1 Cardiopatia ischemica cronica Chiara Leuzzi, Stefano Savonitto n LA DIFFICILE DEFINIBILITÀ DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA La cardiopatia ischemica (CI) cronica non è un’entità ben deinibile come quella acuta. I conini tra invecchiamento delle coronarie e patologia aterosclerotica non sono sempre netti,1 e sono una minoranza le manifestazioni sintomatiche della CI cronica rispetto alla gran quota di episodi asintomatici. Le registrazioni Holter hanno chiaramente dimostrato che il 70% degli episodi di sottoslivellamento sicuramente ischemico del tratto ST decorre asintomatico. Per tale motivo, le linee-guida (LG) si riferiscono generalmente alla deinizione stable coronary artery disease o “angina stabile”,2,3 preferendo concentrarsi sulle manifestazioni sintomatiche della malattia. Le LG continuano a scoraggiare lo screening a tappeto di soggetti asintomatici, nonostante questa sia ancora una comune pratica, soprattutto in pazienti con maggiore probabilità di malattia o maggiore rischio, quali ad esempio i diabetici. E purtroppo, la ricerca dell’ischemia in soggetti asintomatici deriva spesso verso la ricerca morfologica (invece che funzionale, qual è appunto la dimostrazione di ischemia) di lesioni coronariche più o meno ostruttive. Anche limitandosi a deinire le indicazioni di trattamento dell’angina stabile, le LG in oggetto sono tra quelle basate sui minori livelli di evidenza: secondo una analisi delle varie LG ACC/AHA,4 solo il 6,4% delle raccomandazioni contenute nelle LG sull’angina stabile ha livello di evidenza A. Sono livelli di evidenza più tipici delle malattie rare che di una malattia ad elevata prevalenza. Esistono infatti stime di prevalenza dell’angina stabile poste all’inizio delle LG ESC2 e ACC/AHA,3 e anche stime indipendenti,5 riassunte nella Tabella 1.1. Come si può vedere, nonostante le differenti modalità di raccolta dei dati, le stime sono sorprendentemente concordanti nel deinire l’angina stabile come una condizione che colpisce circa il 3% della popolazione di età >30 anni, dato che cresce con l’età in entrambi i sessi.6 La prevalenza dell’angina è maggiore nelle giovani donne rispetto agli uomini della stessa età, per una più alta prevalenza di angina micro-vascolare, mentre le proporzioni si invertono nella popolazione anziana.7 La relativa afidabilità delle stime dipende dal fatto che la maggior parte dei pazienti non viene ospedalizzata, mentre nei pazienti ospedalizzati i DRG relativi alla patologia sono molteplici, ed è dificile discriminare, all’interno di questi, i casi sintomatici da quelli scoperti da test provocativi. 4 MANUALE DI TERAPIA CARDIOVASCOLARE Tabella 1.1 – Stime di incidenza e prevalenza dell’angina stabile Fonte Metodo Incidenza (nuovi casi/anno) Prevalenza Linee-guida ESC stable angina 2 Non specificato Prevalenza: – 45-64 anni (5-7% nelle donne vs. 4-7% negli uomini) – 65-84 anni (10-12% nelle donne vs. 12-14% negli uomini) Linee-guida ACC/AHA stable angina 3 Survey di popolazione Incidenza: 2,1% Rochester 3% Olmsted County 3,5% Framingham Hemingway H et al. 5 National registries, Finlandia: – nitrate angina = pazienti che assumono nitrati – test positive angina = pazienti con prova da sforzo positiva Incidenza: Categorie mutualmente esclusive (si sommano) nitrate angina donne: 1,56% uomini: 1,43% test positive angina donne: 0,33% uomini: 0,60% Totale: donne: 1,83% uomini: 2,03% Le LG includono nella deinizione di CI cronica tre categorie di soggetti:2,3 • soggetti con angina stabile da sforzo (o altri equivalenti ischemici); • pazienti precedentemente sintomatici, con nota coronaropatia ostruttiva o non (sia rivascolarizzata che non), che sono diventati asintomatici dopo terapia medica ottimizzata; • pazienti che riferiscono per la prima volta sintomi anginosi presente tuttavia da mesi. n APPROCCIO RAZIONALE ALLA CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA L’approccio medico al paziente con CI stabile è sostanzialmente diverso da quello indicato nella fase instabile della malattia: • nel paziente instabile, la velocità decisionale e un’aggressiva terapia farmaco-interventistica si sono dimostrate in grado di limitare il danno ischemico, ridurre la mortalità acuta e migliorare la prognosi, soprattutto nei pazienti a rischio più elevato. • nella CI cronica, ha invece importanza predominante la riduzione del rischio cardiovascolare globale, in primo luogo attraverso l’assunzione di stili di vita meno aterogeni,8 e secondariamente attraverso il controllo farmacologico dei principali fattori di rischio correggibili; in questa fase della malattia, la rivascolarizzazione ha un ruolo determinante solo nei pazienti con sintomi resistenti ad una terapia farmacologica ottimale, e in quelli con estesa coronaropatia e/o severa disfunzione ventricolare sinistra. Nel corso di molti anni, si è tuttavia sviluppato un approccio diagnostico e terapeutico alla CI stabile centrato sul ricorso precoce e pressoché automatico alla coronarograia e CARDIOPATIA ISCHEMICA CRONICA 5 all’eventuale rivascolarizzazione coronarica (inappropriatezza dell’indicazione se confrontata con l’evidenza scientiica disponibile), mentre tutti i dati osservazionali segnalano un approccio al controllo dei fattori di rischio insuficiente sia a livello individuale (troppi pazienti con fattori di rischio non adeguatamente controllati) che politico-istituzionale (mancanza di strategie globali di prevenzione, proliferazione irrazionale dei centri di emodinamica). Alla base di questo atteggiamento risiedono, innanzitutto da parte del medico, una scarsa conoscenza della evoluzione clinica dell’aterosclerosi coronarica, la convinzione che la rivascolarizzazione miocardica (e preferenzialmente l’angioplastica coronarica) possa in qualche modo ridurre il rischio di eventi coronarici gravi o fatali, e la paura di complicanze medico-legali nel caso di eventi coronarici gravi.9 A cascata, tale convinzione si è diffusa nella stampa laica e nell’opinione pubblica ingenerando un effetto di trascinamento della richiesta che si è ritorto a boomerang sulla libertà del medico di agire secondo scienza e coscienza. Il recupero di un approccio più razionale al paziente con CI stabile passa attraverso una maggiore cultura medica, ma soprattutto attraverso la rassicurazione del paziente e del suo ambiente familiare sulla non-catastroicità di una patologia per lo più compatibile con una normale qualità della vita ino ad età anche avanzata. n STORIA NATURALE DELLA MALATTIA CORONARICA La cardiopatia ischemica riconosce diverse fasi evolutive. Fase cronica della malattia Della durata di molti anni, consiste nello sviluppo progressivo di aterosclerosi coronarica, attualmente considerata come una patologia iniammatoria cronica.10 Le manifestazioni cliniche iniziali sono più frequentemente causate da disfunzione endoteliale, con alterata risposta vasomotoria agli stimoli isiologici. Successivamente, la malattia progredisce attraverso lo sviluppo di ateromi con gradi diversi di ibrosi, infarcimento lipidico e iniammazione. L’età d’insorgenza e il ritmo di progressione della malattia sono geneticamente determinate, ma vengono fortemente inluenzate dal concorso dei tradizionali “fattori di rischio coronarico”. Se l’evoluzione della malattia è lenta, prolungata e caratterizzata da occlusioni di vasi, questa fase si accompagna a sviluppo di circolazioni collaterali. Bisogna ricordare che non sono necessariamente le lesioni ischemizzanti quelle che, complicandosi, provocheranno un evento coronarico acuto.11,12 Solo il 18% degli eventi infartuali si veriica in pazienti con angina stabile.13 La stenosi coronarica andrebbe considerata come un marker di aterosclerosi: chi ha più stenosi critiche ha una maggiore estensione di malattia e una maggiore probabilità statistica che una o più delle migliaia di placche ateromasiche si complichi a causare l’evento ischemico acuto.14 I meccanismi che scatenano l’acuzie della malattia (infarto miocardico e morte improvvisa) sono tuttora sconosciuti e non prevedibili da parte di test diagnostici, sia in pazienti senza precedenti speciici che in pazienti già colpiti: se questa coscienza fosse più diffusa, si ridurrebbe signiicativamente la ricerca quasi ossessiva dei segni strumentali di ischemia miocardica, con il conseguente ricorso a coronarograia e rivascolarizzazioni di dubbia appropriatezza.15 6 MANUALE DI TERAPIA CARDIOVASCOLARE Fase instabile della malattia Deinita clinicamente con il termine “sindrome coronarica acuta”, è caratterizzata, nella grande maggioranza dei casi, da formazione di trombosi endoluminale al di sopra di una soluzione di continuo dell’endotelio (anche semplice erosione) con esposizione degli strati sottoendoteliali, oppure da issurazione o rottura di una placca ateromasica. Tale fase ha un inizio per lo più improvviso, ma una durata di alcune settimane o mesi, durante i quali persiste una vulnerabilità biologica caratterizzata da recidive ischemiche (vedi Capitoli 2 e 3). Oltre la fase instabile Una volta superata la fase instabile, può seguire una nuova e spesso prolungata fase di stabilità, più o meno sintomatica. Se tuttavia il danno miocardico durante la storia complessiva della malattia è stato importante, la disfunzione miocardica globale e lo scompenso cardiaco possono costituire la fase più avanzata della malattia. n OBIETTIVI TERAPEUTICI NELLE DIVERSE FASI CLINICHE DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA Dalla descrizione del paragrafo precedente, è chiaro come la terapia abbia scopi diversi nelle varie fasi della malattia: • Nella fase cronica, occorrerà innanzitutto cercare di prevenire la progressione dell’aterosclerosi attraverso l’abbattimento dei fattori di rischio, con aggressività tanto maggiore quanto maggiore è il rischio cardiovascolare globale dell’individuo. La promozione dell’attività isica aerobica, al di là dei favorevoli effetti metabolici, sulla circolazione periferica e sull’utilizzo muscolare dell’ossigeno disponibile, agisce sulla circolazione coronarica migliorando la funzione endoteliale, rallentando la progressione dell’aterosclerosi e favorendo lo sviluppo della circolazione collaterale.16-18 La terapia anti-ischemica mirerà a ridurre il consumo di ossigeno miocardico in modo da prevenire l’insorgenza di ischemia, soprattutto nei pazienti sintomatici. Farmaci capaci ripristinare la funzione endoteliale (ACE-inibitori, statine) e modiicare o “stabilizzare” il contenuto delle placche ateromasiche (statine) hanno dimostrato chiaramente di prevenire la prima manifestazione clinica della malattia e le recidive ischemiche.19-24 Una “blanda” terapia anti-piastrinica ha lo scopo25,26 di prevenire l’occlusione coronarica in occasione delle frequenti soluzioni di continuità dell’endotelio dovute ad erosioni, issurazioni e rotture di placca, la maggior parte delle quali decorre asintomatica grazie ai meccanismi di autodifesa del sistema emocoagulativo. • Nella fase acuta (Capitoli 2 e 3), predomineranno le terapie antitrombotiche e il ripristino tempestivo della pervietà coronarica con procedure di rivascolarizzazione, con lo scopo di limitare il danno miocardico, visto il suo impatto negativo sulla prognosi a lungo termine. • Nella fase post-acuta (Capitolo 4), oltre alle terapie anti-trombotiche e anti-ischemiche e un controllo ancora più aggressivo dei fattori di rischio, potranno essere indicate le terapie atte a prevenire e trattare la disfunzione ventricolare sinistra. Un punto critico è la decisione riguardante la rivascolarizzazione miocardica e i ruoli rispettivi della terapia medica, dell’angioplastica coronarica e del bypass aortocoronarico. A