Lo spettro del corpo nero e l`ipotesi del quanto d`azione

1
DONATO CARPATO
DOCENTE DI MATEMATICA E FISICA NELLA SCUOLA
SECONDARIA DI SECONDO GRADO
2
LO SPETTRO DEL CORPO NERO E L’IPOTESI DEL QUANTO
D’AZIONE
INTRODUZIONE
Le leggi della fisica classica forniscono descrizioni e comprensioni
soddisfacenti, in molti casi estremamente accurate, dei fenomeni che
avvengono fra corpi macroscopici.
La loro validità è ristretta nell’ambito dei sistemi fisici e dei fenomeni per i quali
esse sono state elaborate e sperimentate.
Sin dalla fine del secolo scorso sono stati osservati dei fenomeni per i quali le
leggi della fisica classica non fornivano un’interpretazione adeguata.
Storicamente il primo problema che mise in luce i limiti di validità delle leggi
classiche fu quello delle modalità di emissione e assorbimento della radiazione
da parte della materia. Proprio con questo problema fa la sua comparsa il
quanto d’azione h che ha segnato la nascita della teoria quantistica.
TERMODINAMICA DEL CORPO NERO
Le leggi che governano la distribuzione spettrale della radiazione termica sono
state ottenute dall’analisi della radiazione del corpo nero.
Si definisce corpo nero, un corpo capace di assorbire tutta la radiazione
incidente su di esso. La realizzazione pratica del corpo nero è rappresentata
dalla superficie di un piccolo foro praticato sulla parete di un corpo cavo di
materiale refrattario le cui dimensioni lineari sono molto più grandi del foro.
Passiamo ora a caratterizzare compiutamente il corpo e per fare ciò
prendiamo in considerazione una cavità in equilibrio termico alla temperatura
T. Poiché le superfici della cavità emettono ed assorbono, l’equilibrio richiede
che nell’interno della cavità i singoli elementi di superficie della parete della
cavità debbano emettere ed assorbire una uguale quantità di energia nell’unità
3
di tempo. In queste condizioni è opportuno e corretto introdurre una densità di
energia che risulta essere la stessa in ogni punto della cavità, per ciascuna
frequenza e che non dipende dal tempo.
Da quali grandezze fisiche dipende la densità d’energia?
Prendiamo in considerazione due cavità alla medesima temperatura T; dopo
aver praticato un piccolo foro in entrambe le cavità, poniamole in contatto in
modo che la radiazione possa passare da una cavità all’altra. Se le due cavità
presentassero un diverso valore delle loro densità di energia, dell’energia sotto
forma di radiazione dovrebbe passare dalla cavità con densità di energia
maggiore a quella con densità di energia minore e questo fino a quando le
densità nelle due cavità non fossero uguali; a questo punto si dovrebbe
rilevare un innalzamento della temperatura della cavità che inizialmente
presentava un valore più basso della densità di energia ed un abbassamento
della temperatura dell’altra cavità adiacente.
Questo comporterebbe che una delle due cavità, che inizialmente erano alla
stessa temperatura, si scalderebbe a danno dell’altra; un tale processo è però
vietato dal secondo principio della termodinamica.
Il ragionamento è stato fatto prendendo in considerazione radiazione di tutte
le frequenze, ma lo si può ripetere immaginando di interporre tra i due fori dei
filtri che facciano passare radiazione di una sola frequenza.
Siccome la nostra descrizione non ha preso minimamente in considerazione la
forma delle cavità e la loro qualità, il grado di polarizzazione e la direzione
della radiazione elettromagnetica, possiamo certamente fare nostra la legge di
Kirckoff (1860) la quale afferma che la densità di energia radiante di un corpo
a temperatura T in equilibrio dipende dalla frequenza ν della radiazione e dalla
stessa temperatura T.
4
Possiamo quindi scrivere
u = u (ν , T )
La grandezza fisica, che per prima fu oggetto di osservazioni sperimentali,
capace di caratterizzare lo studio del corpo nero è il potere emissivo
ε (ν , T ) che
rappresenta l’energia irradiata dal foro per unità di superficie, di
tempo e intervallo di frequenza. In effetti il teorema di Kirchhoff[1], così come
venne formulato originariamente, stabilisce la seguente relazione
εν
= J (ν , T )
Aν
dove
Aν
è il coefficiente di assorbimento. “Corpo nero ideale” per Kirchhoff
era quel corpo con
Aν = 1 .
“E’ compito della massima importanza determinare questa funzione
(εν ) .
Grandi difficoltà si frappongono alla sua determinazione sperimentale.
Tuttavia, non appare priva di fondamento la speranza che essa abbia una
forma semplice, come accade per tutte le funzioni indipendenti dalle proprietà
dei singoli corpi.”[2]
Kirchhoff aveva rilevato l’importanza della funzione
ε (ν , T )
ed aveva, seppur
indirettamente, aperto la strada alla teoria dei quanti. Bisognava, comunque
aspettare quasi un quarto di secolo perché gli studi sulla radiazione del corpo
nero avessero degli sviluppi. Ma che legame esiste tra potere emissivo e
densità di energia?
Tra potere emissivo
ε (ν , T )
e densità di energia
u (ν , T )
esiste una
significativa relazione, la quale si può così ricavare: consideriamo una
superficie
∆A ed il cilindro, di altezza c∆t
e volume
∆Ac∆t cosϑ , la cui
5
normale alla base forma un angolo
ϑ
con la direzione della radiazione. Tutta
la radiazione contenuta nel cilindro che è
u (ν , T ) ∆Ac∆t cosϑ
passerà nel tempo
∆t
attraverso la superficie
∆A
sicché il flusso (energia
incidente per unità di superficie e unità di tempo) è
cu (ν , T ) cosϑ
Il flusso per unità di tempo nell’angolo solido
dΩ = 2πsinϑdϑ
è
cu (ν , T ) cosϑdΩ
4π
Nello stato di equilibrio questa stessa quantità di energia viene emessa.
Integrando su un emisfero si ottiene la relazione tra potere emissivo e densità
di energia
π /2
c ∫ u(ν , T ) cosϑsinϑdϑ
cu(ν , T )
=
ε (ν , T ) = 0
2
4
1)
6
ANALISI STORICA DEI PRIMI STUDI SUL CORPO NERO
“Nel 1893 il fisico Wilhelm Wien, considerando la variazione adiabatica delle
frequenze causata da uno specchio in movimento, concluse che”[3] il potere
emissivo poteva ricondursi ad una funzione di una sola variabile
ν
ε (ν , T ) = ν 3 f ( )
2)
T
Cerchiamo di fornire validità alla 2) e per fare ciò ricordiamo che il primo
risultato quantitativo dello studio del corpo nero che seguì il teorema di
Kirchhoff era la relazione del 1879 di Josef Stefan. Questi stabilì che il potere
emissivo in tutto lo spettro di frequenze è proporzionale alla quarta potenza
della temperatura assoluta del corpo stesso
∞
ξ ( T ) = ∫ ε (ν , T ) dν = σT 4
0
3)
Stefan ipotizzò per tutti i corpi una tale dipendenza, ma fu Boltzmann e solo
nel 1884 a dimostrare che invece essa valeva solo per il corpo nero.
Boltzmann
utilizzò
questioni
di
natura
sia
termodinamica
che
elettromagnetica.
Per un sistema termodinamico si ha [4] : ( V e T variabili indipendenti)
(
∂U
∂p
) T = T ( )V − p
∂V
∂T
4)
essendo U=uV con u funzione solo della temperatura si ha:
(
∂u
du
)V =
∂T
dT
5)
e sapendo che la teoria elettromagnetica consente di esprimere la pressione di
radiazione nella forma
7
p=
u
3
6)
si ottiene
u=
1 Tdu u
−
3 dT 3
Integrando si ottiene
σ=
cς
.
4
7)
u = ςT 4
che mediante la 1) conduce alla 3) con
Con l’aiuto della legge di Stefan-Boltzmann e dell’analisi dimensionale
ricaviamo la legge rappresentata dalla eq. 2) e chiamata “legge di Wien o dello
spostamento”.[5]
L’espressione della densità d’energia deve contenere come variabili la
temperatura e la frequenza e le uniche due costanti universali che possono
comparire sono la velocità della luce c e la costante universale dei gas R.
Per i nostri calcoli è preferibile introdurre la costante di Boltzmann
k=
R
NA
dove NA è il numero di Avogadro.
Se scriviamo le equazioni dimensionali di tutte le grandezze interessate
[u] = εtl-3, [n] = t-1, [T] = θ, [c] = lt-1, [k] = εθ-1 ed imponiamo la corretta
uguaglianza dimensionale
u (ν , T ) = Λν mT n c p k q
otteniamo
m = 2, n = 1, p = -3, q = 1
e quindi
ΛkTν 2
u (ν , T ) =
c3
da cui
8)
8
ΛkTν 2
ε (ν , T ) =
4c2
9)
in contrasto con i dati sperimentali.
Questa difficoltà si può superare supponendo che la grandezza
Λ
sia
funzione di una opportuna combinazione delle grandezze ν e T e di una nuova
costante universale α
Λ = Λ(
ανT r
k
10)
)
L’esponente r si determina imponendo la validità della legge di StefanBoltzmann
kT ∞ 2 ανT r
ξ (T ) =
) dν
∫ ν Λ(
2
k
4c 0
ponendo
Y=
ανT r
k
si ottiene
k 4 T 1− 3r ∞ 2
ξ (T ) =
∫ Y Λ (Y )dY
2
3
4c α 0
il che comporta che sia 1-3r = 4 e quindi r = -1.
Scriviamo quindi
kTν 2 αν
ε (ν , T ) =
Λ( )
2
kT
4c
11)
Moltiplicando e dividendo per ν si ottiene la legge di Wien
ν
ε (ν , T ) = ν 3 f ( )
T
Dalla 11) si vede che la dimensione della nuova costante è quella di
9
un’azione = energia x tempo.
Il significato e il ruolo della nuova
costante sarà chiaro più avanti.
Nel 1896, sulla base dei dati sperimentali allora disponibili, Wien propose una
espressione teorica del potere emissivo[6]
bν
ε (ν , T ) ≈ ν 3e T
−
12)
Le verifiche sperimentali della 12) furono condotte ad Hannover da Friedrich
Paschen per radiazioni di lunghezza d’onda λ = 1-8 µm e T = 400-1600 °K e
pubblicate nel gennaio 1897[7]. Confermavano la legge esponenziale di Wien.
Nel febbraio del 1990, Otto Lummer e Ernst Pringsheim, lavorando con
radiazione fino ad allora inesplorata, λ = 12-18 µm e T = 300-1650 °K,
conclusero che la legge di Wien non era adatta in tale regione dello spettro[8].
Allo stesso risultato, nello stesso periodo, giunsero Heinrich Rubens e
Ferdinand Kurlbaum, studiando radiazione con λ = 30-60 µm e T = 200-1500
°C[9].
“Wien concepì per la 12) un modello costituito da molecole che emettevano
luce e la cui velocità v era funzione di ν. La fisica statistica forniva poi per la
frequenza delle diverse velocità un fattore
mv 2
exp(−
);
2 kT
secondo la legge
dello spostamento v2 doveva essere proporzionale a ν, e ε doveva avere la
forma della 12)”[10]. Ma come abbiamo appena detto, la 12) descriveva
perfettamente lo spettro del corpo nero per grandi frequenze, ma era falsa per
quella parte dello spettro con basse frequenze.
10
ENTRA IN SCENA MAX PLANCK.
Anche il fisico Max Planck cercò di spiegare la radiazione del corpo nero, ma il
suo interesse si spiegava con il suo rifiuto iniziale della meccanica statistica.
Planck rifiutava di attribuire al secondo principio della termodinamica un valore
statistico ed in questo contesto si sforzò di dimostrare lo stesso mediante
concetti elettromagnetici. Su questo punto ritornerò successivamente.
Planck ipotizzò che la parete interna del corpo nero fosse costituita da
oscillatori armonici unidimensionali, i quali interagivano con la radiazione
elettromagnetica ed arrivò alla famosa espressione del potere emissivo che
porta il suo nome.
Vediamo come si possibile giungere all’espressione
del potere emissivo
fornita da Planck e per fare ciò comincerò descrivendo il trasferimento di
energia di un campo elettromagnetico ad una carica legata elasticamente,
considerando il problema dell’energia ceduta da una particella carica pesante
con carica Ze
e velocità v che passa vicino ad una particella legata
elasticamente di massa m e carica q. Supponendo che la velocità
dell’oscillatore sia molto più piccola di quella della luce e che le sue ampiezze
di oscillazione attorno alla posizione occupata siano piccole rispetto alla
distanza d che lo separa dalla traiettoria della particella incidente (d =
parametro d’urto), è possibile trascurare nell’equazione del moto la forza
esterna di natura magnetica.[11]
L’equazione del moto di una carica legata elasticamente, quindi, può essere
scritta nella forma
G
G
d 2r
dr
G q G
2
+ Γ + ω0 r = E (t )
2
dt
m
dt
G
E ( t ) è il campo elettrico e Γ è
13)
una piccola componente di smorzamento
sempre presente nei sistemi fisici reali, utile per eliminare certe ambiguità
11
matematiche presenti nella soluzione della 13),
ω0
è la frequenza
caratteristica del legame.
La soluzione della 13)
G assume la forma
G
r (ω ) =
qE (ω )
m(ω 0 2 − iωΓ − ω 2 )
con
G
E (ω ) =
14)
1 +∞ G
iωt
∫ E ( t ) e dt
2π −∞
Per calcolare l’energia che viene trasferita dall’onda all’oscillatore si deve
valutare il lavoro compiuto nell’unità di tempo dal campo elettrico sull’elettrone
e farne poi l’integrale nel tempo
+∞
GG G
∆U = ∫ dt ∫ drE ⋅ J
−∞
15)
dove
G
G
G G
J = qv × δ [ r '− r ( t )]
è la densità di corrente dovuta alla carica legata.
Si ottiene
G
2 2
2
+∞
ω
E
2ω Γ
(
)
q
∆U =
dω
∫
2
2
2
2
m −∞ (ω 2 − ω ) + ω Γ
0
16)
Se Γ è piccolo, la funzione integranda ha un massimo molto alto e stretto
attorno a ω = ω0. Di conseguenza, il fattore contenente il campo elettrico può
essere sostituito approssimativamente con il suo valore per ω = ω0, ottenendo
per il trasferimento di energia il valore
12
∆U =
2
G
2
2
πq E (ω 0 )
17)
m
L’espressione 17) rappresenta un risultato generale sul trasferimento di
energia da una campo elettromagnetico
esterno
ad un oscillatore
non
relativistico.
L’espressione si può applicare ad una qualsiasi combinazione di campi
esterni. Si può supporre che all’interno di una cavità, come il corpo nero, il
campo elettromagnetico consista di una sovrapposizione incoerente ed
isotropa di onde piane che si propagano in tutte le direzioni.
Per un’onda piana, i cui campi elettrico e magnetico sono rispettivamente
G
B , la densità di energia media è
E 2 + B2
= E2
2
G
E
e
e la pressione di radiazione è
G G
E × B = E2
numericamente uguale alla densità d’energia elettromagnetica. La pressione di
radiazione su ogni parete della scatola è un terzo della densità d’energia
presente nella scatola, perché, mentre tutte le onde piane contribuiscono alla
densità d’energia, solo un terzo delle onde piane contribuisce alla pressione di
radiazione su ogni parete della scatola. Per cui sostituendo nella 17)
G
E(ω 02 ) ,
la densità d’energia del campo elettromagnetico, con
tenendo presente che
u (ν , T )
u (ν , T )
3
e
rappresenta una densità d’energia per
frequenza, si ottiene che la potenza che la radiazione elettromagnetica con
distribuzione spettrale
u (ν , T )
cede all’oscillatore risulta essere
13
W'=
πq 2 u (ν , T )
18)
3m
Un dipolo oscillante di carica q oltre ad assorbire energia dai campi
elettromagnetici circostanti emette una radiazione la cui potenza è data dalla
formula di Larmor
W=
2q 2 a 2
3c
19)
3
Supponendo che il moto dell’oscillatore sia unidimensionale, si ha
ma = − kx
con
k = mω 0 2
e quindi
kx 2 2 k kx 2 2 k mv 2 E 0ω 02 E 0 ( 2πν ) 2
2
a =( ) =
=
=
=
2
2
m
2
2
m
m
m
m
avendo indicato con E 0 l’energia media del dipolo elettrico.
La 19) assume la forma
W=
2q 2 E 0 (2πν ) 2
3mc
20)
3
In condizioni stazionarie deve essere W = W’, perciò
8πν 2 E 0
u (ν , T ) =
c3
21)
La 21) è l’espressione a cui giunse Planck nel 1899. Planck a questo punto
non utilizzò il teorema di equipartizione dell’energia della meccanica statistica
classica, che avrebbe fornito il valore E 0 = kT e quindi
u ≈ ν 2T
Disse Einstein più tardi:
14
“Se Planck avesse tratto questa conclusione (utilizzare il teorema di
equipartizione dell’energia meccanica), probabilmente non avrebbe fatto la sua
grande scoperta.”[12]
All’epoca in cui Planck ricavò la 21) il teorema di equipartizione dell’energia
era nota da trent’anni ma questi non se ne servì.
“Tale omissione senza dubbio ha a che fare con l’atteggiamento decisamente
critico di Planck (prima del 1900) nei confronti delle idee di Boltzmann sulla
meccanica statistica.”[13]
Planck partì, invece, dalla definizione di entropia di un oscillatore[14]
E
E
S = − 0 ln 0
bν eaν
22)
Egli, lavorando a ritroso, determinò l’entropia dell’oscillatore lineare integrando
l’equazione TdS = dE 0 , partendo dall’espressione 12) della legge di Wien e
dall’espressione 21) della densità spettrale.
Infatti dalla 22) si ottiene
1
1 E
dS
=
= − ln 0
T dE 0
bν aν
bν
−
E 0 = aνe T
da cui
a e b erano costanti che più tardi avrebbe indicato con h e h/k.
Quello che non fece Planck venne fatto, nel 1900, da Lord Rayleigh, il quale
applicando alla radiazione la teoria di Maxwell-Boltzmann della ripartizione
dell’energia, fornì la seguente espressione della densità d’energia
u (ν , T ) = c1ν 2 T
23)
la quale essendo non adatta a interpretare il reale andamento sperimentale
alle alte frequenze venne moltiplicata per un fattore esponenziale di taglio
15
c ν
− 2
u (ν , T ) = c1ν 2 Te T
24)
Questa espressione nota come legge di Rayleigh non riusciva comunque ad
interpretare correttamente i dati sperimentali.
Solo nel giugno del 1905, dopo che Einstein aveva fornito la dimostrazione
della 23) con l’esatto valore della costante C1 e che lo stesso Rayleigh lo
aveva fatto fornendo un valore errato di un fattore 8, James H. Jeans corresse
l’errore di Rayleigh ricevendo da quest’ultimo i suoi ringraziamenti.[15]
La legge di Rayleigh-Jeans per il potere emissivo è la seguente
2πν 2 kT
ε (ν , T ) =
c2
25)
Nell’ottobre del 1900, quindi dopo la pubblicazione di lavori relativi alla formula
25), Planck in seguito a risultati sperimentali che nel frattempo gli erano stati
comunicati, contemplando la sua precedente posizione
1
d 2S
=−
bνE 0
dE02
26)
corrispondente alla formula di Wien, scrisse
d 2S
γ
=−
E 0 (β + E 0 )
dE02
Mediante la
1
dS γ β + E 0
=
= ln
E0
T dE 0 β
ottenne
27)
16
β
E0 =
e
β
γT
−1
per cui
u (ν , T ) =
8πν 2 β
β
c 3 ( eγT − 1)
Tenendo conto della legge di Wien, doveva essere
β ≈ν
e γ doveva essere
indipendente da ν.
Il suo risultato era quindi equivalente alla
8πhν 2
u (ν , T ) =
hν
c 3 ( e kT − 1)
28)
con γ coincidente con la costante k di Boltzmann e con h, costante di Planck,
coincidente con la costante α della 11) ed a della 22).
La posizione di Planck era quindi un’interpolazione di
−
1
E02
d 2S
dE 02
tra
−
1
E0
e
; facendo quest’ultima posizione egli sarebbe giunto alla formula di
Rayleigh
u ≈ ν 2T .
Planck interpolò dunque in maniera semplice tra la formula di Wien e quella di
Rayleigh, senza tuttavia tener conto di quest’ultima.
“E’ dubbio se Planck stesso fosse al corrente di questa importante memoria,
che apparve sei mesi prima che egli proponesse a sua volta la legge che porta
il suo nome. Comunque siano andate le cose, Planck, nel 1900, non citò il
17
contributo di Rayleigh.”[16]
18
INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE DI PLANCK.
Nell’ottobre del 1900 esistevano tre formule per il potere emissivo: quella di
ε ≈ ν 2 kT ,
− hν
ε ≈ ν 3e
, oscura
Rayleigh,
kT
corretta per piccole frequenze; quella di Wien,
per dal punto di vista teorico e corretta per grandi
ν3
frequenze; e quella di Planck, ε ≈
hν
, oscura dal punto di vista teorico
e kT − 1
e corretta per tutte le frequenze.
Tutte e tre obbedivano alla legge dello spostamento di Wien.
Tra il 19 ottobre e il 14 dicembre del 1900, Planck elaborò una spiegazione
combinatoria teorica della sua espressione interpolativa per l’irraggiamento.
“Anche se Planck avesse cessato la sua attività dopo il 19 ottobre del 1900,
verrebbe ricordato per sempre come lo scopritore della legge di radiazione. Ma
il fatto che sia andato oltre dà la vera misura della sua grandezza. Planck
voleva interpretare l’equazione 28), e ciò fece di lui lo scopritore della teoria
dei quanti.”[17]
Si consideri un grande numero Ni di oscillatori lineari, tutti con frequenza ν;
venga indicata con Ei l’energia media degli oscillatori. Si supponga che
l’energia totale NiEi sia composta di elementi finiti di energia ξ : N i Ei = Piξ .
Indichiamo con W il numero di modi in cui i Pi elementi indistinguibili di energia
possono distribuirsi su Ni oscillatori distinguibili. Ad esempio per Ni = 2 e Pi = 3
le partizioni sono ( 3ξ ,0),( 2ξ , ξ ),(ξ ,2ξ ),( 0,3ξ ) . In generale sarà
W=
( Ni − 1 + Pi )!
Pi !( Ni − 1)!
19
Possiamo quindi scrivere per l’entropia degli Ni oscillatori
Si = k ln
( N i − 1 + Pi )!
Pi !( N i − 1)!
29)
e per l’entropia totale
ST = ∑ Si
i
Planck a questo punto massimizzò la funzione
ST = ST ( Ei ) ,
imponendo
che l’energia totale del sistema di oscillatori fosse
E T = ∑ N i Ei
i
quindi
δ ( ∑ Si − µ ∑ N i Ei )
i
δ Ei
i
=0
con µ opportuno moltiplicatore di Lagrange.
Utilizzando la formula di Stirling ottenne
k
ξ
[ln( N i − 1 + Pi ) − ln( Pi )] − µ = 0
per Ni e Pi grandi si può trascurare l’unità presente nell’argomento del
logaritmo e a questo punto, ricordiamolo solo per semplicità di calcolo, Planck
pose per l’intervallo finito di energia delle celle ξ = hν ed usando
l’uguaglianza
Pi Ei
=
Ni ξ
E + hν
k
−µ =0
ln i
Ei
hν
ricavò
30)
Indicando con si l’entropia di un singolo oscillatore si ha
1 dsi
=
=µ
T dEi
20
Introducendo il valore di µ così ottenuto nella 30) otteniamo per l’energia
dell’oscillatore l’espressione
Ei=
hν
hν
e kT − 1
e quindi nuovamente la 28).
21
EINSTEIN E L’INTRODUZIONE DEL CONCETTO DI QUANTO DI
LUCE.
Quando l’introduzione della relazione
ξ = hν
cominciava a porre dei problemi
nel mondo scientifico, Planck puntò il suo interesse sulla nuova costante fisica
h, il cui significato fisico era sì da ricercare nei processi microscopici di
assorbimento ed emissione della radiazione da parte della materia ma pur
sempre nell’ambito della fisica classica.
Fu proprio Planck il primo a fornire, confrontando i dati sperimentali con quelli
teorici, il primo valore della costante di h.
Un significativo passo avanti venne compiuto nel 1905 da Einstein, per il quale
l’equazione ξ = hν poteva assumere il significato di una discretizzazione
dell’energia del campo elettromagnetico.
Partendo dalla legge di Wien, Einstein scrisse
hν
8πhν 3e kT
V
Eν =
3
c
−
31)
dove V è il volume della cavità del corpo nero.
Ottenendo per la densità spettrale di entropia la seguente espressione
− kEν
c 3Eν
Sν =
(ln
− 1)
3
hν
8πhν V
32)
facilmente ricavabile dalla relazione
dSν 1
=
dEν T
Einstein osservò che, tenendo fissa Eν e variando il volume otteneva una
variazione di Sν pari a
∆Sν = kEν
∆ lnV
hν
33)
22
simile alla variazione di entropia di n molecole di un gas, che esegue una
trasformazione a temperatura costante
∆S = nk∆ lnV
34)
Le due precedenti espressioni coincidono se si pone
Eν = nhν
35)
Praticamente nella regione delle alte frequenze la radiazione del corpo nero si
comporta come un gas di particelle aventi energia
hν ,
i quanti di luce; il
campo magnetico risulta quindi “quantizzato”.
“Ritengo che le riflessioni precedenti non siano affatto in contraddizione con la
teoria di Planck sulla radiazione; anzi, esse mi sembrano indicare che, nella
sua teoria, Planck ha introdotto nella fisica un nuovo elemento ipotetico:
l’ipotesi dei quanti di luce.”[18]
“Fin qui non si vede ancora alcuna rivoluzione. I fisici del 1905 potevano
accettare o rifiutare l’ipotesi del quanto di luce, semplicemente come una
curiosa proprietà della radiazione libera in equilibrio termico, priva di qualsiasi
conseguenza fisica. L’audacia straordinaria di Einstein sta nel passo che fece
dopo, che detto per inciso, gli fruttò il premio Nobel nel 1926: l’enunciazione
del principio euristico:
“Se una radiazione monocromatica (di densità sufficientemente bassa) si
comporta, rispetto alla relazione entropia-volume, come un mezzo discreto,
formato da quanti di energia di grandezza Rβν/N, è naturale chiedersi se le
leggi di emissione e di trasformazione della luce non siano anch’esse
strutturate come se la luce consistesse di quanti di energia di questo tipo.”
In altre parole, l’ipotesi del quanto di luce era un’asserzione su una proprietà
quantistica della radiazione elettromagnetica libera;...”[19]
Le principali differenze tra le impostazioni di Planck e Einstein si possono,
23
quindi, riassumere nei seguenti punti:
a) Planck aveva utilizzato la relazione tra la densità spettrale del campo u(ν,T)
e l’energia media dell’oscillatore E0, cioè l’equazione 21) ricavata dalla
meccanica e dall’elettrodinamica classiche.
b) Aveva introdotto una discretizzazione di E0 attraverso il passo statistico
descritto dalla distribuzione di elementi di energia tra gli oscillatori.
c) Se si accetta il punto b), che è estraneo alla teoria classica, allora non c’è
ragione di prendere per buona la 21), che è una conseguenza logica della
teoria classica.
d) Einstein aveva introdotto una quantizzazione per il campo elettromagnetico:
l’ipotesi del quanto di luce. Sorgeva allora il problema se si potesse stabilire
una relazione tra la quantizzazione di E0 da parte di Planck e la
quantizzazione del campo da parte di Einstein. Einstein propose di
considerare valida la 21) ed affermò che l’energia di un oscillatore
elementare poteva assumere soltanto valori multipli interi di hν e che
l’emissione e l’assorbimento di radiazione da parte della materia avveniva
attraverso una successione di atti elementari, in ognuno dei quali l’energia
scambiata era sempre la stessa e pari ad un quanto di luce hν.
24
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI.
[1] G. Kirchhoff, Ann. Phys. Chem. 109, 275 (1860). I riferimenti originali che
dora in avanti verranno menzionati, dove non espressamente indicato, sono
tratti dalle seguenti due opere:
A. Pais, Sottile è il Signore...., Bollati Boringhieri, 1991 e F. Hund, Storia della
teoria dei quanti, Bollati Boringhieri, 1980.
[2] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 388.
[3] F. Hund, Storia della teoria dei quanti, cit., pag. 20.
[4] Per la dimostrazione seguo il seguente testo: D. Sette, Lezioni di fisica vol.II
, 1976, pag. 360.
[5] Yu. B. Rumer e M. Sh. Ryvkin, Mir, 1980, pagg. 88-89-90.
[6] W. Wien, AdP 58, 662 (1896).
[7] W. Paschen, AdP 60, 662 (1897).
[8] O. Lummer e E. Pringsheim, Verh, Deutsch, Phys. Ges. 2, 163 (1900).
[9] H. Rubens e F. Kurlbaum, PAW, 1900, p.929.
[10] F. Hund, Storia della teoria dei quanti, cit., pag. 22.
[11] Una descrizione di quello che sto facendo si trova in A. Pais, Sottile è il
Signore, cit., pag. 393. Il lavoro originale di Planck per arrivare alla 21) è:
M.Planck, Uber Irreversible Strahlungsvorgange, in Annalen der Physik, 1
(1900), p.99 (vedi Albert Einstein, Opere Scelte, Bollati Boringhieri,1988, pag.
182 nota 4).
Io, perlomeno per la parte iniziale, ho seguito: J. D. Jackson, Elettrodinamica
classica, Zanichelli, 1984, pagg. 565-566-567.
Una bibliografia completa dei lavori di Planck si trova in A. Pais e F. Hund opp.
cit.
[12] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 398.
25
[13] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 398.
[14] Per questa parte e fino al concetto di interpolazione tra le espressioni di
Wien e Rayleigh faccio riferimento a F. Hund, Storia della teoria dei quanti, cit.,
pag. 22 e segg.
[15] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 399.
[16] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 399.
[17] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 392.
[18] A. Einstein, La teoria della generazione e dell’assorbimento della luce
(1906), pag. 185 in : Albert Einstein, Opere scelte, cit.
[19] A. Pais, Sottile è il Signore, cit., pag. 403. Il lavoro originale è : Albert
Einstein, Un punto di vista euristico relativo alla generazione e alla
trasformazione della luce (1905), pag. 118 in A. Einstein, Opere scelte, cit.