servizio di fisica medica e radi - Università degli Studi di Verona

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA
MASTER DI I LIVELLO
EDUCATORE ESPERTO PER LA DISABILITÀ SENSORIALE
________________________________________________________________
TESI DI MASTER
EEDS: FAMIGLIA E MUSICA: NUOVE CHIAVI DI LETTURA
E DI CONTRIBUTI NEI CONFRONTI DELLA DISABILITÀ
VISIVA INFANTILE
Relatore:
Chiar.mo: prof. Angelo Fiocco
Specializzanda:
Dott.sa: Marika Latorre
_____________________________________________________________
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
1
... a tutte quelle persone speciali
che mi hanno offerto l’opportunità
di condividere la loro esperienza di umanità …
… e grazie a loro che
ho avuto la serenità di accettare le cose che non potevo cambiare,
il coraggio di cambiare le cose che potevo cambiare,
e la saggezza di capire la differenza.
GRAZIE !
2
Indice
Introduzione
pag. 3
Capitolo 1
Bambini non vedenti e famiglia:
nuovi modi di vedersi
1.1
Dio sceglie una mamma per un bambino disabile
1.2
La nascita del bambino non vedente
1.3
Come prevenire la disfunzionalità della famiglia
1.4
Restanti sensi
1.4.1 L’educazione senso percettiva
1.5
Diade madre-bambino
1.6
Bowlby e Mahler
pag. 5
pag. 7
pag. 9
pag. 12
pag. 14
pag. 18
pag. 21
Capitolo 2
Nuove frontiere educative:
musicoterapia in prima linea
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
2.8
Definire la musicoterapia
Storia della musicoterapia
La musicoterapia nel mondo
Ambiti di applicazione
Musica per bambini e genitori
La musica e il corpo
Percezione ed identificazione della materia
La mia esperienza musicale
pag. 25
pag. 27
pag. 31
pag. 33
pag. 37
pag. 38
pag. 41
pag. 43
3
Conclusioni
pag. 47
Bibliografia
pag. 48
Riviste
pag. 50
Sitografia
pag. 51
4
Introduzione
I non-vedenti sono gli esperti dell’invisibile e arricchiscono la società con la loro
particolare visione della vita di cui essi stessi sono portatori.
Credo e sostengo che ciascuna forma di esistenza minorata abbia un contributo
specifico nella società, poiché incontrare e confrontarsi con “esseri umani
imperfetti ed anormali” consente a noi “sani” di essere riconoscenti della propria
fortuna, aiutandoci a diventare più contenti, nonché a relativizzare noi stessi e la
nostra visione della vita.
Il presente lavoro dunque è il risultato di un interesse nato dapprima nel corso
dei miei studi, per poi intensificarsi negli anni con delle personali esperienze
professionali.
Il seguente elaborato è stato organizzato in modo da presentare nel corso del
primo capitolo la descrizione dell’intero lavoro. In particolar modo, il mio
interesse si è rivolto alla famiglia con alcune considerazioni metodologiche e
teoriche, con l’inclusione di nuove ed importanti possibilità di integrazione e
sviluppo.
Avere una famiglia che ti accetti e ti voglia bene rappresenta uno dei primi
coronamenti delle conquiste della specie umana, in quanto proprio la famiglia
consente l’accesso al mondo esterno e la costruzione di nuovi legami sociali.
Nel secondo capitolo invece, particolare importanza è stata data alla
musicoterapia. Quest’ultima di origine millenaria è presente in ognuno di noi e
con specifiche attività è in grado non solo di completare quell’eterogeneo
processo di sviluppo di cui protagonista è il bambino non vedente ma offre
possibilità nuove ed infinite da poter sfruttare in modo maturo nel complesso
panorama della società da cui siamo immersi.
Obiettivo di questo lavoro è sottolineare come anche nello studio della cecità si
5
evidenzia la particolare necessità di prendere in considerazione le differenti ed
individuali modalità di sviluppo, contrastando tutte quelle obsolete e vecchie
assunzioni, sprovviste tra l’altro di una dimensione qualitativa.
6
CAPITOLO PRIMO
BAMBINI NON VEDENTI E FAMIGLIA: NUOVI MODI DI VEDERSI
1.1 Dio sceglie una mamma per un bambino disabile
Molte donne divengono madri per caso, alcune per scelta, poche a causa di
pressioni sociali, un paio per abitudine. Quest’anno quasi 100.000 donne
diventeranno madri di bambini disabili. Vi siete mai chiesti come vengono scelte
le madri dei bambini disabili?
In qualche modo mi pare dio vedere Dio osservare dall’alto la terra, mentre
sceglie i Suoi strumenti di propagazione con cura e determinazione.
Mentre osserva, istruisce gli angeli che prendono nota in un grande registro:
“ARMSTRONG, Beth, figlio, Santo protettore Matteo…”
“FORREST Martori, figlia, Santa protettrice Cecilia…”
“RUDLEDGE, Carrie, gemelli, Santo protettore … datele Gerard, è abituato
agli eccessi!!!”
Infine dice un nome ad un angelo e sorride: “A lei date un bambino disabile”
L’angelo curioso: “Perché proprio a lei Signore? E’ così felice!”
“Esattamente – sorride Dio – potrei dare un bambino disabile ad una madre
che non sappia ridere? Sarebbe crudele!” “Ma ha pazienza?” chiede l’angelo.
“Non voglio che abbia troppa pazienza, altrimenti annegherà in un mare di
autocommiserazione e disperazione. Una volta superati lo shock e il
7
risentimento se la caverà… L’ho osservata oggi, ha quella considerazione di se
stessa e quell’indipendenza così rare necessarie per una madre. Vedi, il
bambino che sto per darle ha il proprio mondo e lei dovrà farlo vivere nel suo
mondo e non sarà facile.”
“Ma Signore, io penso che non sia nemmeno credente!”
Dio sorride. “Non importa, posso porvi rimedio. Questa è perfetta, è anche
sufficientemente egoista.”
L’angelo sussurra: “Egoista? Ed è una virtù?”
Dio scuote la testa: “Se non potrà occasionalmente separarsi dal bambino non
sopravviverà mai. Si, questa è una donna che benedirò con un bambino
imperfetto. Lei ancora non lo sa, ma è una donna da invidiare. Non darà mai
per certo ciò che le verrà detto. Non considererà mai un “passo” qualcosa di
ordinario. Quando il suo bambino dirà “mamma” per la prima volta sarà
presente ad un miracolo e lo saprà. Quando descriverà un albero o un tramonto
al suo bambino cieco li vedrà come poche persone hanno visto le mie creazioni.
Le concederò di vedere chiaramente le cose che vedo io: l’ignoranza, la
crudeltà, il pregiudizio… le permetterò di passarvi sopra. Non sarà mai sola. Io
sarò al suo fianco ogni minuto di ogni giorno della sua vita, perché lei starà
facendo il mio lavoro.”
“E quale sarà il suo Santo protettore?” chiede l’angelo con la penna posata a
mezz’aria.
Dio sorride: “Uno specchio le basterà1!”
1
BOMBECK E., Professione Mamma. Miserie e nobiltà di un antico ma onesto mestiere, Longanesi, Milano,
1984, p. 25.
8
1.2 La nascita del bambino non vedente
La scoperta della cecità del proprio figlio rappresenta sicuramente un trauma
per i genitori e in particolar modo per la madre, poiché intacca fortemente
l’immagine e le aspettative da essi costruite sul bambino e anche su se stessi.
La nascita di un bambino implica sempre riorganizzazioni e ridistribuzioni dei
ruoli in una famiglia. Tutti questi cambiamenti possono comportare delle
difficoltà, che sono sicuramente amplificate se il neonato presenta problemi
gravi, come appunto, una disabilità visiva.
L’impatto della cecità può provocare diverse reazioni in una famiglia.
Il primo è quello di mettere in atto strategie e reazioni di tipo disfunzionale,
quali depressione, negazione, rifiuto, iperprotezione, che hanno effetti negativi
sia sul bambino, sia sugli altri membri della famiglia2.
I genitori invasi dai sensi di colpa generano atteggiamenti di iperprotezione
che impediscono al bambino di compiere esperienze di crescita autonoma, di
conoscere, di esprimersi nei confronti dell’ambiente esterno, condizionandolo ad
assumere stati di passiva dipendenza e di relativa inattività3. Atteggiamento
diffuso è di aiutare il bambino in attività ben oltre il normale sviluppo neuromotorio , ma così facendo a distanza di tempo non si fa altro che alimentare un
ritardo nello sviluppo senso-motorio rispetto al coetaneo dotato della vista4.
Quindi a questo punto, risulta chiaro che l’atteggiamento dei genitori, della
famiglia e della società sul piccolo non vedente hanno un’influenza
determinante.
2
GALATI D., Vedere con la mente. Conoscenza, affettività, adattamento nei non vedenti. Franco Angeli,
Milano, 1996, p. 48.
3
4
ZABONATI A., La nascita psicologica, Il Nido, Roma, 2003, p. 74.
GALATI D., op cit., p. 49.
9
Il rifiuto della minorazione porta spesso il rifiuto del minorato come tale e
all’istituzione di un rapporto esacerbato e inconsueto col bambino.
È assolutamente necessario per un soddisfacente sviluppo psico-sociale del
soggetto che gli atteggiamenti poco fa accennati vengano il più possibile
ridimensionati o nel migliore dei modi evitati, perché se così non fosse egli col
crescere dell’età, proverà esattamente quel senso di “rigetto” e “rifiuto” che lo
porteranno ad emarginarsi dalla vita del gruppo ed a rinchiudersi sempre più in
se stesso5.
I genitori fin da subito, devono essere correttamente informati sui
condizionamenti della cecità (totale o parziale che sia) e guidati a fornire al loro
figlio una conoscenza aptica che a partire dal proprio corpo si estenda a tutto ciò
che lo circonda. Occorre parlare, giocare, prendere il piccolo per mano e
guidarlo nelle sue attività motorie con stimolazioni verbali, tattili e sonore,
evitando il più possibile sia l’iperprotezione, sia le stimolazioni eccessive che
possono generare una progressiva regressione dell’attività motoria e determinare
atteggiamenti stereotipati come girare su se stessi in uno spazio esiguo,
dondolarsi da seduti, muovere ritmicamente il capo e le braccia, produrre
verbalmente i suoni percepiti6.
5
6
GANDOLFI A., Il bambino non vedente e l’ambiente, “Bambini”, 1989, n. 4, p. 2.
IBiDEM.
10
1.3 Come prevenire la disfunzionalità della famiglia
La famiglia non solo da oggi, ma da sempre costituisce la prima e
fondamentale risorsa per il bambino in difficoltà, ma ha bisogno di essere
sostenuta ed appoggiata dall’esterno.
Per evitare il formarsi di atteggiamenti dannosi e negativi è indispensabile fin
da subito un servizio psico-socio-sanitario in grado di offrire tutte le
informazioni possibili per aiutare i genitori ad elaborare e superare
quell’atteggiamento interiore definito dagli psicologi “lutto,” dovuto alla
nascita di un figlio “diverso” da quello desiderato7. Questo servizio, erogato
attraverso incontri appunto proposti ai genitori da parte di medici, insegnanti,
educatori ed operatori, costituisce un’opportunità di approfondimento e
confronto con esperti e responsabili di settore ma soprattutto un’occasione di
scambio di esperienze e di sostegno vicendevole dal valore inestimabile.
Veder riconoscere il rispetto, la dignità ed il valore che sono dovuti a chi è
colpito da un handicap è il sogno di tutti coloro che vivono e lavorano a
contatto con persone disabili.
Questo sogno diventa particolarmente significativo per i genitori di un
bambino o di un ragazzo con un deficit e li spinge a farsi carico dei compiti di
educazione del figlio e di mediazione tra questi e il mondo esterno, ponendosi
come prima, naturale ed insostituibile risorsa per il figlio. Ma nessun genitore,
si trova preparato ad affrontare tali compiti, nessuna famiglia può esprimersi
7
www.nonvedenti.it
11
come risorsa se è oppressa da difficoltà troppo grandi, difficoltà che la fanno
sentire inadeguata, diversa e dimenticata8.
È per questo che ogni nucleo famigliare al cui interno è presente un figlio con
una o più minorazioni deve essere aiutato a comprendere con serenità la propria
situazione, a valorizzare le proprie ricchezze interne, a prendere coscienza delle
potenzialità e dei limiti del figlio, a conoscere a quali risorse esterne –
pubbliche o di natura associativa – è possibile fare ricorso, ad essere preparato
ad intrattenere rapporti e ad essere collaborativo con le varie istituzioni,
sapendo che i figli hanno dei diritti ma anche dei doveri9.
Operatori specializzati, appassionati e preparati mettono quotidianamente a
disposizione le loro competenze professionali e la loro esperienza per condurre
incontri atti a divenire brillanti strategie per l’autonomia personale ed
ambientale dei figli non vedenti o pluriminorati, in famiglia e nel mondo
esterno, contribuendo a fare di questi soggetti, nonostante i loro particolari e
più distesi tempi iniziali di crescita psicomotoria, i protagonisti della propria
crescita e formazione bisognosi, nel prosieguo del loro percorso di vita, studio e
lavoro, solo di interventi specifici essenzialmente legati alla mancanza della
vista.
La sfida educativa per i bambini non vedenti, privi di altre minorazioni
aggiuntive, non può che essere posta in una educazione opportuna che a partire
dalla famiglia consenta ad ogni singolo di partecipare attivamente alla propria
istruzione e formazione, in poche parole un educazione permanente, intesa
come formazione ed istruzione delle nuove generazioni a cui occorre fornire
l’individuazione di un senso dentro la trasmissione delle competenze, dei
saperi, delle abilità, dei sentimenti e delle emozioni10. Affinchè ciò si attivi è
indispensabile la fattiva collaborazione e coordinazione della prima e
insostituibile agenzia educativa, vale a dire la famiglia in concomitanza con
8
GARGIULO M. R., Lavorare con i genitori dei bambini handicappati,Zanichelli, Bologna, 1987, p. 67.
www.nonvedenti.it
10
GARGIULO M. R., op cit., p. 68.
9
12
tutte le istituzioni formali e informali al fine di assicurare una maggiore libertà
e autonomia dell’educando.
In conclusione la complessità della società attuale determina una nuova
dimensione e rilettura dei problemi educativi, ma grazie al moltiplicarsi delle
fonti di informazione, alla rapidità dei mutamenti economico-sociali e alle
trasformazioni veloci delle condizioni di vita, l’educazione verso tutte “quelle
persone speciali” si prepara a provvedere all’adattamento dell’individuo al
mondo che sarà, salvaguardandolo ma assicurandogli la convivenza, la
soddisfazione dei bisogni e la sopravvivenza del gruppo.
13
1.4 Restanti sensi
Il bambino privo della vista è primariamente un bambino a cui manca uno dei
tanti organi di conoscenza in dotazione fin dalla nascita, ma certamente non
l’unico a disposizione dell’essere umano.
È importante avvalorare il concetto che nel bambino non vedente, il cui
sistema nervoso sia sano, ha una potenzialità di sviluppo psichico, identica a
quella del bambino normovedente; infatti, se tale sviluppo subisce delle
distorsioni, esse dipendono dall’educazione impartitegli. Ad esempio è
convinzione diffusa credere che il non vedente mancando della vista, possegga
in modo potenziato gli altri sensi.
In realtà su questa credenza è giusto far luce e chiarire il fatto che la vista
come d’altronde l’udito, sono due sensi a distanza, mentre il tatto, il gusto e
l’olfatto richiedono un contatto diretto con lo stimolo.
Quindi risulta già più facile comprendere che il bambino privo della vista, si
approccerà alla conoscenza della realtà e alla relativa formazione di immagini
mentali grazie alla possibile azione combinata delle informazioni acustiche e
aptico-cinestiche, vale a dire quelle percezioni derivanti attraverso la funzione
esplorativa della mano e del corpo11.
Un ambiente allora può essere percepito spazialmente e misurato a spanne, a
bracciate, a passi e così via; ancora, la statura eretta del corpo fornisce l’idea di
verticale e l’apertura delle braccia a croce quella di orizzontale. I due parametri
11
GANDOLFI A., op cit.,, p. 3.
14
appena citati, di semplice comprensione e assimilazione sono indispensabili per
la collocazione spaziale degli oggetti12.
12
IBIDEM.
15
1.4.1 L’educazione senso percettiva
La mia analisi dei restanti sensi nei bimbi affetti da cecità, partirà dal tatto.
Quest’ultimo è distribuito su tutto il corpo, ma il suo organo più tipico è la
mano e la sua funzione è universale. Per mezzo di essa, l’uomo percepisce,
riconosce, modella e lavora, adattando l’ambiente naturale alla proprie esigenze.
Pertanto i passaggi tattili che ci provengono dalle diverse parti del corpo,
hanno soltanto la funzione di avvertirci della presenza di un oggetto estraneo,
mentre, quelli che vengono dalle mani hanno funzione percettiva e cognitiva13.
I corpuscoli di Meissner, che sono i recettori tattili, sono presenti in numero
maggiore nella mano che in altre parti del corpo – anche se una certa frequenza
è ancora più rilevante sulle labbra – ma abitualmente non si tocca con l’intera
mano, perché di preferenza, vengono usate le prime tre dita delle due mani,
pollice, indice e medio14.
Per essere ancora più chiara, il concetto poco fa esaminato ha una
giustificazione e spiegazione anatomica; infatti, sulla falange dell’indice vi sono
mediamente 198 corpuscoli, sulla falange del pollice 40, sulla falange del medio
15, mentre su una superficie equivalente del palmo della mano ve ne sono
appena 815.
Conseguentemente il tatto è un senso a contatto, con un campo percettivo
ridottissimo e manca, in pratica di campo periferico. Questo elemento è di
estrema importanza dal momento che il non vedente assoluto con il tatto non
può percepire oggetti situati al di fuori della portata delle braccia. Sul piano
delle esperienza ne consegue che, nel momento in cui il normovedente è a
contatto fin dai primi mesi dalla varietà di oggetti che si offrono spontaneamente
al suo sguardo è anche coinvolto in quel processo di stimolazione in maniera del
13
STELLA G., Sviluppo cognitivo,Bruno Mondadori, Udine, 2000, p. 32.
GANDOLFI A., op cit., p. 4.
15
IBIDEM.
14
16
tutto naturale, mentre il bambino non vedente può entrare in rapporto con gli
oggetti dell’ambiente per caso, oppure per iniziativa di chi gli sta accanto16.
Il bambino cieco va educato a non rimanere passivo con la propria mano, ma a
fare tutti quei movimenti necessari a conoscere ciò che gli viene presentato,
sfiorando l’oggetto leggermente con le dita. La manipolazione attenta e curata,
in sinergia con gli altri sensi, gli permette di individuare particolari diversi, di
costruirsi l’immagine precisa dell’oggetto su cui poi strutturare i concetti per
ragionare e conoscere17.
La mano, ha il pregio per la sua estrema mobilità , di poter aderire ad oggetti
di qualsiasi forma ed esplorare, ed è attraverso questa che nel bambino non
vedente si forma il concetto di tridimensionalità. Infatti, prendendo un oggetto in
mano, con l’opposizione del pollice si riescono a cogliere le dimensioni spaziali
e a percepirlo nella sua concreta plasticità18.
La percezione tridimensionale è altresì possibile anche attraverso l’uso di tutto
il corpo; abbracciando un tronco d’albero, ad esempio, chiunque può avere la
percezione diretta del suo volume.
La percezione aptico-cinestica quindi ci fornisce a pieno titolo i concetti di
spazialità, di lunghezza e di volume, concetti che, ad un esame superficiale
sembrano prerogativa della funzione visiva, mentre sono proprio quelle semplici
azioni che con un po’ di volontà e pazienza sono alla portata di tutti. Basti
pensare che le sensazioni termiche e bariche sono appunto dovute al tatto19.
Dunque, il tatto come gli altri sensi va educato attraverso lo svolgimento di
attività quotidiane relative all’autonomia della persona – come abbottonare,
allacciare, fare nodi, calzare scarpe ecc.. – di vita domestica – sbucciare legumi,
schiacciare le noci, rifare letti, asciugare stoviglie – e didattiche specifiche quali
attività di discriminazione, classificazione e seriazione. Queste attività vanno
16
SELLAROLI V., Il primo anno del bambino cieco,Armando, Roma, 1982, p. 53.
GANDOLFI A., op cit., p. 4.
18
IBIDEM.
19
BRAMBRING M., Lo sviluppo dei bambini non vedenti. Osservazione ed intervento precoce, Franco Angeli,
Milano, 2004, p. 23.
17
17
realizzate a sezioni aperte ove si dà ampio spazio all’educazione sensopercettiva e psicomotoria e non si privilegia solo il canale riguardante il
linguaggio verbale.
L’udito è per il bambino cieco il più potente senso a distanza, poiché è capace
di fornirgli informazioni sulla direzione di una fonte sonora. Attraverso l’udito il
non vedente riesce ad orientarsi dapprima nella propria abitazione, dopo nel
contesto scuola e poi una volta diventato adulto, ad esempio per strada e capire
anche quando attraversare20.
La risonanza di un luogo al passo e alla voce, fornisce al bambino cieco
informazioni sulle sue dimensioni, sulla forma e sulle persone che vi sono o
ancora, il timbro di voce gli permette di riconoscere il suo interlocutore e di
dirigersi senza esitazioni verso di lui.
Tale senso va educato fin da subito con una serie di attività ludiche finalizzate
e specifiche ed a questo proposito gli esercizi da proporre sono molteplici –
esercizi-giochi mirati ad individuare la direzione di un suono o rumore e
successivamente effettuare una classificazione degli stessi in base alla durata,
distinguere le varie intensità dei suoni attraverso il canto e poi con strumenti
ecc.. – ciò che si ottiene nel contempo e anche un arricchimento del proprio
vocabolario21.
Per quanto concerne l’olfatto, questo contribuisce a fornire utili percezioni
sull’ambiente circostante e aiuta il bambino cieco a riconoscere la realtà che lo
circonda abituandolo a distinguere gli odori o profumi fin dalla più tenera età in
modo da collocarli nei luoghi e nelle occasioni specifiche. Le attività gustative –
anch’esse semplici da realizzare – avviate sin dalla primissima infanzia, devono
trovare collocazione in tutti quei contesti presenti nel quotidiano come la casa e
la scuola, così da consentire al bambino cieco di discriminare i vari cibi e
20
21
GALATI D., op. cit., p. 51.
IBIDEM.
18
bevande al fine di permettergli di scoprire nuove qualità, arricchire la sensibilità,
l’intelligenza e il linguaggio22.
La natura in assenza della vista, non opera alcuna compensazione come
erroneamente si pensa, e quindi, come detto, il soggetto disabile visivo necessita
di un’educazione finalizzata allo sviluppo e potenziamento dei senso vicarianti
per consentirgli di poter essere se stesso, ovvero soggetto attivo e protagonista
della propria vita23.
22
23
IBIDEM.
CEPPI E., I minorati della vista,Armando, Roma, 1969, p. 11.
19
1.5 Diade madre-bambino
È inevitabile ribadire il concetto che la nascita e la scoperta di un figlio affetto
da minorazione visiva, viene vissuto dai genitori con un atteggiamento di
smarrimento e di dramma24.
È opportuno precisare che la suddetta disabilità, influisce ovviamente anche
sull’interazione madre-bambino e in particolare sulla spontaneità e sulla
immediatezza della stessa.
Il rapporto tra la madre e il bambino non vedente risente degli stati psicologici
che caratterizzano le reazioni della mamma all’handicap visivo.
La consapevolezza della situazione del proprio figlio, può originare nei
confronti della madre uno stato di shock ed inadeguatezza e talvolta sfociare in
uno stato depressivo. Tali vissuti possono generare un allontanamento affettivo
dal bambino, ovvero una precisa ambivalenza25.
Dal canto suo il bambino non vedente mostra già nei primi due giorni di vita
una certa apatia motoria, una forma generale di passività che determina nei
genitori, ed in particolare nella mamma, una forte tendenza a ritirarsi ed a
indurre al minimo il contatto con il proprio bambino26.
Spesso quell’atteggiamento che la mamma interpreta come passività o
mancanza di rispondenza non è altro che una forma di attenzione uditiva per cui
il cieco, utilizzando il senso dell’udito molto più efficacemente del bambino
vedente, nel momento in cui ascolta i vari suoni e rumori, si ritrae dalla
24
GARGIULO M. R., op cit., p. 66.
CHIARELLI R., Il bambino disabile visivo con minorazioni aggiuntive e il suo contesto familiare, “Tiflologia
per l’integrazione”, 2002, n. 4, p. 12.
26
SELLAROLI V., op cit., p. 21.
25
20
situazione inibendo spesso anche il movimento27. Il vero cuore del problema,
risiede nel fatto che la mamma non è sempre in grado di capire questa condotta
ed accade che la figura materna non preparata a questi atteggiamenti, finisce per
scambiare il comportamento del bambino, come palese rifiuto della persona.
Di conseguenza, le capacità di dialogo emozionale tra il bambino non vedente
e la sua figura di accudimento risultano piuttosto compromesse, poiché fin
dall’inizio si presenta una progressiva diminuzione di reciprocità mimica,
dovuta alla graduale perdita della competenza espressiva innata e alla difficoltà
di interiorizzare un’adeguata prossemica da parte di chi nasce con grave
disabilità visiva28.
Sotto il profilo evolutivo la vista è la primaria modalità sensoriale per la
conoscenza del mondo e per l’interazione con gli altri. Il contatto visivo con la
madre rappresenta una delle prime modalità di scambio affettivo con lei e
costituisce la base per lo sviluppo di altre funzioni importanti29. Le mamme di
bambini non vedenti, in genere, hanno difficoltà ad interpretare i segnali non
verbali dei loro bambini con implicazioni negative sulla continuazione
dell’interazione.
Il contatto visivo, come già accennato, è uno dei fattori più importanti nella
formazione madre-bambino e la risposta del sorriso all’apparire del volto
materno, è uno dei segnali che gratificano maggiormente la madre e alimentano
il suo attaccamento al figlio.
Nel processo di consolidamento dei legami affettivi, il bambino non vedente,
analogamente ai fanciulli normodotati, già a quattro settimane di vita, mostra un
sorriso selettivo in risposta alla voce della madre, ma questo sorriso non è
utilizzato per iniziare un contatto sociale, ma solo come risposta30.
Durante il primo anno di vita, il bambino non vedente risponde in maniera
sempre più selettiva e differenziata alla voce della madre, del padre e delle
27
FERRETTI F., L’elaborazione del significato quando manca la vista, Il Manifesto, Roma, 2004, p. 17.
IBIDEM
29
MONTI CIVELLI E., La socializzazione del bambino non vedente, Franco Angeli, Milano, 1983, p. 26.
30
GARGIULO M. R., op cit., p. 34.
28
21
persone più importanti e dopo i sette-otto mesi, egli denuncia una chiara
preferenza per la madre, tanto che, se posto in braccio ad un estraneo, tenta con
forza di allontanarsi, protesta, si irrigidisce mettendosi addirittura a piangere31.
Già da questa fase, gli stadi di attaccamento nel bambino non vedente non
sono completamente sovrapponibili a quelli del coetaneo vedente, dal momento
che si verifica in molti casi, un ritardo di alcuni mesi in alcune tappe
fondamentali, quali ad esempio la capacità di discriminare le figure familiari da
quelle estranee.
Nel secondo anno di vita, il bambino vedente, mostra già qualche segno di
indipendenza dalla madre e pur avendo sviluppato un forte legame con lei,
riesce a sopportare brevi separazioni. Nel bambino non vedente, invece sono
stati notati episodi di disperato attaccamento alla madre e di estrema angoscia
durante i periodi di separazione32.
I comportamenti poco fa descritti col passare del tempo si insediano
nell’animo del bambino affetto da cecità e in parte anche nei suoi genitori, in
tale maniera si entra in un circolo di dipendenza e nocività che non lascia spazio
alla vita e ad un adeguato sviluppo dell’io. A questo proposito, preziosi
contributi per evadere da quelle condotte deleterie e controproducenti ci
vengono donate da Bowlbly e Mahler.
31
32
SELLAROLI V., op cit., p. 24.
GARGIULO M. R., op cit., p. 35.
22
1.6 Bowlby e Mahler
Bowlby e Mahler entrambi psicoanalisti, si sono interessati degli aspetti che
caratterizzano il legame madre-bambino, ognuno di loro però ha fornito una
teoria personale e ha approfondito diversi contenuti.
Facendo riferimento a Bowlby, quest’ultimo ha elaborato un paradigma
teorico dell’attaccamento dove appunto, si prende in considerazione il legame
del bambino con la madre come punto focale e determinante per lo sviluppo
successivo del bambino.
Tale teoria sostiene che la sopravvivenza dell’essere umano è strettamente
connessa alla possibilità di mantenere la prossimità, la disponibilità della figura
di attaccamento, alla quale potersi rivolgere per chiedere protezione e sostegno
in situazioni vissute come pericolose33.
Bowlby considera il legame che unisce la madre e il bambino come una
necessità primaria e quindi innata, che si sviluppa indipendentemente dalla
soddisfazione dei bisogni fisiologici di base. Tale legame ha origine da
comportamenti quali il succhiare, l’aggrapparsi, il seguire, il piangere; tali
segnali sociali,che inizialmente sono diretti ad una persona specifica, richiamano
l’attenzione della madre o delle figure che si prendono cura del bambino34.
Ma accade che dalla seconda metà del primo anno di vita, il comportamento
del bambino diviene maggiormente attivo, soprattutto nei comportamenti di
avvicinamento e allora, la figura materna viene progressivamente discriminata
dalle altre35.
Inoltre nella teoria dell’attaccamento, viene ribadita l’importanza delle
esperienze infantili e delle prime relazioni, che tendono a persistere anche nelle
fasi successive della vita attraverso processi consci ed inconsci.
33
BOWLBLY J., Una base sicura,Raffaello Cortina editore, Milano, 1989, p. 19.
IBIDEM.
35
SELLAROLI V., op cit., p. 27.
34
23
Ipotesi dello psicoanalista, è che lo stile di attaccamento infantile sia
dipendente dalla qualità delle cure materne ricevute ed inoltre che lo stile dei
primi rapporti di attaccamento influenzi notevolmente l’organizzazione precoce
della personalità e il concetto che il bambino svilupperà di sé e degli altri36.
Risulta naturale che lo stabilirsi di relazioni oggettuali nell’infanzia è dunque
altamente agevolato dall’esperienza visiva e che tutto il resto si sviluppi in
maniera del tutto naturale; ma non è così per tutti i bambini e per tutte le figure
materne, infatti nei casi di bambini non vedenti questo processo ha dei
rallentamenti da entrambe le parti e coinvolge diversi ambiti, procurando dei
ritardi37.
Il processo di differenziazione-individuazione della Mahler, a questo punto del
discorso si sposa con quanto è stato detto fin ad ora.
Il suddetto processo, nell’ambito in questione, presenta un certo ritardo. Il
paradigma di differenziazione-individuazione, avviene attraverso l’instaurarsi
del senso di differenziazione a partire dal proprio corpo e anche in questo caso
dall’oggetto d’amore primario.
Questo processo, che dura tutto l’arco dell’esistenza, è sempre attivo e si
arricchisce in ogni fase evolutiva. Le principali conquiste si concentrano nel
periodo dal 4/5 mese al 30/36, cosiddetta fase di differenziazioneindividuazione38.
Differenziazione ed individuazione sono due aspetti complementari di un
unico avvenimento progressivo. La differenziazione è l’emancipazione del
bimbo dalla fusione simbiotica con la madre, differenziandosi, allontanandosi e
svincolandosi, mentre l’individuazione esprime la denotazione soggettiva
attraverso le manifestazioni psicologiche come affettività, emotività,
36
BOWLBLY J., Attaccamento e perdita, Boringhieri, Torino, 1989, p. 49.
IBIDEM.
38
MAHLER M.S.-PINE F.-BERGMAN A., La nascita psicologica del bambino,Boringhieri, Torino, 1975, p.
44.
37
24
relazionalità, cognitività, percezione, memoria, pensiero ed esame della realtà
delle caratteristiche soggettive39.
Nel caso della cecità infantile, questo processo è ritardato, poiché è
strettamente dipendente dalla possibilità di esplorare il mondo e dalla
locomozione, le quali si sviluppano con tempi molto più dilatati rispetto ai
bambini normodotati.
La capacità di distacco momentaneo dalla madre e dalle figure familiari,
importante per il raggiungimento di una autonomia psicologica, è possibile ad
alcune condizioni. La prima è quella di un legame soddisfacente con i propri
genitori nel primo periodo di vita, a seguire una certa consapevolezza della
propria ed altrui identità che comporta una certa tolleranza per la momentanea
assenza delle figure familiari basata sulla fiducia della continuità del rapporto40.
Mentre un bambino vedente che al secondo anno di vita mostra già qualche
segno di indipendenza dalla madre e, pur avendo sviluppato un forte legame con
lei, riesce a sopportare brevi separazioni, nel bambino non vedente, si notano
episodi di disperato attaccamento alla figura materna e di estrema angoscia
durante i periodi di separazione.
Nella relazione con “oggetti umani”, la cecità non è di ostacolo allo stabilirsi
di intensi legami affettivi nel primo anno di vita, ma la stabilità di questi legami,
può essere messa in pericolo da un prolungamento della dipendenza infantile.
Per il bambino cieco, per il quale nessun’altra modalità sensoriale è in grado di
sostituire la vista come recettore della distanza e organizzatore degli insieme
percettivi, sembra che sia l’oggetto umano a fornire la massima esperienza della
costruzione del concetto di oggetto, ma talvolta a causa di incomprensioni
comunicative, mortificazioni e depressione gli “oggetti umani” come ad esempio
la mamma, sfociano troppo spesso in una funzione di “io ausiliario” ,
39
40
IDEM, p. 46.
IBIDEM.
25
restringendo il cerchio dell’esperienza reale intorno al bambino, limitando il suo
interesse per il mondo circostante e la chiusura verso se stesso41.
In conclusione, la figura materna che si trova a contatto con un figlio non
vedente, deve essere “educata e riabilitata”, ed accompagnata anche da un
intervento psicoterapeutico allo scopo di promuovere e di sostenere una
riattivazione della sua funzione. La madre è in grado di assicurare una presenza
costante ed attiva ed allo stesso tempo è in grado di guidare il proprio bambino
alla ricerca del reale, senza organizzare nei suoi confronti un eccessivo
attaccamento42.
41
42
BOWLBLY J., Una base sicura, op cit.,np.23.
IBIDEM.
26
CAPITOLO SECONDO
NUOVE FRONTIERE EDUCATIVE:
MUSICOTERAPIA IN PRIMA LINEA
2.1 Definire la musicoterapia
Il termine musicoterapia deriva dalla fusione di due concetti, vale a dire
“musikè” e “therapeia”, dove per “musikè” s’intende la rappresentazione
dell’uomo in parola, suono e movimento, ovvero di tutte quelle arti presiedute
dalle muse che comprendono la poesia, la letteratura, il teatro, il canto e la danza
e per “therapeia”, quell’aiuto che si identifica nella cura e nella guarigione non
solo in senso strettamente patologico ma anche educativo43.
In parole semplici con la musicoterapia, ovvero con la terapia che si serve
della musica si va incontro a quei soggetti affetti da deficit, handicap o da coloro
che per uno specifico motivo risultino svantaggiati rispetto ai normali standard,
per ridurre l’asimmetria tra chi soffre di una menomazione e di tutte quelle
persone – in questo caso il musicoterapeuta, il co-terapeuta, l’educatore
musicale – che godono della integralità delle proprie funzioni che non si
identificano tuttavia con la riduzione dell’asimmetria, cioè con l’educazione44.
43
44
AA. VV., Enciclopedia della musica, Einaudi, Torino, 2004, p. 324.
www.confiam.it
27
Assunto fondamentale è che questa terapia musicale è tanto più vicino
all’educazione quanto più è attiva.
La musicoterapia, allora, è forse la più vicina di tutte, fra tutte le terapie
all’educazione, in quanto non agisce su un soggetto passivo, ma obbliga a fa-re.
È facile allora trovare quella chiave, che racchiude il motivo centrale del mio
interesse, verso questa splendida disciplina che si serve della musica come
mediatrice eccellente in cui esperienza diretta, analogie, simbolismo, consentono
al soggetto di rappresentarsi la realtà in modo soggettivo e insieme
interpersonale anzi, universale.
28
2.2 Storia della musicoterapia
La musicoterapia trova le sue radici nella notte dei tempi, i suoi principi
risalgono agli albori della storia dell’uomo.
L’essere umano ha da sempre creduto che il suono fosse una forza cosmica
presente nel mondo, ed occorre sottolineare il potere onnipotente, magico,
suggestivo della musica, che permane in ciascun uomo, come residuo del nostro
essere primitivo.
Infatti, ogni popolo ha organizzato, in ogni tempo ed in ogni angolo del
pianeta terra, manifestazioni musicali che confermano il potere del suono, e
quindi della musica sull’essere umano45.
Presso gli uomini primitivi vi era la credenza che ogni essere possedesse un
proprio suono o un proprio canto segreto che lo rendeva vulnerabile alla magia.
In tutte le culture dell’antichità, musica e medicina erano praticamente una
sola cosa. Il sacerdote medico, vale a dire lo sciamano, sapeva che il mondo è
costituito secondo principi musicali, che la vita del cosmo, ma anche quella
dell’uomo è dominata dal ritmo e dall’armonia46.
I greci utilizzarono la musica in primis come principio educativo nei confronti
dei fanciulli e nel contempo svilupparono sensibilmente la sua applicazione
nella prevenzione e nella cura di malattie fisiche e mentali47.
Anche Platone ed Aristotele furono, oltre che pensatori e filosofi pure dei
musicologi e musicisti convinti che le arti del ritmo contribuissero a migliorare
la calma interiore, la serenità e la morale. Il pensiero platonico poggiava su
cinque costanti riguardanti le sfere dell’educazione, della filosofia, del mondo,
dell’irrazionale e della vita, tutte intersecate e connesse con la musica. Aristotele
45
AA. VV., op cit., p. 326.
IBIDEM.
47
IBIDEM.
46
29
parlava dell’autentico valore medico della musica nelle emozioni incontrollate e
le attribuiva un effetto benefico a livello della catarsi. Persino Pitagora, vantava
la musica per le sue capacità di adattamento alla personalità di ogni individuo, o
ancora di cambiamento, in grado di apportare modifiche sugli stati d’animo delle
creature viventi e di purificazione48.
Nella cultura cinese appare intorno al terzo millennio a.C. il primo libro di
medicina, che è contemporaneamente un libro di musica, dove viene indicata la
struttura della prima scala pentatonica.
Nel nostro medioevo i depositari sia della scienza medica, sia della musica,
sono i monaci, infatti risulta significativo l’esempio di Nokter Balbulus, monaco
terapeuta e musicologo nella abbazia di San Gallo in Svizzera.
Ancora, l’uso del flauto come mezzo terapeutico nella stessa epoca era già
conosciuto dagli arabi che lo usavano per curare i disturbi mentali.
Durante l’epoca Rinascimentale in Europa prende vigore l’influsso laico nelle
scuole di Salerno e Montpellier. Il medico Arnaldo de Villanova crea la nozione
di simpatia universale, stabilendo i rapporti di vibrazione che si creano tra i
corpi sonori, tra i quali quello umano. Nella stessa epoca molti medici sono
convinti che imparando a suonare qualche strumento musicale, la loro capacità
di ottenere guarigione si affini e si sviluppi49.
Il primo trattato di musicoterapia risale alla prima metà del 1700 a cura di un
medico musicista londinese, Richard Brockiesby; il suo volume fece il giro
d’Europa sollevando interesse ma anche scetticismo. S.Porgeter fu uno dei primi
medici a capire la necessità di una conoscenza molto approfondita della scienza
musicale per applicarla con successo nella cura di certi disturbi mentali50.
Nei secoli successivi le osservazioni intorno ai poteri dei suoni e della musica
sulla mente e anche sul corpo umano si moltiplicarono.
48
IBIDEM.
IDEM p.327.
50
IBIDEM.
49
30
Si iniziarono a scoprire relazioni tra ritmi corporei e ritmi musicali, fra
pulsazioni e battute musicali, tra ritmo del respiro e ritmo musicale, è sempre nel
medesimo periodo, il medico Louis Roger esaminò in modo critico gli effetti
della musica sul corpo.
I primi passi che si possono inserire in quel frangente storico denominato
inizio dell’era moderna , che presero avvio verso la fine del 1800 furono fatti da
Karl Strumpf che studiò la nozione di psicologia del suono e mise l’accento
sull’impatto sonoro vissuto da chi ascolta la musica e da Hector Chomet che
pubblicò nel 1875 l’opera dal titolo “Effets et influence de la musique sur la
santé et sur la mélodie”, in cui riportava una ricca casistica di terapie musicali51.
I suddetti studi, costituiscono la base degli studi della musicoterapia moderna
che si differenzia da quella antica perché non si basa più su nozioni empiriche o
rituali, ma su studi scientificamente testabili, tratti da ricerche sistematiche che
si ebbero solo dopo il 1945, fondate su esperienze cliniche, biologiche
inscindibili dal piano educativo.
Infatti dopo il 1945, le ricerche non solo diventarono sistematiche in varie
zone del globo, ma si giunse alla creazione di cattedre universitarie dedicate
esclusivamente alla musicoterapia e nel 1983 si deve riconoscere il valore dello
studio di Rolando Omar Benezon, docente argentino di musicoterapia, che rileva
non solo l’aspetto terapeutico ma anche quello legato alla ricerca scientifica52.
Concludo il mio excursus storico, avvalorando il principio che la
musicoterapia, odiernamente si presenta come una disciplina fondata su basi
nuovamente scientifiche ormai approvate e verificate. Quest’ultima agisce sul
sistema neurovegetativo, cioè su quel sistema che regola le funzioni del nostro
organismo come la traspirazione, la pressione sanguigna e il ritmo cardiaco.
La musica sotto questo punto di vista non risponde solo ad un bisogno innato
nei confronti dell’essere umano, ma grazie all’accuratezza delle più recenti
tecniche d’indagine, le neuroscienze hanno indagato il complesso rapporto tra
51
52
IBIDEM.
BENENZON O.R., Manuale di Musicoterapia, Borla Editore, Roma, 1983, p. 12
31
musica, cervello e mente evidenziando come l’esperienza musicoterapica porti a
modifiche strutturali e funzionali del sistema nervoso53.
Infatti oggi sappiamo che la musica coinvolge non solo la percezione ma
anche le funzioni cognitive, la memoria e l’attenzione oltre che la sfera delle
emozioni. È anche grazie a queste scoperte scientifiche che la musica ha assunto
valore terapeutico entrando a far parte di protocolli riabilitativi rivolti a bambini
o adulti con disabilità di diversa natura.
53
www.musicoterapia.it
32
2.3 La musicoterapia nel mondo
A livello mondiale esistono varie definizioni di musicoterapia a testimonianza
della diffusione e dell’utilizzo di questa nuova disciplina relativamente giovane.
Secondo la Federazione Mondiale di Musicoterapia – World Federation of
Music Therapy – datata 1996 “la Musicoterapia è l’uso della musica e/o degli
elementi musicali – suono, ritmo, melodia e armonia – da parte di un
musicoterapeuta qualificato, con un cliente o un gruppo, in un processo atto a
facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la
motricità, l’espressione, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al
fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive.
La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue
dell’individuo in modo tale che il paziente o la paziente possano meglio
realizzare l’integrazione intra e interpersonale e con consequenzialmente
possano migliorare la qualità della loro vita grazie ad un processo preventivo,
riabilitativo o terapeutico54”.
Mentre per l’Associazione Professionale dei Musicoterapeuti della Gran
Bretagna “la musicoterapia è una forma di trattamento in cui s’instaura un
mutuo rapporto fra paziente e terapeuta, che permetta il prodursi di
cambiamenti nella condizione del paziente e l’attuazione della terapia. Il
terapeuta lavora con una varietà di pazienti, sia bambini che adulti, che
possono avere handicap emotivi, fisici, mentali o psicologici. Attraverso l’uso
della musica in maniera creativa in ambito clinico, il terapeuta cerca di
stabilire un’interazione, un’esperienza ed un’attività musicale condivise che
54
www.psycotherapie.org
33
portano al perseguimento degli scopi terapeutici determinati dalla patologia del
paziente55”.
Infine ho recuperato la bellissima definizione da parte dell’Associazione
Canadese di Musicoterapia. Quest’ultima recita che la musicoterapia è “l’uso
della musica per favorire l’integrazione fisica, psicologica ed emotiva
dell’individuo e l’uso della musica nella cura di malattie e disabilità. Può essere
applicata a tutte le fasce d’età, in una varietà di ambiti di cura. La musica ha
una qualità non-verbale, ma offre un’ampia possibilità di espressione verbale e
vocale. Come membro di un’équipe terapeutica, il musicoterapeuta
professionista partecipa all’accertamento dei bisogni del cliente, alla
formulazione di un approccio e di un programma individuale per il cliente e poi
offe specifiche attività musicali per raggiungere gli scopi. Valutazioni regolari
accertano ed assicurano l’efficacia del programma. La natura della
musicoterapia amplifica l’approccio creativo nel lavoro con gli individui
handicappati. La musicoterapia fornisce un approccio umanistico possibile che
riconosce e sviluppa le risorse interne del cliente spesso non sfruttate. I
musicoterapeuti desiderano aiutare l’individuo per spingerlo verso un migliore
concetto di sé, e, nel senso più ampio, per far conoscere ad ogni essere umano
le proprie maggiori potenzialità”. 56
Appare chiaro che le tre definizioni non sono identiche nei loro contenuti, ma
che tutte si ritrovano in quel principio, secondo il quale la musicoterapia può
realmente offrire un processo di apertura, poiché mette il mondo esterno in
comunicazione con chi usufruisce della seduta, permettendo al soggetto di
esprimere e percepire le proprie emozioni, di comunicare e mostrare i propri
stati d’animo e i propri sentimenti grazie a quel particolare linguaggio della
musica, bensì non-verbale e di acquisire una maggiore consapevolezza di sé e
quindi a migliorare il rapportarsi e il suo comunicare con gli altri.
55
56
www.roehampton.ac.uk
www.musictherapy.ca
34
2.4 Ambiti di applicazione
I principi su cui si basa la musicoterapia riguardano essenzialmente, ma non
esclusivamente il paziente e il musicoterapeuta. Infatti, affinchè tale terapia
abbia i suoi effetti è necessario che il paziente sia in una posizione attiva durante
la pratica terapeutica. Perché ciò possa avvenire è fondamentale di base la
fiducia che si deve venire ad instaurare nel rapporto paziente-musicoterapeuta
che porta all’accettazione incondizionata che il terapeuta deve essere in grado di
offrire ed infine è importante l’interazione che si traduce nello scambio
reciproco di iniziativa tra la diade presa in esame. Si tratta di instaurare un
approccio alla persona che i musicoterapeuti seguono attraverso varie modalità
che dipendono dall’obiettivo che vogliono perseguire con un determinato
paziente o con il gruppo. Da ciò si hanno le varie applicazioni dei metodi
studiati dalla musicoterapia.
In altre parole, il metodo prescelto può essere applicato in diverse maniere a
secondo del paziente/utente a cui il musicoterapeuta si approccia. All’inizio
queste diversità erano suddivise in base a due condizioni, in quanto si parlava di
musicoterapia attiva se la terapia consisteva nell’esecuzione e nella produzione
musicale, mentre si chiamava musicoterapia passiva se consisteva solo
nell’ascolto musicale guidato57. Progressivamente, invece, si sono venute a
costituire delle vere e proprie scuole differenti l’una dall’altra a seconda
dell’intento che l’azione della musicoterapia si presuppone di trattare.
Tale presupposto può essere di tre tipi, ovvero classificato in un genere
psicoanalitico, psicosomatico e somatico, e per ognuno di questi ambiti di
applicazione vi sono poi vari fondatori, che hanno sviluppato vari approcci alla
persona.
57
BENENZON O.R., op cit., p. 8.
35
Per l’approccio psicoanalitico la musicoterapia intende sviluppare l’aspetto
della socialità della persona, ed in questo caso i trattamenti vengono effettuati su
singoli utenti o un gruppo di utenti. I pionieri che si sono misurati in questo
particolare ambito sono stati Clifford Madsen, Helen Bonny, Rolando Benezon,
Mary Priestley, Paul Nordoff e Clive Robbins.
Di tutte queste personalità citate, recupero il pensiero, secondo il mio parere
più significativo di Paul Nordoff e Clive Robbins; l’uno musicista e
compositore, l’altro educatore specializzato. Insieme hanno elaborato un
particolare metodo rivolto ai bambini portatori di handicap cerebrali, dei
bambini che soffrono di disturbi emotivi o di disadattamenti fisici. Questo
metodo altro non è che lo studio del linguaggio emotivo della musica, in grado
di procurare forme di sicurezza e di espressione della voce e del corpo58.
Un altro tipo di approccio musicoterapico è mirato a studiare e prendersi cura
dell’aspetto somatico, cioè di ciò che riguarda le manifestazioni esterne del
malessere che si vive. Questo tipo riguarda la terapia del singolo paziente e non
di gruppi pazienti perché ogni singolo individuo ha le proprie reazioni e
manifestazioni somatiche diverse da tutti gli altri. Lo studioso che se n’è
occupato è stato un otorinolaringoiatra francese di nome Alfred Tomatis, che ha
elaborato un metodo partendo dalle basi neurofisiologiche dell’ascolto,
affermando che “La voce contiene solamente i suoni che l’orecchio può
percepire59”. Il principio secondo il quale la funzione essenziale dell’orecchio è
l’ascolto e non l’udito ha condotto Tomatis a trovare che il processo attivo è
quello dell’ascolto, mentre il processo passivo dell’orecchio è quello dell’udito e
quindi la musicoterapia deve andare a curare eventuali disturbi che esistono nei
processi neurofisiologici dell’ascolto, anziché dell’udito. La sua terapia è
chiamata “terapia dell’ascolto” con l’ausilio di un apparecchio elettronico, da
lui denominato “orecchio elettronico”. Il metodo di Tomatis ha avuto
58
59
AA. VV., op cit., p. 330.
IBIDEM.
36
approvazioni e riscontri scientifici poiché ha curato decine di migliaia di adulti e
bambini con problemi di dislessia, iperattività, autismo, apprendimento e
attenzione e tutti coloro che soffrivano di difficoltà psicomotorie e sensoriali, o
semplicemente ha aiutato musicisti e cantanti a migliorare il loro talento.
D’altro canto, ci sono le scuole di impianto psicosomatico rivolte ai disabili
mentali e ai singoli o ai gruppi di pazienti di ogni genere d’età. Tale scuola ha
studiato e analizzato diversi metodi volti allo sviluppo e/o mantenimento delle
capacità cognitive ed espressive, delle capacità di apprendimento e di
orientamento e, infine di coordinamento motorio. Gertrud Orff e Giordano
Bianchi hanno scelto di approfondire per l’appunto l’orientamento ti tipo
psicosomatico. Il metodo della Orff è basato sull’educazione musicale
nell’infanzia come attiva stimolazione per lo sviluppo del bambino normodotato,
ma trova anche applicazione nei confronti dei bambini gravemente handicappati,
come terapia multisensoriale che, sapientemente coordinata con le terapie
mediche che il bambino deve seguire, può insieme offrire un enorme
potenziamento di queste60.
Giordano Bianchi è stato il fondatore di un sistema pedagogico-musicale
rivolto ai bambini normodotati e svantaggiati; il suo metodo si basa sullo
sviluppo di due aspetti , di cui uno formativo e l’altro preventivo rivolti
all’infanzia prescolare e scolare che si coniugano sapientemente con lo sviluppo
dell’integrazione partecipativa da parte dei soggetti handicappati e, l’altro
aspetto, volto alla ri-educazione dei soggetti svantaggiati attraverso il codice
sonoro-musicale che riattiva aree dello sviluppo mentale “disturbate61”. Questo
approccio è aperto all’uso anche di altre discipline, quali quella ludicoespressiva, verbale, psico-motoria e logico-matematica.
Di certo la lista di coloro che hanno contribuito ad avvalorare la musicoterapia
come disciplina e come arte che racchiude un’esperienza uditiva, emozionale e
motoria non si esaurisce qui, dato che il panorama musicoterapico è in continua
60
61
ORFF G., Un’attiva stimolazione allo sviluppo del bambino, Cittadella, Assisi, 1993, p. 27.
BIANCHI G.-CLERICI BAGOZZI A., Crescere con la musica,Franco Angeli, Milano, 1997, p. 33.
37
evoluzione, aggiornamento e adattamento, tuttavia va precisato che nell’ambito
della rieducazione sensoriale sicuramente esistono tecniche privilegiate ma non
esclusive, poiché nel caso del bambino non vedente si mira il più possibile
all’integrazione ed ottimizzazione di tutte le sue facoltà e abilità residue.
38
2.5 Musica per bambini e genitori
Il genitore presente durante una seduta di musicoterapia vive quello che
accade.
L’essere presente sperimentando dal vivo, conduce verso aperture della
visione del mondo.
I pregiudizi, i modi comuni di pensare e giudicare vengono messi in crisi dagli
eventi. Un evento è qualcosa che è accaduto e quindi diviene un dato che fa
parte della storia delle persone presenti al contrario di un dato reale che non può
essere messo in discussione.
Il breve preambolo appena presentato, ci è utile per enunciare che negli
incontri di musicoterapia un genitore si accorge che una lesione cerebrale, un
danno sensoriale o altro ancora, non impediscono che il proprio figlio, possa
progredire in modo del tutto imprevedibile, quindi si sfata quell’idea
precostituita del bambino immaginario ma ci si confronta con la scoperta del
bambino reale.
Durante una seduta di musicoterapia , far operare il bambino con la
compresenza dei genitori, vuol dire offrire la possibilità di affrontare insieme il
loro viaggio musicale, condividendo gioie ed esperienze, e finalità importante è
il rafforzamento positivo della relazione genitore-bambino62.
62
GAGGERO G., Esperienza musicale e musicoterapia, Mimesis, Milano, 2003, p. 45.
39
2.6 La musica ed il corpo
Il corpo umano è un sistema concepito per vibrare; infatti udiamo, captiamo,
inglobiamo non solamente attraverso le orecchie e il sistema neuro-cerebrale,
ma per mezzo di un insieme di recettori sparsi un po’ dovunque sul corpo. Non a
caso il corpo al suono, risponde con un altro suono.
Dall’altro lato il corpo stesso è uno strumento che emette vibrazioni e suoni
propri. Alcuni come i ritmi del respiro e del battito cardiaco sono udibili, e se
disponessimo di un apparato uditivo adatto, potremmo perfino “sentire” la
nostra armonia personale.
Il corpo nel momento in cui riceve musica, la trasforma interiormente in
emozione e risponde con vibrazioni proprie, e quindi con una musica propria. Il
corpo umano in queste occasioni si comporta come un diapason messo accanto
ad un altro diapason.
Il nostro organismo in stato di riposo vibra ad una frequenza intorno agli 8
cicli al secondo, che è anche la frequenza delle onde cerebrali “Alfa”, prodotte
dal cervello in stato di rilassamento, come non a caso la frequenza fondamentale
della vibrazione terrestre è la medesima63. Ciò semplicemente è un tentativo
perenne del corpo di aderire per mezzo del suono all’ordine e all’equilibrio
dell’ambiente in cui vive.
La musica è dotata di quel particolare mezzo atto a intrattenere i giusti rapporti
con la natura, per conservare la coesione di un gruppo umano, per mantenere
63
www.confiam.it
40
l’equilibrio psicofisico di ciascun membro della comunità e l’unione tra il corpo
e lo spirito.
Concretamente la musica in noi produce e favorisce l’apertura di canali che
consentono il flusso di reazioni affettive, con la possibilità di migliorare il
controllo tonico-emozionale, risveglia tutti i nostri centri energetici, riorganizza
i nostri desideri, stimola la produzione di peptidi, cioè di quelle macromolecole
che alleviano il dolore, agendo su specifici ricettori cerebrali64. Nella pratica, il
corpo dell’uomo messo in vibrazione con la musica, vibra a sua volta e quando
le onde vibratorie stanno per estinguersi, nascono nell’interno dell’uomo dei
suoni più sottili e leggeri, come una nebbia sonora che smuove gli stati più
profondi della coscienza.
Ognuno di noi dovrebbe saper ascoltare il ritmo al punto tale da identificarsi
con esso; infatti ascoltare significa prestare attenzione e l’uomo stesso è
l’oggetto del suo ascolto.
Tutti gli apprendimenti delle tecniche di ascolto musicale terapeutico, partono
dai concetti basilari appena descritti.
Dobbiamo lasciare che la sensazione di essere colui che ode si trasformi nella
sensazione dell’udire, dobbiamo trasformarci in suono e chi ascolta è nel tempo
stesso il suono ascoltato.
Quell’ascolto che si definisce terapeutico, contempla un’attività di attenzione
multipla che coinvolge il corpo e la psiche in vari modi, ovvero, dal cervello, al
sistema uditivo, al cuore, le cavità interiori, il sistema nervoso, la pelle, il
respiro, l’inconscio, l’eros ecc..
Ascoltare in modo terapeutico significa abbandonarsi al flusso della musica e
alle emozioni, utilizzando uno degli emisferi cerebrali, vale a dire quello destro,
ma significa anche essere razionalmente attenti con l’emisfero sinistro. Solo
attraverso questo connubio, un ascolto musicale è davvero completo e
64
www.musicoterapia.it
41
terapeutico, cioè quando entrambi gli emisferi lavorano in sincronia, che si
traduce nel senso che uno è il completamento dell’altro65.
Ma ancora, ascoltare in modo terapeutico significa anche saper individuare le
parti del corpo stesso maggiormente sensibilizzate alla musica. Il corpo, come
un diapason, risponde ad un suono con un altro suono formando così un doppio
suono, ovverosia quello della musica e quello della risposta vibratoria del corpo
stesso, la quale ricade nell’ascolto di sé che assume un’importanza
fondamentale66.
Un’applicazione operativa, di quanto è stato detto sino ad ora, è quella del
controllo e del rallentamento della respirazione e del battito cardiaco, di autorilassamento, di vocalizzazioni individuali e collettive, di concentrazione sul
silenzio, di stimolazione corporea attraverso movimenti improvvisati. In tutto
ciò, il sistema di comunicazione tradizionale – la parola – perderà la sua
importanza per aprire la porta ad altre forme di comunicazione, dove saranno
padroni il ritmo, il melodico, l’armonico ed il simbolico.
È essenziale comprendere la relazione tra pensiero, suono e coscienza.
Per concludere, il suono rappresenta il più importante sistema per comunicare
e liberare l’azione motoria ed è proprio nella musicoterapia che si può
trasmutare qualsiasi forma di energia interiore in pace e tranquillità.
65
66
DUCOURNEAU G., Elementi di musicoterapia,Cosmopolis, Torino, 2001, p. 78.
IBIDEM.
42
2.7 Percezione ed identificazione della materia
Altro concetto indispensabile per una cognizione veritiera della realtà che si
avvale del corpo, è quello che ci permette di distinguere e riconoscere la materia
di cui è costituito un qualsiasi oggetto, anche se in questa occasione gli oggetti
in questione saranno gli strumenti musicali.
A questo proposito, analizzerò attraverso alcuni esempi, le indicazioni che ci
vengono fornite dalla percezione aptica nel versante musicoterapeutico.
La grancassa e il rullante – i tamburi che compongono la batteria – sono
rivestiti all’esterno di solito di metallo, mentre all’interno da pelli battenti e
risonanti, vale a dire naturali o sintetiche. Il cilindro di metallo che avvolge i due
strumenti, verrà percepito come pesante, freddo – essendo il ferro conduttore di
calore, il caldo della mano si espande velocemente e si ha tale sensazione – e
quindi nella visione d’insieme liscio sulla superficie laterale e rugoso sulle
superfici di base. Lo stesso, alla visione si presenteranno di forma cilindrica e di
colore argento e beige. Tale caratteristica non è peculiare di questa materia tanto
che essa potrebbe essere facilmente confusa con un imitazione fatta in plastica e
solo toccandolo si scoprirebbe l’inganno.
Anche i legnetti o claves si presenteranno alla percezione aptica leggeri e non
freddi – il legno è infatti un cattivo conduttore di calore – lisci sulle sei facciate
e gli stessi si presenteranno alla vista cilindrici o appiattiti e marroncini. Ancora
una volta si deduce, che le qualità percepite dalla funzione visiva non sono
peculiari della materia in questione. Si potrebbe continuare all’infinito con
esempi simili, ma ritengo che questi siano sufficienti a dimostrare che le
caratteristiche di una materia, cioè le qualità che la rendono identificabile, non
sono colte dalla vista, bensì dalle percezioni tattili.
43
Nel quotidiano troppe volte, ciò viene dimenticato, a danno di un reale
processo educativo, ignorando che i processi cognitivi passano attraverso
l’esperienza che tutti i bambini devono fare con l’uso totale del loro corpo.
Inverosimilmente, il bambino che vede non viene abituato a toccare, per cui
dirà liscia una cosa che vede lucida, elastica una cosa che vede allungarsi se
tirata, morbida una stoffa e così via; ignorando che i concetti di liscio, di elastico
e di morbido sono acquisibile realmente soltanto apticamente.
La funzione essenziale della percezione aptico-cinestetica sia
nell’apprendimento della nozione di spazio, sia nella formazione dei processi
cognitivi dell’identificazione della materia, oltre che a sancire la validità
dell’educazione corporea, intendendo con ciò quella che partendo da una
conoscenza reale del proprio corpo lo usa in tutte le due possibilità esplorazione
della realtà circostante, fonda e garantisce la possibilità del bambino non
vedente, che servendosi di quei processi percettivi, che nessuno dovrebbe
ignorare, è pari a quella del vendente67.
Il discorso appena sviluppato non è avulso dal tema principale da me preso in
esame, ma anzi si trova in sintonia e simbiosi, poiché la musicoterapia non è una
disciplina staccata dal mondo, dato che si avvale di tante componenti come il
corpo, la materia, le emozioni, gli strumenti musicali ecc.. ma tutte intrinseche e
intersecate per un unico e nobile fine vale a dire il benessere psico-fisico della
persona a cui viene somministrata.
67
BRAMBRING M., Lo sviluppo dei bambini non vedenti. Osservazione ed intervento precoce, Franco Angeli,
Milano, 2004, p. 58.
44
2.8 La mia esperienza musicale
Durante svariati tirocini e nel corso delle mie esperienze lavorative, mi è stata
offerta l’opportunità di osservare ed intervenire attivamente, alle sedute
musicoterapiche. Ho seguito diversi casi, ma il mio obiettivo è di proporre in
questo lavoro gli elementi comuni che ho potuto constatare nella mia
partecipazione diretta.
Principio basilare è che la musicoterapia per esistere, si deve fondare su
un’alleanza terapeutica tra il terapeuta – o altre figure presenti – è il bambino,
poiché quest’ultimo possa creare con la musica un rapporto soddisfacente68.
In altre parole, la musicoterapia nasce dall’incontro tra il terapeuta e il soggetto
che si ha di fronte, con l’obiettivo che il bambino è un essere musicale che il
terapeuta deve far suonare.
È stato già ribadito il concetto che l’intervento musicoterapeutico deve puntare
sul processo percettivo ed è anche tramite questo che si offre al bambino
l’opportunità di apprezzare lo stimolo musicale, come anche la musica è
quell’opportunità in più che permette un maggiore inserimento nella società.
Qualunque sia la situazione che si presenti al terapeuta, bisogna fare una
ricerca musicale, riguardanti i parametri della postura, della prosodia della voce,
della frequenza cardiaca, del flusso del sangue e della respirazione. Questo
perché, il flusso del sangue ha un ritmo circolare-continuo, la respirazione ha un
ritmo binario che presenta gli stessi tempi delle canzoncine come “S. Martino” e
“Che bel castello” e la frequenza cardiaca che presenta un tempo di ¾, costituito
da 2 battiti più una pausa riproduce un valzer, che velocizzato diventa una
tarantella e nel caso contrario una ninna nanna.
68
www.musicoterapia.it
45
Non appena la seduta ha inizio, un caldo e semplice benvenuto può essere dato
con una canzoncina accogliente come la seguente :
“Per prima cosa voglio dirvi Hello ! – Hello!” (x 2 volte)
“E poi giocar con voi!” (x 4 volte) – alternato in momenti forte-piano.
Sin da subito ha inizio una ricerca musicale, che deve creare delle risposte
musicali che sono ottenute principalmente da filastrocche cantate riguardanti lo
schema corporeo.
Quando si è sicuri che la ricerca degli elementi musicali del bambino, sia a
buon punto è utile parlare di programmazione.
Affinché la programmazione musicoterapeutica sia valida, questa deve
comprendere innanzitutto la conoscenza della terapia farmacologica a cui il
bambino è sottoposto, altrimenti si rischia di andare incontro ad una eventuale
controindicazione e poi bisogna tener presente degli elementi che fungono da
tattiche come la ricerca della musicalità, il saper improvvisare, la chiarezza nella
gestione dei casi e creare una sana euritmia, che consiste nel rapporto tra la
musica, il movimento e le emozioni.
La “mission” di un musicoterapeuta deve mirare ad impadronirsi della vita
disorganizzata del soggetto, espressa ritmicamente attraverso la musica da lui
composta, che come effetto crea sempre una relazione. Quindi il segreto è
impadronirsi della disarmonia e ritmicità e trasformarla in musica. Il vero
sforzo di tutto questo lavoro consiste nel far trovare nel bambino la motivazione,
condividendo il suo disagio ma invogliandolo al cambiamento e condurlo verso
l’apertura, in una dimensione di integrazione e interazione.
Altro elemento da considerazione con profonda attenzione riguarda la
questione che nel fare musicoterapia si deve tener presente la valenza
dell’habitat, poiché con le restanti agenzie educative bisognerebbe cercare di
andare di pari passo e non sovrapporsi.
46
Il piano musicoterapico si inserisce nel progetto di vita del bambino, come
rinforzo, o meglio come intervento psico-educativo globale in corso e non come
evento isolato.
Gran parte della seduta, è costituita da un costante dialogo sonoro che si
avvale di tre fasi, chiamate “matching”, che vuol dire combaciare, la seconda
“peacing” che consiste nell’andare allo stesso passo e l’ultima “leading” che
letteralmente significa condurre verso una direzione69. Il passaggio da una fase
all’altra può avvenire nel giro di mesi o anni.
Un esempio di dialogo sonoro è la canzoncina “Della storia del marinar”:
“Questa è la storia di un marinar
che il mondo in barca voleva girar
com’è bello navigar..come bello navigar.
Gira e rigira un foro si aprì
e il marinaio ai pesci finì
com’è bello navigar..come bello navigar.
Ma una sirena dal fondo al mar
il marinaio si volle sposar
com’è bello navigar..come bello navigar.
La canzoncina qui presente, nel contesto di un dialogo sonoro può essere
cantata, mimata e recitata.
Il dialogo sonoro che si avvale fondamentalmente di suoni, non è allora solo
vibrazione ma anche relazione, tra una fonte e un ricevente che hanno pari
dignità.
Appare evidente che una seduta di musicoterapia offre al soggetto minorato
una “rilettura e una visione sempre nuova di se stesso e della vita, complessa ma
non impossibile”, cosicché desidero concludere il capitolo con una citazione di
Giuseppe Pontiggia: “Questi bambini nascono due volte. Devono imparare a
muoversi in un mondo che la prima nascita ha reso più difficile. La seconda
69
SCARDOVELLI M., Il dialogo sonoro,Cappelli editore, Bologna, 1992, p. 67.
47
dipende da voi, da quello che saprete dare. Sono nati due volte e il percorso
sarà più tormentato. Ma alla fine anche per voi sarà una rinascita. Questa
almeno è la mia esperienza. Non posso dirvi altro70.”
70
PONTIGGIA G., Nati due volte, Mondadori, Milano, 2000, p. 23.
48
Conclusioni
Questo mio lavoro costituisce intenzionalmente, uno spaccato del tipo di
educazione che il bambino cieco ha diritto di ricevere fin dal suo primo ingresso
nella vita e durante il suo percorso di crescita, per concorrere nel futuro al
progresso materiale e spirituale della società.
I genitori avvalendosi del supporto di figure specialistiche come i medici,
tiflologi, educatori e musicoterapeuti , potranno assumere atteggiamenti
corrispondenti ed adeguati ai bisogni del bambino non vedente contrastando la
diffusa credenza, secondo la quale le abilità dei ciechi sarebbero deficitarie
rispetto ai normali standard.
Con questo non intendo certo sostenere che non esistono limiti cognitivi e
difficoltà cui i non vedenti sono chiamati a far fronte ogni giorno. Intendo solo
sottolineare che un modo corretto per affrontare i problemi è quello che parte
dalla rimozione di alcuni dei pregiudizi che sono da ostacolo alla loro soluzione.
Per questo motivo si deve continuare a documentare ed esaminare il ruolo
funzionale della famiglia e quello positivo della musica, come strumento per lo
sviluppo cognitivo, sociale e motorio.
49
BIBLIOGRAFIA
AA. VV., Enciclopedia della musica, Einaudi, Torino 2004.
AA. VV., ( a cura di A. QUATRARO), Crescere insieme. Guida per i genitori,
Biblioteca Italiana per i Ciechi “Regina Margherita”, Monza 2001.
AA. VV., ( a cura di M. KAY HOLBROOK), Il bambino con disabilità visiva.
Guida per i genitori, Biblioteca Italiana per i Ciechi “Regina Margherita”,
Monza 2000.
BENENZON O. R., Manuale di Musicoterapia,Borla Editore, Roma 1983.
BIANCHI G.-CLERICI BAGOZZI A., Crescere con la musica,Franco Angeli,
Milano 1997.
BOMBECK E., Professione Mamma. Miserie e nobiltà di un antico ma onesto
mestiere, Longanesi, Milano 1984.
BOWLBLY J., Attaccamento e perdita, Boringhieri, Torino 1989.
BOWLBLY J., Una base sicura,Raffaello Cortina editore, Milano 1989.
BRAMBRING M., Lo sviluppo dei bambini non vedenti. Osservazione ed
intervento precoce, Franco Angeli, Milano 2004.
BUNT L., La musicoterapia un arte oltre le parole,Edizioni Kappa, Roma 1997.
CEPPI E., I minorati della vista,Armando, Roma 1969.
COPPA M. M., Le minorazioni visive,Tecnoscuola, Gorizia 1997.
DUCOURNEAU G., Elementi di musicoterapia,Cosmopolis, Torino 2001.
FERRETTI F., L’elaborazione del significato quando manca la vista, Il
Manifesto, Roma 2004.
GAGGERO G., Esperienza musicale e musicoterapia,Mimesis, Milano 2003.
GALATI D., Vedere con la mente. Conoscenza, affettività, adattamento nei non
vedenti. Franco Angeli, Milano 1996.
GARGIULO M. R., Lavorare con i genitori dei bambini
50
handicappati,Zanichelli, Bologna 1987.
MAHLER M.S.-PINE F.-BERGMAN A., La nascita psicologica del
bambino,Boringhieri, Torino 1975.
MARCANTONI M., I ciechi non sognano il buio. Vivere con successo la cecità,
Franco Angeli, Milano 2008.
MONTI CIVELLI E., La socializzazione del bambino non vedente, Franco
Angeli, Milano 1983.
ORFF G., Un’attiva stimolazione allo sviluppo del bambino, Cittadella, Assisi
1993.
PEREZ PEREIRA M.-CONTI RAMSEDEN G., Sviluppo del linguaggio e
dell’interazione sociale nei bambini ciechi,Edizioni Junior, Azzano San Paolo
(BG) 2002.
PONTIGGIA G., Nati due volte, Mondadori, Milano 2000.
SCARDOVELLI M., Il dialogo sonoro,Cappelli editore, Bologna 1992.
SELLAROLI V., Il primo anno del bambino cieco,Armando, Roma 1982.
STELLA G., Sviluppo cognitivo,Bruno Mondadori, Udine 2000.
ZABONATI A., La nascita psicologica, Il Nido, Roma 2003.
51
RIVISTE
CHIARELLI R., Il bambino disabile visivo con minorazioni aggiuntive e il suo
contesto familiare, “Tiflologia per l’integrazione”, anno 12, n. 4, Roma 2002.
GANDOLFI A., Il bambino non vedente e l’ambiente, “Bambini”, anno 1989, n.
4, Torino.
Musica domani: trimestrali di cultura pedagogia, Edizioni EDT, N.149, Roma
dicembre 2008.
52
SITOGRAFIA
www.confiam.it
twww.Edumus.it
www.musicoterapia.it
www.musictherapy.ca
www.nonvedenti.it
www.psycotherapie.org
www.roehampton.ac.uk
53