Un po’ di
tutto …
Scheletro
Visione frontale dello scheletro umano
Visione posteriore dello scheletro umano
Lo scheletro è una struttura rigida formata da un insieme di ossa che sostiene il corpo
umano. Alla nascita lo scheletro umano presenta circa 270 ossa[1]; da adulti le ossa si
riducono a 206 in quanto, durante lo sviluppo, alcune ossa si uniscono tra di loro e vanno
a formarne uno solo. Questo numero è sottoposto a una varietà di differenze anatomiche;
per esempio, una piccola parte della popolazione umana possiede una costa in più,
oppure una vertebra lombare.
In un essere adulto medio, lo scheletro rappresenta circa il 20% del peso corporeo.
Lo scheletro può essere suddiviso in assile (ossa della testa e ossa del tronco) e
appendicolare (ossa degli arti, cintura scapolare e cintura pelvica)
Le articolazioni
Le articolazioni sono dispositivi giunzionali tra capi ossei, interconnessi tramite i tessuti
connettivi.
A seconda della loro differente mobilità, cioè della loro escursione, possono essere di tipo
mobile (ad esempio l'articolazione della spalla), semimobile (fra le vertebre) o fisso (ossa
del cranio). Si dividono in sinartrosi e diartrosi.
Sinartrosi
Le sinartrosi sono dispositivi giunzionali tra due capi ossei continui. Possono essere
suddivise in tre sottocategorie rispetto al tessuto connettivo che si infrappone tra gli stessi
capi ossei in sinfibrosi (tessuto fibroso), sincondrosi (tessuto cartilagineo ialino) e sinfisi
(cartilagineo fibroso).
Sinfibrosi
Nelle sinfibrosi, o articolazioni fibrose, il tessuto di congiunzione è prevalentemente
costituito da connettivo ricco di collagene, e in alcuni casi abbondante in fibre elastiche. Si
distinguono all'interno delle articolazioni fibrose tre diverse categorie: suture, gonfosi e
sindesmosi.
Suture
Le suture presentano tessuto connettivo denso che costituisce la membrana di sutura, o
legamento di sutura, e si verificano tra le ossa del cranio, per lo più tra ossa piatte. La
membrana di sutura presenta regioni differenziate al fine di permettere l'accrescimento
osseo, le superfici di sutura delle ossa che si affrontano nella sutura sono invece rivestite
da un sottile strato di cellule osteogeniche in continuità con il periostio. In alcune suture il
tessuto connettivo si ossifica con il tempo, in questo caso la sutura diventa una sinostosi.
Le suture possono essere, in base alla forma delle superfici che si affrontano, distinte in:
Seghettata - caratterizzata da margini ossei che posseggono sporgenze e
rientranze che si incastrano tra loro
Dentata - caratterizzata da margini ossei con sporgenze più fini rispetto a quelle
della sutura seghettata e che spesso si espandono verso l'estremità libera
Armonica - caratterizzata da margini ossei lisci
Squamosa - caratterizzata da margini ossei tagliati a sbieco
Limbica - caratterizzata da margini ossei tagliati a sbieco e reciprocamente
seghettate
Schindilesi - caratterizzata dalla cresta di osso che si adatta al solco di un osso
adiacente
Gonfosi
Le gonfosi, o articolazioni a piolo-alveolo o alveolodentarie, sono un tipo di articolazioni
fibrose caratteristiche per la fissazione dei denti nelle proprie cavità alveolari. La fissazione
avviene grazie al collagene del peridonzio che connette il cemento del dente all'osso
mandibolare o mascellare.
Sindesmosi
Le sindesmosi sono articolazioni fibrose in cui il mezzo congiungente le due ossa che
vanno ad articolarsi è un legamento interosseo, una sottile corda fibrosa o una membrana
aponevrotica. Ne sono un esempio l'articolazione radio-ulnare media e l'articolazione tra
dente e alveolo in cui il legamento prende il nome di legamento parodontale.
Sincondrosi
Le sincondrosi sono caratterizzate dalla presenza, di un sottile strato di cartilagine che
può, col tempo, essere sostituito da tessuto osseo, determinando la trasformazione della
sincondrosi in sinostosi.
Classi esempi di sincondrosi sono l'articolazione sterno-costale della prima costa e le varie
articolazioni che si instaurano durante lo sviluppo di ossa lunghe tra epifisi e diafisi.
Sinfisi
Le sinfisi presentano un disco fibrocartilagineo di connessione, le superfici articolari delle
ossa a contatto con il disco fibrocartilagineo della sinfisi sono rivestite da cartilagine ialina.
Esempi sono la sinfisi pubica, l'articolazione tra i corpi delle vertebre e quella tra il
manubrio e il corpo dello sterno. La maggior parte delle sinfisi non va incontro a sinostosi,
sussistono tuttavia alcune eccezioni.
Diartrosi
Illustrazione di una articolazione sinoviale (diartrosi)
Le diartrosi sono dispositivi giunzionali tra due capi ossei non contigui. Questo tipo di
articolazione permette un certo grado di mobilità alle ossa affrontate. Nelle diartrosi i capi
ossei sono rivestiti da cartilagine ialina la quale svolge una funzione motoria di
compressibilità ed elasticità. La cartilagine consta di tre strati di collagene (profondo,
intermedio e superficiale).
Le diartrosi possono, inoltre, essere armoniche, con capi ossei corrispondenti, e
disarmoniche; in tal caso le discordanze sono eliminate tramite i menischi fibrocartilaginei.
Questi permettono scambi nutritivi e una maggiore sollecitazione meccanica.
Esternamente la capsula articolare, un manicotto fibroso, ricopre l'intera articolazione,
fissandosi ai margini della cartilagine.
Profondamente ad essa si trova la membrana sinoviale che può essere: semplice se
ridotta ad un esile strato fibroso o complessa se spessa e ricca di cellule, vasi e nervi.
L'articolazione è costituita anche da legamenti a distanza o periferici. Infine la cavità
articolare è lo spazio presente tra i capi ossei e capsula articolare ripieno di liquido
sinoviale proveniente dal plasma sanguigno e arricchito con sostanze nutritive; attutisce gli
urti.
Le diartrosi possono essere classificate come:
Diartrosi:
1-enartrosi; 2-condiloartrosi; 3-a sella; 4-ginglimo angolare; 5-ginglimo laterale;
Artrodie
Le due superfici articolari sono pianeggianti e consentono solo movimenti di scivolamento
dei due capi articolari, (non consentono movimenti angolari)un esempio sono quelle tra i
processi articolari delle vertebre. Poiché la capsula di un'articolazione a superfici piane è
sempre tesa, il movimento concesso è limitato ma multidirezionale (multiassiale)
Enartrosi
I due capi ossei sono "sferici", uno concavo e l'altro convesso e compiono movimenti
angolari su tutti i piani, inclusa la rotazione. Un esempio è l' articolazione coxo-femorale
,(articolazione dell'anca).
Condiloartrosi
I due capi ossei sono ellissoidali uno concavo (cavità glenoidea) e l'altro convesso
(condilo) e permettono un movimento angolare su due piani. Un tipico esempio è
l'articolazione temporo-mandibolare.Per precisione l'articolazione temporo mandibolare è
una diatrosi doppia formata da due articolazioni sovrapposte con interposto un disco
completo che le separa. Sono una superiore (articolazione disco -fossa glenoide ) e una
inferiore (articolazione disco-condilo). Un altro esempio è l'articolazione omero-radiale.
A sella
I due corpi sono biassiali concavi e convessi a incastro reciproco e permettono una
rotazione assiale. Si chiamano così perché le superfici articolari hanno la forma di una
sella di cavallo concava longitudinalmente e convessa trasversalmente, come per esempio
l'articolazione fra il trapezio e il primo osso metacarpale.
Ginglimo laterale o trocoide
I due capi ossei sono cilindri, uno cavo e uno pieno, con l'asse del cilindro parallelo
all'asse longitudinale delle ossa. Il movimento è rotatorio, per esempio le articolazioni
prossimale e distale tra radio e ulna.
Ginglimo angolare o troclea
I due corpi ossei sono cilindri con l'asse del cilindro perpendicolare all'asse del capo
longitudinale delle ossa. Il movimento è angolare ad esempio l'articolazione del gomito, tra
ulna e omero.
I MUSCOLI DEL CORPO UMANO
Generalità sui muscoli
Il discorso è molto vasto e articolato, cominciamo quindi la spiegazione partendo dalle
funzioni generali a cui i muscoli sono preposti, spiegando prima di tutto che il tessuto
muscolare è considerato il “tessuto motore” del corpo umano, in quanto è al suo interno
che l’energia chimica, proveniente dalla demolizione degli alimenti, viene trasformata in
energia meccanica di contrazione e quindi in movimento. Bisogna altresì dire che i
muscoli, come gli altri tessuti, sono si, costituiti da cellule, ma qual è la loro peculiarità?
Approfondendo quindi le nostre conoscenze, apprenderemo che è quella di riuscire a
contrarsi, variando così la propria lunghezza. Secondo una definizione generale, basata
sulla disposizione delle cellule che la costituiscono, la muscolatura del corpo umano
assume sostanzialmente due aspetti:
1. muscolatura liscia.
2. muscolatura striata.
La muscolatura liscia è quella che riveste e permette la contrazione degli organi interni
come l’intestino, l’utero, la vescica e i vasi sanguigni.
La muscolatura striata è invece quella dei muscoli scheletrici, i muscoli cioè che rivestono
le ossa dello scheletro e permettono ai diversi segmenti ossei di muoversi relativamente
tra loro. Striata, è anche quella del muscolo cardiaco.
Muscolatura volontaria ed involontaria
Un’altra suddivisione della muscolatura è fatta sulla base della volontarietà o meno della
contrazione muscolare. In base a questo criterio abbiamo:
a. muscoli volontari: in quanto la loro contrazione è soggetta al controllo del sistema
nervoso periferico somatico, che sono i muscoli scheletrici;
b. muscoli involontari: che si contraggono a prescindere dalla volontà dell’individuo,
sono cioè sotto il controllo del sistema nervoso periferico autonomo. Questi sono: il
muscolo cardiaco e tutta la muscolatura liscia.
Abbiamo, quindi, queste due distinzioni in cui possiamo mettere da una parte la
muscolatura scheletrica striata e volontaria, che ci permette di fare tutti i movimenti della
nostra vita quotidiana come camminare, sorridere, scrivere, fare sport, ecc., dall’altra la
muscolatura liscia e involontaria.
Tra le due, troviamo il muscolo cardiaco (che rappresenta una eccezione a questa regola)
che malgrado sia striato… è un muscolo involontario.
Date per ora queste prime definizioni a carattere generale, focalizziamo adesso la nostra
attenzione sulla muscolatura scheletrica, dando solo qualche accenno alle differenze tra
questa e gli altri tipi di muscoli.
Struttura dei muscoli scheletrici
Prima di analizzare la struttura intrinseca dei muscoli scheletrici, vediamo come essi si
presentano macroscopicamente, dato che in un uomo adulto arrivano a rappresentare fino
al 40% circa del peso corporeo totale. A questo punto sarà utile la proiezione della fig. 1
che ci fornisce un quadro d’insieme abbastanza completo della muscolatura del corpo
umano, riportando anche i nomi dei principali gruppi muscolari e
l’azione che essi compiono, sul segmento del corpo in cui sono
inseriti.
Fig. 1
Principali muscoli scheletrici dell’uomo e loro funzioni specifiche
Si fa inoltre notare, come i muscoli scheletrici sono organi di varia forma e volume, con
parti carnose di colore rosso più o meno intenso e parti tendinee di colore bianco
splendente.
Si farà solo un accenno ai tendini (quelle parti più o meno lunghe e massicce, a confronto
con la parte carnosa) costituiti da tessuto connettivo, che sono le parti terminali dei
muscoli e destinate all’inserzione dei muscoli stessi sullo scheletro. Queste porzioni si
possono estendere fin dentro lo spessore del corpo carnoso muscolare. Tra le fibre
collagene del tendine, sono disposte “fibre elastiche”, che
funzionano come fossero ammortizzatori elastici, all’inizio
della contrazione ed accorciamento muscolare. Le fibre
tendinee, in corrispondenza dei punti di attacco (inserzione
ossea) si fissano direttamente sul tessuto osseo, sopra
una linea cementante, oppure si immettono fra le fibre
ossee del “periostio”.
Parlando ancora
delle funzioni generali dei muscoli, possiamo dire che
essi, inseriti sullo
scheletro e con la potenza sviluppata dalla loro forza
contrattile, modificano l’orientamento degli organi scheletrici… quanto e come, lo
permettono le articolazioni, ovvero… ne mantengono la “postura”.
Riguardo alla forma invece, si vedrà come a seconda della prevalenza di uno o due
diametri sugli altri, si distinguono:
1. muscoli lunghi
2. muscoli larghi.
Il volume proprio di ciascuno dei 374 muscoli è, comunque, molto variabile in funzione
dell’età, del sesso, della costituzione, dell’attività di lavoro o sportiva. Dallo sviluppo della
parte carnosa, dipende anche la forza contrattile. La massa contrattile, puó essere
impiegata totalmente o parzialmente… a seconda dell’effetto di forza che si vuole
ottenere.
Con la proiezione della Fig. 2 potremo dare ancora qualche definizione a carattere
generale. Si potrà vedere come i muscoli prendono inserzione sugli organi scheletrici, di
regola, mediante due soli capi, capo d’origine e capo terminale o d’inserzione.
Questa definizione è legata all’elemento scheletrico che risulta mobile rispetto all’altro. Nel
caso di Fig. 2 è l’avambraccio rispetto al braccio. Con “capo d’origine” s’intende l’attacco a
livello del punto fisso, con “capo d’inserzione” s’intende l’attacco a livello del punto mobile.
Tuttavia, le inserzioni possono essere più di una, sia per il capo d’origine (allora si parla di
muscoli bicipiti, tricipiti o quadricipiti) sia nei confronti del capo terminale (si diranno
muscoli bicaudati, tricaudati o quadricaudati).
Fig. 2
Muscoli agonisti ed antagonisti nella flessione ed estensione dell’avambraccio
Un breve accenno ai criteri funzionali, può essere utile per richiamare dei termini che
sicuramente tanti di noi avranno sentito o in sedute di allenamento o magari in televisione
(sono sempre alla ribalta infortuni di atleti famosi). Secondo questi criteri i muscoli si
distinguono in:
A.
B.
C.
D.
flessori ed estensori;
adduttori e abduttori;
pronatori e supinatori;
rotatori interni ed esterni;
secondo il movimento che la loro contrazione imprime a tutto il corpo o ad un segmento
corporeo, sulla “guida” della forma dei capi articolari competenti.
I muscoli si classificano infine, anche in:
1. agonisti
2. antagonisti
secondo che vi sia tra gli uni e gli altri, “concorrenza collaborativa” o “contrasto d’azione”,
nel corso del movimento semplice o complesso, che si compie. Nello svolgimento di un
movimento, agonisti e antagonisti (per esempio flessori ed estensori) possono risultare
“sinergici” nella più perfetta e precisa esecuzione del movimento.
Schema dell'opposizione tra agonista e antagonista.
Il muscolo antagonista è quel muscolo che si oppone al movimento di cui è diretto
responsabile il muscolo agonista. I muscoli agonista e antagonista sono i due tipi di
muscolatura antigravitaria, che governa l'equilibrio e consente la corretta postura.
La muscolatura estensoria della gamba (es. quadricipite, che provoca la distensione
dell'arto) ha come muscoli antagonisti i flessori (che invece consentono di ritrarlo e di
piegarlo).
I muscoli antagonisti, grazie a particolari circuiti spinali riflessi, vengono eccitati e contratti
quando gli agonisti sono inibiti, e viceversa, cosicché i due tipi di muscoli operano sempre
in modo opposto. Una cattiva coordinazione di questi fenomeni, come si verifica in alcune
patologie motorie, provoca movimenti a scatti degli arti e del tronco. Nel movimento di
flesso-estensione del braccio, il bicipite brachiale si accorcia ed il tricipite (suo
antagonista) si allunga durante la flessione e viceversa durante l'estensione.
Struttura microscopica dei muscoli scheletrici
Una prima proiezione della Fig. 5 ben illustrerà il percorso che seguiremo in questa fase.
Dopo aver dato le definizioni a carattere generale ci addentriamo sempre di più in quella
che è la struttura di un muscolo a livello via via più dettagliato. Il primo gradino (punto A di
Fig. 5)
ci porta ad individuare quella che è l’unità elementare che costituisce i muscoli: la fibra
muscolare. Un muscolo scheletrico di media grandezza è formato da centinaia di migliaia
di fibre muscolari, tenute insieme da tessuto connettivo e riunite in gruppi più minuti e di
diverso ordine (primario, secondario, ecc.) detti “fasci muscolari”. Le singole fibre dei
muscoli scheletrici, arrivano quindi ad essere isolate e indipendenti le une dalle altre,
mentre le fibre della muscolatura cardiaca, sono connesse tra di loro. Il nostro percorso
verso elementi di maggior dettaglio, ci porta ora ad analizzare la struttura delle fibre
muscolari, ognuna delle quali è costituita da una cellula polinucleata molto allungata. La
sua larghezza infatti, arriva fino a 100 micrometri, mentre può raggiungere in lunghezza le
dimensioni di diversi centimetri, in rapporto al tipo di muscolo, all’età, all’esercizio, alle
condizioni di nutrizione. La membrana cellulare delle fibre muscolari si chiama
“sarcolemma”. I nuclei della cellula, sono disposti nella zona periferica, subito a ridosso
della membrana. Le cellule del tessuto muscolare liscio, sono invece dotate di un unico
nucleo.
Addentrandoci ora (punto B della Fig. 5) all’interno del “citoplasma” delle cellule del
muscolo scheletrico, troviamo che qui vi sono contenute le miofibrille, sottili filamenti che
riducendo la loro lunghezza in risposta ad uno stimolo nervoso, sono responsabili della
contrazione dell’intera fibra e quindi del muscolo. La Fig. 3 ci mostrerà in dettaglio la
struttura di una miofibrilla.
Fig. 3
Struttura di una miofibrilla
Noteremo come la fibra muscolare appare “striata”, sia longitudinalmente che
trasversalmente. La striatura longitudinale della fibra, risulta dalla presenza delle
miofibrille che, strettamente impacchettate, sono lunghe quanto la fibra stessa ed hanno il
diametro di circa un micron. Se invece osserviamo la sezione trasversa di una miofibrilla,
ci appaiono come formazioni puntiformi, distribuite uniformemente e disposte a gruppi. Le
miofibrille, d’altro canto, risultano striate trasversalmente e appaiono costituite da dischi
chiari e scuri alternati, in conseguenza dell’arrangiamento molecolare interno; è questo
tipo di disposizione che ci permetterà di osservare che la struttura striata, si riscontra a
livello dell’intera fibra muscolare; essendo i dischi di ciascuna miofibrilla, allineati in
perfetta corrispondenza con quelle delle altre miofibrille. E’ da ciò che deriva il tipico
aspetto striato di questa muscolatura e da cui deriva appunto il nome. Per fare ancora un
parallelo con la muscolatura liscia invece, si dirà che questa è così chiamata perché in
essa sono assenti le striature trasversali. La mancanza delle striature dipende
dall’assenza, in questo tipo di muscoli, delle miofibrille; sono presenti dei miofilamenti, ma
la loro disposizione è parallela all’asse longitudinale delle cellule muscolari e per cui, non
danno origine a striatura trasversale. Vedremo ancora dalla Fig. 3 come ciascuna
miofibrilla è avvolta dal “reticolo sarcoplasmatico”, che deriva dalla specializzazione di un
“reticolo endoplasmatico”, ed è circondata da un sistema di “tubuli” (il sistema T) disposti
su di un piano perpendicolare, rispetto all’asse della miofibrilla stessa.
Esaminando ancora una miofibrilla, si rileva in essa l’alternanza di dischi “anisotropi” (A) e
di dischi “isotropi” (I) che corrispondono rispettivamente ai dischi scuri e ai dischi chiari.
Con la proiezione della Fig. 4 (a) potremo notare che: se osservato al microscopio
elettronico, il disco I si vede attraversato da una linea trasversale più scura, la linea Z. Il
tratto di miofibrilla compreso tra due linee Z consecutive, si chiama “sarcomero” che è
lungo circa 2-3 micron.
Fig. 4
Foto di un sarcomero ingrandito al microscopio elettronico (a) e della sua struttura (b)
Abbiamo dunque, compiuto ancora un altro passo nella descrizione di dettaglio, nella
struttura del nostro muscolo. Dobbiamo però ancora far notare come il disco A sia
attraversato, nel suo tratto mediale, da una fascia trasversale più chiara, la zona H, a sua
volta percorsa nel mezzo e trasversalmente, da una linea scura, “linea M”. Questa
struttura, pur essendo visibile nella foto di Fig. 4 (a) è ben schematizzata in Fig. 4 (b) in cui
sono riportati gli elementi fondamentali che costituiscono un sarcomero, in prospettiva sia
longitudinale che trasversale. Dopo aver visto lo schema generale di un sarcomero,
entriamo ancor maggiormente nel dettaglio della sua struttura riproponendo la Fig. 5 e
poniamo l’attenzione sui punti E ed F.
L’esame della figura, dimostra che il sarcomero è costituito da due tipi di “miofilamenti
proteici”. Uno più spesso, detto “miosina” e da uno più sottile detto “actina”. I filamenti di
miosina sono disposti in parallelo secondo la lunghezza della miofibrilla, su tutta l’altezza
del disco A, a distanza regolare l’uno dall’altro e secondo un perfetto disegno esagonale.
Fig. 5
Schema con punti in progressivo dettaglio di un muscolo scheletrico
Ponti di unione “actomiosinici” trasversali, li congiungono fra loro a livello della linea M.
Ogni miofilamento spesso, da una parte e dall’ altra della linea M, presenta delle
espansioni. Le molecole di miosina che lo compongono, hanno infatti la forma di
bastoncelli costituiti da due catene proteiche, ciascuna delle quali contiene circa 1800
amminoacidi. Sono rigonfi e ricurvi ad una estremità che si presenta quindi, con un aspetto
globulare. Le espansioni delle molecole di miosina si ripetono sulla lunghezza di un
miofilamento, ad intervalli costanti e regolarmente ruotate di un angolo di 60o. I filamenti di
actina sono costituiti da due catene di unità molecolari globulari e avvolte a elica. A livello
della linea Z, i filamenti di actina si dividono in quattro bracci che si “anastomizzano” con
gli omologhi bracci dei filamenti del sarcomero contiguo. Ritornando invece sui punti C e
D della stessa figura
si potrà notare come i filamenti di actina, occupano nel sarcomero una posizione diversa,
secondo lo stato di contrazione. Se il muscolo é molto rilasciato (punto C) i miofilamenti si
estendono per tutta l’altezza del disco I regolarmente spaziati in un disegno esagonale;
aumentando lo stato di contrazione essi si spostano, scivolando come i pezzi di un
telescopico cannocchiale, nel disco A tra i miofilamenti spessi (punto D), intorno ai quali si
dispongono nel rapporto di sei filamenti sottili e uno spesso. Nello stato di massima
contrazione, i filamenti sottili giungono a ridosso della linea M e scompare la zona H.
Potrà essere interessante un piccolo approfondimento sull’esistenza di fibre muscolari di
diverso tipo e differenti proprietà derivanti dalla diversa quantità di mioglobina, una
proteina di colore rosso, contenuta nel citoplasma. Si possono descrivere così due tipi di
fibre muscolari:
1. le fibre rosse (dette anche fibre lente)
2. le fibre bianche (dette anche fibre veloci)
Le fibre rosse contengono più mioglobina, che conferisce loro il colore, ma la loro
peculiarità è quella di avere una contrazione lenta e duratura.
Le fibre bianche invece, sono povere di mioglobina ed hanno una contrazione più veloce e
meno duratura.
Tra le due situazioni estreme, esistono naturalmente dei livelli intermedi. (fibre rosa)
DA DOVE ARRIVA L’ENERGIA PER I
MUSCOLI
I muscoli sono il motore del nostro organismo e come tutti i motori necessitano di energia
per funzionare. Tale energia è fornita dall'ATP, una molecola che consente di trasformare
l'energia chimica contenuta nei cibi in energia meccanica.
Il cibo che ingeriamo viene prima "smontato" in molecole semplici costituite da glucosio e
trigliceridi (i grassi), questi vengono trasportati ai muscoli dove particolari cellule
specializzate, i mitocondri, li trasformano in ATP. Maggiore è la quantità di ATP a
disposizione del muscolo, maggiore è la forza che esso sarà in grado di esprimere.
La prestazione che è in grado di esprimere un muscolo dipende da quanto velocemente
esso è in grado di produrre ATP.
La produzione di ATP può avvenire in modo aerobico o anaerobico: si parla di
meccanismo aerobico quando la produzione avviene in presenza di ossigeno, di
meccanismo anaerobico quando avviene in assenza di ossigeno.
I meccanismi aerobici e anaerobici funzionano in parallelo, cioè contemporaneamente: a
seconda del tipo di sforzo alcuni di essi prevalgono sugli altri.
Il meccanismo aerobico
Il meccanismo aerobico è il sistema più efficiente di produzione di energia, il suo limite è
rappresentato dalla necessità di ossigeno per funzionare. L'ossigeno deve essere
trasportato ai muscoli dal sistema cardiovascolare, il quale ha una capacità di trasporto
limitata: tale limite rappresenta il "collo di bottiglia" della produzione di energia (ATP) con
tale meccanismo.
Il meccanismo aerobico è molto efficiente poiché consente di ottenere la maggior quantità
di ATP da una singola molecola di glucosio, ed è in grado di utilizzare anche i grassi per
ottenere grandi quantità di ATP.
I grassi come fonte di energia
Due sono i concetti fondamentali da ricordare sul metabolismo dei grassi.
I grassi vengono trasformati in ATP in modo meno rapido rispetto ai carboidrati.
Maggiore è lo sforzo, maggiore è la velocità con cui il muscolo deve produrre ATP, minore
è la quantità di grassi utilizzata per produrre tale energia, e maggiore è quella di
carboidrati. In una corsa lenta (che consente di parlare con un compagno senza affanno)
l'energia necessaria è ottenuta bruciando carboidrati e grassi circa in egual misura, mentre
in una corsa ad andatura sostenuta la percentuale di grassi può scendere fino al 5% o
meno.
I grassi bruciano al fuoco dei carboidrati.
Questo modo di dire rende bene l'idea: quando finiscono le scorte di carboidrati, i grassi
non possono essere più utilizzati come fonte di energia e il meccanismo energetico va in
una crisi profonda: la prestazione crolla a livelli bassissimi. È il caso del classico "muro"
del maratoneta.
Il meccanismo anaerobico
Il meccanismo anaerobico consente all'organismo di produrre energia anche in assenza di
ossigeno. La produzione di energia per via anaerobica assume una percentuale rilevante
dell'energia totale prodotta in due casi:
- durante gli sforzi massimali o sub-massimali;
- nelle primissime fasi della prestazione.
In pratica il meccanismo anaerobico sopperisce alle mancanze di quello aerobico, che ha
un'attivazione un po' lenta (necessita di 2-4 minuti per arrivare a pieno regime) e ha un
limite superiore della produzione di energia determinato dalla massima quantità di
ossigeno che il sistema cardiovascolare è in grado di veicolare ai muscoli.
L'organismo possiede due meccanismi di produzione anaerobica dell'energia: la
fosforilazione ossidativa e la glicolisi anaerobica.
Fosforilazione ossidativa o meccanismo anaerobico alattacido
Quando l'ATP viene "bruciato" dal muscolo, perde una molecola di fosforo, che può essere
prontamente ripristinata dal creatinfosfato, una molecola di creatina a cui è legata una
molecola di fosforo. Dopo la cessione, il creatinfosfato diventa creatina, la quale tramite
altre reazioni chimiche (molto pìù lente della prima) viene a sua volta ricaricata della
molecola di fosforo perduta ed è pronta per un nuovo ciclo di "ricarica" dell'ATP.
Tale sistema è molto pronto ed è in grado di fornire tanta energia al muscolo in breve
tempo, ma la quantità di creatinfosfato nel muscolo è molto bassa, pertanto tale
meccanismo si esaurisce in pochi secondi (mediamente, una decina). Nella gara dei 100
metri piani, o nelle gare di powerlifting (sollevamento pesi), nel salto in alto o con l'asta, nel
salto in lungo, la fosforilazione ossidativa è il meccanismo energetico quantitativamente
più importante.
La fosforilazione ossidativa viene anche chiamata meccanismo anaerobico alattacido per
differenziarsi da quello lattacido.
Glicolisi anaerobica o meccanismo anaerobico lattacido
Il meccanismo aerobico, come abbiamo visto, consuma i carboidrati (sottoforma di
glucosio) in presenza di ossigeno. L'organismo è però in grado di ottenere ATP dal
glucosio in assenza di ossigeno, con la glicolisi (letteralmente, scissione dell'ossigeno)
anaerobica (non-aerobica, cioè in assenza di ossigeno).
Precisamente, il glucosio viene trasformato in acido lattico e questa reazione chimica
sviluppa energia (ATP). L'acido lattico che si accumula nei muscoli è dannoso sopra certe
concentrazioni, dunque esso viene smaltito tramite il flusso sanguigno, che lo porta al
fegato, il quale lo ritrasforma in glucosio e lo rimette in circolo. La capacità di smaltimento
dell'acido lattico ha un limite: dunque, se la richiesta di energia tramite la glicosi
anaerobica si mantiene entro questo limite, essa può continuare a lungo (a differenza della
fosforilazione ossidativa che si esaurisce dopo pochi secondi).
In realtà il meccanismo è leggermente più complesso: a seconda della richiesta di energia,
si possono verificare 3 situazioni.
1) Il meccanismo aerobico è in grado di fornire tutta l'energia necessaria: dopo un iniziale
aumento di concentrazione di acido lattico, una volta che il meccanismo aerobico è a
regime la concentrazione di lattato nel sangue torna a livelli identici a quelli a riposo (il
meccanismo anaerobico è spento).
2) Il meccanismo anaerobico non riesce a fornire tutta l'energia necessaria, l'energia che
manca viene fornita dalla glicolisi anaerobica, tuttavia la velocità di produzione del lattato
eguaglia quella di smaltimento, dunque la concentrazione di lattato nei muscoli rimane
costante entro un livello tollerabile per un certo periodo di tempo (tipicamente, da qualche
decina di minuti a più di 3 ore, a seconda del livello di lattato in cui si instaura l'equilibrio).
3) La richiesta di energia è tale che il lattato prodotto non riesce ad essere smaltito, la
concentrazione di lattato nei muscoli cresce e l'organismo, per difendersi dal danno che il
lattato provocherebbe se superasse una concentrazione critica, inizia a inviare precisi
segnali al cervello, che fanno ridurre la prestazione e quindi la richiesta di energia
(bruciore ai muscoli e ai polmoni, nausea).
Riassumendo:
Tre meccanismi di produzione dell’ATP:
1) Fosfageno o della fosfocreatina ( scissione in ione fosfato+creatina)
2) Glicolisi anaerobica (con produzione di acido piruvico + ione fosfato)
3) Metabolismo aerobico od ossidativo
Quando ad una fibra arriva l’impulso nervoso, questa si contrae grazie alle sue piccole
riserve di ATP, che vengono degradate in ADP producendo energia. Parliamo di 4mM,
appena sufficienti per una contrazione di 1-2 secondi. La fibra a questo punto è a secco, e
per mantenere la contrazione ha assoluta necessità di avere nuovo ATP. Ovvero, l’ADP
che si è generato deve essere rifosforizzato per rigenerale ATP. Per fare questo la fibra ha
a disposizione 3 meccanismi:
1) attraverso la fosfocreatina. Questa molecola viene scissa, liberato uno ione forfato che
si lega all’ADP per ricreare ATP. L’ATP creato può sostenere la contrazione per altri 7-8
secondi, poi anche tutta la forfocreatine è esaurita. Alla fine quindi mi ritroverò con tanta
creatina e tanto ADP di nuovo.
2) metabolismo anaerobico del glucosio (o glicolisi anaerobica). Il glucosio ed il
glicogeno (derivato dal glucosio) possono essere degradati in acido piruvico e nella
degradazione si generano ioni forsato che si combinano con l’ADP per formare ATP.
L’Acido piruvico in presenza di ossigeno verrebbe convertito in ATP dai mitocondri.
Quando però non c’è ossigeno si forma Acido Lattico. Questo diffonde facilmente nel
sangue e nel liquido interstiziale [ovvero nei liquidi extracellulari e nei liquidi intracellulare
di cellule meno attive]. L’acido lattico è tamponato nel sangue dal bicarbonato portando
alla formazione di CO2 aggiuntivo (rispetto a quello prodotto dal meccanismo 3). Se
continua a non esserci O2 per 1 o 2 minuti, l’acido lattico si accumula impedendo la
contrazione. Quando c’è nuovamente ossigeno 4/5 dell’acido lattico viene riconvertito in
glucosio (dal fegato) che poi attraverso il sangue ritorna alle cellule, mentre 1/5 viene
riconvertito in acido piruvico e quindi ossidato per produrre ATP. Questo tipo di
meccanismo permette di sostenere contrazioni fino a 2 minuti circa. Dopo di che la
concentrazione di acido lattico induce fatica e inibisce la contrazione. Prima dell’estremo,
si attiva quindi un terzo meccanismo, che può produrre energia finché ci sono nutrienti.
Questo terzo meccanismo è denominato…
3) …metabolismo ossidativo, o anche metabolismo aerobico. I substrati nutritivi (glucosio,
acidi grassi e aminoacidi) combinandosi con l’ossigeno ispirato producono ATP. Questo
processo avviene all’interno dei mitocondri. Oltre il 95% di tutta l’energia spesa dai muscoli
per contrazioni sostenute a lungo viene tratta da questa fonte. Per contrazioni protratte per
ore la maggior parte dell’energia deriva dall’ossidazione degli acidi grassi.
STRETCHING
“Stretching” deriva dalla parola inglese “to strech” che significa "allungare, Allungarsi".
Per tanto è riferito all' allungamento muscolare al fine di mantenersi in buona forma
fisica. Esso agisce sui muscoli, in particolar modo sulle forze elastiche interne dei
muscoli.
Ogni Muscolo ha la capacità di contrarsi ed di distendersi, queste due forze sono alla
base di ogni movimento, dal più elementare come muovere gli occhi, alla più complessa e
spettacolare combinazione acrobatica. Lo Stretching agisce anche sulle Articolazioni e
sulla loro Flessibilità. Tale Flessibilità è condizionata dalla Struttura Ossea
dell'Articolazione, dalle sue componenti funzionali (Legamenti, Tendini, Muscoli), dalla
insufficiente riscaldamento del Corpo e dalla bassa temperatura ambientale.
UN PO' DI STORIA
Lo Stretching è stato in gran parte codificato da Bob Anderson, nato in California nel
1945 e prende spunto dallo Yoga sia come posture, sia come armonia respiratoria. Si
raggiunge l'allungamento muscolare tramite posizioni di massima flessibilità. Ogni
individuo ha il proprio livello di massima flessibilità biologico, che non va mai
oltrepassato di colpo, si può potenziare e migliorare la propria soglia dopo un lungo
costante allenamento. Bob Anderson insiste sul fatto che queste posizioni devono essere
raggiunte lentamente in modo da non “ferire i muscoli”, e mantenute per 15/30 secondi. E'
fondamentale che l' estensione non superi la soglia del dolore. Questa codificazione è
attuata ai giorni d' oggi in ogni Palestra o Centro Sportivo.
A proposito di flessibilità
La flessibilità è la capacità dello sportivo e dell’atleta di Taekwondo in particolar modo, di
realizzare i movimenti alla massima ampiezza possibile. Questa è una delle qualità più
caratteristiche del praticante di Taekwondo. La involuzione che subisce la flessibilità se
non allenata debitamente nei giovani, condiziona in forma rilevante la progressione tecnica
nel piano di formazione del Taekwondoista.
La flessibilità della articolazione coxo-femorale, è di una importanza decisiva, posto che da
essa dipenderà la possibilità di esecuzione di determinate tecniche, così come dalla sua
ampiezza, il livello di efficacia.
Il grado di elongazione muscolare che il Taekwondoista può conseguire, sarà intimamente
legato alla sua predisposizione alle lesioni; per cui lo sviluppo della flessibilità, si presenta
come uno dei principali elementi da allenare.
I fattori limitanti la flessibilità sono:
-
la struttura ossea dell’atleta,
il volume dei muscoli antagonisti,
la capacità di elongazione della muscolatura implicata,
la struttura articolare sollecitata dallo stiramento,
la condizione psichica e
il riflesso miotatico
VARI TIPI DI STRETCHING - Esistono diversi tipi di Stretching anche se il più conosciuto è
quello storicamente codificato da Bob Anderson e denominato Stretching Statico.
Le regole dello Stretching Statico:
Riscaldamento generale prima dello Stretching.
Trazione costante senza molleggi da 10 a 30 secondi.
Mai oltrepassare la soglia del Dolore.
Controllo del Respiro.
Alternare l' estensione dei muscoli Agonisti (quelli che stanno lavorando) con quelli
Antagonisti (quelli che non vengono direttamente interessati dall' esercizio che
stiamo svolgendo).
Stretching Balistico: Non è più usato in quanto si è rivelato molto pericoloso per la fibra
muscolare poiché una volta raggiunta la posizione di massimo allungamento era
previsto un Molleggiamento ad elastico che, poteva essere sopportato solo da
persone con una grande elasticità muscolare.
Stretching Dinamico: E' inserito in programmi sportivi in cui sono previsti
movimenti di grande ampiezza e di grande velocità (Danza e Arti Marziali), perché
agisce sui Tendini e sulle componenti Elastiche dei Muscoli. Consiste nello
slanciare in modo controllato le gambe le braccia.
Le regole dello Stretching Dinamico:
Iniziare con un riscaldamento generale fase Aerobica non inferiore a 20/30
minuti. (La soglia aerobica va dal 65% all' 80% della frequenza cardiaca massima
che varia da individuo a individuo, essa muta sia per fattori oggettivi (sesso ed età)
che per variabili come stanchezza, sonno arretrato, cattiva alimentazione etc.
Procedere con un riscaldamento localizzato: rotazione delle articolazioni (Collo,
Spalle, Gomiti, Polsi, Bacino, Ginocchia e Caviglie).
Iniziare con slanci lenti e sciolti e aumentarne gradatamente l' ampiezza e la
velocità.
Terminare gli slanci quando si manifestano i primi segni di fatica sempre in modo
graduale.
Non allenarsi mai quando i muscoli sono affaticati un muscolo affaticato è
meno possibile e più soggetto ai traumi, evitare questo tipo di Stretching quando il
muscolo ha lavorato troppo o quando il numero di ore di sonno “notturno” è inferiore
a 7.
Per discipline come le Arti Marziali è fondamentale prestare attenzione all'
allineamento dei segmenti corporei, cioè all' armoniosa postura.
Stretching Statico Attivo: Si tratta di uno Stretching utilizzato in Arti Marziali perché
consente l' Allungamento degli Arti sollevandoli: è la classica posizione della
ballerina che, in piedi in equilibrio su una gamba alza l' altra gamba mantenendone
la posizione con il braccio fino a portarla al limite di massima flessibilità cioè fino a
toccarsi l'orecchio con il polpaccio.
Stretching P.N.F. (Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation): Un tipo di stretching
utilizzato nelle Terapie della riabilitazione in seguito a gravi incidenti o a Paralisi
Neuromuscolare degli arti. Và Eseguito sotto stretto controllo di personale altamente
Specializzato.
Stretching Crac (Contract Relax Antagonist Contract): Anche questo tipo di
Stretching è specifico per la Riabilitazione Motoria. Questa particolare tecnica di
Stretching è eseguita in concomitanza con il P.N.F in ambiente medico o paramedico.
Stretching Globale Attivo: Gli allungamenti sono effettuati non più su uno o più muscoli
bensì su tutta una catena muscolare che interviene nel mantenimento della Postura. E'
una forma di Stretching innovativa che consiste nella rieducazione Posturale per la
prevenzione ed il trattamento della tonicità dei Muscoli e del Equilibrio Neurovegetativo.
E' utilizzato dai Terapeuti specializzati nella rieducazione Posturale :molto utile ai
Bambini ed ai giovani che soffrono di Scoliosi.
I BENEFICI DELLO STRETCHING
Benefici sulle Articolazioni
Rallenta la Calcificazione dell' Articolazione
Stimola la Lubrificazione Articolare
Benefici Muscolari sul Sistema Muscolare e Tendineo
Migliora ed aumenta la Flessibilità e l' Elasticità dei Muscoli e dei Tendini.
Migliora la Capacità di Movimento.
Previene Traumi Articolari e Muscolari.
Benefici sul Circuito Cardio –Respiratorio
Aumenta la Capacità Polmonare.
Migliora la Qualità della Respirazione.
Diminuisce l'Ipertensione Arteriosa.
Favorisce il Fluire della Circolazione.
Benefici sul Sistema Nervoso
Rallenta lo Stress Psico – Fisico.
Migliora la Coordinazione dei Movimenti.
Lo Stretching è importantissimo per i Bambini perché l' uomo raggiunge il massimo
della flessibilità intorno ai 10 anni e, se mantenuta tale flessibilità, si protrae molto a lungo
nell' arco della vita. Si può iniziare a fare Stretching sotto controllo di personale
qualificato, a qualsiasi età poiché, alleggerire, rilassare e mantenere in buona salute
muscoli, tendini, articolazioni è importante per assicurarsi una buona qualità di vita.
Nello sport lo stretching assume un'importanza basilare in quanto è proprio grazie a
questo particolare sistema di allungamento/allenamento che il praticante raggiungerà la
massima (ovviamente individuale) flessibilità muscolare.
Parlando di stretching è anche d'obbligo parlare della mobilità articolare (conosciuta anche
come: articolarità, flessibilità, estensibilità, ecc.), è la capacità di compiere movimenti ampi
ed al massimo della estensione fisiologica consentita dalle articolazioni.
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Questa capacità è condizionata:
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Dalla struttura ossea dell'articolazione;
Dalle sue componenti anatomiche e funzionali (grado di estensibilità dei legamenti,
tendini e muscoli);
Dalla temperatura dell'ambiente;
Dal livello di riscaldamento del corpo.
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È importante ricordare che le fibre muscolari si adattano rapidamente a qualsiasi
situazione.
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Tipi di stretching:
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Non esiste una sola forma di stretching, anche se quello più conosciuto è, come già detto,
quello codificato da Bob Anderson. In questo capitolo prenderemo in considerazione quelli
più conosciuti.
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Stretching balistico:
È il primo tipo di allungamento conosciuto e in genere non viene utilizzato nei centri
sportivi, palestre, club perché è pericoloso in quanto fa attivare nel muscolo il riflesso di
stiramento (riflesso incondizionato che ordina al muscolo di reagire ad una tensione
brusca con una rapida contrazione, con elevato rischio di trauma muscolare). È un
sistema di stretching vecchio e ormai accantonato per la sua pericolosità. Il metodo è
molto semplice, si arriva in posizione di allungamento e poi si inizia a molleggiare.
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Stretching dinamico:
Questo sistema è consigliato in programmi sportivi in cui sono previsti movimenti ad
elevata velocità, poiché agisce sull'elasticità di muscoli e tendini. Il muscolo agonista
contraendosi rapidamente tende ad allungare il muscolo antagonista (il muscolo che in
questo esercizio vogliamo allungare); si effettuano, quindi, movimenti a "rimbalzo" con una
certa rapidità. La tecnica consiste nello slanciare in modo controllato le gambe o le
braccia, in una determinata direzione, senza molleggiare, rimbalzare o dondolare.
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Leggi dello stretching dinamico:
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Procedere ad un riscaldamento generale (cardiovascolare) e settoriale (rotazione
delle articolazioni: collo, spalle, gomiti, polsi, ecc.);
Iniziare con slanci lenti e sciolti e gradatamente aumentare l'ampiezza oppure la
velocità di esecuzione.
Non slanciare in modo incontrollato (tipo stretching balistico).
Controllare il movimento.
Terminare gli slanci quando si manifestano i primi segni di fatica in una diminuzione
di ampiezza e velocità.
Non allenarsi quando i muscoli sono affaticati, i muscoli stanchi sono meno
flessibili, meno veloci e più soggetti a traumi.
Per sport altamente tecnici (come ad es. il Taekwon-Do) è necessario prestare
particolare attenzione all'allineamento dei segmenti corporei.
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Stretching statico:
È il sistema di stretching più conosciuto, quello codificato da Bob Anderson. Questo
sistema di stretching, con le sue posizioni e il suo modo di respirare, prende spunto dallo
yoga e fonda la sua pratica in esercizi di stiramento muscolare allo scopo di mantenere il
corpo in un buono stato di forma fisica. Si raggiunge l'allungamento muscolare tramite
posizioni di massima flessione, estensione o torsione. Queste posizioni devono essere
raggiunte lentamente in modo da non stimolare nei muscoli antagonisti il riflesso da
stiramento.
Riflesso di stiramento
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Raggiunta la posizione va mantenuta per un tempo da 15 a 30 secondi, è importante che
l'estensione non superi la soglia del dolore.
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Leggi dello stretching statico:
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Trazione costante senza molleggi da 10 a 30 secondi.
Mai oltre la soglia del dolore.
Riscaldamento generale prima dello stretching.
Abbigliamento comodo.
Ambiente non rumoroso.
Suolo non freddo.
Concentrazione.
Non confrontarsi con altri.
Controllo del respiro.
Alternare l'estensione dei muscoli agonisti con quelli antagonisti.
Programma razionale, meglio se sviluppato da personale qualificato.
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Stretching statico attivo:
Gli esercizi di stretching statico attivo consistono in esercizi eseguiti con ampiezza di
movimento e sostenendo l'arto o il segmento corporeo contraendo isometricamente i
muscoli agonisti.
Leggi dello stretching statico attivo:
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Se vi sono esercizi in sospensione per le gambe, le prime volte utilizzare dei rialzi.
Esercitare i muscoli stabilizzatori, specifici della posizione, mediante appositi
esercizi.
Aumentare la forza e la resistenza generale, in particolare della sezione
addominale e lombare.
Sviluppare al massimo la mobilità articolare.
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P.N.F.:
Deriva dalle parole inglesi "Proprioceptive Neuromuscolar Facilitation" che in italiano
significa "facilitazione propriocettiva neuromuscolare".
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Questo sistema di stretching è diviso in 4 tempi:
Si raggiunge il massimo allungamento del muscolo in modo graduale e lento.
Si esegue una contrazione isometrica per circa 15/20 secondi (sempre in posizione
di massimo allungamento).
Rilassamento per circa 5 secondi.
Si allunga nuovamente il muscolo (contratto precedentemente) per almeno 30
secondi.
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L'intero procedimento è da ripetere per due volte. Questo tipo di stretching, viene usato
molto nella terapia di riabilitazione.
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C.R.A.C.:
Deriva dalle parole inglesi "Contract Relax Antagonist Contract" che in italiano significa
"contrazione, rilassamento e contrazione dei muscoli antagonisti". È simile al P.N.F., si
differenzia nella fase finale dell'allungamento. Prevede, infatti, l'intervento attivo
(contrazione) dei muscoli antagonisti (in questo caso agonisti del movimento) a quelli che
si stanno allungando. Anche in questo caso è necessaria la presenza di un compagno che
collabori nella contrazione isometrica iniziale dei muscoli che si vogliono allungare, e che
dia anche un ulteriore aiuto, nella fase finale di allungamento, alla contrazione dei muscoli
antagonisti. In questo sistema vi è una contrazione e un rilassamento del muscolo
agonista quando viene contratto con forza l'antagonista.
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C.R.S.:
Significa "Contrazione, Rilassamento e Stretching. Questo sistema consiste nel contrarre
isometricamente il muscolo in questione per 10/15 secondi, rilassarlo per 5/6 secondi e
attuare l'allungamento.
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Stretching globale attivo (o decompensato):
Lo stretching globale attivo si basa sul principio che solo gli stiramenti globali sono
realmente efficaci. Gli stiramenti vengono effettuati mediante posizioni che allungano tutta
una catena muscolare portando così ad una rieducazione della postura. È una forma di
stretching innovativa e consiste nella rieducazione posturale per la prevenzione ed il
trattamento delle alterazioni dell'equilibrio tonico dei muscoli e dell'equilibrio
neurovegetativo riconducibili, in questo caso, alla pratica sportiva. Lo stretching globale
attivo trae i suoi principi dalla Rieducazione Posturale Globale, metodo del "Campo
Chiuso", creata da Philippe E. Souchard. L'importanza di questo sistema è che non agisce
sul singolo gruppo muscolare ma nella globalità del corpo. Secondo la teoria del creatore
di questo sistema, quando eseguiamo un esercizio di stretching classico su un muscolo (o
un gruppo muscolare), otteniamo una parte di allungamento delle fibre interessate e una
parte di allungamento che viene preso a "prestito" da altri gruppi muscolari. In altre parole,
quando si allunga un muscolo, altri gruppi muscolari devono cedere la propria tensione per
permettere l'allungamento del muscolo in questione. Tale meccanismo darà una falsa
mobilità al muscolo. Questo sistema fa comprendere che ogni volta che si mette in
funzione un determinato muscolo, si crea un movimento nell'intera struttura e da ciò si
capisce che la struttura dell'uomo è organizzata in catene muscolari. Uno dei principi
fondamentali, sfruttati dallo stretching globale attivo, è la globalità che prevede, quindi,
l'interessamento di tutti i segmenti del corpo nello stesso momento attraverso la
realizzazione di particolari posizioni che evolvono in maniera dolce e progressiva, con
l'interessamento della respirazione, verso una posizione finale di massimo allungamento.
Un'altra caratteristica necessaria è costituita dalla partecipazione "attiva" dei distretti
muscolari interessati dallo stiramento attraverso la contrazione isotonica-eccentrica,
ricercandone così il rilasciamento riflesso. Vengono utilizzate nove posture, ognuna con la
specificità di agire su una serie determinata di "catene muscolari". Nella pratica sportiva, in
alternativa allo stretching tradizionale, permette un maggiore allungamento muscolare,
controllato attivamente dal soggetto con sequenze coordinate. Ciò realizza un riequilibrio
delle tensioni e permette una maggiore economia del sistema con un aumento quindi della
performance atletica. Sembra, inoltre offrire una valida prevenzione contro le patologie da
sovraccarico muscolo-tendinee.
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Esempi di stretching:
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Stretching dinamico:
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Stretching statico:
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Stretching statico attivo:
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P.N.F.:
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Stretching globale attivo:
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Respirazione:
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È importante ricordare che qualsiasi sistema di stretching si stia attuando, la respirazione
deve essere normale e tranquilla. Non bisogna mai trattenere il respiro durante un
esercizio di allungamento. Lo scopo di una corretta respirazione è importante perché una
buona ossigenazione attenua lo stato di tensione dell'atleta fino a portarlo ad uno stato di
equilibrio delle sue funzioni fisiologiche e quindi anche del tono muscolare. La posizione
deve permettere una corretta respirazione. Se la posizione mantiene il muscolo in
un'eccessiva tensione è probabile che la respirazione diventi affannosa o difficoltosa, in
questo caso è importante diminuire la tensione finché la respirazione non diventerà
naturale. La concentrazione deve essere sia sulla respirazione, sia sull'esercizio che si sta
attuando.
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Praticanti dello stretching:
. Esistono tre categorie nelle quali classificare i possibili praticanti lo stretching:
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Sportivi;
Individui sotto terapia correttiva o riabilitativa;
Individui inattivi.
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Sportivi:
Chi cioè regolarmente pratica un'attività fisica, a loro volta divisi in due sotto categorie:
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Sportivi dilettanti.
Sportivi agonisti.
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Per gli sportivi dilettanti è indicato lo stretching statico in quanto consente di acquisire e
mantenere una buona flessibilità. Per gli sportivi agonisti lo stretching statico è indicato
come riscaldamento o defaticamento, ma è indicato usare il P.N.F. come preparazione
specifica, in quanto influisce in misura maggiore sulla mobilità articolare migliorando così
la prestazione.
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Individui sotto terapia correttiva o riabilitativa:
In questi casi la casistica è ampia e differenziata e la migliore scelta è sempre nelle mani
di un professionista qualificato nel settore della riabilitazione.
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Individui inattivi:
Lo stretching contribuisce notevolmente ad evitare o ridurre la rigidità delle articolazioni.
Lo stretching, grazie alla sua semplicità e grazie al non utilizzo di attrezzature o spazi
grandi può essere praticato facilmente da questi soggetti.
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Test di valutazione della flessibilità:
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I test di valutazione della flessibilità, sono molto importanti nella vita dello sportivo (sia
agonista che non agonista) in quanto permettono di conoscere i propri miglioramenti nel
corso degli anni. Di seguito sono riportati due esempi di test di valutazione della flessibilità.
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Test dello Sgabello:
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Obiettivo:
Valutazione della massima flessibilità
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Attrezzatura:
Sgabello al cui piano di appoggio corrisponde lo zero di un tabellone centimetrato; la parte
superiore allo zero viene indicata come zona negativa, quella inferiore come positiva.
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Descrizione:
L'atleta dopo essere salito a piedi nudi sullo sgabello, deve flettersi il più possibile in avanti
tenendo le gambe tese e facendo scorrere le mani sul tabellone centimetrato. Il
movimento deve essere eseguito senza oscillazione del tronco. Il punto di massima
flessione deve essere mantenuto per qualche secondo.
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Test della Bacchetta:
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Obiettivo:
Valutazione della mobilità del cingolo scapolo omerale
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Attrezzatura:
Una bacchetta di legno lunga un metro.
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Descrizione:
L'atleta, dalla posizione seduta (per evitare una compensazione a livello lombare),
impugna la bacchetta di legno. Da questa posizione, tenendo le braccia ben tese, esegue
una circonduzione fino a toccare posteriormente il busto con la bacchetta. La prova viene
ripetuta diminuendo progressivamente l'apertura dell'impugnatura. Infine, si misura la
distanza tra le due mani.
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Benefici:
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È utile soffermarci sui benefici che lo stretching genera sia sul livello di prestazione
sportiva, che sull'efficienza fisica.
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Benefici sul sistema muscolare e tendineo:
Aumenta la flessibilità e l'elasticità dei muscoli e dei tendini;
Migliora la capacità di movimento;
È un'ottima forma di preparazione alla contrazione muscolare;
In alcuni casi diminuisce la sensazione di fatica;
Può prevenire traumi muscolari ed articolari;
Benefici sulle articolazioni;
Attenua le malattie degenerative;
Stimola la "lubrificazione" articolare;
Mantiene "giovani" le articolazioni, rallentando la calcificazione del tessuto
connettivo.
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Benefici sul sistema cardiocircolatorio e respiratorio:
Diminuisce la pressione arteriosa;
Favorisce la circolazione;
Migliora la respirazione;
Aumenta la capacità polmonare.
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Benefici sul sistema nervoso:.
Sviluppa la consapevolezza di sé;
Riduce lo stress fisico;
Favorisce la coordinazione dei movimenti;
È rilassante e calmante.
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"Leggi" dello stretching:
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Riscaldamento generale prima dello stretching.
Abbigliamento comodo.
Ambiente non rumoroso.
Suolo non freddo.
Concentrazione.
Non confrontarsi con altri.
Controllo del respiro.
Alternare l'estensione dei muscoli agonisti con quelli antagonisti.
Rilassarsi.
Programma sviluppato da personale qualificato.
Sport e stretching:
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E' importantissimo, da parte dell'atleta, non fare stretching solo in palestra sotto la guida
del proprio insegnante, ma seguire giornalmente un proprio programma di stretching di
minimo ½ ora. Un lavoro quotidiano e costante nel tempo consente alle articolazioni di
raggiungere una maggiore mobilità, permettendo all'atleta una espressione migliore delle
proprie potenzialità.
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Da parte dell'insegnante vi devono essere dei punti fermi da seguire:
Ogni esercizio deve essere spiegato e dimostrato in modo chiaro ed esatto;
È importante soffermarsi su ciascun esercizio per il tempo necessario affinché il
nuovo "movimento" sia ben compreso dal corpo;
Accanto alla dimostrazione pratica e teorica è importante esporre anche le
sensazioni fisiche che l'esercizio deve far provare;
Mai pretendere dall'allievo che questi faccia l'esercizio perfettamente, è necessario
comprendere che una persona ha un fisico diverso da un'altra. La corretta
esecuzione si comprende dopo allenamento e prove;
Se si fanno esercizi in coppia è importante che gli allievi siano circa della stessa
statura (peso e altezza).
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Uno degli errori più comuni nell'atleta è quello di fare esercizi di stretching solo per un
determinato gruppo muscolare, non rendendosi conto che il corpo è un insieme di catene
muscolari.
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E' importante ricordare che ogni persona raggiunge il massimo della flessibilità attorno ai
dieci anni, per questo è necessario prevedere in una parte dell'allenamento, degli esercizi
di stretching anche con i bambini.
Esempi di allungamento muscolare
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LA FLESSIBILITA’
La flessibilità detta anche mobilità articolare, articolarità, articolabilità, flessibilità,
estensibilità ecc,
è la capacità di una o di un insieme di articolazioni di muoversi liberamente per tutto il
proprio range di mobilità”, è la capacità di un soggetto di muovere una o più articolazioni
con la massima escursione articolare possibile, senza alcun limite e senza dolore”.
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Dal punto di vista del fitness la flessibilità o mobilità articolare, rappresenta una qualità
importante per un soggetto attivo essa contribuisce infatti a mantenere il benessere fisico
e a mantenere una corretta postura, ad economizzare i gesti, migliorare le performances
sportive, sviluppare la forza e prevenire gli infortuni muscolo-tendinei-articolari.
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Dal punto di vista della performance costituisce una componente essenziale della
prestazione motoria e come tale deve essere sviluppata e mantenuta attraverso un
adeguato programma di allenamento.
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Principi:
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La flessibilità di un’articolazione è specifica.
La flessibilità è diversa per diverse articolazioni.
La flessibilità è diversa in individui diversi.
Fattori che influenzano la flessibilità:
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Struttura anatomica dell’articolazione (Legamenti, Capsula Articolare, Tendini,
Muscoli, Pelle, Tessuto Adiposo).
Fattori fisiologici (Sesso, Età, Temperatura corporea, Temperatura atmosferica, Ora
del giorno, Stanchezza, Stato d’animo).
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Strutture anatomiche:
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Le limitazioni poste da strutture ossee si osservano solo per alcune articolazioni (ad
esempio per le articolazioni di tipo trocleare, come il gomito) tuttavia in tutte le
articolazioni, comprese quelle a troclea, i cosiddetti tessuti molli sono quelli che
influenzano e vincolano maggiormente il grado di mobilità e la libertà di esse.
La capsula articolare ed i tessuti connettivi ad essa associati offrono, insieme al muscolo,
la maggior parte della resistenza alla flessibilità ad angoli medi di movimento mentre agli
angoli estremi del range articolare il maggiore effetto limitante e resistente è offerto dai
tendini.
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Le limitazioni prodotte dai tessuti molli e di conseguenza la flessibilità, possono essere
modificate (a volte anche di molto) dall’esercizio e dall’allenamento specifico, vista nella
natura in parte elastica di alcuni di questi tessuti.
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Fattori che influenzano la flessibilità:
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Fattori fisiologici:
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Esistono alcuni fattori che determinano le caratteristiche della mobilità durante la
prestazione:
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Positivi:
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Il riscaldamento motorio (a 45°C la flessibilità dinamica aumenta di circa il 20%).
Il riscaldamento passivo, un bagno caldo aumenta fortemente le condizioni di
mobilità delle articolazioni.
L’ora del giorno, meglio il pomeriggio o la tarda mattinata..
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Negativi:
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La mancanza di riscaldamento.
Il freddo (a 18°C si ha una riduzione del 10-20%).
La prestazione sportiva nelle ore mattutine, dopo il riposo notturno.
La stanchezza (la maggior parte degli incidenti avviene quando l’atleta è stanco e
viene meno la possibilità di controllarei movimenti).
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Molte attività sportive richiedono una flessibilità relativamente “normale”, in altri sport
invece quali la ginnastica artistica, la danza, i tuffi, le arti marziali per emergere è
necessaria un’escursione articolare superiore alla norma.
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Flessibilità eccessiva:
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Un eccesso di flessibilità porta spesso ad instabilità–lassità articolare, provocando
problemi gravi quanto un suo difetto.
È possibile che i muscoli di un'articolazione diventino troppo flessibili.
Esiste un compromesso tra la flessibilità e la stabilità. Quando si diventa "più sciolti" o più
agili in una particolare articolazione i muscoli tutt'attorno all'articolazione offrono meno
supporto.
Una flessibilità eccessiva può essere dannosa proprio quanto una flessibilità non
sufficiente poiché entrambe aumentano il rischio di lesioni. (i legamenti si lacerano se
allungati più del 6 % della loro normale lunghezza, i tendini non sono neppure preposti
all'allungamento).
Anche se non arrivano a lacerarsi legamenti e tendini allungati possono influire sulla
stabilità dell'articolazione, aumentando enormemente il rischio di lesione.
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Classificazioni della flessibilità:
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La flessibilità si distingue in:
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Dinamica.
Statica.
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Attiva: dovuta all'azione dei muscoli che distendono gli antagonisti;
Passiva: dovuta all'azione dell'inerzia o della gravità o al semplice peso del corpo, o
ancora all'azione di un partner o di un attrezzo;
MISTA dovuta all’interazione delle due precedenti in forma varia.
.
Flessibilità Dinamica:
La flessibilità dinamica (detta anche flessibilità cinetica) è la capacità di svolgere
movimenti dinamici (o cinetici) dei muscoli per portare un arto attraverso la sua intera
gamma di movimento nelle articolazioni.
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Flessibilità Attiva:
La flessibilità statica attiva (detta anche flessibilità attiva) è la capacità di assumere e
mantenere posizioni distese usando solo la tensione degli agonisti e degli agenti sinergici
mentre sono allungati gli antagonisti.
(sollevare la gamba e tenerla in alto senza supporto esterno utilizzando solo i muscoli
della gamba).
.
La flessibilità attiva è influenzata dalle capacità di contrazione dei muscoli agonisti, e cioè
dalla loro forza. Un rapporto molto delicato è quello che intercorre fra flessibilità e forza
dell'atleta; le sole capacità di forza costituiscono un fattore limitante della mobilità attiva,
l'opposto si realizza nella capacità di mobilità nel suo complesso.
Spesso si osserva che soggetti che possiedono un livello di forza elevato presentano una
limitata capacità di mobilità e, viceversa, soggetti molto flessibili sono poco dotati di forza.
L'allenamento di questa capacità ha come obiettivo quello di mantenere dei rapporti
armonici fra essa e la forza, a livelli ottimali che sono tipici di ogni disciplina.
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Flessibilità Passiva:
La flessibilità statica passiva (detta anche flessibilità passiva) è la capacità di assumere
posizioni distese e poi tenerle usando il proprio peso, il supporto dei propri arti, di qualche
altro attrezzo (come una sedia o la sbarra) o l’aiuto di un compagno.
La capacità di mantenere la posizione non viene esclusivamente dai muscoli, come
avviene con la flessibilità statica attiva. Riuscire a fare le divaricate è un esempio di
flessibilità statica passiva.
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La flessibilità attiva è più strettamente correlata al livello raggiunto negli sport rispetto alla
flessibilità passiva.
La Flessibilità attiva è più difficile da sviluppare della flessibilità passiva (che è ciò che la
maggior parte delle persone pensa a proposito della "Flessibilità");
la flessibilità attiva necessita di flessibilità passiva per poter assumere una posizione
iniziale distesa, ma necessita anche della forza muscolare per poter mantenere quella
posizione.
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Rom Articolare:
La flessibilità articolare è definita dal ROM ( Range Of Motion) ossia dai gradi di libertà
permessi da una specifica articolazione.
Il ROM di un’articolazione è usualmente misurato dal numero di gradi dalla posizione di
partenza di un segmento alla posizione finale del suo completo arco di movimento.
Il metodo più comune per calcolarlo è usando un goniometro.
Quando i punti di repere anatomici sono ben definiti, l’accuratezza della misurazione è
alta.
Quando vi è molto tessuto morbido che circonda la zona dell’articolazione, l’errore di
misurazione può essere più frequente.
Si può migliorare la mobilità articolare?
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La mobilità sarà migliorata attraverso una combinazione di esercizi attivi e passivi.
E' opportuno passare ad esercizi di mobilità a riscaldamento già effettuato. Il lavoro
di mobilità va continuato anche quando si è raggiunto il grado desiderato di mobilità:
rinunciando ad esercizi appropriati, il grado di mobilità regredisce rapidamente.
Il periodo dai 9 ai 14 anni è molto importante lavorare sulla mobilità considerando
che i risultati permangono anche nel futuro.
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Influenze interne:
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Il tipo di articolazione (alcune articolazioni semplicemente non sono flessibili).
La resistenza interna all'interno di un'articolazione.
Le strutture ossee che limitano il movimento.
L'elasticità del tessuto muscolare (il tessuto muscolare segnato da una precedente
lesione non è molto elastico).
L'elasticità dei tendini e legamenti (i legamenti non si allungano molto e i tendini
non dovrebbero allungarsi affatto).
L'elasticità della pelle (la pelle in realtà ha un certo grado di elasticità, ma non
molto).
La capacità di un muscolo di rilassarsi e contrarsi per raggiungere la maggiore
gamma di movimento.
La temperatura dell'articolazione e tessuti associati (articolazioni e muscoli offrono
una migliore flessibilità a temperature corporee che sono da 1 a 2 gradi sopra il normale).
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Influenze esterne:
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La temperatura del luogo dove ci si allena (una temperatura più alta contribuisce
maggiormente ad aumentare la flessibilità).
Il momento della giornata (la maggior parte delle persone sono più flessibili di
pomeriggio rispetto al mattino, con picchi dalle 2:30 alle 4 circa del pomeriggio).
Lo stadio del processo di recupero di un'articolazione (o muscolo) dopo la lesione
(articolazioni e muscoli lesionati di solito offrono un grado minore di flessibilità rispetto a
quelli sani).
Età (prima dell'adolescenza si è generalmente più flessibili che da adulti).
Sesso (le femmine sono generalmente più flessibili dei maschi).
La capacità individuale di svolgere un particolare esercizio (s'impara con la pratica).
L'impegno individuale a raggiungere la flessibilità.
Le restrizioni di abbigliamento o attrezzi.
I tessuti adiposi in eccesso impongono una restrizione.
La massa muscolare può essere un fattore quando il muscolo è così fortemente
sviluppato che interferisce con la capacità di portare le articolazioni adiacenti nel loro
completo raggio di movimento.
Scarsa assunzione di acqua: sembra che una maggiore assunzione d'acqua
contribuisca ad una maggiore mobilità, così come un maggiore rilassamento totale del
corpo.
L'inattività di alcuni muscoli o articolazioni può causare cambiamenti chimici nel
tessuto connettivo con ristretta flessibilità.
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Come l'invecchiamento influenza la flessibilità:
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Quando il tessuto connettivo non è usato o usato poco, dà una significativa resistenza e
limita la flessibilità. L'elastina inizia a logorarsi e perde un po' della sua elasticità, e il
collagene aumenta la sua rigidità e densità.
L'invecchiamento ha effetti sul tessuto connettivo simili al disuso con l’aggiunta della
progressiva disidratazione, di un maggiore deposizione di calcio e della sostituzione di
fibre muscolari con fibre collagene adipose.
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Si ritiene che "lo stretching stimoli la produzione o conservazione di lubrificanti tra le fibre
del tessuto connettivo, quindi impedendo la formazione di aderenze". L'esercizio può
quindi ritardare la perdita di flessibilità causata dal processo d'invecchiamento.
.
Questo non significa che un anziano debba rinunciare a cercare di raggiungere la
flessibilità. Anzi significa soltanto che deve lavorare relativamente di più, con più
attenzione, per un periodo di tempo più lungo.
Una maggiore capacità dei tessuti muscolari e tessuti connettivi ad allungarsi può essere
raggiunta a qualsiasi età.
LE CAPACITA’ MOTORIE
L'attività agonistica è uno stimolo per l'individuo che deve impegnarsi totalmente per
raggiungere un obiettivo prefissato identificabile in una misura, un tempo, una prestazione
perfetta. Fare attività agonistica significa mettere alla prova il proprio organismo, la propria
psiche e ricercare i limiti delle proprie capacità. Gli esercizi ginnici utilizzati per una
preparazione ottimale sono tutti quei movimenti mirati ad allenare al meglio le proprie
capacità motorie, classificabili in: condizionali,
coordinative e di mobilità articolare.
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Le capacità condizionali sono determinate prevalentemente da processi energetici e si
distinguono in:
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Forza (massimale, veloce e resistente);
Velocità;
Resistenza;
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Le qualità coordinative sono quelle che permettono di aumentare il controllo e
l'adattamento del movimento e sono suddivise in:
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Generali (capacità di direzione e controllo motorio, apprendimento ed adattamento);
Speciali (capacità di accoppiamento e combinazione dei movimenti,
differenziazione, equilibrio, orientamento, ritmizzazione, reazione e trasformazione).
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La mobilità articolare è invece la capacità di eseguire dei movimenti utilizzando la
massima ampiezza articolare. Per il raggiungimento dell'obiettivo, la programmazione e
l'allenamento di tutte le capacità motorie sono analizzate dalla Teoria e Metodica
dell'Allenamento, una vera e propria scienza che studia la metodologia più idonea al
raggiungimento del risultato, sia in generale che per ogni singolo sport, compresa la
ginnastica.
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Le capacita' condizionali:
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La forza:
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La forza è l’energia prodotta dai muscoli per opporsi ad una resistenza esterna.
Essa dipende non soltanto dalla massa muscolare (un muscolo sarà tanto più forte quanto
maggiore è il diametro delle fibre che lo compongono), ma anche dalla capacità del
sistema nervoso di stimolare molta tensione nel muscolo stesso. Per poter utilizzare gradi
superiori di forza, infatti, il sistema nervoso aumenta la frequenza degli impulsi mettendo in
azione il maggior numero possibile di fibre muscolari.
Gli altri fattori che influenzano la forza sono le capacità coordinative, nonché la corretta
esecuzione del gesto atletico.
Si possono individuare tre tipologie fondamentali di forza:
.
Massimale;
Veloce;
Resistente.
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Forza massimale:
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E’ il grado di forza più elevato, riferito al singolo muscolo, che il sistema neuromuscolare
può esprimere attraverso una contrazione volontaria; per svilupparla è necessario che i
muscoli lavorino ai limiti delle proprie possibilità. Il sistema piramidale è il metodo più
diffuso per il mantenimento della forza massimale raggiunta; esso consiste nel partire con
un carico leggero ripetuto tante volte, per passare poi ad un carico sempre maggiore,
riducendo il numero delle ripetizioni, sino ad arrivare al massimale ripetuto una sola volta.
E’ importante ricordare che con questo tipo di allenamento bisogna prestare attenzione
anche alla circolazione e al metabolismo interno delle fibre muscolari: a questo scopo
sono utili degli esercizi ripetuti più volte, fino alla stanchezza, con carichi leggeri (non più
della metà del proprio massimale).
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Forza veloce:
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E’ la capacità del sistema neuro-muscolare di vincere resistenze non massimali attraverso
un’elevata rapidità di contrazione; si tratta della capacità di combinare la forza e la velocità
(potenza). Questa è il tipo di forza più richiesta nelle attività sportive e non richiede
aumento della massa muscolare: si incrementa con carichi che vanno dal 40 al 70% del
proprio massimale, eseguendo gli esercizi in velocità, per non più di dieci ripetizioni.
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Forza resistente:
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Si manifesta quando è necessaria una tensione muscolare non elevata, ma protratta nel
tempo, contrastando l’inevitabile sensazione di fatica. Il suo incremento si può ottenere
eseguendo delle serie di esercizi di potenziamento, senza intervalli di recupero e con
carico modesto.
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La velocità:
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La velocità è la capacità dell’atleta di compiere azioni motorie in tempo minimo. Un aspetto
della velocità è la rapidità, su cui hanno influenza una serie di componenti, tra cui il tempo
di reazione motoria, la rapidità del singolo movimento e la frequenza dei movimenti. La
reazione motoria ha come dominante una componente percettiva, la frequenza dei
movimenti è da considerarsi prevalentemente una capacità coordinativa. Nei muscoli di
atleti veloci prevalgono le fibre bianche ed è riscontrabile una maggiore velocità di
conduzione degli impulsi nervosi; sembra che gli unici fattori limitanti la rapidità siano
costituiti dalla disponibilità di ATP e dalla capacità di demolirlo in tempi brevissimi. Da tutto
ciò è facile dedurre che l’allenamento della velocità è molto difficile da attuare, in quanto
alcuni dei fattori che contraddistinguono questa capacità motoria hanno come punti
fondamentali le caratteristiche genetiche. Ad ogni modo, può essere utile un allenamento
molto intenso (soprattutto per migliorare la resistenza alla velocità), in cui l’atleta però non
deve raggiungere la soglia di fatica, nonché una particolare attenzione al fattore emotivo:
l’attenzione permette di captare subito il segnale per far partire una rapida reazione
riflessa; la motivazione predispone all’aspettativa e mantiene corpo e mente pronti
all’azione; un buon controllo emotivo aiuta ad allontanare quelle emozioni che bloccano la
ricezione del segnale e rendono contratti i gesti.
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La resistenza:
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La resistenza è la capacità dell’organismo di sopportare uno sforzo prolungato
controllando e superando i disagi della fatica. La resistenza generale è il punto di partenza
per qualsiasi forma di allenamento e dipende dal corretto e potenziato funzionamento degli
organi interni: cuore, polmoni, fegato e reni; la resistenza specifica è riferita ad un ad una
prestazione sportiva ben definita. La resistenza può essere allenata con tecniche diverse e
il suo sviluppo può migliorare l’efficienza del nostro organismo, apportando benefici
all’apparato respiratorio e cardiocircolatorio. Esistono molti metodi per allenare la
resistenza; ciascuno di essi si distingue dall’altro perché variano le diverse componenti
basilari (durata, intensità, ripetizioni, pause di recupero), però sono tutti accomunati da un
semplice concetto: lo sviluppo della resistenza migliora l’efficienza dell’organismo.
Gli effetti che può produrre sugli apparati respiratorio e cardiocircolatorio sono:
.
Aumento del volume del muscolo cardiaco;
Aumento della quantità di sangue che il cuore espelle ad ogni contrazione;
Aumento della quantità di globuli rossi e di emoglobina in circolo, con una
conseguente migliore capacità di trasportare ossigeno;
Aumento dell’afflusso di sangue ricco di ossigeno agli organi impegnati nel lavoro;
Diminuzione della frequenza cardiaca, sia a riposo che sotto sforzo, con il grande
vantaggio di raggiungere il limite dello sforzo in un tempo maggiore;
Diminuzione del tempo di recupero dopo lo sforzo, ovvero la respirazione e l’attività
cardiaca tornano alla normalità molto più velocemente.
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Le capacità coordinative:
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La coordinazione rappresenta la capacità di dosare gli impegni muscolari in dipendenza
del compito da svolgere. Sulla base di tre aspetti diversi dei problemi coordinativi, sono
state definite le seguenti capacità coordinative generali.
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Capacità di apprendimento motorio, consiste nell’assimilare movimenti o parte di
essi precedentemente non posseduti, che dovranno essere immediatamente stabilizzati.
Capacità di direzione e controllo motorio, è la capacità di controllare il movimento
secondo lo scopo previsto, cioè di raggiungere esattamente il risultato voluto con il
movimento.
Capacità di adattamento motorio, è la capacità di cambiare ed adattare il
programma motorio alla modificazione improvvisa della situazione e delle condizioni
esterne (diverse da quelle abituali nelle quali si è appreso il movimento), per cui il risultato
del movimento non cambia se non di poco.
.
Blume (1981) individua altre sette capacità coordinative, definite speciali, che
interagiscono fra loro continuamente. Non esiste lo sviluppo indipendente di una capacità
motoria singola e le stesse capacità coordinative generali si riflettono in quelle speciali,
anche se in maniera diversa.
.
Capacità di accoppiamento e combinazione dei movimenti: collega la coordinazione
segmentaria degli arti inferiori e superiori (ad es.: “caricare un piede e muovere un
braccio”).
Capacità di differenziazione cinestetica: realizzare in modo differenziato i movimenti
sulla base delle percezioni del tempo, dello spazio e delle forze applicate (ad es.: “dare la
giusta forza su un appiglio”).
Capacità di equilibrio statico e dinamico: recuperare l'equilibrio anche dopo ampi
spostamenti e sollecitazioni.
Capacità di orientamento spazio-temporale: modifica la posizione ed il movimento
del corpo nello spazio e nel tempo in riferimento ad un campo d'azione ben definito (ad
es.: “ho un’esatta idea della mia posizione rispetto alla sequenza degli appoggi e degli
appigli”).
Capacità di ritmizzazione: permette di organizzare gli impegni muscolari secondo
un ordine cronologico.
Capacità di reazione semplice e complessa: reagire a stimoli particolari
rispondendo ad un segnale con azioni motorie adeguate (ad es.: “capacità di lettura
immediata della sequenza dei movimenti”).
Capacità di trasformazione del movimento: adattare il proprio programma motorio in
base ad improvvisi mutamenti della situazione che richiedono un’interruzione del
movimento programmato e la prosecuzione con altri schemi motori
(ad es.: “volo”).
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Allenabilità delle capacità coordinative:
.
L’aumento regolare delle dimensioni corporee e la mancanza di forti spinte evolutive, nel
periodo che intercorre tra i sette e i dodici anni d’età, consentono una messa a punto dei
meccanismi coordinativi. Per questo motivo, tale periodo rappresenta l’età d’oro per lo
sviluppo e l’allenabilità delle capacità coordinative.
Gli studi effettuati hanno evidenziato l’allenabilità e la modificazione delle capacità
coordinative nell’età infantile e adolescenziale. In particolare, Martin (1982) ha proposto il
seguente modello delle “fasi sensibili” delle componenti coordinative, condizionali e
cognitive (si dicono “fasi sensibili” quei periodi dello sviluppo nei quali c’è un’allenabilità
molto favorevole per una determinata capacità motoria).
All’inizio dell’età puberale, la prestazione motoria migliora notevolmente a causa delle
modificazione strutturali a carico del sistema neuro-muscolare. Queste modificazioni, però,
comportano inizialmente una temporanea sregolazione dei meccanismi coordinativi che,
quindi, dovranno essere riadattati (ristrutturazione delle capacità coordinative) alla nuova
situazione funzionale e strutturale. Il perfezionamento della coordinazione motoria, che in
quest’età assume una nuova funzione, deve servire:
.
Come aiuto per abituarsi al cambiamento delle proporzioni corporee;
Ad accumulare nuove esperienze motorie;
A rendere più precise le esperienze già acquisite.
.
Dopo la pubertà, l’importanza delle capacità coordinative decade progressivamente nella
programmazione dell’allenamento; a partire da quest’età, infatti, lo sviluppo delle capacità
condizionali assume sempre più rilevanza.
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La mobilità articolare:
.
Allenabilità:
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La mobilità articolare è una delle componenti essenziali nella realizzazione dei movimenti
del corpo e delle sue singole parti. Si identifica come la capacità di eseguire dei movimenti
del corpo intero o dei singoli segmenti corporei con la massima ampiezza consentita dalle
strutture anatomiche.
L'età infantile è quella in cui si hanno crescite significative della mobilità articolare, anche
se l'età puberale è ritenuta da alcuni studiosi come quella del massimo sviluppo. Resta
comunque la fascia d'età 8/14 anni quella in cui bisogna maggiormente esercitarsi, poiché
in popolazioni poco o male allenate si riscontra un maggior tono muscolare accompagnato
da una forte riduzione della mobilità.
Questa può essere limitata dai seguenti fattori:
.
Rigidità dei tendini e dei legamenti;
La forma particolare delle ossa;
Il contatto delle vicine parti del corpo;
La resistenza dei gruppi muscolari che si oppongono al movimento specifico.
.
L'allenamento della mobilità deve interessare tutti i settori muscolari e deve possibilmente
svolgersi al termine di ogni seduta oltre che all'inizio. Si possono distinguere gli esercizi di
allenamento della mobilità nei seguenti tipi:
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Movimenti con molleggio (sconsigliabili);
Movimenti di slancio;
Movimento di allungamento graduale o stretching.
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Lo stretching può essere eseguito con il metodo classico o con la tecnica conosciuta con
la sigla PNF (facilitazioni neuromuscolari propriocettive).
Nel primo caso si assume una posizione di allungamento di un muscolo lentamente, per
poi mantenerla per circa trenta secondi; l’operazione può essere eseguita più volte. Nel
secondo caso, dopo aver assunto una posizione di allungamento del muscolo interessato,
si compie una contrazione dello stesso per circa quindici secondi, quindi lo si allunga
ulteriormente.
.
L'esecuzione costante dello stretching dà i seguenti benefici:
Favorisce la sensazione di rilassamento del corpo;
Previene dagli infortuni;
Favorisce una migliore circolazione del sangue;
Migliora il recupero;
Migliora la mobilità.
.
In virtù di questi benefici, si consiglia a tutte le persone, sportive e non, di fare lo stretching
quotidianamente, sino a farlo diventare un’abitudine consolidata.
Tra le varie qualità fisiche necessarie ad un atleta per raggiungere un alto grado di
prestazione, la mobilità articolare rappresenta quella che richiede più tempo per il suo
sviluppo: ad ogni modo, non sono necessari anni per acquisire gradi elevati di questa
qualità fisica, sempre che il programma di allenamento sia ben costruito secondo le
tecniche più efficaci.
La flessibilità è la qualità che si acquista più lentamente, ma è anche quella che si perde
con meno facilità, poiché può essere facilmente mantenuta con brevi richiami di particolari
esercizi.
.
I principi di allenamento che permettono di raggiungere i massimi risultati possono essere
così riassunti:
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Effettuare sempre un adeguato riscaldamento prima di ogni sessione di
allenamento e prima di ogni seduta di stretching (un adeguato riscaldamento deve essere
sempre progressivo e deve portare l'atleta in regime aerobico);
Rispettare la corretta sequenza negli esercizi di stretching, terminando sempre ogni
sessione di allenamento con lo stretching PNF (solo dieci minuti di stretching PNF
possono garantire una flessibilità superiore);
Gli esercizi di forza vanno eseguiti sempre al proprio range articolare massimo,
altrimenti i muscoli tendono ad adattarsi ad archi di movimento limitati, riducendo così la
mobilità articolare;
Non sovrallenare mai la muscolatura: muscoli stanchi sono meno forti ed elastici.
SEI CAUSE DELL’INFORTUNIO
MUSCOLARE
L’infortunio muscolare è statisticamente quello più frequente nello
sportivo. Molteplici sono le cause e vanno da fattori di carattere
prettamente anatomico a errori di programmazione
d’allenamento.L’effetto è in tutti i caSi la limitazione termporanea della
capacità contrattile del muscolo. Analizziamo le possibili cause:
Poco recupero
Studi recenti hanno definito in circa 48 ore il tempo medio di recupero muscolare in un
atleta venticinquenne sano ed allenato. Questo recupero si riferisce ad allenamenti
impegnativi quali ad esempio il potenziamento muscolare, sedute di sprint con esercizio
massimale o sedute di lungo del maratoneta. Per non incorrere in lesioni muscolari è
dunque bene mantenere questo lasso di tempo tra una seduta impegnativa e l’altra
tenendo presente che al di la di una variabile soggettiva, i tempi di recupero tendono ad
aumentare con l’età dell’atleta. Un giusto equilibrio alimentare e una dietra con un corretto
apporto proteico favoriscono ulteriormente il recupero muscolare.
Avvio Veloce
Il riscaldamento muscolare e lo stretching costituiscono le premesse di un buon lavoro
atletico. Le brusche sollecitazioni a freddo vanno infatti sempre evitate. In partiolare,
occorre procedere con cautela il giorno successivo a un allenamento impegnativo
partendo con lo stretching (curando la mobilità della schiena, la muscolatura della coscia e
del tricipite della sura) per poi passare alla corsa lenta.
Tecnica di Corsa
Anche un’errata tecnica di corsa può creare danni ai muscoli, e il punto debole della
catena può trovarsi anche lontano da dove poi i problemi si manifestano. Ad esempio alla
base di una lesione muscolare nelle gambe può esserci un movimento anomalo delle
braccia causato da una muscolatura insufficiente delle stesse.Attraverso la catena
cinetica, una situazione di squilibrio è quindi in grado di riperquotersi a distanza
determinando, se non una vera lesione, un affaticamento del muscolo che si trova a
svolgere un lavoro inadeguato.
Vecchie Lesioni
La dove c’è stata una lesione muscolare i processi riparativi creano cicatrici con
caratteritiche fibrotiche. Questo significa che la zona presenta un’ottima resistenza allo
stiramento ma una scarsa elasticità del tessuto. Per riequilibrare la capacità
d’allungamento del muscolo nella sua interezza, le zone limitrofe alla cicatrice finiscono
per svolgere un maggior lavoro e sono le più soggette a eventuali ulteriori cedimenti. Un
muscolo che ha subito lezioni muscolari multiple deve sempre essere sottoposto a un
adeguato riscaldamento e a specifici esercizidi stretching prima di inziare il lavoro
specifico.
Sovraccarico
Il sovraccarico da lavoro muscolare è la principale causa di lesioni, anche per quanto
riguarda il numero di distretti colpiti. Per sovraccarico possiamo anche intedere un
recupero inadeguato o una programmazione d’allenamento errata nelle quantità e qualità.
Quando non si rispettano le capacità di adattamento soggettive e il superamento dei propri
limiti non avviene per gradi, si può verificare un infortunio muscolare.
Piede piatto e rotula.
Una deviazione assiale del ginocchio (rotula che quarda eccessivamente verso l’interno)
può comportare un disequilibio del lavoro muscolare, con un impegno esegarato della
muscolatura flessoria della coscia rispetto alla controlaterale.
Un’altra situazione è quella dell’pertrofia da compenso del tibiale posteriore nel podista
con piede piatto. Il muscolo aumenta considerevolmente di massa per il grande lavoro che
svolge nel sostenere il piede nella parte mediale. Allo stesso tempo il sovraccarico
funzionale porta a sindromi infiammatorie che coinvolgono il muscolo, soprattutto a livello
tendineo. In questi casi è facile che i muscoli affaticati finiscano per danneggiarsi.
INFORTUNI
Tutti i guai che possono capitare ai "motori" del movimento, le possibili prevenzioni
e le terapie immediate.
Dalla semplice botta al colpo di frusta: come riconoscerli e curarli.
In queste note si cerca di illustrare in modo semplice il significato di alcuni termini
che indicano i problemi più comuni a carico dell'apparato locomotore, di chi fa dello sport e
attività fisica-motoria. Inoltre si cerca di indicare quali possono essere i più facili sistemi
per prevenire o limitare questi disturbi e il loro ripetersi.
In caso di incidente:
Rivolgersi immediatamente allo specialista in caso di incidente durante la pratica
sportiva; la diagnosi tempestiva a cui fa seguito l'adeguata terapia e l'appropriato
programma riabilitativo consentono il ripristino rapito, quando possibile, della funzionalità.
Al contrario, trascurando incidenti, anche lievi, o affidandosi alle cure di "praticoni" si
allungano i tempi del recupero e si facilitano cronicizzazioni dei problemi.
Contusione:
Cominciamo dai muscoli, motori del movimento: sono formati da fibre che possono
accorciarsi e allungarsi grazie alle loro proprietà elastiche e contrattili. Un colpo ricevuto su
un muscolo, gonfio di sangue per il lavoro che sta compiendo, produce una contusione e,
in relazione all'intensità dell'impatto, danno alle fibre e sanguinamento all'interno del
muscolo. Dolore locale, gonfiore e arrossamento sono le immediate conseguenze; il
versamento interno di sangue formerà un ematoma, che se è di cospicue dimensioni deve
essere evacuato dal medico. Ridurre la possibilità di contusioni significa fare attenzione
all'idoneità dei luoghi dove di pratica sport, all'abbigliamento utilizzato, con particolare cura
per i mezzi protettivi (caschi, corazze, parastinchi), al rispetto delle norme di sicurezza e
dei regolamenti di gara e di utilizzo degli impianti, alle condizioni psicofisiche dell'atleta
(pasti idonei, niente alcol, riposo adeguato, riscaldamento prima dello sforzo e graduale
allenamento alla fatica). L'utilizzo immediato del "freddo" (ghiaccio naturale, ghiaccio
sintetico, acqua fredda) può ridurre l'entità dell'ematoma e quindi il tempo necessario alla
guarigione.
Stiramento:
Lesioni micro o macroscopiche delle fibre muscolari, sino alla lacerazione completa
del muscolo sono definite stiramento, distrazione, rottura (strappo); in questi casi la
lesione è causata dalla tensione creata dal muscolo o per effetto della sua contrazione o
per un suo eccessivo allungamento. Come nel caso della contusione, si hanno dolore e
gonfiamento locale associati a irrigidimento involontario del muscolo leso, e aumento del
dolore tentando il movimento spontaneo. Nello stiramento le fibre muscolari hanno subito
un'elongazione (allungamento forzato).
Distrazione:
Nella distrazione sono interessate da rottura poche fibre: in questi casi è necessario
applicare la borsa del ghiaccio continuativamente nelle prime 5/6 ore e poi a intervalli fino
a 24-36 ore dall'evento per ridurre al minimo la formazione dell'ematoma.
Strappo:
Nella rottura parziale o completa del muscolo, che si verifica più facilmente in
prossimità della zona di giunzione tra muscolo e tendine, può essere udito un caratteristico
rumore, tipo corda tesa che si spezza, e avere la sensazione di essere stati colpiti nel
punto leso da un oggetto contundente o da un colpo di frusta: quando la rottura è totale o
subtotale diventa necessario l'intervento del chirurgo al più presto perché non è sufficiente
l'immobilizzazione ortopedica.
La prevenzione di queste lesioni è legata alla corretta
preparazione atletica e al riscaldamento prima dell'attività: esercizi di elasticizzazione
muscolare (stretching) e allenamento sono momenti indispensabili; freddo ed eccessiva
stanchezza sono invece fattori di rischio.
Crampo:
Può colpire sia lo sportivo esperto sia il principiante. Dovuto a un momentaneo
disturbo circolatorio locale, è caratterizzato dalla contrazione completa, involontaria e
dolorosa del muscolo. Disturbo benigno a rapida risoluzione, può però compromettere la
gara o, nel caso del nuoto in mare aperto, creare serie conseguenze. Frequente è il
crampo del polpaccio, che si risolve compiendo una flessione dorsale passiva del piede
(punta delle dita del piede verso la gamba). Affaticamento, freddo e allacciature troppo
strette sono i fattori predisponenti; buona preparazione atletica e corretto abbigliamento
sono quelli preventivi. Attenzione anche al caldo: una copiosa sudorazione con perdita di
sali minerali può far insorgere il crampo durante gli sforzi prolungati anche nel soggetto
molto ben allenato: in questo caso è necessaria una giusta integrazione dei liquidi o delle
sostanze perdute durante lo sforzo; valga l'esempio del tennista Michael Chang, abituato a
consumare banane, ricche di sali di potassio, tra un gioco e l'altro, proprio per evitare i
crampi.
Il danno e i giorni di recupero (ritorno all'attività sportiva) dipendono dall'entità e
dalla sede dell'infortunio muscolare. Le terapie sono soprattutto quelle immediate.
Infortuni
Tempi
di
recupero
Dolore locale; Da 0 a 10
Contusione
Gonfiore;
giorni
Arrossamento;
Ematoma;
Dolore;
Da 10 a
Rigidità del
14 giorni
Stiramento
muscolo;
Lesioni delle
fibre
muscolari;
Rottura di
Da 14 a
Distrazione poche fibre
28 giorni
muscolari;
Strappo
Crampo
Danno
Rottura
parziale o
completa di
fibre
muscolari;
Contrazione
involontaria
e dolorosa
dei muscoli;
Da 30 a
60 giorni
Prevenzioni
Terapie
Imbottiture;
Parastinchi;
Caschi;
Corazze;
Preparazione
atletica;
Riscaldamen.
Stretching;
Ghiaccio
Ghiaccio;
Riposo;
Preparazione
Ghiaccio;
atletica;
Riposo;
Riscaldamen.
Stretching;
Preparazione
Ghiaccio;
atletica;
Riposo;
Riscaldamen. Immobilizza.
Stretching;
ortopedica;
Intervento
chirurgico;
Preparazione Manovra di
atletica;
allungamento
Alimentazio. del muscolo;
Abbigliamen.
Altri danni che si possono avere nella pratica di una attività sportiva sono:
Epistassi (o emorragia dal naso):
La ricca vascolarizzazione delle mucose nasali spiega la frequenza delle epistassi
che compaiono spontaneamente o a seguito di un trauma facciale.
CAUSA:
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Trauma frequente nella frattura della piramide nasale
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Fattore scatenante non evidente (dopo starnuto, soffiata di naso con troppa energia,
esposizione al sole)
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Repentina decompressione barometrica nei subacquei.
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DIAGNOSI:
Fuoriuscita di sangue unilaterale, talvolta bilaterale.
TRATTAMENTO:
Soffiare il naso per eliminare i coaguli
Mettere il soggetto seduto con la testa lievemente inclinata in avanti per impedire che
il sangue venga deglutito
Comprimere le narici con due dita per alcuni minuti
Richiedere l'intervento del medico se l'emorragia non si risolve o se è conseguenza di
un trauma cranico.
TRATTAMENTO MEDICO:
Tamponamento interno della narice mediante strisce di garza
Uso di sonde o palloncini.
DA EVITARE:
Introduzione di cotone emostatico nelle narici (si formerebbe all'interno una crosta
dura).
Traumi e lesioni del torace:
Il torace con la sua struttura ossea (coste e sterno) racchiude e difende organi vitali
(cuore, polmoni); quindi un trauma può determinare fratture costali o sternali e lesioni dei
visceri interni.
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CAUSA:
Urto o compressione sulla parete toracica, senza lesioni cutanea (sport motoristici o
di contatto)
Penetrazione intratoracica di un agente causale (scherma).
DIAGNOSI:
Dolore acuto al torace che si aggrava con la respirazione profonda
Dispnea (difficoltà respiratoria)
Atti respiratori frequenti e superficiali
Tosse con emottisi (espettorato di schiuma con sangue), segno di emorragia
Possibile ferita toracica con fuoriuscita di aria e bolle di liquido rossastro a ogni atto
respiratorio
Possibile "respiro paradosso": nell'inspirazione le strutture parietali colpite si
infossano, durante l'espirazione si sollevano.
TRATTAMENTO:
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Se il soggetto è in stato di incoscienza metterlo in posizione di sicurezza con la parte
lesa contro il terreno
Se è cosciente, porre il soggetto in posizione semiseduta
Togliere gli indumenti che impediscono di vedere bene la ferita
Tamponare la ferita con garze sterili, fazzoletto o anche mano nuda per evitare che
l'aria entri all'interno del torace
Completare la medicazione con un pezzo di plastica fissato con cerotto o nastro
adesivo
Se si sospettano fratture costali, senza lesioni esterna, immobilizzare il braccio dalla
parte colpita, avvicinandolo al torace e fasciandolo con un telo triangolare.
POSIZIONE DI SICUREZZA:
Il soggetto è sdraiato sul fianco con la gamba che poggia al terreno flessa, il braccio
che sta sotto è posto dietro il dorso, l'altro braccio va flesso fino a portare la mano sotto
al mento.
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TRATTAMENTO MEDICO:
Bendaggio elastico imbottito
Trazione continua nelle fratture scomparse
Ventilazione polmonare assistita
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DA EVITARE:
La posizione sdraiata del soggetto.
Lussazione scapolomerale
CAUSA:
La perdita dei rapporti fra testa omerale e cavità glenoidea della scapola è
generalmente dovuta a un trauma indiretto:
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Caduta sulla mano o sul gomito con l'arto abdotto (lussazione anteriore)
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Esagerata extrarotazione ad arto abdotto (lussazione anteriore)
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Esagerata elevazione dell'arto (lussazione inferiore)
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Esagerata rotazione interna (lussazione posteriore)
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DIAGNOSI:
Spalla quadrata (appiattimento regione deltoidea)
Impotenza funzionale dell'arto (non si riesce ad allontanare il braccio dal fianco
soprattutto ad avvicinarlo al torace)
Possibilità di apprezzare il vuoto sotto l'acromion che può sporgere sulla regione
deltoidea che appare appiattita
La misurazione della circonferenza delimitata sopra dall'acromion e sotto dal cavo
ascellare ci indica un valore maggiore nella spalla lussata (prova di Callaway).
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TRATTAMENTO:
Sostenere l'arto con un telo e andare al più vicino pronto soccorso.
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TRATTAMENTO-MEDICO
Riduzione della lussazione con opportuna manovra
Immobilizzazione in fasciatura alla Desault
Durante l'immobilizzazione:
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Massoterapia del muscolo trapezio e immobilizzazione della mano
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Dopo l'immobilizzazione:
Chinesiterapia attiva.
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DA EVITARE:
Riduzione della lussazione se non da parte di personale specializzato.
Lesioni del tendine di achille
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CAUSA:
Strappo del tendine in conseguenza di abnorme carico
Rottura del tendine conseguente a struttura già danneggiata
DIAGNOSI:
Lesione totale. -Mediante test di complessione si può distinguere una lesione al tendine di
Achille. Con l'infortunato prono e con i piedi oltre il piano di appoggio si comprime il
polpaccio poco sotto il punto di massimo diametro e lo si tira verso il ginocchio. Se il
tendine è integro il piede esegue una flessione plantare; se lesionato totalmente, nessun
movimento.
Lesione parziale- Non permette di alzarsi in punta dei piedi; in entrambi i casi, lesione
totale o parziale, vi è stato un momento di dolore acuto e improvviso accompagnato da
sensazione di strappo.
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TRATTAMENTO:
Bloccare l'articolazione in posizione verticale con un angolo di 20°
Trasportare al pronto soccorso.
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TRATTAMENTO MEDICO:
Apparecchio gessato
Intervento chirurgico
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DA EVITARE:
Proseguimento dell'attività (nel caso di rottura parziale o totale)
Ripresa repentina dell'attività senza controllo medico.
Distorsione della caviglia
CAUSA:
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Grave inversione del piede (compressione esterna)
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Eversione del piede (compressione interna)
Si possono verificare entrambe dopo uno sforzo verso il basso come per esempio nel
calciare in maniera errata o quando il calcio viene bloccato.
DIAGNOSI:
Compressione esterna- Dolore anche a riposo
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Durante la deambulazione ai primi passi e quando ci si ferma l'articolazione si può
presentare edematosa e calda al tatto. Il dolore viene sempre evocato quando il
calcagno viene spostato verso l'interno e in basso e durante la digitopressione esterna
della caviglia.
Compressione interna·
Come per la compressione esterna. In questo caso il dolore è evocato quando il
carpo viene spostato verso l'esterno e in alto e durante la digitopressione interna.
Compressione anteriore·
La maggior parte dei movimenti non dà dolore a parte quello di spingere in basso
(iperestendere) il piede.
TRATTAMENTO:
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Mettere il soggetto a riposo;
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Apporre la borsa del ghiaccio;
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Comprimere la parte
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Elevare la gamba
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Fasciare con bendaggio funzionale
É sempre consigliabile, comunque, rivolgersi a personale medico specializzato.
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TRATTAMENTO MEDICO:
Ultrasuoni.
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DA EVITARE:
Prosecuzione dell'attività all'insorgere del trauma
Ripresa degli allenamenti precocemente
Carico dell'arto per le prime 48 ore.