Reni «costruiti» in laboratorio Remuzzi: è il nostro obiettivo

Reni «costruiti» in laboratorio
Remuzzi: è il nostro obiettivo
Uno dei laboratori di ricerca dell'Istituto Mario Negri
K K B L'obiettivo finale è costruire un rene in laboratorio: un
sogno per tanti pazienti in dialisi
che aspettano da anni un trapianto.
Venerdì sera l'Aned (Associazione
nazionale emodializzati dialisi e
trapianto) ha organizzato all'Auditorium di piazza della Libertà un incontro per parlare di ricerca scientifica nel campo della nefrologia,
un settore in cui Bergamo è all'avanguardia.
In Italia ci sono circa 7 mila pazienti in lista d'attesa e si fanno
circa 1.500 trapianti l'anno, i
dializzati sono più di 50 mila,
con costi molto alti per il Servizio sanitario nazionale. «Il primo obiettivo è evitare, o rimandare il più possibile, la dialisi spiega Ariela Benigni, capo dipartimento di Medicina molecolare all'Istituto Mario Negri
di Bergamo -, abbiamo farmaci che impediscono alla malattia renale di progredire e in certi casi permettono addirittura
al rene di rigenerarsi». Ma a
volte questo non basta e bisogna percorrere strade alternative sia nel campo della chirurgia, come il doppio trapianto di
rene - eseguito per la prima
volta in Italia a Bergamo nel
1997 dall'equipe di Giuseppe
Locatelli -, sia nel campo della
ricerca. Giuseppe Remuzzi, direttore dell'Istituto Mario Negri di Bergamo e del dipartimento di Immunologia e clinica dei trapianti agli Ospedali
Riuniti, è intervenuto all'incontro Aned sul tema «Sostituire le
funzioni del rene: da dove siamo partiti e dove vorremmo
(forse) arrivare», una bella relazione divulgativa dagli albori
della nefrologia alle ultime
frontiere della ricerca.
Nuove frontiere
«Credo che arriveremo a produrre reni e altri organi in laboratorio grazie a materiali artificiali che non causeranno riget-
to - è il parere di Giuseppe Remuzzi - naturalmente è difficile prevedere quando sarà possibile, se tra dieci, quindici o
vent'anni».
Intanto la sperimentazione
al Mario Negri segue diverse
strade: «Per fare ricerca ci vuole fantasia, e a me non manca racconta Christos Xinaris, ricercatore cipriota all'Istituto
bergamasco -, mi occupo dello
sviluppo di tessuti renali per sostituire il rene danneggiato da
malattie croniche. Siamo arrivati a produrre in laboratorio i
nefroni. cioè le unità filtranti
del rene, che potrebbero essere
usati per un mini-trapianto».
La sperimentazione, per ora,
avviene solo su animali, indispensabili per ogni ricerca sui
trapianti. Il prossimo obiettivo
è ottenere gli stessi risultati con
un nefrone «chimera», ottenuto da cellule embrionali di topo
aggregate a cellule renali umani, per ottenere un tessuto che
possa essere usato sull'uomo.
Cellule nuove
Ma la chimera non è l'unico
progetto in cantiere. Andrea
Remuzzi, capo del Dipartimento di Bioingegneria dell'Istituto Mario Negri, sta lavorando
su un'altra idea: mantenere l'architettura del rene malato sostituendo le sue cellule con altre, prese dalla pelle dello stesso paziente. «Il concetto è tenere l'impalcatura, che sarebbe
ben difficile realizzare in laboratorio, e ripopolarla con cellule staminali che sono naturalmente portate a differenziarsi
a seconda della matrice che incontrano, in questo caso il re-
ne», spiega l'ingegnere Remuzzi. Le cellule pluripotenti si
prendono direttamente dal paziente, dalla pelle o dal midollo
osseo, e quindi non ci sarebbe-
ro nemmeno problemi di rigetto. «Non è detto che questa sia
una soluzione per i trapianti conclude Andrea Remuzzi - ,
ma anche solo vedere come si
adattano le cellule in questo rene bio-artificiale è rilevante per
gli studi di medicina rigenerativa». •
Marina Marzulli