
Un tratto chiave del profilo cognitivo delle persone autistiche è la preferenza per il
pensiero concreto, anziché astratto e mentre si suona o si canta non c'è bisogno di
categorizzare o generalizzare, di fare astrazioni. Le interazioni basate sulla musica
sono rassicuranti per chi è affetto da questa sindrome: ogni cosa (imprevedibile)
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avviene mentre si sta cantando o suonando il tamburo a tempo con il gruppo
(prevedibile). Se vogliono non sono tenuti a fronteggiare ogni momento degli
scambi relazionali astratti: possono concentrarsi sulla musica e sui suoi canali
comunicativi e relazionali concreti.
Il Prof. Rolando Benenzon, pioniere della musicoterapia, afferma che lo strumento
musicale e la musica in generale possono rivestire il ruolo di “oggetto mediatore”
nella relazione che si viene a creare tra paziente autistico e terapeuta in quanto non
sono vissuti come pericolosi, non provocano solitamente reazioni di angoscia,
stabiliscono un legame senza necessariamente superare la distanza interpersonale
richiesta dal paziente, possono essere considerati dal paziente un'estensione del sé:
hanno un'esistenza reale e concreta.
Può capitare che il soggetto concentri l'attenzione su elementi non funzionali come
odore, forma, tatto, ma l'interesse dimostrato esprime la presa di coscienza della
delimitazione dei confini e della distinzione tra sé e l'altro sé. Il contatto con uno
strumento stabilisce un primo rapporto di causa-effetto tra il gesto volto alla
realizzazione del suono e il suono da questo risultante, passaggio delicato e difficile
per il disturbo autistico.
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p. 1.4 L'ISO di Davide
L'ISO in musicoterapia rappresenta come ho citato nel paragrafo precedente
l'identità sonora di un individuo, caratterizzata da dinamicità rispetto ai
cambiamenti che possono avvenire nel tempo, e allo stesso tempo da una forza di
percezione del passato che lascia saldi nella memoria i ricordi musicali.
Si distingue in:

ISO Universale,

ISO Gestaltico,

ISO Complementare,

ISO Gruppale.
Il primo riguarda l'identità sonora che caratterizza e identifica tutti gli esseri umani
indipendentemente dal particolare contesto sociale, culturale, storico.
Fanno parte dell'ISO Universale i suoni di inspirazione ed espirazione, del battito
cardiaco, nonché la voce della madre nel periodo natale e pre-natale. Il secondo
riassume il nostro vissuto sonoro alla nascita, dall'infanzia fino alla nostra età
attuale ed è in perpetuo movimento. Il terzo costituisce un insieme di piccole
modifiche che nascono dalla dinamicità e diversità dei contesti che viviamo. Infine
il quarto è connesso allo schema sociale all'interno del quale l'individuo evolve.
In uno dei primi incontri con il padre di Davide durante il quale richiesi una
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anamnesi del percorso del giovane sotto vari aspetti, ci soffermammo a lungo sulla
sua storia musicale volevo cercare di farmi un'idea dell'ISO di Davide, della sua
identità sonora individuale, pur avendo svolto ancora pochi incontri assieme a lui,
per utilizzare quanto prima canali che potessero aprire le porticine semichiuse del
suo mondo.
Rimasi piacevolmente sorpresa dal resoconto del genitore che per prima cosa mi
disse che fin da piccolo aveva fatto ascoltare a Davide tanta musica, di generi
diversi, spaziando dalla classica al rock e riscontrando nel figlio atteggiamenti
positivi, risposte tali da continuare nel suo proposito: attorniare Davide di tanta
musica. Il suo ISO Gestaltico risultava particolarmente ricco!
In particolare a Davide piaceva e piace tuttora ascoltare le melodie delle tantissime
edizioni dello Zecchino D'oro, soprattutto quelle dai toni più dolci. Il fratello suona
la chitarra e Davide lo ascolta con piacere.
Apprese queste preziose notizie vi ho cominciato a lavorare continuando il
percorso sulla melodie dell' “L'isola che non c'è” di Bennato e arricchendolo man
mano di musiche e modalità nuove.
“Seconda stella a destra, questo è il cammino e poi dritto, fino al mattino
poi la strada la trovi da te, porta all'isola che non c'è.
Forse questo ti sembrerà strano, ma la ragione ti ha un po' preso la mano
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ed ora sei quasi convinto che non può esistere un'isola che non c'è.
E a pensarci, che pazzia, è una favola, è solo fantasia
e chi è saggio, chi è maturo lo sa, non può esistere nella realtà! ...”
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CAP. II: L'AUTISMO, UN PO' DI STORIA
p. 2.1: Definizione del disturbo e aspetti clinici
L' autismo è compreso tra i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo, espressione
utilizzata dai due principali sistemi di classificazione (DSM-IV e ICD 10) per
descrivere manifestazioni cliniche caratterizzate principalmente da compromissione
della comunicazione verbale, dell'interazione sociale e da un insieme di
comportamenti ed interessi ristretti, stereotipati e ripetitivi. Il soggetto autistico
risulta avere uno sviluppo atipico che riguarda un po' tutte le linee evolutive.
Rientrano nell'ambito dei DGS: il Disturbo Autistico, la Sindrome di Rett, la
Sindrome di Asperger, il Disturbo Disintegrativo della Fanciullezza. Sebbene
alcuni sintomi siano presenti fin dalla nascita, è difficile esprimere una diagnosi di
autismo prima di 24-36 mesi, i sintomi tra l'altro risultano diversi a seconda degli
individui e i livelli di gravità sono davvero tanti anche fra membri di una stessa
famiglia.
Durante il primo anno di vita il deficit d’interazione sociale è di solito conclamato
dalla mancanza di un canale di scambio caratteristico del periodo ossia il contatto
occhi-occhi, lo sguardo è sfuggente o addirittura assente.
Posture corporee anomale derivano dall'intolleranza del bambino al contatto fisico
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(il genitore ha difficoltà a tenerlo in braccio) e dalla difficoltà del piccolo di entrare
in relazione con l'altro attraverso l'adattamento del proprio corpo su quello del
genitore.
Andando avanti nello sviluppo i canoni dell'interazione sociale risultano sempre
più anomali: il bambino si ritrova tra gli altri come se non esistessero, si isola, se
chiamato può non rispondere, non cerca l'altro per condividere le proprie attività
anzi spesso lo rifiuta, l'altro costituisce a volte un mezzo per ottenere ciò che può
servirgli in un dato momento: “… Il rapporto interpersonale non è mai, o quasi mai,
completamente assente, esso tuttavia è limitato quasi sempre a richiedere qualcosa
o qualche azione e non a condividere interessi, bisogni, emozioni”.6
I sintomi descritti di solito si rivelano sia in ambito familiare che non, a scuola o in
altri contesti dove possono essere presenti coetanei, la persona autistica tende ad
isolarsi o ad adottare comportamenti di disturbo, si riscontra mancanza quasi totale
di risposta emotiva al mondo altrui.
La mancanza di competenze linguistiche, carattere tipico del disturbo, nell'autismo
non è sostituita da forme di comunicazione alternative, i canali dello sguardo, della
mimica, dei gesti sono assenti o utilizzati per soddisfare richieste. Il deficit verbale
è una chiara manifestazione del disinteresse del soggetto per l'altro e la realtà che lo
circonda in quanto il linguaggio infatti è fondamentale e privilegiato per entrare in
6 R. Militerni, “Neuropsichiatria infantile”, pg. 187, Ed. Idelson-Gnocchi, Napoli, 1999.
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Alcune persone con gli anni possono acquisire un tipo di linguaggio “particolare”
basato su ripetizione di parole o brevi frasi memorizzate ma che non centrano con
il contesto in cui ci si trova, stereotipie verbali, tono cantilenante o monotono
enfatico.
Il repertorio di comportamenti atipici, quali attività ripetitive, gestualità rigida e
perseverante, interessi ristretti è moto ricco, riporto alcuni esempi: dondolarsi,
guardarsi o muovere le mani in modo particolare, assumere posture strane, far
rotolare un oggetto, osservare una caratteristica di un oggetto, emettere sempre gli
stessi suoni, scattare con movimenti bruschi improvvisi, ripetere le stesse parole o
frasi.
Nel suddetto repertorio rientrano abitudini quotidiane come il mangiare, il lavarsi
che devono avvenire seguendo un solito rito; tale bisogno d’immutabilità si
riscontra anche in attività quali il gioco, un esempio può essere la disposizione
immodificabile di oggetti nella propria stanza.
In ultimo alla terza categoria appartiene l'attaccamento eccessivo ad oggetti insoliti
che il soggetto deve avere sempre con sé: “Gli interessi assorbenti e perseveranti
potrebbero essere legati alla raccolta di stimoli provenienti dal proprio corpo…”7
Ulteriori sintomi caratteristici dell'autismo sono l'iperattività, i soggetti che ne sono
7 Militerni, ibidem, pg. 191.
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affetti non stanno quasi mai fermi o camminano avanti e indietro, condotte
aggressive verso se stessi e gli altri, una grande sensibilità agli stimoli sensoriali di
natura uditiva che scatena reazioni di panico (ciò accade anche rispetto a
determinati stimoli visivi).
Indagini di carattere statistico hanno rilevato che almeno un terzo delle persone
adulte autistiche manifesta disturbi epilettici, in modalità diverse a seconda dell'età
di insorgenza.
Tengo a sottolineare che un autistico, nonostante l'elevata frequenza di comorbidità, quindi di associazione con Ritardo
Mentale, può essere dotato di particolari
abilità come la memoria per infiniti numeri o
date, la capacità di leggere o recitare interi
testi, far musica, cantare, suonare.
Un caso eclatante è Derek Paravicini8. Derek
ha poco più di 27 anni, ed è autistico. E' un
genio, cieco dalla nascita.
Nato prematuro, di sole 25 settimane e pesava
pochissimo. Riuscirono a salvargli la vita per miracolo, ma l'ossigenoterapia, a cui
fu sottoposto, gli causò danni irreversibili, rendendolo cieco, e condizionando il
8 Wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Derek_Paravicini) consultato in Maggio 2010.
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suo sviluppo evolutivo.
Il fatto è però che il bambino Derek a due anni, invece di iniziare a parlare,
cominciò a pigiare i tasti di un pianoforte, regalatogli dalla tata, riproducendo senza
difficoltà ogni sorta di canzone o ninna nanna. A 4 anni aveva già iniziato a suonare
pezzi impegnativi, e a 9 cominciò ad esibirsi in pubblico, suonando jazz alla
Barbican Halls di Londra.
Derek riesce ad immagazzinare migliaia di brani musicali nella sua memoria, e a
riprodurli con facoltà prodigiosa. Derek possiede l'orecchio “assoluto”. Non solo
riconosce una singola nota, ma degli esperimenti hanno dimostrato che è in grado
di ascoltare e riprodurre anche un gruppo numeroso di note che non
necessariamente formano accordi. In un episodio dello show americano
“Extraordinary People” a lui dedicato ed intitolato “The Musical Genius”, un
pianista seduto di fianco a Derek pigiava anche dieci note diverse su un piano e il
“genio” riusciva immediatamente a riprodurle sul proprio strumento.
p. 2.2: Le tappe evolutive
Il termine autismo (dal greco autòs che significa sé stesso) fu utilizzato nel 1911 da
Bleuler nell'ambito della schizofrenia che voleva indicare così un comportamento
caratterizzato da chiusura ed isolamento nelle relazioni con gli altri. In seguito nel
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1943 Leo Kanner riprese il termine non più per indicare un sintomo ma una precisa
entità patologica rappresentata da determinati elementi.
La storia inizia con l'ipotesi originaria di Kanner che pur ammettendo che le cause
del disturbo fossero sconosciute, insisteva sul carattere congenito del disturbo,
aprendo la strada ad una spiegazione genetica del disturbo.
Successivamente, in particolare negli anni 60-70, cominciò a dominare la tesi
psicodinamica secondo cui l'autismo derivava da una fallimentare prima relazione
oggettuale con una realtà, rappresentata in primis dalla madre, incapace di
soddisfare i bisogni di protezione, calore, contenimento e che portava il piccolo a
chiudersi in un suo mondo: erano gli anni del boom dell' espressione madrifrigorifero.
Nel corso del tempo il modello interpretativo descritto è stato oggetto di numerose
valutazioni critiche supportate principalmente dai progressi della neurobiologia che
si sono avvalsi delle più recenti tecniche di indagine quali la tomografia ad
emissione di positroni (PET) o la risonanza magnetica (fMRI), che permettono di
rivelare la distribuzione differenziale del flusso sanguigno cerebrale durante
l'esecuzione di compiti sensoriali-percettivi, motori o cognitivi.
Oggi grazie a tali tecniche sono state individuate le strutture neuroanatomiche ed i
sistemi dei neurotrasmettitori con le relative anomalie riguardanti il disturbo
autistico.
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Le anomalie sono state riscontrate in diverse strutture cerebrali quali il cervelletto,
e un insieme di strutture che costituiscono il sistema limbico: l'amigdala,
l'ippocampo, i corpi mammillari ed il giro cingolato. Il cervelletto è situato subito
sopra il tronco cerebrale, è suddiviso in due emisferi ed è rivestito dalla corteccia
cerebellare, da esso dipende lo svolgimento di funzioni quali l'equilibrio, il
movimento, la postura.
Nel cervelletto di un soggetto
autistico
è
stata
rilevata
una
diminuzione
delle
cellule
del
inibitori
che
Purkinje,
neuroni
regolano i movimenti complessi e
coordinati
impedendo
un
movimento troppo brusco.
Suddetta riduzione avverrebbe nel
tardo periodo prenatale, da essa potrebbero dipendere gli “scatti” motori propri di
chi è affetto da autismo.
Il sistema limbico è una rete di strutture subcorticali che formano anse all'interno
dell'encefalo e collegano l'ipotalamo alla corteccia cerebrale; queste regioni sono
importanti per il controllo delle risposte emotive alle situazioni esterne, in
particolare l'ippocampo è legato allo svolgimento delle funzioni della memoria e
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dell'apprendimento.
Anomalie del sistema encefalico descritto potrebbero essere collegate alla quasi
totale mancanza di risposta emotiva alla realtà, propria del disturbo autistico, in più
in esso sono presenti i recettori dell'ossitocina, un ormone responsabile della
capacità di empatia e comprensione dello stato d'animo altrui.
E' stato anche evidenziato mediante studi post-mortem un aumento del volume del
cervello, le cui cause sono ancora da chiarire, le ipotesi fatte riguardano un
aumento della proliferazione cellulare non seguita da morte cellulare e mancanza di
sfoltimento delle sinapsi.
Inoltre alcune aree della corteccia cerebrale sono caratterizzate da ipometabolismo.
Diversi studi hanno indagato e indagano tuttora sul coinvolgimento di alcuni
neurotrasmettitori nell'autismo, primo fra tutti la serotonina: è stato confermato che
una certa proporzione di individui autistici hanno aumentati livelli di serotonina nel
sangue e nelle urine che si riflette in una bassa presenza del neurotrasmettitore nel
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sistema nervoso centrale.
La serotonina viene sintetizzata nel cervello e in altri tessuti, svolge un ruolo
importante nella regolazione dell'umore quindi in relazione a cambiamenti
repentini degli stati d'animo (improvvisa aggressività o al contrario atteggiamenti
depressivi).
p. 2.3 I primi passi importanti verso grandi scoperte
Oggi, come ha ricordato il Prof. Michael Rutter durante l'ottavo Congresso
Internazionale sull' autismo tenutosi a Oslo nel 2007, c'è ancora tanto da scoprire su
tale disturbo, che colpisce un'elevata percentuale della popolazione mondiale,
sebbene i progressi della scienza supportati dalla ricerca abbiano prodotto risultati
importanti.
Negli anni ottanta Alfred e Francoise Brauner, due coniugi francesi da poco
scomparsi, l'uno linguista e sociologo dell'infanzia, l'altro pediatra e psichiatra
infantile scrissero una “Storia degli autismi” in cui inquadrano il problema autismo
partendo dalle favole dei bambini fatati per approdare alla ricerca scientifica. I
coniugi si sono a lungo impegnati e hanno dedicato la propria esistenza soprattutto
ai figli “cambiati” dell'autismo, perché potessero essere sottratti alle fate e
ricondotti alla realtà. Ritornando a M. Rutter, clinico e ricercatore inglese, è bene
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ricordare che tra i suoi contributi più importanti nel campo dell'autismo, si
rivelarono fondamentali gli studi sulla base genetica del disturbo, accompagnati
dalla messa a punto dei test diagnostici attualmente più utilizzati per
l'identificazione della sindrome e l'analisi approfondita delle analogie e delle
differenze tra il comportamento dei giovani con autismo e quello dei bambini
cresciuti in stato di deprivazione sociale.
Nell'intervento presentato a Oslo, Rutter ha offerto un’autorevole analisi critica
dello stato della scienza: ”Cosa abbiamo imparato dall'imponente mole di dati
raccolti da quando l'autismo è stato descritto per la prima volta? Quali sono i punti
fermi, le questioni irrisolte?”.9
Il grande scienziato inglese ha indicato una serie di punti cruciali. Il più importante
risultato ottenuto dalla ricerca scientifica sull'autismo è la dimostrazione certa della
base genetica del disturbo.
L'intuizione fu dello stesso Rutter, risale intorno agli anni 60-70, quando
l'egemonia culturale della psicoanalisi dominava oscurando le ricerche in altre
direzioni; gli studi di ricorrenza familiare, condotti con metodiche quantitative
provarono che individui che condividono parte del corredo genetico (ad esempio i
fratelli, ma ancora di più i gemelli monozigoti) hanno un maggiore rischio di avere
lo stesso disturbo rispetto a individui che non condividono, o condividono in modo
9 Periodico Quadrimestrale Informautismo, La ricerca nell'autismo, a che punto siamo e dove
stiamo andando, n. 17, maggio-agosto 2007.
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minore, il corredo genetico.
Gli studi eseguiti dimostrarono la forte influenza di fattori ereditari nell'autismo,
tuttavia ne hanno individuato anche la complessità genetica: i pattern di ereditarietà
non erano compatibili con i modelli monogenici mendeliani ma suggerivano il
probabile coinvolgimento di molteplici geni (ereditarietà poligenica).
Dalle prime analisi sulla prevalenza dell'autismo tra fratelli gemelli e fratelli non
gemelli si passò ad analisi sempre più sofisticate condotte in modo indipendente da
diversi gruppi di ricerca, che coinvolsero campioni sempre più estesi.
I risultati indicarono che l'autismo era la sindrome psichiatrica maggiormente
ereditabile, e contribuirono in modo determinante a superare gli scetticismi sulla
base biologica del disturbo.
I progressi nella ricerca genetica hanno poi permesso di identificare, alla fine degli
anni novanta, la presenza di aspetti patologici in alcuni parenti di primo grado dei
soggetti con autismo.
Si tratta di elementi che pur non raggiungendo la soglia della patologia hanno dei
tratti comuni con il disturbo conclamato: ad esempio, i fratelli e i genitori dei
bambini con autismo hanno un rischio più alto del normale di avere ritardi o
anomalie nello sviluppo della comunicazione verbale.
Lo stesso fenomeno può interessare altre aree, come la reciprocità sociale,
l'attenzione visiva e le funzioni esecutive.
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Un alone di mistero o quantomeno di relative incertezze aleggia tuttora intorno al
disturbo autistico, ma di certo le credenze sacro-magiche tendono a scomparire del
tutto per lasciare il posto alle sempre più notevoli scoperte in merito.
Il Prof. Rutter assieme ad altri colleghi, con le sue intuizioni provate poi
scientificamente, ha costituito un avvio di motore di ricerca fondamentale,
alimentando il desiderio nel campo della ricerca di andare avanti, e di progressi se
ne son fatti.. come vedremo nelle prossime pagine.
p.2.4 Brevi cenni sul “Progetto Genoma Autismo”
Di recente diversi quotidiani italiani e internazionali hanno riportato una notizia
relativa ad uno studio sulla genetica dell'autismo, pubblicato dalla rivista scientifica
“Nature Genetics”.
La notizia in realtà, è stata fraintesa o comunque i titoli che la introducevano sono
risultati eccessivi, come ha tenuto a precisare Elena Maestrini, docente
dell'Università di Bologna e parte attiva del Progetto Genoma Autismo. Non è stato
trovato “il gene” dell'autismo, dato che si ritiene che il disturbo sia causato dalla
combinazione di più fattori genetici, quindi non ci si aspetta di trovare una singola
causa, viceversa una serie di geni che possono condurre alla malattia.
“Aver trovato un difetto nel gene della neurexina 1 è di grande interesse, in quanto
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è un gene che insieme ad altri regola i contatti e la comunicazione tra i neuroni,
facendo ipotizzare che questo rappresenti uno dei meccanismi comunemente
alterati nell' autismo. Tuttavia ci aspettiamo che nella maggioranza dei casi le cause
genetiche siano alterazioni in più geni e non solo in uno. […] I primi risultati
aprono la strada all' identificazione dei meccanismi implicati nella predisposizione
all' autismo. Ora si può sperare di arrivare a nuovi trattamenti”.10
Lo studio pubblicato da “Nature Genetics” parla dei primi risultati della ricerca di
un grande progetto internazionale (vi partecipano più di 50 gruppi di ricerca in
USA e in Europa), Progetto Genoma Autismo per l'appunto, che ha esaminato il
DNA di più di mille famiglie con almeno due casi di autismo, per rilevare diversi
caratteri genetici relativi alla malattia. Tramite una tecnica di studio innovativa,
sono state identificate alcune regioni cromosomiche che conterrebbero geni
coinvolti nell'autismo, in particolare una zona del braccio corto del cromosoma 11.
Inoltre è stato riscontrato un difetto nel gene della neurexina 1; il dato interessante
è che questa proteina è coinvolta nel meccanismo che va a creare i contatti tra i
neuroni, quindi si ipotizza che “difetti” a questo livello possano essere coinvolti
nelle cause della patologia in questione. Sono di certo scoperte di rilievo queste
descritte ma il percorso da fare è lungo e sarebbe eccessivo proiettare le ultime
novità su tutto il problema autismo, disturbo sul quale c'è ancora tanto da scoprire.
10 Intervista di Mario Pappagallo a Elena Maestrini pubblicata su corrieredellasera.it, “genoma
autismo: adesso dobbiamo capire come agisce”, 19 Febbraio 2007.
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CAP. III: “I NEURONI SPECCHIO E L'AUTISMO”
p. 3.1 “I favolosi quattro” del laboratorio di Parma
“Rizzolatti, Gallese, Fogassi, e Fadiga furono i favolosi quattro che insieme
trasformarono le neuroscienze, un po' come i Beatles trasformarono la musica”:11 il
gruppo di neurofisiologi citato scoprì per la prima volta i neuroni specchio,
iniziando a lavorare con il macaco nemestrino, una scimmia che solitamente viene
utilizzata nei laboratori di ricerca di tutto il mondo.
L'equipe si è concentrata su una specifica area indicata come F5 situata in una
regione chiamata corteccia premotoria che costituisce la parte di neocorteccia,
riguardante la pianificazione, la selezione e
l'esecuzione di azioni; essa contiene migliaia
di
neuroni
che
codificano
determinati
comportamenti quali azioni della mano
come afferrare, tenere, e soprattutto portare
oggetti alla bocca.
La scelta è caduta sull'area F5, perché gli scienziati hanno riflettuto sul fatto che
noi esseri umani compiamo ogni giorno azioni che riguardano prensione e
11 Marco Iacoboni, “I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri”, pg. 25, Ed. Bollati
Borlinghieri, Torino 2008.
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manipolazione di oggetti: l'indagine svolta voleva essere quanto più possibile
aderente alla realtà.
Vari esperimenti hanno condotto l'equipe a raccoglier molte informazioni
sull'attività delle cellule motorie dell' F5, duranti esercizi sull'afferramento eseguiti
con le scimmie.
Segue uno degli aneddoti da cui partì tutto…
Circa venti anni fa mentre Vittorio Gallese era in laboratorio e una scimmia era
tranquillamente seduta, all'improvviso nel momento in cui egli afferrò qualcosa il
computer collegato tramite elettrodi applicati sul cervello dell'animale, rilevò una
scarica di attività.
L'esperienza di Gallese colse che la scarica era stata prodotta da una cellula
appartenente all'area F5, e così fu confermato da precisi esperimenti.
Accadeva che le cellule motorie potevano attivarsi anche quando l'animale restando
fermo, osservava semplicemente un'azione compiuta da un altro. Da allora si
cominciò ad usare l'espressione “neuroni specchio” per spiegare che l'attività di
determinati neuroni di chi osserva un'azione “rispecchiano” il comportamento dell'
osservato come se stessero partecipando essi stessi al compimento dell'azione.
In seguito, nella porzione più laterale dell'area F5 fu riscontrata una predominanza
di neuroni motori che si attivano durante l'esecuzione di atti motori della bocca; la
stimolazione elettrica intracorticale del settore laterale di F5 evocava movimenti
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delle labbra e della lingua.
All'interno di questa regione motoria della bocca furono individuati anche neuroni
specchio che si attivano quando la scimmia osserva gesti oro-facciali eseguiti da un
altro.
Tra i gesti efficaci nell'attivare tali neuroni furono rilevati in primis quelli ingestivi,
cioè legati alla prensione a alla ingestione di cibo, ma una percentuale significativa
venne fuori anche da gesti comunicativi.
Le azioni osservate che determinano la risposta dei neuroni specchio ingestivi sono
in genere l'afferramento con la bocca, lo spezzamento coi denti, il succhiare; questi
neuroni mostrano la stessa specificità dei neuroni specchio della mano che si
riscontrano in maggior percentuale nella porzione mediale di F5. Come per i
neuroni specchio della mano, nella maggior parte dei neuroni specchio ingestivi vi
è un'ottima congruenza tra il gesto osservato e il gesto eseguito che attivano il
neurone.
In definitiva i neuroni specchio costituiscono un sistema neuronale che mette in
relazione le azioni esterne eseguite da altri con il repertorio interno di azioni dell'
osservatore e si configurano come un meccanismo che consente una comprensione
implicita di ciò che viene osservato.
Di conseguenza tali cellule hanno contribuito a fornire un repertorio di dati
rilevanti per la comprensione dei meccanismi della cognizione sociale, dei perchè
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ci si relaziona all'altro in un modo invece che in un altro, e tutto ciò è stato
confermato dalla scoperta dell'esistenza di un analogo sistema specchio nell'uomo.
p. 3.2: Dal macaco all'essere umano
La TMS un esperimento di stimolazione magnetica transcranica, ha dimostrato per
la prima volta l'esistenza del sistema specchio nell'uomo, mediante l'applicazione di
uno stimolo magnetico sulla regione frontale della testa di un soggetto, che
permette di evocare delle risposte muscolari a livello periferico mediante
elettromiografia.
Durante l'esperimento i partecipanti venivano istruiti ad osservare atti motori come
una mano che afferra degli oggetti eseguiti da uno sperimentatore.
Lo studio ha dimostrato che la risposta muscolare della mano era molto più ampia
quando il soggetto osservava gli atti di afferramento rispetto a quando era a riposo
o quando osservava semplicemente degli oggetti. Ne conseguiva che l'osservazione
di un atto motorio eseguito dalla mano di un altro individuo attiva le regioni
motorie dell'osservatore, aumentandone la responsività allo stimolo magnetico.
La localizzazione anatomica del sistema specchio nell'uomo è stata rivelata per
mezzo della PET, tomografia ad emissione di positroni, e della fMRI, risonanza
magnetica, che come spiegato in precedenza rivelano le diverse modalità di
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svolgimento del processo di metabolismo del sangue durante l'esecuzione di
compiti motori e non solo.
Le aree coinvolte in una determinata azione hanno un metabolismo maggiore e
quindi richiamano una maggiore quantità di sangue.
Si è dimostrato che durante l'osservazione di differenti atti motori eseguiti da
diversi effettori come bocca, mano, piede, si ha l'attivazione di un circuito corticale
che corrisponde approssimativamente a quello dei neuroni specchio nel macaco. In
particolare i risultati di un recente studio fMRI hanno provato che durante
l'osservazione di differenti atti motori di prensione con la mano si ha un'attivazione
delle aree 44 e 45 di Brodmann e del lobulo parietale inferiore; azioni eseguite
dalla bocca attivano in maniera bilaterale la corteccia premotoria ventrale e l'area di
Broca, deputata alla costruzione del linguaggio.
Lo studio ha anche mostrato che nell'uomo a differenza della scimmia,
l'osservazione di azioni senza oggetto induce l'attivazione del sistema specchio; le
scimmie non usano la mimica, gli uomini si e quindi i neuroni specchio scaricano
per azioni più astratte di quanto possa accadere per le scimmie, ciò è facilmente
spiegabile attraverso i numerosi stadi evolutivi che separano il genere umano da
quello animale.
Inoltre il sistema, come anche nei macachi, non risulta confinato alle azioni
transitive su oggetti ma coinvolge azioni facciali-comunicative. Sempre durante
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studi recenti i partecipanti guardavano filmati senza sonoro in cui individui
muovevano le labbra per parlare o un cane abbaiava: l'osservazione di tali azioni
comunicative, indipendentemente dalla specie di attore osservato, attiva la parte
premotoria della regione di Broca.
Ricapitolando ogni volta che siamo spettatori di azioni eseguite con diversi effettori
si determina quindi l'attivazione di settori specifici della nostra corteccia
premotoria; questi settori corticali che si attivano sono gli stessi che si attivano
quando eseguiamo le stesse azioni.
Ciò equivale a dire che ogni volta che osserviamo le azioni altrui il nostro sistema
motorio “risuona” assieme a quello dell'agente osservato.
Un aspetto di notevole importanza riguarda i risultati di studi recenti che hanno
suggerito che il sistema specchio possa anche essere alla base della comprensione
delle intenzioni alla base delle azioni altrui.
In particolare durante l'esperimento della tazza da tea eseguito presso il laboratorio
diretto da Marco Iacoboni, i soggetti dovevano osservare tre sequenze filmate
diverse: tramite risonanza magnetica si è riscontrato che le aree cerebrali
caratterizzate dalla presenza di neuroni specchio hanno subito una maggiore
attivazione alla vista dell'ultima delle sequenze proposte, quella in cui il contesto
suggeriva quale intenzione potesse essere associata all'azione di afferramento della
tazza, rispetto alla reazione provocata dal primo filmato in cui compariva l'azione
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citata senza contesto e dal secondo filmato dove era presente solo il contesto.
L'ulteriore dato interessante emerso è che le aree-specchio si attivano
indipendentemente dal fatto che i soggetti debbano o meno determinare
esplicitamente l'intenzione delle azioni osservate: “Il processo di riconoscimento
dell'azione e del suo perché, lascia supporre che un individuo effettui una sorta di
simulazione o di imitazione interna delle azioni osservate grazie all' azione dei
neuroni specchio”.12
L'azione e l'intenzione che ne era alla base, nell'esperimento suddetto, sono
semplici e prive di implicazioni emotive; spesso invece ognuno di noi si trova a
vivere o ad essere semplice spettatore di azioni le cui intenzioni hanno un carattere
fortemente emotivo.
La funzione dei neuroni specchio è dunque quella di rappresentare azioni a livello
cerebrale perchè avvenga una comprensione delle stesse. Si sostiene che gli
individui riconoscano le azioni fatte da altri in quanto la popolazione di neuroni
attivata nella loro area premotoria durante l'osservazione è congruente a quella che
si genera internamente per riprodurre tale azione.
Infatti i neuroni specchio permettono una rappresentazione interna o meglio una
simulazione incarnata di una determinata azione reale, sia essa linguistica o sociocomportamentale.
12 M. Iacoboni, ibidem, pg. 33.
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Nell'aiutarci a riconoscere le azioni altrui, i neuroni specchio contribuiscono anche
alla comprensione delle ragioni più profonde che sono dietro a quelle stesse azioni,
creando i piccoli miracoli della nostra quotidianità, che sono alla base del modo in
cui governiamo le nostre vite, che ci legano gli uni agli altri, sul piano mentale e su
quello emotivo.
p. 3.3 Verso una nuova comprensione del disturbo “sociale” dell'autismo
La scoperta dei neuroni specchio supportata dalle tante indagini scientifiche ha
inondato di un fascio di luce le problematiche legate al disturbo autistico,
soprattutto in relazione alle cause del problema primario che caratterizza la
patologia ovvero quello inerente alla compromissione delle interazioni sociali.
I dati empirici hanno offerto prove man mano sempre più tangibili del fatto che da
tali cellule motorie possa dipendere l'incapacità propria del soggetto autistico di
imitare gli altri anche “internamente”, comprendere le loro intenzioni, sentimenti
ed emozioni.
Per decenni il deficit d’imitazione da autismo è stato del tutto trascurato, in quanto
dominava la cosiddetta “Teoria della mente” secondo cui l'essere umano è dotato
fin da piccolissimo di un modulo innato che lo supporta nel costruire teorie sulle
altre persone, conducendolo poi alla comprensione di ciò che gli altri fanno o
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pensano; una disfunzione di questo ipotetico modulo di natura cognitiva
provocherebbe il tipo di problema “sociale” proprio dell'autismo.
Verso l'inizio degli anni novanta le acque cominciano a smuoversi, nel senso che
studiosi come Peter Hobson e Anthony Lee dello University College di Londra,
puntarono ad approfondire il deficit di imitazione, convinti che fosse la chiave dei
problemi relazionali del disturbo autistico.
Diversi esperimenti (di cui è rinomato quello del portapipe bacchettato e del
giocattolo poliziotto premuto con diverse intenzionalità), li condussero a sostenere
che un soggetto autistico non riesce ad imitare gli altri in quanto non è in grado di
identificarsi con loro e capirne le azioni e le intenzioni diverse: “E' come se i
bambini con l'autismo fossero quasi ciechi verso i sentimenti degli altri, come se
non si commuovessero per ciò che le altre persone provano”.13
Il punto centrale degli studi di Hobson e Lee risiede nel riconoscimento del fatto
che la capacità maggiormente compromessa sia il carattere sociale, affettivo
dell'imitazione rispetto a quello cognitivo.
Diversi gruppi di scienziati non molti anni fa hanno ipotizzato una disfunzione del
sistema specchio nelle fasi iniziali dello sviluppo di un bambino che avrebbe poi
provocato tutta una serie di reazioni legate fra loro il cui esito costituiva l'autismo.
Di recente tecniche di indagine all'avanguardia come la MEG, guidate da studiosi
13 Peter Hobson, “The Cradle of Thought. Exploring the origins of thinking”, pg. 81, Ed. Oxford
University Press USA, 2005.
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come Riitta Hari hanno offerto dati sul diverso modo in cui pazienti affetti ad
autismo attivano il proprio sistema specchio durante esercizi di imitazione rispetto
a pazienti normali. Infatti sfruttando la possibilità di cogliere eventi cerebrali
nell'arco di pochi millisecondi grazie alla MEG, hanno rilevato che in un paziente
autistico le connessioni neurali tra neuroni specchio e sistema limbico (coinvolto
nella sfera emotiva dell'essere umano) risultavano troppo lente, non funzionavano
correttamente, provocando la compromissione delle facoltà relazionali.
Mi piace riportare un esperimento di Amy Klin, psichiatra brasiliano che lavora
allo Yale Child Study Center; egli ha dimostrato che giovani autistici osservavano
scene di tipo sociale in modo del tutto diverso da da quelli con sviluppo normale.
In quegli studi venne impiegato un “eye tracker”, strumento che rileva i movimenti
oculari per soffermarsi poi sulle modalità di fissazione visiva in soggetti autistici e
normodotati mentre guardavano sequenze di filmati dove ad esempio due o più
persone conversavano animatamente.
I soggetti autistici non posavano i loro sguardi sugli occhi degli individui e più
grave era il livello del disturbo di cui erano affetti e più la loro attenzione visiva si
concentrava su particolari o oggetti della scena osservata invece che sulle persone
come accadeva per i soggetti normodotati. I soggetti affetti da forme di autismo la
cui capacità di socializzare risultava più adeguata, fissavano i loro sguardi sulla
bocca delle persone che parlavano, ma non sugli occhi...
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L'equipe di Parma guidata da G. Rizzolatti iniziò i suoi studi spinta dal sogno di
poter arrivare a scoprire meccanismi in grado di spiegare disagi gravi causati da
danni cerebrali: “non cercavano, né si aspettavano di trovare i neuroni specchio, ma
la loro scoperta una volta compiuta ha comunque aperto tutto un fronte di nuove
speranze”.14
14 M. Iacoboni, ibidem, pg. 137.
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CAP. IV: “DAVIDE INSIEME ALLA MUSICA... E AGLI ALTRI”
p. 4.1: Un setting per Davide
Come già accennato, ho svolto il project work di musicoterapia nella scuola media
frequentata da Davide, una volta alla settimana, quando volgeva al termine la
giornata scolastica, quindi in orario pomeridiano, gli incontri si sono susseguiti
dalla metà di Ottobre 2009 alla fine di Maggio 2010.
Il luogo assegnato allo svolgimento del progetto era una stanza dell'edificio adibito
a sala di “sostegno” per i ragazzi con handicap, si presentava abbastanza caotico,
dispersivo, con materiale di vario genere, lo spazio non era ben sfruttato per come
erano posizionati un tavolo, un armadio, delle sedie, cuscini, tappeti di gomma ecc.
Dopo il primo incontro con Davide decisi di modificare un po' lo scenario che
avrebbe fatto da sfondo ai nostri incontri, quindi ottenuta la possibilità di farlo,
ogni volta arrivando un po' prima in istituto creavo quello che secondo me potesse
essere un setting adatto ad accogliere Davide.
Innanzitutto ottenevo maggiore spazio cambiando la posizione della suppellettile,
riordinavo il materiale scolastico sparso un po' dappertutto e facevo entrare la
musica...
Gli strumenti Orff utilizzati (maracas, cembali, tamburelli, congas) posizionati sul
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pavimento, solitamente formavano una sorta di cerchio aperto, pronto ad accogliere
il giovane con i suoi colori e forme diverse, all'interno del cerchio su una sedia
mettevo un tastierina di due ottave e vi appoggiavo la mia chitarra.
Fuori dal cerchio altre sedie e cuscini rappresentavano la diversa modalità in cui io
e Davide avremmo potuto comodamente sistemarci, scelta sempre dal giovane a
seconda di come si sentiva ogni volta.
Ho preferito quando brillava il sole, utilizzare la luce naturale, i neon della stanza
mi sembravano troppo opachi, quindi ero solita alzare del tutto le tendine e far
entrare quanta più luce possibile.
Durante il percorso ho arricchito con piacere il setting con oggetti alternativi, come
strumentini musicali costruiti da me con materiale che avevo a casa o nella scuola
dove lavoro (bottiglie di plastica, corda, legno, carta colorata e di vari tipi).
Una musica di sottofondo, scelta sempre per un motivo, accompagnava l'ingresso a
mo di rincorsa di Davide, poteva essere sostituita dal suono della mia chitarra o
dalla mia voce o da entrambe le esecuzioni. Agli incontri hanno partecipato una
volta l'educatore di Davide, una volta il padre e durante il periodo finale del
percorso una ragazza della scuola non vedente, amica d'infanzia di Davide,
compagni di classe del ragazzo e allievi della scuola.
Un setting così strutturato ha avuto lo scopo di far sentire l'utente in primo luogo
accolto dalla musica, riscaldato da essa, da una sorta di riproduzione musicale del
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“rifugio” in cui egli vive.
Il rifugio man mano ha aperto spiragli di luce e cosi gradualmente sono intervenute
altre persone più o meno vicine a Davide che hanno condiviso con lui tappe del
viaggio musicale, intessendo relazioni fatte di note.
p. 4.2: Favole cantate... per la consapevolezza
Un tema fiabesco ha introdotto questo mio lavoro e ha accompagnato il percorso di
musicoterapia con Davide, ho scelto infatti di utilizzare lo strumento della favola
per il conseguimento di determinati obiettivi come ad esempio l'acquisizione
sebbene parziale della consapevolezza del contesto in cui ci trovavamo, del perché
eravamo lì e della percezione di sé in quella precisa situazione.
Alle parole della fiaba del giorno, aggiungevo l'elemento sonoro, in quanto cantavo
i racconti accompagnandomi con la chitarra; le narrazioni improvvisate avevano di
solito una melodia dolce e accogliente che introduceva il tema della
consapevolezza, il mio tono di voce assumeva l'andamento classico dei cantastorie,
un po' alla vecchia maniera delle audio-cassette che mi piaceva ascoltare da
piccola.
Partendo da una fiaba, quindi da un mondo irreale, immerso in una atmosfera di
sogno, in parte simile all' “isola che non c'è” in cui Davide si aggirava, si arrivava a
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narrare della realtà e di ciò che vi accadeva. Dopo il primo incontro ho proseguito
iniziando le sedute improvvisando il tipo di narrazioni descritte, singole frasi
musicali come: “Davide è qui a scuola e ascolta la musica”, “Davide è con
Francesca per fare musica”, “Davide ascolta con piacere la musica”, diventavano
piccole favole. Di seguito un esempio:
“C'era una volta un ragazzo, alto, con grandi occhi castani, si chiamava Davide.
Davide ogni martedì dopo aver terminato la sua giornata scolastica, si recava
nell'aula di sostegno della scuola che frequentava, al primo piano e incontrava
Francesca. Insieme ascoltavano musica, suonavano strumenti diversi, cantavano.
Quando ciò accadeva l'aula era piena di note musicali che volavano nell'aria,
facendo entrare il sole anche nei giorni di pioggia, tutto si tingeva dei colori più
belli. Francesca suonava spesso la chitarra e Davide seduto accanto a lei ascoltava
con piacere, portando il ritmo con lo schiocco delle dita della mano.”
Le narrazioni cambiavano di giorno in giorno, anche in relazione all'umore di
Davide, al suo essere più o meno presente e sceglievo di conseguenza anche lo
strumento con cui accompagnarmi, poteva essere la chitarra ma anche una piccola
percussione come il cembalo o due maracas; più volte ho suonato in queste
occasioni la tastiera che avevo a disposizione oppure è capitato che solo la mia
voce narrasse quando Davide ad esempio mi ostacolava nell'usare un determinato
strumento.
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Le melodie che venivano fuori pur rimanendo di carattere dolce come le ninnananne, cambiavano anch'esse in base alla circostanza, potevano essere in tonalità
maggiore o minore, avere un ritmo più o meno sostenuto, creare un volume più o
meno forte.
Il momento fiabesco introduttivo non durava tanto per dare spazio ai passaggi
successivi della seduta, ma ancor più col senno di poi ritengo che abbia potuto
stimolare l'attenzione del giovane durante l'attività di ascolto della favoletta e
durante i momenti successivi; gli occhi di Davide pur essendo intenti
probabilmente ad osservare qualcosa della sua isola, indicavano una sua presenza
seppure parziale e un interesse per l'ascolto di quelle note che libravano nell'aula.
p. 4.3 Imitazione sonora
Le straordinarie scoperte sui neuroni specchio hanno contribuito a rafforzare la tesi
riguardante l'efficacia della pratica dell'imitazione nei percorsi terapeutici con
pazienti affetti da autismo, con lo scopo di stimolare la compromessa capacità
imitativa propria della patologia in questione.
Avendo approfondito, spinta da grande interesse l'argomento neuroni-specchio e il
loro coinvolgimento nella disfunzione relazionale dell' autismo, durante il ciclo di
terapie con Davide ho dedicato molto alla pratica dell' imitazione, seguendo una
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linea indicativa promossa dagli studiosi del sistema specchio che suggerisce
l'impiego dell' imitazione per l'appunto nel trattamento del disturbo autistico,
essendoci già delle prove scientifiche che ne dimostrano gli effetti benefici.
“Infatti quando il terapista imita il paziente, potrebbe riuscire ad attivare i suoi
neuroni specchio, che a loro volta, aiutano il paziente a vedere, letteralmente, il
terapista”.15
In questo caso la pratica imitativa ha avuto come supporto fondamentale la musica,
partendo oltre che dal presupposto musicoterapico anche dall'interesse e dal piacere
che il giovane mostrava durante gli incontri.
Fin da quando Davide nella prima seduta produceva sillabe sonore, ho iniziato ad
imitare i suoi suoni con la voce, cogliendo così la sua attenzione; era come se i
suoni riprodotti alla sua stessa maniera creassero un'estensione di se stesso e ciò gli
procurava meraviglia ma anche stimoli alla concentrazione.
Quasi attonito o incantato il giovane ascoltava le sue sillabe prodotte da me e si
lasciava andare a sorrisi che lasciavano trasparire sensazioni piacevoli e
sembravano quasi voler dire, eccomi ci sono, ti ascolto e mi sento accolto.
Nel primo incontro, dal momento che avevo accolto Davide eseguendo alla chitarra
“L'isola che non c'è”, ben presto i suoi suoni son diventati il nuovo testo della
melodia di base del brano, lo cantavo dicendo per tutta la sua durata: “di-i, di-i”, le
15 M. Iacoboni, ibidem, pg. 157.
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paroline preferite dal giovane.
Ciò ha suscitato l'allegria di Davide, confermatami poi dal padre quando gli ho
chiesto cosa volessero significare certe espressioni e gestualità.
Mi era seduto accanto molto sorridente, composto, a volte anche se per brevi attimi
si proiettava con il busto in avanti con slancio, mi guardava e poi ritornava nella
sua posizione.
Dalla prima seduta in poi l'imitazione sonora ha costituito una costante del percorso
e ho utilizzato molto il canto come supporto; dalle paroline di Davide son passata
man mano ad imitare i suoi gesti, poi i suoi sorrisi, gli occhi tristi o sereni che
aveva, le lacrime che una volta vidi scorrere sul suo viso, i suoi stati d'animo,
arrivando quindi a toccare la sfera emozionale. Ciascuna imitazione sonora gli era
annunciata o meglio preannunciata verbalmente.
L'uso della voce mi sembrava maggiormente idoneo per tentare di ricreare
musicalmente il mondo interiore di Davide, essendo essa uno strumento così
internamente profondo, straordinariamente espressivo, tale da produrre note di
empatia durante una relazione terapeutica.
La mia voce cambiava nella tonalità, nella modulazione, nel volume a seconda di
come vedevo Davide interagire con me e con la musica. Tra sillabe, paroline,
sorrisi, lacrime uno spazio particolare è stato dedicato al cuore e al suo ritmo vitale.
Servendomi di piccole percussioni e voce ho più volte riprodotto il tempo binario
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cardiaco, facendo riferimento al fatto che in quel momento il cuore di Davide stava
parlando e poteva essere più emozionato, ecco quindi che il battito musicale veniva
accelerato, poteva essere rilassato per l'ascolto di musiche dolci e di conseguenza il
battito musicale rientrava nella sua struttura di base.
Attraverso la pratica dell'imitazione ho avuto modo in primis di tessere un filo di
collegamento tra me e Davide, presupposto fondamentale per impostare un
percorso terapeutico, e poi ha permesso che il giovane aprisse gli occhi sul mondo
esterno anche se non sempre.
Dopo diversi incontri ho potuto constatare come Davide fosse più attento durante i
momenti in cui vedeva riflesse dalla musica parti di sé, e tale rispecchiamento ha
costituito una base solida per permettergli di imitare a sua volta movimenti che gli
suggerivo di fare con le mani, a tempo, mentre cantavo semplici melodie o su uno
strumento a percussione.
Spesso ho inserito l'invito ad imitare durante canzoni particolarmente gradite
cogliendo Davide in uno stato di contentezza che rappresentava un input in più a
cogliere lo stimolo che gli offrivo.
Oltre che con le mani i movimenti ritmici indicatigli poteva riprodurli anche con i
piedi, con le braccia. Partendo dai suoi suoni prodotti vocalmente che accoglievo
ed imitavo, man mano i ruoli si sono invertiti, era Davide che accoglieva ed
imitava le sillabe sonore che cantavo per lui, prima in maniera quasi impercettibile
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poi con tono più deciso e con movimenti della bocca che suggerivo di eseguire, atti
a facilitare l'emissione sonora.
Le risposte di Davide agli stimoli imitativi non sono sempre arrivate, potevano
anche mancare del tutto ma i momenti in cui essi venivano “afferrati”, anche se per
brevi istanti, ci son stati, e le porte di un mondo incantato sono state attraversate
dalla musica...
p. 4.4 Le “antiche ninna-nanne”
Prendendo spunto da un ricco e significativo lavoro del Prof. Rolando Benenzon,
ho inserito nel project work l'elemento del vissuto sonoro del periodo natale e prenatale proponendo l'ascolto di suoni e melodie dolci con lo scopo di ricreare per
Davide un'atmosfera calda ed accogliente che potesse ricordargli l'alba della sua
vita, le carezze musicali che avrà ricevuto dai tanti suoni percepiti dal feto e
durante i primi giorni di vita tra le braccia della madre.
Volevo che il giovane sentendosi rilassato e così accolto, avesse strumenti in più
per potersi esprimere anche solo con sorrisi più presenti all'ascolto di suoni che lo
riportassero alle sensazioni reali di calore e affetto ricevuti da piccolissimo.
Anche in questo caso ho preferito utilizzare la mia voce in prevalenza rispetto ad
uno strumento, e adattarla ai suoni che intendevo riprodurre tramite diversa
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modulazione e intensità.
Di solito partivo con il canto dell'iniziale battito cardiaco, dei respiri e dei loro ritmi
diversi, dei rumori di gestazione che immagino potessero crearsi nel ventre
materno per arrivare ad eseguire delle ninna-nanne che ricordassero a Davide le
sensazioni dolci dell' essere cullato.
Utilizzando gli intervalli di terza propri delle ninna-nanne più famose, e in questo
caso accompagnandomi con la chitarra o con la tastiera ho più volte improvvisato
melodie le cui caratteristiche ritmiche e cadenze potevano ricordare una ninnananna.
Le parole dei testi cambiavano al momento, Davide me le suggeriva con i suoi
occhi, con i movimenti ripetuti della mano, con i sorrisi o la tristezza che il suo
sguardo trasmetteva.
Dentro di me è rimasto scalfito il ricordo di una ninna-nanna di cui ho condiviso
l'ascolto durante l'infanzia con chi mi ha donato la vita: poiché ritengo che quanto
più senti dentro di te qualcosa, quanto più sei legato ad essa, con maggiore
sensibilità e verità di sentimenti puoi trasmetterla a chi hai di fronte, ho scelto
molto spesso la ninna-nanna della mia infanzia per donare a Davide attraverso la
musica una parte di me e facilitare così la creazione di processi relazionali basati
sull'empatia. Riporto di seguito il testo, il brano è tratto dal film della Walt Disney
“Mary Poppins”:
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“State svegli ad aspettar, che la notte scenda giù, che la luna salga su, state svegli
ad aspettar. Tutto il mondo dormirà mentre svegli noi sarem ed insieme sognerem,
sognerem ancor così, di veder spuntare il dì”.
Ho spesso dedicato a Davide il canto di una ninna-nanna tratta proprio dal cartone
animato di Peter Pan e poi con la chitarra e a volte le percussioni, andando a ritroso
nel tempo gli facevo ascoltare melodie popolari della mia terra.
Queste hanno come tema musicale principale la sensazione del dondolio della culla
materna dei primi giorni di vita e la riproducono di continuo soprattutto con voci
dal timbro caldo e pieno.
Il tono di voce che avevo nell'eseguire la melodia era abbastanza sommesso
accompagnato dal suono altrettanto moderato dello strumento che sceglievo.
Per ricreare in Davide la sensazione dell'essere cullato e procurargli così anche
rilassamento fisico, gli ho più volte proposto l'ascolto del suono registrato delle
onde del mare che di continuo si allontanano e ritornano in riva, producendo suoni
che cullano...
I momenti di rivissuto sonoro della vita natale e prenatale sono stati molto
significativi in quanto la risposta di Davide si è espressa in termini di ascolto
attento e concentrato ma anche tramite la gestualità e la produzioni di suoni: mentre
io cantavo i respiri della prima vita, Davide su mio invito, ha suonato a volte il
battito del cuore costante servendosi di un piccolo tamburo e producendo così la
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pulsazione di base.
p. 4.5: Canzoni interrotte...
Avendo appreso dal padre che aveva abituato Davide ad ascoltare tanta musica, di
genere ed epoche diverse, fin da quando era piccolo, ho cercato di risvegliare e in
più arricchire l'identità sonora individuale del giovane proponendogli un'attività
dove protagoniste indiscusse sono state le canzoni, rivelatesi molto utili per
stimolare la compromessa capacità di linguaggio.
In realtà per seguire un percorso che procurasse stabilità, struttura, ho iniziato con
delle filastrocche e canzoncine infantili per non distaccare Davide in maniera
improvvisa da un mondo musicale vissuto in passato, per poi passare a vere e
proprie canzoni di cui ho scelto di eseguire i punti a mio avviso salienti e più
significativi e che potevano rappresentare il suo vivere presente.
Accompagnandomi con la tastiera ma ancor più spesso con la chitarra o le piccole
percussioni, ho proposto dapprima brevi sequenze melodiche come “Fra Martino
Campanaro”, “Ticche, Ticche, Tacche”, frammenti di ulteriori ninna-nanne tratte da
cartoni animati rinomati o brani dello Zecchino D'oro particolarmente caro a
Davide. Negli incontri successivi poi hanno fatto il loro ingresso “Nel blù dipinto
di blù” di D. Modugno e “Ti vorrei sollevare”, uno degli ultimi successi della
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cantante Elisa e del cantante solista del gruppo dei Negramaro.
Il primo brano mi era stato citato dal padre del giovane con riferimento al fatto che
essendo una delle canzoni preferite da lui stesso l'aveva spesso fatta ascoltare al
figlio; ho scelto invece il secondo brano pensando alla possibilità che essendo
recente venisse trasmesso frequentemente alla radio che sempre a detta del padre
Davide ascoltava in più contesti della sua quotidianità. Ho puntato quindi sulla
memoria musicale del giovane e da lì ho lavorato sul linguaggio.
Entrambe le canzoni sono molto semplici dal punto di vista ritmico, melodico ed
anche i testi e la metrica proponibili. Iniziavo a cantare le parti scelte delle canzoni,
attendevo che Davide fosse più presente, e ad un punto mi fermavo invitando il
giovane a proseguire con la parola che non avevo cantato: fin dalla prima volta
questo tipo di attività ha visto la partecipazione del ragazzo che aggiungeva la
parola mancante.
Avendo riscontrato da subito questo risultato, ho lavorato sul modo di scandire le
parole mancanti delle canzoni, invitando a ripeterle. Ero solita inoltre introdurre
brevi spiegazioni verbali sulla parola in questione che inserivo nel contesto
canzone. Di seguito le parti delle canzoni scelte per questa attività canora di
musicoterapia:
Da “Nel blu dipinto di blu”
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“ Volare, oh, oh cantare oh, oh, oh, oh, nel blu dipinto di blu felice di stare lassù e
volavo volavo felice più in alto del sole e ancora più su mentre il mondo pian piano
spariva lontano laggiù”, eseguivo questa strofa mentre Davide era immerso nei suoi
pensieri, per accompagnarlo con il mio canto nel suo vagare.
“una musica dolce suonava soltanto per me... felice di stare quaggiù con te”
nella realtà qualcuno suonava o meglio cantava per lui riconducendolo anche se per
brevi momenti ad una condizione di consapevolezza del contesto in cui si trovava,
un contesto che sembrava lo rendesse contento.
Da “Ti vorrei sollevare”
Questo è un raggio di sole, un pensiero che si riempie di te
“E' l'attimo in cui il sole diventa dorato e il cuore si fa leggero come l'aria prima
che il tempo ci porti via”: quando entrava il sole dalle grandi finestre dell'aula in
cui eravamo, ero solita cantargli con queste parole del sole e delle sensazioni che
possono donare i suoi caldi raggi.
“Ti vorrei sollevare, ti vorrei consolare, vorrei viaggiare su ali di carta con te,
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sapere inventare, sentire il vento che soffia e non nasconderci se ci fa spostare
quando persi sotto tante stelle ci chiediamo cosa siamo venuti a fare”: cantavo così
per fare sentire a Davide la mia vicinanza, il mio desiderio di potere sbirciare oltre
gli spiragli del suo mondo assieme alla musica.
Le sezioni riportate sono state tagliate appositamente per le sedute di
musicoterapia, alcune frasi sostituite con altre, come in un collage di emozioni
racchiuse nelle parole e nelle note. Ricordo che durante uno di questi canti ho visto
scorrere sul viso di Davide due lacrime silenziose che hanno si sono rivelate il
suono più emozionante della seduta.
p.4.6: “Cinema Paradiso” e la filmtherapy
Nel periodo in cui incontravo Davide una volta alla settimana i miei studi di canto
erano concentrati sulla colonna sonora composta da Nicola Piovani di “Cinema
Paradiso”, il film di Giuseppe Tornatore del 1988; alla musica infatti sono state
aggiunte in un secondo momento le parole ed è nata così una canzone il cui
carattere spontaneo e semplice a mio avviso si contraddistingue.
Una sera mentre guardavo sul canale Internet YouTube, scene del film
accompagnate dalla colonna sonora, mi soffermai su alcune in particolare in cui
due personaggi in diversi contesti parlavano tra loro, raccontandosi aneddoti,
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porgendosi domande, ridevano, scherzavano, si guardavano negli occhi ma
soprattutto si ascoltavano, interessati ciascuno dello stato d'animo dell'altro.
L'indomani portai con me per l'incontro con Davide il mio computer portatile
decisa a proporre al giovane la visione di quelle scene semplici e profonde allo
stesso tempo basate tutte sul tema della relazione, in quel caso direi empatica.
Così feci e Davide accettò la proposta, attratto dalla musica che faceva da
sottofondo si sedette davanti allo strumento da cui essa proveniva, lo sguardo
inizialmente era rivolto verso un punto della stanza e li rimase per giorni.
Sembrava che inebriato dalle note di Piovani vagasse nel suo mondo, sereno; sulla
base musicale proveniente dal video cantavo le parole del testo che parla di un
amore grande e sincero.
In uno degli incontri che seguirono in cui Davide m’invitava a prendere il computer
da dove ascoltare la musica di Cinema Paradiso, d'improvviso voltò lo sguardo
verso lo schermo e tornò a farlo più volte anche nei giorni a venire. Guardare film e
utilizzare singole scene centrate su un argomento relativo al disagio di un soggetto
può risultare terapeutico in quanto stimola l'immaginazione che è una funzione
psichica capace di attivare pensieri di tipo imitativo o costruttivo.
Come affermato in precedenza secondo le scoperte sui neuroni specchio, la sola
osservazione di azioni attiverebbe nell'osservatore tali cellule motorie come se
compiesse egli stesso l'azione.
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Una disfunzione nel sistema specchio sarebbe una delle cause della compromessa
capacità di relazione dell'autismo.
Tenendo conto di ciò ho sottoposto Davide all'osservazione
di scene accompagnate per lo più dalla musica, dove
protagonista è la relazione tra due individui.
Nella prima scena un anziano signore e un bambino
percorrono in bicicletta stradine di campagna, si sono
conosciuti da poco e si fanno domande senza guardarsi
negli occhi intenti ad attraversare il paese.
Nella seconda scena l'anziano signore e il bambino seduti ai piedi di un portoncino
su una strada si raccontano storie ed è in
particolare l'adulto che narra al bambino della
sua vita, del suo lavoro suscitando nel piccolo
ascoltatore sorrisi, espressioni di sorpresa,
domande curiose.
La terza scena è girata in riva al mare su una spiaggia desolata, il bambino è
cresciuto e l'anziano divenuto cieco dà consigli al giovane amico sul sentimento
dell'amore.
Ho scelto le tre sequenze descritte per esprimere a Davide il concetto di nascita e
sviluppo di una relazione abbastanza profonda tra due persone, sulla musica di
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Piovani ho inserito più volte parole diverse dal testo originale che spiegavano man
mano cosa accadeva nei filmati dando forma a un canto esplicativo di ciò che
Davide osservava.
In seguito ottenuto il suo sguardo rivolto anche se per brevi momenti allo schermo,
avendo entrambi uno strumento con cui suonare invitavo il giovane ad “imitare”
musicalmente le azioni viste nel le sequenze del film, azioni che gli ricordavo
verbalmente.
Una stretta di mano poteva essere riprodotta con l'accordo di Sol maggiore, una
risata condivisa con battute eseguite sul cembalo, passeggiate in compagnia con un
ritmo cadenzato sui legnetti.
Davide ha risposto a tale attività alternando momenti di partecipazione attiva
seppure solo accennando con lo strumento, a momenti di assenze lontane, durante i
quali la musica ha continuato ad essergli vicina e a bussare alle porte del suo
mondo.
p. 4.7: Il contatto con lo strumento e con gli altri...
Oltre allo strumentario Orff solitamente utilizzato durante sedute di musicoterapia e
che avevamo a disposizione, ho costruito semplici strumenti con cui fare interagire
Davide fatti di materiale che avevo raccolto nei contesti che frequento
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maggiormente; ho scelto appositamente oggetti o parti di oggetti, stoffe, colori che
potessero rappresentare la quotidianità di Davide e in cui egli potesse in un certo
qual modo vedersi riflesso come in un'estensione di sé.
Gli strumenti musicali sono oggetti specificamente creati per la produzione di
musica e per la comunicazione sonora.
Ma non solo, e non necessariamente, con essi è possibile produrre qualcosa di
musicale. Possiamo, ad esempio, produrre un ritmo con qualunque oggetto a
disposizione.
Un po' meno possiamo con essi produrre una melodia. Ma se la musica è
organizzazione delle sonorità, e se tali sonorità possono provenire anche dagli
oggetti circostanti, allora si può produrre musica e comunicazione sonora in
maniera anche molto semplice.
Tuttavia non si deve scivolare nella facile deduzione che per fare musicoterapia
non sia necessario avere a disposizione strumentari particolari. Lo strumento
musicale per la terapia, oltre a produrre sonorità definite, è anche oggetto di
investimento affettivo, e quindi è preferibile la più ampia disponibilità di strumenti
musicali all'interno della stanza di musicoterapia.
L'integrazione che ho attuato con strumenti autocostruiti, provenienti e adattati
dall'ambiente, va intesa come ampliamento delle possibilità creative nella ricerca
delle sonorità.
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Ricordo di aver creato un sottile strumento a percussione con diversi cd vuoti e
colorati, o maracas con sacchetti di plastica trasparenti da cucina con dentro tanti
tappi di bottiglie particolarmente cari a Davide secondo i racconti del padre. Con
delle conchiglie trovate tempo fa al mare, ho messo su con supporti cartacei di
vario genere una sorta di ocean drum e così via.
Ho ricavato strumenti “impropri” dalle superfici di oggetti e dalle cavità in quanto
la cavità permette la risonanza e l'amplificazione del suono, la superficie permette
la vibrazione dell'intero corpo dello strumento.
L'ingresso di tali strumenti nelle sedute ha stimolato l'attenzione di Davide che
spesso, mentre si tentava di suonare insieme magari seguendo una semplice
struttura ritmica, rimaneva a fissare determinati particolari dello strumento che
aveva scelto per poi riprendere il tempo musicale.
Il rapporto con lo strumento sia esso tradizionale che “improprio” si è rivelato
importante per ottenere dal giovane maggiore presenza mentale; sebbene rimanesse
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spesso quasi incantato a osservare particolari che lo attraevano lo strumento ha
costituito un ponte di passaggio tra me, Davide e la musica, l'oggetto mediatore,
come direbbe Benenzon, per questa triplice relazione.
Durante gli ultimi incontri Davide ha goduto della compagnia e della
partecipazione attiva di altri allievi della scuola, di cui alcuni compagni di classe e
una ragazza non vedente frequentante la scuola e in più conoscente del ragazzo fin
dall'infanzia.
Il ciclo di sedute si è così concluso con momenti davvero emozionanti in cui ho
potuto constatare come le attività condivise con altri scoprissero una parte di
Davide solare anche se a volte comunque lontana da tutto e tutti.
Spesso ho visto il giovane sedersi accanto a uno dei compagni, sorridere, porgergli
lo strumento indicatogli da me, osservare i suoi coetanei e suonare con loro ad un
mio input. In queste occasioni di condivisione delle attività con i suoi coetanei ho
introdotto la pratica dell'“Umanofono” basata sull'utilizzo del nostro corpo come un
vero e proprio strumento.
Con il corpo infatti si comunica, oltre che con la gestualità e con il modo di
apparire, con i suoni che con esso si possono emettere. A turno e in cerchio Davide
e i suoi compagni dovevano produrre, voce compresa, quanti più suoni possibili,
riproducendoli praticamente: da qui il termine “Umanofono”.
Con questo tipo di attività intendevo stimolare l'osservazione quindi l'attenzione di
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Davide sulle azioni dei compagni in modo da attivare i compromessi processi di
imitazione.
Molti suoni in realtà venivano fuori naturalmente, come una risata, un colpo di
tosse, uno starnuto; dalle risa improvvise di Davide sono scaturite quelle degli altri,
seguite da battiti di mani, sbuffi, grida, respiri, marcia dei piedi.
Alcuni dei compagni di Davide suonavano uno strumento, chi la chitarra, chi il
flauto, quindi spesso a turno hanno accompagnato il compagno, che utilizzava
invece i legnetti da lui preferiti o lo strumento costruito da me con cd vuoti,
creando un valido supporto ritmico ai movimenti sonori di Davide. Insieme si
decideva di simulare.
Mi piace riportare un'esperienza particolare che Davide ha vissuto con gli altri
basata sulla sinestesia ossia sull'attivazione di più canali sensoriali.
Quel pomeriggio portai con me fiori di stoffa profumati di diverse essenze che
distribuii a tutti, avevo invece a disposizione nell'aula del sostegno fogli da disegno
bianchi e colori. Iniziai a suonare e a cantare ciò che la circostanza mi suggeriva,
quindi improvvisando e dopo un po' invitai i ragazzi a esprimere con i colori ciò
che provavano in quel momento; erano seduti assieme intorno ad un tavolo e alcuni
di loro in particolare porgevano i fiori e poi colori e foglio a Davide che ha lasciato
sul foglio bianco, utilizzando la delicatezza dei pastelli a cera, macchie di colori
tenui, leggeri, ma allo stesso tempo intensi, una firma del suo essere fiabesco.
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CONCLUSIONI
Ero solita alla fine di ogni incontro confrontarmi con il padre di Davide che
attendeva il figlio a fine giornata scolastica e mi è risultato molto utile parlare con
lui e saperne ogni volta qualcosa in più sulla storia di Davide, sui suoi
atteggiamenti o stereotipie, su come dopo la seduta settimanale di musicoterapia
egli si fosse rapportato alla musica che ascoltava quotidianamente. In più ho avuto
incontri sporadici con la referente del sostegno all'interno della scuola e con
l'educatore di Davide. Dal confronto con queste tre persone è scaturito un piccolo
diario di bordo contenente informazioni, annotazioni, spunti di riflessione che ho
cercato di inserire anche in questa tesi.
Tutti i momenti di questo percorso sono stati per me fonte di grande arricchimento
e hanno costituito ogni volta un tassello fondamentale di un percorso iniziato lo
scorso ottobre. Di Davide porterò sempre con me l'immagine tenera e fragile di un
personaggio fiabesco, del Peter Pan dell'isola che non c'è, che ha trovato nella
musica qualcosa che gli appartiene e che l'ha reso partecipe delle emozioni che si
possono provare oltre le porte del suo mondo.
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 Corrieredellasera.it, “Genoma autismo: adesso dobbiamo capire come
agisce”, Febbraio 2007.
 Wikipedia.org, “Derek Paravicini”.
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