1 DONATO CARPATO DOCENTE DI MATEMATICA E FISICA NELLA SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO 2 LO SPETTRO DEL CORPO NERO E L’IPOTESI DEL QUANTO D’AZIONE INTRODUZIONE Le leggi della fisica classica forniscono descrizioni e comprensioni soddisfacenti, in molti casi estremamente accurate, dei fenomeni che avvengono fra corpi macroscopici. La loro validità è ristretta nell’ambito dei sistemi fisici e dei fenomeni per i quali esse sono state elaborate e sperimentate. Sin dalla fine del secolo scorso sono stati osservati dei fenomeni per i quali le leggi della fisica classica non fornivano un’interpretazione adeguata. Storicamente il primo problema che mise in luce i limiti di validità delle leggi classiche fu quello delle modalità di emissione e assorbimento della radiazione da parte della materia. Proprio con questo problema fa la sua comparsa il quanto d’azione h che ha segnato la nascita della teoria quantistica. TERMODINAMICA DEL CORPO NERO Le leggi che governano la distribuzione spettrale della radiazione termica sono state ottenute dall’analisi della radiazione del corpo nero. Si definisce corpo nero, un corpo capace di assorbire tutta la radiazione incidente su di esso. La realizzazione pratica del corpo nero è rappresentata dalla superficie di un piccolo foro praticato sulla parete di un corpo cavo di materiale refrattario le cui dimensioni lineari sono molto più grandi del foro. Passiamo ora a caratterizzare compiutamente il corpo e per fare ciò prendiamo in considerazione una cavità in equilibrio termico alla temperatura T. Poiché le superfici della cavità emettono ed assorbono, l’equilibrio richiede che nell’interno della cavità i singoli elementi di superficie della parete della cavità debbano emettere ed assorbire una uguale quantità di energia nell’unità 3 di tempo. In queste condizioni è opportuno e corretto introdurre una densità di energia che risulta essere la stessa in ogni punto della cavità, per ciascuna frequenza e che non dipende dal tempo. Da quali grandezze fisiche dipende la densità d’energia? Prendiamo in considerazione due cavità alla medesima temperatura T; dopo aver praticato un piccolo foro in entrambe le cavità, poniamole in contatto in modo che la radiazione possa passare da una cavità all’altra. Se le due cavità presentassero un diverso valore delle loro densità di energia, dell’energia sotto forma di radiazione dovrebbe passare dalla cavità con densità di energia maggiore a quella con densità di energia minore e questo fino a quando le densità nelle due cavità non fossero uguali; a questo punto si dovrebbe rilevare un innalzamento della temperatura della cavità che inizialmente presentava un valore più basso della densità di energia ed un abbassamento della temperatura dell’altra cavità adiacente. Questo comporterebbe che una delle due cavità, che inizialmente erano alla stessa temperatura, si scalderebbe a danno dell’altra; un tale processo è però vietato dal secondo principio della termodinamica. Il ragionamento è stato fatto prendendo in considerazione radiazione di tutte le frequenze, ma lo si può ripetere immaginando di interporre tra i due fori dei filtri che facciano passare radiazione di una sola frequenza. Siccome la nostra descrizione non ha preso minimamente in considerazione la forma delle cavità e la loro qualità, il grado di polarizzazione e la direzione della radiazione elettromagnetica, possiamo certamente fare nostra la legge di Kirckoff (1860) la quale afferma che la densità di energia radiante di un corpo a temperatura T in equilibrio dipende dalla frequenza ν della radiazione e dalla stessa temperatura T. 4 Possiamo quindi scrivere u = u (ν , T ) La grandezza fisica, che per prima fu oggetto di osservazioni sperimentali, capace di caratterizzare lo studio del corpo nero è il potere emissivo ε (ν , T ) che rappresenta l’energia irradiata dal foro per unità di superficie, di tempo e intervallo di frequenza. In effetti il teorema di Kirchhoff[1], così come venne formulato originariamente, stabilisce la seguente relazione εν = J (ν , T ) Aν dove Aν è il coefficiente di assorbimento. “Corpo nero ideale” per Kirchhoff era quel corpo con Aν = 1 . “E’ compito della massima importanza determinare questa funzione (εν ) . Grandi difficoltà si frappongono alla sua determinazione sperimentale. Tuttavia, non appare priva di fondamento la speranza che essa abbia una forma semplice, come accade per tutte le funzioni indipendenti dalle proprietà dei singoli corpi.”[2] Kirchhoff aveva rilevato l’importanza della funzione ε (ν , T ) ed aveva, seppur indirettamente, aperto la strada alla teoria dei quanti. Bisognava, comunque aspettare quasi un quarto di secolo perché gli studi sulla radiazione del corpo nero avessero degli sviluppi. Ma che legame esiste tra potere emissivo e densità di energia? Tra potere emissivo ε (ν , T ) e densità di energia u (ν , T ) esiste una significativa relazione, la quale si può così ricavare: consideriamo una superficie ∆A ed il cilindro, di altezza c∆t e volume ∆Ac∆t cosϑ , la cui 5 normale alla base forma un angolo ϑ con la direzione della radiazione. Tutta la radiazione contenuta nel cilindro che è u (ν , T ) ∆Ac∆t cosϑ passerà nel tempo ∆t attraverso la superficie ∆A sicché il flusso (energia incidente per unità di superficie e unità di tempo) è cu (ν , T ) cosϑ Il flusso per unità di tempo nell’angolo solido dΩ = 2πsinϑdϑ è cu (ν , T ) cosϑdΩ 4π Nello stato di equilibrio questa stessa quantità di energia viene emessa. Integrando su un emisfero si ottiene la relazione tra potere emissivo e densità di energia π /2 c ∫ u(ν , T ) cosϑsinϑdϑ cu(ν , T ) = ε (ν , T ) = 0 2 4 1) 6 ANALISI STORICA DEI PRIMI STUDI SUL CORPO NERO “Nel 1893 il fisico Wilhelm Wien, considerando la variazione adiabatica delle frequenze causata da uno specchio in movimento, concluse che”[3] il potere emissivo poteva ricondursi ad una funzione di una sola variabile ν ε (ν , T ) = ν 3 f ( ) 2) T Cerchiamo di fornire validità alla 2) e per fare ciò ricordiamo che il primo risultato quantitativo dello studio del corpo nero che seguì il teorema di Kirchhoff era la relazione del 1879 di Josef Stefan. Questi stabilì che il potere emissivo in tutto lo spettro di frequenze è proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta del corpo stesso ∞ ξ ( T ) = ∫ ε (ν , T ) dν = σT 4 0 3) Stefan ipotizzò per tutti i corpi una tale dipendenza, ma fu Boltzmann e solo nel 1884 a dimostrare che invece essa valeva solo per il corpo nero. Boltzmann utilizzò questioni di natura sia termodinamica che elettromagnetica. Per un sistema termodinamico si ha [4] : ( V e T variabili indipendenti) ( ∂U ∂p ) T = T ( )V − p ∂V ∂T 4) essendo U=uV con u funzione solo della temperatura si ha: ( ∂u du )V = ∂T dT 5) e sapendo che la teoria elettromagnetica consente di esprimere la pressione di radiazione nella forma 7 p= u 3 6) si ottiene u= 1 Tdu u − 3 dT 3 Integrando si ottiene σ= cς . 4 7) u = ςT 4 che mediante la 1) conduce alla 3) con Con l’aiuto della legge di Stefan-Boltzmann e dell’analisi dimensionale ricaviamo la legge rappresentata dalla eq. 2) e chiamata “legge di Wien o dello spostamento”.[5] L’espressione della densità d’energia deve contenere come variabili la temperatura e la frequenza e le uniche due costanti universali che possono comparire sono la velocità della luce c e la costante universale dei gas R. Per i nostri calcoli è preferibile introdurre la costante di Boltzmann k= R NA dove NA è il numero di Avogadro. Se scriviamo le equazioni dimensionali di tutte le grandezze interessate [u] = εtl-3, [n] = t-1, [T] = θ, [c] = lt-1, [k] = εθ-1 ed imponiamo la corretta uguaglianza dimensionale u (ν , T ) = Λν mT n c p k q otteniamo m = 2, n = 1, p = -3, q = 1 e quindi ΛkTν 2 u (ν , T ) = c3 da cui 8) 8 ΛkTν 2 ε (ν , T ) = 4c2 9) in contrasto con i dati sperimentali. Questa difficoltà si può superare supponendo che la grandezza Λ sia funzione di una opportuna combinazione delle grandezze ν e T e di una nuova costante universale α Λ = Λ( ανT r k 10) ) L’esponente r si determina imponendo la validità della legge di StefanBoltzmann kT ∞ 2 ανT r ξ (T ) = ) dν ∫ ν Λ( 2 k 4c 0 ponendo Y= ανT r k si ottiene k 4 T 1− 3r ∞ 2 ξ (T ) = ∫ Y Λ (Y )dY 2 3 4c α 0 il che comporta che sia 1-3r = 4 e quindi r = -1. Scriviamo quindi kTν 2 αν ε (ν , T ) = Λ( ) 2 kT 4c 11) Moltiplicando e dividendo per ν si ottiene la legge di Wien ν ε (ν , T ) = ν 3 f ( ) T Dalla 11) si vede che la dimensione della nuova costante è quella di 9 un’azione = energia x tempo. Il significato e il ruolo della nuova costante sarà chiaro più avanti. Nel 1896, sulla base dei dati sperimentali allora disponibili, Wien propose una espressione teorica del potere emissivo[6] bν ε (ν , T ) ≈ ν 3e T − 12) Le verifiche sperimentali della 12) furono condotte ad Hannover da Friedrich Paschen per radiazioni di lunghezza d’onda λ = 1-8 µm e T = 400-1600 °K e pubblicate nel gennaio 1897[7]. Confermavano la legge esponenziale di Wien. Nel febbraio del 1990, Otto Lummer e Ernst Pringsheim, lavorando con radiazione fino ad allora inesplorata, λ = 12-18 µm e T = 300-1650 °K, conclusero che la legge di Wien non era adatta in tale regione dello spettro[8]. Allo stesso risultato, nello stesso periodo, giunsero Heinrich Rubens e Ferdinand Kurlbaum, studiando radiazione con λ = 30-60 µm e T = 200-1500 °C[9]. “Wien concepì per la 12) un modello costituito da molecole che emettevano luce e la cui velocità v era funzione di ν. La fisica statistica forniva poi per la frequenza delle diverse velocità un fattore mv 2 exp(− ); 2 kT secondo la legge dello spostamento v2 doveva essere proporzionale a ν, e ε doveva avere la forma della 12)”[10]. Ma come abbiamo appena detto, la 12) descriveva perfettamente lo spettro del corpo nero per grandi frequenze, ma era falsa per quella parte dello spettro con basse frequenze. 10 ENTRA IN SCENA MAX PLANCK. Anche il fisico Max Planck cercò di spiegare la radiazione del corpo nero, ma il suo interesse si spiegava con il suo rifiuto iniziale della meccanica statistica. Planck rifiutava di attribuire al secondo principio della termodinamica un valore statistico ed in questo contesto si sforzò di dimostrare lo stesso mediante concetti elettromagnetici. Su questo punto ritornerò successivamente. Planck ipotizzò che la parete interna del corpo nero fosse costituita da oscillatori armonici unidimensionali, i quali interagivano con la radiazione elettromagnetica ed arrivò alla famosa espressione del potere emissivo che porta il suo nome. Vediamo come si possibile giungere all’espressione del potere emissivo fornita da Planck e per fare ciò comincerò descrivendo il trasferimento di energia di un campo elettromagnetico ad una carica legata elasticamente, considerando il problema dell’energia ceduta da una particella carica pesante con carica Ze e velocità v che passa vicino ad una particella legata elasticamente di massa m e carica q. Supponendo che la velocità dell’oscillatore sia molto più piccola di quella della luce e che le sue ampiezze di oscillazione attorno alla posizione occupata siano piccole rispetto alla distanza d che lo separa dalla traiettoria della particella incidente (d = parametro d’urto), è possibile trascurare nell’equazione del moto la forza esterna di natura magnetica.[11] L’equazione del moto di una carica legata elasticamente, quindi, può essere scritta nella forma G G d 2r dr G q G 2 + Γ + ω0 r = E (t ) 2 dt m dt G E ( t ) è il campo elettrico e Γ è 13) una piccola componente di smorzamento sempre presente nei sistemi fisici reali, utile per eliminare certe ambiguità 11 matematiche presenti nella soluzione della 13), ω0 è la frequenza caratteristica del legame. La soluzione della 13) G assume la forma G r (ω ) = qE (ω ) m(ω 0 2 − iωΓ − ω 2 ) con G E (ω ) = 14) 1 +∞ G iωt ∫ E ( t ) e dt 2π −∞ Per calcolare l’energia che viene trasferita dall’onda all’oscillatore si deve valutare il lavoro compiuto nell’unità di tempo dal campo elettrico sull’elettrone e farne poi l’integrale nel tempo +∞ GG G ∆U = ∫ dt ∫ drE ⋅ J −∞ 15) dove G G G G J = qv × δ [ r '− r ( t )] è la densità di corrente dovuta alla carica legata. Si ottiene G 2 2 2 +∞ ω E 2ω Γ ( ) q ∆U = dω ∫ 2 2 2 2 m −∞ (ω 2 − ω ) + ω Γ 0 16) Se Γ è piccolo, la funzione integranda ha un massimo molto alto e stretto attorno a ω = ω0. Di conseguenza, il fattore contenente il campo elettrico può essere sostituito approssimativamente con il suo valore per ω = ω0, ottenendo per il trasferimento di energia il valore 12 ∆U = 2 G 2 2 πq E (ω 0 ) 17) m L’espressione 17) rappresenta un risultato generale sul trasferimento di energia da una campo elettromagnetico esterno ad un oscillatore non relativistico. L’espressione si può applicare ad una qualsiasi combinazione di campi esterni. Si può supporre che all’interno di una cavità, come il corpo nero, il campo elettromagnetico consista di una sovrapposizione incoerente ed isotropa di onde piane che si propagano in tutte le direzioni. Per un’onda piana, i cui campi elettrico e magnetico sono rispettivamente G B , la densità di energia media è E 2 + B2 = E2 2 G E e e la pressione di radiazione è G G E × B = E2 numericamente uguale alla densità d’energia elettromagnetica. La pressione di radiazione su ogni parete della scatola è un terzo della densità d’energia presente nella scatola, perché, mentre tutte le onde piane contribuiscono alla densità d’energia, solo un terzo delle onde piane contribuisce alla pressione di radiazione su ogni parete della scatola. Per cui sostituendo nella 17) G E(ω 02 ) , la densità d’energia del campo elettromagnetico, con tenendo presente che u (ν , T ) u (ν , T ) 3 e rappresenta una densità d’energia per frequenza, si ottiene che la potenza che la radiazione elettromagnetica con distribuzione spettrale u (ν , T ) cede all’oscillatore risulta essere 13 W'= πq 2 u (ν , T ) 18) 3m Un dipolo oscillante di carica q oltre ad assorbire energia dai campi elettromagnetici circostanti emette una radiazione la cui potenza è data dalla formula di Larmor W= 2q 2 a 2 3c 19) 3 Supponendo che il moto dell’oscillatore sia unidimensionale, si ha ma = − kx con k = mω 0 2 e quindi kx 2 2 k kx 2 2 k mv 2 E 0ω 02 E 0 ( 2πν ) 2 2 a =( ) = = = = 2 2 m 2 2 m m m m avendo indicato con E 0 l’energia media del dipolo elettrico. La 19) assume la forma W= 2q 2 E 0 (2πν ) 2 3mc 20) 3 In condizioni stazionarie deve essere W = W’, perciò 8πν 2 E 0 u (ν , T ) = c3 21) La 21) è l’espressione a cui giunse Planck nel 1899. Planck a questo punto non utilizzò il teorema di equipartizione dell’energia della meccanica statistica classica, che avrebbe fornito il valore E 0 = kT e quindi u ≈ ν 2T Disse Einstein più tardi: 14 “Se Planck avesse tratto questa conclusione (utilizzare il teorema di equipartizione dell’energia meccanica), probabilmente non avrebbe fatto la sua grande scoperta.”[12] All’epoca in cui Planck ricavò la 21) il teorema di equipartizione dell’energia era nota da trent’anni ma questi non se ne servì. “Tale omissione senza dubbio ha a che fare con l’atteggiamento decisamente critico di Planck (prima del 1900) nei confronti delle idee di Boltzmann sulla meccanica statistica.”[13] Planck partì, invece, dalla definizione di entropia di un oscillatore[14] E E S = − 0 ln 0 bν eaν 22) Egli, lavorando a ritroso, determinò l’entropia dell’oscillatore lineare integrando l’equazione TdS = dE 0 , partendo dall’espressione 12) della legge di Wien e dall’espressione 21) della densità spettrale. Infatti dalla 22) si ottiene 1 1 E dS = = − ln 0 T dE 0 bν aν bν − E 0 = aνe T da cui a e b erano costanti che più tardi avrebbe indicato con h e h/k. Quello che non fece Planck venne fatto, nel 1900, da Lord Rayleigh, il quale applicando alla radiazione la teoria di Maxwell-Boltzmann della ripartizione dell’energia, fornì la seguente espressione della densità d’energia u (ν , T ) = c1ν 2 T 23) la quale essendo non adatta a interpretare il reale andamento sperimentale alle alte frequenze venne moltiplicata per un fattore esponenziale di taglio 15 c ν − 2 u (ν , T ) = c1ν 2 Te T 24) Questa espressione nota come legge di Rayleigh non riusciva comunque ad interpretare correttamente i dati sperimentali. Solo nel giugno del 1905, dopo che Einstein aveva fornito la dimostrazione della 23) con l’esatto valore della costante C1 e che lo stesso Rayleigh lo aveva fatto fornendo un valore errato di un fattore 8, James H. Jeans corresse l’errore di Rayleigh ricevendo da quest’ultimo i suoi ringraziamenti.[15] La legge di Rayleigh-Jeans per il potere emissivo è la seguente 2πν 2 kT ε (ν , T ) = c2 25) Nell’ottobre del 1900, quindi dopo la pubblicazione di lavori relativi alla formula 25), Planck in seguito a risultati sperimentali che nel frattempo gli erano stati comunicati, contemplando la sua precedente posizione 1 d 2S =− bνE 0 dE02 26) corrispondente alla formula di Wien, scrisse d 2S γ =− E 0 (β + E 0 ) dE02 Mediante la 1 dS γ β + E 0 = = ln E0 T dE 0 β ottenne 27) 16 β E0 = e β γT −1 per cui u (ν , T ) = 8πν 2 β β c 3 ( eγT − 1) Tenendo conto della legge di Wien, doveva essere β ≈ν e γ doveva essere indipendente da ν. Il suo risultato era quindi equivalente alla 8πhν 2 u (ν , T ) = hν c 3 ( e kT − 1) 28) con γ coincidente con la costante k di Boltzmann e con h, costante di Planck, coincidente con la costante α della 11) ed a della 22). La posizione di Planck era quindi un’interpolazione di − 1 E02 d 2S dE 02 tra − 1 E0 e ; facendo quest’ultima posizione egli sarebbe giunto alla formula di Rayleigh u ≈ ν 2T . Planck interpolò dunque in maniera semplice tra la formula di Wien e quella di Rayleigh, senza tuttavia tener conto di quest’ultima. “E’ dubbio se Planck stesso fosse al corrente di questa importante memoria, che apparve sei mesi prima che egli proponesse a sua volta la legge che porta il suo nome. Comunque siano andate le cose, Planck, nel 1900, non citò il 17 contributo di Rayleigh.”[16] 18 INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE DI PLANCK. Nell’ottobre del 1900 esistevano tre formule per il potere emissivo: quella di ε ≈ ν 2 kT , − hν ε ≈ ν 3e , oscura Rayleigh, kT corretta per piccole frequenze; quella di Wien, per dal punto di vista teorico e corretta per grandi ν3 frequenze; e quella di Planck, ε ≈ hν , oscura dal punto di vista teorico e kT − 1 e corretta per tutte le frequenze. Tutte e tre obbedivano alla legge dello spostamento di Wien. Tra il 19 ottobre e il 14 dicembre del 1900, Planck elaborò una spiegazione combinatoria teorica della sua espressione interpolativa per l’irraggiamento. “Anche se Planck avesse cessato la sua attività dopo il 19 ottobre del 1900, verrebbe ricordato per sempre come lo scopritore della legge di radiazione. Ma il fatto che sia andato oltre dà la vera misura della sua grandezza. Planck voleva interpretare l’equazione 28), e ciò fece di lui lo scopritore della teoria dei quanti.”[17] Si consideri un grande numero Ni di oscillatori lineari, tutti con frequenza ν; venga indicata con Ei l’energia media degli oscillatori. Si supponga che l’energia totale NiEi sia composta di elementi finiti di energia ξ : N i Ei = Piξ . Indichiamo con W il numero di modi in cui i Pi elementi indistinguibili di energia possono distribuirsi su Ni oscillatori distinguibili. Ad esempio per Ni = 2 e Pi = 3 le partizioni sono ( 3ξ ,0),( 2ξ , ξ ),(ξ ,2ξ ),( 0,3ξ ) . In generale sarà W= ( Ni − 1 + Pi )! Pi !( Ni − 1)! 19 Possiamo quindi scrivere per l’entropia degli Ni oscillatori Si = k ln ( N i − 1 + Pi )! Pi !( N i − 1)! 29) e per l’entropia totale ST = ∑ Si i Planck a questo punto massimizzò la funzione ST = ST ( Ei ) , imponendo che l’energia totale del sistema di oscillatori fosse E T = ∑ N i Ei i quindi δ ( ∑ Si − µ ∑ N i Ei ) i δ Ei i =0 con µ opportuno moltiplicatore di Lagrange. Utilizzando la formula di Stirling ottenne k ξ [ln( N i − 1 + Pi ) − ln( Pi )] − µ = 0 per Ni e Pi grandi si può trascurare l’unità presente nell’argomento del logaritmo e a questo punto, ricordiamolo solo per semplicità di calcolo, Planck pose per l’intervallo finito di energia delle celle ξ = hν ed usando l’uguaglianza Pi Ei = Ni ξ E + hν k −µ =0 ln i Ei hν ricavò 30) Indicando con si l’entropia di un singolo oscillatore si ha 1 dsi = =µ T dEi 20 Introducendo il valore di µ così ottenuto nella 30) otteniamo per l’energia dell’oscillatore l’espressione Ei= hν hν e kT − 1 e quindi nuovamente la 28). 21 EINSTEIN E L’INTRODUZIONE DEL CONCETTO DI QUANTO DI LUCE. Quando l’introduzione della relazione ξ = hν cominciava a porre dei problemi nel mondo scientifico, Planck puntò il suo interesse sulla nuova costante fisica h, il cui significato fisico era sì da ricercare nei processi microscopici di assorbimento ed emissione della radiazione da parte della materia ma pur sempre nell’ambito della fisica classica. Fu proprio Planck il primo a fornire, confrontando i dati sperimentali con quelli teorici, il primo valore della costante di h. Un significativo passo avanti venne compiuto nel 1905 da Einstein, per il quale l’equazione ξ = hν poteva assumere il significato di una discretizzazione dell’energia del campo elettromagnetico. Partendo dalla legge di Wien, Einstein scrisse hν 8πhν 3e kT V Eν = 3 c − 31) dove V è il volume della cavità del corpo nero. Ottenendo per la densità spettrale di entropia la seguente espressione − kEν c 3Eν Sν = (ln − 1) 3 hν 8πhν V 32) facilmente ricavabile dalla relazione dSν 1 = dEν T Einstein osservò che, tenendo fissa Eν e variando il volume otteneva una variazione di Sν pari a ∆Sν = kEν ∆ lnV hν 33) 22 simile alla variazione di entropia di n molecole di un gas, che esegue una trasformazione a temperatura costante ∆S = nk∆ lnV 34) Le due precedenti espressioni coincidono se si pone Eν = nhν 35) Praticamente nella regione delle alte frequenze la radiazione del corpo nero si comporta come un gas di particelle aventi energia hν , i quanti di luce; il campo magnetico risulta quindi “quantizzato”. “Ritengo che le riflessioni precedenti non siano affatto in contraddizione con la teoria di Planck sulla radiazione; anzi, esse mi sembrano indicare che, nella sua teoria, Planck ha introdotto nella fisica un nuovo elemento ipotetico: l’ipotesi dei quanti di luce.”[18] “Fin qui non si vede ancora alcuna rivoluzione. I fisici del 1905 potevano accettare o rifiutare l’ipotesi del quanto di luce, semplicemente come una curiosa proprietà della radiazione libera in equilibrio termico, priva di qualsiasi conseguenza fisica. L’audacia straordinaria di Einstein sta nel passo che fece dopo, che detto per inciso, gli fruttò il premio Nobel nel 1926: l’enunciazione del principio euristico: “Se una radiazione monocromatica (di densità sufficientemente bassa) si comporta, rispetto alla relazione entropia-volume, come un mezzo discreto, formato da quanti di energia di grandezza Rβν/N, è naturale chiedersi se le leggi di emissione e di trasformazione della luce non siano anch’esse strutturate come se la luce consistesse di quanti di energia di questo tipo.” In altre parole, l’ipotesi del quanto di luce era un’asserzione su una proprietà quantistica della radiazione elettromagnetica libera;...”[19] Le principali differenze tra le impostazioni di Planck e Einstein si possono, 23 quindi, riassumere nei seguenti punti: a) Planck aveva utilizzato la relazione tra la densità spettrale del campo u(ν,T) e l’energia media dell’oscillatore E0, cioè l’equazione 21) ricavata dalla meccanica e dall’elettrodinamica classiche. b) Aveva introdotto una discretizzazione di E0 attraverso il passo statistico descritto dalla distribuzione di elementi di energia tra gli oscillatori. c) Se si accetta il punto b), che è estraneo alla teoria classica, allora non c’è ragione di prendere per buona la 21), che è una conseguenza logica della teoria classica. d) Einstein aveva introdotto una quantizzazione per il campo elettromagnetico: l’ipotesi del quanto di luce. Sorgeva allora il problema se si potesse stabilire una relazione tra la quantizzazione di E0 da parte di Planck e la quantizzazione del campo da parte di Einstein. Einstein propose di considerare valida la 21) ed affermò che l’energia di un oscillatore elementare poteva assumere soltanto valori multipli interi di hν e che l’emissione e l’assorbimento di radiazione da parte della materia avveniva attraverso una successione di atti elementari, in ognuno dei quali l’energia scambiata era sempre la stessa e pari ad un quanto di luce hν. 24 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI. [1] G. Kirchhoff, Ann. Phys. Chem. 109, 275 (1860). I riferimenti originali che dora in avanti verranno menzionati, dove non espressamente indicato, sono tratti dalle seguenti due opere: A. Pais, Sottile è il Signore...., Bollati Boringhieri, 1991 e F. Hund, Storia della teoria dei quanti, Bollati Boringhieri, 1980. [2] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 388. [3] F. Hund, Storia della teoria dei quanti, cit., pag. 20. [4] Per la dimostrazione seguo il seguente testo: D. Sette, Lezioni di fisica vol.II , 1976, pag. 360. [5] Yu. B. Rumer e M. Sh. Ryvkin, Mir, 1980, pagg. 88-89-90. [6] W. Wien, AdP 58, 662 (1896). [7] W. Paschen, AdP 60, 662 (1897). [8] O. Lummer e E. Pringsheim, Verh, Deutsch, Phys. Ges. 2, 163 (1900). [9] H. Rubens e F. Kurlbaum, PAW, 1900, p.929. [10] F. Hund, Storia della teoria dei quanti, cit., pag. 22. [11] Una descrizione di quello che sto facendo si trova in A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 393. Il lavoro originale di Planck per arrivare alla 21) è: M.Planck, Uber Irreversible Strahlungsvorgange, in Annalen der Physik, 1 (1900), p.99 (vedi Albert Einstein, Opere Scelte, Bollati Boringhieri,1988, pag. 182 nota 4). Io, perlomeno per la parte iniziale, ho seguito: J. D. Jackson, Elettrodinamica classica, Zanichelli, 1984, pagg. 565-566-567. Una bibliografia completa dei lavori di Planck si trova in A. Pais e F. Hund opp. cit. [12] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 398. 25 [13] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 398. [14] Per questa parte e fino al concetto di interpolazione tra le espressioni di Wien e Rayleigh faccio riferimento a F. Hund, Storia della teoria dei quanti, cit., pag. 22 e segg. [15] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 399. [16] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 399. [17] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 392. [18] A. Einstein, La teoria della generazione e dell’assorbimento della luce (1906), pag. 185 in : Albert Einstein, Opere scelte, cit. [19] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 403. Il lavoro originale è : Albert Einstein, Un punto di vista euristico relativo alla generazione e alla trasformazione della luce (1905), pag. 118 in A. Einstein, Opere scelte, cit.