Funziona il rene «riciclato» in laboratorio

Funziona il rene «riciclato» in laboratorio
UNA VOLTA TRAPIANTATO L'ORGANO HA RIPRESO A FUNZIONARE
Alcuni ricercatori sono riusciti a riportare in funzione il rene di un topo impiantando in esso nuove cellule e
ripulendolo
MILANO - Filtra il sangue e produce urina, le fondamentali funzioni renali.
Ma per il momento la grande rivoluzione riguarda solo i topi. La possibilità
di costruire reni in laboratorio è improvvisamente più vicina e la medicina
rigenerativa sta cambiando anche la nefrologia, grazie a un'innovativa
tecnica sperimentata dai ricercatori di Boston su cavie da laboratorio.
LO STUDIO - Innanzitutto è bene ricordare che il rene è l'organo
trapiantabile del quale vi è più richiesta al mondo, basti pensare che negli
Usa sono circa 100mila le persone in attesa di trapianto, ma ogni anno
vengono eseguiti all'incirca solo 18mila interventi. Lo studio del
Massachusetts General Hospital, pubblicato su Nature Medicine, descrive la tecnica che ha portato alla
creazione in laboratorio di un rene che, trapiantato su animali, funziona e produce urina. I ricercatori
sottolineano che la funzionalità è ridotta rispetto a un organo naturale, ma al tempo stesso sostengono di
avere imboccato la strada giusta: quella della medicina rigenerativa.
LA TECNICA- La tecnica messa a punto nei laboratori americani prevede di utilizzare un rene vecchio,
privato di tutte le cellule malfunzionanti, in modo da ottenere una struttura a nido d'ape che viene integrata
con cellule del paziente stesso. Due i vantaggi: il primo riguarda l'eliminazione degli immuno-soppressori
utilizzati a vita dai trapiantati e la seconda riguarda i molti organi inutilizzabili per i trapianti, ma che
potrebbero servire come struttura base. Gli studiosi americani hanno provveduto a decellularizzare reni di
topo, maiale e uomo grazie a una tecnica di perfusione detergente, ottenendo una struttura acellulare con
la normale dotazione vascolare, corticale e midollare. Per rigenerare il tessuto renale sono state utilizzate
cellule epiteliali ed endoteliali che hanno rimpiazzato le cellule eliminate.
FUNZIONALITÀ RIDOTTA- Dopo 12 giorni in un bioreattore che ha simulato le normali condizioni
dell'organismo di un topo, il risultato è stato un rene in grado di produrre urina sia "in vitro" (con una
funzionalità pari al 23 per cento rispetto a un organo sano) che "in vivo" (trapiantato nei topi, la
funzionalità scende al 5 per cento). Secondo il capo-ricercatore Harald Ott questo non deve però
scoraggiare poiché «una funzionalità tra il 10 e il 15 per cento potrebbe consentire a molti pazienti di
rendersi indipendenti dall'emodialisi». Inoltre la peculiarità di questa tecnica è che l'architettura dell'organo
originario viene preservata, e così l'organo ottenuto può essere trapiantato come un normale rene di
donatore e connesso al sistema vascolare e delle vie urinarie del destinatario. È d'altro canto evidente
che molte sono ancora le incognite su un possibile e auspicabile impiego di questa tecnica sugli esseri
umani. Agli scienziati spetta infatti il compito di migliorare la funzionalità del rene ottenuto in laboratorio e
accertare che questa sia costante anche nel lungo periodo. Inoltre le dimensioni del rene umano
(decisamente più grande di quello dei topi) potrebbero rappresentare un ostacolo all'esatto
posizionamento delle nuove cellule all'interno dell'organo.
REM UZZI: «IDEA VINCENTE» - Abbiamo sentito il parere del professor Giuseppe Remuzzi, primario
dell'unità operativa di nefrologia e dialisi degli Ospedali Riuniti di Bergamo e coordinatore delle ricerche
per l'Istituto Mario Negri, il quale ha definito la linea di ricerca del Massachusetts General Hospital di
Boston molto promettente e sostanzialmente simile a un progetto portato avanti dallo stesso Istituto Mario
Negri: «C'è un finanziamento europeo su questa linea di ricerca che interessa il nostro stesso istituto,
impegnato in un progetto simile a quello di Boston, a eccezione del fatto che noi stiamo utilizzando invece
cellule progenitrici (anziché adulte), da noi considerate più adatte». «Nonostante il recupero della
funzionalità del rene sia ancora un obiettivo lontano - aggiunge Remuzzi -, l'idea che si possa utilizzare
l'architettura di un rene e ripopolarla di cellule nuove è vincente e soprattutto in un futuro si può
considerare l'idea di usare lo stesso rene malato del paziente. E pensare che le prime volte che abbiamo
ipotizzato una sperimentazione simile ci siamo sentiti dare dei visionari». Il percorso è lungo, ma
promettente insomma e l'obiettivo è rivoluzionario: fare in modo che la dialisi entri a far parte della storia
della medicina.