I5_Baccaro_Immagini Digitali_ Compito facoltativo II settimana

MAFALDA BACCARO
Classe I5 DOL 2011/2012, II annualità
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Nel modulo vengono considerati in particolare due schemi standard per la classificazione
del colore: il modello RGB in cui i colori primari (rosso, verde e blu) vengono utilizzati in
modo additivo e il modello CMY in cui i colori primari (ciano, magenta e giallo) sono invece
composti in modo sottrattivo. Fare una breve ricerca e approfondire il confronto tra i due
modelli, con particolare riferimento ai problemi tecnici che si incontrano nella stampa di
immagini digitali.
Riflettere in particolare sul seguente problema, cercando in Rete quali possano essere le
soluzioni: quando si stampa un’immagine digitale (per esempio una fotografia), i colori
non corrispondono mai a quelli che appaiono sullo schermo. Quali accorgimenti è possibile
adottare per ridurre la discordanza tra video e stampa?
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Premessa
Lo sviluppo degli studi nel campo del colore (sia nel campo artistico-storico, sia chimico-tecnologico) e le
applicazioni in settori quali quelli della moda, della pubblicità, della fotografia hanno determinato
un’attenzione verso i colori e verso un perfezionamento della sensibilità cromatica. Il colore è oggetto
d’indagine ottico-fisica, ma anche psichico-spirituale. La percezione del colore, delle sue forze
trascendentali, della sua energia, influisce su ciascuno di noi in modi differenti, positivamente o
negativamente, persino inconsciamente.
Il colore è campo di indagine del fisico, il quale considera il colore come energia risultante da radiazioni,
vibrazioni elettromagnetiche e osserva la natura dei corpuscoli luminosi che producono la luce, studia la
scomposizione della luce bianca che attraversa un prisma, classifica le gradazioni dei colori.
Il chimico si preoccupa invece di conoscere la composizione molecolare dei pigmenti cromatici, come dare
luminosità ai colori, come produrre sostanze sintetiche, come ottenere nuovi colori attraverso una miscela,
un “precipitato”, come ottenere i solventi capaci di eliminarlo.
Il fisiologo studia gli effetti della luce sull’occhio e sul cervello, di cui analizza la struttura anatomica e le
funzioni. Le ricerche sulla velocità di percezione delle immagini consecutive, del chiaro e dello scuro, hanno
permesso di trapassare il campo di indagine medico-scientifica, per applicarsi alla fotografia e al cinema.
Lo psicologo indaga gli effetti dei colori sulla psiche, studia la percezione soggettiva.
Il pittore usa il colore a fini estetici e non può non conoscere i suoi effetti fisiologici e psicologici.
A questi campi di interesse, oggi si aggiunge il campo tecnologico-digitale, poiché il colore è diversamente
registrato dalle macchine digitali rispetto ai monitor e ancor più diversamente rispetto alle macchine
stampanti.
A conclusione di questa premessa, quindi, appare chiaro che il colore possa essere considerato e studiato
sotto tre aspetti:
1) ottico-sensibile (impressivo);
2) psichico (espressivo);
3) intellettuale-simbolico (strutturale).
L’approccio che qui approfondiremo sarà di tipo ottico-sensibile, in quanto ci preccuperemo di capire quali
sono i colori primari, quali sono i colori primari di uno schema RGB, quali di uno schema CMYK e come
risolvere i problemi derivanti dall’analisi comparata tra l’osservazione visiva di un’immagine su un monitor
e l’osservazione visiva di un’immagine stampata. La percezione soggettiva non è del tutto estranea
all’oggettiva differenza tra le due immagini: quella visualizzata al computer e quella stampata.
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I colori nella fisica
Prima di addentrarmi nel vivo dell’indagine, vorrei richiamare all’attenzione del lettore l’esperimento di
Isaac Newton, per le conseguenze che la sua scoperta determinò in altri campi, non solo quello puramente
fisico o artistico, ma anche in altri apparentemente distanti, come la musica.
Nel 1676, Newton, attraverso la proiezione di un raggio di luce solare fatta passare attraverso una fessura e
la sua successiva scomposizione attraverso un prisma, dimostrò che la luce bianca era un’addizione
cromatica. La rifrazione mostrava sette colori (rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, indaco e violetto), che,
a causa del passaggio della luce attraverso un prisma triangolare, si visualizzavano in uno schema a
ventaglio.
Isolando un colore dallo spettro prismatico, per esempio l’arancio, e sommando tutti gli altri restanti con
una lente convergente si ottiene un colore, detto complementare, che in questo caso è il ciano. Ogni colore
complementare di un colore dello spettro è dato dalla somma di tutti gli altri. Per meglio comprendere i
colori complementari, secondo la fisica, si può fare un semplice esperimento: osservare per almeno 30
secondi un quadrato rosso. Se chiudiamo gli occhi, riusciremo a percepire un quadrato verde, il suo colore
complementare. E ciò vale per tutti i colori: l’occhio cerca sempre di ristabilire un equilibrio tra i colori.
Come nel campo dei suoni, in cui ci sono suoni udibili (un certo range di Hertz, cioè di frequenze sonore), di
infrasuoni e ultrasuoni (al di sotto dei 20 e al di sopra dei 20.00 Hz), così per i colori, ognuno è una
radiazione elettromagnetica, con una propria lunghezza d’onda e per la verità l’uomo ne percepisce molte
di più di quelle indicate sommariamente come i sette colori dell’iride.
È interessante notare che il rapporto in micron (l’unità di misurazione delle lunghezze d’onda) tra i colori
più distanti dello spettro, il rosso e il viola (circa 800 μμ e 400 μμ, rispettivamente), è di 1:2, lo stesso
rapporto dell’ottava musicale. Inoltre, le “fasce di colore” scomposte dallo spettro non sono tutte della
stessa “larghezza”: il rosso è un “triangolo” più ampio dell’arancio, il quale a sua volta è più ampio del viola.
Ciò si pone anche per il suono: la scomposizione dell’ottava in sette suoni (con rapporti 2:3, 3:4, 4:5 e così
via, vedi il temperamento pitagorico) e poi in dodici (i suoni della nostra scala definita per l’appunto
cromatica), ha determinato non pochi problemi in campo acustico-musicale, che per secoli sono stati alla
base dei diversi sistemi di temperamento e che hanno condotto al temperamento equabile, il cui i rapporti
intervallari tra i suoni sono stati resi artificiosamente uguali nell’ambito dell’ottava.
I colori sono solo onde luminose: è il nostro cervello che le riconosce come colori. Il nostro occhio li
percepisce secondo una tecnica di assorbimento sottrattivo (per confronto e contrasto), cioè se un oggetto
ci appare verde è perché esso assorbe (per via della sua composizione molecolare) tutti gli altri colori dello
spettro e riflette solo il verde. L’oggetto appare verde, inoltre, solo perché la sua superficie è stata
illuminata: senza di essa l’oggetto è incolore. Il colore, poi, dal nostro cervello, è valutato rispetto al nero e
al bianco (assenza di luce, presenza di luce): per esempio, un quadrato giallo su un fondo bianco ci dà una
sensazione di calore delicato; su un fondo nero acquista luminosità ed energia.
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L’equilibrio e la percezione dei colori
Il fisiologo Edward Hering dimostrò che occhio e cervello subiscono turbamenti in relazione al grigio, colore
determinato dall’intensità delle radiazioni luminose. Se infatti, secondo un esperimento che ho sopra
proposto, osserviamo a lungo un quadrato grigio e poi chiudiamo gli occhi, possiamo “vedere” diversi
colori. Il grigio, cioè la “carica” di ciascun colore (ciascun colore, secondo la scala dei grigi può tendere verso
il bianco o verso il nero), è quello che più produce in noi sensazioni psicologiche. È la combinazione di
ciascun colore con le varie gradazioni della scala dei grigi che dà al colore un carattere espressivo, che
produce in noi una reazione di maggiore o minore piacevolezza nell’osservazione di un oggetto.
La percezione del colore - secondo quanto abbiamo detto relativamente al fatto che un oggetto è privo di
colore finché non è investito dalle onde luminose - è un fenomeno psicofisico soggettivo. Gli animali, è
stato studiato, hanno una diversa percezione del colore: alcuni insetti, per esempio, sono sensibili ai raggi
ultravioletti. Due organismi internazionali: la Commission Internationale de l'Eclairage (CIE) e l’ Optical
Society of America (OSA), stanno effettuando degli studi per definire delle “scale colorimetriche” o degli
“spazi colorimetrici”, che, messa da parte la soggettività della percezione del colore, arrivino a definire i
colori con grandezze precise e definite.
Nella retina dell’occhio umano sono presenti dei fotorecettori, detti coni, che sono sensibili a tre colori:
rosso, verde e blu (la sigla RGB è data dalle iniziali dei tre colori in lingua inglese: red, green, blue). Inoltre,
l’occhio è sensibile alla tonalità, alla luminosità e alla saturazione dei colori.
Una scala colorimetrica RGB.
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La gestione del colore
Le macchine fotografiche digitali, le macchine per la stampa, utilizzano dei “linguaggi” per la traduzione in
valori numerici dei colori percepiti e per la loro riproduzione sullo schermo o su carta. I linguaggi non sono
gli stessi e, rispetto all’osservazione visiva di un oggetto colorato, la macchina digitale ci fa visualizzare sul
monitor colori differenti, che mutano ancora quando si procede alla stampa.
Il problema di far coincidere la stessa percezione del colore tra immagine visiva, immagine fotografata e
stampata, è area di interesse delle tecniche del color management, che non vanno confuse con le tecniche
di fotoritocco (color correction). Il fotoritocco serve a rendere un’immagine esteticamente più bella,
ritagliando o cancellando aree, ridimensionandola, ruotandola. La gestione del colore, invece, cerca di
ottimizzare la “resa” del colore, cioè si propone di mantenere lo stesso colore su diverse periferiche (diversi
monitor, monitor-stampante, scanner-stampante). Fotoritocco e color management fanno uso,
ovviamente, di diverse tecnologie e software. Di Le tecnologie sono principalmente due: la International
Color Consortium (ICC) e la Adobe PostScript, chiamata PostScript Color Management (PCM).
Le periferiche digitali possono “catturare” il colore o “produrlo”. Fotocamere e scanner sono macchine che
catturano i colori, mentre monitor e stampanti sono macchine che lo riproducono.
La fotocamera può catturare l’immagine RGB e memorizzarla come file .jpg, oppure raw (raramente .tif). Il
formato RAW è una specie di “negativo digitale”, perché registra l’immagine così come catturata dal
sensore della fotocamera, senza alcun trattamento dei dati da parte del microprocessore.
I sensori delle fotocamere digitali non catturano immagini scomponibili nei pixels dei monitor (dei
piccolissimi quadrati che lo compongono, ciascuno dei quali contiene le informazioni dell’immagine e la
riproduce attraverso diversi valori dei colori RGB. La tecnologia attuale non ha ancora inventato dei
fotorecettori (piccolissimi elementi del sensore) capaci di misurare le componenti RGB della luce. I sensori
delle più moderne fotocamere catturano la luce così come arriva. Un file RAW, che può essere registrato
solo da una fotocamera, è di grandi dimensioni e deve essere “trattato”: bisogna bilanciare il bianco,
l’esposizione, effettuare lo sharpening (elaborazione dei dati relativi alla nitidezza, al contrasto, alla gamma
dei colori…). Un file RAW, una volta aperto dal computer ed elaborato non si può salvare nello stesso
formato. Si tratta di un file generato solo dalle fotocamere, perciò una volta trattato, si perde il file
originale.
Il file JPEG è uno standard di compressione delle immagini. Più si comprime un’immagine, più l’immagine si
deteriora, si “sgrana”. Il file .jpg può essere scambiato facilmente, perché è leggibile da vari software ed è
“leggero”. Il formato TIFF comprime secondo procedimenti matematici, con un minor degrado
dell’immagine rispetto al file JPEG. Rispetto al formato .jpg è più pesante, perché più ricco di informazioni.
I colori dell’immagine acquisita dalla fotocamera si formano sul monitor, sommando diverse parti di rosso,
di verde e di blu per ogni pixel. Si tratta di una sintesi additiva. La somma di tutti e tre i colori in parti
identiche dà il bianco (Fig. 01), mentre parti uguali di rosso e di verde danno il giallo (Fig. 02), di rosso e di
blu danno il magenta (Fig. 03); di verde e di blu danno il ciano (Fig. 04). Giallo, magenta e ciano sono colori
secondari.
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(Fig. 01)
(Fig. 02)
(Fig. 03)
(Fig. 04)
Le immagini si trovano al sito web: http://www.lagreca.it/htmlpoint/rgb.htm
Il nero si ottiene per mancanza di valore di qualunque colore. Ogni colore può essere modificato secondo
una scala che va da o a 255, per un totale di 256 gradazioni per ciascun colore primario. Ogni pixel del
monitor contiene informazioni RGB relative alla porzione d’immagine in quel preciso punto. Lo schema RGB
è a tre canali, a differenza dello schema CMYK, che è a quattro canali.
Le stampanti commerciali genericamente usano lo schema colore CMYK (sigla che sta per le iniziali di ciano,
magenta, giallo e “Key black”, una particolare tecnologia per la stampa, in inglese). Questo schema colore è
di tipo sottrattivo: il bianco, infatti, si ottiene togliendo valore a ciascun colore, cioè dando il valore 0 a tutti
i colori.
Deke McClelland, in Photoshop CS. Tutto & Oltre, fa notare che i colori delle stampanti sono tutti molto
chiari. Da soli, a piena intensità, non arrivano a dare il nero, ma appena un marrone opaco. Altre fonti
definiscono questo colore: bistro. Ecco che allora interviene il nero, che serve a scurire i vari colori.
Nel passaggio dallo schema colore RGB a
CMYK, si perde soprattutto la profondità
delle ombre e bisogna intervenire con
appositi software, se si vuole che
l’immagine stampata corrisponda a quella
visualizzata sul monitor.
I modelli colore RGB e CMYK sono praticamente l’uno l’inversione dell’altro. Tuttavia, un’immagine RGB
stampata in CMYK può non darci il risultato atteso. Passando da RGB a CMYK i colori appaiono più opachi,
meno profondi. Ci sono software in grado di convertire i valori RGB in CMYK, conservando le tonalità di
colore desiderate. È bene, infatti, convertire le immagini nel metodo CMYK prima di procedere alla stampa,
sebbene sia preferibile effettuare tutte le operazioni di gestione colore e fotoritocco in RGB. Per esempio:
l’arancione si può ottenere per sintesi additiva di verde e rosso oppure per sintesi sottrattiva di magenta e
giallo. Il suo colore complementare è il ciano. Nel passaggio dall’arancione in RGB a quello in CMYK, può
cambiare la tonalità del colore, la sua luminosità, la sua saturazione.
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Prima di convertire il file immagine da RGB a CMYK, conviene controllare le impostazioni del video e della
stampante che si vuole utilizzare. Va ricordato che gli inchiostri CMYK sono dei pigmenti capaci di catturare
determinate onde luminose e restituire alla vista un determinato colore, attraverso la riflessione delle onde
luminose non assorbite. La mescolanza varia dei pigmenti, secondo determinati valori, produce i differenti
colori. I valori RGB (tre canali di colore) e di CMYK (quadricromia) comportano quindi un attento studio del
colore.
Bisogna anche tener presente che stessi valori di RGB producono colori diversi su diversi monitor, così
come stessi valori di CMYK danno differenti risultati a seconda delle stampanti. Alcuni siti consigliano, per
prodotti finiti di un certo livello grafico, di stampare con le “Tinte Piatte”, cioè inchiostri speciali
premiscelati da usare in aggiunta o in sostituzione degli inchiostri CMYK (tinte Pantone).
Il lavoro di conversione da RGB a CMYK andrebbe inoltre eseguito non su notebook. Dice Mauro Boscarol
nel suo blog “Colore Digitale Blog” che il notebook non si presta al color management per scarsa profondità
di bit, scheda video ridotta, gamut di colore, superficie non lambertiana. Su un monitor di un notebook non
si modificare il bianco rispetto al colore “nativo”, per esempio; inoltre, la superficie non lambertiana riduce
l’angolo visivo: luminanza e colore cambiano molto secondo l’angolo di visione.
Da Wikipedia: variazioni di luminanza e contrasto a seconda dell’angolo di visualizzazione
Superato il problema della corrispondenza tra immagine catturata dalla fotocamera e monitor (per esempio
trattando file RAW, o “calibrando” il monitor), bisogna quindi superare il secondo ostacolo: se ho
finalmente visualizzato sul monitor una certa tonalità di ciano, come faccio ad ottenerlo identico dalla mia
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stampante? Il secondo problema si pone dunque nella fase di stampa. Se si lavorano immagini per il web, è
sufficiente lavorare le immagini in RGB.
Alcuni specialisti del settore della grafica digitale sono convinti che si debba lavorare l’immagine
direttamente in CMYK, dal momento che le stampanti usano questo modello. Invece, altri ritengono di
passare al CMYK solo alla fine del lavoro. Per i primi, la spiegazione è data dal fatto che nel passaggio dallo
schema RGB al CMYK si perdono delle informazioni importanti sul colore; la gamma dei colori CMYK è
molto più limitata di quella dei colori RGB; si modifica la dimensione del file, che aumenta quando è in
CMYK (quattro canali di colore con i tre del sistema RGB).
Nel passaggio dalla fotografia alla tipografia il problema, oltre che il colore, investe la profondità
dell’immagine e le ombre. Con programmi come Photoshop si può modificare la curvatura del nero per
dare maggiore profondità alle aree scure, che è il principale problema di un file RGB convertito in CMYK.
Quando si passa alla stampa, infine, bisogna tener conto che tutte le informazioni saranno nuovamente
riconvertite in dpi. Per avere un’immagine ad alta risoluzione, la stampa deve avere un valore di almeno
300 dpi (punti per pollice).
Le tipografie preferiscono ricevere file in formato pdf per la stampa delle immagini e consigliano di non
scrivere testi con il nero carico al 100%.
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Bibliografia e Sitografia
http://help.adobe.com/it_IT/Photoshop/11.0/WSfd1234e1c4b69f30ea53e41001031ab64-779ca.html
http://www.boscarol.com/
http://www.andreaolivotto.com/photo_retouch_02.php
http://digilander.libero.it/sitographics/stampa_quadricromia.htm
http://books.google.it/books?id=LYvZUK7xWR4C&pg=PA151&dq=colore+RGB+CMYK&hl=it&sa=X&
ei=t78VT8HOJqeL4gTupJzEAw&ved=0CEYQ6AEwAg#v=onepage&q=colore%20RGB%20CMYK&f=fals
e
Deke McClelland, Photoshop CS. Tutto & Oltre, Apogeo Editore, 2004.
Johannes Itten, Arte del colore (Edizione ridotta), Il Saggiatore, 1982.
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