Sacerdozio - Anche il prete ha un cuore Per la gente il prete è uno che parla, che celebra la Messa, che battezza, confessa e porta i morti al cimitero. È per così dire, identificato con la parola che dice, con la liturgia che presiede, o con la sua funzione di pastore. Come se non fosse altro che bocca e labbra, gesti e muscoli, ma si parla poco del cuore del prete. Ci dimentichiamo che ha un cuore, e ci concentriamo sulle labbra, la bocca, i muscoli e i gesti. Si dimentica il cuore. Quando si attende l’arrivo di un nuovo parroco ci informiamo e facciamo delle domande: Predica bene? Celebra bene? È bravo, intelligente, di bella presenza, simpatico e generoso? Ma ci si interessa troppo raramente del suo cuore, delle sue sofferenze, della sua interiorità. Il sacerdozio nella Chiesa attuale ha un grande bisogno di guardiani vicino al cuore, di cardiologi spirituali. Perché se il cuore cede, cosa diventa il predicatore? Un semplice altoparlante in uno stadio. Un altoparlante è incapace di restituire i suoni e le frequenze più alte e più basse. Non sa far ascoltare agli ascoltatori le risonanze e i particolari Parlano e parlano, dicono molte cose, ma non comunicano praticamente nulla. Il bravo parroco di Torcy, nel romanzo di Bernanos "Diario di un curato di campagna", diceva al suo giovane confratello prete: "Non mi piacciono quei predicatori di Notre-Dame che fanno tanti bei discorsi dal pulpito senza soffrire. lo quando scendo dal pulpito, soffro, perché mi sono tagliato nel vivo. Io quando predico soffro". E che cos'è un prete che celebra con le mani, ma che non ha il cuore ? È un attore di teatro che non sa nemmeno cosa dice, quando dice: questo è il mio corpo spezzato per voi; questo è il mio Sangue versato per voi. Dove sono le sue sofferenze? Sono lacrime da attore di teatro. E che cos'è un prete che dirige la sua comunità secondo le semplici leggi e tecniche della comunicazione sociale ? Dirige o ama? Nelle tecniche di gruppo non è mai richiesto di andare fino al dono della vita per il gruppo. Nessuna scienza umana di comunicazione dice questo. No. Il sacerdozio è molto più amore che competenza; molto più interiorità che eloquenza; molto più amore che abilità. Perché il sacerdote dovrebbe amare come il Cristo Sommo Sacerdote ha amato. Tutta la sua bellezza e tutta la sua competenza è interiore. Per essere veri preti dovremmo sentirci inseriti nella circolazione sanguigna di Cristo. Il Cuore di Cristo praticamente non ha autonomia: è inserito nel Cuore di Dio suo Padre. "Noi, io e il Padre, siamo una cosa sola". Non esiste vero amore senza sofferenza Tutto il resto è solo forma: la predicazione, la celebrazione, il lavoro pastorale. Parlare di sofferenza non è facile. Di cosa si tratta? Prima di tutto è la sofferenza di coloro che assistono nel mondo alla grande lotta tra il bene e il male, nel mondo e nella storia con un senso di impotenza, di marginalità. (Cristo) Ma c'è ancora un'altra sofferenza del prete: quella della sua fragilità, della sua debolezza. San Paolo parla di una spina nella carne. Non ha mai definito che cos'era; per fortuna d'altronde. Si tratta quindi di tutto ciò che ci disturba per essere interamente un buon prete. Ci verrebbe da chiedere a Dio: rendici forti ! Sarai tu stesso il primo a guadagnarci. Sarò un prete migliore se non sono debole. Ma Dio risponde: No. È attraverso la tua debolezza che sarai forte. Ciò non toglie che la sua fragilità fa soffrire il prete. Questo capita perché crediamo di dover essere qualcuno "accanto" al Cristo, ma di Cristo ce n'è uno solo. Il cuore del sacerdozio è quindi questo lungo apprendistato a far posto a Cristo (Giovanni il Battista) Camerieri La scuola della sofferenza. Ma a partire da Cristo nessuna sofferenza è nera. La morte, è vero, si trova nella vita del prete e in quella dei Cristo, ma essa è già resurrezione. Perché la sofferenza, ogni sofferenza che è portata insieme al Cristo, è una sofferenza pasquale.