LA DIAGNOSI PRENATALE Ogni coppia ha un rischio di avere un figlio affetto da una malformazione, maggiore o minore, del 3%. Ciò significa che di 100 bimbi nati, 3 hanno una malformazione dalla nascita, che in alcuni casi non viene diagnosticata anche sino alla vita adulta. Questo rischio non è del tutto prevedibile o prevenibile, né prima né durante la gravidanza. Le malformazioni possono essere causate da difetti dei cromosomi, in particolare della loro struttura, o di modificazioni nel loro numero (aneuploidie/triploidie) o da alterazioni dei geni (malattie genetiche), o da anomalie di struttura o funzione d’organo non geneticamente rilevabili. Le malattie dei cromosomi sono responsabili di alcune sindromi cliniche, di cui le più conosciute sono la sindrome di Down, la trisomia 18, la trisomia 13 e le anomalie dei cromosomi sessuali. La sindrome di Down è dovuta alla trisomia (presenza di una copia in più) del cromosoma 21. In Italia 1 neonato su 700-1200 nasce con questa patologia, caratterizzata da un grado variabile di ritardo nello sviluppo mentale, fisico e motorio, oltre che dalla possibile presenza di alcune malformazioni congenite. Il rischio di avere un figlio affetto da malattie dei cromosomi come la sindrome di Down aumenta con l’aumentare dell’età materna: a 35 anni è di 1 su 250, a 40 anni di 1 su 40. La trisomia 18, nota anche come sindrome di Edwards, si associa ad elevata abortività. Neonati affetti da questa patologia hanno spesso difetti cardiaci congeniti, nonché altre condizioni patologiche che riducono la loro aspettativa di vita. Si stima che la trisomia 18 sia presente in 1 su 5000 nati. La trisomia 13, ovvero sindrome di Patau, si associa anch’essa ad elevata abortività. I neonati affetti hanno numerosi difetti cardiaci e la sopravvivenza oltre l’anno di età è rara. Si stima che sia presente in 1 su 16000 nati. Tra le aneuploidie che colpiscono i cromosomi sessuali (X e Y), la sindrome di Turner (X0) è la più conosciuta, colpisce solo le donne ed è caratterizzata da bassa statura, eventualmente associata a difetti cardiaci, renali, difficoltà nell’apprendimento e problemi di udito. La trisomia X (XXX), la sindrome di Klinefelter (XXY) e la sindrome di Jacobs (XYY) sono altre aneuploidie dei cromosomi sessuali. Le malattie dei singoli geni sono responsabili di molte patologie; non sono indagabili prima della nascita, vengono studiate esclusivamente in casi particolari analizzando il corredo genetico del feto (ad esempio nei feti concepiti da genitori portatori di talassemie). Non sono quindi diagnosticate con le tecniche classiche di diagnosi prenatale. In merito a tutto ciò, prima della nascita, la coppia può scegliere tra diversi tipi di indagini cliniche/strumentali: test di screening e test diagnostici. La decisione di eseguirle o meno è una scelta libera della coppia, e non è imposta dal ginecologo, dall’ostetrica né dal Sistema Sanitario Nazionale. La coppia dovrebbe comunque riflettere su quale sarebbe la decisione presa di fronte ad un risultato positivo per anomalia cromosomica. Si informa che la legge italiana consente l’interruzione di gravidanza per motivi legati allo stato psicofisico della donna in caso di dimostrata anomalia cromosomica fetale (legge 194/78), fino al 180° giorno di gravidanza, ma ovviamente non tutte le coppie decidono di ricorrere all’aborto volontario, e scelgono invece di proseguire la gravidanza. TEST DI SCREENING PRENATALE Sono esami non invasivi, quindi non implicano un rischio per la gravidanza e danno una stima personalizzata del rischio di avere un figlio affetto da sindrome cromosomica. La stima del rischio è ottenuta combinando le informazioni desunte da test sierologici e/o dall’esame ecografico con l’età materna e l’epoca gestazionale. I risultati sono classificati come positivi se uguali o superiori a un livello di soglia concordato (cut-off). In caso di risultato positivo al test alla donna viene offerta la possibilità di eseguire l’analisi diretta del DNA del feto tramite accertamenti diagnostici quali il prelievo dei villi coriali (primo trimestre) o l’amniocentesi (secondo trimestre). Attualmente esistono diversi metodi di screening, che possono essere effettuati nel primo trimestre, nel secondo trimestre o in entrambi. Tutti consistono in una ecografia al feto e in un prelievo del sangue materno. Attualmente il più utilizzato tra i test di screening è la misurazione della translucenza nucale, che può essere eseguita da sola (attendibilità 80%; falsi positivi 5%) o meglio in associazione con il dosaggio su siero materno di due ormoni (free-hCG e PAPP-A) e dell’età materna: TEST COMBINATO, BITEST O ULTRASCREEN. Quest’ultimo ha un’attendibilità del 90% con falsi positivi del 5%. Va eseguito nel primo trimestre in particolare tra la 11° e la 13+6 settimana gestazionale. In alternativa si informa che è possibile eseguire altri test, anche se meno diffusi: - nel secondo trimestre (tra la 15° e la 20° settimana gestazionale) vi sono il triplo test che consiste nel dosaggio nel sangue materno di 2 ormoni (alfa-fetoproteina ed uE3) con un’attendibilità del 60% e falsi positivi del 5% oppure il quadruplo test che aggiunge al precedente il dosaggio di un quarto ormone, l’Inibina-A, e ha un’attendibilità del 80% con falsi positivi del 6%. - il test integrato seguenziale associa i parametri del primo trimestre (translucenza nucale, dosaggio sierico di PAPP-A e hCG e età materna) a quelli biochimici del secondo trimestre (alfa-fetoproteina, uE3, inibina-A). Ha un’attendibilità del 90% e falsi positivi del 2.8% ma l’esito si ha solo al termine di tutta la procedura ovvero nel secondo trimestre. Tutti questi test si possono eseguire in molte strutture del Sistema Sanitario Nazionale con ricetta regionale al costo del ticket, associando il costo del prelievo del sangue. Se si sceglie di eseguire questo esame è consigliato attivarsi con adeguato anticipo contattando il proprio Curante o gli ospedali presso i quali è attivo il servizio, che generalmente prevedono anche un esaustivo colloquio informativo alla coppia. Chi non riuscisse per vari motivi a usufruire del SSN, ma desidera eseguire comunque i suddetti test, può rivolgersi al settore privato, in quanto l’epoca gestazionale di esecuzione è fondamentale per l’attendibilità degli stessi. Un altro test prenatale non invasivo, di recente introduzione e pertanto non ancora validato da tutte le società scientifiche e dal Ministero della salute italiano, è l’individuazione di cromosomopatie attraverso l’analisi del DNA fetale libero nel sangue materno. Questo test analizza il DNA fetale circolante nel sangue materno, normalmente presente durante la gravidanza a partire dalla 5° settimana di gestazione. Viene eseguito mediante prelievo di un campione di sangue della madre a partire dalla 10a settimana gestazionale, e, tramite un’analisi complessa di laboratorio, viene isolato il DNA fetale nel sangue materno al fine di identificare eventuali aneuploidie cromosomiche (esclusivamente relative ai cromosomi 21, 18, 13 e dei cromosomi sessuali, X e Y). Anche questa analisi non è sostitutiva della diagnosi prenatale invasiva e in caso di positività dell’esito è necessario eseguire la villocentesi o l’amniocentesi (in base all’epoca gestazionale) per avere una certezza diagnostica. L’attendibilità del test è del 99.5% – 99.8%, con una percentuale di falsi positivi < 0.1%. Questo esame viene eseguito da numerosi centri in Italia, ma non è dispensato dal Sistema Sanitario Nazionale, pertanto il costo è totalmente a carico dei genitori. DIAGNOSI PRENATALE INVASIVA Il Sistema Sanitario Nazionale offre gratuitamente la diagnosi prenatale invasiva alle pazienti a più elevato rischio di anomalie cromosomiche quali: • età materna superiore a 35 anni, • aumentato rischio di patologia cromosomica evidenziato all’ecografia o con i test di screening prenatale non invasivi, • precedente figlio affetto da anomalia cromosomica, • genitori portatori di alterazioni cromosomiche; inoltre in caso di rischio per alcune malattie ereditarie può essere effettuata l’analisi del DNA. Chi non rientra nelle categorie sopraelencate, ma desidera eseguire comunque le indagine di diagnosi prenatale, può rivolgersi al settore privato. Le tecniche di diagnosi prenatale sono invasive e consistono nel prelievo di cellule di origine fetale, dalle quali si estrae il DNA fetale da cui, con certezza, si identificano le anomalie cromosomiche. Sono due: villocentesi e amniocentesi. Il PRELIEVO DEI VILLI CORIALI o VILLOCENTESI si effettua solitamente alla 11ma 13ma settimana (PRIMO TRIMESTRE) di gravidanza e consiste nel prelievo di villi coriali, cellule di origine fetale che si trovano nella placenta. L’AMNIOCENTESI prevede il prelievo di una piccola quantità di liquido amniotico, all’interno del quale sono presenti cellule del feto, e si esegue tra la 15ma e la 17ma settimana (SECONDO TRIMESTRE) di gravidanza. Entrambi gli esami si effettuano in regime ambulatoriale: sotto guida ecografica, si procede al prelievo mediante infissione di un ago attraverso la parete addominale. Dopo la procedura viene controllata la presenza del battito cardiaco fetale e la paziente torna al domicilio senza alcuna terapia. Viene generalmente consigliato un riposo di alcuni giorni. I risultati dell’analisi dei cromosomi sono disponibili entro 3 settimane dal prelievo. La villocentesi e l’amniocentesi forniscono un risultato di certezza in merito alle anomalie cromosomiche, ma comportano un rischio aggiuntivo di aborto, rispetto a quello di base, pari all’1%. Se la coppia desidera eseguire uno degli esami di diagnosi prenatale invasiva lo può richiedere con adeguato anticipo, e verrà inviata ad un colloquio informativo. Chi non rientra nelle categorie sopraelencate, ma desidera eseguire comunque le indagini di diagnosi invasiva, può rivolgersi al settore privato.