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Medicina In «Siamo geni» (Sperling & Kupfer) Giuseppe Remuzzi descrive le meraviglie del Dna
Una moderna lampada di Aladino
Il cammino senza fine della scienza
Giulio Giorello
a lampada di Aladino è la conoscenza; se un impero crolla, la luce della lampada si affievolisce
per tornare a risplendere da
un'altra parte, dove una nuova
civiltà l'accoglie e la diffonde».
Giuseppe Remuzzi, medico
chirurgo che coordina le attività di ricerca dell'Istituto Mario Negri di Bergamo, nel suo
libro Siamo geni (Sperling &
Kupfer) sostiene che la scienza
è sostanzialmente una, anche
se si presenta in molteplici
forme. E allo scopo riprende la
vicenda del sapiente musulmano Ibn al Haytham (Alhazen, 965-1039). Questi, deluso
dal pullulare di tante diverse
religioni, cercò la verità prima
nella matematica, poi nelle
scienze della natura. Fu così
che comprese «che la scienza
non va avanti con le teorie e i
preconcetti: servono i dati e
poterli riprodurre. Poi bisogna
saper descrivere i risultati con
tutti i possibili dettagli perché
altri siano in grado di ripetere
gli esperimenti».
In particolare, nel suo Libro
dell'ottica Al Haytham riuscì
«a dimostrare che la visione è
il risultato della luce che entra
da un oggetto e riesce ad arrivare fino all'occhio». Duecento
anni dopo Ruggero Bacone,
che lavorava a Oxford, nel suo
Opus maius poteva avvantaggiarsi di quel lavoro perché conosceva l'arabo. «L'Islam ha
portato scienza e medicina in
Europa», potendo sfruttare
l'opera di traduzione, commento e reinterpretazione dei
testi greci a Bagdad. E intanto
che cosa faceva l'Europa? Soprattutto guerre e massacri.
C o m m e n t a Remuzzi che
L
«adesso tocca a noi contribuire al rilancio del mondo arabo.
Con umiltà, e senza pretendere che succeda subito. Loro ci
hanno impiegato sette secoli
per riportare noi al passo con
le conoscenze».
Per chi lavora in biologia e
medicina la lampada di Aladino è oggi un intreccio assai
potente di genetica, biochimica e biologia molecolare.
Nel lontano 1909 il danese
W. L. Johannsen aveva proposto il termine gene per indicare «ciascuna delle particelle
organiche determinanti uno o
più caratteri ereditari di un individuo». Pressoché un secolo
dopo, «il 26 giugno del 2000
Bill Clinton annuncia al mondo che la sequenza del genoma (l'insieme di tutti i geni
che stanno nel Dna del nucleo
delle cellule) umano era stata
completata. Vicino a lui alla
Casa Bianca quel giorno ci sono Francis Collins e John Craig
Venter, iveri artefici di quel gigantesco sforzo». Collins è stato il primo a farsi sequenziare
il Dna, e Remuzzi ci racconta
di aver avuto la stessa idea. Dopo varie peripezie, l'impresa è
andata in porto. Una buona
notizia: «Ho una variante di un
gene che mi consente di apprezzare l'amaro della birra
più di quanto succede ad altri». E una cattiva: «Ho una variazione genetica che non consente di trarre vantaggio dagli
aspetti favorevoli del vino rosso».
Battute a parte, le variazioni
del Dna sembrano influire per
circa un 20 per cento, e «non
sono certamente tutto». Contano di più i geni o l'ambiente?
Non solo per la predisposizione alle malattie — nonché nella passione per la buona birra
ISTITUTO MARIO NEGRI
—, ma anche nei più svariati
contesti che ora la ricerca sperimentale esplora in modo
sempre più sistematico. Dal
piacere della musica alle scelte
della politica: «Le nostre idee
su welfare, immigrazione, matrimoni gay e persino se si
debba spendere molto o poco
in armamenti potrebbero dipendere dai geni (e anche da
certi ormoni e dalle proteine
che regolano la trasmissione
dei segnali tra cellule nervose)». Di conseguenza non possiamo escludere che «un giorno qualcuno voglia sfruttare la
neurobiologia per fini elettorali».
Conclude Remuzzi che col
procedere della ricerca «ci si
rende conto che non ci sono
comportamenti che dipendono dai geni e comportamenti
che dipendono dall'ambiente;
piuttosto, ci sono predisposizioni genetiche che consentono in circostanze ambientali
particolari di sviluppare certi
modi di fare piuttosto che altri, ed è vero anche il contrario. Capita che l'ambiente possa influenzare attraverso modifiche che i medici chiamano
epigenetiche l'espressione di
certi geni, e ciò si traduce in
comportamenti diversi a seconda delle circostanze».
Questa non è una sconfitta,
ma una sfida. Sempre più ci
accorgiamo che diffondere la
luce della nostra «lampada di
Aladino» è realizzare il tipo
migliore di globalizzazione
oggi possibile. È stato dimostrato che «investire un dollaro in salute ne porta tre in crescita economica». Non è un
calcolo difficile: con un po' di
buona volontà potrebbero arrivarci anche i politici.
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Interazioni
e altre preferenze
Le nostre idee politiche potrebbero dipendere
da fattori biologici
L'autore
• Nel volume
Siamo geni
(Sperling &
Kupfer, pagine
198, €16)
Giuseppe
Remuzzi (nella
foto Imagoeconomica)
propone ai
lettori una
sorta di
itinerario nel
corpo umano
• Medico
specializzato in
Ematologia e
Nefrologia,
Giuseppe
Remuzzi
coordinale
attività di
ricerca
dell'Istituto
Mario Negri di
Bergamo
• Firma del
«Corriere della
Sera», membro
dei comitati di
redazione della
riviste
«Lancet»e
«NewEngland
Journal of
Medicine»,
Remuzzi è
autore di molte
pubblicazioni
scientifiche
i*
Le prospettive d'intervento per la «riparazione» del Dna in un'illustrazione del disegnatore Alberto Ruggieri
ISTITUTO MARIO NEGRI