LA POTENZA DELLA MEMORIA NEL PLANNING “AFFETTIVO

N EU ROSC I E N ZE
LA POTENZA DELLA MEMORIA
NEL PLANNING “AFFETTIVO”
DELLA MARCA
Dalla “madeleine” di Proust, riconosciamo come ovvia la
potenza della memoria e il suo intersecarsi con l’esperienza
corrente. Ma la memoria non rappresenta solo un veicolo di
emozioni, venato di nostalgia. Esiste per aiutarci a prendere
le decisioni. Capire perciò come la memoria funziona apre a
nuove opportunità anche per il marketing e per le marche. E
in questo, le scoperte delle neuroscienze ci possono essere di
grande aiuto.
di IVANA VENTURA
TNS Qualitative Business Director
k
Nel suo famoso libro “Thinking Fast
and Slow”, Daniel Kahneman distingue fra "experiencing self” e “remembering
self”, sottolineando come il nostro ricordo
di un evento si può riconsolidare mentre
lo stesso evento è in corso: per esempio, se
mentre si gioisce di una fantastica cena in
un famoso ristorante a tre stelle, il cameriere verso la fine del pasto rovescia del vino
sulla tovaglia, il nostro ricordo di quella
situazione sarà profondamente influenzato
da questo piccolo evento critico e assumerà
una coloritura più negativa del ricordo
di una cena magari complessivamente
più mediocre, ma durante la quale, a fine
pasto, ci viene offerta gratuitamente una
squisita pasticceria. Il “remembering self”
può dunque essere non completamente
“veritiero”, tuttavia ha un ruolo decisivo
perché regola quello che apprendiamo dal
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M ARK E T I N G
UN ASPETTO CHIAVE DELLA
MEMORIA È LA SUA FUNZIONE
DI “ANTICIPATRICE
DI ESPERIENZE”, AL PUNTO
CHE I RICORDI PIÙ POTENTI
POSSONO PREVALERE
SULL’ESPERIENZA IN ATTO
EMOZIONI E MEMORIE,
UN "SISTEMA" BIDIREZIONALE
passato, ci dà una chiave di lettura per il
presente e, proiettato sul futuro, condiziona il nostro processo decisionale. Le
neuroscienze stanno evidenziando sempre
di più come un aspetto chiave della memoria stia nella sua funzione di “anticipatrice
di esperienze”, al punto che i ricordi più
potenti possono prevalere sull’esperienza
in atto. In un famoso esperimento, la conoscenza pregressa di un famoso cru, con
tutti i ricordi che la compongono, porta un
gruppo di studenti di enologia a dare una
valutazione molto più positiva di un vino
contenuto nella bottiglia corrispondente
di quanto non avvenga quando gli stessi
studenti valutano lo stesso vino contenuto
in una bottiglia “senza referenze”.
Sorge allora una domanda: possono
anche le marche esercitare un simile
ruolo? Nell’esperienza di ricerca in realtà
lo si riscontra spesso: prodotti che se la
giocano alla pari in un blind test, ma che si
discostano significativamente quando sono
associati a brands più o meno forti… fumatori fedeli di una marca di sigarette dal
grande immaginario che la attribuiscono al
prodotto blind del principale competitor,
salvo rimanere increduli quando si rivela
loro la verità…
In altre parole, la presenza di una marca favorita mette in gioco una catena associativa
di ricordi che rende l’esperienza di consumo più positiva. E questo “potere nella
mente” è un asset molto importante per
qualsiasi brand. Ma cosa sappiamo della
memoria che ci possa aiutare ad aumentare
il “potere nella mente” di una marca? Ecco
alcuni punti chiave:
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• La memoria è dispersa, varie rappresentazioni di un’esperienza sono codificate simultaneamente in parti diverse del nostro
cervello. È l’ippocampo a recuperarle e a
unirle insieme in un tutto coerente
• Questo processo di connessione attiva
una parte del cervello che si sovrappone
ampiamente con quelle che attiviamo
quando anticipiamo o immaginiamo il
futuro
• L’interazione fra ricordo passato e accadimento attuale è piuttosto complessa:
sono le circostanze presenti che influenzano i ricordi che tornano alla nostra mente
e la forma che prendono quando sono
ricordati. Come nell’esempio della cena a
tre stelle “guastata” dall’imperizia finale
di un cameriere, l’esperienza presente può
ristrutturare le componenti che verranno ricordate d’ora in poi, “rieditando” il
network di associazioni legate al ristorante
famoso e aggiungendo una diversa nota
emotiva.
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Le neuroscienze pensano alla memoria
come una collezione di sotto-sistemi
indipendenti ma interconnessi, ognuno
dei quali ha che fare con diversi tipi di
informazione e conoscenza: la memoria
autobiografica, quella semantica, la procedurale, la memoria percettiva…
La potenza di queste diverse memorie
nell’influenzare le nostre interpretazioni
del mondo e le nostre decisioni si esalta
quando si “affettivizzano”, cioè quando
acquisiscono una risonanza emozionale
e una profonda rilevanza per la persona,
anche se in sé possono avere a che fare
con situazioni o dettagli piuttosto banali
(una semplice “madeleine”). L’emozione
è fondamentale nel dirigere la nostra attenzione che a sua volta segnala al cervello che ci importa di qualcosa e che su ciò
dobbiamo focalizzarci. I processi chimici
messi in moto dalle emozioni rinforzano
le connessioni neuronali e aumentano
le possibilità che certi ricordi vengano
riportati alla memoria come un insieme
forte e coeso per guidarci nelle azioni future. Il ricordo si potenzia anche quando
incrocia scopi, motivazioni, identità, ambizioni personali. Tutto quanto abbiamo
descritto lavora anche a beneficio di un
brand. Immaginiamo un giovane uomo
che entra in un bar e vede una bottiglia
di Corona, immediatamente la sua mente
ritorna a una vacanza al mare di qualche
anno prima, alla compagnia di allora, a
una ragazza baciata sulla spiaggia…
Probabile che gli possa venire voglia di
bersela, questa Corona. Perché la associa
a emozioni che sono personalmente
rilevanti per lui: perché Corona era con
lui mentre baciava la ragazza, perché lo
riporta a una versione più romantica e
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giovane di se stesso. In più, Corona ha
spesso legato la sua comunicazione e i
suoi touchpoint a situazioni estive, assolate, spensierate, con feste e belle ragazze.
Questo immaginario certamente rinforza
e consolida nel tempo le connessioni
fra i vari elementi che costituiscono la
memoria affettiva del nostro personaggio.
Corona ha capito il contesto in cui il suo
target di riferimento esperisce la marca,
ha rinforzato i ricordi affettivizzati che
ne derivano attraverso messaggi pubblicitari coerenti, ha fatto sì che le pagine del
libro della memoria fossero facilmente
riorganizzabili quando si presenta la
situazione giusta. In altre parole, Corona
sembra “in controllo” rispetto al suo
brand narrative e all’effetto che avrà
sulla mente di tante persone. Quello che
le lezioni sulla memoria ci inducono a
considerare è l’opportunità di sviluppare brand strategies che non solamente
muovano le emozioni in senso generico,
ma richiamino emozioni particolarmente
risonanti e rilevanti per gli individui che
costituiscono il target di riferimento e
che siano in linea con le loro motivazioni,
scopi, progetti di identità.
Tenendo sempre in mente che costruire
memorie “affettivizzate una tantum”
non è automaticamente una garanzia di
successo: come abbiamo visto le circostanze presenti influenzano a loro volta la
memoria, nel caso riconfigurandola anche
con accenti piuttosto diversi. La probabilità che il nostro giovane uomo riordini una
Corona al bar dipende dal suo contesto
attuale e da come vede la giovane versione
di se stesso che gli torna alla mente quan-
do vede questa bottiglia di birra: si vede
come una sorta di Sé Ideale con cui ama
riconnettersi? O vede il se stesso giovane
come immaturo e scapestrato rispetto a
quello che è diventato oggi? Infine, la riconfigurazione della memoria può essere
stimolata da vari elementi, variamente
sostenuti dai neuroscienziati. Uno di
questi è la novità: quando ci rendiamo
conto che un’esperienza è molto diversa
dalle aspettative che abbiamo appreso,
l’ippocampo è allertato sulla possibilità di
riconnettere i “pezzi” del ricordo in una
nuova combinazione.
UN "BILANCIO" EFFICACE
Bilanciare novità e coerenza nel tempo
nei messaggi di una marca e trovare
nuove modalità per collegarsi con le
memorie affettivizzate del target può
aiutare un brand a rimanere in controllo
del proprio narrative e a espanderlo in
maniera sempre significativa e rilevante.
In conclusione, si potrebbe dire che un
efficace brand planning è in primis un
planning “affettivo”. Qualunque marca
che abbia uno spazio importante nella
mente del consumatore è una forma di
memoria affettivizzata. L’importante
però è riuscire a controllare il processo
e sviluppare strategie che gestiscano le
molteplici forze attive nel dare forma alle
associazioni nel cervello del consumatore per creare brand memories ancor
più potenti. Un piccolo warning: i nostri
ricordi sono innanzitutto nostri, frutto
dell’esperienza individuale e dei percorsi
particolari che ha preso la nostra vita. Il
marketing avrà tanto più successo quanto
più potrà contare su una comprensione molto profonda e articolata, quasi
“individualizzata”, delle menti e della
memoria dei consumatori cui si rivolge.
Questo porta a interrogarsi anche sulle
metodologie di ricerca e a favorire il ritorno a un’esplorazione molto minuziosa del
consumatore, con quella che in TNS chiamiamo “intervista cognitiva”: un setting
individuale, una durata estesa, un’agenda
“fluida” in cui si possa anche divagare, la
stimolazione di ricordi e libere associazioni, la ricostruzione del contesto allargato
in cui un comportamento ha luogo e
che è fatto di percezioni, bisogni, affetti,
ispirazioni dal passato, condizionamenti e
disponibilità ambientali…
È infatti dalla comprensione approfondita
delle varie circostanze in cui la memoria
affettivizzata si forma, consolida e ritorna
alla coscienza, che possiamo aiutare il
marketing ad avvalersene con più efficacia
per soddisfare gli obiettivi strategici della
marca.
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