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Simona Ugolini / Rosa Isabella Vocaturo
Bioetica e handicap
ARACNE
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via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
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ISBN
88–548–0221–2
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I edizione: settembre 2005
Grazie, Grazie
Un giorno, o Signore, all’improvviso,
un colpo di vento ha sbattuto la porta della mia vita
e…sei entrato Tu!
Mi hai portato una creatura
con gli occhi senza sguardo,
le labbra senza parole,
la mente senza intelligenza.
Ho respinto spaventata quel fardello
Troppo pesante per me,
ma sorridente, mi hai detto:
–Tu sola lo puoi portare.
Non temere, io sarò sempre con te.–
Da quel giorno, o Signore,
stringo la mia creatura tra le braccia,
anche ora che sta diventando più grande di me.
Da quel giorno, o Signore,
Tu non sei più uscito dalla mia vita
E, quasi incredula delle mie stesse parole,
Ti ripeto:
“Grazie, Signore, Grazie!”
(la madre di un bimbo disabile)
Indice
Premessa .......................................................................................................
9
Prefazione ..................................................................................................... 11
Capitolo I
La Bioetica
Rosa Isabella Vocaturo
1.1
1.2
Origine e diffusione ............................................................................ 15
Il valore educativo della bioetica ....................................................... 19
Capitolo II
Il concetto di persona tra bioetica e disabilità
Simona Ugolini – Rosa Isabella Vocaturo
2.1
2.2
2.3
2.4
La nozione e la sua centralità ............................................................
2.1.1 Il concetto di persona nella riflessione
filosofico–teologica .................................................................
2.1.2 La bioetica personalista e la disabilità ...................................
La persona in situazione di handicap ................................................
2.2.1 Le differenze individuali come valore ...................................
Dal concetto alla realtà dei fatti .........................................................
La sofferenza umana ..........................................................................
7
27
32
36
42
46
54
61
8
Indice
Capitolo III
La qualità della vita del disabile
Simona Ugolini – Rosa Isabella Vocaturo
3.1
3.2
3.3
3.4
Riabilitazione ed etica ........................................................................
3.1.1 Alcuni cenni sulle c.d. “strutture ex art. 26” .........................
Il contributo del volontariato ..............................................................
Integrazione ed etica ...........................................................................
Lavoro e formazione professionale ...................................................
3.4.1 Un breve excursus normativo… .............................................
65
69
73
78
80
83
Capitolo IV
Dalla bioetica alla didattica
Rosa Isabella Vocaturo
4.1
4.2
4.3
Una didattica per lo sviluppo dell’individualità ................................ 91
L’educazione personalizzata .............................................................. 95
Programmare con il S.O.F.E.: un’esperienza operativa ................... 102
Bibliografia di riferimento ........................................................................... 117
Premessa
Se con le ricerche scientifiche si potesse raggiungere qualche risultato
nella sfera dello spirito, io sarei il primo a prendere in mano un microscopio
e forse vi resterei più di chiunque.
È però uno strano malinteso, ch’è una
conseguenza dell’idolatria della scienza, quello
di voler introdurre anche la scienza per esporre
la realtà esistenziale.
S. Kierkegaard
La presente riflessione, si propone di apportare un contributo
all’approfondimento della stretta e profonda relazione d’interdipendenza esistente tra la bioetica e la disabilità, appellandosi ad una sensibilità condivisa al fine di dialogare proficuamente sull’agire umano.
Il rapporto che intercorre tra queste due polarità è, a tutt’oggi, inspiegabilmente ancor poco esplorato da parte della riflessione bioetica.
Eppure, è soltanto sul terreno etico che si può ritrovare un denominatore comune per tutti tipi di handicaps esistenti, vale a dire la possibilità di riconoscere al disabile, qualunque sia e per quanto grave sia la
sua menomazione, la piena dignità di persona umana. Ciò in conseguenza del fatto che la presenza dell’handicap non può in alcun modo
negare l’esistenza del medesimo referente ontologico, la comune natura, di “normodotati” e disabili. Difatti, la mancanza di alcune proprietà
o funzioni (sia essa temporanea o permanente, presente dalla nascita o
sopravvenuta in un momento successivo a causa di un incidente stradale o domestico o lavorativo o come conseguenza di una malattia invalidante) non depaupera affatto la natura umana dal punto di vista
ontologico, ma, semmai, la impoverisce solo fenomenologicamente.
Consapevoli che la relazione tra bioetica e disabilità presenta una notevole ampiezza di approcci (alcuni dei quali, in questa sede, non sarà
possibile affrontare) intendiamo analizzarne il nesso, in ragione della
specificità e della consistenza unitaria del campo in oggetto. Il punto
9
10
Premessa
di incontro tra bioetica e disabilità si può riscontrare nella ben nota ed
imprescindibile definizione di persona — intesa come unità singolare
ed irripetibile di corpo e spirito, dotata di una natura intelligente e libera — originariamente teorizzata dal pensiero metafisico di ispirazione aristotelico–tomista e poi fermamente sostenuta dalle diverse
filosofie personalistiche. La riflessione vuole mettere in evidenza
l’importanza del rapporto fra questi due termini anche da un punto di
vista funzionale, ovvero in riferimento al significato che hanno nella
nostra esistenza e di ciò che, ad essa, apportano. È inoltre, nostra intenzione trattare la bioetica in rapporto a situazioni o contesti particolari quali la persona in situazione di handicap tra realtà e prospettive,
mettendo in luce le responsabilità che ogni uomo ha verso gli altri esseri umani, tra le quali, in prima istanza, quella di imparare a rispettare
gli altri e a convivere con loro, anche se lontani dallo standard di tranquillizzante normalità generalmente accettato. Infine, l’alto valore educativo della bioetica, nonché il suo precipuo carattere di trasversalità ed interdisciplinarietà, permette di introdurre il discorso circa
l’ideazione e la progettazione di percorsi didattici, atti a coinvolgere
significativamente diverse materie e attività scolastiche.
Gli Autori
Prefazione
La Bioetica in relazione alla Disabilità
Sin dal 1980 l’Organizzazione mondiale della Sanità intende per disabilità qualsiasi restrizione o carenza (conseguente a una menomazione) delle capacità di svolgere un’attività nel modo o nei limiti ritenuti
normali per un essere umano. Questa definizione è importante non soltanto perché ci permette di inquadrare con un linguaggio comune le situazioni che possono nascere da menomazioni, sia nel loro versante
funzionale–oggettivo sia in quello psicologico–reattivo, ma anche perché indica un ambito di approfondimento teorico difficile ma essenziale per comprendere fino in fondo la realtà di questa situazione umana:
questo ambito di approfondimento è quello antropologico che riuscirà a
dare un contenuto razionale a quei “limiti ritenuti normali per un essere
umano”, vera chiave interpretativa di tutto il concetto di disabilità.
Questa è la ragione per cui leggiamo con interesse e gratitudine il
lavoro svolto dagli Autori del libro che avete fra le mani. La Professoressa Vocaturo e la dottoressa Ugolini ci propongono con queste pagine un progetto culturale ben preciso che, a nostro modo di vedere,
viene a colmare un vuoto enorme frutto forse di una cultura che ha
perso il valore dell’Uomo in quanto Uomo per rielaborarlo in chiave o
utilitarista o contrattualista, sempre più solo da un punto di vista quantitativo.
Troviamo all’inizio del libro, quasi come una chiave di lettura, la
riproposizione della centralità che il personalismo deve avere nella visione dell’Uomo e del suo vissuto. La teoria personalista non è facile
ma qui è espressa con semplicità come una introduzione ed un rimando ad uno studio successivo che troviamo, come consiglio, proprio
nella prima nota in calce al capitolo II: penso che sia il caso di sottolineare questo suggerimento riscoprendo (o scoprendo) questa scuola
filosofica che ha nel pensiero di Sgreccia una validissima applicazione
in ambito bioetico.
11
12
Prefazione
La scoperta, o la riscoperta del personalismo, è una necessità che in
questi anni molti studiosi stanno sentendo e stanno trasmettendo in
modo implicito o esplicito. Fra tutti voglio citare a questo riguardo Ivan Cavicchi che ha avuto il merito di introdurre nella valutazione del
rapporto assistenziale una categoria, chiamata da lui “Contingenze”,
che altro non è se non il riflesso della necessaria personalizzazione del
rapporto con ogni persona malata.
Il personalismo al quali gli Autori si riferiscono è senza dubbio un
personalismo aperto alla visione metafisica del mondo e dell’Uomo, un
personalismo, pertanto, ontologicamente fondato. Tale fondazione ontologica è l’unica che potrà portare ad un atteggiamento di vero rispetto
della persona disabile e dei suoi diritti, vero rispetto che viene a mancare in una visione funzionalista della dignità umana secondo la quale il
valore di ogni Uomo non dipende da ciò che è (un essere umano) ma da
ciò che riesce a fare. Non si tratta di discriminazioni teoriche ma purtroppo di parametri operativi che comportano decisioni concrete sia a
livello sanitario che sociale. In questo modo molte volte i diritti umani
saranno violati attraverso la semplice affermazione che il soggetto non è
pienamente umano o non ha una vita “degna di un essere umano”.
Certamente il principio di piacere che l’utilitarismo sceglie quale
elemento di orientamento pratico–normativo non è capace di comprendere e di vivere l’esperienza della sofferenza umana che diventa
qualcosa di assurdo, una sorta di maledizione che viene sovente vissuta come un tabù, intendendo il termine non nella rielaborazione freudiana ma nella sua originale accezione magico–tribale. Tale concetto,
come è noto, indica che l’infrazione di un tabù implichi lo scatenamento di forze incontrollabili, negative, aggressive. Il tabù di fatto
racchiude un pericolo contro la stessa vita e frequentemente comporta
l’uccisione del trasgressore per evitare che i mali che l’individuo ha
attratto su di sé possano ledere la comunità. Pertanto il comportamento derivante dall’accettazione di una categoria tabù sarà abitualmente
di evitamento del problema e non quello di ricerca della soluzione: è
ciò che avviene a volte nei confronti dei disabili.
In questa cornice diventa opportuna la riflessione sul valore, sul
senso, della sofferenza umana che chiude il capitolo II.
Vocaturo e Ugolini però non vogliono limitarsi ad un lavoro descrittivo ma, e questa è una caratteristica della loro vocazione univer-
Prefazione
13
sitaria, partono da questo per approdare alla proposta positiva di un utilizzo sempre più razionale degli strumenti utili a diminuire la disabilità di coloro che hanno un handicap. La loro prospettiva ha, a mio
modo di vedere, due caratteristiche principali: propongono un approccio integrato al problema e dichiarano che si tratta di un intervento che
ha obiettivi sia quantitativi che qualitativi.
Tale impostazione meriterebbe essere sviluppata nel futuro in modo
interdisciplinare ed è proprio questo l’auspicio che mi permetto di fare
agli Autori, affinché il loro bel lavoro possa essere piattaforma per il
lavoro di tanti altri medici, psicologi, economisti che vogliano mettere
la loro competenza scientifica a servizio dell’Uomo, per il bene
dell’Uomo.
Victor Tambone
Dipartimento di Antropologia ed Etica Applicata
Università Campus Bio–Medico
Roma
CAPITOLO I
La Bioetica
Rosa Isabella Vocaturo
1.1 Origine e diffusione della Bioetica
La bioetica è scienza relativamente giovane, può essere indicata
come la riflessione morale sui problemi medici e scientifici nei quali
tutti gli esseri umani s’imbattono. È una sorta di faro che illumina
questioni spinose, difficili e dedica anche tanta attenzione non solo alla salute del singolo, ma a quella della società e dell’intero pianeta.
La bioetica ha fatto la sua comparsa dopo la seconda guerra mondiale, e, precisamente, dal processo di Norimberga nel 1948. Come è
noto, il processo di Norimberga segnò una tappa fondamentale nella
storia dell’umanità: molte norme applicate in questo processo fecero
giurisprudenza, venendo acquisite nel diritto internazionale. In occasione del processo di Norimberga si dovette constatare, documentare
e giudicare anche l’operato di molti medici e scienziati, legati al regime nazista, che avevano compiuto vere e proprie atrocità in nome
di una sperimentazione scientifica svincolata dalla morale e strumentalizzata dal potere assoluto, in forza del quale ogni crudeltà poteva
essere giustificata dietro la scusante di essere stati costretti dagli “ordini superiori ricevuti”.1 Questi ordini erano stati sufficienti per calpestare una deontologia che risaliva al 1750 a.C. e precisamente al
Codice di Hammurabi, e al Giuramento di Ippocrate e al corpus legato alla figura del famoso medico greco vissuto fra il 460 e il 370
a.C.,dove si trovano espressi principi fondanti della professione come quel “principio di beneficenza e non maleficienza”che anima
l’ethos medico.
1
Cfr. R. J.LIFTON, I medici nazisti, Milano 1998.
15
16
Capitolo I
I principi di origine ippocratica permasero in Occidente e furono
accolti presso altre culture, come l’ebraica, la persiana, l’arabo–musulmana che, entrate in contatto con la cultura ellenica attraverso
l’oriente cristiano, ritrasmisero all’Europa anche le proprie conoscenze, come testimonia la fama dalla medievale Scuola Medica Salernitana, presso la quale si incontrarono le esperienze provenienti dalle
diverse sponde del Mediterraneo.2
La morale medica in campo cattolico avrebbe segnato una nuova
fase d’espressione proprio a ridosso del secondo conflitto mondiale e
da allora la riflessione si orientò verso una migliore definizione dei diritti dell’uomo, e alla formulazione e approvazione di successivi codici di deontologia medica emanati da organismi internazionali come
Associazione Medica Mondiale (AMM) e il Consiglio delle Organizzazioni Internazionali delle Scienze Mediche (CIOMS).
Ma dovranno passare altri ventidue anni e nel 1970 Van Rensselaer
Potter, oncologo dell’università del Winsconsin, conia il termine “bioetica” prospettando le speranze di un futuro migliore: «una scienza
della sopravvivenza deve essere più di una sola scienza, e perciò propongo il termine Bioetica per sottolineare i due grandi ingredienti più
importanti per il conseguimento di una nuova sapienza: la conoscenza
biologica e i valori umani».3 Secondo l’oncologo americano alla base
del processo scientifico–tecnologico indiscriminato che metteva in pericolo l’umanità e la stessa sopravvivenza della vita sulla terra, stava
proprio la netta distinzione tra i valori etici (ethics values) che rientrano nella cultura umanistica in senso lato ed i fatti biologici (biological
facts). Per questo motivo egli avvertì l’urgenza di scoprire il modo in
cui si potevano usare le conoscenze tecno–scientifiche al fine di favorire la sopravvivenza della specie umana migliorandone la qualità della vita. Potter puntualizza “ho scelto la radice bio” per rappresentare
la conoscenza biologica, la scienza dei sistemi dei viventi; e “ethics”
per rappresentare la conoscenza del sistema dei valori.4 L’analisi del
concetto, evidenziato da Potter, porta a riflettere sull’interdisciplinarità
2
Cfr. C. GATTO TROCCHI e R. M. SUOZZI (a cura di), La Regola Sanitaria,
Roma 1993, p. 9.
3
V. R. POTTER, in A. Pessina, Bioetica, Ed. Mondadori milano 1999, pag.24
4
Cfr. V.R. POTTER, Bioethics: Bridge to the Future, Englewood Cliffs (n. J.
1971. pag. 1 e segg.).
La Bioetica
17
manifesta nei due “ingredienti” e a chiedersi come rafforzare tale sapienza che sappia realizzare un “ponte” tra scienze bio–sperimentali e
scienze etico–antropologiche per garantire il bene sociale e la sopravvivenza di una vita di qualità.
Se lo specifico della scienza è la scoperta della realtà, che è la verità delle cose, lo specifico dell’etica è il bene per l’uomo, cioè quella
perfezione, quell’eccellenza che fa sì che l’uomo raggiunga il suo vertice. E come il bene sta nella realtà, nella vita concreta, scienza e etica
si cercano a vicenda orientate e dirette dall’agire umano.
Tale feed–back non dovrebbe portare ad un inconciliabile conflitto
fra libertà e necessità, dove spesso manca la connessione causale, necessaria al pensiero etico, fra l’azione e il risultato.
Elio Sgreccia definisce la bioetica «quella parte della filosofia morale che considera la liceità o meno degli interventi sulla vita dell’uomo e, particolarmente, di quegli interventi connessi con la pratica
e lo sviluppo delle scienze mediche e biologiche»5, per cui la bioetica
riguarda gli interventi dell’uomo sulla vita umana, l’uomo responsabile della vita umana.
L’intreccio tra le varie scienze, in modo particolare quelle biomediche, esige, pertanto, di essere affrontato in base a principi etici,
non sotto la pressione degli interessi come spesso accade. Eppure, la
scienza ha alimentato nell’uomo un entusiasmo e un senso di sicurezza nella possibilità di gestire e dominare la vita; tutto ciò che non
doveva attuarsi e che inizialmente era un “gioco” sperimentale, è accaduto e con molta naturalezza. Basti pensare al controllo dell’apprendimento scolastico mediante la somministrazione di farmaci per
migliorarne il rendimento: sovrastimolare il cervello in occasione di
esami e superlavoro; all’aggressività annientata elettronicamente, al
controllo della timidezza con medicinale inibitore: arrossire e abbassare lo sguardo viene considerato inconcepibile e classificato come
una malattia; alle sensazioni di piacere determinate da droghe:
ecstasy la pastiglia da sballo; al disordine sessuale, alle cure per la
longevità e ai trattamenti anti invecchiamento e ancora alla manipolazione genetica che porta a condurre esperimenti su futuri esseri
umani, al liberalismo genetico, prevedendo un futuro in cui su inter5
E. SGRECCIA, Manuale di bioetica, ed. Vita e Pensiero, Milano 1988, p. 49.
18
Capitolo I
net sorgerà il mercato di geni dove i genitori potranno acquistare i
caratteri ereditari da attribuire ai figli. Dalla clonazione della pecora
Dolly alla possibilità di clonare l’uomo, insomma dalla fantascienza
alla realtà; all’utilizzo delle cellule staminali, all’eutanasia al commercio di organi umani. L’elenco potrebbe continuare ancora senza
alcuna difficoltà. Certo deliri di onnipotenza, ma il problema esiste e
di fronte a queste nuove forme di libertà uno dei punti di maggiore
riflessione diventa il principio morale secondo il quale tutto ciò che
tecnicamente è possibile non significa che sia anche moralmente —
cioè per l’uomo — buono e riesca a portare reale beneficio
all’esistenza umana.6
A questo punto viene da chiedersi: quale sarà la prossima mossa
degli scienziati? L’identità umana come è salvaguardata? È lecito
“fotocopiare” gli esseri umani? Quale è il nostro dovere nei confronti
delle future generazioni? E quali le responsabilità e gli obblighi nei
confronti dei figli? Possiamo accettare forme di permissivismo che
portano alla distruzione completa dei valori fondamentali e alla violazione dei diritti umani? Tutto quello che è tecnicamente possibile
deve essere ritenuto eticamente lecito?
Gli inquietanti interrogativi rimandano a questioni che investono la
coscienza umana. Lo scienziato ha acquistato una doppia identità di
uomo e di ricercatore o meglio di esploratore della natura in cui
l’intelligenza e l’anima non lo hanno sempre seguito.
Nel tempo la bioetica è diventata una scienza politica, tant’è vero
che vi sono più scuole di pensiero: tutte con il compito di mediare le
esigenze del singolo con quelle della società.
Il dibattito scientifico, se da una parte diventa sempre più delicato,
animato da speranze forti ed emozioni, dall’altra parte è terreno fertile
per ciarlatani e approfittatori delle disgrazie altrui che, puntano a guadagnare una fortuna, così che ogni nuova scoperta scivola tra le mura
domestiche, in chiesa nelle omelie domenicali e sulle scrivanie dei nostri politici.
6
Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Evangelium vitae, 1995.
La Bioetica
19
1.2 Il valore educativo della bioetica
Porsi il problema del valore educativo della bioetica vuol dire nutrire una grande fiducia nelle possibilità dell’educazione e dunque nella
attitudine dell’uomo a trasformarsi in un essere rispettoso, accogliente
e costruttivo,«non che l’uomo non possa essere anche contrassegnato
da coteste qualità: lo può certamente, se riesce vittorioso sulla sua natura ambivalente, contraddittoria, dicotomica».7 È proprio su questo problema che vogliamo focalizzare l’attenzione: una educazione aperta al
dialogo, al libero confronto delle idee, con la volontà di intendersi e
comprendersi, che combatte l’intolleranza, il fanatismo, l’ideologia.
Educazione…
Per la sua complessità non è facile definire il concetto di educazione. Garcìa Hoz ci fa notare che Rufino Blanco nel 1933 raccolse ben
184 “definizioni autorizzate” di educazione, esaminando le quali e
cominciando da Platone, individuano la perfezione o il perfezionamento come elementi essenziali e indispensabili del concetto di educazione8.
Educazione dal verbo latino educere che significa trarre fuori, creare, come si può notare non si limita al puro aspetto esteriore, ma fa riferimento all’interiorità dell’essere umano, alle forze e alle energie interiori che ne determinano il comportamento. L’educazione è il processo con cui si fa crescere secondo la natura di ciò che cresce: si trae
ciò che già c’è, ma allo stato potenziale.
Fa riferimento all’uomo con i suoi bisogni, con le sue dinamiche,
con le sue sfaccettature, ma soprattutto con il suo potenziale umano
composto da forze dinamiche quali: il logos (parola, razionalità, capacità espressiva, manifestarsi e così via) e l’alogos (desideri, tutto ciò
che ci attrae) proteso al dialogos, cioè alla relazionalità verso l’altro
uomo.
7
G. CATALFAMO, in Nuove Ipotesi, Palermo, II, 1987, p. 205.
Cfr. V. GARCìA HOZ, Il fine dell’educazione, in AA., Dal fine agli obiettivi
dell’educazione personalizzata,ed. PALUMBO, Palermo 2000, pag. 15.
8
20
Capitolo I
L’educazione pur essendo una realtà individuale, si proietta nella
vita sociale dell’uomo in quanto la persona umana è una realtà aperta
che si sviluppa mediante la comunicazione con l’altro, con l’esterno. Il
sentire nostalgia per l’altro uomo è «un’inclinazione così profondamente radicata nella natura umana».9
L’educazione è un evento da uomo a uomo, è un rapporto personale
dialogico.
È una esigenza vitale aprirsi e relazionarsi con il mondo che lo circonda, in modo particolare con gli altri uomini ed è nell’incontro che
nascono, si espandono si irrobustiscono quelle potenzialità che costituiscono l’umanità. L’educazione, dunque, deve vertere fondamentalmente sul modo di relazionarsi della persona là dove questa esigenza
radicale necessita di risveglio, pronta ad essere stimolata, attivata, direzionata, invogliata, con le sue proprie forze moventi, con la misura
di cui è capace e la modalità di attuazione.«L’educazione in senso forte deve aiutare ognuno a dare di sé il proprio autoritratto e non già a
offrire delle “pose”».10
Educare significa aiutare il soggetto a svilupparsi in maniera autonoma, libera e sicura nel proprio ambiente, renderlo capace di distinguere e scegliere ciò che è favorevole da ciò che non lo è, il bene e il
male. Platone, in maniera molto bella esteticamente, nel mito della caverna nel VII libro della Repubblica, puntualizza e rende forte il senso
della paideia «quale componente determinante nella qualità della convivenza umana,»11 il trattamento paideico porta all’esplicitazione piena, gioiosa, gratificante del potenziale umano.
Anche se il “cammino” è in salita, l’uscita dalla caverna è molto
faticosa, in quanto quello che Socrate propone, non è cosa semplice,
non è ammaestramento, ma è un generare se stessi, diventare attivi,
solo attraverso lo sforzo l’educando percepisce e resta fedele al dovere che scaturisce dall’interiorità della coscienza. L’educazione deve mirare a rendere l’uomo capace di affrontare qualunque situazione in cui possa venirsi a trovare, poiché il suo fine è il pieno sviluppo
9
S. KIERKEGAARD, Gli atti dell’amore, trad. da C. FABBRO, ed. Rusconi,
Milano 1983, p. 323.
10
E. SGRECCIA (a cura di) op. cit., cap. IX.
11
E. DUCCI, op. cit., p. 14.