Le parabole nel Corano A cura di Barbara Pagliari Capitolo I° L’autore ci accompagna in uno zigzagante excursus che inserisce la parabola (vocabolo di derivazione greca che significa paragone, similitudine, avvicinamento) non solo nella tradizione islamica e cristiana ma in quella di tutte le antiche religioni della storia dell’umanità. L’Oriente, nomadico e aniconico, a fronte di un Occidente sedentario e iconico, ha sempre usato la parabola per veicolare verità profonde. Nel Vangelo sono presenti 42 parabole, come nel Corano. La parabola nel Corano opera il tentativo di descrivere l’Indescrivibile ossia Dio e vuole trasmettere insegnamenti riguardanti i comportamenti idonei al raggiungimento del Regno dei Cieli. L’autore ci fa notare che nel variegato mondo islamico l’arabo è la lingua del Corano e quindi della religione e della legge che ne deriva, mentre il persiano è la lingua della letteratura e della cultura e il persiano e il turco sono le lingue in cui si è espressa la tradizione mistica. Nel Corano sono ricordate anche le parabole dell’Antico Testamento (meno numerose che nel Vangelo) e del Vangelo quasi a dire non una dipendenza ma la continuità della Rivelazione. L’autore ci parla della somiglianza tra le parabole del Vangelo e quelle del Corano sostenendo che questo accade non perché nel Corano ci sia imitazione, ma perché quando si parla di Dio - i linguaggi si somigliano. Viene inoltre espresso che la fede è la spinta verso Dio e le religioni sono il modo diverso di esprimerla. Nel primo capitolo vengono citati passi del Corano che invitano alla tolleranza religiosa e condannano l’uso della forza per imporre la religione; viene anche introdotto il Sufismo, poi approfondito in altre parti del libro. Il Sufismo, ala mistica dell’Islam, viene a ragione presentato come una delle tradizioni più aperte nei confronti delle altre religioni. Citazioni di opere e versi di alcuni grandi della tradizione sufi. Capitolo II° Nel secondo capitolo l’autore parla delle descrizioni del paradiso nel Corano e fa notare come esso venga esplicitamente destinato a uomini e donne. Inoltre argomenta attraverso le parole di un teologo islamico contro i detrattori dell’Islam che ritengono il paradiso musulmano solo un luogo di delizie materiali, facendo notare la somiglianza tra il paradiso coranico e il paradiso terrestre biblico. Da molti teologi sunniti e dai mistici la descrizione del paradiso viene poi considerata in senso simbolico e a sostegno di ciò vengono citati versetti e aneddoti di tradizione islamica. Vengono espressi altri parallelismi, sempre citando i brani delle diverse tradizioni, tra Antico Testamento, Vangelo e Corano. Si fa vedere come frequentemente gli elementi presi in prestito dalla natura per la costruzione di parabole siano gli stessi (es. l’acqua) e come anche nel Corano la malattia del corpo (cecità, sordità) sia usata per parlare della malattia dell’anima. Viene fatto notare come anche in altri passi si riscontri una sorprendente concordanza di insegnamenti tra Vangelo e Corano, ad esempio quando il testo islamico invita gli uomini a non vanificare la carità fatta al povero con modi altezzosi o con l’esibizione del gesto. Capitolo III° Il capitolo III° riguarda le parabole del profeta. Maometto unì la missione profetica alla funzione di giudice. Il Corano parla di ciò che deve fare il buon musulmano ma non ne specifica le modalità. Sorse quindi una scienza teologica che raccolse i “Detti” del Profeta, le sue azioni e quelle delle persone a lui vicine. Questi racconti costituiscono la “Sunna” (la via). Maometto fu il primo “Califfo”. Nel 680, per una questione di successione del Califfato, avvenne la divisione tra Sunniti e Sciiti. I Sunniti accettarono la Sunna, gli Sciiti la rifiutarono. Negli anni la divisione si rafforzò soprattutto sul piano culturale in quanto gli Iraniani si consideravano eredi di grandi civiltà mentre reputavano gli abitanti della penisola arabica sprovvisti di tradizione culturale rilevante. I Detti sono raccolti in sei opere scritte dai più eminenti teologi del primo periodo dell’Islam. E’ importante la distinzione tra i Detti e il Corano, distinzione resa evidente anche dal divario di contenuto. Anche qui comunque troviamo sorprendenti analogie con le parole dell’Antico Testamento, del Vangelo, dei Canoni Buddisti, del Granth Mahal Sahib, dei Sikhe i Detti sacri dei Jainisti. Capitolo IV° I Sufi sono i mistici dell’Islam e sono suddivisi in Ordini. Secondo l’autore è auspicabile che il Sufismo venga conosciuto dai non musulmani ma anche all’interno dello stesso mondo islamico. Nasce in Asia centrale da una progredita lettura del Corano e viene diffuso dai Turchi in tutto il mondo islamico. L’etica sufi afferma che la religione non può essere usata come politica: la religione eleva, la politica corrompe. Il Sufismo si contraddistingue per la tolleranza che mostra nei confronti di ogni pensiero diverso dal proprio e per la grande importanza data alle idee di libertà, uguaglianza e fratellanza universali. Il Sufismo alle sue origini venne perseguitato da religiosi corrotti o integralisti. Al Hallaj, uno dei grandi poeti mistici dell’umanità, fu nel 922 vittima di tali persecuzioni. Il Sufismo è molto legato alla figura di Gesù che è protagonista di una miriade di narrazioni della tradizione sufi. Attraverso di lui vengono dati molti insegnamenti. In questo capitolo vengono presentate nel concreto alcune parabole della tradizione sufi. Capitolo V° Grandi poeti mistici sufi furono Rumi del XIII° secolo, Nasali dello stesso periodo e, in tempi più vicini, Al Kader (1800). Tutti i loro scritti, in cui parabole e similitudini trovano grande spazio, sono tesi a diffondere pensieri improntati all’amore universale. I diversi brani presentati nel libro tratti dalle loro opere ce ne danno dimostrazione.