Da Galileo ad Hubble, l`universo visto da vicino

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Di Giovanni Bignami
Creato il 05/02/2010 - 19:05
Astronomia
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Anteprima:
Quando scriviamo i risultati delle nostre ricerche e prepariamo articoli
da sottoporre al vaglio delle riviste internazionali, dovremmo tornare un
attimo indietro nel tempo e pensare al momento in cui Galileo Galilei
portò il suo manoscritto al tipografo Baglioni a Venezia, alla fine di
febbraio 1610. Quelli che dovevano giudicare se il suo Sidereus
Nuncius fosse adatto alla pubblicazione rappresentavano la Santa
Inquisizione.
Miniatura:
elt-telescope.jpg [1]
Autore: GIOVANNI BIGNAMI
Quando scriviamo i risultati delle nostre ricerche e prepariamo articoli da
sottoporre al vaglio delle riviste internazionali, dovremmo tornare un attimo
indietro nel tempo e pensare al momento in cui Galileo Galilei [2] portò il
suo manoscritto al tipografo Baglioni a Venezia, alla fine di febbraio 1610.
Quelli che dovevano giudicare se il suo Sidereus Nuncius – un breve
trattato basato sulle prime osservazioni fatte al telescopio – fosse adatto
alla pubblicazione rappresentavano la Santa Inquisizione.
Galileo sapeva che quei giudici non solo avrebbero rifiutato quello che a
loro non piaceva ma l’avrebbero anche invitato a rispondere a qualche
domanda; ma quella volta fu fortunato. Grazie al nulla osta dell’Inquisitore
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locale, il primo Marzo 1610, il Maggior Consiglio di Venezia, diede il suo
consenso.
Pochi sanno che allora Galileo (con Baglioni) corse un rischio enorme.
L’entusiasmo spinse Galileo ad aggiungere al testo osservazioni compiute
fra il 27 febbraio e il 2 Marzo che, ovviamente, non avevano potuto passare
il vaglio dell’Inquisizione. Ma le nuove osservazioni avevano un
profondissimo significato: per la prima volta da quando aveva iniziato le
sue osservazioni di Giove il 7 gennaio, una piccola stella “fissa” era
entrata nel campo di vista dello strumento. Gli schizzi di Galileo mostrano
chiaramente la stella che fa da punto di riferimento mentre Giove transita
nel cielo trascinandosi i suoi satelliti. Questa scoperta avrebbe
sicuramente rischiato di scatenare l’ira dell’Inquisizione.
A quel punto, Galileo doveva essere occupatissimo a finalizzare il suo
lavoro, curando ogni dettaglio, ad esempio la riproduzione delle immagini
della Luna [3] come l’aveva dipinta nel 1609. Uno degli artisti di Baglioni
cercò di riprodurre i bellissimi acquarelli di Galileo con incisioni su legno,
ma, probabilmente per la troppa fretta, l’artigiano non fece un gran lavoro.
Per fortuna, gli originali sono stati conservati e rivelano il talento
eccezionale di un vero figlio del Rinascimento Fiorentino.
Il 13 marzo 1610, 550 copie del Sidereus Nuncius erano pronte per
documentare l’inizio coraggioso di una nuova era, quella dell’astronomia
con il telescopio. Dopo pochi anni, grazie ad Isaac Newton (nato nel 1642,
l’anno della morte di Galileo) e Gian Domenico Cassini (1625-1712),
furono costruiti telescopi più grandi e di migliori prestazioni che svelarono
all’umanità un universo sempre più grande: dal sistema solare alle stelle,
dalle stelle alla nostra Galassia e da lì verso l’universo popolato da tante
galassie quante sono le stelle nella nostra, circa 100 miliardi.
Negli ultimi 400 anni, i telescopi ci hanno fatto capire come funzionano le
stelle, mettendo in evidenza che il genere umano e tutto quello che
vediamo sono polvere di stelle. È vero che la nascita delle prime stelle
nell’universo, circa 13 miliardi di anni fa, non è stata ancora documentata,
ma ci stiamo lavorando. Lo Extremely Large Telescope Europeo (E-ELT),
ad esempio, dovrebbe fare questo lavoro. Con uno specchio di più di 40
metri (a confronto con le lenti di solo 4 centimetri di Galileo), E-ELT si
avvicinerà al massimo di quello che possiamo costruire per fare
osservazioni ottiche. Anche i radioastronomi stanno pensando in grande e
pianificano di coprire una superficie di 1 km quadrato con antenne per fare
fare alla radioastronomia un salto di qualità.
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Negli ultimi 40 anni, abbiamo utilizzato i telescopi nello spazio per studiare
“l’astronomia dell’invisibile” che avrebbe sfidato le conoscenze di Galileo.
È difficile chiamare telescopi gli strumenti basati sui contatori Geiger che
Riccardo Giacconi e i suoi colleghi montarono su un missile nel 1962.
Tuttavia con questi contatori furono scoperte le prime sorgenti cosmiche
dei raggi X. I telescopi X che usiamo oggi utilizzano degli specchi speciali
per focalizzare i fotoni X e presto il numero delle sorgenti X del cielo
supererà il mezzo milione.
Dieci anni dopo l’astronomia a raggi X è nata l’astronomia dei raggi
gamma. I fotoni gamma sono impossibili da focalizzare ed è quindi molto
più difficile costruire telescopi capaci di fare immagini del cielo gamma. Ma
le difficoltà possono essere superate e oggi, grazie agli strumenti a bordo
di Agile e Fermi, abbiamo localizzato più di 1.000 sorgenti di raggi gamma.
Alcune di queste sono stelle di neutroni simili a Geminga che emettono
solo radiazione gamma. Il cielo gamma è anche popolato da sorgenti molto
brillanti ma dalla vita brevissima. Si chiamano lampi di raggi gamma e ci
vogliono dei telescopi speciali per poterli rivelare e studiare.
I telescopi nello spazio hanno arricchito il panorama astronomico con
moltissime altre scoperte: pensiamo al Telescopio Spaziale Hubble, lo
strumento astronomico più produttivo e sicuramente anche il più amato dal
pubblico. Da qualche mese è operativo in orbita anche Planck, un
telescopio che deve studiare l’universo appena nato, quando aveva solo
circa 300.000 - 400.000 anni ed era poco più grande della nostra
Galassia. La radiazione dell’universo bambino è misurabile solo nelle
microonde. L’immagine costruita con questi antichissimi fotoni cosmici
rivela delle piccolissime fluttuazioni che sono responsabili dell’universo
che noi conosciamo.
Che genere di telescopi possiamo aspettarci per il futuro? Galileo e
Newton ci consiglierebbero di esplorare l’ignoto, alla scoperta della parte
ancora sconosciuta dell’universo non elettromagnetico dei neutrini e delle
onde gravitazionali. Sappiamo che le onde gravitazionali esistono e
sappiamo come potremmo rivelarle, peccato che le difficoltà pratiche non
ci abbiamo ancora permesso di riuscire a misurarle. D’altra parte i neutrini
sono stati osservati sia dal Sole sia da una supernova, utilizzando dei
particolari rivelatori. Anche rivelare i neutrini è molti difficile: I rivelatori
sono immersi nel ghiaccio dell’Antartide o nelle profondità del mare, altri
usano addirittura tutta la terra.
È difficile immaginare un telescopio ancora più grande eppure puntiamo
sempre più in alto. I telescopi come E-ELT, di un km quadrato, e i futuri
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telescopi spaziali sono degni discendenti dello specillum di Galileo e
continuano a guardare lo stesso cielo.
Giovanni Bignami [4]
Fisica, past president Agenzia Spaziale Italiana
Astronomia
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Collegamenti:
[1] http://www.lascienzainrete.it/files/elt-telescope.jpg
[2] http://www.lascienzainrete.it/node/360
[3] http://www.lascienzainrete.it/node/305
[4] http://www.lascienzainrete.it/Giovanni-Bignami
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