PERRINI MATTEO L`ESISTENZIALISMO DA KIERKEGAARD AD OGGI

PERRINI MATTEO
L’ESISTENZIALISMO DA KIERKEGAARD AD OGGI1
“Un bubbone che molti spiriti decadenti ammirano e altri, dal più al meno inesperto, si
argomentano di curare con mezzi variamente impropri e mal diretti”. Era questa la definizione
dell'esistenzialismo che Benedetto Croce dava nei suoi Discorsi di varia filosofia, pubblicati nel 1945.
Ed era definizione che nasceva a un tempo dalla non conoscenza dei grandi pensatori
dell'esistenzialismo, da Kierkegaard a Jaspers, e dal più che giustificato disprezzo di quella nuova
retorica - retorica della negatività e accademia del pessimismo - che soprattutto negli Anni Quaranta
aveva caratterizzato l'irruzione di alcune correnti dell'esistenzialismo, e il loro conseguente degradarsi in
moda intellettuale, suscitando un largo interesse nel pubblico dei mass media. L'esistenzialismo, però,
nel suo grande iniziatore, Kierkegaard, e negli sviluppi successivi di straordinaria ricchezza e varietà, era
tutt'altro. Era e rimane, per eccellenza, la filosofia dell'antiretorica.
Di questo movimento di pensiero e di questa originale metodologia abbiamo in Italia finalmente
una presentazione rigorosa e appassionante nel volume di Pietro Prini, Storia dell'esistenzialismo. Da
Kierkegaard a oggi (Edizioni Studium. Roma). Pietro Prini ci ha già dato opere di robusto impegno
teoretico (penso a Discorso e situazione, a Umanesimo programmatico e al Paradosso di Icaro sulla
dialettica del bisogno e del desiderio) e di approfondimento del pensiero di maestri non certo alla moda
(Plotino e la genesi dell'umanesimo interiore, Gabriel Marcel e la metodologia dell'inverificabile,
Rosmini postumo, L'itinerario filosofico del Manzoni premesso alla riedizione del dialogo manzoniano
Dell'invenzione per i tipi della Morcelliana). Ora al culmine del suo itinerario speculativo e di docente (è
da trent'anni ordinario di storia della filosofia nell'Università di Roma), fa il punto sulla corrente
filosofica più discussa, ma anche più viva del pensiero contemporaneo: egli sa cogliere di ogni autore ciò
che ognuno realmente ha detto ed anche i titoli dei capitoli sono in tal senso precisi e appropriati: ad
esempio, Unamuno e la “meditatio mortis”, Kafka e la categoria dell’attesa, Camus e l'etica dell'uomo
in rivolta, Abbagnano e l'esistenza come possibilità etica. È impossibile ripercorrere il discorso di Prini,
serrato ed insieme fluente, teso a cogliere di ciascun filosofo il meglio, le riflessioni che invitano a una
lettura diretta - criterio ermeneutico questo che attesta la larghezza di spirito e l'amore per la verità di chi
lo pratica.
Il quadro offerto da questa Storia è di singolare ampiezza. Nella prima parte si presentano coloro
che più hanno contribuito a far emergere quel sentimento della vita e quel tipo di approccio all'esistenza
che va sotto il nome di esistenzialismo: Kierkegaard, Dostoevskij, Nietzsche, Unamuno e Kafka. Nella
seconda parte gli autori sono esplorati attraverso il loro modo di affrontare il tema della morte e della
verità (Heidegger, Jaspers, Marcel) e il rapporto tra esistenza e storicità (phiysis e techne in Heidegger,
l'eterno nella storia di Jaspers, il personalismo di Berdjaev, la dimensione teologica in Bultrmann). Nella
terza parte l'attenzione si porta su coloro che hanno esplicitamente giustificato il loro esistenzialismo
come umanismo, pur con differenti prospettive: Sartre, Camus, Abbagnano, di cui proprio negli ultimi
mesi è uscita la raccolta degli Scritti esistenzialisti.
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La novità del volume di Prini sta, però, soprattutto nelle pagine che egli ha titolato: L’ermeneutica
dell'ambiguo nelle odierne filosofie italiane dell'esistenza. Se nelle prime tre sezioni del volume
colpiscono il lettore le pagine limpide e profonde su Kierkegaard, su Dostoevskij, su Marcel, Camus e
Abbagnano, nell'ultima trovano finalmente il loro giusto posto pensatori italiani che onorano altamente la
filosofia del Novecento. Oltre che da Nicola Abbagnano, le filosofie italiane dell'esistenza sono
rappresentate da Enrico Castelli, Giuseppe Capograssi (uno dei più grandi filosofi di questo secolo),
1
Giornale di Brescia, 19.5.1989.
Enzo Paci, Luigi Pareyson, Pietro Piovani e Alberto Caracciolo. Castelli è il più pascaliano dei nostri
esistenzialisti. Il suo stile diaristico procede per passaggi acrobatici: ma quanta profondità vi è nei suoi
paradossi! Chi al pari di lui ha visto come sia disumanizzante l'eraclitismo destrutturato di un “tempo
invertebrato” requisito da un “oggi” che intensifica l'istante che deve subito lasciare il posto all'istante
che gli sopravviene, altrettanto effimero? Capograssi denuncia “lo slivellamento tra la natura profonda
dell'uomo e la storia”, il rischio tremendo della perdita di sé stessi nel succedersi delle cose senza senso e
il bisogno di ritrovarsi uomini nel tessuto intersoggettivo delle comunità e nella riscoperta delle
idee-forza di ogni umanizzazione (vichianamente: la Provvidenza, il pudore, l'immortalità). Pensatore
atipico è Enzo Paci, passato dalla giovanile fase marxista all'esistenzialismo fenomenologico. È forte in
lui l'influsso di due pensatori che effettivamente vanno riconciliati tra loro, essendo entrambi di valore
paradigmatico per ogni autentico filosofare: Vico e Kierkegaard.
La “riqualificazione rigorosamente esistenzialistica del personalismo” e la linea perseguita da
Luigi Pareyson, che ha avuto anche il merito di presentare per la prima volta in Italia l'esistenzialismo nel
suo insieme nel 1940, un anno dopo l'apparizione della Struttura dell'esistenza di Abbagnano. Pareyson è
inoltre il filosofo che ha ripreso, con arditezza, il discorso dostoevskijano della sofferenza di Dio.
Discorso che torna in alcune elevate riflessioni di Pietro Piovani, discepolo del Capograssi e anch'egli
studioso appassionato di Vico e Pascal. Qui si è mille miglia lontani dall'abusata mediazione della
dialettica. Al contrario, secondo Piovani, “l'angoscia esenta il pensiero dal compito di conciliare e lo
sfida a penetrare, con dialettica effettiva, l'inconciliabilità degli opposti”. Pensatore di singolare finezza è
Alberto Caracciolo, che ha concentrato la sua meditazione personalissima sul tema del male del mondo e
sul senso del nichilismo, o dottrina dell'assoluta mancanza di senso. Caracciolo, insomma, svolge il
paradosso del significato strutturalmente “religioso” del nichilismo: “Anche quando il niente pare
affermarsi assoluto, alla radice della parola e oltre la parola che dice non-senso (bestemmia, rivolta,
dissonanza) sta l'imperativo che il senso deve essere”. E più energeticamente: “Tutto può essere senza
senso tranne il principio che rende possibile esperire e rifiutare il non senso”. In quest'ultima parte del
volume Pietro Prini avrebbe potuto inserire anche il suo nome, e a giusto titolo. Del resto il denso saggio
di apertura, Esistenzialismo e nichilismo, e quello di chiusura, Pensare nell'ambiguità dell'essere, sono
due capitoli di una vera e propria ontologia della libertà e del suo fondamento, oltre che un'analisi del suo
esercizio esistenziale.
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I rischi di un pensiero che ponga come dato centrale l'immane potenza del negativo - come hanno
fatto le filosofie dell’esistenza - non bisogna nasconderseli: ma la funzione storica dall'esistenzialismo,
da Kierkegaard ad oggi, è stata ed è insostituibile, preziosa. Ai miti grandiosi e illusori
dell'immanentismo - l'estetismo romantico, il panlogismo hegeliano, l'assurdo marxista della dittatura
liberatrice, lo storicismo giustificazionistico, lo scientismo positivistico e neo-positivistico, il
funzionalismo tecnologico - si è opposto l'esistenzialismo con una consapevolezza e una radicalità
sorprendenti. Con l'esistenzialismo la filosofia è tornata a occuparsi del problema numero uno, il
problema del senso della vita e della morte. Comunque si vogliano giudicare i risultati e le conclusioni,
diverse ed anche opposte fra loro, delle filosofie esistenziali, su questo almeno si potrebbe essere
d'accordo: che l'infatuazione immanentistica della religione della natura o della storia o della tecnica,
dominante da due secoli nella cultura occidentale, trascritta di volta in volta nei registri dell'idealismo o
del materialismo, non può essere più inclusa nell'ambito delle effettive esigenze del pensiero
contemporaneo. Dopo le istanze critiche che le filosofie dell'esistenza hanno posto innanzi, quella
infatuazione oggi ha un suono falso.