L`associazione in partecipazione trova i limiti

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SPECIALE - LA RIFORMA DÿbleIÿA<VÿORO°6-30- Pag. 29
Autonomi. Lotta all'elusione
L'associazione in partecipazione trova i limiti
IL NUOVO REQUISITO
Le persone impegnate in una stessa attività non potranno essere più di
tre
Luca Failla
Con la riforma del mercato del lavoro vengono riviste anche le disposizioni sull'associazione in partecipazione, istituto
già conosciuto perché disciplinato dal Codice civile ma riformato e reso dal decreto Biagi del 2003 (Dlgs 276) una vera
e propria nuova tipologia contrattuale.
Con il contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della
sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. Si tratta, quindi, di un contratto
attraverso il quale devono essere rese prestazioni di lavoro autonomo, con la conseguenza che, per distinguerlo dal
lavoro subordinato, l'attività dell'associato non deve essere stabilmente inserita nell'organizzazione dell'associante e
deve essere caratterizzata da un'effettiva partecipazione al rischio di impresa.
Già dal 2003, proprio al fine di evitare un uso non corretto di questo istituto, il legislatore aveva proweduto a regolare, in
chiave sanzionatoria, le ipotesi di elusione della relativa disciplina che prevede, significativamente, che a fronte
dell'apporto di una prestazione da parte dell'associato corrisponda una vera e propria partecipazione agli utili (o alle
perdite) con obblighi di rendicontazione da parte dell'associante. Tanto è vero che al fine di evitare fenomeni elusivi con
la Biagi era stato previsto che, nell'ipotesi in cui si accerti l'assenza di una effettiva partecipazione e di adeguate
erogazioni a chi lavora, l'associato ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai
contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attività o, in
mancanza di contratto collettivo, in una corrispondente posizione secondo il contratto di settore analogo, fatta salva la
prova contraria, da parte dell'associante.
Come spesso avviene in situazioni di "confine" e tenendo conto della finalità di contrastare in modo più incisivo
fenomeni elusivi posti in essere attraverso forme di lavoro autonomo o parasubordinato che possano, invece,
presentare in tutto e per tutto i caratteri della subordinazione, il progetto Fornero ha previsto di circoscrivere il più
possibile il ricorso a questa tipologia contrattuale che, a quanto consta, viene applicata con successo in alcuni settori
quale quello del terziario, facendo salvi, tuttavia, fino alla loro cessazione i contratti in essere alla data di entrata in
vigore della legge purché siano stati certificati.
La riforma prevede infatti, da un lato, di limitare il numero complessivo di associati impegnati in una medesima attività
(non superiore a tre) con la sola eccezione delle prestazioni rese nei confronti di associanti che siano legati
all'associato da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo grado. La sola
violazione del divieto comporta, con presunzione assoluta, la riqualificazione del rapporto in rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato.
Da altro punto di vista e, in questo caso con presunzione semplice che ammette quindi la prova contraria da parte
dell'associante (come era già previsto dalla legge Biagi), la riconduzione del rapporto con l'associato al rapporto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato viene prevista nell'ipotesi in cui venga accertato che non vi sia stata effettiva
partecipazione agli utili (qualora ovviamente ve ne siano) da parte dell'associato o nel caso in cui venga accertato che
allo stesso non sia stato consegnato il rendiconto, così come nell'ipotesi in cui venga accertato che l'apporto da parte
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dell'associato non possa qualificarsi in senso effettivo come prestazione di lavoro autonomo sulla base di criteri di
riconducibilità della stessa a specifiche competenze tecniche o teoriche acquisite attraverso rilevanti esperienze
maturate nell'esercizio concreto del l'attività. Si tratta, in quest'ultimo caso, del medesimo criterio introdotto dalla riforma
per la corretta qualificazione delle prestazioni di lavoro autonomo rese da titolari di partita Iva.
© RIPROD UZION E RISERVATA
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