UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Farmacia Corso di Laurea in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche STUDIO DEL MECCANISMO D’AZIONE DEL 17β-ESTRADIOLO SULL’ATTIVAZIONE DI NF-κB Relatore: Chiar.mo Prof. Adriana MAGGI Correlatore: Dott. Elisabetta VEGETO Tesi di Laurea di: Alessandro GUERINI ROCCO Matr. Nr. 561917 ANNO ACCADEMICO 2003/2004 alla musica degli Dei INDICE Pagina INTRODUZIONE 1 1) Estrogeni e i loro recettori 1 2 5 8 Sintesi Struttura dei recettori degli estrogeni Isoforme dei recettori degli estrogeni 2) Meccanismo d’azione degli estrogeni Via classica ligando-dipendente a) Coattivatori b) Corepressori c) Fosforilazione Via ligando-indipendente Via ERE-indipendente Via non genomica a) ER e PI3K b) I recettori di membrana degli estrogeni 3) Infiammazione Tipi di infiammazione Cause dell'infiammazione Le cellule della risposta infiammatoria immediata a) I granulociti neutrofili b) I monociti/macrofagi Mediatori dell'infiammazione 4) Il fattore nucleare κB (NF-κ κB) Classificazione dei membri di NF-κB Attivazione di NF-κB a) L’inibitore di NF-κB e le chinasi IKK b) Fosforilazione di NF-κB c) Acetilazione di NF-κB Geni regolati da NF-κB NF-κB e l'infiammazione i 13 13 14 16 19 20 22 24 25 26 29 29 30 31 32 33 36 44 44 47 49 51 54 55 56 Farmaci che agiscono su NF-κB NF-κB ed LPS 58 59 5) Estrogeni ed infiammazione del sistema nervoso 62 63 Estrogeni e patologie a componente infiammatoria del sistema nervoso a) La sclerosi multipla b) La leucodistrofia a cellule globoidi c) L'artrite reumatoide d) L'ischemia cerebrale e) La malattia di Alzheimer Estrogeni ed infiammazione cerebrale sperimentale Estrogeni ed infiammazione del sistema nervoso in modelli cellulari Estrogeni ed NF-κB 63 69 71 73 76 78 79 80 SCOPO DELLA TESI 83 MATERIALI E METODI 84 1) Colture cellulari 84 84 86 86 86 87 88 89 Condizioni di crescita Terreni per colture cellulari a) DMEM con rosso fenolo + 10% FBS b) MEM con rosso fenolo + 10% FBS c) RPMI 1640 con rosso fenolo + 10% FBS d) RPMI 1640 + 10% FBS-DCC e) Strippaggio del siero DCC 2) Preparazione di estratti proteici da lisati cellulari Procedimento Soluzioni a) Lysis buffer per estratti totali di proteine cellulari b) Lysis buffer per estratti citosolici di proteine cellulari c) Lysis buffer per estratti nucleari di proteine cellulari d) TEN buffer e) PBS 10X Determinazione delle proteine con il metodo di Bradford ii 90 90 91 91 91 91 92 92 92 3) Western blot Procedimento Immunodetezione Soluzioni per western blot ed immunodetezione a) Acrilammide 30% b) 7,5% separating gel PAGE c) 4% stacking gel PAGE d) Running buffer 5X e) Running buffer 1X f) Laemmli buffer 3X g) Blotting buffer h) TBS buffer i) Blocking solution l) Stripping solution Anticorpi usati nelle western blot 93 93 94 96 96 96 96 96 96 97 97 97 97 97 97 a) Soluzione di blocco b) Soluzione per anticorpi c) Soluzione di lavaggio d) Soluzione di avidin-biotin horseradish peroxidase complex e) Soluzione di 3,3'-diamminobenzidina 98 98 98 99 99 100 100 100 100 100 101 5) Schema dei trattamenti delle cellule 101 RISULTATI 102 1) Azione del 17β-estradiolo sulla localizzazione citoplasmatica di p65 in cellule macrofagiche 2) Azione del 17β-estradiolo sulla localizzazione citoplasmatica di p65 in cellule monocitarie 3) Effetto del 17β-estradiolo sulla degradazione di IκBα 4) Influenza del 17β-estradiolo su IKK 5) Influenza del 17β-estradiolo su MAPK 102 4) Immunocitochimica Preparazione vetrini Fissaggio delle cellule Immunodetezione Montaggio vetrini Soluzioni per immunocitochimica per p65 iii 105 107 109 111 6) Influenza del 17β-estradiolo su PI3K 7) Azione del 17β-estradiolo su altri membri di NF-κB 8) Azione del 17β-estradiolo sulla localizzazione citoplasmatica di p65 in cellule non macrofagiche 113 115 118 DISCUSSIONE 121 BIBLIOGRAFIA 123 iv INTRODUZIONE GLI ESTROGENI E I LORO RECETTORI Gli estrogeni fanno parte della famiglia degli ormoni steroidei, che comprende anche i glucocorticoidi, i mineralcorticoidi, gli androgeni ed il progesterone. Gli ormoni steroidei derivano tutti dal colesterolo e condividono lo stesso nucleo ciclopentano-peridro-fenantrenico. Secondo la nomenclatura sistematica, gli steroidi con 21 atomi di carbonio sono denominati pregnani, mentre quelli con 19 e 18 atomi di carbonio sono denominati androstani ed estrani rispettivamente. Tutti gli ormoni steroidei esercitano la loro azione attraversando la membrana plasmatica e legandosi a recettori intracellulari. I complessi ormone-recettore esercitano la loro azione legando elementi responsivi all’ormone (Hormone Response Elements, HREs) sul DNA ed influenzando così la trascrizione dei geni bersaglio. Gli estrogeni sono sintetizzati nella donna dalle cellule della teca e dalla granulosa nei follicoli ovarici, dal corpo luteo e dall’unità feto-placentare durante la gravidanza e nell’uomo dai testicoli. Gli estrogeni naturali sono il 17β-estradiolo (E2), il maggior prodotto della secrezione ovarica, l’estrone (12 volte meno potente), prodotto in piccole quantità sia nella donna che nell’uomo anche dalla corticale del surrene, e l’estriolo (80 volte meno potente), derivato dall’ossidazione degli altri due, che si verifica principalmente a livello del fegato ed in minor misura in altri distretti dell’organismo. Il catabolismo degli estrogeni genera inoltre altre molecole dotate di 1 attività estrogenica, genericamente indicate come catecolestrogeni, per via dell’anello catecolico che si forma dopo l’ossidazione dell’anello A. I catecolestrogeni sono generati per idrossilazione aromatica del 17βestradiolo e dell'estrone nella posizione C2 o C4 [1], in vari tessuti [2-7]. Tra i catecolestrogeni un ruolo di primo piano è esercitato dal 4-idrossiestradiolo, considerato un estrogeno a lunga azione, per via dei lunghi tempi necessari per la sua dissociazione dal recettore. Alcuni studi indicano come i catecolestrogeni possano avere dei propri recettori distinti da ERα ed ERβ [8-12]. Gli estrogeni sono necessari per la maturazione dell’organismo femminile e per le funzioni riproduttive. Tuttavia hanno una serie di effetti anche sui tessuti non riproduttivi, ad esempio a livello osseo, cardiovascolare e cerebrale. Sintesi La prima reazione nella conversione del colesterolo, che ha 27 atomi di carbonio, negli ormoni steroidei con 21, 19 e 18 atomi di carbonio, coinvolge il taglio irreversibile di 6 atomi di carbonio dalla catena laterale con la formazione di pregnenolone ed isocapraldeide. Questa reazione è finemente regolata ed è il passaggio limitante nella biosintesi degli steroidi. L’enzima che catalizza la reazione: “enzima che taglia la catena laterale legato al citocromo P450” (P450-linked side chain cleaving enzime, P450scc) o desmolasi, è localizzato sulla membrana mitocondriale interna. Si tratta di un sistema enzimatico complesso costituito da un citocromo P450 e dalla ferro/zolfo proteina adrenodossina (una reduttasi del P450). Dopo il distacco della catena laterale del colesterolo, il pregnenolone fuoriesce dai mitocondri e si localizza nel reticolo endoplasmatico dove va incontro a modificazioni sequenziali [13]. 2 Estrogeni e progesterone sono i principali prodotti steroidei delle ovaie. La sintesi degli estrogeni dipende dalla compartecipazione delle cellule della teca e delle cellule della granulosa. Si parla di modello “due cellule– due gonadotropine”. Le cellule della teca, stimolate dall’ormone luteinizzante (LH), producono androstenedione e testosterone, che diffondono nelle cellule della granulosa, dove sono convertiti rispettivamente in estrone e in estradiolo sotto l'azione dell'ormone follicolo stimolante (FSH). L’enzima coinvolto è l’aromatasi, localizzata a livello del reticolo endoplasmico, che tramite idrossilazione e deidratazione determina l’aromatizzazione dell’anello A degli androgeni [14]. L’attività aromatasica è indotta dall’ormone follicolo stimolante (FSH). La sintesi degli ormoni steroidei nelle gonadi è regolata da un meccanismo di feed-back negativo, in quanto una volta sintetizzati gli ormoni steroidei inibiscono la sintesi di quelle stesse sostanze che ne hanno stimolato la produzione: l'ormone liberante le gonadotropine (Gonadotropine Releasing Hormone, Gn-RH) secreto dall’ipotalamo ed FSH e LH secreti dall’ipofisi. Gn-RH è liberato dal nucleo arcuato dell’ipotalamo in maniera pulsatile ed è quindi pulsatile anche la secrezione di gonadotropine ipofisarie. Elevati livelli di ormoni sessuali circolanti esercitano un feed-back negativo sulla sintesi del GnRH [15]. L’ormone luteinizzante induce un aumento rapido e marcato della capacità del P450scc di convertire il colesterolo in pregnenolone. Inoltre a lungo termine stimola la sintesi del P450scc e di altri enzimi della steroidogenesi. L’LH agisce sulle cellule della teca stimolando la sintesi di androstenedione e testosterone. L’FSH agisce sulle cellule della granulosa stimolando la trascrizione del gene dell’aromatasi [16]. 3 Androstenedione Testosterone 17-chetoreduttasi aromatasi aromatasi 17-chetoreduttasi Estrone Estradiolo Sintesi degli estrogeni dal testosterone e dall'androstenedione 4 Struttura dei recettori degli estrogeni I recettori degli estrogeni fanno parte della famiglia dei recettori nucleari. I recettori nucleari si possono dividere in: 1) recettori per gli ormoni steroidei; 2) recettori per ormoni non steroidei; 3) recettori orfani, i cui ligandi non sono ancora stati identificati. I recettori per gli ormoni steroidei hanno un domino A /B più lungo, e formano sempre omodimeri, sono complessati con le proteine da shock termico (Heat Shock Proteins, HSPs) e possono interagire con il DNA solo in presenza di uno stimolo. I recettori per gli ormoni non steroidei formano eterodimeri con RXR, non sono complessati alle HSP e sono associati al DNA in assenza di uno stimolo. I recettori dei glucocorticoidi e dei mineralcorticoidi sono citoplasmatici ed entrano nel nucleo solo in seguito all’attivazione da parte del ligando. Gli altri recettori, invece, sembrano essere localizzati a livello nucleare, ma tale fenomeno dipende dalla quantità di recettore presente in una cellula. Infatti Castoria e collaboratori hanno recentemente dimostrato che in cellule NIH3T3 il recettore degli androgeni non va incontro a traslocazione nucleare in seguito al legame con l'ormone, poiché in queste cellule la quantità di AR espressa è molto bassa [17]. I membri della famiglia dei recettori nucleari hanno una struttura conservata che consta di cinque diversi domini [18-20]. 1) La regione ammino terminale, detta A/B domain, è la meno conservata tra i diversi membri della famiglia dei recettori nucleari. Contiene un dominio detto AF-1 (Activation Function 1), che stimola la trascrizione dei geni bersaglio in modo indipendente dal ligando. 2) Il dominio C o di legame al DNA (DNA Binding Domain, DBD), è il più conservato e determina la specificità del recettore rispetto ad una classe di geni: recettori diversi 5 riconoscono infatti diverse sequenze consenso. Nel DBD sono presenti due strutture digitiformi ad α elica, chiamate “zinc finger”, in cui uno ione di Zn2+ è coordinato da quattro cisteine. Nella prima si trova il P-box (Proximal box), che permette di riconoscere una specifica sequenza sul DNA, mentre nella seconda si trova il D-box (Distal box), che è coinvolto nella dimerizzazione sul DNA. 3) Il dominio D è una regione “a cardine” (hinge): collega il dominio C al dominio E ed è sede di legame della chaperonina hsp 90. Esso può anche contenere sequenze di localizzazione nucleare (Nuclear Localization Signal, NLS). 4) La regione E, oltre ad essere il dominio di legame del ligando (Ligand Binding Domain, LBD), contiene un dominio per la dimerizzazione recettoriale e media l'interazione con le proteine dello shock termico (HSP). A livello dell’LBD è localizzato il dominio AF-2 (Activation Function 2), coinvolto nella trascrizione ligando-dipendente. Infine all'interno del dominio E è contenuto un NLS. 5) La regione carbossi-terminale F è poco conservata ed è presente solo in alcuni recettori nucleari, tra cui i recettori per gli estrogeni. 6 A/B C D E DBD F LBD AF-2 AF-1 NLS dimerizzazione Co-attivatori Hsp90 Hsp56 DR C C Zn++ C C P D (C1) Digitazioni Zn-coordinate C C Zn++ Co-attivatori C C (C2) Struttura del recettore degli estrogeni 7 Isoforme dei recettori degli estrogeni Gli estrogeni esercitano le loro numerose azioni biologiche tramite i recettori degli estrogeni ERα ed ERβ, che si possono considerare come fattori di trascrizione ligando-dipendenti. La prima prova che l’effetto degli estrogeni fosse mediato da un recettore è di circa 40 anni fa, grazie agli studi condotti da Jensen e Jacobson basati sul legame specifico del 17 β-estradiolo nell’utero [21]. Nel 1986 due diversi gruppi di ricerca sono riusciti a clonare ERα, che si credeva l’unico recettore degli estrogeni. Nel 1993 Korach e i suoi collaboratori, riuscirono a ottenere topi knockout per ERα. Si ottennero animali vitali di entrambi i sessi, però questi animali mostravano una residua capacità di legare il 17β-estradiolo a livello di diversi organi. Nel 1995 è stato clonato ERβ da una biblioteca di cDNA di prostata di ratto [22]. Successivamente sono state descritte diverse varianti di splicing di ERβ. Alcune hanno un dominio N-terminale più esteso, altre delezioni o inserzioni a livello della regione C-terminale e nell’LBD. Un cDNA di hERβ, che codifica per una proteina di 530 aminoacidi è stato clonato nel 1998 [23]. Era più lungo dell’ERβ di ratto per un estensione di 45 aminoacidi nel dominio N-terminale. Sono descritte anche diverse varianti di splicing di ERα, ma non si sa se tutte sono espresse come proteine e se hanno un ruolo biologico o fisiologico. Esistono anche diversi polimorfismi di ERα e di ERβ. Una terza isoforma del recettore degli estrogeni, ERγ, è stata clonata, ma per il momento è stata solo rinvenuta nei teleostei. ERγ si è originato da una duplicazione genica di ERβ [24]. 8 αN hERα DNA LIGANDO C 595 cardine AF-2 AF-1 dimerizzazione hERβ β N DNA LIGANDO C 530 Paragone tra la struttura di ERα e di ERβ da Jonathan G. Moggs and George Orphanides EMBO reports Vol.2 No.9 September 2001 modificata 9 I DBD di ERα e β mostrano un’omologia di sequenza del 97%. In particolare il P-box, che conferisce specificità del legame al DNA è identico per ERα ed ERβ. Tramite il P-box gli ER riconoscono specifiche sequenze sul DNA, gli elementi responsivi agli estrogeni (Estrogen Response Elements, EREs). Si tratta di sequenze palindrome, ossia ripetute in modo invertito e speculare rispetto ad un'asse di simmetria (inverted repeats). La sequenza consenso è AGGTCX, mentre il numero di nucleotidi che separa le due sequenze per gli ERE è di n=3 ed influenza l’efficienza del legame al DNA. La specificità del legame al DNA può essere cambiata mutando alcuni aminoacidi del P-box. Un mutante di ER, in cui tre aminoacidi sono stati sostituiti così da trasformare l’ER-P-box in un GR-like P-box, lega gli elementi responsivi ai glucocorticoidi invece che l’ERE [25]. La struttura tridimensionale del dominio di legame al DNA di ERα sia in soluzione che legato a un ERE, è stata risolta nei primi anni ’90 [26, 27]. Nel secondo “zinc finger” è presente il D-box, un’interfaccia di dimerizzazione. La dimerizzazione tramite i D-box facilita il legame cooperativo al DNA e quindi stabilizza l’interazione tra i recettori nucleari e il DNA. Nel caso di ERα, la dimerizzazione a livello del DBD aumenta il legame anche a ERE imperfetti aumentando così il numero di sequenze con cui ERα può interagire [28]. Nella parte C-terminale del dominio di legame al DNA dei recettori degli estrogeni è presente una regione ricca di aminoacidi basici richiesta per l’interazione con hsp 90 [29]. In quella regione si trova anche un segnale di localizzazione nucleare [30]. Gli LBD di ERα ed ERβ mostrano un’omologia di sequenza del 55%, tuttavia le regioni coinvolte nel legame ad agonisti ed antagonisti e l’AF-2 10 hanno un grado maggiore di omologia. L’analisi delle strutture cristalline degli LBD di diversi recettori nucleari ha mostrato l'esistenza di una struttura conservata composta da 12 α eliche, chiamate H1-H12. La struttura tridimensionale del LBD di ERα legato al 17β-estradiolo, al dietilstilbestrolo (DES), al raloxifene e al 4-OH tamoxifene è stata ottenuta dagli studi cristallografici di Brzozowski [31]. Il sito di legame all’ormone è costituito dalle eliche H3, H6, H8 ed H11 che formano una tasca idrofobica. Quando l’E2 o il DES, due agonisti di ERα, si legano al recettore, l’elica H12 cambia disposizione spaziale posizionandosi sopra la tasca idrofobica, stabilizzando le interazioni fra il recettore ed il ligando e formando una superficie di aminoacidi importante per il reclutamento e l’interazione con proteine nucleari dette coattivatori. E’ stata anche risolta la struttura del ligand binding domain di ERβ legato al raloxifene: la conformazione è simile al complesso ERα/raloxifene. Il raloxifene ed il tamoxifene hanno una catena laterale ingombrante che si estende al di fuori dell’LBD, quando sono legati ad ERβ l’elica H12 subisce una modificazione che non comporta lo spostamento sulla tasca di legame, senza quindi portare ad esporre il sito di legame dei coattivatori. Questo meccanismo sembra spiegare l’attività antagonista di tamoxifene e raloxifene su ERβ e similmente su ERα [32]. Comparando il sito di legame dell’ormone dei recettori degli estrogeni con altri recettori nucleari, si è visto che questo sito è più largo; ciò può spiegare la capacità del recettore degli estrogeni di legare molti composti [20]. Altri studi hanno evidenziato che quando ERβ è legato al fitoestrogeno genisteina l’elica H12 non assume la conformazione che ha con gli agonisti, forse perché la genisteina è un agonista parziale [33]. 11 B A H12 H12 A) Struttura 3D di ERα legato ad un agonista B) Struttura 3D di ERα legato ad un antagonista 12 MECCANISMO D’AZIONE DEGLI ESTROGENI Gli effetti biologici dell'estradiolo sono mediati da almeno quattro diverse vie di segnale: 1) via classica ligando-dipendente; 2) via ligandoindipendente; 3) via ERE-indipendente; 4) via non genomica [34]. Via classica ligando-dipendente L'azione dei recettori degli estrogeni sui siti ERE è un classico esempio di azione genomica dei recettori nucleari. In assenza di ligando il recettore degli estrogeni è sequestrato nei nuclei delle cellule bersaglio, complessato con le proteine dello shock termico hsp 70, hps 90 e hps 56. In seguito al legame con l’estrogeno il recettore va incontro ad un cambio di conformazione, che rende possibile il distacco delle HSP e facilita la dimerizzazione e il legame del recettore a livello degli elementi responsivi agli estrogeni [35]. L'ER lega il proprio elemento responsivo come omodimero ed utilizza entrambe le sue regioni di attivazione AF-1 ed AF-2 per reclutare cofattori. L'interazione di AF-2 con i coattivatori è estrogeno-dipendente [32, 36]; mentre la regione AF-1 ha un'attività trascrizionalmente molto debole e generalmente sinergizza con AF-2. Il complesso ER-estrogeno funge da ponte tra il DNA, con cui interagisce tramite il DBD, ed i cofattori che formano il complesso. Il complesso recettore/ligando stabilizza il complesso d’inizio della trascrizione costituito da diverse proteine con il compito di reclutare la RNA polimerasi II. Il complesso d’inizio si assembla sul TATA box del promotore del gene che deve essere trascritto, ed è costituito da vari fattori, tra cui: TFIID, TFIIB, TFIIA, TFIIF, TFIIE (con attività 13 ATPasica) e TFIIH (dotato di attività elicasica) [37, 38]. L’interazione può essere diretta o mediata da proteine chiamate coattivatori, alcune di queste sono molto importanti per gli ER, in quanto sembrano essere specifiche per questi recettori. Coattivatori La maggior parte di ciò che è conosciuto riguardo le interazioni fra ERα e coattivatori deriva da studi sulla funzione AF-2 [39, 40]. I coattivatori sono stati suddivisi in famiglie [41]: 1) p160; 2) p300/CBP (CREB Binding Protein); 3) TRAP/DRIP. La famiglia di p160 può essere suddivisa in tre sottofamiglie: SRC-1 (Steroid Receptor Coactivator-1), TIF2 (Transcriptional Intermediary Factor-2) e p/CIP. Tutti gli attivatori di questa famiglia presentano, oltre alla sequenza responsabile del riconoscimento del complesso recettore/agonista, una porzione atta all'interazione con i coattivatori della famiglia di p300/CBP. SRC-1 oltre ai recettori nucleari interagisce anche con altri fattori di trascrizione tra cui: NF-κB, AP-1, SRF e p53. I membri della famiglia di p300/CBP sono dotati di attività acetiltransferasica degli istoni. p300/CBP interagisce debolmente con ER, ma il legame con SRC-1 stabilizza questa interazione. Così si forma a livello del promotore del gene bersaglio un complesso con attività acetiltransferasica sugli istoni (HAT). Questi ultimi sono acetilati a livello delle lisine e in questo modo diminuisce la forza del legame fra l'istone ed il DNA. Ciò facilita la decondensazione locale della cromatina e quindi la trascrizione [42, 43]. TRAP/DRIP è complesso multiproteico che sembra essere coinvolto nel reclutamento della RNA polimerasi II. 14 A E2 E2 B R Segnale di trasduzione? R inattivo R R attivo inattivo nucleo attivo nucleo R R R R ERE ERE DNA C DNA D E2 E2 E2 R R R inattivo citoplasma attivo Src MAPK nucleo R Proteine G PI3K K+ Akt R nucleo Non ERE DNA A) Via classica ligando-dipendente B) Via ligando-indipendente C) Via ERE-indipendente D) Via non genomica 15 cGMP cAMP Ca++ I coattivatori interagiscono con i recettori nucleari per mezzo di tre sequenze conservate LXXLL (Leucina-X-X-Leucina-Leucina), chiamate anche NR box [44]. Gli NR box formano α eliche anfipatiche in cui i residui di leucina formano una superficie idrofobica su una faccia dell’elica [36, 45, 46]. Lo studio della struttura cristallina di hERα ha mostrato che gli aminoacidi nelle eliche 3, 4, 5 e 12 formano una superficie idrofobica che costituisce il principale sito di legame per la sequenza LXXLL presente nei coattivatori della famiglia di p160 [32]. Corepressori I corepressori sono proteine in grado di reprimere l’attività trascrizionale dei recettori nucleari legandosi al loro LBD. Le proteine inibitorie della trascrizione per essere definite corepressori devono soddisfare quattro criteri: 1) interagire con il recettore non associato al ligando; 2) dissociarsi in seguito al legame del recettore con un ligando in grado di attivarlo; 3) potenziare la repressione del recettore; 4) reprimere la trascrizione dei geni ai quali sono reclutati [47]. Fra i corepressori i meglio caratterizzati sono NCoR (Nuclear CoRepressor) e SMRT (Silencing Mediator of Retinoid and Thyroid hormone receptors), due proteine di circa 270 kDa, che mostrano elevate omologie strutturali e funzionali. Le regioni che interagiscono con i recettori nucleari, (Interaction Domain 1 e 2, ID1 e ID2) si trovano nella regione C-terminale di entrambi i corepressori. Una piccola regione presente nell’α elica 1 del ligand binding domain dei recettori nucleari, chiamata CoR-box, è necessaria per l’interazione con SMRT e NCoR. Una mutazione in questa regione inibisce infatti il legame tra i recettori nucleari e i due corepressori. La posizione dell’H12 del LBD regola sia 16 Fattori di reclutamento del complesso di inizio Fattori di modificazione degli istoni Fattori di rimodellamento della cromatina TRAP/DRIP CBP/p300 P/CAF p160 ADP+Pi SWI/SNF ATP Recettore attivato R R HRE D TBP B pol II Complesso di inizio della trascrizione Il recettore degli estrogeni e i coattivatori 17 l’associazione dei corepressori ai recettori nucleari sia il loro rilascio. In presenza dell’agonista, l’H12 è ripiegata così da formare un “coperchio” sulla tasca di legame e blocca l’interazione con SMRT e NCoR. Al contrario questi corepressori si associano agli ER legati agli antagonisti [48, 49]. In questo caso infatti l’H12 è spostata verso l’N-terminale dell’LBD; questa conformazione recettoriale non permette il legame dei coattivatori, mentre favorisce il legame dei corepressori. NCoR e SMRT hanno all’N-terminale tre domini di repressione, RD1, RD2 e RD3, le cui sequenze non sono omologhe tra loro. Esistono diversi meccanismi di repressione. Il più studiato è quello che prevede il reclutamento, da parte di RD1 e di una regione a valle di RD3, delle deacetilasi degli istoni HDAC1 e HDAC2. Un altro meccanismo proposto per l'attività dei corepressori riguarda l’interazione con i fattori basali della trascrizione. Anche le HDAC3, 4, 5, 6 e il complesso NuRD (Nucleosome Remodeling and histone Deacetylation) potrebbero essere coinvolti nel meccanismo di repressione [47]. Montano e collaboratori hanno identificato un nuovo corepressore, denominato REA (Repressor of Estrogen receptor Activity), che interagisce sia con ERα che con ERβ (ma non con altri recettori) [50]. Esistono anche corepressori che interagiscono con il dominio AF-2 dei recettori degli estrogeni in presenza di agonisti. Ad esempio RIP 140 (Receptor Interacting Protein 140) e SHP (Short Heterodimerization Partner) mostrano un’attività co-regolatoria negativa perché antagonizzano SRC-1 in vivo e competono per il legame ad AF-2 in vitro. SHP è un particolare recettore nucleare che ha un LBD, ma è privo del DBD. SHP mostra un’interazione ligando-dipendente con ERα ed ERβ, che risulta nella repressione della loro attività trascrizionale. Tale repressione è mediata dall’interazione di SHP con gli ER, tramite due 18 sequenze similari al NR-box. Anche DAX-1 (Dosage-sensitive sexreversal Adrenal hypoplasia congenital X chromosome) ed RTA (Repressor of Tamoxifene Activity) regolano negativamente l’attività trascrizionale di ERα ed ERβ. E’ stato ipotizzato che gli ER, utilizzando SHP e DAX-1 come proteine ponte, possano richiamare proteine corepressorie ad attività deacetilasica e quindi inibire la trascrizione [51, 52]. Fosforilazione La fosforilazione degli ER è una modificazione post-traduzionale che regola l'attività dei recettori nucleari. È stato dimostrato che il recettore degli estrogeni è fosforilato sia in risposta a dosi fisiologiche di 17βestradiolo sia in assenza dell’ormone da altri stimoli, quali IGF [53]. La Ser 118 è uno degli aminoacidi più conservati per il recettore degli estrogeni lungo la scala evolutiva. Il suo ruolo nel modulare la trascrizione è a livello della regione AF-1 e potenzia l’interazione con i coattivatori [54]. La fosforilazione di Ser 167 aumenta invece la capacità del recettore di legare il DNA [55, 56]. Gli eventi di fosforilazione che riguardano il recettore degli estrogeni sono specifici del tipo cellulare in cui sono stati osservati. Nelle cellule COS-1 sito della fosforilazione ligando-dipendente di hERα è la Ser 118, mentre nelle MCF-7 è la Ser 167 di hERα ad essere fosforilata, sempre in presenza di E2, dalla casein chinasi II. 19 Via ligando-indipendente La fosforilazione degli ER è importante nell’attivazione trascrizionale indotta da ligando, ma anche in assenza di esso. Infatti, i fattori di crescita, gli attivatori della protein chinasi A (PKA), i neurotrasmettitori e le cicline sono in grado di indurre l’attività trascrizionale degli ER mediante la fosforilazione del recettore [57]. L’N-terminale di ERα contiene diversi residui di Ser conservati nel dominio AF-1, che sono bersaglio di fosforilazione. La fosforilazione della Ser 118 di hERα è indotta da EGF e dipendente dall’attivazione delle MAPK [58]. Anche E2 è in grado di indurre la fosforilazione della Ser 118, ma questo sembra essere indipendente dalla MAPK, indicando che diverse vie di trasduzione del segnale possono agire sullo stesso residuo, a seconda della presenza o meno dell’E2. La rilevanza fisiologica dell’EGF nell’attivazione di ERα è dimostrata dal fatto che l’EGF mima gli effetti dell’estrogeno nell’apparato riproduttivo di femmina di topo e in cellule epiteliali della ghiandola mammaria [59]. Topi femmina KO per ERα mancano di una risposta uterotropica all’EGF, dimostrando il coinvolgimento di ERα nel mediare l’azione dell’EGF in vivo [60, 61]. Altri fattori di crescita coinvolti nell’attivazione di ERα sono l’insulina [62], i fattori di crescita insulino-simili I e II (IGF-I ed IGF-II) [53], il fattore di crescita trasformante β (TGF-β) [63] ed il fattore di crescita trasformante α (TGF-α) [64]. Nella linea cellulare SK-ER3, neuroblasti umani con espresso stabilmente il recettore per gli estrogeni, l’insulina e i due fattori di crescita insulino-simili, IGF-I ed IGF-II sono capaci di indurre differenziamento fenotipico coinvolgendo la via delle MAPK [53]. In cellule MCF-7 l’attivazione ligando-indipendente di ERα da parte 20 dell’IGF-I è mediata dalla PI3K e da Akt [65]. Akt attiva la funzione AF1 di ERα fosforilando il recettore a livello della serina 167. La mutazione di questa serina in alanina distrugge l’effetto. Anche le cicline e le chinasi ciclino-dipendenti (CDK) sono coinvolte nell’attivazione ligando-indipendente di ERα. Due differenti cicline, A e D1, sono state identificate come capaci di attivare ER in modo ligandoindipendente. La sovraespressione di ciascuna di queste due proteine determina un aumento dell’attività di ER in assenza di E2. I meccanismi di attivazione di ER sono diversi per queste due cicline. L’attivazione di ER da parte della ciclina D1 non coinvolge la fosforilazione e quindi la presenza della corrispettiva cdk [66]. La ciclina A invece attiva gli ER mediante fosforilazione, tramite cdk2 nel dominio AF-1 [67]. L’attivazione di ERα in modo ligando-indipendente non avviene solo tramite la fosforilazione di residui di serina nel dominio AF-1, ma anche nel dominio AF-2. In questo processo è coinvolto il cAMP, che attiva la PKA [68]. Agenti che aumentano il contenuto cellulare di cAMP (la forskolina, l’acido ocadaico e la tossina colerica) determinano un’attività trascrizionale di ERα ligando-indipendente; inoltre, queste sostanze sinergizzano con l’attivazione trascrizionale mediata da E2. Anche la risposta all’agonista parziale tamoxifene aumenta se c’è un aumento della concentrazione intracellulare di cAMP. In cellule MCF-7, la trascrizione dei geni bersaglio di ERα, fra cui il recettore del progesterone (PR), P62, LIV-1 e catepsina D, può essere stimolata o da un analogo del cAMP (8Br-cAMP), o da una combinazione di un inibitore della fosfodiesterasi (IBMX) e della tossina colerica, che aumenta la produzione del cAMP bloccando la subunità αs delle proteine G. Studi ulteriori hanno dimostrato che le risposte indotte dal cAMP sono inibite dall’antagonista 21 puro dell’ER, l’ICI 182,780 [69]. Inoltre i domini E/F di ERα sono sufficienti per l’attivazione da parte della forscolina più IBMX e questo fenomeno è accompagnato dalla fosforilazione del recettore. La Tyr 537 nell’ERα umano e la Tyr 541 nel topo localizzate nell’LBD sono importanti per la regolazione dell’attività di ERα. La struttura tridimensionale di ERα indica che Tyr 537 si trova nell’ansa che precede l’elica H12. Tyr 537 viene fosforilata dai membri della famiglia della Tyr chinasi, quali Src, in assenza di E2. Tuttavia questa fosforilazione non induce attività trascrizionale, ma regola la capacità di ERα di legare E2 [70]. Anche ERβ va incontro ad attivazione ligando-indipendente, infatti l’EGF induce la fosforilazione delle Ser 106 e Ser 124 di ERβ tramite l’attivazione delle MAP chinasi [58]. Questa fosforilazione determina il reclutamento ligando-indipendente di SRC-1 e il conseguente aumento dell’attività trascrizionale. Recentemente, è stata studiata l’attivazione cAMP-dipendente dell’ERβ [69]. In trasfezioni transienti la forskolina più l’IBM, che aumentano i livelli intracellulari del cAMP, stimolano l’attività trascrizionale di ERβ. Questo effetto è bloccato da un inibitore della PKA ed è dipendente dalla presenza di un ERE. Via ERE-indipendente I recettori degli estrogeni modulano l'espressione genica agendo anche su geni che non presentano ERE nei propri promotori. Ad esempio IL-6, TNFα e MCP-1 non hanno ERE nei loro promotori, ma la loro trascrizione è inibita dagli estrogeni. In questo caso gli ER non hanno un effetto trascrizionale diretto, ma si pensa che l'azione degli ER sia 22 mediata dall'interazione con altri fattori di trascrizione. Infatti parecchi gruppi di ricerca hanno dimostrato che l'E2, agendo tramite i suoi recettori, è in grado di reprimere l'espressione di IL-6 mediante l'interazione con i fattori di trascrizione della famiglia di NF-κB [71-76]. L'ER inibisce anche la trascrizione di MCP-1 [77], di TNFα [74] e di RANTES (Regulated upon Activation Normal T cell Expressed and Secreted) [78] interferendo con l'azione di NF-κB. Infatti sia ERα che ERβ possono interagire con il fattore di trascrizione AP-1 (Activating-Protein-1), costituito da un eterodimero tra Jun e Fos. Queste due proteine, in seguito all’attivazione della via delle MAPK, eterodimerizzano per formare il complesso AP-1. A seconda del contesto cellulare e del gene trascritto l’estrogeno può attivare o sopprimere la trascrizione genica mediata da AP-1. Infatti l'ER stimola la trascrizione del gene dell'ovalbumina per interazione con i dimeri Jun/Fos [79] e potenzia l'attivazione di AP-1 da parte dei fattori di crescita in MCF-7 [80]. In altri contesti l'estrogeno antagonizza l'azione di AP-1, infatti reprime l'espressione di TNFα [81, 82], di MCP-1 [83] e di molecole di adesione come ICAM (Intercellular Adhesion Molecule) e VCAM-1 (Vascular Cell Adhesion Molecule type 1) [84, 85]. Un altro esempio di azione indiretta di ER sulla trascrizione è l’interazione degli ER con il fattore di trascrizione Sp1. In cheratinociti umani ERβ inibisce la trascrizione di MCP-1 in modo dipendente dalla presenza di Sp1 [83]. Inoltre, sia ERα che ERβ possono attivare la trascrizione del gene del recettore dell’acido retinoico (RAR-1), mediante la formazione di un complesso tra ER e Sp1 sui siti di legame di Sp1 (ricchi di GC) del promotore di RAR-1 [86, 87]. 23 Via non genomica Le prime evidenze di effetti degli estrogeni troppo rapidi per essere mediati dall'attivazione della trascrizione e della sintesi proteica risalgono agli anni settanta, quando studi elettrofisiologici dimostrarono che l'estradiolo è in grado di modulare le concentrazioni intracellulari dello ione Ca2+ entro pochi secondi dalla stimolazione [88]. Un anno più tardi Pietras e Szego descrissero una rapida formazione di cAMP in risposta all'E2, presumibilmente mediata dal legame dell'ormone ad una proteina recettoriale nella membrana cellulare [89, 90]. Dopo questi studi pionieristici parecchi gruppi si sono dedicati agli effetti non genomici dei recettori degli estrogeni [91, 92]. Questi effetti mostrano delle caratteristiche comuni: 1) sono troppo rapidi per essere compatibili con la sintesi di RNA e di proteine, dal momento che si verificano entro pochi minuti dalla somministrazione dell’ormone; 2) avvengono in cellule nelle quali la sintesi di RNA e proteine è praticamente assente, come gli spermatozoi; 3) sono riprodotti in presenza di inibitori della trascrizione o della sintesi proteica; 4) possono essere riprodotti usando ormoni legati covalentemente a molecole impermeabili alla membrana cellulare [93]. Questi effetti non trascrizionali degli estrogeni comprendono la regolazione del flusso cellulare di Ca2+ [94-102], la modulazione del contenuto citoplasmatico di cAMP [103-107], cGMP [108, 109], IP3 [110] e la modulazione di recettori associati alle proteine G [111-116]. Inoltre l'E2 attiva chinasi come la PKA [69, 100, 105], la PKB [117, 118], la PKC [119, 120], la chinasi Ca2+/calmodulina-dipendente (CAMK) [121], le MAP chinasi [122-124] e tirosin-chinasi [125]; ed attiva fattori di trascrizione tra cui CREB [115, 116] ed AP-1 [126]. 24 ER e PI3K Uno degli effetti rapidi degli estrogeni più recentemente descritti è la modulazione della via della PI3K e di Akt. Le fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K) sono delle chinasi importanti per molti processi cellulari. Sulla base della struttura e della specificità del substrato sono state identificate tre classi di PI3K: la classe I fosforila preferibilmente il fosfatidilinositolo-4,5-bifosfato, la classe II il fosfatidilinositolo-4-fosfato e la classe III il fosfatidilinositolo. La classe I si suddivide a sua volta in due sottoclassi: IA ed IB. Esistono tre isoforme di PI3K della classe IA: p110α, p110β e p110δ; queste sono strettamente associate ad una subunità regolatoria che contiene due dominii SH2 (Src-Homology 2). Della subunità regolatoria si conoscono tre isoforme: p85α, p85β e p85γ. Della classe IB è noto un solo membro: PI3Kγ che è associato alla subunità regolatoria p101; la classe II è formata dalle isoforme: PI3K-C2α, PI3K-C2β e PI3K-C2γ, mentre la III classe dal solo enzima Vps34p. Le due classi IA ed IB sono quelle più importanti e studiate. Le fosfatidilinositolo 3-chinasi sono coinvolte nella sopravvivenza cellulare, nel ciclo cellulare, nella mobilità cellulare, nella degranulazione, nell'immunità, nella regolazione del metabolismo di glucosio e glicogeno e nella sintesi proteica [127]. Parecchi studi hanno evidenziato un cross-talk tra le vie di trasduzione del segnale della PI3K e quelle del recettore degli estrogeni; è stata provata sia un'attivazione di ER in seguito a fosforilazione da parte di Akt, una chinasi a serina/treonina attivata dalla PI3K [65, 128-130], sia un'attivazione del signaling della PI3K in seguito al legame dell'estrogeno al suo recettore. In cellule MCF-7 è stato dimostrato che l’ingresso in fase S del ciclo cellulare e l’attività del promotore della ciclina D1 sono mediati 25 dall’attivazione della PI3K e di Akt, indotta dal 17β-estradiolo [131]. La formazione di un complesso ternario tra ERα, la tirosin chinasi non recettoriale Src e p85 sembra necessaria per l’attivazione della via della fosfatidilinositolo 3-chinasi. Inoltre, a livello della parete vascolare la PI3K e Akt mediano il rapido rilascio di NO indotto dal 17β-estradiolo tramite l’attivazione della nitrossido sintasi endoteliale (eNOS) [132]. L’NO attiva la guanilato ciclasi a livello delle cellule muscolari lisce (SMC) della parete vascolare. La conseguente produzione di cGMP determina il rilassamento della muscolatura liscia vasale e inibisce la proliferazione delle cellule muscolari lisce. È stato dimostrato che la stimolazione di eNOS da parte di E2 è mediata da una sottopopolazione di ERα, localizzato a livello delle caveole [133, 134]. Infatti, l’E2, tramite ERα, attiva la fosfatidilinositolo 3-chinasi e Akt, che a loro volta attivano e fosforilano eNOS. L'attivazione da parte dell'estrogeno di PI3K/Akt è inoltre importante nella neuroprotezione esercitata dall'ormone [135]. I recettori di membrana degli estrogeni Gli effetti degli estrogeni che non prevedono la modulazione della trascrizione suggeriscono l'esistenza di recettori di membrana. Le prime prove dell’esistenza di una sottopopolazione di recettori degli estrogeni di membrana risale alla fine degli anni ’70, quando Pietras e Szego descrissero la presenza di siti di legame per l’estradiolo a livello della membrana citoplasmatica di cellule endometriali [89]. A tutt'oggi, nonostante gli effetti non genomici di E2 siano coinvolti in diverse vie di trasduzione del segnale, non esistono indicazioni chiare circa l'esistenza e l'identità di recettori di membrana che medino tali effetti. Alcuni gruppi 26 hanno proposto che i recettori di membrana siano gli stessi ERα e ERβ che traslocano in membrana [112, 136-138], altri che siano nuovi membri della famiglia degli ER [139-141], altri ancora che siano recettori accoppiati a proteine G [111, 113, 142], altri, infine, che possano essere dei recettori tirosino-chinasici simili a quelli dei fattori di crescita [143]. Studi effettuati sulle cellule endoteliali utilizzando estradiolo legato covalentemente alla BSA, così da impedire l’ingresso dell’ormone nella cellula, suggeriscono che la rapida attivazione di eNOS indotta da E2 sia mediata da un ERα di membrana [93]. Infatti cellule endoteliali intatte legano estradiolo-BSA e sono riconosciute da anticorpi contro ERα, suggerendo che questo ER di superficie abbia omologia con ERα. L’ICI 182,780 compete con l’E2-BSA nel legame al recettore di superficie. Inoltre la stimolazione di cellule umane endoteliali con estradiolo-BSA, così come il 17β-estradiolo, induce una rapida attivazione di eNOS tramite la via della PI3K. In cellule EA.hy926 che non esprimono i classici ER, ma una proteina di 46 kDa, riconosciuta da anticorpi contro il dominio C-terminale degli ER, l’E2 è in grado di indurre la rapida attivazione di eNOS [144, 145]. Siccome una proteina di dimensioni e reattività simili è stata trovata associata alla membrana plasmatica in cellule MCF-7 [146] si è ipotizzato che questa proteina sia un recettore di membrana degli estrogeni. Flouriot e collaboratori hanno dimostrato che questa forma di ER di 46 kDa deriva da uno splicing alternativo di ERα ed è priva dei primi 143 aminoacidi (regione AF-1) [147]. È stato successivamente dimostrato che l’E2 attiva rapidamente c-Src inducendo la formazione di un complesso tra la proteina di 46 kDa, c-Src e p85 [148]. La formazione di questo complesso risulta nella successiva attivazione della PI3K, di Akt e di eNOS. 27 Un lavoro del gruppo di Toran-Allerand ha ipotizzato l'esistenza di una isoforma di ER di membrana diversa da ERα ed ERβ. È stato osservato che, in espianti neocorticali sia di topo wild-type che knock-out per ERα (ERαKO), la somministrazione sia del 17α che del 17β-estradiolo induceva la rapida fosforilazione e l’attivazione delle chinasi regolate da segnali extracellulari ERK1 ed ERK2. Secondo il lavoro di ToranAllerand questi effetti non sono mediati dai classici ERα ed ERβ, ma da un recettore associato alla membrana plasmatica, di 62-63 kDa, immunoreattivo per l’LBD di ERα ma non di ERβ, denominato dagli autori ER-X [149, 150]. Questo recettore è localizzato a livello di microdomini simili alle caveole (CLM, omologhi neuronali delle caveole) nella membrana cellulare di neuroni neocorticali di topi sia wild type che ERαKO. ER-X è espresso solo nei primi giorni dopo la nascita, ma in seguito ad attacco ischemico è espresso anche nell’adulto. Un possibile significato biologico della presenza nella cellula di un pool di recettori di membrana e di uno di recettori nucleari è la loro cooperazione. L'E2, tramite il recettore di membrana, può rapidamente attivare la trascrizione, che viene poi mantenuta attraverso il recettore nucleare. Il segnale di membrana è importante per le modificazioni posttraduzionali delle proteine, la cui sintesi può essere incrementata dal recettore nucleare [91]. Attualmente nonostante le prove che ne suggeriscono l’esistenza il recettore di membrana degli estrogeni non è stato ancora né isolato, né clonato, né completamente caratterizzato. 28 INFIAMMAZIONE L’infiammazione, o flogosi, si può definire come un processo dinamico comprendente l’insieme delle modificazioni reattive che compaiono nelle strutture vascolari e connettivali di un distretto organico, per arginare e riparare i danni prodotti da agenti lesivi di diversa natura. I classici segni clinici dell’infiammazione sono rubor, calor, tumor, dolor et functio laesa (rossore, calore, gonfiore, dolore e perdita di funzione). Nonostante l'infiammazione sia un processo localizzato, ai fenomeni infiammatori locali non rimane estraneo l’organismo nel suo insieme. Infatti anch’esso risponde agli stimoli flogogeni, sia con modificazioni neuro-ormonali, sia con l’attivazione del sistema linforeticolare, che comporta un’esaltazione della fagocitosi ed un aumento della produzione di anticorpi. Sebbene nella maggior parte dei casi l’infiammazione svolga un compito difensivo, tendente a soffocare un’azione lesiva o a circoscriverla ad un territorio limitato, in alcuni casi la reazione difensiva supera largamente le necessità locali di risposta agli insulti, e produce essa stessa un danno. Tipi di infiammazione Si può distinguere tra infiammazione acuta e cronica. L’infiammazione acuta è di breve durata: minuti, ore o al massimo pochi giorni. È caratterizzata da alterazioni vascolari che causano un aumento del flusso sanguigno, da edema e da migrazione dei leucociti, soprattutto dei neutrofili provenienti dalla microcircolazione e dal loro accumulo nella regione del danno. 29 L’infiammazione cronica è un’infiammazione di lunga durata in cui i processi infiammatori, il danno tissutale ed i tentativi di riparo avvengono contemporaneamente. È determinata dalla persistenza di uno stimolo infiammatorio. Le cause possono essere diverse, ad esempio un’infezione batterica persistente, la prolungata esposizione ad un agente tossico, una malattia autoimmune, l'invecchiamento sono di cause infiammazione cronica. È caratterizzata dall'infiltrazione di cellule mononucleate (macrofagi, linfociti e plasma-cellule), dalla contemporanea presenza di danno tissutale, angiogenesi e fibrosi. Cause dell'infiammazione L’origine di un’infiammazione può essere di ordine fisico (caldo, freddo, correnti elettriche, ultrasuoni, radiazioni eccitanti ed ionizzanti), chimico (sostanze irritanti, veleni, tossine microbiche, complesso antigeneanticorpo, prodotti abnormali del metabolismo), biologico (parassiti, batteri, miceti, protozoi, virus). Le cause fisiche agiscono soprattutto indirettamente, attraverso la liberazione di sostanze da parte delle cellule e dei tessuti lesi. Sperimentalmente è facile provocare l’infiammazione chimica, ad esempio applicando sulla cute sostanze irritanti come l’olio di croton e la trementina; anche l’aumento in un tessuto della concentrazione di certi metaboliti endogeni è spesso causa di infiammazione chimica. Tuttavia le cause biologiche sono tra le più frequenti nell'induzione della flogosi. In essa l’azione dei microrganismi batterici dipende essenzialmente dalla loro capacità moltiplicativa e dall’intervento sui tessuti di prodotti del loro metabolismo (esotossine), o di costituenti chimici della parete batterica, che si liberano dopo la morte dei microrganismi (endotossine). Per fenomeni di glicolisi aerobica ed 30 anaerobica essi provocano nel territorio infiammato la formazione di acido lattico e CO2, alterando così l’equilibrio acido-basico dei tessuti. Le cellule della risposta infiammatoria immediata Nella risposta infiammatoria si ha un'infiltrazione di cellule leucocitarie nel tessuto interessato dalla flogosi in particolare del lignaggio mieloide. Nell'infiammazione acuta la popolazione cellulare è prevalentemente composta dai granulociti neutrofili, mentre più raramente si ritrovano i granulociti eosinofili, quando entra in gioco una risposta immunitaria di tipo immediato. Rappresentano una rara eccezione le infiammazioni acute dominate da essudazione linfocitaria, come capita in alcune infezioni virali. Nella tipica infiammazione acuta è caratteristica la precoce e progressiva sostituzione dei granulociti neutrofili con i monociti, cellule dotate di una capacità di sopravvivenza molto superiore a quella dei neutrofili che è di soli 3-4 giorni. Con sostanze ad azione irritante relativamente blanda, come soluzioni di glicogeno, si è visto che l'accumulo di neutrofili, che inizia immediatamente, raggiunge il valore massimo dopo 4 ore e quindi declina rapidamente; mentre l'accumulo di monociti comincia a manifestarsi dopo 4 ore e raggiunge il valore massimo dopo 18-24 ore. Neutrofili e monociti non migrano simultaneamente e perciò non reagiscono nello stesso modo agli stimoli chemiotattici. In conclusione, la migrazione dei monociti nell'infiammazione acuta prende inizio solamente quando diminuisce quella dei neutrofili, ma continua per un periodo molto più lungo. 31 I granulociti neutrofili I granulociti neutrofili sono caratterizzati dal nucleo segmentato e dalla presenza nel citoplasma di numerosissimi granuli contenenti vari enzimi proteolitici. Questi, oltre ad essere antimicrobici, possono danneggiare il tessuto sede di flogosi o comunque esercitare attività flogogena. I granulociti sono le cellule più frequentemente reperibili negli essudati, dove svolgono attività fagocitaria verso i batteri o verso materiali estranei, che possono essere contenuti in vacuoli citoplasmatici di 0,1-1µm. Sulla membrana cellulare dei neutrofili vi sono dei recettori per le immunoglobuline e per il complemento, che entrano in gioco nella immunofagocitosi. Il citoplasma dei neutrofili è ricco di glicogeno. La produzione di energia nel neutrofilo maturo è affidata più alla glicolisi (>90%) che alla respirazione. Ciò favorirebbe l'efficienza della cellula nei tessuti ipossici e negli essudati. Negli spazi interstiziali i neutrofili sono capaci, con la loro attività di fagociti, di impedire ai microrganismi patogeni di diffondersi al di fuori del focolaio dell'infiammazione. Qui però i neutrofili diventano molto fragili a causa dell'acidità del focolaio infiammatorio o perché lesi da batteri, che hanno sopraffatto il loro potere fagocitario e microbicida. Così in breve tempo vanno incontro a fenomeni regressivi (degranulazione, infiltrazione grassa, vacuolizzazione oppure picnosi del nucleo) ed a fenomeni di autodigestione per l'attivazione delle proteasi contenute nei lisosomi. I loro frammenti vengono fagocitati e distrutti dai macrofagi. La sopravvivenza dei granulociti neutrofili nel campo infiammatorio comporta la secrezione abbondante gli enzimi proteolitici di cui sono ricchi tali cellule, in modo da fluidificare e digerire il tessuto o 32 le componenti dell'essudato, come la fibrina. Questi processi sono alla base del fenomeno della suppurazione (infiammazione purulenta). I monociti/macrofagi I monociti (fagociti mononucleati del sangue) e i macrofagi (fagociti mononucleati dei tessuti) hanno una parte centrale nella resistenza alle infezioni e nell'infiammazione. Inoltre queste cellule assumono un'importanza fondamentale nell'immunità specifica attraverso una stretta associazione funzionale con i linfociti, soprattutto quelli della classe T. I macrofagi derivano dalle cellule staminali emopoietiche del midollo osseo che, attraverso lo stadio di monoblasti e promonociti, si differenziano in monociti e come tali entrano in circolo. Da qui, dopo poco tempo (36-104 ore), i monociti migrano nei tessuti e nelle cavità sierose in cui si differenziano a macrofagi. Sotto la denominazione di macrofagi vengono comprese cellule capaci di svolgere un'intensa attività fagocitaria, anche verso elementi estranei di dimensioni relativamente grandi, come batteri ed anche cellule intere. I fagociti mononucleati comprendono: 1) elementi a locazione endoteliale: le cellule di Kupffer dei sinusoidi del fegato, le cellule che rivestono i seni linfatici dei linfonodi (cellule litorali) e i seni venosi della milza e del midollo osseo; 2) cellule reticolari nei tessuti linfatici; 3) cellule sparse in tutti i connettivi (cellule migranti a riposo di Maximow) e cellule situate nella tonaca avventizia dei vasi (cellule avventiziali di Marchand); 4) macrofagi alveolari dei polmoni; 5) cellule della microglia del sistema nervoso centrale (SNC); 6) macrofagi liberi delle cavità sierose (macrofagi pleurici e peritoneali); 7) monociti del sangue (precursori diretti dei macrofagi tissutali). 33 Normalmente i macrofagi dei tessuti non si moltiplicano, se non in certe circostanze di sovrastimolazione, hanno una lunga durata di vita (100 giorni e più) e sono circa 30 volte più numerosi dei monociti del sangue. Nell'essudato infiammatorio il numero dei macrofagi comincia ad aumentare progressivamente quando si va esaurendo l'intervento dei granulociti neutrofili. Nell'essudato appena formato i macrofagi non si distinguono praticamente dai monociti, ma dopo poco tempo cominciano a maturare, cioè cambiano morfologia ed attitudini funzionali rispetto ai monociti: aumenta il volume cellulare, il consumo di glucosio, la produzione di lattato, l'attività fagocitaria, la formazione dei lisosomi, l'attività degli enzimi idrolitici e la quantità di goccioline lipidiche. Monociti e macrofagi ricavano energia dalla respirazione e dalla glicolisi. Una caratteristica importante dei macrofagi è la loro capacità di fagocitare corpi estranei. La captazione del materiale da fagocitare può avvenire in due modi: a) attraverso la chemiotassi, con la migrazione dei fagociti mediante movimenti ameboidi verso le particelle da fagocitare, come avviene molto attivamente nei focolai infiammatori; b) attraverso il contatto casuale dei macrofagi con particelle da fagocitare presenti nel circolo sanguigno e linfatico. L'endocitosi del materiale da fagocitare avviene attraverso una trasformazione della membrana esterna del fagocita: vengono emesse delle propaggini digitiformi tentacolari (pseudopodi), che prima circondano il materiale da fagocitare e poi si fondono perifericamente formando vescicole (vacuoli citotici o fagosomi) entro cui viene a trovarsi imprigionata la particella estranea. A questo punto i granuli (lisosomi) convergono sul fagosoma in formazione, si fondono con esso, e scaricano il loro contenuto enzimatico nel lume del 34 vacuolo attorno alla particella estranea. Questo processo porta alla scomparsa dei granuli e si chiama degranulazione. Le idrolasi acide derivanti dai lisosomi (proteasi, fosfatasi, nucleasi, glucuronidasi, solfatasi e lipasi) degradano il materiale digeribile all'interno dei vacuoli fagosomi; inoltre, questi enzimi intervengono nella digestione di batteri già uccisi precedentemente da vari altri fattori antimicrobici. Durante la fagocitosi i macrofagi vanno incontro a un fortissimo aumento dell'attività metabolica. Il consumo di ossigeno si raddoppia o si triplica, aumenta la formazione di ossigeno in forma anionica (O2-) e di perossido di idrogeno (H2O2). Il significato funzionale dell’aumento dell’attività respiratoria risiede nella reattività dei prodotti intermedi della riduzione dell'ossigeno che si formano nei macrofagi, principalmente anione perossido (O2-) e perossido d'idrogeno (H2O2). Altri prodotti reattivi che si possono formare sono il radicale idrossilico libero (OH·) ed ossigeno singoletto. Il principale effetto benefico è di fornire alla cellula un potente sistema microbicida, che si va ad aggiungere a quello rappresentato dal versamento di enzimi idrolitici e di altri fattori nel fagosoma. Oltre che per la fagocitosi, l'esaltazione del metabolismo respiratorio è essenziale per l'attività citotossica dei macrofagi nei riguardi di vari bersagli cellulari comprese le cellule tumorali. Nei fagociti, durante lo scoppio respiratorio, tutto il perossido d'idrogeno prodotto viene degradato dentro la cellula ad opera di catalasi, perossidasi e glutatione-perossidasi. Invece una certa quota dell'anione perossido prodotto viene liberata al di fuori della cellula. Qui si ha di nuovo formazione di H2O2 ad opera della superossido-dismutasi (SOD) ed inoltre dalla reazione tra H2O2 e l'anione superossido si genera radicale 35 idrossilico (OH·). Ciò comporta un effetto tossico sul tessuto. Il danno al tessuto viene poi esaltato dalla liberazione di componenti tossiche da fagociti morti. L’eccesso di O2- generatosi nel corso dell'attivazione metabolica è citotossico per lo stesso fagocita che lo produce e finisce per causare la morte prematura della cellula. In condizioni normali il radicale O2- viene ugualmente generato come sottoprodotto tossico del metabolismo ossidativo, mentre può venire completamente degradato dalla superossido-dismutasi (SOD). Nei fagociti attivati è stata invece dimostrata una drastica diminuzione di SOD, cosicché una buona parte di O2- sfugge alla degradazione enzimatica e si diffonde nell'ambiente extracellulare. Oltre alle funzioni di fagocitosi, i macrofagi hanno funzione secernente: producono e secernono una varietà di sostanze biologicamente importanti. Queste sostanze possono essere raggruppate in tre categorie: 1) enzimi che agiscono su proteine extracellulari: collagenasi, elastasi, proteasi lisosomiali, attivatori del plasminogeno; 2) sostanze implicate nei processi difensivi: componenti del complemento, interferone, lisozima; 3) fattori che regolano l'attività di altre cellule, citochine e chemochine. Mediatori dell'infiammazione Nell’infiammazione è coinvolto un gran numero di mediatori chimici. Nel plasma sono presenti dei precursori che vengono attivati, in genere in seguito a scissioni da parte di enzimi proteolitici, per acquisire le loro proprietà biologiche, come il sistema del complemento. Esistono invece dei mediatori prodotti dalle cellule, che vengono immagazzinati in genere all'interno di granuli intracellulari, ed in risposta ad uno stimolo vengono 36 secreti. Le fonti cellulari più comuni sono le piastrine, i neutrofili, i monociti/macrofagi e le mastcellule. Tra i più importanti mediatori della risposta infiammatoria abbiamo l'istamina, la serotonina, il sistema del complemento, la bradichinina, il sistema della coagulazione, i metaboliti dell'acido arachidonico, il PAF, le citochine, le chemochine e l'NO. L'istamina è ampiamente distribuita nei tessuti e si trova principalmente nelle mastcellule. Viene liberata in risposta a molti stimoli: danni fisici, reazioni immunitarie, anafilotossine, citochine (IL-1 e IL-8). L'istamina provoca dilatazione delle arteriole ed aumenta la permeabilità vasale delle venule, però provoca vasocotrizione delle grandi arterie. Essa rappresenta il mediatore principale della fase immediata dell'aumentata permeabilità vasale, che si verifica nell'infiammazione acuta. La serotonina è un altro mediatore vasoattivo con azioni simili a quelle dell'istamina. È presente nelle piastrine e nelle cellule enterocromoaffini. Un certo numero di fenomeni della risposta infiammatoria è mediato da tre fattori interconnessi e derivati dal plasma: il complemento, le chinine e il sistema della coagulazione. Il sistema del complemento consta di 20 componenti proteici (insieme ai loro prodotti di scissione) presenti in altissime concentrazioni nel plasma. Questo sistema agisce nelle reazioni immunitarie contro gli agenti microbici, che culminano con la lisi dei microbi da parte del complesso di attacco alla membrana (MAC). Durante il processo infiammatorio vengono prodotti alcuni componenti del complemento che provocano l'aumento della permeabilità vascolare, la chemiotassi e 37 l'opsonizzazione. I componenti del complemento presenti nel plasma in forma inattiva vengono numerati da C1 a C9. I fattori derivati dal complemento influiscono su molti fenomeni dell'infiammazione acuta: 1) fenomeni vascolari; 2) adesione dei leucociti, chemiotassi ed attivazione; 3) fagocitosi. Tra i fattori del complemento, il C3 ed il C5 rappresentano i più importanti mediatori dell'infiammazione. La loro importanza è anche aumentata dal fatto che possono essere attivati da una quantità di enzimi proteolitici presenti nell'essudato infiammatorio, fra i quali enzimi proteolitici liberati dai neutrofili. Perciò l'effetto chemiotattico del complemento e gli effetti attivanti il complemento dei neutrofili possono instaurare un ciclo di migrazione dei neutrofili che si perpetua da solo. La bradichinina è un potente fattore vasodilatatore che causa anche contrazione della muscolatura liscia, essa viene rapidamente inattivata dalla chininasi. Il sistema della coagulazione è un altro gruppo di proteine plasmatiche coinvolte nell'infiammazione, infatti durante la conversione del fibrinogeno in fibrina si formano fibrinopeptidi, che causano aumento della permeabilità vascolare ed hanno attività chemiotattica sui leucociti. I sistemi del complemento, della coagulazione e delle chinine vanno incontro a cross-attivazioni, che aumentano la potenza della risposta infiammatoria. Molto importante è anche il ruolo svolto dai vari derivati dell'acido arachidonico. Tra questi vanno segnalati il trombossano A2 per l'azione vasocostrittrice, i leucotrieni C4, D4 ed E4 per l'attività vasocostrittrice e l'aumento della permeabilità vascolare, la PGI2, la PGE1, la PGE2 e la PGD2 per la vasodilatazione ed il leucotriene B4 e l'HETE per la chemiotassi. 38 Il PAF è coinvolto nella genesi di molti fenomeni caratteristici dell'infiammazione, tra cui: la vasodilatazione e l'aumento della permeabilità vascolare (è 1000 volte più potente dell'istamina), l'adesione dei leucociti all'endotelio e la chemiotassi, agisce infine sulla degranulazione [151]. Le citochine sono polipeptidi prodotti da molti tipi di cellule, ma principalmente da linfociti e macrofagi attivati, che modulano le funzioni di altri tipi di cellule. Le citochine più importanti come mediatori dell'infiammazione sono IL-1, IL-6, IFNγ, TNFα, TNFβ e la famiglia dell'IL-8. IL-1 e TNFα hanno in comune molte proprietà biologiche e sono prodotti da macrofagi attivati, TNFβ è prodotto dalle cellule T attivate [152]. La secrezione di questi fattori può essere stimolata da endotossine, immunocomplessi, tossine, danni fisici e da una varietà di processi infiammatori. Le citochine possono agire sulla stessa cellula da cui vengono prodotte (effetto autocrino), su cellule nelle immediate vicinanze (effetto paracrino) o per via sistemica (effetto endocrino). Le loro azioni più importanti nell'infiammazione riguardano l'endotelio, i leucociti, i fibroblasti e l'induzione delle reazioni sistemiche della fase acuta. L’interleuchina-1 (IL-1) rappresenta uno dei principali effettori della risposta infiammatoria nel macrofago. Ne sono note due isoforme, IL-1α, che si trova per la maggior parte associata alla membrana cellulare, ed IL-1β, che viene invece secreta. Prodotta da cellule delle linee mieloide e linfoide, essa veicola un segnale immuno-stimolante e pro-infiammatorio nei confronti di cellule T e B, dei monociti e dei macrofagi [153]. IL-1α e IL-1β stimolano l'espressione di vari geni associati all'infiammazione e alle malattie autoimmuni; tra i più importanti la cicloossigenasi 2 39 (COX-2), la fosfolipasi A2 e l'ossido nitrico sintetasi inducibile (iNOS). IL-1 aumenta anche l'espressione di molecole di adesione come ICAM-1 sulle cellule mesenchimali e VCAM-1 sulle cellule endoteliali. Questa proprietà promuove l'infiltrazione di cellule dell'infiammazione ed immunocompetenti nello spazio extravasale [152]. L’interleuchina-6 (IL-6) è considerata una citochina pro-infiammatoria attiva nella generazione e nella coordinazione della risposta immune. In particolare, tra i suoi effetti vi sono l’attivazione delle cellule B che vengono indotte a sintetizzare anticorpi, l’incremento della permeabilità vascolare e l’induzione delle risposte di fase acuta, ovvero quella serie di eventi a carico di organi metabolici (fegato) ed esecutivi (cellule immunitarie) che vanno a supportare l’instaurarsi della difesa immunitaria. A differenza di IL-1, però, IL-6 può anche veicolare risposte anti-infiammatorie, inibendo la sintesi di TNFα ed inducendo la sintesi dei recettori solubili per TNFα ed IL-1, i quali diminuiscono i livelli di citochine disponibili per l’induzione della risposta infiammatoria [154]. Gli interferoni (IFN) possono essere suddivisi in due gruppi sulla base delle loro caratteristiche strutturali e dei recettori a cui si legano. Gli IFN di tipo II comprendono IFNα, IFNβ, IFNω e IFNτ, accomunati dalle caratteristiche strutturali e recettoriali, mentre la molecola dell’IFNγ (IFN di tipo I) si differenzia per struttura dalle altre e possiede un recettore distinto. IFNγ riveste un ruolo di rilievo nella regolazione dell’attività immunitaria, essendo in grado di indurre l’espressione di molecole di adesione e del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) di classe II, di stimolare la risposta umorale e cellulare e l’interazione dei linfociti con l’endotelio vascolare [155]. 40 Il tumor necrosis factor α (TNFα), spesso considerato il prototipo delle citochine pro-infiammatorie, viene prodotto dai monociti/macrofagi, dalle cellule dendritiche o dai linfociti ed esercita i suoi effetti su una vastissima gamma di cellule sulle quali può intervenire per influenzarne crescita e differenziamento. TNFα provoca l'aggregazione e l'attivazione dei neutrofili, con aumentata risposta di queste cellule ad altri mediatori, e la liberazione di enzimi proteolitici da parte delle cellule mesenchimali, contribuendo al danneggiamento dei tessuti [153]. IL-8 è secreta da macrofagi attivati ed è un potente chemiotattico ed attivatore dei neutrofili, mentre ha poca attività sui monociti e sugli eosinofili. La sua produzione viene indotta principalmente da altre citochine, come IL-1 e TNFα. Della stessa famiglia di IL-8 fanno parte MCP-1 (Monocyte Chemoattractant Protein-1), che è un agente chemiotattico ed attivante per i monociti, e RANTES (Regulated upon Activation Normal T cell Expressed and Secreted), fattore chemiotattico per i timociti [156]. Le chemochine costituiscono un sofisticato sistema di comunicazione usato da tutti i tipi cellulari, comprese le cellule immunitarie. Le chemochine sono classificate in base alla loro composizione aminoacidica, in particolare per la presenza di un motivo conservato di quattro cisteine. La posizione relativa delle prime due cisteine, separate da un aminoacido non conservato o contigue, permette la divisione delle chemochine in due sottoclassi: CXC e CC. Inoltre tre molecole omologhe sono classificate come chemochine: CXC3CL1, che presenta tre aminoacidi tra le prime cisteine, e XCL1 e XCL2, che non presentano due delle quattro canoniche cisteine delle chemochine. 41 A tutt'oggi sono conosciute 43 chemochine umane, tuttavia la presenza di isoforme, polimorfismi e splicing alternativi aumenta notevolmente il numero di chemochine che agiscono nell'uomo. Esse agiscono legandosi a specifici recettori accoppiati a proteine G, nell'uomo ne sono stati riconosciuti 19. Le chemochine influenzano molti aspetti della cellula non solo la chemotassi e l'adesione, ma anche la proliferazione, la maturazione, il differenziamento, l'apoptosi e la trasformazione maligna. Le chemochine sono indispensabili per la risposta infiammatoria in quanto coordinano la migrazione delle cellule della risposta immune che avviene sia in seguito all'esposizione ad un agente infettivo sia nel normale sviluppo del sistema immunitario [157]. L'ossido nitrico è un gas solubile che viene prodotto dall'enzima NO-sintasi (NOS) che è espresso in tre isoforme denominate nNOS o NOS-1, costitutivamente espressa a livello prevalentemente neuronale, iNOS o NOS-2, inducibile, in particolare nelle cellule della serie leucocitaria, ma anche in talune cellule endoteliali ed epiteliali, negli epatociti e nei neuroni, ed eNOS o NOS-3, costitutivamente espressa principalmente a livello delle cellule endoteliali. Bassi livelli di ciascuna isoforma possono essere espressi anche in tipi cellulari diversi. La sua emivita in vivo è molto breve, quindi la sua azione è limitata alle cellule adiacenti al sito in cui viene prodotto. L'effetto dell'NO deve essere probabilmente ricondotto ai prodotti della sua interazione con le specie radicaliche dell’ossigeno. Ad esempio la reazione con l’anione superossido O2-, prodotto dall’attività della superossido dismutasi, genera il radicale perossinitrito ONOO- a sua volta instabile, che, in presenza di CO2 come catalizzatore, libera, fra gli altri, NO2 e CO3- probabilmente i veri responsabili di gran parte degli effetti tossici inizialmente ascritti ad NO. Questi comprendono effetti di 42 alchilazione del DNA dovuta ad alterazione in senso genotossico di molecole aggredite da specie radicaliche dell’azoto; oppure alterazione dell’attività di proteine regolatorie che possono essere nitrate o nitrosate in corrispondenza di residui importanti per la loro funzione, con un effetto che può rendersi manifesto a diversi stadi lungo la loro via di segnale, fino ad influenzare la stessa espressione genica. Oltre che agire sulla muscolatura liscia vasale, inducendone la dilatazione, l'NO ha anche altri ruoli nell'infiammazione, fra cui la riduzione dell'aggregazione e dell'adesività piastriniche. Inoltre l'NO prodotto dai macrofagi, agendo come radicale libero, è citotossico sia per i microbi e le cellule tumorali, sia per le cellule sane, quindi una sua iper-produzione può portare a danno tissutale. L’induzione della trascrizione di iNOS può essere mediata da una serie di citochine pro-infiammatorie come IL-1β, TNFα ed IFNγ, che la modulano attraverso l’attivazione di fattori di trascrizione attivi su elementi responsivi a STAT1 e ad NF-κB [158]. È stato dimostrato che NO up-regola mediatori pro-infiammatori, come TNFα, IL-8 e la stessa iNOS. Questi effetti sono mediati dall'attivazione di NF-κB [159]. 43 IL FATTORE NUCLEARE κB (NF-κ κB) NF-κB è un fattore di trascrizione sequenza-specifico ben conosciuto per il suo coinvolgimento nell'infiammazione e nella risposta immunitaria innata. Inoltre è sempre più accertato un suo coinvolgimento nello sviluppo tumorale [160]. È stato descritto per la prima volta nel 1986 come un fattore nucleare necessario per la trascrizione della catena leggera κ delle immunoglobuline nei linfociti B, e da qui il nome nuclear factor-κB [161, 162]. NF-κB è un fattore di trascrizione dimero espresso in modo ubiquitario, anche se il suo ruolo è più studiato nelle cellule del sistema immunitario. Nelle cellule B e nelle plasma-cellule, NF-κB è localizzato nel nucleo, dove lega una regione di dieci paia di basi dell'enhancer intronico kappa e promuove la trascrizione [163]. Nelle altre cellule è mantenuto citoplasmatico dal suo inibitore, IκB (Inhibitor of NF-κB) [164-166]. Classificazione dei membri di NF-κB Le proteine che costituiscono NF-κB appartengono alla famiglia Rel. Fanno parte della famiglia Rel proteine di Drosophila melanogaster (Dorsal, Dif e Relish) e di mammifero (p65, RelB, c-Rel, p50, p52) [167-169]. I vari membri di questa famiglia possono associarsi formando complessi eterodimerici od omodimerici, eccetto RelB che forma solo eterodimeri. Il dimero più frequentemente presente è costituito dalla proteina p65, denominata anche RelA, e dalla proteina p50, chiamata anche NF-κB1. Ci sono però anche altri dimeri trascrizionalmente attivi come p50/c-Rel, p65/p65 e p65/c-Rel. Omodimeri di p50 o di p52 44 Struttura 3D dell'eterodimero p65/p50 45 agiscono invece come repressori [170-174]. L’attività costitutiva di NF-κB nei linfociti B è principalmente attribuibile agli eterodimeri p50/c-Rel [163, 175]. Tuttavia nella maggior parte delle cellule l’attività di NF-κB è largamente inducibile e il dimero più diffuso è p50/p65. Ciascun membro della famiglia Rel contiene all’N-terminale una regione conservata di 300 aminoacidi, detta RHD (Rel Homology Domain). Il dominio RHD contiene sequenze coinvolte nel legame al DNA e nella dimerizzazione. Nell’estremità C-terminale del RHD è presente anche una sequenza di localizzazione nucleare (Nuclear Localization Signal, NLS). Il fattore di trascrizione NFAT (Nuclear Factor of Activated T cells) ha anch’esso un dominio RHD ed è da alcuni considerato membro della famiglia Rel [176]. Le proteine appartenenti alla famiglia Rel si possono suddividere in due classi in base alla loro sequenza C-terminale. I membri della prima classe sono p105/p50, p100/p52 e la proteina di Drosophila Relish. Queste proteine sono caratterizzate da domini ripetuti di anchirina, presenti anche nelle proteine della famiglia di IκB. p100, il precursore di p50, e p105, il precursore di p52, sono esclusivamente citosoliche, perché i domini ripetuti di anchirina mascherano le loro sequenze di localizzazione nucleare [177]. Queste due proteine sono poi digerite nel dominio Nterminale a livello di regioni specifiche di 23 aminoacidi ricche di glicina (Glicine Rich Region, GRR) così da generare p50 e p52. p50 e p52 non hanno domini di transattivazione e quindi sono trascrizionalmente inattive [163]. La seconda classe include p65, RelB, c-Rel, Dorsal e Dif. Queste proteine contengono uno o più domini di transattivazione nella loro regione C-terminale [178]. In particolare, il dominio di transattivazione di p65 contiene due regioni di transattivazione, una di 30 aminoacidi a livello 46 C-terminale, detta TA1, e una di 90 aminoacidi, adiacente al TA1, chiamata TA2. Sia nel dominio TA1 che nel dominio TA2 sono presenti siti di fosforilazione importanti per l’attivazione di p65. Questi domini, quando legano le sequenze bersaglio, assumono una conformazione ad α elica. Attivazione di NF-κB In assenza di uno stimolo infiammatorio, NF-κB è localizzato nel citoplasma complessato con una proteina inibitoria chiamata IκB (Inhibitor of NF-κB), che maschera la sua sequenza di localizzazione nucleare (NLS). Quando uno stimolo extracellulare attiva la via di NF-κB si attivano le IKK, chinasi specifiche per IκB, che fosforilano IκBα sulle serine 32 e 36. Tale fosforilazione promuove la reazione di poliubiquitinazione sulle lisine 21 e 22 e quindi la rapida degradazione di IκBα da parte del proteasoma 26S. In assenza di IκB è dunque smascherata la sequenza di localizzazione nucleare e NF-κB può migrare nel nucleo dove attiva la trascrizione dei geni bersaglio. Fra i geni responsivi a NF-κB troviamo anche IκBα. Quando IκBα è stato risintetizzato, entra nel nucleo, perché ha, all’interno del dominio di anchirina ripetuto (Ankyrin Repeat Domain, ARD), una sequenza di localizzazione nucleare che permette il suo ingresso nel nucleo. Qui si lega ad NF-κB bloccandone l’attività trascrizionale e complessata a NFκB torna nel citoplasma, grazie alla presenza di sequenze di esporto nucleare (Nuclear Export Sequences, NES) ricche di leucine localizzate nei dominii C-terminale (aminoacidi (aminoacidi 45-54) di IκBα [179]. 47 265-277) ed N-terminale I membri della famiglia di NF-κB da Sankar Ghosh, Michael J. May and Elizabeth B. Kopp Annu. Rev. Immunol. Vol.16 April 1998 modificata 48 Delezioni o mutazioni nelle sequenze NES determinano la localizzazione nucleare dei complessi NF-κB/IκBα. In più la leptomicina B, inibitore dell’esportina CRM1, determina un accumulo nel nucleo dei complessi NF-κB/IκBα inattivi. Esiste quindi un meccanismo di feed-back negativo che regola l’attività trascrizionale di NF-κB. È stato quindi proposto un modello dinamico secondo il quale i complessi NF-κB/IκBα migrano continuamente tra il nucleo e il citoplasma. Tuttavia la velocità del trasporto dal nucleo al citoplasma è molto maggiore di quella dal citoplasma al nucleo, in accordo con la prevalente localizzazione citoplasmatica dei complessi NF-κB/IκBα [180-182]. La trascrizione di IκBβ invece non è regolata da NF-κB, perciò in cellule in cui IκBβ è preponderante, l’attivazione di NF-κB è persistente nel tempo. Gli stimoli in grado di attivare NF-κB possono essere raggi UV, intermedi reattivi dell’ossigeno, proteine virali, LPS, ma anche diverse citochine come TNFα ed IL-1. L'inibitore di NF-κB e le chinasi IKK Le proteine della famiglia di NF-κB posseggono degli inibitori specifici: le proteine IκB. Esistono diverse proteine IκB: IκBα , IκBβ, IκBγ, IκBε, Bcl-3 nei vertebrati superiori e Cactus in Drosophila. Inoltre anche p105 e p100 hanno regioni simili a IκB. Tutti questi inibitori contengono regioni di omologia: i motivi ripetuti di anchirina (Ankyrin Repeat Motifs), necessari per l’interazione proteina-proteina. Ciascun membro della famiglia IκB differisce per il numero di queste sequenze che conferisce la specificità per i diversi dimeri NF-κB. 49 Degradazione nel proteasoma L'attivazione di NF-κB da Yumi Yamamoto and Richard B. Gaynor TRENDS in Biochemical Sciences Vol.29 No.2 February 2004 modificata 50 Sono anche presenti regioni ricche di aminoacidi coinvolti nell’interazione con le sequenze di localizzazione nucleare e di legame al DNA di NF-κB. È presente anche una sequenza C-terminale, detta PEST (pro-glu/asp-ser-thr), coinvolta nella regolazione della degradazione di IκB. La proteina meglio caratterizzata della famiglia è IκBα, una proteina di circa 37 kDa. Sia IκBα sia IκBβ regolano la maggior parte dei dimeri p50/p65 e p50/c-Rel. IκBε lega esclusivamente i dimeri p65/p65 e p65/c-Rel, perciò regola l’espressione di specifici geni come IL-8, il cui promotore lega preferenzialmente i complessi p65 e c-Rel. Come detto sopra la fosforilazione di IκB è effettuata dalle IκB chinasi (IKK). IKK è un complesso proteico e ne fanno parte tre polipeptidi: IKKα, IKKβ, le subunità catalitiche e IKKγ/NEMO, la subunità inibitoria [183]. IKKα e IKKβ hanno una struttura molto simile. Entrambe contengono un dominio protein chinasico all’N-terminale, un motivo a “cerniera di leucina” (leucine zipper) e un motivo elica-ansa-elica al C-terminale. IKKγ contiene un motivo a “cerniera di leucina” e il dominio ad α elica, ma non la regione catalitica. I complessi di IKK nativi trovati nei mammiferi sembrano essere costituiti da eterodimeri IKKα/IKKβ e da un numero imprecisato di IKKγ. L’attivazione di IKK dipende dalla fosforilazione di IKKβ. Fosforilazione di NF-κB L’attivazione di NF-κB coinvolge la fosforilazione di p65 da parte di diverse chinasi. L’LPS, ad esempio, stimola la fosforilazione PKAdipendente della serina 276 nel RHD di p65 e il conseguente reclutamento 51 IL-1 LPS TNF MSK 1 PKAc S 276 1 CKII IKK S 529 S 536 RHD TA2 PKC ζ TA1 PMA CaMKiV Le fosforilazioni di p65 da Linda Vermeulen et al. Biochemical Pharmacology Vol.64 No.5-6 September 2002 modificata 52 551 di CREB binding protein (p300/CBP) [184]. Ciò stimola l’attività trascrizionale di p65. Il TNFα induce invece la fosforilazione della Ser 529 nel dominio di transattivazione C-terminale. Questa fosforilazione aumenta l’attività trascrizionale, ma non influenza la traslocazione nucleare o la capacità di legare il DNA [185]. È stato poi dimostrato che la fosforilazione della Ser 529 è effettuata dalla casein chinasi II (CKII). Inoltre si è visto che l’associazione tra IκBα e p65 inibisce la fosforilazione di p65 da parte della CKII e che, in seguito alla degradazione di IκBα, CKII può fosforilare p65 e aumentarne l’attività trascrizionale [186]. TNFα induce anche la fosforilazione, da parte del complesso IKK, della Ser 536 nel dominio di transattivazione TA1 di p65 [187]. Recentemente si è scoperto che l’LPS induce anche la fosforilazione della Ser 536 [188]. IKKβ gioca un ruolo essenziale in questa fosforilazione, mentre IKKα è solo parzialmente coinvolta. Inoltre la fosforilazione di p65 sulla Ser 536 aumenta la sua attività trascrizionale [189]. Il PMA (un estere del forbolo) induce la fosforilazione del dominio di transattivazione TA2 di p65, tra gli aminoacidi 442 e 470 e questa fosforilazione aumenta l’attività trascrizionale. Inoltre una sovraespressione della Ca2+/Calmodulina chinasi IV determina la fosforilazione nella regione C-terminale. La PKCζ invece fosforila l’RHD. Recentemente si è scoperto che p65 è fosforilato a livello della Ser 276 non solo dalla PKA, ma anche dalla chinasi nucleare MSK-1 in risposta al trattamento con il TNFα. MSK-1 è a sua volta attivata sia da ERK che da p38, ed è stata inizialmente identificata come una CREB chinasi molto potente. La fosforilazione e la conseguente attivazione trascrizionale di p65 da parte di MSK-1, in risposta al trattamento con il 53 TNFα, è un processo rapido, che raggiunge un massimo 10-15 minuti dopo l’induzione e ritorna a livelli basali dopo 30 minuti [190]. Il ruolo della fosfatidilinositolo 3-chinasi e di Akt nell’attivazione di NFκB è ancora oggetto di studio. Alcuni lavori hanno evidenziato una potenziale attività antinfiammatoria della PI3K: l'attivazione della via della fosfatidilinositolo 3-chinasi porta ad un'inibizione dell'espressione di geni proinfiammatori [191-195]. Tuttavia altri gruppi hanno evidenziato come l'uso di inibitori farmacologici della PI3K porti ad una diminuzione dell'attività di NF-κB, quindi un ruolo proinfiammatorio della cascata PI3K/Akt [196-199]. Sulla base delle evidenze finora pubblicate si ipotizza quindi che l'effetto della PI3K su NF-κB dipenda dal tipo cellulare preso in esame. Acetilazione di NF-κB L’acetilazione è un'altra modalità con cui NF-κB può essere regolato. Il TNFα induce l’acetilazione di p65 impedendo così il legame tra p65 e IκBα. Responsabile di questa acetilazione in vivo è p300/CBP (CREB Binding Protein), che possiede attività acetil transferasica degli istoni (HAT) ed è in grado di acetilare, oltre agli istoni, diversi fattori di trascrizione. p300/CBP acetila le lisine 218, 221 e 310 di p65. L’acetilazione della Lys 221 aumenta il legame al DNA e inibisce il legame ad IκBα di p65. L’acetilazione della Lys 310 è invece necessaria per la completa attività trascrizionale di p65, ma non ha effetti sul legame al DNA o ad IκBα. p65 acetilata è successivamente deacetilata per interazione con la deacetilasi degli istoni HDAC3. Questa deacetilazione promuove il legame con IκBα e ha come conseguenza il trasporto del 54 complesso nel citoplasma [200, 201]. Un recente lavoro giunge però a conclusioni opposte. Gli autori sostengono che p65 è acetilato da p300/CBP e PCAF sulle lisine 122 e 123. Inoltre affermano che l’acetilazione impedisce il legame al DNA di p65 e ne favorisce l’esporto dal nucleo mediato da IκBα [202]. Geni regolati da NF-κB I geni bersaglio di NF-κB contengono nel loro promotore la sequenza consenso di legame al DNA di NF-κB ossia GGGRNNYYCC (R=purina, Y=pirimidina, N=una base qualsiasi), ma sono ammesse variazioni che conferiscono specificità per i diversi eterodimeri [203, 204]. I principali geni bersaglio di NF-κB sono i geni dell’infiammazione [205]. Possiamo distinguere tra geni precoci, la cui espressione è immediatamente successiva all'ingresso di NF-κB nel nucleo, e geni tardivi, che vengono espressi in seguito alla seconda fase dell'attivazione di NF-κB. Tra i più importanti geni precoci abbiamo IκBα, MnSOD e MIP-2. Tra i geni tardivi, la cui sintesi inizia dopo 90 e 120 minuti dall'attivazione di NF-κB, vi sono numerose citochine come IL-1, IL-2, IL-6, IL-8, GM-CSF, INFγ, TNFα ed alcune chemochine come RANTES e MCP-1 [206]. È stimolata anche la produzione di proteine della fase acuta. Queste includono la proteina amiloide del siero A, l’angiotensinogeno, componenti del complemento. Fanno parte dei geni bersaglio anche la COX-2 e iNOS, molto importanti per le risposte infiammatorie, e proteine di adesione come VCAM-1 ed ICAM-1. Citochine come IL-1 e TNFα oltre a essere sintetizzate in risposta a NF-κB sono anche in grado di attivare NF-κB, con un 55 meccanismo di feed-back positivo. NF-κB e l'infiammazione L’attivazione di NF-κB è coinvolta nella patogenesi di malattie infiammatorie croniche, come l'aterosclerosi, l’asma, l’artrite reumatoide e malattie infiammatorie dell’intestino. In più un'alterata regolazione di NF-κB è stata riscontrata in malattie come l’Alzheimer, in cui la risposta infiammatoria è parzialmente coinvolta. Molti geni proinfiammatori importanti per la patogenesi dell'aterosclerosi sono regolati da NF-κB, che è presente in forma attivata nella placca aterosclerotica. Uno dei primi eventi nell'aterogenesi è l'attivazione dell'endotelio vascolare, che porta al reclutamento di monociti e linfociti T. Una volta arrivati nella parete vasale, i monociti differenziano a macrofagi e quindi, una volta fagocitati i lipidi, in cellule schiumose. In seguito si ha una migrazione di cellule muscolari lisce dalla media all'intima, con susseguente proliferazione e deposizione di matrice extracellulare. Ciò porta alla formazione di una placca matura. Gli eventi acuti si possono originare o da una stenosi del vaso o da una complicazione trombotica. Alcuni gruppi hanno rilevato la traslocazione nucleare di NF-κB nell'intima e nella media di lesioni aterosclerotiche, in cellule muscolari lisce, in macrofagi, cellule endoteliali e linfociti T. Mentre analisi di pareti vasali sane hanno dimostrato una localizzazione citoplasmatica di NF-κB [207, 208]. Nel contesto dell'aterosclerosi vi sono molti stimoli che possono attivare NF-κB, tra cui fattori locali, come: ingiurie vascolari, LDL modificate, agenti infettivi e citochine [209]. 56 In diversi studi è stato messo in evidenza come l’attivazione dei geni delle citochine da parte di NF-κB contribuisca alla patogenesi dell’asma, che è caratterizzato da infiltrazione delle cellule infiammatorie e dalla deregolazione di citochine e chemochine nel polmone [210]. Anche nell’artrite reumatoide è coinvolta l’attivazione della via di NF-κB. Nel fluido sinoviale di pazienti colpiti da questa malattia si trovano elevati livelli di TNFα e di altre citochine [211]. La produzione di TNFα è indotta da NF-κB, ma TNFα a sua volta stimola l’attivazione di NF-κB, con un meccanismo di feed-back positivo. Anticorpi contro TNFα o recettori troncati del TNFα migliorano i sintomi dei pazienti affetti da artrite reumatoide. L’attivazione di NF-κB è stata riscontrata in biopsie di campioni provenienti da pazienti con coliti ulcerative ed il morbo di Crohn [212]. Queste malattie infiammatorie intestinali sono caratterizzate dalla produzione di citochine proinfiammatorie sia dai macrofagi che dai linfociti. Il trattamento con antinfiammatori diminuisce i sintomi. Anormalità nell’attivazione di NF-κB si trovano anche nella malattia di Alzheimer (AD). Immunoreattività per NF-κB è stata riscontrata nelle placche precoci, mentre nelle placche mature c’è una riduzione dell’attività di NF-κB. L’attivazione di NF-κB può quindi essere coinvolta nell’iniziazione delle placche neuritiche e nell’apoptosi neuronale durante le fasi iniziali dell’Alzheimer [213]. L’immunoreattività per p65 è infatti aumentata in neuroni ed astrociti nell’immediata vicinanza della placca amiloide in sezioni di cervelli di pazienti colpiti dalla malattia di Alzheimer. Altri studi di immunoistochimica mostrano che nel cervello di pazienti con l’AD l’attività di NF-κB è accresciuta e che NF-κB è localizzato 57 costitutivamente nel nucleo [214]. Inoltre il peptide β amiloide (Aβ) può attivare NF-κB in neuroni in coltura. In più è stato osservato che la regione “enhancer” in 5’ del gene che codifica βAPP contiene siti di legame NF-κB [215]. E’ possibile così che l’attivazione di NF-κB nei neuroni porti all’aumento della produzione di APP. Farmaci che agiscono su NF-κB Alcuni farmaci, che sono usati per trattare patologie infiammatorie, svolgono la loro azione inibendo l'attività di NF-κB. Vi sono tre possibili meccanismi d'azione: 1) inibizione della fosforilazione e degradazione di IκBα: è stato dimostrato che alcuni FANS come aspirina, sulfasalazina e sulindac [216-218], la ciclopentenone prostaglandina 15dPGJ2 [219] e alcuni composti naturali come il resveratrolo [220] inibiscono l'attività di IKK, diminuendo la fosforilazione e la degradazione di IκBα; 2) inibizione dell'attività di NF-κB sulla trascrizione genica: interazioni dirette tra il recettore dei glucocorticoidi ed NF-κB [221, 222] e il complesso basale della trascrizione [223] sono state proposte per spiegare l'effetto inibitorio che i glucocorticoidi hanno sulla trascrizione dei geni regolati da NF-κB. Anche gli agonisti dei PPAR α e γ inibiscono geni attivati da NF-κB [224]; 3) induzione dell'espressione di IκBα: un altro meccanismo d'azione proposto per i glucocorticoidi è l'induzione del gene di IκBα [225, 226], che esporta NF-κB dal nucleo e lo mantiene inattivo nel citoplasma [182]. 58 NF-κB ed LPS L’endotossina batterica lipopolisaccaride (LPS) è il principale componente della membrana esterna della parete dei batteri Gramnegativi. La porzione polisaccaridica dell’LPS è costituita da un nucleo polisaccaridico e dall’antigene-O. La porzione lipidica è rappresentata dal lipide A, responsabile della tossicità dell’LPS. L’LPS è trasportato nel plasma dalla proteina legante l’LPS (LPS Binding Protein, LBP). È poi riconosciuto dal recettore CD14, espresso nelle cellule della linea mieloide [227]. CD14 ha la funzione di legare l’LPS e trasferirlo al complesso del recettore TLR-4 (Toll-Like Receptor-4) e della proteina accessoria MD-2. I recettori della famiglia TLR sono proteine transmembrana con un dominio citoplasmatico conservato detto Toll, presente anche nel recettore dell'IL-1, in grado di trasferire il segnale all’interno della cellula tramite differenti vie che portano all’attivazione di fattori di trascrizione. NF-κB è uno dei fattori di trascrizione attivato dall’LPS. Il dominio Toll di TLR-4 interagisce con la proteina adattatrice MyD88. Questa proteina contiene dei domini legati alla morte cellulare (Death Domains, DD) tramite i quali interagisce con i DD della chinasi IRAK, nota anche come SIIK (Serine/threonine Innate Immunity Kinase). IRAK attiva TRAF6 (TNFα Receptor Associated Factor). TRAF6 tramite la proteina ECSIT (Evolutionarily Conserved Signalling Intermediate in Toll pathways) attiva MEKK1, che a sua volta attiva IKK mediante fosforilazione. Inoltre TRAF6 tramite la proteina adattatrice TAB2 attiva la chinasi TAK1 che fosforila IKK. IKK attivata fosforila IκBα, provocandone la degradazione. L’LPS stimola anche l’attivazione di tutte 59 le vie delle MAP chinasi: ERK1/ ERK2, JNK e p38 che, a loro volta, fosforilano e attivano fattori nucleari come Elk-1, Jun, Fos, ATF-1, ATF2 e CREB. Inoltre l'LPS attiva la via di segnale PI3K/Akt. 60 LPS TLR4 α IKKα RAS α IkBα PI3K MAPKK ERK1/2 κB NF-κ κB NF-κ Elk1 SRF kB-site SRE Le vie di traduzione del segnale di LPS 61 ESTROGENI ED INFIAMMAZIONE DEL SISTEMA NERVOSO Studi clinici e sperimentali indicano che l'E2 influenza l'attività del sistema nervoso centrale mediante la modulazione dei processi cognitivi della postura, del movimento fine, dell'umore e dell'affettività. Inoltre il 17β-estradiolo esercita un'azione protettiva contro la neurodegenerazione e gli insulti al cervello, effetti che possono spiegare l'azione benefica dell'ormone sulle capacità cognitive, sulla mobilità e sulla sfera affettiva. Molte ipotesi sono state avanzate per spiegare il meccanismo dell'azione neuroprotettiva dell'estrogeno: 1) l'attività trofica degli estrogeni. È stato osservato che il 17β-estradiolo stimola la crescita dei neuriti, la differenziazione, la formazione di sinapsi. L'ormone inoltre modula la sintesi di fattori di crescita come NGF, BDNF, IGF-1, TGFβ ed i relativi recettori. Durante la maturazione del sistema nervoso centrale l'attività dell'E2 continua ed assicura che i neuroni mantengano le connessioni sinaptiche indispensabili per il signaling e la sopravvivenza neurale; 2) l'E2 può regolare positivamente la sintesi di proteine che proteggono il neurone dall'apoptosi. Questa azione dell'ormone si esplica, molto probabilmente, attraverso l'attivazione della sintesi di proteine antiapoptotiche, come Bcl-2 e BclXL, e l'inibizione dell'espressione di proteine proapoptotiche come BNIP2 [228]; 3) il 17β-estradiolo può indurre proliferazione delle cellule staminali per rimpiazzare i neuroni che sono degenerati; 4) l'ormone può influenzare la risposta infiammatoria controllando la reattività della microglia e la funzionalità vascolare [92, 229]. 62 Estrogeni e patologie a componente infiammatoria del sistema nervoso Effetti antinfiammatori degli estrogeni sono stati descritti in malattie dell’uomo, modelli animali di malattie umane ed in sistemi cellulari. Numerosi studi mostrano che gli estrogeni hanno un effetto protettivo contro malattie con una componente infiammatoria ritardandone l’insorgenza e/o attenuandone i sintomi. Tra le malattie a componente infiammatoria su cui gli estrogeni hanno azione, ricordiamo: la sclerosi multipla, la leucodistrofia a cellule globoidi, l’artrite reumatoide, l’ischemia cerebrale e la malattia di Alzheimer. La sclerosi multipla La sclerosi multipla (SM) o sclerosi a placche è una malattia cronica grave del sistema nervoso centrale, che colpisce prevalentemente soggetti adulti. È caratterizzata dalla presenza di aree di demielinizzazione, definite placche, e da infiltrazione di linfociti T e macrofagi a livello di sistema nervoso centrale. Le placche possono essere ovunque nella materia bianca del sistema nervoso centrale, ma più frequentemente sono a livello di midollo spinale, cervelletto e nervi ottici. Gli effetti della perdita della mielina sulle fibre nervose sono molto gravi: è impedita la conduzione saltatoria e quindi l’impulso è trasmesso più lentamente lungo l’assone o addirittura c’è un blocco della conduzione a livello del sito della lesione [230]. Una specifica causa alla base di questa malattia non è stata ancora identificata. Sulla base dei risultati delle ricerche scientifiche fino ad ora condotte, si ritiene che siano coinvolti fattori genetici e ambientali. Gli 63 individui assumono il rischio relativo dell'ambiente in cui trascorrono i primi quindici anni della loro vita [231]. L’incidenza di SM in chi ha un parente di primo grado colpito dalla malattia è 20 volte maggiore che nella popolazione generale. Inoltre, studi su gemelli monozigoti mostrano che il tasso di concordanza è del 30%. Gemelli eterozigoti mostrano un tasso di concordanza minore del 5% [232]. La SM sembra essere associata ad alcuni alleli di HLA (Human Leukocyte Antigen): in particolare l’allele DR2 è associato ad un rischio relativo di sviluppare la malattia 4 volte superiore nella popolazione caucasica. Questi risultati suggeriscono che sia fattori genetici che ambientali, probabilmente virali, sono importanti per lo sviluppo della malattia. Solitamente l’insorgenza della SM è durante il periodo riproduttivo. Circa il 70% dei pazienti manifesta i sintomi tra 21 e 40 anni. Solo in rare eccezioni la malattia si manifesta prima dei 10 e dopo i 60 anni. Così come in altre malattie autoimmunitarie, le femmine sono colpite più frequentemente dei maschi. Le donne hanno una probabilità di sviluppare la malattia 2-3 volte maggiore degli uomini. La sclerosi multipla è spesso caratterizzata da episodi di disfunzioni neurologiche seguiti da periodi di stabilizzazione e di remissione parziale o completa dei sintomi. Le ricadute seguono spesso un episodio d’infezione virale alle vie aeree superiori o al tratto gastrointestinale. In circa la metà dei casi di SM la malattia progredisce fino a diventare cronica. I sintomi clinici della malattia sono interamente attribuibili alla patologia a livello del SNC. I sintomi più comuni includono insensibilità a livello delle mani e degli arti inferiori, emiparestesie, visione doppia o a macchie e altri disturbi visivi che possono culminare nella cecità, problemi 64 cerebellari (mancanza di coordinazione e perdita di equilibrio), intolleranza al calore, disturbi motori (spasticità, paraplegia, paresi), incontinenza urinaria, depressione, ansietà. Non c’è ancora una cura per questa malattia, però ci sono farmaci per trattarne i sintomi. Interferone β-1β (Betaseron) e interferone β-1α (Avonex) sono usati con successo per ridurre la frequenza e la severità delle ricadute. Anche i glucocorticoidi sono utilizzati comunemente nelle fasi in cui la malattia si aggrava. La SM è una malattia a base autoimmunitaria. I linfociti T per motivi ancora sconosciuti vengono sensibilizzati contro la guaina mielinica che riveste gli assoni dei neuroni del SNC. Una volta attivati i linfociti T attraversano la barriera ematoencefalica ed entrano nel SNC. I linfociti sono in grado di attraversare i capillari (diapedesi) in virtù di molecole di adesione come l’integrina α4, CD4 e VLA-4. Attraversate le pareti dei capillari, i linfociti T producono metalloproteasi, che permettono di degradare il collagene di tipo IV della matrice extracellulare. Così i linfociti T possono raggiungere la materia bianca del SNC. Si pensa che siano i linfociti Th1 a giocare un ruolo critico nell’inizio e nell’espansione dei danni al SNC. Questa sottoclasse di linfociti T helper è in grado di produrre citochine e chemochine. Alcuni studi hanno dimostrato un aumento di TNFα, MCP-1, MIP-1α, MIP-1β e RANTES nel SNC di soggetti con sclerosi multipla. Queste citochine e chemochine richiamano nel SNC cellule mononucleate: linfociti, macrofagi e plasmacellule e attivano la microglia residente. La risposta infiammatoria acuta di linfociti, plasmacellule e macrofagi produce demielinizzazione, in quanto i linfociti T producono citochine che stimolano i macrofagi e la microglia residente a fagocitare la mielina. Inoltre gli oligodendrociti stessi, che sono le cellule del SNC che 65 producono la mielina, possono andare incontro ad apoptosi e la gravità della demielinizzazione è correlata con la quantità di oligodendrociti eliminati. Nelle fasi precoci della malattia quanti più oligodendrociti sono preservati a livello della placca più la remielinizzazione rimane possibile. Se c’è una perdita completa di oligodendrociti la possibilità di una remielinizzazione diminuisce drasticamente. Ci sono diverse osservazioni che supportano l’idea che fluttuazioni nei livelli degli ormoni sessuali siano correlate a cambi nello status della malattia [233]. Durante la gravidanza, un periodo durante il quale i livelli di estrogeni sono molto elevati, i sintomi clinici della SM diminuiscono fino a scomparire [234]. Al contrario, durante il post-partum, in cui i livelli degli estrogeni sono bassi, i sintomi si aggravano molto [235]. Nelle donne affette da sclerosi multipla peggioramenti della malattia e dei disturbi neurologici si possono avere nei giorni interessati dal ciclo mestruale o che lo precedono immediatamente, quindi in momenti caratterizzati da basse concentrazioni ematiche di estrogeno [236, 237]. Anche l’uso dei contraccettivi orali riduce la disabilità in donne affette da SM, anche se non sembra diminuire il rischio di malattia [238]. Gli estrogeni influenzano la produzione di citochine da parte di linfociti Th1 prelevati da donne con SM e messi in coltura [239]. Inoltre durante la gravidanza diminuiscono i livelli di citochine Th1 proinfiammatorie e aumentano quelli di citochine Th2 che hanno una funzione inibitoria. L’Experimental Autoimmune Encephalomyelitis (EAE) detta anche Experimental Allergic Encephalomyelitis è un modello animale della sclerosi multipla. Le caratteristiche patogeniche della EAE sono molto alla simili sclerosi multipla. La EAE è caratterizzata da placche di demielinizzazione sparse in tutto il SNC che mostrano infiltrazione di linfociti T, macrofagi e plasmacellule. 66 L’EAE può essere indotta, in ceppi di animali suscettibili, per iniezione di omogenati di midollo spinale assieme ad adiuvante completo di Freund (CFA). Anche l’iniezione di componenti purificati della guaina mielinica, come la proteina basica della mielina (Myelin Basic Protein, MBP), la proteina della mielina oligodendrogliale (Myelin OligodendroGlial protein, MOG) e la proteina proteolipidica (ProteoLipid Protein, PLP) assieme a CFA può indurre la malattia. Topi e ratti sono gli animali più usati, ma EAE è stata indotta anche in porcellini d’India, conigli, scimmie rhesus e macachi. Anche i sintomi sono simili alla sclerosi multipla: le reazioni infiammatorie a livello del SNC causano una paralisi progressiva che colpisce prima la coda e le estremità posteriori e poi gli arti anteriori. Alla fine c’è una completa paralisi ed eventualmente la morte. E’ stato dimostrato che diversi tipi di cellule sono coinvolte nella patogenesi della EAE [240]. La malattia è mediata da cellule Th1 CD4+ specifiche contro MBP. A conferma di questo fenomeno è l’esperimento di induzione di malattia EAE in animali singenici mediante il trasferimento di linfociti T specifici contro MBP derivati da animali affetti da EAE. In seguito all’induzione dell’EAE i linfociti specifici contro la mielina proliferano a livello della milza e dei linfonodi. In particolare i linfociti T TNFα+ CD4+ sono coinvolti nell’iniziazione e nella progressione del danno [203, 204, 241]. Sono infatti in grado di produrre citochine infiammatorie e chemochine che reclutano altre cellule infiammatorie del sangue. L’infiltrazione dei linfociti T nel SNC avviene soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. Macrofagi sono presenti nell’infiltrato infiammatorio di topi e ratti con EAE nel SNC [203, 204, 241], parte di questi producono TNFα [204]. In topi non immunizzati solo il 20% della 67 microglia produce TNFα, mentre in topi che sviluppano l’EAE circa il 50% della microglia esprime il TNFα [204]. Le cellule dendritiche (DC) sono cellule in grado di presentare l’antigene, coinvolte nell’induzione dell’EAE grazie alla loro capacità di attivare i linfociti T specifici contro MBP. Durante l’EAE le DC sono presenti nell’infiltrato infiammatorio del SNC e anche a livello di milza e linfonodi [242]. Diversi studi dimostrano che il trattamento con E2 ritarda l’insorgenza dell’EAE e riduce la gravità dei sintomi in animali immunizzati per sviluppare l’EAE. Questi effetti si vedono in topi femmina BV8S2 Tg [203], in topi femmina C57BL/6 wt [204] o KO per citochine Th2 [243] e in ratti di Lewis [241]. Inoltre il trattamento con E2 riduce l’infiltrazione di macrofagi e linfociti T nel SNC dell’80% [203, 204] e la percentuale di linfociti T CD4+ e macrofagi che esprimono TNFα. Inoltre E2 diminuisce la percentuale di linfociti T CD4+ TNFα+ a livello della milza: E2 quindi sopprime la generazione sistemica di linfociti T CD4+ [204]. L’effetto inibitorio sulle cellule TFNα+ della microglia è minore. Il trattamento con E2 riduce l’infiltrazione di cellule dendritiche nel SNC e la percentuale di DC a livello della milza e dei linfonodi. E2 riduce la produzione di TNFα e INFγ ed inibisce la capacità di presentare l’antigene e di attivare specifici linfociti T contro la mielina delle cellule dendritiche in coltura [242]. Il trattamento con E2 riduce l’espressione e la produzione di citochine Th1, chemochine e loro recettori. Questo effetto è stato visto sia con il metodo dei “ microarray” sia con il metodo “RNAse protection assay” (RPA). Un recente lavoro mette in evidenza che gli effetti benefici dell'E2 nell'EAE sono mediati da ERα e non da ERβ [244]. 68 La leucodistrofia a cellule globoidi La leucodistrofia a cellule globoidi (GLD), denominata anche malattia di Krabbe, è una malattia autosomica recessiva metabolica, che coinvolge la materia bianca del sistema nervoso centrale e periferico. La causa è un deficit dell’enzima lisosomiale galattosil-ceramidasi (GALC), dovuto a una mutazione del gene della galattosil-ceramidasi, localizzato sul cromosoma 14 nell’uomo. Tale deficit enzimatico porta all'accumulo dello sfingolipide ceramide galattoside nella sostanza bianca cerebrale, causando una demielinizzazione. L’insorgenza è prevalentemente nei primi mesi di vita, colpisce sia i maschi che le femmine con un incidenza di uno su 40000 neonati. L’iniziale manifestazione istologica della malattia è la presenza di materiale positivo alla colorazione con acido periodico di Schiff, sia a livello extracellulare che all’interno delle cellule microgliali. Queste cellule accumulano al loro interno i substrati dell’enzima galattosilceramidasi: la galattosil-ceramide e la galattosil-sfingosina (psicosina), altamente tossica. Così come altre encefalopatie, anche la GLD è caratterizzata da una demielinizzazione, che coinvolge inizialmente il sistema nervoso centrale e poi quello periferico. I sintomi sono tremori degli arti superiori e inferiori, disturbi dell’andatura ed infine paresi [245]. I modelli animali della GLD sono il topo “twitcher” e il topo saposina A-/-. Nel 1980 è stata descritta una leucodistrofia autosomica recessiva del topo “twitcher”, ossia che si muove a scatti, molto simile dal punto di vista istopatologico e dei sintomi alla malattia umana. Successivamente è stato dimostrato che il topo “twitcher” è un modello della patologia umana anche dal punto di vista enzimatico. 69 Il topo saposina A-/- è invece utilizzato come modello per le forme croniche a insorgenza tardiva della GLD. Questo modello animale è stato generato introducendo una mutazione nel dominio della saposina A, un attivatore della glucosil-ceramidasi e della galattosil-ceramidasi. La mutazione è stata inserita nella prosaposina, una glicoproteina acida che è precursore di quattro saposine denominate A, B, C e D. Il topo saposina A-/- sviluppa una lenta e progressiva paralisi alle zampe. Le caratteristiche biochimiche e patologiche sono qualitativamente identiche, ma più lievi del topo “twitcher” [246]. È stato osservato che le femmine saposina A-/- che avevano portato a termine delle gravidanze vivevano più a lungo e mostravano un’evidente diminuzione dei sintomi neurologici rispetto alle femmine saposina A-/che non avevano avuto gravidanze o rispetto ai maschi. Inoltre, i classici segni della patologia come l’infiltrazione delle cellule globoidi e la demielinizzazione erano quasi scomparsi [247]. Nei topi saposina A-/-, così come anche nei topi “twitcher” è stato riscontrato un aumento dell’espressione di diverse citochine come MCP-1, TNFα e ciò suggerisce il coinvolgimento di un’infiammazione secondaria nella patogenesi della GLD. I livelli di queste due citochine erano molto diminuiti durante la gravidanza. Per confermare che gli estrogeni fossero responsabili dell’effetto protettivo della gravidanza, sono stati impiantati nei topi saposina A-/- dei pellet in grado di rilasciare E2, così da mantenere gli elevati livelli di E2 tipici della gravidanza. I topi trattati con E2 mostravano anch’essi preservazione della mielina e una netta riduzione dell’infiltrazione delle cellule globoidi. Questi risultati suggeriscono che la somministrazione di estrogeni potrebbe essere un’utile terapia supplementare per alcune leucodistrofie croniche. 70 L’artrite reumatoide L’artrite reumatoide (AR) è un disordine infiammatorio autoimmunitario sistemico cronico, che può interessare molteplici organi e tessuti; cute, vasi sanguigni, cuore, polmoni e muscoli; anche se il bersaglio principale è costituito dalle articolazioni, dove determina una sinovite proliferativa non suppurativa, che spesso progredisce fino alla distruzione della cartilagine articolare ed all'anchilosi. Le cause dell’AR sono ancora ignote, ma si ritiene che siano coinvolti fattori genetici ed ambientali. La maggior parte dei soggetti che sviluppano la malattia (dal 65 all’85%) esprime gli alleli dell’antigene di istocompatibilità umano (Human Leukocyte Antigen, HLA) DR-4, DR-1 o entrambi. Inoltre è stato riscontrato un alto tasso di concordanza tra i gemelli monozigoti. Si pensa che l’iniziatore della malattia sia un agente microbico, come ad esempio il virus di Epstein-Barr, ma non esistono prove sicure. Circa l'1% della popolazione mondiale è affetta dall'AR. L’insorgenza è prevalentemente tra i 20 e i 40 anni e l’incidenza è da tre a cinque volte maggiore nelle donne che negli uomini. Gli autoantigeni coinvolti non sono stati identificati con certezza; tuttavia autoimmunità contro il collagene di tipo II è stata riscontrata nella maggior parte dei pazienti affetti da AR. Esistono anche prove che la glicoproteina 39 della cartilagine sia un autoantigene. Sono coinvolti principalmente linfociti T CD4+ presenti nelle articolazioni negli stadi iniziali della malattia. Le cellule CD4+ attivate producono citochine e attivano a loro volta i linfociti B a produrre anticorpi. Nella maggior parte dei soggetti affetti dalla malattia sono presenti autoanticorpi, denominati fattore reumatoide, contro la porzione Fc delle IgG e delle IgM. Si 71 formano così immunocomplessi che si depositano nelle articolazioni [151]. Nel liquido sinoviale s’infiltrano anche macrofagi che producono citochine come IL-1 e TNFα. Queste due citochine stimolano la sintesi di molecole di adesione nei capillari sinoviali, determinando così un ulteriore accumulo di leucociti nel liquido sinoviale. IL-1 e TNFα stimolano i condrociti a produrre enzimi degradativi come collagenasi, stromielinasi ed elastasi determinando così la distruzione della cartilagine [248]. Si è visto inoltre che i fibroblasti sinoviali e i linfociti T attivati producono RANKL, stimolando proliferazione e attività degli osteoclasti determinando così osteoporosi [249]. Numerosi studi clinici mostrano che la AR è sensibile alle fluttuazioni dei livelli ormonali. Durante la gravidanza, caratterizzata da livelli di estrogeni molto elevati, i sintomi clinici dell’artrite reumatoide, così come quelli della sclerosi multipla, diminuiscono fino a scomparire. Questo fenomeno avviene soprattutto nel terzo trimestre della gravidanza. Al contrario, durante il post-partum, in cui i livelli degli estrogeni sono bassi, i sintomi si aggravano molto [250, 251]. Il ruolo degli estrogeni è stato studiato anche in modelli animali. Sono stati utilizzati topi con artrite indotta da collagene. In questi animali l’ovariectomia aggrava l’andamento della malattia [252, 253]. Il trattamento a lungo termine con estrogeni invece diminuisce la severità dell’artrite e diminuisce la risposta immunitaria contro il collagene di tipo II. Latham e collaboratori hanno visto che il 17β-estradiolo inibisce lo sviluppo dell'artrite indotta da collagene, diminuendo la produzione di IFNγ da parte dei linfociti T ed i livelli di IL-10 e GM-CSF prodotti dalla cellule dei linfonodi [254]. 72 L’ischemia cerebrale Con il termine ischemia s’intende una locale diminuzione dell’apporto sanguigno, dovuta ad ostruzione del flusso sanguigno arterioso o a vasocostrizione [151, 255]. L’ischemia cerebrale può essere dovuta ad una diminuzione generalizzata del flusso sanguigno secondaria ad eventi cerebrovascolari, come uno shock o un arresto cardiaco, o ad un’occlusione delle arterie della circolazione cerebrale. Nel caso di una diminuzione generalizzata del flusso sanguigno cerebrale, l’ischemia risultante è globale, mentre un’ostruzione vascolare causa un’ischemia regionale e spesso un infarto localizzato. L’infarto cerebrale è la forma più comune di malattie cerebrovascolari e rende conto del 70-80% di tutti gli eventi cerebrovascolari o ictus. Causa principale è l’aterosclerosi, che predispone a trombosi vascolare ed a eventi embolici, risultanti entrambi in un’ischemia localizzata e nel conseguente infarto cerebrale. Fattori di rischio per l’infarto cerebrale sono l’ipertensione, il diabete mellito e il fumo che predispongono gli individui all’aterosclerosi. Gli infarti si verificano soprattutto nelle aree irrorate dall’arteria cerebrale media (MCA). Le occlusioni della MCA sono causate da emboli. Infarti in questa regione sono caratterizzati da emiparesi controlaterale, perdita della sensibilità nel lato del corpo opposto all’infarto e nel caso che l’infarto coinvolga l’emisfero cerebrale dominante, l’afasia. Meno comune è l’occlusione dell’arteria carotide interna, di solito causata da trombosi. Rami del sistema vertebro-basilare sono spesso colpiti da aterosclerosi e sono perciò potenziali siti di trombosi e fonti di emboli ateromatosi. La risposta infiammatoria gioca un importante ruolo nell’ischemia 73 cerebrale. Studi sull’uomo mostrano che i livelli plasmatici delle citochine TNFα e IL-6 sono più elevati in pazienti colpiti da ictus che in soggetti sani controllo [256]. È stato anche dimostrato un aumento dell’espressione della proteina di adesione ICAM-1 a livello dei vasi cerebrali. Inoltre un aumento del numero di leucociti, in particolare monociti/macrofagi e leucociti polimorfonucleati, è stato riscontrato nel fluido cerebrospinale di pazienti in seguito a ictus. L’incidenza globale dell’ischemia cerebrale è maggiore nell’uomo che nella donna in tutto il mondo e aumenta con l’età in entrambi i sessi. L’ischemia cerebrale è rara nelle donne durante il periodo riproduttivo. In seguito alla menopausa le differenze d’incidenza tra maschi e femmine si attenuano notevolmente [257]. Inoltre le donne fino ai 65 anni mostrano un numero di lesioni aterosclerotiche inferiori agli uomini. Dopo i 65 anni la frequenza delle lesioni è simile in donne e uomini. Secondo studi epidemiologici il rischio di ischemia cerebrale e più in generale di malattie cardiovascolari, è ridotto in donne che sono state sottoposte alla terapia sostitutiva in seguito alla menopausa. Altri studi suggerivano che la terapia sostitutiva riducesse la mortalità dovuta all’ischemia cerebrale [258]. Tuttavia lo studio randomizzato e controllato HERS ha mostrato un aumento del rischio di eventi cardiovascolari secondari nel gruppo che aveva seguito la terapia sostitutiva estroprogestinica (HRT) rispetto al gruppo placebo [259]. Inoltre lo studio WHI ha mostrato che l’HRT aumentava il rischio di ischemia cerebrale rispetto al placebo [260]. Di conseguenza l'HRT non viene consigliata per prevenire eventi cardiovascolari cerebrali. Studi su modelli animali mostrano il ruolo dei processi infiammatori nell’ischemia cerebrale [256]. In ratti in cui era stata indotta l’ischemia occludendo l’arteria cerebrale media (MCA), è stato 74 dimostrato un aumento dell’espressione delle citochine IL-1, IL-6, TNFα e IL-8 e delle chemochine MCP-1 e MIP-1. In topi knock-out per ICAM1, in cui era stata occlusa la MCA, è stato osservato una diminuzione della dimensione dell’area infartuata. Gli studi effettuati in modelli animali indicano che il trattamento con estrogeni protegge il cervello da ischemie globali e focali indotte sperimentalmente [261-264]. Questi risultati sono stati ottenuti in differenti specie e con diversi modelli animali. Alcuni studi mostrano che uno dei meccanismi con cui gli estrogeni esercitano un effetto protettivo sull’aterosclerosi dipende dalla loro azione sull’endotelio. L’adesione dei monociti alle cellule endoteliali e l’attraversamento dell’endotelio sono componenti essenziali della risposta infiammatoria, che accompagna il processo aterogeno. Uno studio effettuato su conigli nutriti con una dieta ricca di colesterolo ha mostrato che nei conigli maschi l’adesione leucocitaria e la migrazione attraverso l’endotelio dei leucociti erano maggiori che nelle femmine [265]. Inoltre femmine ovariectomizzate avevano un numero maggiore di leucociti aderenti o sottoendoteliali rispetto a femmine ovariectomizzate e trattate con E2. Il 17β-estradiolo inibiva l’adesione leucocitaria diminuendo l’espressione della proteina VCAM-1. Il 17β-estradiolo riduce inoltre l’adesione dei leucociti nella circolazione cerebrale di femmine di ratto sottoposte a ischemia transiente (indotta tramite occlusione dell’arteria carotide comune destra per 30 minuti) e riperfusione [266]. E’ stata comparata l’adesione dei leucociti in femmine di ratto ovariectomizzate, ovariectomizzate trattate con E2 e non ovariectomizzate. L’adesione dei leucociti è stata misurata prima dell’ischemia e a differenti tempi dopo la riperfusione. Prima dell’ischemia l’adesione leucocitaria era molto maggiore nelle femmine 75 ovariectomizzate rispetto a quelle non ovariectomizzate o ovariectomizzate e trattate con E2. Anche dopo 4 o 6 ore di riperfusione le ratte ovariectomizzate mostravano percentuali di leucociti aderenti significativamente maggiori rispetto alle ratte non ovariectomizzate od ovariectomizzate e trattate con E2. La malattia di Alzheimer La malattia di Alzheimer (AD) è la più comune forma di demenza ed è responsabile di circa il 50-70% dei casi di demenza. L’insorgenza dell’AD avviene generalmente in tarda età, ma esistono casi ad insorgenza precoce collegati a mutazioni del gene del precursore della proteina amiloide (Amyloid Precursor Protein, APP), della presenilina 1 (PS1) e della presenilina 2 (PS2). Questa malattia è caratterizzata clinicamente da una progressiva ed inesorabile alterazione della memoria e delle funzioni cognitive, e patologicamente dalla presenza di un gran numero di placche neuritiche e di matasse neurofibrillari. Le placche neuritiche sono grosse lesioni costituite da depositi di un peptide di 40-42/43 aminoacidi chiamato peptide β amiloide (Aβ), derivante dall’APP. Le matasse neurofibrillari sono lesioni intracellulari costituite da filamenti intrecciati della proteina tau del citoscheletro. L’APP è una proteina con un singolo dominio transmembrana, metabolizzata tramite due diverse vie in tutte le cellule. In un caso l’APP è tagliato nel dominio Aβ, da parte di un enzima denominato α secretasi. La seconda via comporta un taglio tra gli aminoacidi 671 e 672 dell’APP, da parte di un enzima denominato β secretasi. Questo frammento è ulteriormente tagliato dalla γ secretasi. A seconda della posizione del 76 taglio è generato un Aβ di 40 o di 42/43 aminoacidi. Aβ1-42(43) si aggrega facilmente e forma i depositi di β amiloide [267]. Studi d’immunoistochimica post-mortem hanno rivelato che nell’Alzheimer è presente uno stato d’infiammazione cronica limitato alle aree del cervello lesionate. Microglia attivata circonda i depositi extracellulari insolubili delle placche e produce numerosi mediatori dell’infiammazione. Citochine come IL-1, IL-6 e TNFα e i recettori delle chemochine CC-R3 e CC-R5, prodotti dalla microglia attivata associata alle placche, aumentano nell’AD. La microglia attivata secerne anche proteasi come ad esempio la metalloproteasi 9 (MMP-9). Inoltre l’Aβ agisce come attivatore del complemento. L’infiammazione cronica quindi contribuisce ulteriormente al danno neuronale e alla progressione dell'Alzheimer. Molti studi epidemiologici ed alcuni studi clinici mostrano infatti che i farmaci antinfiammatori non steroidei riducono il rischio e rallentano la progressione della malattia [268]. Diversi studi mostrano come gli estrogeni hanno un effetto protettivo contro l’AD. Esistono forti prove che la terapia sostitutiva a base di estrogeni (ERT) riduce il rischio, ritarda l’insorgenza e attenua i sintomi della malattia di Alzheimer. Studi effettuati su modelli animali confermano gli effetti protettivi degli estrogeni. Femmine di porcellino d’India ovariectomizzate accumulavano maggiori quantità di peptide β-amiloide. Questa situazione era revertita dalla somministrazione di 17β-estradiolo. La privazione di estrogeni inoltre aumenta la formazione delle placche in topi transgenici utilizzati come modello per l’Alzheimer. Le femmine sviluppano placche amiloidi a circa un anno d’età. Giovani femmine 77 ovariectomizzate mostrano livelli più elevati di Aβ solubile e accumulato nella placca rispetto alle femmine non ovariectomizzate. Inoltre il trattamento con E2 reverte questi effetti [269]. Estrogeni ed infiammazione cerebrale sperimentale È possibile indurre sperimentalmente l'infiammazione nel sistema nervoso mediante iniezioni di sostanze infiammatorie nel cervello o nel liquido cefalo-rachidiano. Uno studio effettuato nel nostro laboratorio ha utilizzato un modello di infiammazione cerebrale mediante l'iniezione di LPS nel terzo ventricolo cerebrale ed ha dimostrato che l’E2 ha azione antinfiammatoria nel cervello [270]. L'iniezione, nel terzo ventricolo cerebrale, di LPS determina l’attivazione della microglia e il richiamo di monociti dal sangue verso la zona lesa. La somministrazione dell’E2, a concentrazioni fisiologiche, prima dell’LPS inibisce fortemente l’attivazione dei macrofagi mediata dall’LPS in diverse aree del cervello: la regione CA3 e il giro dentato dell’ippocampo, la corteccia parietale, la corteccia cingolata, i nuclei amigdaloidi, la corteccia rinale e i nuclei talamici postero-laterali. L’effetto dell’E2 è dose dipendente e tempo dipendente. Il 17β-estradiolo esercita il suo effetto antinfiammatorio limitando l’espressione di mediatori dell’infiammazione come la metalloproteasi 9 (MMP-9) e il recettore della proteina C3 del complemento (C3R). Utilizzando topi knock-out per ERα e topi knock-out per ERβ si è dimostrato che l’effetto antinfiammatorio dell’E2 è mediato da ERα. In topi KO per ERβ infatti l’E2 inibisce l’attivazione della microglia così come nei topi wild type, mentre nei topi KO per ERα l’E2 non è in grado 78 d’inibire l’attivazione della microglia. Inoltre topi KO per ERα mostrano in alcune aree del cervello un’attivazione spontanea della microglia che aumenta con l’età. Estrogeni ed infiammazione del sistema nervoso in modelli cellulari L’azione antinfiammatoria degli estrogeni è stata studiata nelle cellule della microglia, i macrofagi residenti del SNC [271]. La microglia “a riposo” (resting) o la microglia a basso grado di attivazione “allertata” (alerted) contribuiscono alla funzione e alla sopravvivenza neuronale producendo fattori neurotrofici. Una volta attivata da stimoli infiammatori la microglia è in grado non solo di attrarre i leucociti grazie alla sintesi di chemochine, ma anche di produrre un gran numero di citochine, e altri mediatori dell’infiammazione, come NO, intermedi reattivi dell’ossigeno, prostaglandine e metalloproteasi della matrice. In una fase iniziale l’attivazione della microglia è protettiva per il SNC. Tuttavia un’attivazione eccessiva o prolungata può contribuire a neuropatologie acute e croniche. Infatti le molecole infiammatorie secrete dalla microglia contribuiscono al danno tissutale. La microglia attivata produce una serie di mediatori dell'infiammazione tra cui citochine, chemochine, proteasi, specie radicaliche dell'ossigeno e prostanoidi. Per quanto riguarda le evidenze sperimentali circa il ruolo antinfiammatorio dell'E2 sulla microglia, sono stati utilizzati i seguenti modelli sperimentali: nel nostro laboratorio è stato utilizzato il lipopolisaccaride che induce una cambiamento morfologico della microglia, che da resting diventa di tipo ameboide. Inoltre, l’LPS induce la produzione di citochine, chemochine, NO, prostaglandina E2 (PGE2) e 79 metalloproteasi-9 (MMP-9). Il pretrattamento con 17β-estradiolo di colture primarie di microglia di ratto previene l’attivazione morfologica indotta dall’LPS [272, 273]. Inoltre il pretrattamento con E2 riduce la percentuale di cellule iNOS positive e quindi la produzione di NO. E2 previene anche la produzione di PGE2 e di MMP-9 indotta da LPS. Questi effetti sono dose dipendenti e avvengono a concentrazioni fisiologiche di E2 e sono bloccati dall’ICI 182,780. Le cellule di microglia in coltura esprimono sia ERα che ERβ e questi effetti sono perciò mediati dal recettore degli estrogeni [273, 274]. Un altro modello sperimentale prevede l'impiego della proteina regolatoria Tat del virus HIV, che è in grado di attivare cellule di microglia in coltura, aumentando sia l’attività fagocitica, che il rilascio del superossido e del TNFα tramite le MAPK p42 e p44 [275]. Il pretrattamento con 17β-estradiolo in concentrazione fisiologica riduce sia la fagocitosi che il rilascio di TNFα e di superossido indotti da Tat, interferendo con la fosforilazione e quindi l’attivazione delle MAPK. Estrogeni ed NF-κB Numerosi studi indicano un'attività antinfiammatoria dell'estrogeno [270, 272, 273, 275, 276], ma non si ha ancora la certezza sul meccanismo molecolare di questa azione. Esistono evidenze sperimentali di un’interazione fra i recettori degli estrogeni e NF-κB. Gli studi fino ad ora effettuati dimostrano che i recettori degli estrogeni impediscono il legame di NF-κB ai promotori delle citochine IL-6, MCP-1 e TNFα. Studi effettuati in cellule Saos2, una linea cellulare derivata da osteosarcoma umano, e in cellule MCF-7, derivate da tumore al seno 80 umano, hanno mostrato che il 17β-estradiolo contrasta l’induzione della sintesi dell’IL-6 da parte del TNFα [73]. L’effetto del TNFα sulla trascrizione dell’IL-6 è mediato da NF-κB, che riconosce specifici siti di legame sul promotore dell’IL-6. Per comprendere il meccanismo molecolare d’azione dell’E2 è stato effettuato un EMSA (Electrophoretic Mobility Shift Assays) su estratti nucleari di HeLa, MCF-7 e Saos2. Come sonda è stata utilizzata la regione -80/-60, contenente siti di legame per NF-κB del promotore dell’IL-6, in presenza o in assenza di oligo competitori. Effettuando l’EMSA, aggiungendo hER tradotti in vitro, si è visto che ER inibisce il legame al promotore dell’IL-6, soprattutto di cRel e in maniera minore di RelA (p65). Il 17β-estradiolo diminuisce anche la produzione, indotta da IL-1, della chemochina MCP-1 (Monocyte Chemoattractant Protein-1), in cellule MCF-7 [77]. L’effetto è dose dipendente, in un intervallo di concentrazione di E2 da 10-12 a 10-9 M. Un’azione inibitoria analoga, ma con potenza inferiore è svolta dagli xenoestrogeni (XE), un gruppo di composti chimici che legano il recettore degli estrogeni e mimano l’azione dell’E2. Fanno parte degli xenoestrogeni composti molto lipofili come il bisfenolo A (BPA) e il nonilfenolo (NP). Nel promotore di MCP-1 sono presenti due siti di legame di NF-κB: A1 e A2. Mutazioni in queste regioni determinano la perdita della responsività a IL-1. Tramite EMSA si è dimostrato che l’aumento di MCP-1 indotto da IL-1 è dovuto al legame di NF-κB al promotore di MCP-1 e che le subunità di NF-κB coinvolte sono p50/p65 e p50/c-Rel. Sempre tramite EMSA si è dimostrato che sia l’E2 che gli xenoestrogeni inibiscono il legame di p50/p65 (e in modo minore di p50/c-Rel) ai siti di legame per NF-κB sul promotore di MCP-1, in maniera dose dipendente. Recentemente è stato dimostrato che E2 diminuisce la trascrizione del 81 gene del TNFα indotta da Tax, una proteina regolatoria del retrovirus HTLV. Nel promotore del TNFα c’è un elemento responsivo al TNFα (TNF-RE), che contiene un sito di legame per NFAT e NF-κB [277]. Dopo l’attivazione da parte di Tax, un complesso costituito da p50/p65 e Jun lega il TNF-RE, attivando la trascrizione. Mediante EMSA effettuata su estratti nucleari di U2OS, transfettate stabilmente con ERα ed ERβ e trattate con E2 si è dimostrato che ERα si lega a questo complesso. Questi dati suggeriscono che ERα reprime la trascrizione del TNFα legando Jun e p50/p65 tramite interazioni proteina proteina. 82 SCOPO DELLA TESI Lo scopo di questa tesi è stato lo studio del meccanismo molecolare dell'azione del 17β-estradiolo sulla risposta infiammatoria nei macrofagi. Si è cercato di individuare gli intermediari della via di trasduzione del segnale infiammatorio su cui agisce il 17β-estradiolo per svolgere la sua azione antinfiammatoria. 83 MATERIALI E METODI COLTURE CELLULARI Le cellule RAW 264,7 (linea cellulare di macrofagi murini immortalizzati), le cellule SK-N-BE (linea cellulare immortalizzata da neuroblastoma umano da midollo spinale) sono state acquistate dalla ATCC, le cellule U-937 (linea cellulare di monociti umani immortalizzati) sono state gentilmente fornite dal laboratorio dei prof Simonetta Nicosia e GianEnrico Rovati del Dipartimento di Scienze Farmacologiche di Milano, le cellule SK-ER3 (clone di SK-N-BE che esprime stabilmente ERα) sono state generate dal nostro laboratorio mediante una transfezione stabile delle SK-N-BE [278], le cellule HepG2 (linea cellulare immortalizzata da carcinoma epatico umano) sono state gentilmente fornite dal laboratorio del prof Cesare Sirtori del Dipartimento di Scienze Farmacologiche di Milano. Condizioni di crescita Le cellule RAW 264,7 sono cresciute in terreno DMEM con rosso fenolo (Invitrogen) supplementato con 10% FBS, le cellule U-937 e le cellule SK-N-BE in terreno RPMI 1640 con rosso fenolo + 10% FBS, le cellule SK-ER3 in terreno RPMI 1640 + 10% FBS-DCC, le cellule HepG2 in terreno MEM con rosso fenolo + 10% FBS a 37°C in atmosfera di aria umidificata 95% / CO2 5%. Le cellule RAW 264,7 vengono suddivise due volte la settimana in piastre Petri da 10 cm2 (Corning) alla densità di 1 x 106 cellule/mL. Le cellule SK-N-BE e le cellule HepG2 vengono 84 suddivise due volte la settimana in piastre Petri da 10 cm2 alla densità di 2 x 105 cellule/mL. Le cellule SK-ER3 vengono divise una volta la settimana in piastre Petri da 10 cm2 alla densità di 1 x 105 cellule/mL. Le cellule U-937 vengono suddivise due volte la settimana in flask da 75 cm2 (Corning) alla densità di 1 x 106 cellule/mL. Per gli esperimenti di Western blot e di immunocitochimica le cellule RAW 264,7 vengono seminate in DMEM + 10% FBS. Dopo 24 h il medium è rimosso e le cellule sono incubate in DMEM privo di siero. Dopo 6h le cellule sono trattate. Per gli esperimenti di Western blot le cellule U-937 sono piastrate in RPMI 1640 + 10% FBS. Dopo 24 h il medium è rimosso e le cellule sono incubate in RPMI 1640 privo di siero. Dopo 6h le cellule sono trattate. Per gli esperimenti di immunocitochimica le cellule SK-N-BE sono piastrate in RPMI 1640 + 10% FBS. Dopo 24 h il medium è rimosso e le cellule sono incubate in RPMI 1640 privo di siero. Dopo 6h le cellule sono trattate. Per gli esperimenti di immunocitochimica le cellule SK-ER3 sono piastrate in RPMI 1640 + 10% FBS-DCC. Dopo 24 h il medium è rimosso e le cellule sono incubate in RPMI 1640 privo di siero. Dopo 6h le cellule sono trattate. Per gli esperimenti di immunocitochimica le cellule HepG2 sono piastrate in MEM + 10% FBS. Dopo 24 h il medium è rimosso e le cellule sono incubate in MEM privo di siero. Le cellule sono trattate dopo 6h. 85 Terreni per colture cellulari DMEM (Dulbecco’s Modified Eagle Medium) con rosso fenolo + 10% FBS Polvere di DMEM (Invitrogen) NaHCO3 Glucosio Streptomicina-penicillina Sodio piruvato FBS 13,38 g/L 1,5 g/L 2,5 g/L 5 mL/L di un mix da 10.000 UI 0,11 g/L 10% Procedimento 1. Si scioglie la polvere in 900 mL di acqua distillata, mantenendo in agitazione. Si aggiunge NaHCO3, si lascia sciogliere e quindi si porta a pH 7,2 con HCl 1N, mantenendo sempre in agitazione. 2. Si porta a volume di 1 L con acqua bidistillata e si prelevano 105 mL di soluzione, che costituiranno il medium incompleto. Ai restanti 895 mL, si aggiungono gli altri ingredienti. 3. Si sterilizza per filtrazione, utilizzando filtri disposable 0,22 µm (sotto cappa sterile) e si conserva a 4°C. MEM con rosso fenolo + 10% FBS Polvere di MEM (Invitrogen) NaHCO3 Streptomicina-pennicillina Sodio piruvato Mix aminoacidi non essenziali FBS 9,53 g/L 2,2 g/L 5 mL/L di un mix da 10.000 UI 0,11 g/L 1% 10% 86 Procedimento 1. Sciogliere la polvere in 900 mL di acqua distillata, mantenendo in agitazione. 2. Aggiungere NaHCO3, lasciar sciogliere e quindi portare il pH a 7.2 con HCl 1N, mantenendo sempre in agitazione. 3. Portare a volume di 1 L con acqua bidistillata. 4. Prelevare 115 mL di soluzione, che costituiranno il medium incompleto. 5. Ai restanti 885 mL, aggiungere gli altri ingredienti e lasciar agitare. 6. Sterilizzare per filtrazione, utilizzando filtri disposable 0,22 µm (sotto cappa sterile). Si conserva a 4° C. RPMI 1640 con rosso fenolo + 10% FBS Polvere pronta RPMI 1640 con rosso fenolo (Invitrogen) NaHCO3 2 g/L Glucosio 2,5 g/L Sodio piruvato 0,11 g/L Penicillina-Streptomicina 5 mL/L di un mix da 10.000 UI FBS 10% Procedimento 1. Si scioglie la polvere per RPMI rosso in 1 L di acqua distillata, mantenendo in agitazione. Si aggiunge NaHCO3 e si porta pH a 7,2 con HCl 1 N, sempre in agitazione. 2. Si prelevano 105 mL di soluzione, che costituiranno il medium incompleto. Ai restanti 895 mL, si aggiungono tutti gli altri ingredienti, tranne FBS, mantenendo sempre in agitazione. 3. Si filtra con filtro disposable 0,22 µm da 500 mL prima l’incompleto e poi il medium completo. 87 4. Si aggiungono al medium completo 100 mL di FBS sterile (sotto cappa). Si conserva a 4°C. RPMI 1640 + 10% FBS-DCC Polvere pronta RPMI 1640 (Sigma) NaHCO3 Glucosio Sodio piruvato Mix aminoacidi Mix vitamine Pennicillina-Streptomicina FBS-DCC 2 g/L 2,5 g/L 0,11 g/L 10% 10% 5 mL/L di un mix da 10.000 UI 10% Procedimento 1. Aggiungere la polvere pronta a 900 mL di acqua distillata, in una beuta da 1L e sciogliere bene la polvere su piastra agitante. Se il discioglimento dovesse risultare difficoltoso, aggiungere qualche goccia di HCl 1 M, facendo attenzione a non abbassare il pH al di sotto di 6,5. 2. Aggiungere il NaHCO3 e portare il pH a 7,2 con HCl 1 M, sempre mantenendo in agitazione. 3. Portare a volume di 1 L e prelevare 125 mL della soluzione, che andranno a costituire il medium incompleto. 4. Ai restanti 875 mL aggiungere tutti gli altri ingredienti. 5. Filtrare prima il medium incompleto e poi il completo utilizzando filtri disposable 0,22 µm da 500 mL. 6. Si conserva a 4°C. 88 STRIPAGGIO DEL SIERO DCC 24 ore prima disattivare il siero tenendolo in bagnetto per 1 ora a 56°C lasciare quindi a temperatura ambiente per 30 minuti. 1. Pesare 3 g di carbonio attivo e metterli nella bottiglia da 1 L apposta per DCC 2. Pesare 0,3 g di dextrano ed aggiungerlo al carbonio 3. Aggiungere 1 L di acqua distillata ed agitare per 30 minuti 4. Suddividere la soluzione in 4 recipienti da super centrifuga, mantenendola in agitazione 5. Centrifugare per 15 minuti a 2500g a temperatura ambiente 6. Scartare delicatamente il surnatante, in modo tale da non risospendere il pellet 7. Aggiungere il siero, suddividendolo in modo preciso nei 4 contenitori (500 mL di siero) 8. Agitare per 4 ore nell'incubatore agitante e termostatato a 37°C 9. Centrifugare per 15 minuti a 2500g a temperatura ambiente 10.Filtrare su filtro buchner, utilizzare 3 filtri della Whatman in sequenza D, A, C 11.Filtrare con filtro disposable 0,45 µm 12.Conservare a -20°C. 89 PREPARAZIONE DI ESTRATTI PROTEICI DA LISATI CELLULARI Procedimento Dopo aver rimosso il medium ed aver lavato con PBS 1X, si prelevano le cellule dal pozzetto con 1 mL di TEN buffer 1X utilizzando uno “scraper”, quindi si centrifuga a 13000 rpm per 15 secondi , si aspira il surnatante in modo da ottenere un pellet di cellule a cui si aggiungeranno 100 µL di lysis. Per ottenere estratti proteici totali, si fanno 3 cicli di congelamentoscongelamento da -90°C a temperatura ambiente. Quindi si centrifuga a 13000 rpm per 30 minuti per precipitare le membrane, si preleva il surnatante e si mette in tubi da 1.5mL (Eppendorf) per la quantizzazione dell’estratto con il metodo di Bradford. Per ottenere estratti di proteine citoplasmatiche e nucleari separate, si risospende il pellet di cellule nel lysis citosolico, si lascia in ghiaccio per 15 minuti. Si aggiunge un quantitativo di NP-40 al 10% pari a circa 1/20 del quantitativo di lysis citosolico usato, si lascia sul vortex alla massima velecità per 10 secondi e quindi si centrifuga a 4°C, 7200g per 10 secondi. Si mette il surnatante, che è l’estratto citosolico in tubi da 1.5mL. Si risospendere il pellet con lysis nucleare, usando un quantitativo pari a circa 1/3 del lysis citosolico usato, si lascia in ghiaccio per 15 minuti e quindi si centrifuga a 4°C, 13500g per 15 minuti. Si trasporta il surnatante, che è l’estratto nucleare in tubi da 1.5mL. 90 Soluzioni Lysis buffer per estratti totali di proteine cellulari Hepes pH 7,9 MgCl2 NaCl EDTA Glicerolo (Invitrogen) Triton (Sigma) β-mercaptoetanolo (Sigma) PMSF (Sigma) Aprotinina (Sigma) Leupeptina (Sigma) Acqua 20 mM 5 mM 420 mM 100 nM 20% 0,1% 5 mM 100 nM 10 µg/mL 1 µg/mL Lysis buffer per estratti citosolici di proteine cellulari Tris-HCl pH 7.8 MgCl2 KCl EGTA Saccarosio DTT (Sigma) PMSF Aprotinina Leupeptina Pepstatina A (Sigma) Acqua 10 mM 5 mM 10 mM 300 nM 300 mM 500 nM 1 mM 1 µg/mL 1 µg/mL 1 µg/mL Lysis buffer per estratti nucleari di proteine cellulari Tris-HCl pH 7.8 MgCl2 KCl EGTA 20 mM 5 mM 320 mM 200 nM 91 Tris-HCl pH 7.8 DTT Aprotinina Leupeptina Pepstatina A Acqua 20 mM 500 nM 1 µg/mL 1 µg/mL 1 µg/mL TEN buffer TRIS pH 8 NaCl EDTA pH 8 Acqua 40 mM 150 mM 1 mM PBS 10X NaCl KCl Na2HPO4 K2HPO4 Acqua 80 g/L 2 g/L 11,36 g/L 2 g/L Determinazione delle proteine con il metodo di Bradford La determinazione quantitativa delle proteine viene condotta secondo il metodo colorimetrico di Bradford, basato sull’utilizzo di un reagente in grado di sviluppare un’intensità di colore proporzionale alla concentrazione di proteine presenti in soluzione. Requisito fondamentale di questo tipo di analisi è la preparazione di una retta di taratura standard, mediante l’utilizzo di diluizioni successive di una soluzione a concentrazione nota di proteine. La retta di taratura è preparata a partire da una soluzione di BSA (Bovine Serum Albumine) 2 mg/mL (Pierce) da cui si ottengono 8 diluizioni successive (da 1:4 a 1:30). Queste vengono a loro volta diluite 1:50 in 92 piastre da 96 pozzetti (Costar) in cui sono posti 300 µL di Coomassie (Pierce) e quindi sottoposte a lettura spettrofotometrica alla lunghezza d’onda di 595 nm. Per preparare le diluizioni si utilizza lo stesso mezzo in cui sono disperse la proteine dei campioni, così come è aggiunto al Coomassie per la lettura del bianco. I campioni vengono anch’essi aggiunti al Coomassie in rapporto 1:50. Nel caso in cui la concentrazione sia tale da dare letture superiori al valore massimo della retta di taratura, i campioni vengono diluiti e la concentrazione si ricava per confronto con una nuova retta di taratura, preparata diluendo la BSA in un mezzo a sua volta diluito dello stesso fattore. WESTERN BLOT Procedimento 1. Si preparano il separating gel al 7,5% e lo stacking gel al 4% di acrilammide. 2. Si utilizza un apparato per Western Blot (Biorad Mini-Protean II Cell). Per ogni campione si caricano circa 30 µg di estratto cellulare sul gel portando tutti i campioni a uno stesso volume con il lysis buffer utilizzato per l’estrazione delle medesime proteine. 3. A ciascun campione si aggiunge un volume 1:3 di Laemmli buffer 3X. Si denaturano i campioni 5 minuti a 95°C, si centrifuga a 13000 rpm per un minuto, si caricano i campioni sul gel (le proteine denaturate si legano al SDS, diventano cariche negativamente e 93 migrano attraverso il gel di poliacrilammide in base al loro peso molecolare). I campioni proteici devono sempre essere tenuti in ghiaccio; dopo la denaturazione possono essere tenuti a temperatura ambiente. 4. Nel primo pozzetto deve essere messo il marker per conoscere il peso molecolare della proteina di interesse, 10µL. Si utilizza il marker Unstained Precision Protein Standard (Biorad), che deve essere denaturato come i campioni e caricato. La corsa elettroforetica è effettuata a 60mA, voltaggio massimo per 2 ore. 5. Per il blotting si usa carta Whatman 3MM e due pezzi di filtro di nitrocellulosa, membrana Hybond C-extra (Amersham) delle stesse dimensioni del separating gel. 6. Al termine si colora il filtro per circa 1 minuto con Rosso Ponceau diluito 1:10 con H2O, per evidenziare l’avvenuto trasferimento e per localizzare le proteine. (Rosso Ponceau 10X: rosso ponceau (Sigma) 2% w/v, acido tricloroacetico 30% w/v, acido solfosalicilico 30% w/v). Si sciacqua con H2O distillata e si fa asciugare. 7. Il filtro, decolorato con TBS, può essere conservato a +4°C. Immunodetezione 1. Si incuba il filtro, mantenendolo in agitazione, in blocking solution per 1 ora a temperatura ambiente. 2. Si incuba con anticorpo primario overnight a 4°C, sotto agitazione. 3. Si lava in TBST; si effettuano 3-4 lavaggi da 10 minuti a temperatura ambiente. 4. Si incuba per 1 ora a temperatura ambiente, mantenendo in agitazione, con anticorpo secondario, diluizione 1:2000, in blocking 94 solution. Come anticorpo secondario, si utilizza un anticorpo coniugato covalentemente con la perossidasi di rafano (Horseradish Peroxidase). 5. Si lava in TBST, 3 lavaggi da 10 minuti a temperatura ambiente, si mette il filtro nuovamente in TBST. 6. In camera oscura si copre il filtro con 2 ml di una miscela di soluzione A e soluzione B (1 mL di soluzione A + 1mL di soluzione B) del Kit per la reazione ECL (Enhanced Chemiluminescence, Amersham). A contatto con la soluzione A e la soluzione B la perossidasi di rafano coniugata all’anticorpo secondario genera una reazione chemioluminescente, in grado d’impressionare una lastra fotografica, permettendo così la detezione della proteina. 7. Si espone la lastra fotografica al filtro per un tempo variabile da stabilire sperimentalmente a seconda dell’intensità del segnale. Per sviluppare la lastra, la si mette nel liquido di sviluppo fino a quando non si vedono comparire le bande. Si sciacqua la lastra e la si mette nel liquido di fissaggio. Si sciacqua la lastra sotto acqua corrente e la si lascia asciugare. 8. Si sciacqua il filtro con TBST e si conserva a +4°C. Il filtro può essere utilizzato per eventuali successive ibridazioni con altri anticorpi dopo lo “strippaggio” (il filtro deve essere lasciato nella stripping solution per 30 minuti a 50°C e successivamente sciacquato con TBS). 95 Soluzioni per western blot ed immunodetezione Acrilammide 30% Acrilammide (Biorad) 29,2 g Bis-acrilammide (Biorad) 0,8 g Acqua q. b. a 100 mL Si deve filtrare non sterilmente e usare guanti e mascherina perché l’acrilammide e la bisacrilammide sono tossiche. 7,5% separating gel PAGE Acqua Acrilammide 30% Tris 1M pH 8,8 SDS 20% APS (Biorad ) 10% Temed (Biorad) (dosi per 2 gel) 6,8 mL 4,9 mL 8 mL 100 µL 100 µL 10 µL 4% stacking gel PAGE Acqua Acrilammide 30% Tris 1M pH 6,8 SDS 20% APS 10% Temed (dosi per 2 gel) 6,8 mL 1,7 mL 1,25 mL 50 µL 100 µL 10 µL Running buffer 5X Tris base (Merck) Glicina (Biorad) Acqua 15,2 g/L 65 g/L Running buffer 1X Running buffer 5X SDS Acqua 20% 1% 96 Laemmli buffer 3X Tris pH 6,8 Glicerolo SDS β-mercaptoetanolo blu di bromofenolo (Biorad) 150 mM 30% 6% 1,5 mM 0,1% Blotting buffer Tris base Glicina Metanolo (Merck) Acqua 3,03 g/L 14,4 g/L 20% v/v TBS buffer Tris pH 7,5 NaCl Acqua 50 mM 150 mM Blocking solution TBS buffer Latte scremato in polvere (Regilait) TWEEN 20 (Sigma) 5% 0,2% Stripping solution Tris-HCI pH 6,7 SDS β-mercaptoetanolo Acqua 62,5 mM 2% 100 µM Anticorpi usati nelle Western blot: p65 rabbit β-actina mouse IκBα rabbit Fosfo IKK rabbit Fosfo ERK1/2 mouse ERK1/2 rabbit c-Rel rabbit 1:500 1:5000 1:500 1:250 1:1000 1:1000 1:500 97 (Santa Cruz) (Sigma) (Santa Cruz) (Cell Signaling) (Cell Signaling) (Cell Signaling) (Santa Cruz) p65 rabbit p50 rabbit 1:500 1:1000 (Santa Cruz) (Santa Cruz) IMMUNOCITOCHIMICA Preparazione vetrini: Immergere per alcuni giorni i vetrini in HCl 7%. Rimuovere l'HCl dai vetrini, lavare con acqua bidistillata per 3 volte. Sotto cappa sterile aprire una petri e mettere nel coperchio dell'alcool e nel fondo acqua per vetrini, quindi immergere vetrini nell'alcool, poi trasportarli con una pinzetta nell'acqua. Prendere un vetrino alla volta ed asciugarlo sulla fiamma del bunsen, infine riporre il vetrino in una piastra da 24 pozzetti sterile. Fissaggio cellule: Aspirare il terreno di coltura, lavare con PBS 1X non sterile, fissare le cellule per aggiunta di paraformaldeide al 4% per 5 minuti. Aspirare la paraformaldeide, e lavare per 3 volte con PBS 1X non sterile, mettere infine PBS + NaN3 conservare a 4°C. 98 Immunodetezione: 1. Togliere il PBS + NaN3, aggiungere la soluzione di blocco per 45 minuti a temperatura ambiente. 2. Incubare con la soluzione contenente l'anticorpo primario overnight a 4°C. 3. Fare 3 lavaggi da 10 minuti, nella soluzione di lavaggio 4. Incubare con la soluzione contenente l'anticorpo secondario per 1 ora a temperatura ambiente. 5. Fare 3 lavaggi da 10 minuti, nella soluzione di lavaggio 6. Incubare con la soluzione ABC per 1 ora a temperatura ambiente. 7. Lavare due volte con PBS 1X non sterile per 10 minuti. 8. Lavare infine con TRIS HCl 50mM pH 7.5 per 10 minuti. 9. Aggiungere la soluzione con la DAB per circa 5 minuti, fermare la reazione per aggiunta di PBS 1X non sterile. 10.Lavare con PBS 1X non sterile. Montaggio vetrini: Su ogni vetrino mettere una goccia di PBS + glicerolo (1/1), riporre il vetrino sul porta vetrini, ricoprire con il vetro copri-vetrini, sigillare con Eukit 99 Soluzioni per immunocitochimica per p65: Soluzione di blocco PBS 1X non sterile BSA (Sigma) Siero di goat (Gibco) Triton 3% 10% 0,2% Soluzione per anticorpi PBS 1X non sterile Siero di goat 10% Anticorpo primario: p65 1:500 (Santa Cruz) Anticorpo secondario: Biotinilato goat anti rabbit IgG 1:200 (Vector Laboratories) Soluzione di lavaggio PBS 1X non sterile BSA TWEEN (Sigma) 3% 0,1% Soluzione di avidin-biotin horseradish peroxidase complex (ABC kit, Vector Laboratories) 10µL di A + 10µL di B per ogni mL di PBS 1X non sterile agitare su piastra agitante per 30 minuti 100 Soluzione di 3,3’-diaminobenzidina (DAB) (Sigma) 1 pastiglia urea + 1 pastiglia di DAB in 5mL di acqua vortexare fin quando tutto è ben sciolto SCHEMA DEI TRATTAMENTI DELLE CELLULE Negli esperimenti le cellule sono state trattate con i seguenti reagenti: • 17β-estradiolo (Sigma) 10-9 M 10 minuti seguito dagli stimoli infiammatori: • LPS (isotipo 0111:B4, Sigma) 50 µg / mL 30 minuti • TNFα (Sigma) 20 ng / mL 30 minuti • IL-1β (Peprotech) 10 ng / mL 30 minuti • LY 294002 (Sigma) 50 µM 1 ora prima del trattamento con E2 101 RISULTATI 1. Azione del 17β β-estradiolo sulla localizzazione citoplasmatica di p65 in cellule macrofagiche Studi preliminari effettuati dal nostro laboratorio hanno messo in evidenza che l'E2 è in grado di bloccare il legame di p65 al DNA. I fattori di trascrizione della famiglia di NF-κB una volta attivati traslocano dal citoplasma al nucleo. Per questo motivo abbiamo voluto valutare l'influenza del 17β-estradiolo sulla localizzazione subcellulare di p65 in cellule dell'infiammazione; ci siamo serviti della linea cellulare RAW 264,7 in quanto già ben caratterizzata sia nel nostro che in altri laboratori [274]. La valutazione della localizzazione subcellulare di p65 è stata effettuata con due tecniche: immunocitochimica e western blot. Mediante immunocitochimica condotta sulle cellule RAW 264,7 osserviamo che in condizioni di assenza di stimolo la localizzazione di p65 è citoplasmatica, condizione che non è perturbata dal trattamento con l'ormone in concentrazione fisiologica. Il trattamento con LPS, come previsto, porta ad un massivo accumulo nucleare di p65; il pretrattamento di 10 minuti con il 17β-estradiolo prima dell'LPS comporta una localizzazione citoplasmatica simile alle cellule controllo (Figura 1A e B). Per confermare l'effetto ottenuto tramite immunocitochimica è stata effettuata una western blot su estratti citoplasmatici e nucleari dalle cellule RAW 264,7. La tecnica di immunocitochimica permette di valutare la variazione subcellulare di una proteina, ma non si ha la 102 certezza che l'anticorpo riconosca la proteina in esame; tramite western blot si ha invece la possibilità di capire se la proteina rilevata dall'anticorpo ha il medesimo peso molecolare di quella di interesse. Questo permette di aggiungere informazioni ai dati di immnocitochimica. I risultati che abbiamo ottenuto per western blot nelle RAW 264,7 confermano quelli precedentemente ottenuti per immunocitochimica. Infatti il trattamento con LPS porta ad una diminuzione dei livelli di p65 citoplasmatico, mentre il pretrattamento con E2 seguito dall'aggiunta di LPS al terreno di coltura mostra una quantità di p65 citoplasmatico simile alle cellule controllo (Figura 1C). 103 B 50 25 50 PS +L E 2 β−actina β− 37 S 50 2 p65 100 LP 75 150 E 100 CT RL Densità ottica β -actina p65/β LP S E 2+ LP S 2 CT R E L 2 C LP S E 2+ LP S CT R E L E +L PS E2+LPS 75 CT RL LPS 100 2 E2 E 2 LP S C p65 citoplasm. (% cell pos /cell tot) A Figura 1. Effetto del 17β-estradiolo sulla localizzazione subcellulare di p65 nelle cellule RAW 264,7 A) Immunocitochimica per p65 B) Quantizzazione dell'effetto visto in A) mediante conta cellulare C) Western blot per p65 su estratti proteici citoplasmatici 104 2. Azione del 17β β-estradiolo sulla localizzazione citoplasmatica di p65 in cellule monocitarie Per valutare se l'effetto osservato nelle RAW 264,7 fosse un meccanismo conservato nelle cellule mieloidi abbiamo utilizzato le cellule U-937, che sono monociti umani immortalizzati [279] Utilizzando ancora la tecnica di western blot osserviamo come nelle U-937 non stimolate p65 sia prevalentemente citoplasmatico, mentre il trattamento con TNFα 20 ng/mL per 30 minuti porti ad una pressoché totale traslocazione di p65. Anche in questo caso un breve pretrattamento con l'ormone in concentrazione fisiologica blocca l'effetto del TNFα (Figura 2A e 2B). Da questi risultati abbiamo concluso che il 17β-estradiolo è in grado di influenzare la localizzazione subcellulare di p65 in due tipi di cellule mieloidi. 105 TN Fα E 2+ TN Fα 75 50 100 50 β−actina β− TN Fα E 2+ TN Fα 2 2 CT RL E B TN Fα E 2+ TN Fα CT RL E CT RL 37 E 2 TN Fα E 2+ TN Fα p65 150 Densità ottica β -actina p65/β 2 TN Fα E 2+ TN Fα CT RL E 2 CT RL E A 75 50 50 CT RL 37 β−actina β− 100 E TN 2 Fα E 2+ TN Fα p65 Densità ottica β -actina p65/β 150 Figura 2. Effetto del 17β-estradiolo sulla localizzazione subcellulare di p65 nelle cellule U-937 A) Western blot per p65 su estratti di proteine citoplasmatiche B) Western blot per p65 su estratti di proteine nucleari 106 3. Effetto del 17β β-estradiolo sulla degradazione di Iκ κBα α L'ipotesi più logica, sulla base delle conoscenze circa la regolazione della localizzazione subcellulare di p65, che potesse spiegare l'azione di E2 prevedeva che l'estrogeno inibisse la degradazione di IκBα. Abbiamo così valutato se i livelli di proteina di IκBα fossero aumentati in seguito al trattamento con E2 ed LPS. Abbiamo effettuato un esperimento di tempo-dipendenza, analizzando l'azione di LPS dopo 5, 10, 20, 30 e 60 minuti dall'aggiunta di questa endotossina al terreno di coltura. I livelli di IκBα sono quindi stati valutati mediante western blot sugli estratti proteici citosolici. Per valutare l'effetto di E2 una serie analoga di campioni trattati con LPS ai tempi citati sopra è stata previamente trattata per 10 minuti con l'ormone. Dal grafico di figura 3 vediamo come i livelli di IκBα inizino a diminuire circa 5 minuti dopo l'aggiunta di LPS e raggiungano il minimo a 20 minuti. Dopo trenta minuti si osserva un aumento dei livelli di IκBα. Ricordiamo infatti che IκBα è uno dei geni precoci indotti da NF-κB. L'aumento di IκBα può essere ricondotto all'effetto trascrizionale di NF-κB sul promotore di IκBα [206]. Dopo un'ora di trattamento con LPS i livelli di IκBα sono tornati simili alla situazione non stimolata. E' interessante notare che il pretrattamento con 17β-estradiolo non è in grado di prevenire la diminuzione dei livelli di IκBα, infatti il grafico è sovrapponibile a quello ottenuto con il solo LPS (Figura 3). Questo suggerisce che p65 rimane citoplasmatico nonostante si IκBα degradi. 107 S +L PS 2 E 2 60' LP 2 30' LP S E 2+ LP CT S R E L CT R E L S +L PS 2 E 2 LP S 2+ LP CT S RL E E 2 E LP PS RL CT S 2+ L E 2 LP RL E CT 20’ 10’ 5’ 75 50 Iκ κBα α 37 25 50 β-actina 37 Densità ottica κBα α/β β -actina Iκ 100 CTRL E2 LPS E2+LPS 60 20 5' 10' 20' 30' 60' Tempo Figura 3. Effetto del 17β-estradiolo sulla degradazione di IκBα Western blot per IκBα su estratti totali da RAW 264,7 108 4. Influenza del 17β β-estradiolo su IKK La degradazione di IκBα è susseguente alla sua fosforilazione da parte di IKK, che a sua volta viene attivato mediante fosforilazione [183]. Come ulteriore conferma dei risultati su IκBα tramite western blot abbiamo valutato la fosforilazione di IKK in seguito ai trattamenti; come era lecito attendersi i livelli basali di fosforilazione sono quasi nulli, l'ormone di per sé non influenza questi livelli. L'LPS, come documentato in letteratura, provoca la fosforilazione di IKK, mentre il pretrattamento con l'estrogeno non blocca l'attivazione di IKK da LPS, come prevedibile sulla base dell'esperimento su IκBα (Figura 4). 109 +L PS 2 E LP S E 2 CT RL +L PS 2 E LP S 2 E CT RL 100 Fosfo IKK 75 50 β−actina β− 37 75 50 +L PS 2 E LP S E 2 25 CT RL Densità ottica β-actina IKK/β 100 Figura 4. Effetto del 17β-estadiolo su IKK Western blot per fosfo IKK su estratti totali da RAW 264,7 110 5. Influenza del 17β β-estradiolo su MAPK Il legame dell'LPS al suo recettore porta all'attivazione di più cascate di trasduzione del segnale [227], quindi abbiamo voluto verificare se il 17βestradiolo giocasse un ruolo anche in queste vie. Abbiamo perciò posto la nostra attenzione sulla via delle MAP chinasi: si è valutata la fosforilazione di ERK1/2, che poi porta alla loro attivazione. Come si può vedere dalla figura 5 l'LPS stimola l'attività delle MAPK, ma l'estrogeno non è in grado di prevenire questa attivazione. 111 +L PS 2 E LP S 2 E CT RL +L PS 2 E LP S 2 E CT RL 100 75 50 Fosfo ERK1/2 ERK1/2 37 75 50 +L PS 2 E LP S E 2 25 CT RL Densità ottica P-ERK1/2/ERK1/2 100 Figura 5. Effetto del 17β-estadiolo sulle MAPK Western blot per fosfo ERK1/2 su estratti totali da RAW 264,7 112 6. Influenza del 17β β-estradiolo su PI3K Un'altra via di segnale attivata da LPS è quella della PI3K, abbiamo quindi valutato l'azione di E2 anche su questa via di segnale. Per raggiungere il nostro scopo abbiamo trattato le RAW 264,7 con un inibitore farmacologico della PI3K: l'LY 294002. Quindi abbiamo fatto un'immunocitochimica per valutare la localizzazione subcellulare di p65. Come si vede da figura 6 l'LY 294002 previene l'effetto dell'estrogeno, quindi è necessaria l'attivazione della PI3K per avere il blocco della traslocazione di p65 mediato dall'ormone. Da notare che l'inibitore della fosfatidilinositolo 3-chinasi da solo non influenza la distribuzione subcellulare di p65 (Figura 6). 113 p65 citoplasm. (% cell pos /cell tot) 100 75 50 25 RL CT E2 LP S E PS +2 L LY S LP + LY 2 S +E LP Y + L 2 +E Y L Figura 6. Effetto del 17β-estadiolo sulla PI3K Immunocitochimica per p65 in RAW 264,7 114 7. Azione del 17β β-estradiolo su altri membri di NF-κ κB NF-κB è una famiglia di fattori di trascrizione composta, oltre che da p65, anche da p50, c-Rel, RelB e p52 [163]. Di conseguenza ci siamo posti la domanda se l'azione del 17β-estradiolo fosse specifica per p65 o interessasse altri membri della famiglia di fattori di trascrizione NF-κB. Per rispondere a questa domanda abbiamo fatto degli esperimenti di western blot ed immnocitochimica sia in RAW 264,7 che in U-937. Come risulta dalle figure 7A e 7B anche la traslocazione nucleare di c-Rel è bloccata dal pretrattamento per 10 minuti con concentrazioni fisiologiche di estrogeno (Figure 7A e 7B). Anche p50 in seguito al trattamento con LPS si concentra nel nucleo, mentre un pretrattamento con 17β-estradiolo riporta la situazione uguale a quella del controllo (Figura 8). Da ciò abbiamo concluso che l'ormone femminile è in grado di bloccare la traslocazione nucleare di tutti i membri della famiglia NF-κB in cellule infiammatorie, e questo può rendere conto dell'attività antinfiammatoria dell'estrogeno. 115 α NF α T F + E2 TN 2 L TR C E α NF α T F + E2 TN 2 A E L TR C 100 75 c-Rel 50 β−actina β− 37 75 50 E2 75 50 25 +L PS Figura 7. Effetto del 17β-estradiolo su c-Rel A) Western blot per c-Rel su estratti citoplasmatici da U-937 B) Immunocitochimica per c-Rel in RAW 264,7 C) Quantizzazione dell'effetto visto in B) mediante conta cellulare 116 2 E C TR L E2+LPS 100 LP S C c-Rel citoplasm. (% cell pos /cell tot) LPS Fα N +T 2 B Fα TN E L TR C 2 25 E Densità ottica β-actina c-Rel/β 100 +L PS 2 E LP S 2 E C TR L +L PS 2 E LP S 2 C TR L E 100 75 50 p50 β-actina 37 Densità ottica β-actina p50/β 400 300 200 2 L TR C E 100 S LP E PS +2 L Figura 8. Effetto del 17β-estradiolo su p50 in cellule RAW 264,7 Western blot per p50 su estratti nucleari 117 8. Effetto del 17β β-estradiolo sulla localizzazione citoplasmatica di p65 in cellule non macrofagiche Anche se il suo ruolo principale è nelle cellule del sistema immunitario, NF-κB è un fattore di trascrizione espresso in modo ubiquitario. Per questo abbiamo deciso di valutare se l'estrogeno inibisse la traslocazione di p65 anche in cellule non infiammatorie. A tale scopo abbiamo condotto un'immunocitochimica su MCF-7, SK-ER3 ed SK-N-BE. Le cellule MCF-7 sono derivate da un carcinoma mammario umano positivo per ERα e sono spesso usate per studiare gli effetti degli estrogeni; le SK-ER3 sono cellule di neuroblastoma transfettate stabilmente con ERα e sono state generate nel nostro laboratorio per studiare l'azione del 17β-estradiolo, le SK-N-BE sono il loro controllo negativo, in quanto non esprimono gli ER. Ogni tipo cellulare è stato trattato con lo stimolo che produceva l'attivazione di p65. Infatti abbiamo osservato che LPS non attiva NF-κB nelle MCF-7, nelle SK-N-BE e nelle SK-ER3, perché queste cellule non hanno il recettore per l'LPS. Quindi abbiamo usato il TNFα, stimolo che porta all'attivazione di NF-κB in vari tipi cellulari. Come si vede dalle figure 9 e 10 in nessuno di questi tipi cellulari un pretrattamento di 10 minuti con 17β-estradiolo 10-9 M è stato in grado di prevenire la traslocazione nucleare di p65 (Figura 9 e 10). L'azione dell'estrogeno è perciò limitata alle cellule che prendono parte alla risposta infiammatoria. 118 C E2 TNFα E2+TNFα 75 50 +T NF α 2 E TN Fα 2 E 25 CT RL p65 citoplasm. (% cell pos /cell tot) 100 Figura 9. Effetto del 17β-estradiolo su p65 in cellule diverse Immunocitochimica per p65 in MCF-7 119 A B C E2 C E2 TNFα E2+TNFα TNFα E2+TNFα +T NF α 2 E +T NF α 2 25 2 E 2 TN Fα E 25 50 TN Fα 50 75 E 75 CT RL p65 citoplasm. (% cell pos /cell tot) 100 CT RL p65 citoplasm. (% cell pos /cell tot) 100 Figura 10. Effetto del 17β-estradiolo su p65 in cellule diverse A) Immunocitochimica per p65 in SK-N-BE B) Immunocitochimica per p65 in SK-ER3 120 DISCUSSIONE Numerosi studi indicano che l'estrogeno blocca la generazione della risposta infiammatoria nelle cellule macrofagiche [270, 273, 275, 280]; questa proprietà può spiegare il ruolo protettivo degli estrogeni endogeni ed esogeni in molti modelli animali di patologie a componente infiammatoria, delle quali l'ormone ritarda l’insorgenza e attenua i sintomi [243, 281-286]. Il meccanismo molecolare di questa azione deve essere ancora chiarito. Lo scopo che ha animato questa tesi è stato quello di determinare quali eventi molecolari vengano influenzati dal 17β-estradiolo per svolgere la sua attività inibitoria della via di segnale di LPS. In particolare ho focalizzato il mio studio sui fattori di trascrizione della famiglia di NF-κB. Visto che questi fattori di trascrizione, una volta attivati, migrano nel nucleo, abbiamo analizzato se l'E2 potesse modificare tale meccanismo di distribuzione subcellulare di p65. Un pretrattamento di 10 minuti con il 17β-estradiolo 10-9 M seguito dalla stimolazione con LPS o TNFα per 30 minuti risulta comunque in una localizzazione citoplasmatica di p65. Questa azione dell'ormone non è limitata a p65, ma interessa anche gli altri membri della famiglia di NF-κB: infatti abbiamo ottenuto gli stessi risultati quando abbiamo focalizzato la nostra attenzione su p50 e c-Rel. Sorprendentemente l'E2 non blocca la fosforilazione di IKK, né protegge IκBα dalla degradazione. Quindi il 17β-estradiolo non agisce sulla via di IKK/IκBα dell'attivazione di NF-κB né sull'attivazione delle MAP chinasi. 121 E’ invece coinvolta l'attivazione della PI3K, visto che l'inibitore farmacologico della PI3K, l'LY 294002 ha bloccato l'effetto del 17βestradiolo. Questo dato è in accordo con i risultati di altri laboratori, che vedono attività antinfiammatoria della fosfatidilinositolo 3-chinasi [191195], ed interazioni tra ER e la subunità regolatoria della fosfatidilinositolo 3-chinasi sono state descritte in più sistemi cellulari [131, 132]. Valutando questi risultati si può ipotizzare che l'azione dell'E2 sull'attivazione di p65 è un evento non genomico, in quanto si esplica in tempi troppo brevi (dieci minuti) per essere compatibili con una attivazione della espressione genica. È importante inoltre notare che il 17β-estradiolo blocca l'attivazione di p65 in modo indipendente dalla degradazione di IκBα, differenziandosi in questo dai FANS, che invece agiscono inibendo IKK. Infine in questa tesi dimostriamo che l'azione inibitoria del 17β-estradiolo sull'attivazione di NF-κB si esplica solo nelle cellule macrofagiche. Ulteriori studi sono necessari per meglio caratterizzare gli intermedi che, oltre alla fosfatidilinositolo 3-chinasi, mediano l'azione dell'estrogeno. Questi studi potranno servire per individuare dei nuovi bersagli nella via di attivazione di NF-κB che agiscono a monte della trascrizione di geni infiammatorii. Lo sviluppo di nuovi farmaci che agiscono in modo simile all'E2 potrà essere utile per prevenire l'insorgenza di quelle malattie dove la componente infiammatoria svolge un ruolo cruciale nella loro patogenesi. 122 BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Barnea, E.R., N.J. MacLusky, and F. Naftolin, Kinetics of catechol estrogenestrogen receptor dissociation: a possible factor underlying differences in catechol estrogen biological activity. Steroids, 1983. 41(5): p. 643-56. Fishman, J. and B. Norton, Catechol estrogen formation in the central nervous system of the rat. Endocrinology, 1975. 96(4): p. 1054-8. Lane, K.E., M.J. Ricci, and S.M. 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Maeda, Minireview: estrogen and mouse models of atherosclerosis. Endocrinology, 2002. 143(12): p. 4495-501. 141 Ringraziamenti Ringrazio la Professoressa Adriana Maggi, per avermi dato la possibilità di svolgere questa tesi presso il suo laboratorio, e la Dottoressa Elisabetta Vegeto per avermi seguito da vicino ed aver coordinato in modo egregio il mio lavoro. Inoltre voglio ringraziare tutti i componenti del laboratorio Maggi, delle persone molto preparate e disponibili; in particolare le “cellule” per avermi sopportato per questi 18 mesi. Ringrazio i miei genitori per tutto il loro affetto ed il loro supporto, che sono stati molto importanti durante i miei studii.