MATTEO PERRINI L`ESISTENZIALISMO POSITIVO DI NICOLA

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MATTEO PERRINI
L’ESISTENZIALISMO POSITIVO DI NICOLA ABBAGNANO1
La prima reazione all’esistenzialismo nella filosofia italiana tra le due guerre fu di rigetto.
La riprova è nelle pagine sconcertanti che un pensatore per altri aspetti accogliente e storicamente
agguerrito, Guido Ruggiero, gli dedicò in Filosofi del Novecento. Qualche spiraglio di intelligente
comprensione si ebbe con gli scritti di Ernesto Grassi e di Franco Lombardi, figli ambedue di madre
tedesca, ma coloro che inserirono l’esistenzialismo in un processo di rinnovamento della filosofia
italiana furono Nicola Abbagnano sul piano della proposta teoretica e Luigi Pareyson su quello
storiografico.
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La struttura dell’esistenza di Abbagnano, edito a Torino nel 1939, quando sull’Europa
trionfavao i totalitarismi (Mussolini, Stalin, Hitler, Franco e i loro satelliti), rimane uno dei pochi,
autentici capolavori della filosofia italiana del Novecento e desta nell’animo del lettore ancora oggi
il gusto della libertà responsabile, moralmente operosa. Le altre opere principali di Abbagnano sono
Introduzione all’esistenzialismo del 1942 e l’Esistenzialismo positivo del 1948.
Chi è dunque Nicola Abbagnano? Non è facile costringere in uno schema l’itinerario di una
coscienza, soprattutto quando la sua linea di svolgimento non presenta rovesciamenti, ma
transizioni continue e approfondimenti legati sempre di più, soprattutto nell’ultimo ventennio, dal
filo della saggezza. Salernitano, come Nicola Petruzzellis e Michele Federico Sciacca, fu discepolo
di Antonio Aliotta, un pensatore che nulla concesse alla moda neo-idealistica, resistendo a viso
aperto a Croce e a Gentile. Abbagnano studiò a fondo il rapporto tra filosofia e scienza, attraverso
ricerche prevalentemente storiche, e fu attraverso quegli studi che maturò nella sua mente la
consapevolezza della peculiarità della filosofia come specifica indagine su ciò che è propriamente
umano nell’uomo.
Colui che muoveva incontro ad “una mefafisica a cui non sia estraneo nulla di ciò che è
umano” e rivendicava l’ufficio insostituibile di “una ragione che sappia far sue anche le ragioni del
cuore” avvertì la sintonia tra il suo modo di filosofare e quello del “Socrate del nord”, Soeren
Kierkegaard, che finalmente entrava nella cultura italiana insieme a Heidegger e a Jaspers. Al
capolavoro teoretico, La struttura dell’esistenza, seguì tra il 1946 e il 1950 la Storia della filosofia,
per il tipi della torinese Utet, opera animata, appunto dall’esplicita convinzione che “la filosofia è
l’uomo stesso, l’uomo che si fa problema a se stesso e cerca le ragioni e il fondamento dell’essere
che è suo”. La filosofia è la storia di persone che dialogano intorno al loro destino e le dottrine non
sono che espressioni di questo dialogare ininterrotto, in cui domande e risposte si richiamano e si
corrispondono attraverso i secoli.
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A chi scrive queste note la Storia dell’Abbagnano insegnò parecchie cose in quegli anni di
fervore, ma di due gliene serba particolare gratitudine. La prima è che vi è un rapporto di libera
interdipendenza che lega tutti insieme coloro che cercano. Il grande esempio è quello di Socrate e
Platone. Questi cercò tutta la vita di far emergere e giustificare il significato del messaggio e della
figura del maestro, procedendo, quando era necessario, oltre l’involucro del socratismo dottrinale; e
così una delle più alte e belle filosofie nacque da un atto rinnovato di fedeltà. L’altro insegnamento
di Abbagnano è che “non ogni dottrina successiva nel tempo, è perciò solo, più vera delle
precedenti.”
Il problema di ciò che siamo e dobbiamo essere è fondamentalmente identico col problema
di ciò che furono e vollero essere, nella loro sostanza umana, i filosofi del passato. Ecco perché i
grandi pensatori di ogni epoca - i maggiori tra essi a cui Abbagnano ha dedicato particolare
1
Giornale di Brescia, 11.4.1986. Articolo scritto in occasione dell’incontro con il filosofo Nicola Abbagnano sul
tema: “La tolleranza come valore”.
attenzione sono Platone, Agostino, Pascal, Kant, Kierkegaard - non possono andar perduti, non
possono essere misconosciuti senza un grave impoverimento dell’umanità.
La prospettiva filosofica di Abbagnano è stata designata come “esisenzialismo positivo”.
L’esistenza dell’uomo si caratterizza, si autentica nella misura in cui l’uomo si fa problema a se
stesso (“e io divenni a me stesso un gran problema” dice ad un certo punto delle Confessioni
Agostino). L’esistenza è drammatica perché di fronte ad ogni scelta, almeno interiormente, siamo
sempre noi a prender posizione tra diverse e opposte possibilità. Si tratta di optare, di scegliere ma
per una possibilità che conservi la possibilità dell’opzione. “Mentre molte scelte disgraziatamente
distruggono la possibilità stessa di scegliere ulteriormente, l’imperativo categorico
dell’esistenzialismo positivo impone una sola cosa: il rispetto della possibilità della possibilità”.
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Il rapporto dell’uomo con l’essere rimane problematico, ma non è inevitabilmente “scacco”
e “naufragio”, impossibilità di attingere il significato o di staccarsi dal nulla. Abbagnano rimprovera
ai due caposcuola tedeschi, Heidegger e Jaspers, proprio il fatto che le loro dottrine, per le loro
intenzioni e premesse, ricadano nei sistemi della necessità o della impossibilità. La stessa
argomentazione Abbagnano rivolge contro Sartre e la sua dottrina dell’indifferenza nichilista di
tutte le possibilità.
Nelle ulteriori indagini condotte nel lungo arco della sua operosa giornata, Abbagnano è
parso talora concedere troppo agli interlocutori: allo strumentalismo del maggiore filosofo
americano, Dewey, al neo-illuminismo tornato alla ribalta con il declino del marxismo, e persino al
neopositivismo logico di un Ayer. Ma il Nostro non merita questi rilievi. Come ha ben detto
Mathieu, “nell’Abbagnano le nuove forme di riflessione non lasciano cadere l’esistenzialismo, ma
gli danno una nuova tonalità”. L’equilibrio profondo del pensatore è documentato dal suo libro
Filosofia, religione, scienza del ‘ 47. In quell’opera Abbagnano ricorda che accanto alla “fede
filosofica”, di cui parlava Jaspers, c’è anche la “fede religiosa”. La filosofia muove dalla stessa
radice della religione, e da ultimo, tende a ricongiungersi con essa. Sono la filosofia e la religione le
componenti essenziali dell’umanità, le forme che ne salvaguardano il cammino, le condizioni per
usare con saggezza delle immense potenzialità della scienza.
Nell’ultima fase tutti i motivi precedenti rifluiscono gli uni negli altri, con spontaneità, e
acquistano la forza di risvegliare le coscienze, di parlare ad ogni uomo in quanto tale, casalinga o
dirigente d’industria, giovane e anziano, “omo sanza lettere” o filosofo – nella misura in cui ognuno
abbia il coraggio di muovere alla ricerca del significato. Le raccolte di elzeviri Per o contro l’uomo
(1968), Fra il tutto e il nulla (1973) e La saggezza della vita (1986) sono lì ad attestare il coraggio,
la finezza e il vivissimo senso umano del loro autore.
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