Giorgio Primerano La prospettiva pedagogica di Nicola Abbagnano Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2653–3 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: agosto 2009 Indice 9 13 Introduzione Capitolo I Filosofare 1. Pensiero e vita: il progetto del giovane Abbagnano, 13 – 2. Filosofia e filosofare, 17 – 3. Indeterminazione problematica, 21 – 4. Libertà e coesistenza, 24 – 5. L’esistenzialismo positivo, 28 – 6. Due concezioni tipiche dell’esistenzialismo positivo, 31 – 7. Morte o trasfigurazione dell’esistenzialismo?, 33 39 Capitolo II Educarsi 1. I lineamenti di pedagogia, 39 – 2. Concetto di pedagogia, 43 – 3. Educazione come indeterminazione, 46 – 4. Libertà e individuo, 49 – 5. Coesistenza, 53 – 6. Educarsi e filosofare, 56 – 7. Verso una pedagogia sociologica, 59 – 8. Il campo di educazione, 63 69 Capitolo III Il concetto di positivo e il nuovo illuminismo 1. Indeterminazione, libertà e coesistenza, 69 – 2. Educarsi e filosofare: parallelo, 72 – 3. Positivo e negativo, 74 – 4. L’impegno esistenziale, 78 – 5. Il nuovo illuminismo, 80 – 6. Positività o positivismo?, 85 Indice 8 89 Capitolo IV I Corsi di Pedagogia 1. I Corsi di pedagogia napoletani: la fondazione filosofica della pedagogia, 89 – 2. I Corsi di Legislazione scolastica, 92 – 3. I Corsi “torinesi”: l’educazione in Grecia, 97 – 4. Da Agostino a Richter, 101 – 5. Il positivismo: Saint Simon, Comte e Spencer, 104 – 6. Esistenzialismo e scienze umane, 107 111 Capitolo V Abbagnano nel panorama filosofico e pedagogico italiano 1. Il dibattito su “Primato”: l’esistenzialismo in Italia, 111 – 2. Il dibattito su “Primato”: replica ai contradittori, 115 – 3. Neoilluminismo e area laica, 120 – 4. Confronto con Gian Maria Bertin, 123 131 Capitolo VI Dialogo e impegno esistenziale: l’eredità di Abbagnano in campo educativo 1. Impegno filosofico come impegno educativo, 131 – 2. Coesistenza e dialogo, 135 – 3. Il concetto di paideia, 140 – 4. Fine della pedagogia? Dialogo con le scienze dell’educazione, 145 – 5. Le nuove sfide educative, 150 159 Antologia 209 Bibliografia Letteratura primaria, 209 – Letteratura secondaria, 213 8 Capitolo I Filosofare 1. Pensiero e vita: il progetto del giovane Abbagnano Per ricostruire brevemente le esigenze e i percorsi di ricerca del giovane Abbagnano è opportuno considerare come principali punti di riferimento due opere: Le sorgenti irrazionali del pensiero 1 , pubblicazione della tesi del 1921, e Il principio della metafisica 2 . Già dalla lettura della prima, il cui titolo peraltro non fu mai veramente approvato da Abbagnano 3 , emergono la ricerca di una filosofia vitale, la critica al puro pensiero separato dai bisogni concreti dell’uomo e, conseguentemente, la polemica contro ogni forma di degenerazione intellettualistica e razionalistica, senza per questo sfociare in tendenze intuizionistiche e irrazionalistiche (temi che saranno peculiari nella speculazione dell’Abbagnano maturo). I filosofi hanno troppo a lungo trascurato le ragioni della vita. Rinchiusisi nella rocca magica del pensiero invano han tentato di uscirne; onde han fatto del pensiero il principio e la consumazione finale di ogni cosa, pur rimanendo sempre inappagati di esso; e si sono baloccati con insolubili e tormentosi indovinelli. Ma che sarebbe mai un pensiero puro, un pensiero che sia solo, as- 1 N. ABBAGNANO, Le sorgenti irrazionali del pensiero, con pref. di A. Aliotta, Perrella, Genova-Napoli, 1923. 2 N. ABBAGNANO, Il principio della metafisica, Morano, Napoli, 1936. 3 Fu Antonio Aliotta, il suo maestro, a proporre quel titolo, come sottolinea lo stesso Abbagnano: “al posto di quel irrazionali, io avrei voluto vitali”, N. ABBAGNANO, Ricordi di un filosofo, a cura di M. Staglieno, Rizzoli, Milano, 1990, p. 21. Antonio Aliotta (1881-1964) tenne la cattedra di filosofia teoretica alle università di Padova (1913-19) e di Napoli (191951). Influenzato dal pragmatismo di W. James e di G.H. Mead, professò un radicale pluralismo ed elaborò una teoria della verità contrapposta all’apriorismo dialettico dell’idealismo attualistico o neoidealismo. Capitolo I 14 soluto pensiero? Un’attività vuota ed inutile, una vibrazione unica, eterna, immutabile in un vuoto infinito. In che dunque si distinguerebbe dal nulla? 4 Se questo breve passo costituisce una lucida critica alla filosofia della sua epoca 5 , tuttavia è al tempo stesso possibile rintracciare già qui quel germe di una ricerca filosofica positiva che si prefigge, attraverso svariati e differenti tentativi, di conciliare pensiero e vita e, contemporaneamente, di mantenere integra la loro rispettiva, sostanziale irriducibilità. Ne Le sorgenti Abbagnano analizza le concezioni tipiche della verità per dimostrarne gli inevitabili limiti strutturali: nella concezione tradizionale della verità come adeguazione dell’intelletto alla cosa, l’intelletto non può dimostrare la propria validità perché non riesce a giustificare la realtà dell’oggetto cui dovrebbe conformarsi; nella concezione di verità come coerenza, rimanendo indeterminata la natura stessa della coscienza assoluta, quest’ultima risulta inadatta nel valutare la coerenza dei gradi finiti di verità; nella concezione della verità come atto, emerge l’impossibilità dell’atto stesso di giustificarsi come pensiero e pertanto di giustificare il medesimo; nella verità come norma, infine, la semplice pretesa di validità assoluta viene erroneamente elevata a criterio di giustificazione di tale validità. Le concezioni presentate sono tutte ugualmente votate allo scacco perché si perdono in un insuperabile circolo vizioso e, pur argomentando e articolandosi internamente, non riescono mai a giustificarsi pienamente perché risultano incapaci di confrontarsi con la vita concreta dell’uomo. Tale scacco non è solo il fallimento delle dottrine esaminate ma, trattandosi di concezioni tipiche e fondamentali, è l’incapacità stessa dell’intelletto di rapportarsi alle ragioni della vita. Il pensiero quindi non si autocostituisce ma «non fa che seguire docilmente l’arbitrio della vita» e «balza dal suo seno mediante un atto 4 N. ABBAGNANO, Le sorgenti irrazionali del pensiero, cit., p. 155. Quando il ventiduenne Abbagnano si affacciò alla scena filosofica italiana, il neoidealismo di Croce (che egli chiamava ironicamente Don Benedetto) e quello di Gentile costituivano il pensiero dominante. 5 Filosofare 15 di scelta di una originalità irreducibile e nella sua struttura e nel suo ritmo ne segue da presso le vicende» 6 . Viene così nuovamente affermata l’irriducibilità del mondo della vita a quello del pensiero ma comincia anche a delinearsi l’idea di quest’ultimo come luogo di espressione delle forze nascoste della vita, come simbolo, cioè delle situazioni, delle incertezze, dei moti che animano la concretezza umana. E come il simbolo non si autodetermina ma ricava il suo significato da ciò che lo costituisce, così il pensiero acquista valore e senso proprio dagli affanni, dalle mancanze e dalle aspirazioni della vita. Vivendo noi quindi creiamo ad ogni istante la nostra verità: giacché questa non è una nuova realtà che si aggiunga alla prima originaria realtà ma è soltanto il simbolo di essa. 7 L’importanza di quest’opera giovanile di Abbagnano è confermata dalle numerose recensioni che ebbe negli anni venti: sia Aliotta, il suo maestro, che Ugo Spirito, uno dei principali esponenti dell’attualismo gentiliano, presero, seppur in modi diversi posizione; quest’ultimo in particolare accusandolo di essersi lasciato trasportare da ‘foga giovanile’ e di rischiare, affermando che il pensiero segue la vita, di trovarsi nella maturazione di fronte ad una vita non più irrazionale ma dogmatica e razionale, il che costituirebbe il colmo dell’irrazionalità. 8 Non è forse opportuno esaminare qui come sia stato evitato il rischio da parte dell’Abbagnano maturo, quanto piuttosto continuare a seguirlo nell’impervio ma quanto mai affascinante tentativo di conciliare tra loro i fragilissimi fili di vita e pensiero. Ne Il Problema dell’arte 9 viene messo in luce il valore dell’arte non da una prospettiva strettamente razionalistica, il che sarebbe riduttivo per l’uomo e per la realtà intera, ma riconoscendo che al di là della ragione esiste un dominio di attività vitali irriducibili ad essa. Restano fuori da questa breve introduzione sul pensiero giovanile di Abbagnano il Nuovo idealismo inglese e americano 10 , La fisica 6 N. ABBAGNANO, Le sorgenti irrazionali del pensiero, cit., p.168. Ivi, pp.168-69. 8 Cfr. Scritti esistenzialisti, a cura di B. MAIORCA, Utet, Torino, 1988, pp.15-16. 9 N. ABBAGNANO, Il problema dell’arte, Perrella, Napoli-Genova-Città di Castello, 1925. 10 ID., Il nuovo idealismo inglese e americano, Perrella, Genova-Napoli, 1927. 7 Capitolo I 16 nuova 11 e gli studi sulla nozione del tempo in Aristotele 12 , per soffermarci più su Il principio della metafisica, sugli spunti offerti e sulle premesse negative da essa poste. L’esigenza primaria che muove quest’opera è quella di ricercare il principio del filosofare oltre la sfera della conoscenza. Se il cuore (dicevo) ha ragioni che la ragione non comprende, si tratta di trovare una ragione che faccia valere come sue le ragioni del cuore. Ponevo così il problema di una metafisica che si autocostituisse in virtù della stessa esigenza della sua assoluta autonomia. A questa metafisica non avrebbe dovuto essere estraneo nulla di ciò che è umano. 13 Ancora una volta nella ricerca campeggia l’elemento uomo come progetto e fine di una ragione vitale; tale indagine, tuttavia, viene ancora condotta sul piano gnoseologico con l’inevitabile rischio di cadere nella contraddizione di oggettivare l’uomo e perderne in tal modo la sua dinamicità e problematicità. Dall’altro lato, ponendosi secondo un’interpretazione soggettivistica, resta il pericolo idealistico di dissolvere in uno Spirito assoluto e creatore l’individuo singolo e, assieme a questi, la sua concretezza e vitalità. Le premesse negative del lavoro erano state poste: ne Il principio della metafisica, Abbagnano auspica la nascita di una nuova metafisica diversa da tutte le precedenti al punto da non poter essere considerata neppure una metafisica e i termini di questa formulazione gli vengono offerti da un attento studio sulla filosofia dell’esistenza di Kierkegaard e Heidegger 14 (l’eco delle cui opere cominciava a farsi sentire nell’Europa di quegli anni). L’esistenzialismo oltrepassa la concezione tradizionale della metafisica. Ma perché proporre una filosofia dell’esistenza? 11 ID., La fisica nuova. Fondamenti di una nuova teoria delle scienze, Guida, Napoli, 1927. 12 13 ID., La nozione del tempo secondo Aristotele, Carabba, Lanciano, 1933. ID., L’esercizio della libertà, a cura di B. Maiorca, Boni Editore, Bologna, 1990, pp. 84- 85. 14 Nel 1927 usciva Sein und Zeit, il cui studio impegnò assiduamente l’Abbagnano: “Nel ’28 impiegai mesi, dizionari alla mano, per lo studio del ‘Sein und Zeit’ di Heidegger, originale ma difficoltoso maestro, tra i massimi pensatori del nostro secolo”. Tratto da N. ABBAGNANO, Ricordi di un filosofo, cit., p. 41. Filosofare 17 «L’esistenza toglie l’estraneità tra il pensiero e la vita costituendoli nell’unità di una vita pensante e di un pensiero vitale» 15 eliminando, cioè, quella dicotomia forzata che finisce con il bloccare il pensiero e conseguentemente la vita stessa. La chiave di svolta per un nuovo percorso filosofico sta proprio qui: pensiero e vita si conciliano nella loro unità problematica che trova l’autentico orizzonte della sua esplicazione nell’esistenza stessa dell’uomo. E se il problema di una filosofia che si propone di conciliare pensiero e vita è il problema stesso dell’uomo, allora esistere e filosofare coincidono allontanando prepotentemente gli spettri di ogni interpretazione oggettivistica e soggettivistica. Il riconoscimento della problematicità costitutiva dell’individuo segna, dunque, il profondo connubio di pensiero e vita e, al tempo stesso, la genesi esistenzialistica dell’Abbagnano filosofo. 2. Filosofia e filosofare Il pensiero esistenzialista di Abbagnano germoglia definitivamente nel 1939 con la pubblicazione de La struttura dell’esistenza 16 in un clima di profonda crisi della filosofia neoidealistica ed in particolare dell’attualismo gentiliano. Dopo il positivismo e l’idealismo, il materialismo e lo spiritualismo, l’atmosfera italiana era caratterizzata dalla diffidenza verso ogni filosofia certa e definitiva e preferiva rivolgersi a forme di pensiero maggiormente incentrate sull’inquietudine, sull’incertezza e sulla negazione. In questo modo si spiega il fiorire negli anni ’30 di traduzioni e scritti sulla filosofia dell’esistenza di Kierkegaard, Jaspers, Heidegger: a Franco Lombardi si deve il primo saggio su Kierkegaard nel ’36; a Banfi, Pareyson e Paci l’attento studio della filosofia di Jaspers a partire dagli anni ’40; a Carlini la traduzione di Che cos’è la metafisica nel ’36. 15 16 ID., L’esercizio della libertà, cit., p. 86. ID., La struttura dell’esistenza, Paravia, Torino, 1939. Capitolo I 18 Prima de La struttura dell’esistenza erano stati compiuti alcuni studi critici sull’autore di Essere e Tempo senza però tentare ancora una ricognizione globale dell’esistenzialismo heidegerriano. Si possono citare a tale proposito i lavori di Grassi, De Ruggero, Mazzantini, Scaravelli, Stefanini e, dei già menzionati, Carlini, Pareyson, Paci. Tali studi, tuttavia, avevano contribuito a diffondere l’esistenzialismo nel nostro paese senza però riuscire ancora nell’intento di far nascere una forma matura e completa di esistenzialismo italiano. Per queste ragioni, l’uscita dell’opera di Abbagnano, lineare, lucida e a suo modo innovativa non poteva non suscitare stupore negli ambienti filosofici nostrani. Scrive Bobbio: Fu una sorpresa, forse la più grande sorpresa di quegli anni. Ricordo benissimo che a me e a tanti altri apparve allora come un meteorite piovuto dal cielo. Per quanto si fosse cominciato a parlare da qualche anno di esistenzialismo, nessuno era preparato a trovarsi di fronte ad un filosofo esistenzialista italiano, tanto meno ad una versione italiana già compiuta e perfetta di esistenzialismo. Confesso che a pensarci dopo tanti anni il senso della sorpresa non è ancora del tutto venuto meno. 17 Fanno eco a questa testimonianza Mathieu e Paci nell’evidenziare la chiarezza e sobrietà dell’opera che il primo definisce “un vero capolavoro nella sua concisa e solida tecnicità” 18 e il secondo “un libro chiaro e suadente, perfettamente rispondente alle nostre esigenze più intime” 19 . Si tratta chiaramente di una svolta non solo nella filosofia ma nell’intera cultura italiana e da quegli anni anche le personalità più avverse alla filosofia esistenziale non potranno fare a meno di confrontarsi in qualche modo con essa. «Ormai», continua Paci, «l’esistenzialismo italiano ha la sua opera e il nome di Abbagnano sarà d’ora in avanti pronunciato assieme a 17 N. BOBBIO, Discorso su Nicola Abbagnano tenuto a Salerno il 4 dicembre 1965 e posto come introduzione a N. ABBAGNANO, Scritti scelti, Taylor, Torino, 1967, pp. 14-15. 18 V. MATHIEU, Storia della filosofia, Le Monnier, Firenze, vol. 4, p.77. 19 Cfr. la recensione su “Studi filosofici”, n. 4 (1940), pp. 431-434, riprodotta in E. PACI, Pensiero, esistenza e valore, Messina-Milano, 1940, cap. 16, p. 188 sgg. Filosofare 19 quelli di Heidegger e Jaspers. Opera profonda e sentita, viva di un’autentica passione per l’essenziale rischio inerente alla vita dell’uomo, totalmente nostra, italiana, anche se così risonante dei temi dell’esistenzialismo tedesco che fa suoi ed armonizza in una nuova sintesi» 20 . In quest’opera, infatti, vengono riaffrontati secondo una nuova prospettiva i principali temi esistenziali: dal significato della filosofia, all’indeterminazione e finitudine dell’uomo; dalla coesistenza, all’autenticità, alla morte. Circa il primo punto, Abbagnano si sofferma a lungo non solo qui ma anche in Introduzione all’esistenzialismo sulla differenza e sul rapporto tra filosofia e filosofare. Con il termine filosofia egli si riferisce all’insieme di dottrine intese sempre come mezzo e mai semplicemente come fine: la filosofia è ciò che in senso stretto si potrebbe definire il lavoro dei filosofi. Con filosofare, invece, intende la ricerca dell’Essere come fine strutturale di ogni uomo. In Questa pazza filosofia lo stesso Abbagnano pone nuovamente in risalto tale differenza nei termini di filosofia teorizzante, «quella dei filosofi che cerca di portare alla luce il rapporto uomo-mondo, di scrutarne i problemi e di progettarne le modifiche» 21 e di filosofia praticante, non teorizzata ma vissuta nei comportamenti abituali e costanti dell’essere umano. Qualsiasi uomo, dunque, filosofa ma non qualsiasi uomo è filosofo. E se è vero che il filosofare precede la filosofia, questa, tuttavia, con le sue tecniche e i suoi procedimenti può contribuire nel dare ordine e senso alle vicende umane. Il filosofare come ricerca e tensione verso l’Essere costituisce la struttura dell’esistenza, il principio e il fine del movimento dell’uomo. Se l’uomo fosse già l’Essere o se riuscisse in qualche modo a raggiungerlo non ci sarebbe più bisogno di filosofare perché tale tensione si esaurirebbe. 20 Cfr. la recensione su “Studi filosofici”, n. 4 (1940), pp. 431-434, riprodotta in E. PACI, Pensiero, esistenza e valore, Messina-Milano, 1940, cap. 16, p. 188 sgg. 21 N. ABBAGNANO, Questa pazza filosofia. Ovvero l’io prigioniero, De Agostini, Novara, 1988, p. 11. Capitolo I 20 Ma l’uomo non è l’Essere e come tale ricerca quella prospettiva di compiutezza e di appagamento che gli manca. E se la ricerca dell’Essere, cioè il filosofare, costituisce la struttura stessa dell’uomo, allora esistere e filosofare coincidono. Tale filosofare, però, per sua natura non isola l’uomo dal mondo ma anzi lo radica prepotentemente nello stesso, offrendogli un compito, un progetto, una linea direttiva. Si iniziano così a delineare quei caratteri propri dell’esistenzialismo positivo che più avanti avremo occasione di illustrare in maniera più dettagliata. La filosofia non è il giardino di Epicuro, non è l’aristocratica esercitazione di pochi spiriti oziosi, né la stratosferica regione dove si possa trovare rifugio e conforto per i mali e le delusioni della vita. C’è un senso – ed è un senso assai antico – in cui il filosofare si identifica con la stessa esistenza dell’uomo e in cui (come Platone voleva) non si può essere uomo senza essere filosofo. In questo senso [...] esistere significa proprio e solo filosofare, sebbene filosofare non significhi sempre fare della filosofia. E infatti filosofare significa per l’uomo, in primo luogo, affrontare ad occhi aperti il proprio destino e porsi chiaramente i problemi che risultano dal proprio rapporto con se stesso, con gli altri uomini e col mondo. Significa, non già limitarsi a elaborare concetti, a ideare sistemi ma scegliere, decidersi, appassionarsi. Vivere autenticamente ed essere autenticamente se stesso. 22 Emergono in questo passo la matura conciliazione di pensiero e vita, l’esigenza di impegno e di comprensione umana reciproca: la filosofia ha il compito di riflettere sull’esistenza, cercando di trarne degli insegnamenti e di aiutare gli uomini a capirsi maggiormente e ad affrontare con ragionevole fiducia l’incertezza del futuro. Alla filosofia l’uomo può e deve chiedere di comprendere un po’ meglio se stesso e gli uomini di intendersi un po’ meglio tra loro. La comprensione di sé, l’intelligenza reciproca tra gli uomini sono a fondamento di ogni opera, di ogni lavoro umano [...]. A nulla gioverebbero le esperienze più dure, i dolori e le tragedie se gli uomini non dovessero derivarne un insegnamento, e tale insegnamento la filosofia sola può formularlo, traendo dalle esperienze della realtà l’incentivo per una più profonda e più umana comprensione dell’uomo. 23 22 23 ID., Introduzione all’esistenzialismo, Mondadori, Milano, 1988, pp. 17-18. ID., Introduzione all’esistenzialismo, cit. p. 18. Filosofare 21 Affinché l’uomo venga considerato nella sua concretezza esistenziale, è necessario, però, che la filosofia non lo studi come oggetto o fatto scientifico ma per ciò che egli veramente è nel suo rapporto con se stesso e con gli altri, cioè, indeterminazione problematica. L’atto umano del filosofare, quindi, non è altro che il problema che l’uomo pone a se stesso intorno a se stesso, l’essere dell’uomo che indaga su se stesso e su ciò che lo circonda. 3. Indeterminazione problematica L’esistenza non è l’Essere 24 . Come tale ne è alla ricerca; è alla ricerca, cioè, di quella prospettiva di compiutezza e di appagamento che le manca. Il senso dell’esistenza (intesa sempre primariamente come apertura a possibilità), potremmo dire, dunque, che è caratterizzato dalla tensione verso l’Essere. Se l’esistenza fosse già l’Essere non avrebbe bisogno di ricercarlo: sarebbe il Primo Motore Immobile aristotelico, la fonte primaria e unica di ogni criterio di Verità, proprio perché sarebbe essa stessa strutturalmente e intimamente Verità. Così evidentemente non è e tale considerazione la rigetta nella sua finitudine che viene a definirsi come sostanza e norma dell’uomo: sostanza non secondo la prospettiva aristotelica in quanto questa ci ricondurrebbe ad una visione del mondo propria della Metafisica tradi24 Cfr. N. ABBAGNANO, L’esistenzialismo positivo. Due saggi, Taylor, Torino, 1948. Vedi rielaborazione del saggio di apertura del dibattito sull’esistenzialismo in Italia (“ Primato”, gennaio 1943). L’esistenzialismo in Italia, come ricorda Bobbio, fu “uno dei più vivaci dibattiti sull’esistenzialismo” e mise definitivamente in crisi le posizioni del neoidealismo italiano. Ultima delle quattro inchieste ospitate dalla rivista di Bottai (in seguito a quelle dedicate a L’ermetismo e gli ermetici, Le università e la cultura, La legge per gli artisti tra il 1940 e il 1942), avvenne sulle pagine del quindicinale “Primato” tra il 1 gennaio e il 15 marzo 1943. L’inchiesta venne aperta da N. Abbagnano e E. Paci e vi parteciparono, oltre a questi ultimi, lo spiritualista Accademico d’Italia Armando Carlini, il problematicista Ugo Spirito, il neotomista Monsignor Francesco Olgiati, Augusto Guzzo, l’ontologista critico Pantaleo Carabellese, il Presidente dell’Istituto nazionale di cultura fascista Camillo Pelizzi e poi Galvano Della Volpe, Cesare Luporini e il razionalista critico Antonio Banfi. L’ultimo della serie di interventi critici sulla proposta esistenzialista di Abbagnano e Paci fu di Giovanni Gentile, cui seguirono le repliche di Abbagnano e, successivamente la chiusura dell’inchiesta a cura dei direttori del periodico romano Giuseppe Bottai e Giorgio Vecchietti. Capitolo I 22 zionale, ma nel senso di ciò che la costituisce come tale; norma, invece, intesa come un “dover essere” dove il fine (la ricerca dell’Essere), si trova a coincidere con lo stesso punto di partenza. Nel momento in cui l’uomo si accetta e si realizza come finito si consolida nella sua capacità di ricerca, nella sua possibilità costitutiva di rapporto con l’Essere. Il peccato non è altro che la negazione della propria finitudine, unita al tentativo di sottrarsi ad essa. Il limitarsi nella propria finitudine e il riconoscimento della propria possibilità trascendentale è la vittoria sul peccato. Strettamente connessa con la nozione di finitudine è quella di indeterminazione problematica. L’esistenza è per definizione (da ex sisto) tensione, trascendimento, apertura a possibilità. Tutto ciò non sarebbe possibile se fosse determinata in quanto avrebbe già da sempre una sua unica possibilità. Se i rapporti dell’uomo con se stesso, con gli altri uomini e con le cose, fossero determinati e fissati una volta per sempre, l’esistenza non sarebbe problema. La situazione fondamentale dell’uomo nel mondo non offrirebbe all’uomo alcuna libertà di decisione o di scelta. Per quanto potessero variare i termini di quel rapporto, cioè lo stato dell’uomo e degli altri uomini e le cose, rimanendo fisso e costante il rapporto fra tali termini, la situazione dell’uomo sarebbe priva di qualsiasi indeterminazione e non offrirebbe alcuna presa al problema. Lo stato di incertezza o anche, se si vuole, di ignoranza e di oblio in cui nasce e si costituisce il problema esprime l’indeterminazione fondamentale del rapporto in cui l’uomo è con se stesso e con il mondo. [...] La possibilità di questo problema risiede dunque nella stessa costituzione dell’uomo, nel suo rapporto con se stesso e con il mondo. Questo rapporto è essenzialmente e fondamentalmente indeterminato. 25 L’indeterminazione, dunque, al pari della finitudine, costituisce la struttura dell’esistenza. Il termine problematico, viene poi aggiunto dall’Abbagnano per allontanare l’uomo da ogni considerazione di natura oggettivistica e soggettivistica. 26 25 N. ABBAGNANO, Introduzione all’esistenzialismo, cit., pp. 76-77. La critica alle considerazioni oggettivistiche e soggettivistiche sarà ampiamente trattata nel paragrafo 5: “L’esistenzialismo positivo”. 26 Filosofare 23 L’esistenza non è ciò che è con in più la caratteristica superogatoria dell’indeterminazione problematica ma è ciò che è proprio in virtù e sul fondamento dell’indeterminazione problematica. All’interno di quest’ultima si realizza la decisione. Se l’esistenza è apertura a possibilità, decidersi significa scegliere concretamente e ogni volta la possibilità più autentica (cioè più propria) allontanandosi dalla dispersione banalizzante della inautenticità. Realizzarsi come io significa appassionarsi al proprio compito come fedeltà a se stesso: a chi non ha scelto il proprio compito il mondo appare come un complesso di vicende insignificanti e slegate tra loro senza alcuna possibilità di ordine e consequenzialità. È la decisione, dunque, a mantenere l’esistenza nella tensione verso l’Essere; ma essa non è mai semplicemente sporadica o puntuale e deve essere costantemente rinnovata. Ma la decisione non è la determinazione del rapporto, l’annullamento del suo carattere di possibilità, il suo irrigidirsi definitivo. La decisione mantiene l’indeterminazione del rapporto e ripresenta il problema. Daccapo l’uomo dovrà decidere e scegliere. La possibilità del problema consiste dunque nella indeterminazione fondamentale del rapporto, in cui l’uomo si costituisce con se stesso e con il mondo. Perciò il riconoscimento dell’autenticità del problema, il riconoscimento che esso radica la sua possibilità nell’esistenza stessa dell’uomo, è in effetti il riconoscimento che il rapporto dell’uomo con se stesso e col mondo è per sua stessa natura indeterminato. 27 Come chi ha deciso dovrà ancora decidere, così chi non ha ancora deciso può sempre e comunque decidere. Sulla decisione si fonda la struttura che non è altro che il saldarsi del passato con l’avvenire, la realizzazione della possibilità trascendentale come tensione dell’uomo verso l’Essere. Nella decisione costitutiva della struttura, l’uomo identifica veramente se stesso con la possibilità che sceglie. In quella possibilità che fa sua, egli pone e riconosce se stesso. Non si sente più bilanciato da possibilità diverse e non rincorre più, a caso, l’una o l’altra possibilità abbandonandola subito dopo.[...] Su quella possibilità egli ha deciso, perché ha deciso su se stesso nel 27 ID., Introduzione all’esistenzialismo, cit., pp. 77-78. Capitolo I 24 senso della sua unità. Ha deciso di possedersi; e di possedersi in quella possibilità privilegiata che ha fatto sua, in cui si è riconosciuto. 28 La decisione mette in evidenza in questo modo il venire ad essere dell’io e al tempo stesso il venire ad essere del mondo e degli altri. Ogni decisione infatti non isola l’uomo, ma lo inserisce in un complesso di vicende che concernono le altre esistenze: il decidere la propria professione implica sempre qualcun altro, così come lo scegliere di trascorre la propria vita insieme ad un’altra persona; l’isolamento non è proprio dell’uomo perché spezza quella tensione verso l’Essere e quel vincolo originario di solidarietà, consofferenza e comprensione umana che lo lega alle altre coesistenze. Di fronte al mondo, parimenti, si presenta all’uomo una sola alternativa: accettazione o non accettazione. Ma la non accettazione del mondo può manifestarsi come fuga dal mondo o abbandono in esso: nella fuga, rinunciando alle possibilità che il mondo gli offre, si spezza quella polarità originaria esistenza-Essere che costituisce l’uomo; nell’abbandono, invece, l’esistenza viene a perdere la propria concretezza individuale. Solo l’accettazione del mondo che si realizza attraverso la decisione permette all’esistenza di essere davvero se stessa rinnovandola nella sua ricerca. Esistere, quindi, significa decidere autenticamente ed è sempre un’espressione di coesistenza. Anche l’artista emerge dalla propria indeterminazione problematica attraverso la scelta della tecnica, realizzando in tal modo se stesso e aprendo attraverso la sua opera un campo infinito di comunicazione. 4. Libertà e coesistenza “L’uomo è veramente libero?” Questa domanda, secondo l’Abbagnano, acquista un carattere diverso e sicuramente più inquietante se assunta in tale forma: “Sono io veramente libero?” 28 ID., Introduzione all’esistenzialismo, cit., p. 25. Filosofare 25 Tale considerazione riporta la problematica della libertà in un orizzonte tipicamente esistenziale ed esclude al tempo stesso ogni considerazione di carattere oggettivistico e soggettivistico. La prospettiva oggettivistica o obbiettivistica (termine usato più volte dall’Abbagnano), trova la sua più fedele formulazione nell’opera di Kant: l’uomo è libero in quanto agisce per il dovere e ricava le sue leggi morali da una ragione universale ed oggettiva; la razionalità pura, però, diventa in tal modo, assoluta impersonalità, cioè inevitabile negazione della concretezza esistenziale e conseguentemente dell’autentico orizzonte di esplicazione della libertà. La prospettiva soggettivistica, invece, si basa su presupposti di matrice idealistica e viene a far coincidere la libertà dell’uomo con la necessità del Soggetto assoluto; anche da tale visione, dunque, dileguandosi l’individualità in una sorta di Spirito onnicomprensivo, emerge l’impossibilità di realizzare l’autentico significato della libertà. Non può esserci libertà se non all’interno della concretezza esistenziale e, avendo dimostrato che l’esistenza è tensione verso l’Essere, ne consegue che non può esserci libertà se non all’interno di tale tensione. In altri termini potremmo definire la libertà come l’indeterminazione costitutiva assunta come propria dall’esistenza e riaffermata costantemente in virtù della decisione. La libertà, dunque, alla luce di questa nuova definizione, coincide con il venire ad essere dell’io, del mondo e degli altri: libertà e coesistenza, appaiono in tal modo strettamente connesse tra loro e tale legame trova le sue più profonde radici nella struttura stessa dell’esistenza. La struttura esistenziale è già, nella semplicità della sua natura, struttura coesistenziale. 29 L’esistenza implica la coesistenza e quest’ultima trova il suo autentico fondamento nella nascita e nella morte: nella nascita perché attraverso questa l’uomo riconosce di non essere il creatore della propria 29 ID., La struttura dell’esistenza in Scritti esistenzialisti, cit., p. 97. Cfr. G. GIANNINI, L’esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano, Morcelliana, Brescia, 1956, p. 46. Capitolo I 26 vita e che la sua esistenza non è l’intera esistenza; egli è legato ad una comunità che gli ha dato origine e con la quale coesiste. Nella morte, invece, perché attraverso di essa l’esistenza viene sottratta al mondo, agli altri e a se stessa. Il problema è, però, a questo punto stabilire se vi sia contemporaneità tra esistenza e coesistenza oppure no. Non vi è per l’Abbagnano alcuna antecedenza temporale: non si tratta di prendere prima piena consapevolezza del proprio Io per poi confrontarlo con l’altro. Non c’è prima l’affermazione dell’identità e poi la scoperta dell’alterità perché l’una non ha senso senza la contemporaneità dell’altra. Non vi è alcun dualismo ontologico (e in questa affermazione è chiara la critica al Cogito cartesiano), ma pura e semplice compresenza e complementarietà. Non esiste un io senza il riconoscimento dell’altro come altro, cioè di un tu. Ciò significa che non è possibile riconoscere o stabilire la propria unità ed identità, senza stabilire l’unità dell’altro come altro, cioè del tu. La struttura della coesistenza implica necessariamente non soltanto l’individuazione della forma finita dell’io, ma anche e simultaneamente l’individuazione dell’altra forma finita del tu. La costituzione dell’io non si spiegherebbe per nulla se l’esistenza dell’io chiudesse l’io nei limiti della sua forma. 30 Non è forse opportuno soffermarsi qui sulle numerose prospettive di riflessione che aprono queste 31 ultime considerazioni quanto piuttosto continuare a seguire fedelmente il percorso dell’Abbagnano sulle diverse forme di coesistenza. Egli distingue tra isolamento e solitudine. C’è una sola forma di isolamento nella quale l’uomo non comprende più se stesso e gli altri ed è la pazzia: egli è in tale caso incompreso e incomprensibile perché incapace di comunicare, isolato perché spezza quella tensione originaria che lo lega all’Essere e agli altri e annullato perché il suo linguaggio e le sue simbologie non hanno significato che per un se stesso sradicato e privo di senso. 30 ID., La struttura dell’esistenza in Scritti esistenzialisti, cit., p. 147. Considerazioni e problematiche che saranno in ogni caso approfondite lungo il prosieguo di questo lavoro. 31 Filosofare 27 Diverso è il discorso per la solitudine, che può essere un’espressione di autenticità per l’uomo che ha scelto di allontanarsi dalla dispersione banalizzante della mondanità. Egli in tal caso non si isola, ma esclude delle possibilità che non reputa sue proprie per altre che gli appartengono maggiormente: nella solitudine i legami con gli altri sono meno numerosi, ma non per questo meno intensi o autentici. La coesistenza implica la comprensione reciproca tra gli uomini: comprendersi autenticamente significa comprendere autenticamente gli altri nei loro progetti, nelle loro sofferenze, nei loro rispettivi orizzonti esistenziali. La comprensione è dunque intercomprensione o interintelligenza tra gli uomini ed è sempre un atto di trans-soggettività. L’uomo nel comprendersi trascende il proprio ente per rapportarsi agli altri enti e all’Essere. Nell’intercomprensione, cioè, si realizza l’autentico significato dell’esistenza che è quello di tensione e di apertura a possibilità. L’emozione è la prima forma di intercomprensione: non riguarda solo l’ente ma implica sempre qualcun altro; non c’è sfumatura emotiva che non esprima un modo d’essere della comprensione. Inoltre l’emozione è quanto di più comunicabile ci sia anche senza bisogno del linguaggio proprio per il suo carattere di immediatezza e aconcettualità. L’amore sessuale è la forma più completa di rapporto tra gli enti. In esso la coesistenza si presenta come unione (e non unità), come una struttura a coppia nella quale l’ente trascende verso l’altro ente e lo riconosce nella possibilità di una connessione fondamentale con se medesimo. È evidente come per la sua stessa natura non possa venire considerato e ridotto nel suo significato a manifestazione esclusivamente corporea ma debba venire considerato come la forma più autentica dell’intercomprensione soprattutto in virtù di tale considerazione: «che [nell’amore] l’ente sia per l’altro ente proprio ciò che è per se stesso» 32 . L’amore non è l’idillio fatto solo di estasi gioiosa che l’animo romantico può sognare. Ma è qualcosa di più e di meglio. È la volontà decisa di vivere 32 N. ABBAGNANO, La struttura dell’esistenza in Scritti esistenzialisti, cit., p. 152. Capitolo I 28 nella comunicazione incessante intellettuale ed emotiva con l’altra persona; è la comprensione dell’altro come di se stesso e di se stesso come dell’altro, la scelta ripetuta e ripetibile del compagno in cui si ripone la gioia del vivere. 33 5. L’esistenzialismo positivo Abbiamo già definito l’esistenza come tensione verso l’Essere. Nell’Introduzione alla Struttura dell’esistenza, Abbagnano passa in rassegna tutte quelle concezioni che, per svariati motivi, non realizzano tale tensione: nella metafisica platonico-agostiniana, il trascendimento viene meno perché lo sforzo dell’uomo verso l’Essere non può essere spiegato che attraverso la presenza intrinseca di quest’ultimo nel primo, il quale perde in tal modo la sua individualità; nella metafisica cartesiana, invece, assistiamo al processo opposto in quanto nel Cogito ergo sum l’accento è posto esclusivamente sul venire ad essere dell’uomo, determinando una sorta di coscienza bloccata dell’autentico problema dell’Essere, che poi, però, ricompare attraverso vecchi procedimenti metafisici; nella metafisica kantiana lo sguardo si ritrae dall’Essere per concentrarsi maggiormente sullo sforzo umano per raggiungerlo. È questa, senza dubbio, la concezione che realizza in modo più appropriato la trascendenza verso l’Essere seppur sempre all’interno della metafisica tradizionale. Per vedere realizzata l’autentica tensione bisogna rivolgere l’interesse verso l’orizzonte esistenziale con le sue diverse sfumature. Prima di soffermarsi sui diversi tipi di esistenzialismo, però, Abbagnano prosegue nell’argomentare le proprie premesse negative, criticando le concezioni oggettivistiche e soggettivistiche per quanto concerne le nozioni di mondo, problema e libertà. 34 Circa il mondo la possibilità di conoscere obiettivamente le cose risiede nella considerazione che l’io e il mondo siano separati mentre la ricerca dell’Essere implica il problema della loro costituzione e connessione. La prospettiva soggettivistica, invece, afferma l’immanenza dell’Essere nel soggetto eliminando in tal modo il problema 33 34 ID., La saggezza della vita, Rusconi, Milano, 1985, pp. 165-166. Cfr. N. ABBAGNANO, Introduzione all’esistenzialismo, cit., cap IV. Filosofare 29 dell’individualità singola e, conseguentemente, del senso dell’esistenza. Circa la nozione di problema, considerare l’uomo come oggetto significa separarlo dal problema che lo costituisce, il che equivale a dichiararlo inautentico: l’esistenza non è ciò che è con in più l’indeterminazione problematica, ma proprio in virtù e sul fondamento di essa. Secondo l’approccio soggettivistico, invece, un problema presuppone un soggetto già in atto mentre l’esistenza, proprio per il suo carattere di indeterminazione, è costantemente in divenire. Anche nella nozione di libertà, sia identificando questa in una ragione universale ed obiettiva (considerazione oggettivistica), sia lasciandola dileguarsi nella necessità di un Soggetto assoluto (considerazione soggettivistica), viene a perdersi l’individualità concreta propria dell’esistenza. Le considerazioni oggettivistiche e soggettivistiche, però, non sono le uniche, secondo l’Abbagnano, a negare la tensione dell’esistenza verso l’Essere e l’autentica realizzazione della libertà. Nello stesso orizzonte esistenziale, infatti, pur coincidendo le premesse di considerare l’esistenza come sforzo e apertura a possibilità, è però diverso il modo di sviluppare tali considerazioni di partenza. Nell’esistenzialismo di Jaspers la tensione verso l’Essere è caratterizzata dalla sostanziale impossibilità di raggiungerlo e identificarsi con esso: l’uomo cerca la trascendenza, ma non può mai essere la trascendenza. Non si può decidere se non immobilizzandosi in ciò che già si è, non si può scegliere che non scegliendo; la libertà in questa concezione è votata allo scacco. Nell’esistenzialismo di Heidegger tale tensione si configura come impossibilità di sottrarsi al nulla: se l’esistenza non riesce ad essere l’Essere, può darsi che ciò accada perché non riesce a staccarsi dalla sua fondamentale ed irrimediabile nullità che lo costituisce. Secondo tale visione la libertà coincide nel rimanere fedeli a tale nullità. In entrambe le prospettive (che Abbagnano definisce negative), l’esistenza si configura come impossibilità di raggiungere l’Essere. Tale impossibilità viene però a coincidere con una sorta di necessità, negando in tal modo l’autentica nozione di libertà e conseguentemente la stessa esistenza. Capitolo I 30 Se l’esistenza è caratterizzata da libertà, possibilità e tensione verso l’Essere, parlare di impossibilità significa negare il valore stesso dell’esistenza. Evidentemente, l’esistenza che disconosce, ignora, diminuisce o distrugge la possibilità di quel rapporto è un’esistenza che disconosce, ignora, diminuisce o distrugge se stessa. 35 Aggiunge Pareyson riprendendo Abbagnano: Lo sforzo verso l’essere diventa nella metafisica di Heidegger angoscia, cioè esistenza per il niente; nella metafisica di Jaspers diventa realizzazione della propria impossibilità. In entrambi i casi, l’essenza del filosofare in quanto esistenza si rivela come la distruzione di se medesimo. Lo sforzo verso l’essere diventa sforzo verso l’impossibilità dello sforzo oppure sforzo verso il niente: scacco od angoscia. 36 Non rimane che una terza, via che è l’unica possibilità della filosofia come filosofia dell’esistenza: è quella prospettata da Abbagnano con la denominazione di esistenzialismo positivo. Il termine positivo diventa centrale all’interno della speculazione di Abbagnano perché con esso l’accento non viene più posto sulla negazione (che in taluni casi è anche una negatività), ma sulla possibilità del rapporto con l’Essere. Solo riconoscendo tale possibilità originaria è possibile per l’esistenza affermarsi realmente come tale e restare fedele alla propria indeterminazione problematica strutturale. L’esistenza si pone nel rapporto con l’essere riconoscendosi come pura possibilità di questo rapporto e rimanendo fedele alla problematicità della sua struttura. [...] Essa è rapporto con l’essere; non può riconoscersi e porsi che come tale rapporto, realizzandolo per quello che è nella sua problematicità fondamentale. La problematicità fa consistere l’esistenza in se stessa, impedendole il riferimento impossibile a ciò che non è se stessa e dandole la sostanza che le è propria. 37 35 N. ABBAGNANO, Introduzione all’esistenzialismo, cit., p. 113. L. PAREYSON, Il pensiero di Abbagnano e i suoi sviluppi recenti in Esistenza e persona, Taylor, Torino, 1960, pp.116-117. 37 N. ABBAGNANO, Introduzione all’esistenzialismo, cit., p. 48. 36 Filosofare 31 Inoltre, solo riconoscendo l’esistenza come possibilità positiva e costruttiva di rapporto con l’Essere è possibile non lasciare l’uomo completamente allo sbaraglio, ma dargli una prospettiva per affrontare con ragionevole fiducia l’incertezza della vita e del futuro e permettergli di impegnarsi e appassionarsi nella realizzazione di un progetto che dia davvero senso al suo esistere. 6. Due concezioni tipiche dell’esistenzialismo positivo: la storia e la morte Dall’affermazione fondamentale di esistenza come possibilità positiva di rapporto con l’Essere derivano le concezioni peculiari della storia e della morte. In Introduzione all’esistenzialismo la storia viene definita come tensione del tempo verso l’eterno. Si oppongono a questa visione, seppur per ragioni radicalmente differenti, l’antistoricismo e lo storicismo. L’antistoricismo è caratterizzato dalla scissione tra il tempo e l’eterno: secondo tale visione la natura dell’uomo può essere considerata o come disordine e contingenza e allora questi è condannato al perenne vagabondaggio, oppure come ragione e in tal caso l’uomo appartiene all’ordine razionale del mondo. In entrambe le prospettive, però, l’antistoricismo si presenta come negazione della temporalità individuale dell’uomo perché nel primo caso questi per non disperdersi dovrebbe negare la temporalità che gli è propria ed ancorarsi all’eterno e nel secondo caso si dovrebbe realizzare nella razionalità universale della sua natura perdendo in tal modo la propria singolarità e contingenza. Lo storicismo invece è caratterizzato dalla identificazione tra tempo ed eterno. Il limite di tale prospettiva, che possiamo far risalire ad una chiara matrice idealistica, è di dissolvere il tempo e con esso l’individualità concreta dell’uomo. Anche in questo caso, dunque, solo mantenendo viva la tensione tempo-eterno (che poi, seppur riprodotta in altri termini è la stessa della polarità esistenza-essere) è possibile realizzare l’autentica storicità. Capitolo I 32 Emerge, inoltre, già da queste prime considerazioni, come senza temporalità non sarebbe possibile fondare la storicità: lo conferma il fatto che ogni ricostruzione storiografica si fonda sulla ricerca di documenti, monumenti e testimonianze, che non sarebbe possibile reperire se non all’interno di un orizzonte temporale che è per lo più passato. E in questo sta il paradosso ed il fondamento della storicità; essa trova il suo più autentico compimento nella ricerca storica che è sempre una ricerca nel passato per l'avvenire. La ricerca storica viene così ad essere ciò che la decisione era per la struttura: il saldarsi del passato con l’avvenire. L’uomo non può realizzare il passato se non impegnandosi nella ricerca; e questo impegno è un impegno per l’avvenire, sicché solo dall’avvenire emerge per lui il vero volto del passato. Per la ricerca storica l’avvenire è il venire ad essere del passato. Solo l’avvenire può costituire e fondare questa verità. La ricerca storica implica perciò il determinarsi dell’avvenire come verità del passato. 38 La ricerca storica è la decisione che impegna l’uomo a realizzarsi autenticamente e a determinare il proprio rapporto storiografico. Ma anche in tale compito egli non è solo: lo storicizzarsi è sempre anche un constoricizzarsi. Nella storia l’uomo non cerca che l’uomo e non può che trovare l’uomo. Si realizza anche qui quella manifestazione di coesistenza e di solidarietà umana reciproca che nelle pagine dell’Abbagnano trova la sua più alta espressione. Dagli sviluppi più complessi è invece la concezione della morte nel pensiero di Abbagnano, anche sempre riconducibile alla sua visione positiva dell’esistenzialismo. Ne La struttura dell’esistenza, egli passa in rassegna i limiti e le incongruenze di alcune tipiche visioni sul problema della morte. La morte non é solo un fatto biologico perché, se è vero che il decesso si realizza in un solo istante, tuttavia il pensiero della morte accompagna l’intera esistenza dell’uomo. 38 ID., Introduzione all’esistenzialismo, cit., p. 132. Filosofare 33 Allo stesso modo viene esclusa ogni interpretazione di natura panteistica perché parlare di ritorno ad un tutto originario significherebbe affermare una visione del mondo necessitante escludendo in tal modo la possibilità esistenziale. Sono fuori dall’interesse di Abbagnano, inoltre, sia le prospettive riconducibili alla metafisica tradizionale, perché non considerano l’esistenza nel suo divenire, sia il problema della vita dopo la morte, perché la struttura è la totalità dell’esistenza e non può contenere riferimento ad una vita che sia fuori dalla esistenza stessa. Se fino a questo punto le considerazioni sulla morte di Abbagnano paiono coincidere con quelle di Heidegger, in conclusione però egli si distacca dalla visione del filosofo tedesco. L’essere-per-la-morte di Heidegger è, infatti, per Abbagnano, un vivere permanentemente nell’angoscia, paralizzando l’esistenza nella possibilità di realizzare tutte le altre possibilità. Scegliendo la morte come propria alternativa, vivendo per essa, l’ente rinuncia al rapporto tra la sua forma e la comunità coesistente, rinuncia altresì ad ogni partecipazione all’essere universale del mondo.[...] E così rinuncia in quel caso ad ogni partecipazione all’essere, giacché annullala costituzione categoriale e l’universalità dell’essere e si costituisce nella povertà di uno stato privo di qualsiasi contenuto: l’angoscia. 39 L’atteggiamento più corretto è, secondo Abbagnano, quello di fedeltà alla morte, il che significa essere sempre consapevoli che ogni possibilità è sempre anche il suo opposto, cioè possibilità-che-non e che su ogni progetto grava imminentemente ed eminentemente la possibilità più propria dell’uomo che è la morte. Ma questo non deve paralizzare la ricerca umana, quanto piuttosto rinnovarla in una nuova ottica di immediatezza ed impegno. 7. Morte o trasfigurazione dell’esistenzialismo? Immaginiamo che in qualche parte del mondo esista un gran libro, un libro nel quale tutto sia detto e scritto, per ciò che concerne la salvezza e la felicità degli uomini. [...] Indubbiamente l’esistenza di questo libro ci sarebbe 39 ID., La struttura dell’esistenza in Scritti esistenzialisti, cit., pp. 222-223. Capitolo I 34 assai utile e comoda. Ma supponiamo pure che la lingua e i caratteri in cui questo libro è scritto non siano del tutto chiari e accessibili; che esso sia leggibile qua e là. Ma non interamente e mai in modo da evitare il dubbio che la lettura possa essere diversa. Noi potremo allora avanzare più o meno nella lettura di alcuni capitoli; in altri ciò che avremo letto sarà molto dubbio; in altri ancora potremo leggere poco o nulla. In ogni caso metteremo alla prova nella vita le indicazioni e i suggerimenti del libro; e se la prova riuscirà male, ritorneremo alle pagine del libro per leggere e capire ciò che veramente esso dice e pretende da noi. 40 Attraverso questa metafora, Abbagnano, nell’Esistenzialismo come filosofia del possibile si propone di chiarire le peculiarità della forma di esistenzialismo di cui si pone come rappresentante. L’immagine del gran libro prosegue attraverso la supposizione del fatto che un certo numero di persone (che saranno chiamate filosofi) si specializzino nella sua lettura. In tal caso, data la difficoltà della lettura, queste non saranno d’accordo tra loro: alcuni penseranno di aver trovato l’unica chiave di lettura e si fermeranno, altri che il libro per la sua natura complessa è incomprensibile, altri ancora, invece, diranno che esso non si presta ad una lettura certa unica e definitiva. I primi due gruppi, per ragioni differenti, non ci spingeranno a rileggere il libro; il terzo, invece, ci invoglierà continuamente nella lettura e rilettura del testo, consapevole della molteplicità e della complessità della realtà. I filosofi rappresentanti di tale gruppo verranno chiamati esistenzialisti. È lo stesso Abbagnano nella continuazione dello scritto a tradurre la metafora definendo il libro come la realtà, il mondo («o, come i filosofi dicono con parola solenne, l’essere»41) e le pagine che cerchiamo di leggere come noi e le persone che ci stanno intorno. 40 ID., “Esistenzialismo come filosofia del possibile”, in Scritti esistenzialisti, cit., p.565. Il titolo originario della prima pubblicazione di tale conferenza è Esistenzialismo; essa viene tenuta per conto dell’associazione Culturale Italiana a Torino, Milano, Genova e Roma, nel gennaio 1951 e comparsa nei Quaderni ACI, n.7, Torino, 1952, pp. 47-61. Poi con questo titolo è stata inserita in Possibilità e libertà, Taylor, “Documenti e ricerche. Biblioteca di cultura contemporanea”, Torino 1956, pp. 5-23. Esiste una versione spagnola, El existencialismo como filosofia de lo posible nella Filosofia de lo posible, traduccion de Hernandez Campos, A. Rossi, y P. Duno, Fondo de Cultura Economica, Mexico-Buenos Aires, 1959, cap. 3. 41 ID., Esistenzialismo come filosofia del possibile, in Scritti esistenzialisti, cit. p. 567. Filosofare 35 Nonostante la complessità, l’uomo è libero nella lettura del gran libro, anche se si tratta di una forma di libertà sui generis, limitata, condizionata: nessuno può essere veramente ciò che vuole ma bisogna rendersi conto in ogni momento delle proprie reali possibilità. Una libertà così limitata, sottoposta a condizioni e impedimenti di ogni genere, è la libertà propria dell’uomo. Ed è questo il grande tema dell’esistenzialismo contemporaneo, quello intorno al quale gravitano le tendenze di questo movimento filosofico. Cerchiamo di rendercene conto. 42 Questa forma di libertà, inoltre, ci allontana dalle esaltazioni ottimistiche, tipiche del romanticismo ma, al tempo stesso, ci preserva dalle più amare delusioni. La libertà secondo Abbagnano, è sempre scelta e ricerca di possibilità e quest’ultima porta sempre con sé la sua valenza negativa: ogni possibilità è al tempo stesso possibilità che non; ogni progetto dell’uomo può finire nel nulla ma questo non deve paralizzarlo quanto piuttosto incoraggiarlo ad impegnarsi con maggior efficacia in quella ricerca che egli ha scelto come compito. Non possiamo certamente sfuggire al riconoscimento che ogni iniziativa o progetto umano è aleatorio e può finire in nulla. L’esistenzialismo si rifiuta di dare all’uomo garanzie infallibili, si rifiuta cioè di cullarlo in un ottimismo troppo fiducioso che addormenterebbe la sua vigilanza e lo esporrebbe senza difese a tutti i pericoli. Ma dall’altro lato, l’esistenzialismo deve rifiutarsi di paralizzare l’uomo e di inchiodarlo all’inerzia e all’abbandono prospettandogli unicamente la non riuscita e lo scacco di tutte le sue iniziative. Deve piuttosto condurre l’uomo alla libertà della scelta tra queste iniziative, consentendogli di scegliere caso per caso, nel modo migliore e più ragionevole. Deve quindi incoraggiarlo a formarsi, in ogni campo, criteri di valutazione e di scelta che, senza avere l’illusoria pretesa dell’infallibilità, riducono la possibilità dell’errore e siano continuamente suscettibili di miglioramento.43 Tali considerazioni delineano ulteriormente le caratteristiche e la finalità dell’esisten-zialismo positivo e, in un certo senso, aprono anche il dibattito sulla sua direzione e su quello che possa essere il futuro di tale approccio filosofico. 42 43 Ivi, p. 570. Ivi, p. 580. 36 Capitolo I In Morte o trasfigurazione dell’esistenzialismo44, viene espresso come non sia affatto consolante per chi professa una filosofia vederla diventare una moda, ridotta cioè a banali semplificazioni che perdano di vista il suo reale messaggio e quello che dovrebbe essere l’obiettivo per ogni filosofia: « contribuire positivamente e in grado eminente alla formazione di nuove tecniche del pensare e del vivere, di nuove vie di ricerca, che consentano una migliore soluzione dei problemi umani»45. Secondo Abbagnano nel pensiero comune ci si è trovati di fronte ad una moda esistenzialista intenta a richiamare polemicamente l’attenzione sugli aspetti più negativi e sconcertanti della vita contemporanea: la letteratura detta esistenzialista tende, infatti, a porre l’accento su vicende umane più tristi e dolorose e, perfino il modo di vestire “esistenzialistico” rappresenta i giovani scapigliati che lo adottano come “anime perse”, in perenne protesta contro la società. Da queste considerazioni generali emerge però come nella società sia filtrata soprattutto la parte distruttiva e negativa dell’esistenzialismo, quella che costituisce, cioè l’armamentario polemico46 di tale filosofia: l’esistenzialismo si è sempre concentrato su nozioni quali la finitudine, la gettatezza e la morte rimanendone forse in qualche misura imbrigliato e imprigionato. Ora, se questa fase polemica ha avuto un ruolo importante nella distruzione del mito della Ragione e dei residui della metafisica Hegeliana, resta tuttavia da chiedersi se tale opera distruttiva sia la sola nella quale l’esistenzialismo sia rimasto impegnato o se non debba piuttosto essere considerata come un preludio per una nuova “ricostruzione filosofica”. Si tratta cioè di problematizzare se l’esistenzialismo si stia avviando verso una “morte lenta” oppure se possa essere capace, rinvigorendo alcune sue peculiarità di una trasfigurazione coerente col proprio apparato concettuale. Perché ciò avvenga, però, l’esistenzialismo, secondo Abbagnano, deve abbandonare il proprio armamentario polemico e impegnarsi nella ricerca di nuove tecniche di convivenza umana, senza lasciare l’uomo (come finora è stato) completamente allo sbaraglio, privo di tecniche e di progetti per il futuro. 44 ID., Morte o trasfigurazione dell’esistenzialismo in Scritti scelti, cit. Cfr. Nuovi argomenti, 3, 1955, n. 12, pp. 161-73. Ora in Possibilità e libertà, cit., pp. 24-37. 45 Ivi, p. 585. 46 Ivi, p. 589. Filosofare 37 Per ciò che riguarda l’avvenire, invece, pare che l’esistenzialismo abbia lasciato l’uomo completamente allo sbaraglio; che si sia rifiutato di proporgli qualsiasi mezzo, strumento, tecnica o atteggiamento atto ad affrontare l’instabilità delle faccende umane, a consentire di guardare al futuro con ragionevole, se pure guardinga fiducia.47 Perché ciò avvenga si tratta di domandarsi quali siano le vie che restano concretamente aperte per l’uomo, se si intende l’esistenza come possibilità positiva e costruttiva di rapporto con l’Essere: alcune prospettive si possono intravedere attraverso l’impegno nella ricerca, la scelta delle tecniche, il lavoro associato e la problematizzazione delle scienze. In questi atteggiamenti è possibile rintracciare le vie di una trasfigurazione per un esistenzialismo che «si evolve verso un empirismo radicale [...] sempre più aperto all’indagine positiva e al lavoro associato, sempre meno disposto a soluzioni puramente verbali dei problemi umani, sempre più deciso ad istituire controlli rigorosi per smantellare le pretese di soluzioni uniche e definitive»48. Tale esistenzialismo non partecipa né al mito della scienza né a quello dell’anti-scienza, né al mito della tecnica né a quello dell’anti-tecnica, ma si prefigge di problematizzare le ricerche positive, controllandone i dogmatismi e cercando di fornire loro i mezzi per interpretare e generalizzare i loro risultati. Tale esistenzialismo si propone cioè di elaborare nuove tecniche di convivenza umana finalizzate ad affrontare con ragionevole fiducia l’incertezza del futuro; questa risorsa è ciò «che gli antichi chiamavano ‘saggezza’ e la cui ricerca è stata sempre il compito della filosofia»49. 47 ID., Morte o trasfigurazione dell’esistenzialismo, cit., p. 593. Ivi, pp. 594-595. 49 Ivi, cit., p. 596. 48