Il ruolo del sociologo nella costruzione della

La professione del Sociologo in Italia : nuova
regolamentazione verso la parificazione professionale
Il ruolo del sociologo nella costruzione della cittadinanza attiva delle persone con
disabilità
La mia esperienza come sociologo, parte da una formazione di tipo qualitativo e si è
applicata, nel corso degli anni, nell’ambito della sociologia urbana.
Provengo dalla scuola ferrarottiana e ho condotto ricerche sulle periferie e sul centro
storico romano; attualmente sono impegnata in una monografia sul rione Testaccio, di
imminente pubblicazione nella collana di “Temi di storia” con la Franco Angeli, frutto di una
intensa attività interdisciplinare tra storia e sociologia.
Come professione parallelamente, lavoro come sociologa in un grande consorzio di
cooperative, di cui fa parte anche la cooperativa “Maggio 82” di cui è presidente la dott.ssa
Coramusi.
Vi ho annoiato con queste brevi note biografiche, per ragionare insieme a noi sulla grande
duttilità e capacità di indagare il sociale a tutto tondo che la nostra formazione ci permette.
Credo che i tempi siano finalmente maturi per arrivare ad una regolamentazione della
nostra professione, e l’ANS in questo sta impiegando da anni le sue energie.
Prima, con l’approvazione del nuovo Statuto avvenuta a Firenze qualche mese fa,
ora con l’intenso lavoro della Commissione Processi Formativi e di Indirizzo Scientifico
presieduta dal nostro presidente dott.Zocconali che porterà alla definizione dei criteri per la
definizione di “sociologo professionale” indispensabili per la presentazione al Ministero
della Giustizia per l’iscrizione della nostra Associazione all’Albo delle Associazioni
Professionali.
La funzione svolta dal sociologo nel terzo settore ha assunto quasi sempre una valenza
strategica ed innovativa, attraverso conoscenze, competenze, strumenti operativi che
hanno consentito l’attivazione di nuovi servizi, la realizzazione e verifica di progetti
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sperimentali, la gestione di importanti processi di trasformazione del sistema sociosanitario in relazione ai mutamenti culturali, alle nuove opportunità tecnologiche,
all’evoluzione dei bisogni dei cittadini, ai nuovi orientamenti legislativi, ai vincoli finanziari
ed organizzativi.
Rispetto ai nuovi servizi, vorrei fare solo un accenno ad un importante servizio di
consulenza per la disabilità che una delle cooperative del consorzio nel quale lavorano
due sociologhe presenti qui oggi – la dott.ssa Coramusi rappresentata ora da me ma della
quale più tardi leggerò la relazione, e la presente – gestisce in convenzione con l’Inail da
dieci anni.
Si tratta del servizio www.superabile.it . Ebbene, l’Inail ha avuto bisogno di rivolgersi ad un
soggetto terzo, né stato né mercato ma appunto ad un soggetto di “terzo settore” per
offrire ai cittadini con disabilità un servizio di consulenza per tutto ciò che concerne
richiesta e avvio di pratiche, informazioni sull’accessibilità di strutture, informazioni su
scuole e programmi di inserimento lavorativo per disabili, ecc.
Nella programmazione del servizio, è stata determinante nello staff di lavoro, la presenza
di sociologi che, rispetto ai colleghi psicologi, hanno potuto dare quel quid in più che fa la
differenza e che consiste nella capacità “revisionale” di poter immaginare come, un
soggetto con problematiche differenti da un normodato, può interagire sia con i colleghi,
sia con una persona che viveva i suoi stessi problemi e che era dall’altra parte del telefono
(al servizio si accede sia attraverso il sito sia attraverso un numero verde) in un tipico
“rapporto alla pari”.
In questi anni il sistema di welfare, ed in particolare il Servizio sanitario nazionale, si sono
rivelati dei contesti particolarmente rappresentativi in cui sia l’identità e le conoscenze
della sociologia hanno potuto esprimersi concretamente, sia le capacità del sociologo
professionale sono state utilizzate in termini operativi.
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A questo proposito vale la pena fare un breve richiamo alle competenze e alle capacità
che il sociologo professionale esprime citando il disegno di legge 3431 del 28 aprile 1999
“Ordinamento della professione del sociologo”.
1. “Le attività oggetto della professione di sociologo si fondano su metodologie e su
tecniche specifiche volte allo studio, alla ricerca, alla consulenza, alla progettazione,
all'analisi, alla valutazione empirica ed all'intervento sui fenomeni, sui processi, sulle
strutture, sulle aggregazioni, sui gruppi, sulle organizzazioni e sulle istituzioni sociali,
nonché all'indagine sugli orientamenti dell'opinione pubblica, sui modelli di
comportamento, sugli stili di vita, sugli orientamenti di valore della totalità della società o di
suoi segmenti.
2. La professione di sociologo si svolge attraverso la ricerca, l'analisi e la pratica
sociologiche aventi come oggetto le dinamiche sociali e comunicative relative a soggetti in
relazione tra loro o con strutture e sistemi culturali, economici, politici e sociali,
l'individuazione degli obiettivi e dei processi decisionali e l'indagine sugli orientamenti
dell'opinione pubblica.
3. La professione di sociologo include le attività di ricerca, di sperimentazione, di
pianificazione, di programmazione, di progettazione, di organizzazione, di valutazione, di
formazione, di didattica e di consulenza, senza pregiudizio di quanto puó formare oggetto
dell'attività professionale di altre categorie a norma di leggi e di regolamenti” (tratto dal
Disegno di legge 3431).
Se si fa riferimento in particolare alla professione del sociologo della salute, si possono
individuare alcuni ambiti prioritari di intervento:
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- fattori e relazioni sociali dell’individuo che producono salute/malattia, che promuovono,
benessere e qualità della vita (legate a: bisogni, risorse, orientamenti di valore,
atteggiamenti, modelli di comportamento, stili di vita, ecc…);
- fattori e relazioni sociali che producono salute/malattia, agio/disagio,
inclusione/esclusione sociale, che promuovono benessere e qualità della vita nei diversi
contesti ambientali, nei gruppi, nelle organizzazioni/istituzioni;
- sistemi comunicativi e relazionali, modelli organizzativi, processi di programmazione,
gestione e valutazione nell’ambito della ‘rete’ degli attori sociali del welfare e dei servizi
socio-sanitari;
- sistema delle relazioni sociali che producono salute/malattia, che promuovono benessere
e qualità della vita, attraverso il rapporto fra ‘rete’ degli attori sociali del welfare, servizi
socio-sanitari, organizzazioni/istituzioni, gruppi, cittadini e territorio.
Identità e cittadinanza hanno rappresentato e rappresentano, oggi forse ancor più di ieri,
due tra i concetti che la sociologia ha più dibattuto.
All’aumento di circolazione delle merci, del capitale e delle persone si accompagna un
altrettanto vertiginoso aumento della circolazione dei significati.
Lo Stato, per alcuni, rischia di essere un contenitore vuoto, privo di tutte quelle funzioni di
regolazione sociale, economica e persino culturale che aveva ricoperto nel passato.
Difficile oggi racchiudere gli orizzonti dentro gli angusti perimetri fisici di una nazione.
Le culture si diffondono lungo le autostrade dell’informazione, l’esotico è ormai sotto casa
ed i confini delle nostre appartenenze, anche politiche, come lo è appunto la cittadinanza,
si presentano come frontiere frastagliate.
Ragionando di cittadinanza ci si riferisce, anche inconsapevolmente, ad un’identità
culturale e ad una cittadinanza declinata in termini di diritti politici e civili.
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La figura principe di queste riflessioni è il migrante, lo straniero, colui che, lasciandosi alle
spalle la propria identità, mette in crisi la nostra o, se non altro, ci spinge a sviscerarne i
limiti.
Meno affrontato, anzi spesso emarginato se non del tutto taciuto, è invece il tema della
differenza corporale e/o mentale.
La persona affetta da disturbi genetici, il malato cronico, l’anziano non autosufficiente,
rappresentano tutte persone in situazione di handicap.
Dall’eliminazione delle barriere architettoniche, all’integrazione scolastica, a quella
lavorativa, chi versa in una situazione di handicap ha bisogno che le altre persone se ne
rendano conto e agiscano di concerto per eliminare più ostacoli possibile.
In breve, il disabile richiede riconoscimento.
Il tema dell’identità e della cittadinanza rispetto alla condizione d’handicap ha, quindi, a
che fare con la possibilità di essere persona.
Con il fondamentale, imprescindibile bisogno di essere riconosciuti in quanto soggetti.
Un europeo su dieci è affetto da un handicap più o meno pronunciato, quindi la collettività
prende coscienza del fatto che sta a lei d'adattarsi ai bisogni delle persone disabili, e non
più il contrario.
Come ogni individuo, le persone disabili, devono poter godere della loro piena cittadinanza
e prendere liberamente le decisioni che li riguardano.
Le politiche condotte in favore delle persone disabili si sono spesso limitate al versamento
d'aiuti finanziari o materiali, mentre l'accento dovrebbe essere posto su una migliore
''integrazione'' delle persone disabili all'interno della società.
Nell'aprile 2006, il Consiglio d'Europa ha adottato un Piano d'azione per le persone
disabili.
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Il Piano d'azione contiene 15 linee direttrici, tra cui la partecipazione alla vita politica,
pubblica e culturale, educazione, informazione e comunicazione, impiego, accesso agli
edifici e ai trasporti.
Il Piano attira l'attenzione anche sui bisogni delle donne e dei bambini disabili e sulle
persone affette da gravi disabilità, che richiedono un alto livello di assistenza.
Parlare della disabilità dal punto di vista della cittadinanza significa riflettere su quanto e
come la nostra società sia, nei fatti oltre che nei princìpi, a misura dei diritti delle persone
con disabilità.
La cittadinanza in senso stretto è l'istituto giuridico che fonda il rapporto di appartenenza di
una persona ad uno Stato; più in generale, nel senso che qui ci interessa, è la
partecipazione a pieno titolo - con pienezza di diritti e in condizioni di uguaglianza - ad una
comunità nelle varie articolazioni e ai vari livelli: società, istituzioni, città, quartiere, vicinato
ecc. .
L'idea di cittadinanza è ciò che connette i diritti di ciascuno con i doveri di tutti gli altri; fuori
di essa, e della sua comune consapevolezza, quei diritti restano in una sfera meramente
declamatoria, formale.
Nessuno è realmente cittadino in senso pieno se i suoi con-cittadini non lo riconoscono
come tale e se non si comportano di conseguenza.
La cittadinanza non è certamente un premio da doversi meritare, come incredibilmente si
sente affermare da parte di autorevoli esponenti politici sostenitori di una visione inficiata
dal pregiudizio ideologico e dalla propaganda contro gli immigrati.
Non è neanche un'acquisizione da dare per scontata solo sulla base dei dati anagrafici.
Essa designa il sistema dei diritti e dei doveri entro cui collochiamo la nostra vita
personale e sociale, la reciprocità dei rapporti civili, etico-sociali, economici, politici.
Parlando di disabilità, essere titolari di diritti è molto diverso dall'essere portatori di bisogni.
Poter partecipare è molto diverso dall'essere assistiti e tutelati.
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E' molto diverso per tutti, non solo per le persone con disabilità: cambia radicalmente il
senso e la portata dei reciproci doveri tra tutti i cittadini; i diritti si declinano infatti sul
terreno della responsabilità generale, non solo su quello della solidarietà e della
spontanea generosità.
Più complessa è la definizione di disabilità: metterla in relazione alla cittadinanza ne
comporta infatti una definizione del tutto nuova e per molti versi sconvolgente rispetto
all'approccio tradizionale.
La definizione più aggiornata e autorevole è quella contenuta nella Convenzione
Internazionale per i diritti delle persone con disabilità, approvata dalle Nazioni Unite nel
2006, ratificata dal Parlamento italiano appena un anno fa - nel marzo 2009 - e dalla
Unione Europea lo scorso novembre:
"La disabilità è il risultato dell'interazione tra persone con le menomazioni e le barriere
comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione
alla società, su base di uguaglianza con gli altri".
E' una definizione profondamente innovativa sotto vari aspetti: stabilisce che la disabilità
non è un dato personale, ma il risultato di una interazione; dice che essa dipende non solo
da come uno è, ma da come gli altri si comportano nei suoi confronti; libera la persona
dalla sua identificazione con la disabilità ascrivendo quest'ultima alla relazione con gli altri;
pone come termine di paragone non più un'astratta "normalità", ma la piena ed effettiva
partecipazione alla società su base di uguaglianza; afferma che quest'ultima può essere
impedita, più che dalle condizioni personali, da barriere comportamentali oltre che
ambientali.
Questa definizione di disabilità ci porta nel cuore del rapporto tra disabilità e cittadinanza:
metterle in relazione significa verificare a che punto è il lungo processo che dall'esclusione
e dalla marginalità deve portare le persone con disabilità all'inclusione, alla compiuta
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realizzazione della pari dignità, all'effettiva uguaglianza dei diritti; in una parola, appunto,
alla piena cittadinanza.
La legislazione del nostro Paese a favore dei disabili è considerata tra le più avanzate.
Questo vale per quasi tutti i settori che interessano direttamente la disabilità: l'assistenza
sanitaria, l'integrazione scolastica, il collocamento mirato, la tutela giudiziaria, il sistema
integrato di interventi e servizi sociali, la costituzionalizzazione del principio di
sussidiarietà, il sostegno alle associazioni di volontariato.
Anche sul terreno delle elaborazioni etico-culturali il nostro Paese ha avuto un ruolo di
avanguardia; la stessa Convenzione Internazionale per i diritti delle persone con disabilità
è il risultato di un lungo e complesso lavoro iniziato proprio su iniziativa dell'Italia più di
vent'anni fa.
Eppure le statistiche ci dicono che la disabilità è percepita dalla maggioranza delle
persone come una delle cause più diffuse di negazione dei diritti; in Italia è una delle tre
cause di discriminazione che nella percezione della gente va oltre il 50% ed è superiore di
due punti alla media europea.
Non solo: oggi il rischio per i disabili di pagare le conseguenze della crisi economica (in
termini di perdita di posti di lavoro, riduzioni di tutele, minori sostegni al diritto all'istruzione
ecc.) è pari al 300% della media generale, il triplo (fonte: Eurobarometro, novembre 2009).
Nel Paese dunque dove è più avanzata la legislazione di promozione e tutela dei diritti dei
disabili, la condizione di disabile è considerata tra le maggiori cause di svantaggio e di
esclusione.
C'è evidentemente qualcosa che non funziona.
C'è un problema diffuso di cultura, di mentalità, di sensibilità.
C'è un'Italia a due velocità: le punte avanzate della società civile e della politica non
rappresentano tutto il Paese e non ne influenzano i comportamenti.
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Nella logica della Convenzione, gli interventi da promuovere a favore delle persone con
disabilità non sono tanto e solo interventi sulle e per le persone con disabilità, quanto
sull'ambiente in cui le persone vivono perché possano tutte inserirsi pienamente in esso e
realizzare il meglio di sé, come tutti.
L'approccio innovativo al tema della disabilità contenuto nella Convenzione ONU, e il
riferimento fondante in essa contenuto alla "intrinseca dignità" delle persone con disabilità,
ci porta a rileggere la nostra Costituzione Repubblicana.
Il fatto - a lungo sottovalutato e invece di grande portata - è che nella nostra Costituzione
la dignità della persona non viene affermata come principio generico e astratto, ma nella
sua dimensione più concreta e impegnativa, quella della pari dignità tra tutte le persone.
E' la mirabile formulazione dell'art.3: "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Si noti: tutti i cittadini, prima di essere eguali davanti alla legge, hanno pari dignità sociale,
che è molto di più dell'eguaglianza formale; pari dignità e eguaglianza, poi, non riguardano
solo il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche, ma anche le condizioni
personali, ivi comprese ovviamente le condizioni di disabilità; infine rendere effettiva la pari
dignità e l'eguaglianza è il primo compito che la Repubblica si dà.
La dignità della persona non entra dunque nella nostra Costituzione in una prospettiva
soggettivistica, solo come attributo aprioristico della persona, ma in una prospettiva
eminentemente relazionale, sociale: è collegata col principio di eguaglianza; ha significato
e riscontro concreto nella pienezza della cittadinanza, nella vita personale intesa come
capacità e libertà di partecipazione alla vita sociale; va oltre la semplice, pur sacrosanta,
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ottica di "difesa" dell'individuo per porsi come principio su cui si fondano i rapporti sociali;
comporta, oltre ad azioni passive di tutela, anche e soprattutto azioni positive di
promozione dei diritti (rimuovere gli ostacoli, rendere effettiva ecc.).
Questo ci dice dunque la Costituzione da oltre sessant'anni: la persona non è separabile
dalle sue relazioni sociali; la sua realizzazione si sviluppa in un contesto relazionale e
sociale, nella reciprocità dei rapporti, nel riconoscimento degli altri; la dignità della persona
non è separabile dalla qualità delle sue relazioni e quindi dalla compiuta attuazione dei
diritti di cittadinanza; non basta l'osservanza delle norme a garantire la dignità; è
necessaria un'assunzione di responsabilità da parte di tutti in quanto cittadini, non
solamente delle istituzioni o dei servizi delegati o del volontariato attivo.
La dignità è indivisibile, è come l'aria: se è buona lo è per tutti, ugualmente se è malsana.
Lo stesso vale per la cittadinanza.
Quello che serve, per allargare l'assunzione di responsabilità fino a renderla comune a
tutti, è una profonda e capillare opera di sensibilizzazione su questi temi.
Cambiare mentalità vuol dire anzitutto avere consapevolezza delle parole che usiamo,
soprattutto quando ci servono a identificare e definire gli altri.
Il modo in cui ci rapportiamo ai disabili e comunichiamo con loro, il modo stesso in cui li
chiamiamo, ne segna l'identità, la crescita, il futuro.
Le definizioni che sottolineano la disabilità costituiscono una specie di marchio che, aldilà
delle intenzioni, svaluta ed emargina chi ne è oggetto.
Nell'ottica della cittadinanza, dobbiamo parlare della disabilità assumendo il punto di vista
del noi; diventare e sentirci noi, condividere fino ad entrare in una dimensione esistenziale,
etica, sociale responsabilmente vissuta al plurale; avere la consapevolezza che la
disabilità è problema di tutti e non solo di alcuni; sapere che la presenza della diversità
non solo sollecita i nostri sentimenti e la nostra generosità ma cambia la nostra vita
personale e sociale.
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Il 23 dicembre 1978 la legge 833 ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale. In questi ultimi
trent'anni la domanda di salute è cresciuta e si è diversificata in maniera esponenziale. Si
è registrato un profondo mutamento dei comportamenti e degli stili di vita connessi alla
tutela della salute e i cittadini si dimostrano sempre più consapevoli, maturi, attenti a
selezionare informazioni, a valutare servizi e prestazioni offerte.
Il contributo della sociologia ha assunto un ruolo importante nei processi di sviluppo e
consolidamento del sistema di welfare ed in particolare dei servizi sanitari e sociali. Il
sociologo ha svolto in questo senso un ruolo di protagonista, operando in diversi ambiti fra
cui si ricordano i seguenti: direzione dei servizi sociali, ricerca sociale, sistema informativo
ed informatizzazione, osservatorio epidemiologico, programmazione, formazione, sviluppo
organizzativo, coordinamento ed integrazione dei servizi socio-sanitari, partecipazione e
comunicazione con i cittadini-utenti, educazione alla salute, miglioramento della qualità dei
servizi, piani sociali di zona e piani per la salute; è inoltre inserito organicamente in
specifici servizi o aree operative (tossicodipendenze, salute mentale, handicap, anziani,
coordinamento dei servizi sociali).
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