Dispense del corso
Matematica per la musica
(STCM)
a cura di
P. Codara
O. M. D’Antona
Indice
Prefazione
v
Capitolo 1. Gauss
1. La leggenda
2. Prodotto di matrici
1
1
4
Capitolo 2. Eulero
1. Introduzione
2. Strutture algebriche
3. Equazioni di secondo grado
4. Potenze e logaritmi
5. I numeri complessi
5
5
7
8
11
13
Capitolo 3. Uno ‘yocto’ di fisica
1. Velocità
15
15
Capitolo 4. Pitagora
1. Trigonometria
2. Trigonometria, ancora!
3. Trigonometria, e tre!!!
19
19
24
25
Capitolo 5. Taylor
1. Espansione in serie
2. Un pizzico di derivate e un assaggio di integrali
27
27
29
Capitolo 6. Funzioni Simmetriche
1. Cenni alle funzioni simmetriche
33
33
iii
Prefazione
Queste dispense sono ... in costruzione!
La prima versione - gennaio 2006 - rispecchia gli argomenti trattati nella prima edizione del corso, ma saranno arricchite strada facendo con l’aggiunta di
illustrazioni, grafici ecc.
Più avanti verranno anche aggiunti nuovi argomenti ed altri verranno ampliati.
P. Codara, O. D’Antona
v
CAPITOLO 1
Gauss
1. La leggenda
Quando si parla di sommatoria s’intende una successione di somme i cui addendi sono, in generale, variabili. Come variano gli addendi? In dipendenza da un
indice (a volte anche più d’uno) che viene indicato esplicitamente. Scrivendo
m
X
Ai
i=n
abbiamo abbreviato la seguente successione di somme:
An + An+1 + · · · + Am
in cui abbiamo assunto che n ed m siano dei numeri interi e che n sia minore o
uguale di m. Tra i più semplici esempi di sommatoria c’è il seguente:
m
X
1
i=n
in cui tutti gli addendi sono uguali ad 1. Quindi la loro somma è pari al numero
degli addendi. Già, ma quanti sono gli interi compresi tra n ed m, estremi inclusi?
La risposta, che conviene proprio tenere a mente, è
m − n + 1.
In effetti, questa è una delle prime regole che ho imparato a memoria quando
ho incominciato ad occuparmi di Matematica discreta (quella di cui qui ci occupiamo). Ricordo benissimo che ero nella biblioteca del Dipartimento di Elettronica
del Politecnico e stavo leggendo un piccolo, bellissimo libro di analisi combinatoria
scritto da Claude Berge (1) . Pensate alla mia emozione quando circa vent’anni
dopo incontrai, a Varenna, Berge in persona!
Ma, tornando a noi, ad esempio possiamo vedere che gli interi compresi tra 0 e
10, estremi inclusi, sono . . . 11. O.K.? Se ora però vogliamo fare la somma
m
X
2
i=n
abbiamo due possibilità. Possiamo sommare m − n + 1 volte l’addendo costante, 2, oppure possiamo sfruttare la utile proprietà delle sommatorie che si chiama linearità. Questa proprietà generalizza l’operazione di raccoglimento a fattor
comune:
Ka + Kb = K(a + b).
1Principes de combinatoire (con prefazione di J. Riordan), Dunod, 1968.
1
2
1. GAUSS
In questo caso l’espressione inglese equivalente è assolutamente intuitiva: pulling out (the common factor, ovviamente). Comunque, se K è un termine che NON
dipende dall’indice della sommatoria, allora
m
m
X
X
Ai
K Ai = K
i=n
i=n
Quindi, nel caso specifico abbiamo:
m
m
X
X
1 = 2(m − n + 1).
2=2
i=n
i=n
In sostanza, questa proprietà ci ha consentito di utilizzare una conoscenza acquisita per risolvere un nuovo problema. Questo atteggiamento di riciclo concettuale
è uno dei punti focali di tutta la matematica, anzi probabilmente è la cifra delle
cosiddette scienze esatte. In un certo senso è la parafrasi dell’adagio rinascimentale
secondo cui un nano vede più lontano di un gigante . . . se gli sale sulle spalle. E,
tra l’altro, questo concetto ci fa capire il senso dell’adagio (un po’ sibillino) secondo
cui la Matematica è difficile . . . per chi non ne conosce molta!
Ma in effetti la linearità delle sommatorie ci dice qualcosa di più:
m
m
m
X
X
X
Bi
Ai + h
(kAi + hBi ) = k
i=n
i=n
i=n
infatti ci insegna a spezzare un problema in due sottoproblemi più semplici. Ora
però facciamo un piccolo passo avanti e studiamo la somma
s
X
i
i=1
in cui l’addendo ha la più facile delle dipendenze dall’indice: la funzione identica,
f (i) = i.
E qui entra in scena un gigante bambino! La leggenda vuole che, un giorno,
quando il piccolo Carl Friedrich Gauss (1777 - 1855) era ancora alle elementari, la
sua maestra punı̀ la classe indisciplinata imponendo ai bambini di fare la somma
dei numeri da 1 a 1000. Ora vedrete cosa fece Gauss (2). Proviamo a sommare gli
2German mathematician who is sometimes called the ‘prince of mathematics’. He was a
prodigious child, at the age of three informing his father of an arithmetical error in a complicated
payroll calculation and stating the correct answer. At age 19, Gauss demonstrated a method for
constructing a heptadecagon using only a straightedge and compass which had eluded the Greeks.
(The explicit construction of the heptadecagon was accomplished around 1800 by Erchinger.)
Gauss also showed that only regular polygons of a certain number of sides could be in that
manner (a heptagon, for example, could not be constructed.)
Gauss proved the fundamental theorem of algebra. In fact, he gave four different proofs.
In 1801, he proved the fundamental theorem of arithmetic. At age 24, Gauss published one of
the most brilliant achievements in mathematics, Disquisitiones Arithmeticae (1801). In it, Gauss
systematized the study of number theory (properties of the integers ). Gauss proved that every
number is the sum of at most three triangular numbers and developed the algebra of congruences.
In 1801, Gauss developed the method of least squares fitting, 10 years before Legendre, but
did not publish it. The method enabled him to calculate the orbit of the asteroid Ceres, which had
been discovered by Piazzi from only three observations. However, after his independent discovery,
Legendre accused Gauss of plagiarism. Gauss published his monumental treatise on celestial
mechanics Theoria Motus in 1806. He became interested in the compass through surveying and
developed the magnetometer and, with Wilhelm Weber measured the intensity of magnetic forces.
With Weber, he also built the first successful telegraph.
1. LA LEGGENDA
3
interi da uno a dieci:
1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 + 9 + 10 =?
L’osservazione del piccolo Carl fu la seguente:
1 + 10 = 2 + 9 = 3 + 8 = 4 + 7 = 5 + 6 = 11
ovvero 5 volte 11. La cosa è sistematica: se dobbiamo calcolare
100
X
i
i=1
possiamo sommare 50 volte 101. Ed è ovvio che il numero da sommare è sempre
l’estremo aumentato di uno e il numero di volte che la somma va fatta è la metà
dell’estremo. Dunque abbiamo dimostrato che
s
X
i =
i=1
s
(s + 1).
2
E notate la finezza: osservando che
s
s(s + 1)
(s + 1) =
2
2
abbiamo anticipato l’obiezione che se s è dispari non è carino dividerlo per 2 se si
vuole ottenere un risultato evidentemente intero!
C’è un altro modo standard di dimostrare questa identità (che vi consiglio
di memorizzare), ma è noioso. Noioso come tutte (o quasi) le dimostrazioni per
induzione. Ci sono invece due altre brillanti dimostrazioni dell’identità di Gauss
che hanno un carattere geometrico. Una è dovuta a G. Polya e la si può trovare su
How to solve it.
La somma dei primi s quadrati
s
X
i=1
i2 =
2s3 + 3s2 + s
6
Gauss is reported to have said There have been only three epoch-making mathematicians:
Archimedes, Newton and Eisenstein. Most historians are puzzled by the inclusion of Eisenstein
in the same class as the other two. There is also a story that in 1807 he was interrupted in the
middle of a problem and told that his wife was dying. He is purported to have said: Tell her to
wait a moment ’til I’m through.
Gauss arrived at important results on the parallel postulate, but failed to publish them.
Credit for the discovery of non-Euclidean geometry therefore went to Janos Bolyai and Lobachevsky. However, he did publish his seminal work on differential geometry in Disquisitiones circa
superficies curvas.
Unfortunately for mathematics, Gauss reworked and improved papers incessantly, therefore
publishing only a fraction of his work, in keeping with his motto pauca sed matura. Many of
his results were subsequently repeated by others, since his terse diary remained unpublished for
years after his death. This diary was only 19 pages long, but later confirmed his priority on
many results he had not published. Gauss wanted a heptadecagon placed on his gravestone,
but the carver refused, saying it would be indistinguishable from a circle. The heptadecagon
appears, however, as the shape of a pedestal with a statue erected in his honor in his home town
of Braunschweig.
http://scienceworld.wolfram.com/biography/Gauss.html
4
1. GAUSS
ci sarà utile tra breve. Prendiamo ora in esame la doppia sommatoria
i
s X
X
1
i=1 j=1
e osserviamo che la somma interna vale esattamente i. Quindi possiamo scrivere
i
s X
X
1 =
s
X
i =
i=1
i=1 j=1
s(s + 1)
2
Ma . . . esageriamo e scriviamo la tripla sommatoria
j
i
s X
X
X
1
i=1 j=1 k=1
In due passi otteniamo
s
X
s(s + 1)
2
i=1
Potete continuare? Sı̀, usando usando però la formuletta per la somma dei primi
quadrati. Il risultato è
j
i
s X
X
X
1 =
i=1 j=1 k=1
s(s + 1)(s + 2)
3!
Si nota una certa regolarità. Non vi pare?
2. Prodotto di matrici
Per questo paragrafo si veda l’ handout 2, disponibile sulla pagina web del corso.
CAPITOLO 2
Eulero
1. Introduzione
Ecco una bella formula:
ejπ + 1 = 0
che mette in luce alcuni elementi focali della matematica. Innanzi tutto vediamo
il numero 0: un concetto che ha impiegato parecchi secoli a svilupparsi. Non a
caso era assente dalla numerazione romana, una civiltà che infatti non ha mai
dato alcun contributo alle scienze esatte. Tecnicamente lo 0 è l’elemento neutro
del gruppo additivo degli interi, (Z, +, 0), mentre 1 è l’elemento neutro del gruppo
moltiplicativo degli interi, (Z, ·, 1), . . .
Al tempo! Al tempo!
Ecco che l’oscuro linguaggio della matematica inizia a far storcere il naso ai lettore! Ma per impedire che cambino immediatamente lettura, proviamo a esprimere
il contenuto delle affermazioni precedenti con parole più comuni.
Tutti sappiamo che sommando 0 a qualunque numero si ottiene il numero stesso, e che moltiplicando per 1 qualunque numero si ottiene il numero stesso. In
sostanza lo 0 non ha effetto per la somma e l’1 non ha effetto per il prodotto. Mi
sembra un buon motivo per chiamarli elementi neutri e anche uno spunto che suggerisce come, pensandoci bene, qualche volta il linguaggio della matematica non è
poi cosı̀ strampalato.
La nostra formula ci offre anche l’unità immaginaria:
. √
j = −1
che, se ben ricordo, abbiamo incontrato per la prima volta studiando le equazioni
di secondo grado (argomento su cui torneremo in seguito).
Nella formula compare anche il numero e, come Eulero. Questo numero è
spesso ricordato come la base dei logaritmi neperiani. Ma . . . cosa sono i logaritmi?
Perché sono cosı̀ importanti? Per avere un’intuizione del loro ruolo, basti pensare
che, grazie ai logaritmi si possono fare le moltiplicazioni come se fossero . . . delle
somme! Lo strumento che ha consentito a generazioni e generazioni di geometri e
ingegneri di utilizzare questa bella scorciatoia è il regolo calcolatore (che, in realtà,
negli ultimi trenta o quarant’anni - con la diffusione delle calcolatrici elettroniche ha perso un bel po’ della sua popolarità (anche se sono convinto che molti ingegneri
con i capelli bianchi ne portino ancora uno nel taschino).
5
6
2. EULERO
Più avanti torneremo sull’argomento, ma per ora osserviamo che, dal punto di
vista matematico, il numero e viene definito come segue:
X 1
1
1
1
1
1
1
e=
(1)
=
+ + + + + + ··· =
n!
0! 1! 2! 3! 4! 5!
n≥0
1
1
1 1
+ +
+
+ ···
2 6 24 120
ovvero tramite una somma di infiniti addendi. Ciò sta a dire che, in pratica, a parte
i matematici, nessuno usa il vero numero e: tutti ne usiamo un valore approssimato.
Se ad esempio calcoliamo la somma dei primi 6 termini otteniamo:
1 1
1
1
1+1+ + +
+
= 2, 71666
2 6 24 120
E se questa approssimazione non ci basta, è sufficiente proseguire aggiungendo
al valore ottenuto 1/720, 1/5040 e cosı̀ via. Comunque stiano le cose, è chiaro
che una definizione del genere non la possiamo certo motivare in questa sede, ma
possiamo invece rispondere ad altre domande che sicuramente il lettore si starà
ponendo.
=1+1+
Prima di tutto: chi ha scritto la prima formula?
Facile: Eulero (1).
1Swiss mathematician who was tutored by Johann Bernoulli. He worked at the Petersburg
Academy and Berlin Academy of Science. He had a phenomenal memory, and once did a calculation in his head to settle an argument between students whose computations differed in the fiftieth
decimal place. Euler lost sight in his right eye in 1735, and in his left eye in 1766. Nevertheless,
aided by his phenomenal memory (and having practiced writing on a large slate when his sight
was failing him), he continued to publish his results by dictating them. Euler was the most prolific mathematical writer of all times finding time (even with his 13 children) to publish over 800
papers in his lifetime. He won the Paris Academy Prize 12 times. When asked for an explanation
why his memoirs flowed so easily in such huge quantities, Euler is reported to have replied that
his pencil seemed to surpass him in intelligence. Franois Arago said of him He calculated just
as men breathe, as eagles sustain themselves in the air (Beckmann 1971, p. 143; Boyer 1968, p.
482). Euler systematized mathematics by introducing the symbols e , i , and f(x) for f a function
of x. He also made major contributions in optics, mechanics, electricity, and magnetism. He
made significant contributions to the study of differential equations. His Introducio in analysin
infinitorum (1748) provided the foundations of analysis. He showed that any complex number
raised to a complex power can be written as a complex number, and investigated the beta and
gamma functions. He computed the Riemann zeta function from ζ(2) to ζ(26) for even numbers.
He also did important work in number theory, proving that the divergence of the harmonic series
implied an infinite number of Primes, factoring the fifth Fermat number (thus disproving Fermat’s conjecture), proving Fermat’s lesser theorem, and showing that e was irrational. In 1772,
he introduced a synodic coordinates (rotating) coordinate system to the study of the three-body
problem (especially the Moon ). Had Euler pursued the matter, he would have discovered the
constant of motion later found in a different form by Jacobi and known as the Jacobi integral.
Euler also found the solution to the two fixed center of force problem for a third body. Finally, he
proved that the binomial theorem was valid for any rational exponent. In a testament to Euler’s
proficiency in all branches of mathematics, the great French mathematician and celestial mechanic
Laplace told his students, ”Lisez Euler, Lisez Euler, c’est notre maı̂tre à tous” (Beckmann 1971,
p. 153). Liberamente tratto da:
http://scienceworld.wolfram.com/biography/Euler.html
Ed ecco un altro riferimento per i più curiosi:
http://en.wikipedia.org/wiki/Euler’s identity
2. STRUTTURE ALGEBRICHE
7
Seconda domanda: cosa vuol dire?
Beh, in un certo senso . . . non vuol dire un bel niente. Le formule matematiche (che,
strettamente parlando, sono solamente delle stringhe di simboli) sono tipicamente
prive di senso comune, ma acquistano significato all’interno del loro contesto. Un
po’ come . . . il Bolero di Ravel. Il nostro scopo, comunque, è proprio quello di
smitizzare la formula e descrivere il contesto che le compete.
Terza domanda: cosa c’entra la musica con tutto ciò?
La risposta risiede nel fatto che la nostra formula è alla base della fisica acustica.
E infine la formula mette in evidenza il mitico numero π. Dal punto di vista
strettamente aritmetico, questo numero costituı̀ un vero e proprio shock per Pitagora e i suoi seguaci quando si resero conto che . . . non era possibile esprimerlo come
rapporto di grandezze intere. I pitagorici si erano imbattuti nei numeri irrazionali!
Questo è √
il nome
con cui indichiamo quei numeri (tra cui, oltre a π abbiamo il
√ √
nostro e, 2, 3, 5, ecc) che NON possono essere ottenuti come rapporto di due
numeri interi: operazione che invece fornisce i numeri razionali. Nell’immaginario
collettivo invece, π è legato al cerchio. E giustamente, come vedremo nel nostro
ripasso di trigonometria.
2. Strutture algebriche
Il concetto di struttura algebrica è molto semplice: si tratta di un insieme di
elementi su cui sono definite una o più operazioni binarie (cioè con due operandi)
che siano interne (cioè tali che il loro risultato sia un elemento dell’insieme).
MMMMMHHHH: un po’ troppo vago. Vediamo allora subito degli esempi.
Diciamo che Q∗ sia l’insieme dei numeri razionali privato dello zero. Poiché la
divisione di due elementi di Q∗ è un numero razionale non nullo, ecco che abbiamo
un’operazione binaria interna a Q∗ (che interna non è rispetto all’insieme dei numeri
interi, N). Dunque abbiamo la nostra prima struttura algebrica, che chiameremo
GD1. Strutture di questo genere, le più spartane che ci possano essere, si chiamano
gruppoidi.
Per un altro esempio di gruppoide, che chiameremo GD2, basta considerare
l’insieme di tutti i numeri razionali, Q, con l’operazione di media aritmetica binaria:
M (a, b) =
a+b
.
2
Ora poiché, ovviamente, M (a, b) = M (b, a) comunque siano scelti a e b, si dice
che GD2 è commutativo (mentre è ovvio che GD1 non lo è).
Diciamo ora che D sia l’insieme dei dieci numeri naturali minori di 10: D =
{0, 1, 2, . . . , 9}. E’ ovvio che possiamo definire l’operazione di minimo - che indicheremo con min - su ogni coppia di elementi di D. Poiché è ovvio che, presi comunque
x e y in D, l’elemento x min y è un elemento di D,
x, y ∈ D ⇒ x min y ∈ D,
abbiamo costruito un ulteriore gruppoide commutativo, GD3, che questa volta è
finito.
Esercizio 1. Inventate un altro gruppoide finito.
8
2. EULERO
Il nostro GD3 ha un’importante proprietà: la sua operazione, pur essendo
binaria, è ben definita anche sulle terne, le quaterne e cosı̀ via. In poche parole, il
minimo tra x, y e z è
x min (y min z) = y min (z min x) = z min (x min y).
Questa proprietà si chiama associativa e i gruppoidi la cui operazione gode della
proprietà associativa si chiamano . . . semigruppi (o anche gruppoidi associativi).
Esercizio 2. Il gruppoide che avete inventato nell’esercizio precedente è commutativo? È un semigruppo?
Esercizio 3. Verificate che GD1 e GD2 non sono semigruppi.
La struttura GD1 ha una proprietà che nessuna delle altre sinora viste possiede: è dotata di . . . elemento neutro, il numero 1. Infatti, per qualunque numero
razionale non nullo, diciamo q, vale quanto segue:
q
= q.
1
Prendiamo ora un altro semigruppo, ma questa volta . . . infinito: l’insieme
dei numeri naturali, N = {0, 1, 2, . . .}, con l’operazione di addizione. È chiaro che
siamo di fronte ad un semigruppo che per di più è dotato di elemento neutro: lo
zero. Strutture di tal genere si chiamano monoidi. Il monoide più noto di tutta
l’informatica è quello di tutte le stringhe di lunghezza finita che si possono costruire
con i simboli di un alfabeto su cui si definisce l’operazione di giustapposizione
(concatenazione). È un bell’esempio di monoide infinito non commutativo.
3. Equazioni di secondo grado
Premesso che questo paragrafo, oltre ad introdurre l’unità immaginaria, costituisce un ripasso della risoluzione delle equazioni di secondo grado, argomento sul
quale non si possono avere esitazioni, ricordiamo che un’espressione algebrica è una
relazione tra grandezze, numeriche o simboliche, con una gran bella proprietà: o è
vera o non lo è. Se, per esempio, scrivo
x·y =y·x
affermo un fatto che è vero per qualunque coppia di numeri che io sostituisca ad x
e ad y (mentre, in generale, cosı̀ non è se x e y sono due matrici). Se invece scrivo
x=x+1
la mia affermazione è falsa, qualunque sia il valore numerico scelto per la x. Alle
medie abbiamo studiato varie espressioni notevoli, come
(x + y)2 = x2 + 2xy + y 2
o come
(a + b)(a − b) = a2 − b2 .
Si tratta di espressioni vere a prescindere dai valori numerici che possiamo
sostituire alle lettere: sono, per cosı̀ dire, delle verità sintattiche. Un’equazione
invece è, in un certo senso, un’espressione . . . incompleta, è come una frase lasciata
a metà. Infatti l’espressione
2x + 3 = 7
non afferma né una verità, né una falsità. Piuttosto è una timida domanda: quando
scriviamo 2x+3 = 7, implicitamente ci stiamo chiedendo sotto quali condizioni l’affermazione sta in piedi. Per completare il senso di un’equazione bisogna risolverla,
o meglio: cercare di risolverla. Risolvere un’equazione, significa trovare, se esistono,
3. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO
9
dei particolari valori da dare alle grandezze incognite che rendono vera l’espressione. Nel nostro caso c’è una sola incognita, la x, che compare con esponente 1. Per
questo motivo si parla di equazione di primo grado (o lineare) in una incognita.
Come potete immaginare è il caso più semplice, di cui si sa praticamente tutto (2).
Equazioni di questo tipo, cioè della forma
ax + b = c
ammettono sempre una ed una sola soluzione, purché a sia diverso da 0. Eccola:
c−b
.
x=
a
Qualunque siano i valori dei parametri b e c, sostituendo alla x il risultato della
differenza c − b divisa per a, l’equazione è verificata. Per di più non esiste nessun
altro valore che la verifichi. Fine!
Ma, un momento! E se fosse a = 0? In tal caso avremmo un esempio (anche se
un po’ di lana caprina) di equazione senza soluzione: infatti non esiste alcun valore
di x per cui si abbia 0 · x + b = c.
Anche le equazioni di secondo grado, la cui tipica forma è
ax2 + bx + c = 0,
non hanno più segreti. In particolare si sa che ognuna di queste equazioni ammette
esattamente due soluzioni. Ora ci apprestiamo a dedurre la formula risolutiva di
queste equazioni, ovvero un’espressione che fornisca i due unici valori che, sostituiti
all’incognita, rendono vera una data equazione di secondo grado. Per prima cosa
riscriviamo l’equazione dividendo ambo i membri per a:
c
b
x2 + x + = 0.
a
a
Poi osserviamo che, dette s e t le due soluzioni che stiamo cercando, sarà necessariamente
c
b
(x − s)(x − t) = x2 − (s + t)x + st = x2 + x + = 0.
a
a
Dunque, per il principio d’identità dei polinomi, avremo contemporaneamente
c
b
e
st = .
s+t=−
a
a
Provando a porre
b
b
s=δ−
e
t = −δ −
,
2a
2a
si vede che
b
b
b
c
b
st = (δ − )(−δ − ) = −(δ − )(δ + ) = .
2a
2a
2a
2a
a
In altre parole (applicando un prodotto notevole) avremo
δ2 −
b2
c
=−
2
(2a)
a
2Fa piacere ricordare che tra i matematici che hanno sistemato il problema della soluzione dei
sistemi di equazioni lineari, un posto preminente è occupato da Alfredo Capelli (Milano, 5 agosto
1855 - Napoli, 28 gennaio 1910). Il Capelli fu allievo di Nicola Trudi (Campobasso, luglio 1811 Caserta, 3 ottobre 1884) il quale aveva incontrato Jacobi durante una sua visita all’Università di
Napoli nel 1844 (in compagnia del grande geometra Steiner). Devo queste informazioni all’amico
Francesco Mazzocca che ha trovato il necrologio di Trudi (scritto da G. Torelli) sul Giornale di
Matematica di Battaglini no. 22 (1884).
10
2. EULERO
da cui si ricava facilmente
r
√
√
b2 − 4ac
b2 − 4ac
b2 − 4ac
√
δ=±
=
±
.
=
±
4a2
2a
4a2
Ed ecco le espressioni di s e t:
√
b2 − 4ac
b
s=− +
2a
2a
√
2
b − 4ac
b
t=− −
2a
2a
Da cui, esprimendo le radici nel modo usuale abbiamo finalmente:
√
−b ± b2 − 4ac
.
x1,2 =
2a
Vediamo quindi subito come usare il nostro (3) risultato. Per trovare i due
valori che verificano l’equazione
x2 − 13x + 22 = 0
dobbiamo innanzitutto identificare i coefficienti. Eccoli: a = 1, b = −13 e c = 22.
Poi basta applicare la formula e scrivere
√
√
13 ± 169 − 88
13 ± 81
x1,2 =
=
2
2
per vedere che i valori cercati sono 2 e 11. Provare per credere!
Prima di proseguire è doveroso fare un accenno alla interpretazione geometrica
delle equazioni di secondo grado. Se invece di eguagliare a zero il trinomio x2 −
13x + 22, come abbiamo appena fatto, scriviamo
y(x) = x2 − 13x + 22
otteniamo la descrizione di una curva, nel piano X, Y . In questo caso si tratta di
una parabola che incontra l’asse delle X nei punti di coordinate (2, 0) e (11, 0). Non
a caso i due valori 2 e 11 sono proprio le soluzioni della nostra equazione. Ecco:
l’interpretazione geometrica di cui sopra dice che risolvere la generica equazione di
secondo, ax2 + bx + c = 0, corrisponde a determinare i punti comuni alle due curve:
la parabola y(x) = ax2 + bx + c e la retta orizzontale y(x) = 0.
Molto elegante, ma . . . Ma cosa succede se proviamo a risolvere l’equazione
x2 − 8x + 25 = 0?
Con la stessa procedura otteniamo
√
−36
.
x1,2 =
2
Oh, oh! Quale sarà mai il numero che elevato al quadrato vale . . . −36???
Quando la società occidentale si trovò di fronte a questo problema, aveva due
alternative. L’una era la rinuncia all’eleganza di una soluzione unitaria per le
equazioni di secondo grado. Tra le conseguenza di questa scelta, sono sicuro che
dovremmo annoverare l’impossibilità di progettare i frigoriferi, tanto per dire. O di
inventare l’aspirina, o di realizzare gli MP3, o di costruire uno qualunque dei mezzi
di trasporto che usiamo tutti i giorni, eccettuata - forse - la bicicletta. E invece i
matematici . . . immaginarono dei numeri nuovi, con cui nessuno aveva mai lavorato.
8±
3Si fa per dire: il risultato risale sostanzialmente a Cartesio.
4. POTENZE E LOGARITMI
11
E li chiamarono numeri immaginari, lasciando l’aggettivo reale a designare tutti gli
altri. In effetti non ci fu bisogno di inventare un’infinità di numeri nuovi. Vediamo
perché. Tornando alla nostra imbarazzante soluzione, osserviamo che
p
√ √
√
√
−36 = 36 · (−1) = 36 −1 = 6 · −1.
Vedete? Gli apparentemente infiniti problemi di trovare la radice quadrata
di −36, −37, −38, . . . e, in generale di qualunque numero negativo, si riducono
all’unico, formidabile problema di trovare la radice quadrata di −1:
√
−1 =???
√
√ √
Infatti: −n = n · −1. E il problema fu risolto . . . senza alcun dramma:
alla radice quadrata di −1 venne affibbiato un nome: il semplice nome i. In tal
modo, dotata per cosı̀ dire di carta d’identità, alla radice quadrata di −1 venne
accordato il permesso di circolare liberamente nel mondo dei numeri!
Per questo motivo, oggi le due radici dell’equazione x2 −8x+25 = 0 sono scritte
come segue:
x1,2 = 4 ± 3i.
Bello! Ma . . . siamo sicuri che funzioni? Per una più che doverosa verifica è
sufficiente sostituire nell’equazione, l’uno dopo l’altro, i due valori ottenuti e vedere
se l’equaglianza è soddisfatta. Ecco il primo caso:
(4 + 3i)2 − 8(4 + 3i) + 25 =
= 16 + 24i + (3i)2 − 32 − 24i + 25 = 9 + 9 · i2 .
Ora dobbiamo porre attenzione al punto critico, l’unico di tutta la verifica.
√
Dobbiamo cioè ricordare che il numero i è stato definito assumendo che i = −1 il
che è equivalente a
i2 = −1.
Ed ecco che otteniamo il risultato desiderato:
(4 + 3i)2 − 8(4 + 3i) + 25 = 9 + 9 · i2 = 9 − 9 = 0.
E lasciamo volentieri al lettore scrupoloso e diffidente il compito (non inutile) di
verificare che anche 4 − 3i è una soluzione dell’equazione. Inoltre, va detto che dal
punto di vista geometrico, la situazione delle soluzioni complesse corrisponde al caso
di parabole che NON incontrano l’asse delle X. In altre parole, l’introduzione dei
numeri complessi ha dato senso all’affermazione che una parabola interseca sempre
l’asse delle X in due punti, reali o complessi.
Infine, all’indirizzo:
http://www-groups.dcs.st-and.ac.uk/˜history/Mathematicians/Bombelli.html
troviamo alcune osservazioni sullo scope della notazione di Raffaele Bombelli.
4. Potenze e logaritmi
Prima di proseguire, e parlare di numeri complessi, è opportuno aprire una
parentesi per ricordare le regole delle potenze. La prima dice che la potenza di un
prodotto è il prodotto delle potenze dei suoi fattori. Esempio:
(AB)2 = ABAB = AABB = A2 B 2 .
12
2. EULERO
La seconda dice che la potenza di una potenza di una certa base è una potenza
che ha per base la stessa base e per esponente il prodotto degli esponenti. Esempio:
B2
3
= B6
infatti
B2
3
= (B 2 )(B 2 )(B 2 ) = (B · B)(B · B)(B · B) = B · B · B · B · B · B = B 6 .
La terza dice che il prodotto di due potenze con la stessa base è una potenza
che ha per base la stessa base e per esponente la somma degli esponenti. Esempio:
quanto fa 32 · 32?
Risposta: essendo ovviamente 32 = 25 , abbiamo che
32 · 32 = 25 · 25 = 25+5 .
E TUTTI, ovviamente, sanno che 210 è 1024. La terza regola è semplicissima:
un’espressione elevata alla −1 è l’inverso dell’espressione. Esempio:
2−1 =
1
= 0, 5.
2
Semplice, ma molto utile. Supponiamo infatti di voler calcolare 2−3 . Ecco
come possiamo fare, usando a marcia indietro la seconda regola:
1
2−3 = 2(−1)·3 = (2−1 )3 = ( )3 ,
2
e, in generale,
B −n = (
1 n
) .
B
E finalmente possiamo mostrare che per qualunque numero B, reale o complesso
che sia, si ha
B 0 = 1.
Infatti, preso arbitrariamente un numero intero n possiamo scrivere:
B 0 = B n−n = B n · B −n = B n · (
Bn
1 n
) = n = 1.
B
B
Ricordiamo ora la definizione di logaritmo: il logaritmo in base B di x è il
numero y tale che risulti:
By = x .
Abbiamo, ad esempio:
log10 1000 = 3 , log2 1024 = 10 , logB B = 1 .
Ancora:
log2 0, 5 = −1 , inf atti 0, 5 =
1
= 2−1 .
2
5. I NUMERI COMPLESSI
13
5. I numeri complessi
Vediamo dunque di prendere confidenza con il nuovo arrivato: il numero
√
i = −1
che è anche chiamato unità immaginaria. Al proposito, va subito ricordato che
in alcuni ambienti - ad esempio quelli della fisica acustica - si usa la lettera j, al
posto della i. Ma per ora teniamoci la nostra simpatica vocale dell’alfabeto italiano.
Vediamo quali sono le potenze di i:
i0 = 1,
i1 = i,
i2 = −1,
i3 = −i,
e cosı̀ via di quattro in quattro.
In generale, i numeri complessi sono ottenuti a partire da una coppia di numeri
reali, diciamo a e b, in cui il secondo viene moltiplicato per i. Dato il numero
complesso
z = a + ib
si dice che a è la sua parte reale, che b è la sua parte immaginaria, e si scrive
Re(z) = a
e
Im(z) = b.
L’insieme dei numeri complessi si indica generalmente con il simbolo C. A
questo punto è il caso di dire che, a differenza dei numeri reali, che si rappresentano
sulla retta (detta appunto retta reale), i numeri complessi sono rappresentati nel
cosiddetto piano immaginario (o di Gauss), che altro non è se non un piano in cui
l’asse delle ascisse è detto asse reale, e quello delle ordinate asse immaginario.
Somma e sottrazione di numeri complessi sono semplicissime: posto z = a + ib
e w = c + id, si ha
Re(z +w) = a+c,
Im(z +w) = b+d;
Re(z −w) = a−c,
La moltiplicazione è semplice: basta calcolare
Im(z −w) = b−d.
(a + ib)(c + id) = ac + iad + ibc + i2 bd
e ottenere
Re(z · w) = ac − bd
OCCHIO AL SEGNO!
e Im(z · w) = ad + bc. La divisione invece . . . è un bell’esercizio. Comunque ora
possiamo affermare che la formula
√
−b ± b2 − 4ac
x1,2 =
2a
ammette SEMPRE due soluzioni. Possono essere uguali tra loro, possono essere
numeri complessi, ma sono sempre due! E la cosa è in perfetto accordo col TEOREMA FONDAMENTALE DELL’ALGEBRA che recita: ogni equazione di grado
n ammette n soluzioni. A proposito, già che ci siamo, val la pena di ricordare anche il TEOREMA FONDAMENTALE DELL’ARITMETICA: ogni numero intero
possiede una ed una sola decomposizione in fattori primi.
A proposito: questi due teoremoni sono stati dimostrati da . . . Gauss.
CAPITOLO 3
Uno ‘yocto’ di fisica
1. Velocità
Iniziamo a fissare alcuni concetti di base. Un riferimento adeguato è il sito
http://physics.nist.gov/cuu/Units/introduction.html
Una quantità (o grandezza) fisica in senso generale è una proprietà di
fenomeni, corpi o sostanze che può essere quantificata. Ad esempio massa e carica
elettrica.
Una quantità (o grandezza) fisica in senso particolare è una proprietà
di un dato fenomeno, corpo o sostanza che può essere quantificata. Ad esempio la
massa della terra o la carica dell’elettrone.
Una unità di misura è un particolare valore (di una grandezza fisica in senso
generale) che viene usata per convenzione al fine di esprimere i valori di quella
grandezza in termini di essa.
Il valore di una grandezza fisica (in senso particolare) è la sua espressione
quantitativa che viene fornita come prodotto di un valore numerico (o simbolico)
per l’unità di misura corrispondente.
Ne segue che il valore numerico cambia al variare dell’unità di misura utilizzata.
Ad esempio, l’altezza dell’obelisco di fronte alla Casa Bianca (che gli americani
chiamano Washington Monument), indicata con hW , è
hW = 169 m = 555 f t.
Qui hW indica una quantità fisica (in senso particolare) il cui valore numerico è
169, se espressa in metri, e 555 se espressa in piedi.
Il Sistema Internazionale di misure, S.I., è il principale sistema di misura (1)
ed è fondato su sette unità (di misura) di altrettante grandezze fisiche: metro,
kilogrammo, secondo, ampere, kelvin, mole, candela. Questo sistema è spesso detto
M KS. Le unità del sistema sono, rispettivamente: m (per la lunghezza), kg (per la
massa), s (per il tempo), A (per la corrente elettrica), K (per la temperatura), mol
(per la quantità di sostanza), cd (per l’intensità luminosa). Tutte le altre grandezze
della fisica sono espresse in termini di quelle.
Ad esempio, possiamo dire che la velocità è una grandezza fisica che esprime
la quantita di spazio percorsa nell’unità di tempo. La sua unita di misura è il
metro-al-secondo, che si scrive
m
oppure
m s−1
s
1Ce ne sono molti altri, tra cui il cosiddetto cgs, basato su centimetro, grammo, e secondo.
Si veda
http://www.science.unitn.it/˜labdid/sisint/siC cgs/si cgs.html
15
16
3. UNO ‘YOCTO’ DI FISICA
Se un oggetto, diciamo O, percorre la distanza di L metri in T secondi, diremo
che quell’oggetto ha percorso quella distanza alla velocita (media) vO data da
Lm
(2)
vO =
T s
Qui è importantissimo notare che nell’espressione delle grandezze fisiche, i valori
numerici e le corrispondenti unità di misura vengono manipolati allo stesso modo.
Mi spiego: abbiamo una distanza di Lm e un tempo di T s. Quindi, per calcolare
la velocita del nostro oggetto O scriviamo:
L
Lm
= m s−1
vO =
Ts
T
Esempio: un ottimo tempo sui 100 metri è di 10 secondi. Credo che il primo
uomo a compiere l’impresa sia stato Armin Hary, . . . circa 60 anni fa. Formalmente
abbiamo L = 100m e T = 10s. Dunque,
m
100m
= 10 .
v=
10s
s
E per esprimere il risultato in kilometri all’ora, osserviamo che:
1Km = 1000m = 103 m
e
1h = 3600s
per cui
1m = 10−3 Km
e
1s = 3600−1 h.
Dunque,
m
10−3 Km
3600 Km
Km
Km
= 10
= 10 3
= 10 · 3, 6
= 36
.
s
3600−1 h
10
h
h
h
In generale, se v è (il valore numerico di) una velocità espressa in m s−1 , allora
il suo valore numerico espresso in Km h−1 è
v = 10
3, 6v.
Dalla generica relazione
L
T
deduciamo altre due importanti relazioni, altrettanto generiche:
L
L=T ·V
e T = .
V
In che senso sono generiche, ancorché importanti? Perché devono essere completate con le caratteristiche dimensionali. Ecco la prima:
m
L = T sV
= V T m.
s
Esercizio 4. Quanti Kilometri percorro se cammino per un giorno intero alla
velocità di 2 metri al secondo?
V =
m
· 24 · 3600s = 48 · 3600m = 48 · 3600 · 10−3 Km = 172, 8Km.
s
La seconda è ancora più importante:
Lm
Lms
L
T =
=
= s.
V m s−1
V m
V
Esercizio 5. Quanto tempo impiego a percorrere 9 Km se viaggio a 30 m/s?
L=2
1. VELOCITÀ
T =
17
9 · 103
L
s=
s = 300s = 6min = 0, 1h.
V
30
Esercizio 6. Quanto tempo impiego a percorrere 1m se viaggio a 180 Km/h?
1m
1m · 3600s
L
s=
=
= 20 · 10−3 s = 20ms.
V
180 · Km · h−1
180 · 103 m
Qui entrano in gioco i prefissi per i multipli e i sottomultipli. Al proposito,
consultate
http://en.wikipedia.org/wiki/Yotta
Per avere un’idea di uno di questi simboli si pensi che 1Y g = 1024 g, è la massa
d’acqua dell’oceano Pacifico!!!
T =
Esercizio 7. Quanto tempo impiega un segnale elettrico a percorrere un filo
di rame teso da Voghera al Polo Nord?
Ora, prima di esaminare qualche altra grandezza fisica, val la pena di citare
un parametro (pseudograndezza) molto usato in informatica: il mitico bitrate. Nell’ambito delle reti locali il bitrate è il tasso con cui i dispositivi di rete scrivono i bit
sul mezzo di trasmissivo. Il bitrate è il numero (medio) di bit che la rete scrive in
un secondo. Quindi è la velocità operativa caratteristica di una data rete, e dipende
dal tipo di circuiti - che nel caso di Ethernet si chiama transceiver - che eseguono
l’operazione e quindi caratterizzano le prestazioni della rete. Supponiamo dunque
di avere una rete con un tasso trasmissivo R = 10M bps ovvero una rete i cui circuiti
possono scrivere 10 milioni di bit in un secondo. Quanto tempo impiega tale rete a
scrivere, cioè a inviare un file da 8Kbyte? Per la risposta usiamo la formula
R=
numero di bit, bit
tempo, T
ovvero
T =
b
.
R
Quindi avremo
8 · 8 · 103 bit
6, 4
= 3 s = 6, 4 ms.
6
−1
10 · 10 bit s
10
Si noti che questo tempo è ben maggiore del tempo che il file impiega a raggiungere l’ufficio cui è destinato. Basta confrontarlo con il risultato dell’esercizio
precedente.
L’accelerazione è la grandezza fisica che esprime la variazione della velocità
nell’unità di tempo. La sua unità di misura è il metro-al-secondo-per-secondo, che
si scrive
m
oppure
m s−2
s2
T =
Esercizio 8. Qual’è l’accelerazione (media) di un auto che raggiunge i 360 km
h
in 6 secondi, partendo da ferma?
Vediamo: la variazione di velocità è di
360 · 103 m
100m
(360 − 0)Km
=
=
.
h
3600s
s
Dunque l’accelerazione è
100m
m
s
= 16, 6666666 2
6s
s
18
3. UNO ‘YOCTO’ DI FISICA
La cosa è ragionevole nel senso che la nostra automobile aumenta la propria
velocità di 16m/s ogni secondo. Dunque . . . i conti tornano.
Se c’è accelerazione, ci deve essere una forza che la provoca, e viceversa. Ora,
perché c’è la forza centrifuga? (2)
2Joule was an english physicist who was initially interested in the efficiency of electric motors.
He discovered the heat dissipated by a resistor is given by Q = I 2 Rt (where I is the current, R
the resistance, and t the time), a result now known as Joule’s law.
Motivated by theological beliefs, Joule began attempting to demonstrate the unity of forces
in nature. He determined the mechanical equivalent of heat by measuring change in temperature
produced by the friction of a paddlewheel attached to a falling weight in the 1840s. He made
a series of measurements and found that, on average, a weight of 772 pounds falling through a
distance of one foot would raise the temperature of one pound of water by 1 F. This corresponds to
(772 ft lbs)(1.356 J/ft lb) = 59 453.6 Calories, or 1 cal = 4.15 Joules, in close agreement with the
current accepted value of 1 cal = 4.184 J. Joule was not the first person to establish the mechanical
equivalence of heat, but it was his demonstration that eventually came to be accepted. He did not
claim, however, to have formulated a general Law of Conservation of Energy. Nevertheless, his
experiments were certainly fundamental in bringing that formulation about. In addition, Joule’s
experiments showed that heat is produced by motion, contradicting the caloric theory.
http://scienceworld.wolfram.com/biography/Joule.html
CAPITOLO 4
Pitagora
1. Trigonometria
La Trigonometria studia angoli e grandezze relative ad essi. Il nostro interesse
alla questione sta nel fatto che gli aspetti ondulatori del suono sono colti da un
punto, diciamo P, che gira lungo un cerchio, e dall’angolo e altre grandezze correlate
che questo punto descrive durante il suo movimento.
Fissiamo una volta per tutte il nostro cerchio di riferimento, con raggio che per
il momento assumeremo unitario e con centro coincidente con l’origine, O, degli
assi del piano cartesiano. Assumiamo come posizione iniziale quella di coordinate
(1,0). Spostiamo poi il punto P percorrendo il cerchio in senso antiorario. Man
mano che P si muove, individua un angolo i cui lati sono la semiretta che esce
dal centro del piano e che passa per P e il semiasse orizzontale positivo. L’asse
orizzontale si chiama asse delle ascisse (mentre su quello verticale si misurano le
ordinate). Ad esempio, quando P si trova nella posizione iniziale, l’angolo descritto
avrà, ovviamente, ampiezza nulla.
Ma supponiamo ora che il nostro punto P si trovi in una generica posizione e
diciamo α l’angolo corrispondente, nel senso precisato prima. Le più importanti
grandezze trigonometriche associate all’angolo α si chiamano: seno di α e coseno
di α, e si indicano
sin α
e
cos α.
Di cosa si tratta?
Per rispondere abbiamo bisogno di introdurre un nuovo personaggio, un altro
punto, che chiameremo Q. Strettamente parlando, Q è il piede della perpendicolare
all’asse delle ascisse cha passa per il punto P, o anche la proiezione di P sull’asse
delle ascisse. Dunque abbiamo un triangolo rettangolo i cui lati sono: il segmento
OQ, il cateto orizzontale, il segmento PQ, il cateto verticale, e l’ipotenusa OP. La
lunghezza di OP è nota: infatti si tratta del raggio del cerchio che abbiamo assunto
essere lungo 1 (in una qualsiasi unità di misura).
Ci siamo: il seno di α è la lunghezza del segmento PQ, e il coseno di α è la
lunghezza del segmento OQ. In formule,
sin α = |P Q|
e
cos α = |OQ|.
Tutto qui! Ma allora, se tutto è cosı̀ semplice, perche’ la trigonometria è cosı̀
difficile? Giusta domanda. Ed ecco la risposta: perche’ la relazione tra un angolo e
il suo seno (idem dicasi per il suo coseno) non è lineare. Ovvero, supponiamo di
avere un angolo, α e di conoscere il suo seno, sin α. Se ora raddoppiamo l’angolo,
NON è vero che il seno di questo nuovo angolo sia il doppio del seno dell’angolo di
partenza (1).
1Infatti si sa che sin 2α = 2 sin α cos α.
19
20
4. PITAGORA
Questo è il dramma della trigonometria!!!
Comunque iniziamo a studiare i casi in cui seno e coseno si calcolano facilmente.
Il caso base è quello dell’angolo associato alla posizione iniziale del punto P di
riferimento. È ovvio che nella posizione iniziale P coincide con Q. Dunque
sin α = |P Q| = |P P | = 0
e
cos α = |OQ| = |OP | = 1.
Ora, è chiaro che in questo caso l’angolo α è nullo, per cui scriviamo
sin 0 = 0
e
cos 0 = 1.
Però è anche chiaro che per descrivere in modo quantitativo l’ampiezza degli
angoli, abbiamo il problema di scegliere una grandezza con cui misurarli. Per
vari motivi, in Fisica Acustica non si usano i gradi, bensı̀ i . . . radianti. È una
seccatura, ma . . . ce la dobbiamo sorbire. In fondo si tratta soltanto di prenderci
la mano. Ma quanto vale un radiante? Brutta domanda, infatti un radiante, 1rad,
vale circa 57, 324◦ . Meglio ricordare che
2π rad = 360◦
π rad = 180◦
0, 5π rad = 90◦
Una motivazione di questa apparentemente buffa scelta è che la misura di un
angolo al centro (cosı̀ si chiamano gli angoli con cui abbiamo a che fare: infatti hanno
il vertice nel centro di un cerchio) corrisponde esattamente alla lunghezza dell’arco
da lui sotteso. Quindi, ricordandoci che abbiamo scelto un cerchio con raggio
unitario, si vede che 2π è proprio la lunghezza dell’arco corrispondente all’angolo
giro, che π è la lunghezza dell’arco corrispondente all’angolo piatto e che π/2 è la
lunghezza dell’arco corrispondente all’angolo retto. Studiamo dunque seno e coseno
di questi angoli particolari, iniziando con l’angolo retto. In questo caso si vede
subito che la proiezione di P sull’asse delle ascisse coincide con il centro del cerchio.
Dunque
π
cos = |OQ| = |OO| = 0.
2
D’altra parte il segmento PQ coincide con il raggio, ragion per cui:
π
sin = |P Q| = 1.
2
Passando all’angolo piatto vediamo subito che il segmento PQ è nullo e quindi
sin π = 0. Per il coseno invece . . . è pur vero che il segmento OQ ha lunghezza
unitaria, ma questa volta è orientato a rovescio: lungo la parte negativa dell’asse
delle ascisse. Dunque:
cos π = −1.
Proseguiamo spostando il nostro punto lungo la circonferenza di un altro arco
di lunghezza π2 e vediamo subito che
3π
= |OQ| = |OO| = 0.
2
Per il seno osserviamo che il segmento OP ha lunghezza unitaria, ma è orientato
verso il basso. Dunque:
3π
= −1.
sin
2
cos
1. TRIGONOMETRIA
21
Se ora spostiamo il punto P di un altro quadrante . . . torniamo alla posizione
iniziale. Questo è un fatto molto importante e del tutto ovvio: qualunque sia
l’angolo α abbiamo
sin(α + 2π) = sin α
e
cos(α + 2π) = cos α.
E più in generale, la cosa vale per tutte le funzioni trigonometriche che risultano
quindi periodiche (più avanti preciseremo il concetto) di periodo 2π.
Raccogliendo i risultati in una tabella abbiamo:
α
0
π
2
π
3π
2
2π
sin α
0
1
0
-1
0
cos α
1
0
-1
0
1
La lettura alternata dei risultati della seconda e terza colonna, cioè
0,
1, 1,
0, 0,
−1, −1,
0, 0, 1,
ci indica che, per cosı̀ dire, i valori di seno e coseno si rincorrono. In altre parole si
scambiano da un angolo all’altro quando l’angolo cresce di π/2. Questa circostanza e
del tutto generale, nel senso che non vale soltanto per i valori degli angoli considerati
nella tabella, ma . . . sempre!
Teorema 1.1. Per qualunque valore di α risulta.
π
sin(α + ) = cos α.
2
La dimostrazione di questo teorema, è un bell’esercizio di geometria piana.
Questo risultato ha un (forse) prevedibile cugino:
π
cos(α + ) = − sin α,
2
che il lettore è invitato a dimostrare. Più avanti ci riferiremo a questi risultati col
nome di proprietà di inseguimento. Per vedere se la nostra tabella ci suggerisce
qualcos’altro, proviamo a fare la somma dei valori delle colonne seno e coseno:
otteniamo una colonnina coi valori 1, 1, −1 e −1. Simpatico, ma . . . non abbastanza
bello! Proviamo allora a sommare tra loro i quadrati delle due colonne:
α
0
π
2
π
3π
2
2π
sin α
0
1
0
-1
0
seno2
0
1
0
1
0
cos α
1
0
-1
0
1
coseno2
1
0
1
0
1
sin2 α + cos2 α
1
1
1
1
1
Abbiamo verificato che per i quattro valori di α (0, π2 , π e
2
2
sin α + cos α = 1.
Bello, ma non basta. Vale infatti quanto segue.
3π
2 ),
risulta:
22
4. PITAGORA
Teorema 1.2. Per qualunque valore di α risulta
sin2 α + cos2 α = 1.
Per dimostrare questa affermazione bisogna fare appello ad un risultato noto
da circa 2500 anni. Si tratta del teorema di Pitagora.
Lemma 1.3 (Pitagora). L’area del quadrato costruito sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo equivale alla somma di quelle dei quadrati costruiti sui cateti del
triangolo.
Possiamo ora dimostrare il teorema (1.2).
Dimostrazione. Diretta applicazione del teorema di Pitagora, insieme all’osservazione che 12 = (−1)2 = 1.
Vediamo ora se il nostro lavoro ci aiuta a dedurre i valori di seno e coseno di un
angolo non banale: π/4. A questo scopo spostiamo dalla posizione iniziale il nostro
punto P di un arco di π/4 radianti, cioè un ottavo di circonferenza, e osserviamo
che la semiretta uscente dall’origine e passante per P altro non è che la bisettrice
del primo quadrante (del piano cartesiano). Ciò vuol dire che ascissa e ordinata dei
punti che giacciono su tale semiretta sono . . . uguali. Dunque
π
π
sin = cos .
4
4
Ma allora, utilizzando il teorema appena dimostrato, possiamo scrivere
π
π
sin2 + cos2 = 1.
4
4
Da cui deduciamo
π
2 sin2 = 1
4
ovvero
π
1
sin2 =
4
2
il che equivale a
r
√
1
2
π
1
√
=±
sin = ±
=±
.
4
2
2
2
Ora, trovandoci nel primo quadrante, si osserva che la soluzione positiva è l’unica
che deve essere tenuta in considerazione. Abbiamo quindi scoperto che
√
π
π
2
= cos .
sin =
4
2
4
Per trovare altri risultati non banali collochiamo il nostro punto P in una posizione sulla circonferenza, nel primo quadrante, in cui la lunghezza del segmento PQ
sia la metà del raggio. Detto γ l’angolo formato dal semiasse positivo delle ascisse
e la semiretta uscente dall’origine che passa per P, avremo che
1
sin γ = .
2
Domanda (2): quanto vale γ?
Per rispondere in modo esplicito, osserviamo dapprima che le coordinate del
punto P sono (t, 1/2), dove t - che è il coseno di γ - per ora resta ignoto. Stabiliamo
2Questa domanda costituisce una tipica istanza del problema cui risponde la funzione
arcoseno.
1. TRIGONOMETRIA
23
poi di chiamare H il punto di coordinate (0, 1) e K quello di coordinate (1, 0), e
infine nominiamo R il punto della circonferenza che raggiungiamo spostandoci in
senso orario a partire da H fino a quando l’angolo formato dalla semiretta uscente
dall’origine che passa per R e l’asse delle ordinate vale proprio γ. Ora vogliamo
dimostrare che i tre archi di circonferenza KP, PR e RH sono uguali. Che KP ed
RH siano uguali lo si vede dalla costruzione, ci resta dunque da mostrare che anche
PR ha la stessa lunghezza. Come fare? Basta ricordarsi la formuletta che fornisce
la distanza tra due punti di coordinate note. Eccola: siano A e B due punti del
piano cartesiano e siano, rispettivamente, (xA , yA ) e (xB , yB ) le loro coordinate,
allora la distanza tra A e B vale
p
δ(A, B) = (xA − xB )2 + (yA − yB )2
Due osservazioni: (i) ovviamente intendiamo la radice positiva (o eventualmente
nulla), e . . . (ii) stiamo usando ancora una volta il teorema di Pitagora. Dunque
iniziamo a scrivere
r
1
1
δ(P, R) = (t − )2 + ( − t)2 =
2
2
r
r
1
1
= 2(t − )2 = 2t2 − 2t + .
2
2
Poi abbiamo
r
1
δ(K, P ) = (t − 1)2 + ( − 0)2 =
2
r
5
= t2 − 2t + .
4
Ora imponiamo l’eguaglianza δ(P, R) = δ(K, P ), per cercare il valore di t che la
rende vera. Anzi, possiamo fare di meglio: basta infatti confrontare direttamente i
radicandi (non negativi), e scriviamo
5
1
2t2 − 2t + = t2 − 2t +
2
4
il che equivale a
3
t2 − = 0.
4
Ovvero
√
3
t=±
2
A questo punto, scartando di nuovo la soluzione negativa, scopriamo di aver preso
. . . ben due piccioni con una fava sola! Intanto abbiamo trovato il valore di γ:
visto che gli archi KP, PR e RH sono uguali, l’ampiezza dell’angolo γ deve essere
un terzo dell’angolo retto. Ovvero
π
1π
=
γ=
32
6
e contemporaneamente abbiamo scoperto che
√
π
3
.
cos =
6
2
Va comunque osservato che potevamo trovare questo valore anche tramite il
teorema (1.2). In un caso o nell’altro possiamo aggiungere una riga alla nostra
tabellina dei valori di seno e coseno. Ma, a ben vedere, possiamo fare molto di più.
24
4. PITAGORA
Infatti, grazie al teorema (1.1) possiamo dedurre il valore di seno e coseno degli
angoli di ampiezza
π
π
+k ,
6
2
per qualunque k ∈ Z. In sostanza, la nostra tabellina diventa:
α
0
sin α
0
π
6
π
4
π
2
1
√2
2
2
π
3π
2
2π
1
0
-1
0
cos α
1
√
3
√2
2
2
0
-1
0
1
Per calcolare l’angolo il cui seno è 1/2 abbiamo fatto ricorso ad una formula della geometria analitica, uno strumento sviluppato nella prima metà del XVII
secolo (3). Ma è anche possibile farlo in modo sintetico, con degli strumenti concettuali più semplici: come avrebbe fatto Euclide. Infatti, basta considerare il punto
P ′ simmetrico del punto P , rispetto all’asse delle ascisse (4) ed osservare che il
triangolo P OP ′ è equilatero, quindi . . .
Ricordiamo infine un’altra funzione trigonometrica: la tangente che viene definita dal rapporto
sin α
tan α =
cos α
il che presenta qualche problemino nel senso che
sin 0
0
tan 0 =
= = 0,
cos 0
1
ma se volessimo calcolare la tangente di π/2 . . .
2. Trigonometria, ancora!
In una precedente nota, avevamo asserito che
sin 2α = 2 sin α cos α.
Verifichiamola per qualche valore:
sin 2π = 2 sin π cos π
sin(
infatti
π
π
π π
+ ) = 2 sin cos
2
2
2
2
π π
π
π
sin( + ) = 2 sin cos
4
4
4
4
0 = 2 · 0 · (−1),
infatti
infatti
0 = 2 · 1 · 0,
√ √
2
2
1=2·
·
,
2
2
3E qui il riferimento a Cartesio (1596 - 1650) è d’obbligo.
http://www.forma-mentis.net/Filosofia/Cartesio.html
4Si tratta ovviamente del punto di coordinate (t, − 1 ), ma nel contesto non potevamo ricorrere
2
ad un concetto . . . cartesiano.
3. TRIGONOMETRIA, E TRE!!!
25
e cosı̀ via. Questa simpatica relazione è una delle due cosiddette formule di duplicazione. Deriviamo subito l’altra scrivendo
q
cos 2α = 1 − sin2 (2α) =
p
= 1 − 4 sin2 α cos2 α =
q
= 1 − 4 sin2 α(1 − sin2 α) =
p
= 1 − 4 sin2 α + 4 sin4 α =
q
= (1 − 2 sin2 α)2 = 1 − 2 sin2 α
e lasciamo al lettore il facile compito di ricavare le due formule equivalenti
cos 2α = 2 cos2 α − 1 = cos2 α − sin2 α.
Ora, si dà il caso che queste formule siano due casi particolari delle due formule
di duplicazione. Eccone una:
sin(α + β) = sin α cos β + sin β cos α
che ora verifichiamo per un paio di valori:
π
3π
3π
π
π 3π
) = sin cos
+ sin
cos = 1 · 0 − 1 · 0,
0 = sin π = sin( +
2
2
2
2
2
2
√ √
π
3 3 11
π π
π
π
π
π
1 = sin = sin( + ) = sin cos + sin cos =
+
.
2
3
6
3
6
6
3
2 2
22
Ed ecco l’altra:
cos(α + β) = cos α cos β − sin α sin β
che verifichiamo in un caso specifico:
√
√
31
π π
π
π
π
π
1 3
π
−
= 0.
0 = cos = cos( + ) = cos cos − sin sin =
2
3
6
3
6
3
6
2 2
2 2
Esercizio 9. Usate le formule appena enunciate per dimostrare le proprietà
di inseguimento.
3. Trigonometria, e tre!!!
Iniziamo il paragrafo svolgendo per esteso un esercizio relativo alla formula di
duplicazione
sin 2α = 2 sin α cos α
citata in una nota all’inizio del paragrafo precedente. È ovvio che, ponendo 2α = β,
possiamo scrivere:
β
β
sin β = 2 sin cos .
2
2
Per trovare il valore del seno di β/2 in termini del seno di β iniziamo a scrivere:
r
β
β
β
β
1 − sin2 .
sin β = 2 sin cos = 2 sin
2
2
2
2
Ora conviene prendere il quadrato di entrambi i membri:
β
β
sin2 β = 4 sin2 (1 − sin2 ).
2
2
26
4. PITAGORA
Quindi, ponendo t = sin2
β
2
ottengo l’equazione di secondo grado in t,
4t2 − 4t + sin2 β = 0
le cui soluzioni sono:
p
16 − 16 sin2 β
1 ± cos β
=
.
8
2
Quale scegliere? Non certo la t = (1 − cos β)/2 per il buon motivo che . . . non
funziona. Infatti in tal caso avremmo, per β = π,
π
1 − (−1)
2
sin2 =
=
=!?!
2
2
2
Eccoci dunque vicini alla meta:
1 + cos β
1 − cos β
β
β
e cos2 =
.
sin2 =
2
2
2
2
Quindi, ad esempio, scopriamo che
p
√
2+ 2
π
sin =
.
8
2
Esercizio 10. Quanto vale cos(π/8)?
t1,2 =
4±
Va comunque detto che c’è un modo più brillante (nel senso che non usa la
trigonometria, ne’ la geometria analitica) per scoprire il precedente valore. È un
approccio simile a quello usato nella nostra discussione su Cartesio ed Euclide.
Questa volta però bisogna pensare ad un . . . ottagono.
Torniamo alle formule di duplicazione. Vale, in generale, la seguente:
⌊2⌋
X
n
sin nα =
Cn,i sin2i+1 α cosn−2i−1 α(−1)i
i=0
Ora passiamo allo studio di una nuova identità trigonometrica: vogliamo scoprire quanto vale il prodotto
cos α cos β.
In forza della formula
(3)
cos(α + β) = cos α cos β − sin α sin β
possiamo sicuramente scrivere
cos(α − β) = cos α cos(−β) − sin α sin(−β).
Ora però ricordiamo la parità della funzione coseno e la disparità della funzione
seno, ovvero che cos(−x) = cos x e che sin(−x) = − sin x, e otteniamo
(4)
cos(α − β) = cos α cos β + sin α sin β.
A questo punto basta sommare le due relazioni (3) e (4) per avere
cos(α + β) + cos(α − β) = 2 cos α cos β
da cui si ha la formula cercata:
cos α cos β =
1
[cos(α + β) + cos(α − β)].
2
CAPITOLO 5
Taylor
1. Espansione in serie
Anche in questo caso iniziamo il paragrafo con una poderosa formula
ex =
(5)
X xn
n!
n≥0
Ancora una volta siamo costretti ad accettarla cosı̀ com’è, e ci lavoreremo sopra
con lo scopo di ricollegarla a quella ricordata in precedenza.
Intanto però dobbiamo assolutamente fare delle considerazioni su questa formula per la importanza che ha in sé. Questa formula ci dice che per ogni valore di
x il valore ex (cioè, per dirla in punta di forchetta, il valore della funzione ex nel
punto x, per ogni x) può essere calcolato, con una certa approssimazione, mediante
la somma
x3
x4
x5
x2
+
+
+
+ ...
1+x+
2
6
24 120
Ma non basta! Infatti, il lavoro di Brook Taylor (Edmonton, UK, 1685 (1) Londra, 1731) mostra come approssimare un’ampia classe di funzioni (non soltanto
la nostra ex ). Forse però, perché il lettore possa cogliere l’intera portata di questo
fatto, vale la pena di sottolineare che, mentre il regolo è stato messo in soffitta
dall’avvento dei calcolatori (come avavamo osservato nel paragrafo precedente) cosı̀
non è per la espansione in serie di Taylor delle funzioni. Al contrario! Infatti
ci si dimentica troppo spesso che i calcolatori, anche i più potenti, . . . non sanno
fare la radice quadrata!!! . . . E allora? Allora la formula di Taylor è lı̀, pronta a
dare una mano ai nostri PC (o Mac che siano). La formula (5) infatti ci dice che
si può calcolare - con l’approssimazione voluta - qualunque funzione (all’interno di
un’ampia classe, ripeto) usando soltanto le quattro operazioni che abbiamo appreso
alle elementari!!!
E scusatemi se è poco!
Io credo che questa formula sia tra le 10 più importanti realizzazioni della nostra
civiltà.
Ora però dobbiamo fare una considerazione importante: perché non dovrebbe
essere possibile valutare la (5) in un punto del piano di Gauss? Infatti, poiché nessuno ce lo vieta, lo facciamo subito e scegliamo il generico punto dell’asse immaginario,
jx. Ovvero scriviamo
X (jx)n
(jx)0
(jx)1
(jx)2
(jx)3
(jx)4
(jx)5
=
+
+
+
+
+
+ ···
ejx =
n!
0!
1!
2!
3!
4!
5!
n≥0
1Curioso: lo stesso anno di nascita di Bach, e di Händel!
27
28
5. TAYLOR
Quindi avremo
ejx = 1 + jx −
x2
x3
x4
x5
−j
+
+j
+ ···
2
6
24
120
e, riordinando i termini della somma, otteniamo
ejx = (1 −
x4
x6
x3
x5
x7
x2
+
−
+ · · · ) + j(x −
+
−
+ ···)
2
24 720
6
120 5040
Ora assegniamo alle due somme alternate che abbiamo ottenuto (una con
esponenti pari e l’altra dispari) un nome proprio:
x2
x4
x6
.
C(x) = 1 −
+
−
+ ···
2
24 720
x3
x5
x7
.
S(x) = x −
+
−
+ ···
6
120 5040
Abbiamo cosı̀ ottenuto la relazione ejx = C(x) + jS(x). Bene: se le iniziali dei
nomi scelti non vi hanno suggerito qualcosa, non preoccupatevi. Vi svelo subito
dove voglio andare a parare! Voglio stabilire la strabiliante formula
ejx = cos x + j sin x
che è una delle più importanti di tutta la fisica acustica!!! Purtroppo però non la
potremo dimostrare, perche’ ci manca lo strumento della derivata che, in questo
caso, è indispensabile.
Tuttavia una prima, piccola prova la possiamo certo fare. Eccola:
C(0) = 1 = cos 0
e
S(0) = 0 = sin 0.
Non è molto, ma è consolante. Tuttavia se volessimo fare delle altre verifiche
. . . troveremmo delle sorprese: infatti è pur vero che le funzioni C(x) e S(x) approssimano le funzioni seno e coseno, ma lo fanno assai male. Ciò sta a dire che per
avere dei valori ragionevolmente vicini a quelli delle funzioni seno e coseno, dobbiamo sommare un numero abbastanza alto di termini delle funzioni C(x) e S(x). Ad
esempio, la somma dei primi 3 termini di S(π), ovvero della funzione S(x) valutata
per x = π, fornisce
π−
π5 ∼
π3
+
= 0, 53.
6
120
All’indirizzo
http://en.wikipedia.org/wiki/Taylor series
c’è una bellissima figura che mostra il grafico della somma dei primi termini della
funzione S(x).
Quindi, in sostanza, ponendo x = π nella nostra formula otteniamo
ejπ = cos π + j sin π = −1 + 0
ovvero la formula dalla quale eravamo partiti!
2. UN PIZZICO DI DERIVATE E UN ASSAGGIO DI INTEGRALI
29
2. Un pizzico di derivate e un assaggio di integrali
La derivata di una funzione f (x), quando esiste, è a sua volta una funzione il
cui valore è, punto per punto, la pendenza della funzione in quel punto. La derivata
della funzione f (x) si indica in vari modi, tra cui
df (x)
oppure
D(f (x)).
dx
Possiamo già scrivere un primo risultato: la derivata di una funzione costante,
f (x) = K, è la funzione ovunque nulla, ovvero
f ′ (x),
oppure
D(K) = 0.
Ma ahime’, in matematica con l’intuizione si fa ben poca strada. Il fatto che la
funzione costante abbia pendenza nulla sembra proprio indiscutibile, ma in generale
come esprimeremo il valore della pendenza di una funzione in un dato punto? Per
rispondere alla domanda dobbiamo dare per scontato il concetto di (retta) tangente
ad una curva in un dato punto. Prendiano il semplice caso della funzione f (x) = x,
la cui tangente è chiaramente . . . la funzione stessa. È ovvio che in ogni punto P
della funzione la tangente, cioè la funzione stessa, forma con l’asse delle ascisse un
angolo di π/4. Diremo allora che la derivata della funzione f (x) = x nel punto P è
π
tan
4
ovvero 1 (come vedremo).
Ed ecco la definizione. Sia f (x) : R → R una funzione reale di variabile reale e
sia P un punto della curva corrispondente. Sia τ la retta tangente alla f nel punto
P di coordinate (x, f (x)). Sia α l’angolo formato dall’asse delle ascisse, X, e la
retta τ , orientato da X verso τ . Allora la derivata della f nel punto x è
f ′ (x) = tan α.
Ed ecco che possiamo scrivere
D(x) = 1
e possiamo anche verificare la nostra intuizione sulla derivata della funzione nulla!
Bello, ma . . . ma purtroppo c’è un problema (che probabilmente era sfuggito alla
nostra intuizione). Consideriamo la funzione disegnata qui sotto:
Ebbene, quale sarà la sua tangente nel punto (0, 1)??? Semplice: non esiste!
Dobbiamo quindi accettare il fatto che non tutte le funzioni sono derivabili (ovvero
derivabili in TUTTI i loro punti). Tuttavia un’ampia classe di funzioni non ci dà
questi problemi. Ad esempio si sa che
D(xn ) = nxn−1
30
5. TAYLOR
per qualunque valore reale di n. La cosa intanto ci consente di verificare i risultati
finora ottenuti, e di fare la derivata delle radici. Ad esempio:
D(x2 ) = 2x
√
√
1
1
x
1 1 −1
1 −1
1
2
2
2
√ =
.
= x
=
D( x) = D(x ) = x
1 =
2
2
2x
2
x
2
2x
Ed ora . . . una bella notizia (si fa per dire). Siano f (x), g(x) : R → R due
funzioni reali di variabile reale e siano H e K due valori numerici (reali o complessi).
In tal caso si ha:
(6)
D(Hf (x) + Kg(x)) = HD(f (x)) + KD(g(x)) = Hf ′ (x) + Kg ′ (x).
Dunque, grazie alla linearità dell’operatore derivata, sappiamo fare la derivata di qualunque polinomio! Un’altra importante regola riguarda le funzioni
esponenziali:
D(B x ) = B x loge B.
E qui abbiamo un caso singolare: ex è l’unica funzione che coincide con la propria
derivata. Infatti
D(ex ) = ex loge e = ex .
Esercizio 11. Verificare che D(ex ) = ex utilizzando la (5). In questo caso
si può assumere valida la linearità - formula (6) - della derivata rispetto a somme
infinite.
La linearità dell’operatore derivata ci ha permesso di banalizzare la derivata
di una somma, ma che dire della derivata di un prodotto? Ecco la risposta: se
f (x), g(x) : R → R sono due funzioni reali di variabile reale si ha
D(f (x)g(x)) = D(f (x))g(x) + f (x)D(g(x)) = f ′ (x)g(x) + f (x)g ′ (x).
Quindi ad esempio
D(xex ) = D(x)ex + xD(ex ) = ex + xex = (1 + x)ex ,
D((3x2 − 2)(x4 + x + 1)) = 6x(x4 + x + 1) + (3x2 − 2)(4x3 + 1)
Ecco un’altra regola delle derivate: supponiamo di voler valutare
2
D(ex ).
È pur vero che sappiamo derivare l’esponenziale ex e la potenza x2 , ma ora
sono innestate l’una nell’altra: che fare? Per districarle dobbiamo lavorare in due
passi: prima ci occupiamo dell’esponenziale pensando al suo esponente come ad
una variabile y, pur sapendo che y = x2 . Dunque calcoliamo DUE derivate:
d(x2 )
= 2x
dx
e
d(ey )
= ey
dy
e poi . . . moltiplichiamo i risultati ottenendo
2
2
D(ex ) = 2xey = 2xex .
Simbolicamente abbiamo la formula della derivata della composizione di funzioni:
df dg
D(f (g(x))) =
.
dg dx
2. UN PIZZICO DI DERIVATE E UN ASSAGGIO DI INTEGRALI
31
Piuttosto comodo, anche se un po’ arzigogolato. Ed ora, un bell’esercizio
riassuntivo a quanto abbiamo visto finora :
1 + ex
=
D
2x − 1
= D((1 + ex )(2x − 1)−1 ) = D(1 + ex )(2x − 1)−1 + (1 + ex )D(2x − 1)−1 = · · ·
In realtà, per fare la derivata del rapporto di due funzioni, si può utilizzare una
regola esplicita. Eccola:
f ′ (x)g(x) − f (x)g ′ (x)
f (x)
.
=
D
g(x)
(g(x))2
Esercizio 12. Utilizzate quest’ultima regola per rifare l’esercizio riassuntivo
svolto poc’anzi.
E finalmente possiamo passare all’elenco delle più importanti derivate di funzioni trigonometriche:
1
D(sin x) = cos x,
D(cos x) = − sin x
e
D(tan x) =
.
1 + tan2 x
Esercizio 13. Calcolare la derivata D(sin2 x · ecos x ).
. . . e per gli integrali. . . rimandiamo alla prossima puntata.
CAPITOLO 6
Funzioni Simmetriche
1. Cenni alle funzioni simmetriche
Per cambiare . . . musica, usciamo un attimo dalla trigonometria.
Definizione 1.1. Una funzione di variabile reale f (x) è detta pari se risulta
f (−x) = f (x)
ed è detta dispari se risulta
f (−x) = −f (x)
per tutti i valori del suo dominio.
Ad esempio la funzione f (x) = 2x4 −3x2 è chiaramente pari, la funzione g(x) =
x è ovviamente dispari, e la funzione f (x) + g(x) non è né pari né dispari. Tutte
le funzioni costanti h(x) = K sono pari, ma per K = 0 abbiamo una (l’unica:
potete dimostrarlo?) funzione che risulta contemporaneamente pari e dispari. E le
funzioni trigonometriche? È facile vedere che il seno è funzione dispari, mentre il
coseno è pari. Infatti
3
cos(−α) = cos(α),
ma
sin(−α) = − sin(α).
Una cosa interessante è che ogni funzione può essere scritta come somma di
una componente pari e di una dispari. Vediamo come. Data una qualunque f (x),
costruisco due nuove funzioni:
1
1
fe (x) = [f (x) + f (−x)] e fo (x) = [f (x) − f (−x)]
2
2
che sono, rispettivamente, pari (in inglese even) e dispari (in inglese odd ). Infatti
fe (−x) =
1
[f (−x) + f (x)] = fe (x),
2
1
1
[f (−x) − f (x)] = − [f (x) − f (−x)] = −fo (x).
2
2
Esercizio 14. Trovate la decomposizione in addendo pari e addendo dispari
ex
di 1−x
.
fo (−x) =
Prima di proseguire, voglio osservare che questo tipo di decomposizione si
verifica anche per un’altra importante proprietà delle funzioni: la simmetria.
Definizione 1.2. Una funzione di due variabili f (x, y) è detta simmetrica se
risulta f (y, x) = f (x, y) e antisimmetrica se risulta f (y, x) = −f (x, y), per tutti i
valori del suo dominio.
Ad esempio la funzione f (x, y) = x2 + xy + y 2 è simmetrica, mentre la funzione
g(x, y) = x3 − y 3 è antisimmetrica.
33
34
6. FUNZIONI SIMMETRICHE
Esercizio 15. Dimostrate - ricordando i prodotti notevoli della scuola media
- che la funzione (x3 − y 3 )/(x − y) è simmetrica.
Esercizio 16. Fornite una decomposizione delle funzioni di due variabili in
somma di una componente simmetrica e una antisimmetrica. (La risposta è del
tutto analoga alla decomposizione pari/dispari.)
Esercizio 17. Una matrice quadrata con n righe ed n colonne è detta simmetrica se, per 1 ≤ i, j ≤ n, si ha ai,j = aj,i e antisimmetrica se ai,j = −aj,i . Fornite
una decomposizione delle matrici quadrate con n righe ed n colonne in somma di
una componente simmetrica e una antisimmetrica. (La risposta è del tutto analoga
alla precedente decomposizione per funzioni di due variabili.)
Tornando alla simmetria delle funzioni, val la pena di definire un’importantissima classe di funzioni simmetriche, quelle dette elementari, cioè quelle in cui le
variabili compaiono al primo grado e possono essere soltanto sommate e moltiplicate. Formalmente, per ogni k ∈ N, si definisce la funzione simmetrica elementare
di grado k nelle variabili x1 , x2 , . . . , xn come la somma di tutti i monomi di grado
k che si possono ottenere moltiplicando tra loro variabili diverse. Un esempio è di
rigore.
e0 (a, b, c) = 1, e1 (a, b, c) = a + b + c, e2 (a, b, c) = ab + ac + bc, e3 (a, b, c) = abc
e ek (a, b, c) = 0 per tutti i k ≥ 4.
Perché ci interessano queste funzioni? Perché esse sono l’elemento costitutivo
dei coefficienti dei polinomi. Ad esempio, il generico polinomio monico di terzo
grado nella indeterminata x è
(x − a)(x − b)(x − c) =
3
X
(−1)3−k ek (a, b, c)x3−k .
k=0