5. IL TRASFORMATORE. 1. Generalità. Il trasformatore è una macchina elettrica statica dotata di un circuito magnetico e di due o più avvolgimenti con esso concatenati: può essere di tipo monofase o trifase. Il suo funzionamento si basa sulla legge della induzione elettromagnetica e le sue funzioni possono essere molteplici, in relazione alle diverse applicazioni. Dal fatto che si tratta di un dispositivo statico e che si basa sulla legge dell'induzione consegue che il trasformatore può funzionare solamente quando le grandezze elettriche ai morsetti degli avvolgimenti sono variabili nel tempo (si generano solo f.e.m. di tipo trasformatorico). Un impiego tipico, ma non esclusivo, è nelle reti in regime sinusoidale. Per quanto riguarda la classificazione funzionale, una ampia categoria di trasformatori, detti trasformatori di potenza, viene utilizzata per connettere fra loro parti della rete elettrica che si trovano a livelli di tensione diversa. Infatti, esigenze tecniche ed economiche inerenti alla generazione dell'energia elettrica portano alla costruzione di centrali di potenza sempre crescente e costruite nei luoghi adatti: ne viene di conseguenza la necessità del trasporto di grandi quantità di energia con linee spesso assai lunghe. L'adozione di elevati valori di tensione per il trasporto di grandi potenze su lunghe distanze consente un dimensionamento più favorevole delle linee e/o un livello più contenuto delle perdite in linea per effetto Joule: infatti, a pari potenza trasportata, P=3·V·I·cos, quanto maggiore è la tensione V di funzionamento della linea, tanto minore è la corrente di linea I, quindi le perdite R·I². Fra i valori di tensione normalizzati per le linee ad alta tensione vi sono: 130, 220, 380 kV. D'altra parte, la tensione nominale dei generatori deve essere limitata per ragioni costruttive (legate alle difficoltà di isolare, all'interno della macchina, le parti in tensione rispetto alla massa): anche negli esemplari di maggiore potenza la tensione non supera, di solito, i 20 ÷ 25 kV. Infine, per motivi di sicurezza la tensione di alimentazione della maggior parte degli apparecchi utilizzatori deve essere contenuta entro il limite di poche centinaia di volt: pertanto la rete di distribuzione posta alla fine delle linee di trasporto è in bassa tensione. Le varie parti a diversa tensione del sistema sono tra loro connesse attraverso trasformatori: essi dunque svolgono la funzione di elevatori o di abbassatori della tensione, praticamente a pari potenza trasferita da un lato della rete all'altro. L'avvolgimento del trasformatore (o gli avvolgimenti) che viene alimentato (cioè riceve la potenza) viene detto avvolgimento primario; l'avvolgimento (o gli avvolgimenti) che alimenta una rete utilizzatrice (cioè eroga ad essa potenza) viene detto avvolgimento secondario; l'uno o l'altro possono essere di bassa tensione o di alta tensione, a seconda dell'inserzione nella rete e del flusso di potenza (il verso di tale flusso è, d'altra parte, reversibile, in relazione alle condizioni di funzionamento della rete). Il trasformatore, inoltre, è molto usato anche per altre funzioni, tra le quali: alimentazione di dispositivi elettronici, specie di potenza; separazione galvanica tra primario e secondario (tra i due avvolgimenti non vi è collegamento metallico). Questa è una funzione importante, qualora interessi svincolare un circuito utilizzatore dai livelli di tensione, eventualmente pericolosi, della rete (trasformatori di isolamento per sicurezza); oppure quando si voglia eliminare una componente continua circolante al primario, che non viene trasferita al secondario; impiego come trasformatori di misura delle tensioni (TV) o delle correnti (TA); impiego come trasformatore di impedenza, per realizzare dei componenti con particolari valori dei parametri elettrici, non realizzabili con collegamento diretto; impiego come dispositivo di filtraggio (trasformatori selettivi), allo scopo di trasferire dal primario al secondario solo le tensioni appartenenti ad una prefissata banda di frequenza, attenuando l'ampiezza delle tensioni con frequenza diversa. 53 2. Principi di funzionamento; cenni costruttivi. Fino a diverso avviso, nel seguito si farà riferimento al trasformatore monofase a due avvolgimenti, disposti attorno ad un circuito magnetico comune e caratterizzati da un numero di spire primarie e secondarie pari, rispettivamente, a N1 e N2. L'analisi qualitativa del funzionamento è la seguente: quando uno degli avvolgimenti viene alimentato con tensione variabile nel tempo e l'altro, ad esempio, viene lasciato a morsetti aperti, nell'avvolgimento alimentato circola una corrente, pure variabile nel tempo. Tale corrente genera una f.m.m. che, agendo sul circuito magnetico comune, produce un flusso che concatena entrambi gli avvolgimenti. L'entità di questo flusso dipende principalmente da quello della tensione applicata e dal numero di spire dell'avvolgimento. Nell'altro avvolgimento si induce, per effetto della variazione del flusso, una f.e.m., la cui entità dipende, oltre che dal flusso, dal numero di spire dell'avvolgimento stesso; modificando tale numero di spire si modifica il rapporto tra le tensioni dei due avvolgimenti cioè il "rapporto di trasformazione". L'effetto trasformatorico è dovuto quindi alla variazione nel tempo del flusso concatenato con due o più avvolgimenti. Tale effetto si verifica anche nel caso in cui gli avvolgimenti siano collocati semplicemente in aria: tuttavia gli effetti sono quantitativamente molto più elevati se si utilizza come circuito magnetico un nucleo in materiale ferromagnetico. In tal caso, infatti, il flusso risulta confinato in prevalenza nel nucleo, con l'ottenimento di un elevato coefficiente di accoppiamento tra gli avvolgimenti (modesta entità dei flussi dispersi); inoltre la elevata permeabilità dei materiali (µr=103÷104) consente di ottenere il livello di flusso desiderato con valori molto bassi di f.m.m.. In fig. 01 è mostrata la forma costruttiva più adottata per la realizzazione di trasformatori monofase di potenza: si tratta della struttura cosiddetta a colonne. Infatti, il nucleo magnetico è costruttivamente formato da due parti fondamentali: le colonne, attorno alle quali sono disposti gli avvolgimenti, ed i gioghi, che collegano fra loro le colonne, per la chiusura del circuito magnetico. Sia le colonne (verticali, indicate con n in figura) che i gioghi (orizzontali, indicati con g) sono laminati, cioè realizzati con lamiere di piccolo spessore tra loro elettricamente isolate: questo, come si vedrà meglio nel seguito, per ragioni funzionali, legate alla necessità di contenimento delle correnti parassite. Il piano dei lamierini è disposto verticalmente, lungo la direzione del flusso. Fig. 01 Forma costruttiva più adottata di un trasformatore monofase. Gli avvolgimenti delle due fasi, di tipo concentrico, sono usualmente distribuiti su entrambe le colonne: i due gruppi possono essere connessi in serie o in parallelo, a seconda delle esigenze. 54 3. Studio del trasformatore con le equazioni degli induttori mutuamente accoppiati. Dal punto di vista del legame tensione-corrente ai morsetti (in tutto i morsetti sono quattro, due per ciascuno degli avvolgimenti), trascurando tutte le perdite il trasformatore può essere descritto con le equazioni di due induttori mutuamente accoppiati. Adottando per entrambi gli avvolgimenti la convenzione degli utilizzatori, si ha: v1 L1 pi1 Lm pi1 v 2 Lm pi1 L2 pi2 dove si è posto, per comodità, p d dt . Sommando e sottraendo a ciascuna delle equazioni una medesima, opportuna quantità, come mostrato nel seguito: v1 L1 pi1 Lm pi2 Lm pi1 Lm pi1 v 2 Lm pi1 L2 pi2 Lm pi2 Lm pi 2 e raccogliendo i vari addendi, si ottiene: v1 Lm pi1 i2 L1 Lm pi2 . v 2 Lm pi1 i2 L2 Lm pi2 Queste equazioni, perfettamente equivalenti a quelle iniziali del mutuo induttore, hanno una rappresentazione circuitale molto semplice (fig. 02): per la sua configurazione, tale circuito equivalente è noto sotto il nome di circuito equivalente a T. Fig. 02. Circuito equivalente a T del trasformatore. In linea di principio, con tale circuito è possibile studiare il funzionamento di due avvolgimenti mutuamente accoppiati; quindi, con i necessari completamenti per tener conto degli effetti dissipativi, esso consentirebbe di studiare il funzionamento del trasformatore. Tuttavia, si considerino le espressioni delle auto e mutue induttanze in funzione delle permeanze equivalenti agli effetti del flusso concatenato: L1 N1 2 1 ; L2 N 2 2 2 ; Lm N 1 N 2 m . In relazione al valore che possono avere i numeri di spire N1 ed N2 degli avvolgimenti, si verifica quanto segue: le induttanze L1 Lm e L2 Lm possono risultare positive o negative; tali differenze non consentono di mettere in evidenza le permeanze di dispersione: 1d 1 m ; 2 d 2 m . Pertanto per studiare il funzionamento del trasformatore si adotterà un metodo diverso di rappresentazione circuitale, in modo da eliminare questi inconvenienti. 55 4. Il trasformatore ideale. Si definisce trasformatore ideale un elemento circuitale ideale a quattro morsetti caratterizzato dal simbolo di fig. 03 e, con le convenzioni di misura ivi indicate, dalle equazioni: i1 1 v1 k . i2 k v2 Il parametro k prende il nome di rapporto di trasformazione; la coppia di morsetti primari viene anche detta porta di ingresso, mentre la coppia di morsetti secondari prende il nome di porta di uscita. Fig. 03. Simbolo del trasformatore ideale. Il trasformatore ideale è dunque un doppio bipolo che trasforma attraverso il fattore k la tensione e la corrente istantanea dalla porta di ingresso a quella di uscita, rispettivamente in proporzione diretta o inversa al rapporto di trasformazione k. Dal punto di vista energetico, per le potenze istantanee alle due porte vale la seguente relazione: i v1 i1 k v 2 2 v 2 i2 , k cioè il trasformatore ideale conserva la potenza istantanea. Quanto affermato nel caso di grandezze istantanee comunque variabili vale anche quando le grandezze sono sinusoidali, e quindi rappresentabili con i corrispondenti vettori sul piano complesso di vettori fissi: V1 k V2 I1 1 I2 k V1 I 1 V2 I 2 . La funzione del trasformatore ideale è quella di connettere fra loro parti di rete che si trovano a tensione diversa: in tal caso è importante valutare come effettuare il trasporto di un bipolo da una parte di rete all'altra, in modo che le reti complessive iniziale e finale siano equivalenti dal punto di vista energetico globale. La trattazione si differenzia a seconda che i bipoli siano connessi in serie o in parallelo rispetto ai morsetti di una porta del trasformatore ideale. Riporto di bipoli connessi in serie. Si consideri, ad esempio, il caso di fig. 04: di un bipolo (u) posto in serie ad un morsetto del secondario del trasformatore ideale (fig. 04.a) si vuole determinare il bipolo equivalente (u') posto in serie ad un morsetto del primario. Esaminiamo questa operazione di riporto nel caso dei tre bipoli passivi. 56 Resistore: l'equivalenza energetica tra bipolo originario R e bipolo equivalente riportato si impone con l'uguaglianza delle potenze perdute: R ' i1 2 R i2 2 . Esprimendo il rapporto delle correnti mediante il rapporto di trasformazione, si ottiene: R' R k 2 . Fig. 04. Trasporto di un bipolo in serie dal lato secondario al lato primario di un trasformatore ideale. Induttore: in questo caso l'equivalenza nel riporto si impone con l'uguaglianza delle energie accumulate: 1 ' 1 L i1 2 L i2 2 , 2 2 da cui, sempre mediante k, si ottiene: L' L k 2 . Condensatore: in tale caso conviene esprimere le energie accumulate in funzione delle corrispondenti cariche elettriche: 1 q1 2 1 q 2 2 , 2 C' 2 C q da cui: C ' C 1 2 . q2 Esprimendo poi le cariche in funzione delle correnti si ha: q2 ed infine: C C k ' 2 t t t 0 i2 dt 0 k i1 dt k 0 i1 dt k q1 . Riporto di bipoli connessi in parallelo. Si tratta di studiare l'operazione di riporto raffigurata in fig. 05, sempre con riferimento ai tre bipoli visti. Resistore: l'equivalenza energetica comporta che: 57 v1 2 v2 2 R' , R ovvero: 2 v R R 1 R k 2 . v2 Naturalmente impiegando il parametro duale conduttanza vale la relazione: ' G' G k 2 . Fig. 05. Trasporto di un bipolo in derivazione dal lato secondario al lato primario di un trasformatore ideale. Induttore: in funzione del flusso concatenato c, l'energia accumulata è pari a: 1 c1 1 c2 ' 2 2 L L 2 L L c1 c2 2 , ' ovvero: 2 . Esprimendo i flussi concatenati in funzione delle tensioni, si ha: c1 t 0 v1 dt t 0 k v 2 dt k t 0 v 2 dt k c 2 , da cui: L' L k 2 . Condensatore: l'uguaglianza delle energie accumulate si scrive: 1 ' 1 C v1 2 C v 2 2 , 2 2 C da cui: C ' . k2 Pertanto si conclude che il fattore di riporto dei parametri di bipoli passivi è pari a k 2 oppure a 1 k 2 a seconda del tipo di bipolo; il fattore di riporto è però indipendente dal fatto che essi siano collegati in serie o in parallelo. Nel caso di regime sinusoidale il valore del fattore di riporto è diverso a seconda che si consideri il parametro impedenza o ammettenza; valgono infatti le seguenti relazioni di riporto: Z ' k2 Z Y' Y k2 . 58 5. Il trasformatore reale con nucleo magnetico senza perdite. Il circuito elettrico equivalente di un trasformatore reale con nucleo magnetico non dissipativo si ottiene dallo studio del dispositivo in termini di grandezze magnetiche, tenendo conto delle relazioni che tali grandezze hanno con quelle elettriche, in base alla legge della circuitazione di Ampère ed alla legge della induzione elettromagnetica. A tale scopo, è necessario operare secondo la seguente sequenza: schematizzazione di un circuito magnetico a parametri concentrati, definito a partire dalla distribuzione delle correnti e dall'andamento dei tubi di flusso nello spazio occupato dal dispositivo; scrittura delle equazioni magnetiche, che legano i flussi nei tronchi di circuito magnetico alle correnti circolanti negli avvolgimenti (o meglio, alle corrispondenti f.m.m.); scrittura delle equazioni elettriche, che legano le tensioni ai morsetti di ciascun avvolgimento alle cadute di tensione resistive ed alle f.e.m. indotte dai flussi concatenati con gli avvolgimenti stessi; combinazione delle equazioni magnetiche con quelle elettriche; definizione di un circuito equivalente elettrico, corrispondente alle equazioni ottenute. Al fine di definire le convenzioni per la scrittura delle equazioni, si consideri la situazione di fig. 06: si tratta di un avvolgimento costituito da N spire, tutte ugualmente concatenate (con il senso di avvolgimento mostrato) con un tronco di circuito magnetico percorso da un flusso (t). L'avvolgimento, di resistenza R (rappresentata come un bipolo concentrato posto all'esterno della bobina avvolta), è percorso da corrente. Si decide di assumere, come verso della f.e.m. indotta in ciascuna spira dell'avvolgimento, quello legato al verso del flusso con la regola opposta a quella della vita destrorsa, cui corrisponde la scrittura: e = dc/dt. Fig. 06. Convenzioni per la scrittura delle equazioni di un trasformatore. Con le convenzioni di misura assunte, il legame tensione-corrente ai morsetti dell'avvolgimento è il seguente: v R i e R i d c d Ri N dt dt Cambiando il verso della corrente, nella equazione precedente comparirebbe un segno meno davanti alla c.d.t. resistiva. La struttura di trasformatore dalla quale si dedurranno le equazioni di funzionamento è del tipo rappresentato in fig. 01, dove per semplicità si considererà la presenza di due soli avvolgimenti concentrici disposti attorno ad una colonna, come d'altra parte effettivamente verificato in diversi casi reali. Il circuito equivalente che se ne deduce, tuttavia, è di validità generale, anche per trasformatori con configurazione diversa. Ciò premesso, si consideri la struttura rappresentata schematicamente in fig. 07: si tratta di un trasformatore monofase con due avvolgimenti concentrici (indicati con 1 e 2), disposti attorno 59 ad una colonna di un nucleo dotato di due colonne e di due gioghi e realizzato in materiale ferromagnetico. Fig. 07. Struttura del trasformatore usato nello studio. Si assume che entrambi gli avvolgimenti, qui rappresentati solo attraverso la loro sezione sul piano della figura, siano avvolti attorno alla colonna (dc) secondo il senso di avvolgimento indicato in fig. 06. Si considera alimentato l'avvolgimento primario (1), per il quale si adotta la convenzione degli utilizzatori. Si considera, invece, che l'avvolgimento secondario (2) alimenti un circuito di carico: per tale avvolgimento è dunque naturale adottare la convenzione dei generatori. In relazione al senso di avvolgimento attorno alla colonna ed ai versi assunti per le correnti circolanti, ne vengono i versi indicati con punto () e croce (+) per le correnti nelle sezioni delle bobine, rispettivamente uscenti ed entranti rispetto al piano della figura. L'ipotesi fondamentale che sta alla base della trattazione è quella di considerare solamente tubi di flusso magnetici a concatenamento totale. L'andamento reale delle linee di campo comporta coefficienti di concatenamento variabili da spira a spira di ciascun avvolgimento: tuttavia nello studio effettuato, in luogo di analizzare questa situazione di campo, estremamente complicata, si fa riferimento ad una situazione ad essa equivalente, nella quale i flussi magnetici considerati hanno il significato di flussi mediamente concatenati da ciascuna spira di ogni avvolgimento. Pertanto, il campo magnetico viene schematizzato mediante i tre tubi di flusso seguenti (fig.07): tubo di flusso di percorso (bcda), costituito da una parte del nucleo magnetico, di riluttanza 1 (non lineare, perchè in materiale ferromagnetico) e percorso dal flusso 1; tubo di flusso di percorso (afgb), costituito dalla restante parte del nucleo magnetico, di riluttanza 2 (anch'essa non lineare) e percorso dal flusso 2; tubo di flusso di percorso (ab), corrispondente allo spazio interposto fra i due avvolgimenti, di riluttanza d (lineare, in quanto legata alla permeabilità del vuoto µ0) e percorso dal flusso d, di dispersione perchè non percorre il circuito magnetico principale, costituito dal nucleo ferromagnetico. E' evidente che risulta: 1 2 d . 60 In base alla struttura magnetica schematizzata in fig. 07, si possono scrivere tre equazioni algebriche che legano i flussi alle correnti: una equazione di Kirchhoff dei flussi (LK), applicata al nodo magnetico a; due equazioni di Kirchhoff delle tensioni magnetiche (LKU), che esprimono la legge della circuitazione di Ampère applicata alle maglie (abcd) e (abgf): 1 2 d 1 1 d d N1 i1 . N i 2 2 2 2 d d Ricordando che le correnti totali concatenate corrispondono alle f.m.m., cioè: m1 N1 i1 ; m2 N 2 i2 , il sistema può anche scriversi: 1 2 d 1 1 d d m1 . m 2 2 2 d d Diversamente dalla precedente, questa formulazione mostra una importante proprietà: agli effetti delle equazioni magnetiche non ha importanza il valore delle singole correnti o dei numeri spire, ma il valore complessivo delle f.m.m.. Pertanto tali equazioni prescindono dai dati di avvolgimento del primario e del secondario, rimanendo invariate al mutare dei numeri spire, purché tale cambiamento sia in proporzione inversa della corrente corrispondente e mantenendo lo stesso ingombro complessivo dell'avvolgimento. Le equazioni magnetiche scritte sono interpretabili anche mediante il circuito di fig.08, dove sono mostrate esplicitamente le f.m.m. e sono richiamate le convenzioni di misura adottate per il dispositivo di fig. 07. Dalla risoluzione delle equazioni magnetiche si ricavano per i flussi le seguenti espressioni in funzione delle f.m.m.: 2 d m1 d m2 1 D D , d d m 1 m2 1 2 D D dove si è posto: D 1 2 1 d 2 d . Fig. 08. Schematizzazione del circuito magnetico del trasformatore di fig. 07. Queste relazioni si possono riscrivere nel seguente modo: 61 d 1 D m1 m2 d m m 1 2 2 D 2 m1 D . 1 m2 D Tale formulazione suggerisce di considerare i flussi dei tronchi magnetici avvolti come dati da un contributo comune, proporzionale alla differenza delle f.m.m. più (o meno) un contributo proporzionale alla propria f.m.m.: tali contributi rappresentano, rispettivamente, il flusso comune (m) ed i flussi di dispersione (1d, 2d): 1 m 1d 2 m 2d . Come detto: 1 2 d . Ne segue: m 1d d 1 m1 m2 m1 m2 m m1 m2 ; D 1 2 2 1 1 m1 m1 1d m1 2d 1 m2 m2 2 d m2 2 d 2 d D D dove: m : permeanza di magnetizzazione (è la permeanza del nucleo in ferro); 1d , 2d : permeanze di dispersione dell’avvolgimento primario e secondario. Pertanto la permeanza relativa al flusso comune è praticamente pari a quella del nucleo in materiale ferromagnetico, mentre le permeanze relative ai flussi di dispersione sono circa pari a metà di quella del tubo di flusso interposto fra le bobine. Per quanto riguarda le equazioni elettriche, si tratta di scrivere due equazioni di Kirchhoff delle tensioni (LKT), che legano tensione e corrente ai morsetti dei due avvolgimenti: v1 e1t R1 i1 v2 e2t R2 i2 Sulla base delle precedenti relazioni, le f.e.m. indotte complessivamente nei due avvolgimenti si possono così esprimere: d m d1d d c1 d1 e1t dt N1 dt N1 dt N1 dt e1 e1d e d c 2 N d 2 N d m N d 2d e e 2 2 2 2 2d 2t dt dt dt dt . Dunque come i flussi, anche le f.e.m. sono date da due contributi: uno (e1, e2) legato al flusso comune (detto anche mutuo o principale), l'altro (e1d, e2d) dovuto ai flussi di dispersione. E' interessante notare che fra le f.e.m. principali e1 ed e2 (denominate nel seguito semplicemente f.e.m.) esiste un legame preciso, indipendente dalle condizioni di funzionamento. Infatti si ha: 62 e1 e2 d m dt N1 d N2 N2 m dt N1 ; pertanto il rapporto fra le f.e.m. uguaglia il rapporto fra i numeri spire. Si deve inoltre osservare che questa relazione caratterizza il legame fra le tensioni ai morsetti di un trasformatore ideale, avente come rapporto di trasformazione il rapporto spire: e1 N1 k . e2 N 2 La derivata rispetto al tempo del flusso comune m rappresenta la f.e.m. indotta in ciascuna spira da tale flusso, cioè: e sp d m . dt Si riprendano ora in considerazione le relazioni che esprimono il legame tensione-corrente ai morsetti degli avvolgimenti; esplicitando ciascun termine si ottiene: di1 2 v1 e1 e1d R1 i1 e1 N1 1d dt R1 i1 . v e e R i e N 2 di2 R i 2 2 2 2 2d 2 2 2 2 2d dt Introdotte le quantità: L1d N12 1d , L2d N 22 2d denominate induttanze di dispersione, rispettivamente dell'avvolgimento primario e secondario, si ha: di1 v1 e1 e1d R1 i1 e1 L1d dt R1 i1 . v e e R i e L di2 R i 2 2 2 2d 2 2 2 2 2d dt Queste equazioni possono essere interpretate con i circuiti equivalenti riportati in fig. 09, dove provvisoriamente le f.e.m. principali sono rappresentate da generatori di f.e.m. ideale. Fig. 09. Primo circuito equivalente del trasformatore. Si riprenda ora in considerazione l'espressione del flusso comune: 63 m m m1 m2 . indicata con mm la differenza delle f.m.m.: mm m1 m2 , si può scrivere: mm m m . Poiché l'avvolgimento alimentato è il primario, tale f.m.m. corrisponde ad una corrente magnetizzante im, circolante in tale avvolgimento, tale per cui: m m N1 i m . Si può pertanto scrivere: N1 im N1 i1 N 2 i2 , e, posto: i ' i1 im si ottiene: N1 i ' N 2 i 2 , ovvero: i' N2 1 . i2 N1 k Dunque le correnti i ' ed i2 sono legate fra loro dall'inverso del rapporto spire, ovvero dall'inverso del rapporto di trasformazione con il quale sono legate fra loro le f.e.m. e1 ed e2 . E' dunque possibile rappresentare questi legami fra correnti e fra f.e.m. mediante un trasformatore ideale, come mostrato in fig. 10. D'altra parte, la f.e.m. e1 può essere espressa nel modo seguente: e1 N1 d m di d N1 m N1 im N1 2 m m dt dt dt cioè: di e1 Lm m , dt dove l'induttanza Lm è detta induttanza di magnetizzazione. I descritti legami fra le correnti i1 , i ' e l'espressione della f.e.m. e1 sono interpretabili con il circuito equivalente di fig. 11. Fig. 10 Fig. 11 64 Infine, il circuito equivalente completo del trasformatore monofase a due avvolgimenti è rappresentato in fig. 12. Fig. 12. Circuito equivalente completo del trasformatore. Applicando i metodi di riporto dei bipoli da una parte all'altra del trasformatore ideale, il circuito equivalente di fig. 12 può essere trasformato come indicato in fig. 13, dove: N L2 d k L2d 1 N2 ' 2 2 N 2 2 2d N1 2 2d , 2 N R2 ' k 2 R2 1 R2 . N2 Il circuito equivalente di fig. 13 mette in evidenza alcune interessanti proprietà: è ancora presente un gruppo di tre induttanze connesse a T, conformemente a quanto già evidenziato in fig. 02 a proposito del circuito equivalente di due induttori mutuamente accoppiati; tuttavia in questo caso le induttanze serie sono riferite allo stesso numero di spire e risultano proporzionali alle permeanze di dispersione degli avvolgimenti; l'induttanza Lm del ramo derivato è proporzionale alla permeanza del nucleo magnetico; l'equivalenza rispetto al circuito di fig. 12 è solo agli effetti esterni, cioè relativamente ai legami tensione-corrente alle due porte: infatti non è più possibile mettere in evidenza la f.e.m. e2 indotta nell'avvolgimento secondario. Fig. 13. Circuito equivalente completo con i parametri riportati al primario. 6. Proprietà elettriche e magnetiche intrinseche del trasformatore ideale. Sulla base della precedente trattazione è ora possibile evidenziare le caratteristiche proprie di un trasformatore ideale, dal punto di vista delle proprietà elettriche e magnetiche. A tale scopo conviene calcolare il rapporto delle tensioni e quello delle correnti, con riferimento al circuito equivalente di fig. 12: di e1 L 1d 1 R1 i1 v1 dt ; di2 v2 e2 L2 d R2 i 2 dt i ' im i1 i2 i2 i ' m i2 m N1 . 65 Dall'analisi di queste relazioni si deduce che il caso di trasformatore ideale comporta il verificarsi di queste condizioni: materiale magnetico privo di perdite e caratterizzato da un valore infinito di permeabilità. A tale condizione infatti corrisponde una riluttanza m del nucleo nulla ed una induttanza di magnetizzazione Lm infinita: basta una corrente infinitesima per far circolare il flusso m di valore finito. Ne segue: i1 N i' 1 2 ; i2 i2 N1 k assenza di flussi magnetici di dispersione (cioè: 1d 2d 0 , da cui: L1d L2d 0 ) ed avvolgimenti perfettamente conduttori ( R1 R2 0 ). Da tale ipotesi consegue: v1 e N 1 1 k . v 2 e2 N2 7. Perdite nel materiale magnetico e loro rappresentazione circuitale. Nel Cap.4 si è già mostrato il significato energetico del ciclo di isteresi: un materiale magnetico sottoposto a magnetizzazione alternata presenta delle perdite per isteresi che sono proporzionali alla massa M fe del materiale ferromagnetico, alla frequenza f di magnetizzazione ed al valore massimo della induzione BM elevato ad un esponente n. Pertanto si ha: Pist M fe f B M n l'esponente n (noto come coefficiente di Steinmetz) è normalmente compreso nel campo: 1.6÷2.3, con un valore usualmente non molto discosto da 2. Si osservi tuttavia che il valore massimo della induzione, che caratterizza il ciclo di isteresi, (valore qui indicato con BM), viene molto spesso indicato per consuetudine semplicemente con B, senza alcun pedice. Si sono anche determinate le perdite per correnti parassite, arrivando all’espressione: Pcp M fe 2 f2 B 2 2 . fe fe In definitiva le perdite specifiche nel ferro (per unità di massa e per un dato lamierino) si possono così scrivere: Pfe _ m Pist _ m Pcp _ m f B 2 f 2 B 2 dove si è assunto un esponente n=2 nelle perdite per isteresi, avendo inoltre inglobato nel coefficiente il fattore che lega BM a B ( BM 2 B ). Nelle condizioni più comuni di funzionamento la frequenza è una costante. Vi è dunque proporzionalità diretta fra f.e.m. indotta negli avvolgimenti ed induzione B; in particolare, per la E1 si ha: B E1 N1 A fe , 66 dove Afe è la sezione del nucleo magnetico. Si può dunque affermare che, a frequenza costante, le perdite ferro sono proporzionali al quadrato della f.e.m. E1. Questa osservazione consente di rappresentare le perdite nel ferro di un trasformatore tramite un bipolo resistenza (Rp), posto in parallelo alla induttanza Lm, come mostrato in fig. 14. Infatti, pur di adottare l'opportuno valore di Rp, si può porre: P fe E1 2 . Rp Fig. 14. Circuito equivalente completo che tiene conto anche delle perdite nel nucleo in ferro. 8. Funzionamento in regime sinusoidale. Circuiti equivalenti semplificati. Si consideri la condizione di funzionamento nella quale il primario del trasformatore sia alimentato con una tensione alternata sinusoidale di pulsazione . Se il circuito equivalente è integralmente composto da bipoli lineari, anche tutte le altre grandezze elettriche di funzionamento (tensioni, correnti, flussi, f.e.m.) sono sinusoidali: è quindi possibile utilizzare l’algebra fasoriale. Il circuito equivalente del trasformatore monofase a due avvolgimenti, funzionante in regime sinusoidale, è quello rappresentato in fig. 15, dove sono stati introdotti i vettori tensioni e correnti ai morsetti ed i parametri reattanze alla frequenza di alimentazione. A questo circuito equivalente corrisponde il diagramma vettoriale rappresentato in fig. 16 e 17. Fig. 15. Circuito equivalente completo del trasformatore monofase a due avvolgimenti in regime sinusoidale. Il diagramma fa riferimento ad un trasformatore abbassatore k N1 N 1 (fig. 16) ed 2 innalzatore, k<1 (fig. 17). In esso, per ragioni di visibilità grafica, l'ampiezza del vettore corrente nel ramo derivato ( I 0 ) è stata amplificata rispetto alle ampiezze delle correnti primaria 67 e secondaria; analogamente, le c.d.t. resistive ( R1 I1 , R2 I 2 ) e le c.d.t. induttive ( j X 1d I1 , j X 2 d I 2 ) sono amplificate rispetto alle tensioni primaria e secondaria. Nella realtà i suddetti vettori sono molto piccoli. L'ordine di grandezza rispetto ai valori di funzionamento a pieno carico, detti valori nominali (pedice n), è il seguente: I 0 0,01 0,02 I1n ; R1 j X 1d I1n 0,02 0,03 V1n . Questa osservazione consente di ritenere valide anche per il trasformatore reale le relazioni viste per quello ideale, con discreta approssimazione; dunque: V1 k ; V2 Fig. 16. Diagramma vettoriale qualitativo del trasformatore monofase abbassatore con carico ohmico – induttivo. I1 1 . I2 k Fig. 17. Diagramma vettoriale qualitativo del trasformatore monofase innalzatore con carico ohmico – induttivo. Inoltre, grazie alle relazioni viste, si giustifica la trasformazione del circuito equivalente secondo quanto rappresentato in fig. 18.a (circuito equivalente ridotto del primo tipo). Il ramo derivato è spostato a monte della impedenza serie primaria Z 1 R 1 j X 1 d e si pone: Rs R1 k 2 R2 R1 R2' ; X s X 1d k 2 X 2d X 1d X 2' d Questa trasformazione circuitale, non giustificabile da un punto di vista teorico, risulta del tutto lecita dal punto di vista operativo, proprio grazie alle citate proporzioni numeriche. In talune applicazioni, tipicamente quando le correnti circolanti sono elevate, si arriva addirittura a sostituire il ramo derivato con un circuito aperto, trascurando la corrispondente corrente I0 rispetto alle correnti di linea (fig. 18.b, circuito equivalente ridotto del secondo tipo). 68 Fig. 18.a. Circuito equivalente ridotto Fig. 18.b. Circuito equivalente ridotto del secondo tipo. del primo tipo. 9. Grandezze nominali. Il valore nominale di una grandezza (tensione, corrente, potenza) indica il massimo valore che essa può assumere senza dar luogo a rapidi deterioramenti degli isolanti e quindi della macchina. Le tensioni nominali V1n e V2n sono riferite al funzionamento a vuoto, per il quale (vedi par. successivo): V1n V2 n k N1 N2 . La potenza nominale di un trasformatore è la massima potenza che esso può erogare, in un determinato tipo di servizio (continuativo, di durata limitata, intermittente), senza superare la massima temperatura ammessa dagli isolanti utilizzati. Il riscaldamento della macchina è provocato dalle perdite nel nucleo in ferro e da quelle negli avvolgimenti in rame. Le prime dipendono dal quadrato della tensione e sono indipendenti dall’intensità della corrente; le seconde dipendono dal quadrato della corrente e sono indipendenti dalla tensione. Non interviene in alcun modo lo sfasamento tra queste due grandezze, sfasamento imposto dal carico cui la macchina è collegata. Se ne deduce che la grandezza idonea ad indicare la potenza erogabile da un trasformatore è il prodotto della tensione per la corrente, cioè è una potenza apparente, misurata in volt–ampere [VA]. In sede normativa si è stabilito che la potenza nominale An è data dal prodotto della tensione secondaria a vuoto V2n per la corrente secondaria nominale I2n. Per la sola definizione di potenza nominale, si considera il trasformatore ideale, cioè senza perdite: la potenza erogata è pari a quella assorbita. Data la potenza nominale An e le tensioni V1n e V2n, le correnti nominali sono date da: I1n An V1n I 2n An V2n 10. Funzionamento a vuoto. Trasformatori di misura voltmetrici (TV). Il funzionamento a vuoto di un trasformatore corrisponde ad alimentare un avvolgimento, lasciando aperti i morsetti dell'altro: in queste condizioni nell'avvolgimento primario circola solamente la corrente I 0 che, per tale ragione, viene denominata corrente a vuoto (fig. 19). La modesta entità di questa corrente rispetto al valore della corrente nominale rende evanescente la c.d.t. sull'impedenza serie primaria, giustificando pienamente lo spostamento del ramo derivato a monte di tale impedenza. Non essendoci corrente al secondario, non si verifica 69 neppure una corrispondente c.d.t. sulla impedenza serie secondaria: ne consegue il circuito equivalente di fig. 20. Fig. 19. Circuito equivalente completo del trasformatore nel funzionamento a vuoto. Fig. 20. Circuito equivalente ridotto del trasformatore nel funzionamento a vuoto. E' evidente che in questa situazione di funzionamento il rapporto fra le tensioni ai morsetti è, con ottima approssimazione, pari al rapporto spire: V10 V2 0 k N1 N2 . Su questa proprietà del funzionamento a vuoto si basa l'impiego del trasformatore come riduttore per la misura della tensione (TV). Si tratta di un impiego tipico per il rilievo di medie o alte tensioni: il primario del TV è connesso all'alta tensione. Il secondario, metallicamente separato, riduce la tensione ad un livello più basso, secondo un rapporto di trasformazione noto e costante. Tale livello è di valore normalizzato (di solito 100V) per gli strumenti di misura di tipo voltmetrico ed è più sicuro contro eventuali contatti diretti delle persone. D'altra parte, il collegamento degli strumenti di misura ai morsetti del secondario non modifica in modo significativo la situazione di funzionamento a vuoto del TV, perchè tali strumenti sono caratterizzati da una impedenza idealmente infinita. Il circuito equivalente di fig. 20 suggerisce anche il modo per determinare il valore dei parametri Rp e Xm a partire dai rilievi effettuati durante una prova a vuoto del trasformatore. Durante tale prova si rilevano la tensione di alimentazione V, la corrente assorbita I0 e la potenza attiva P0: è evidente che tale potenza corrisponde alle perdite nel nucleo magnetico, mentre la potenza reattiva (Q0) è quella necessaria alla magnetizzazione. In corrispondenza al valore nominale della tensione Vn (V1n o V2n), si ricava: A0 n Vn I 0 n ; Q02n A02n P02n ; 70 Xm Vn2 ; Q0 n V2 Rp n P0 n . Inoltre, effettuando una prova a vuoto a tensione variabile si osserva quanto segue: le perdite ferro sono circa proporzionali al quadrato della tensione, e dunque sono correttamente rappresentate dal parametro Rp, costante e posto in derivazione nel circuito equivalente; la corrente magnetizzante cresce al crescere della tensione, ma non in modo lineare. Precisamente si ha: I m V m , con m crescente al crescere della tensione (a causa della saturazione magnetica del nucleo) fino a valori pari a: m=8÷10 e oltre; pertanto il parametro Xm dipende sensibilmente dal valore della tensione di alimentazione. Va infine osservato che la quantità: I0n i0 n , In pari al rapporto fra corrente a vuoto a tensione nominale e corrente nominale è indipendente dal lato del trasformatore da cui si effettua la prova. La quantità i0n è detta corrente a vuoto a tensione nominale in valore relativo; frequentemente si dà il valore percentuale: I0n i0 n % 100 . In Il suo valore varia tra il 5% e 1% all’aumentare della potenza nominale del trasformatore. 11. Funzionamento in corto circuito. Trasformatori di misura amperometrici (TA). Il funzionamento in corto circuito corrisponde ad applicare tensione ai capi di un avvolgimento, chiudendo quelli dell'altro su un collegamento di impedenza nulla. In queste condizioni è sufficiente applicare una tensione molto minore della nominale perchè negli avvolgimenti circoli la corrente nominale: la corrente magnetizzante Im, assorbita dal ramo derivato, già piccola quando la tensione di alimentazione è quella nominale, risulta in questo caso del tutto trascurabile. Analoga considerazione si può fare per le perdite ferro, cui nel circuito equivalente corrisponde la corrente Ip (fig. 21). Fig. 21. Circuito equivalente completo del trasformatore nel funzionamento in corto circuito. Pertanto per il funzionamento in corto circuito si può adottare il circuito equivalente di fig. 22. 71 Fig. 22. Circuito equivalente ridotto del trasformatore nel funzionamento in corto circuito. E' evidente che in questa situazione di funzionamento il rapporto fra le correnti ai morsetti è, con ottima approssimazione, pari all'inverso del rapporto spire: I1k I2k 1 N2 k N1 , dove con l'indice k si vuole indicare che le quantità considerate sono quelle di una prova di corto circuito. Su questa proprietà del funzionamento in corto circuito, duale di quella descritta per il funzionamento a vuoto, si basa l'impiego del trasformatore come riduttore per la misura della corrente (TA). Si tratta di un impiego tipico per il rilievo di medie o alte correnti, o anche per il rilievo, in condizioni di sicurezza, di correnti in un sistema a tensione elevata: il primario del TA, dotato di un basso numero di spire (al limite un solo concatenamento, corrispondente al filo di linea), è in serie al circuito del quale si vuole misurare la corrente. Il secondario, metallicamente separato, riduce tale corrente ad un livello più basso secondo un rapporto di trasformazione noto e costante. Tale livello è di valore normalizzato(di solito 5 A) per gli strumenti di misura, di tipo amperometrico. D'altra parte, il collegamento di tali strumenti in serie ai morsetti del secondario non modifica sostanzialmente la situazione di funzionamento in corto circuito del TA, perché tali strumenti sono caratterizzati da una impedenza idealmente nulla e praticamente molto bassa. Al pari di quanto mostrato per quello di fig. 20, il circuito equivalente di fig. 22 suggerisce anche il modo per determinare il valore dei parametri R s R1 R'2 e X s X 1d X '2d , a partire dai rilievi effettuati durante una prova in corto circuito del trasformatore. Durante tale prova si rilevano la tensione di alimentazione Vk (V1k se si alimenta il primario; V2k se si alimenta il secondario chiudendo in corto circuito il primario), la corrente assorbita Ik e la potenza attiva Pk: è evidente che tale potenza corrisponde alle perdite Joule negli avvolgimenti del trasformatore, mentre la potenza reattiva (Qk) è quella corrispondente ai flussi di dispersione. In corrispondenza alla corrente nominale, Ik = In, si ha: Ak n Vk n I n ; Rs Pk n I n2 ; Qk2n Ak2n Pk2n ; Xs Qk n I n2 . Le seguenti tensioni: Vkr n Rs I n , Vkx n X s I n 72 sono le componenti, rispettivamente ohmica e reattiva, della tensione di corto circuito Vkn, il cui valore efficace al quadrato vale: Vk2n Vkr n 2 Vkx n 2 . Va infine osservato che la quantità: vk n Vk n , Vn pari al rapporto fra tensione di corto circuito a corrente nominale e tensione nominale, è indipendente dal lato del trasformatore da cui si effettua la prova. Infatti, alimentando il lato primario e chiudendo in corto circuito il lato secondario, si ha in termini vettoriali: v1k n V1k n V1n R s I1n j X s I1n R s I1n 2 j X s I1n 2 Pk n j Qk n . V1n V1n I1n An Alimentando il lato secondario e chiudendo in corto circuito il lato primario, si ha: v2k n V2k n V2 n Rs' ' I 2 n j X s'' I 2 n V2 n Rs' ' I 2 n 2 j X s'' I 2 n 2 Pk n j Qk n . V2n I 2 n An In entrambe le prove, circolano nel primario e nel secondario le stesse correnti nominali I1n ed I2n; ne segue che sono le stesse sia la potenza persa negli avvolgimenti Pkn che la potenza reattiva Qkn associata ai campi magnetici di dispersione. La quantità vkn è detta tensione di corto circuito relativa; frequentemente si dà il valore percentuale: Vk n 100 . vk n % Vn Il suo valore varia tra il 4 15 % all’aumentare della potenza nominale del trasformatore. Per i piccoli trasformatori monofase assume anche il valore del 2 – 3 % . Esempio 1. Un trasformatore monofase abbia potenza nominale An= 1 kVA, tensioni nominali V1n/V2n=400V/230V e frequenza nominale fn= 50 Hz. Le prove a vuoto a tensione nominale ed in corto circuito a corrente nominale hanno dato come risultati: prova a vuoto con alimentazione del primario: I10n = 75 mA; P0n = 20 W. prova in corto circuito con alimentazione del primario: V1kn = 15 V; Pkn = 30 W. Determinare le correnti nominali ed i parametri del circuito equivalente riferiti al lato primario. Correnti nominali: I1n An = 2.5 A V1n I 2n An = 4.35 A . V2n Potenza apparente assorbita a vuoto: A0 n V1n I10 n = 30 VA; si osservi che è molto minore della potenza nominale An . Potenza reattiva a vuoto: Q0 n A02n P02n = 22.4 var . Ne segue: 73 Xm V12n = 7140 ; Q0 n Rp V12n = 8000 . P0 n In un trasformatore di piccola potenza, quale è quello esaminato, i due parametri trovati sono dello stesso ordine di grandezza; man mano cresce la potenza nominale, la reattanza diventa sempre più piccola rispetto alla resistenza Rp (la potenza reattiva Q0n diventa via via più grande della potenza attiva P0n). I10 n = 0.030 = 3.0 % . La corrente a vuoto in valore relativo è pari a i0 n I1n Parametri in serie riferiti al primario. Potenza apparente assorbita in corto circuito: Ak n V1 k n I1n = 37.5 VA; si osservi che è molto minore della potenza nominale An . Potenza reattiva assorbita in corto circuito: Qk n Ak2 n Pk2n = 22.5 var . Ne segue: Pk n Rs 2 = 4.80 ; I1n Xs Qk n 2 I1n = 3.60 . Al crescere della potenza nominale del trasformatore, la potenza reattiva Qkn (e quindi la reattanza Xs) diventa via via più grande della potenza attiva Pkn (e quindi la reattanza Xs supera la resistenza Rs). Mentre per piccole potenze nominali il trasformatore si comporta come un elemento ohmico–induttivo, all’aumentare della potenza tende a comportarsi come un elemento induttivo, con pochissime perdite. La tensione di corto circuito in valore relativo è pari a: Pk n Qk n = 0.030 = 3.0 % = 0.0225 = 2.25 % vkr n vkx n An An 2 2 vk n vkr n vkx n Ak n An = 0.0375 = 3.75 % 12. Dati di targa. I dati di targa sono composti da (in parentesi è riportata l’indicazione di targa del trasformatore dell’esempio precedente): potenza nominale An [VA] (An = 1 kVA); tensioni nominali primaria e secondaria V1n/V2n [V/V] (V1n/V2n = 400V/230V); la frequenza nominale fn [Hz] (fn =50 Hz); la tensione di corto circuito in valore relativo vkn e la potenza persa in corto circuito Pkn [W] a corrente nominale (dati indipendenti dal lato di alimentazione): (vkn = 3.75%, Pkn= 30W); la corrente a vuoto in valore relativo i0n e la potenza persa a vuoto P0n [W] a tensione nominale (dati indipendenti dal lato di alimentazione) (i0n = 3.0%, P0n= 20W). 13. Variazione di tensione nel passaggio da vuoto a carico Si consideri un trasformatore alimentato a tensione primaria nominale V1n. Nel funzionamento a vuoto (senza carico allacciato) la tensione ai morsetti dell’avvolgimento secondario è pari al valore nominale V2n. Se il secondario viene chiuso su un carico, la tensione V2 ai suoi morsetti subisce una variazione. Si vuole determinare la variazione del modulo della tensione secondaria V2 nel passaggio da vuoto a carico. Essa viene solitamente espressa in valore relativo, riferita al valore nominale: 74 V V2 V 2 n V2 n . Si consideri il circuito equivalente ridotto del 1° tipo, in cui i parametri serie sono riportati sul lato secondario (fig. 23) . Fig. 23. Circuito equivalente ridotto del 1° tipo, per lo studio della variazione di tensione nel passaggio da vuoto a carico. A vuoto (interruttore Q2 aperto), la corrente secondaria I2 è nulla. Ne segue: V2 V20 dove V20 N2 1 V1 V1n V2n N1 k Si chiuda l’interruttore Q2. Per la maglia del secondario è possibile scrivere la seguente equazione: V20 V2 R s" I 2 j X s" I 2 . A tale equazione corrisponde il diagramma vettoriale riportato in fig. 24, nell’ipotesi che il carico sia di natura ohmico–induttiva (caso più frequente in pratica). Ciò che interessa determinare non è la differenza vettoriale tra i fasori V20 e V2 , bensì la differenza tra i moduli dei due vettori: V V20 V2 V2 n . Infatti, interessa conoscere il valore efficace della tensione attualmente applicato al carico, NON se esso sia sfasato rispetto alla tensione nella condizione a vuoto. Si riporti con un compasso il vettore V20 sul prolungamento del vettore V2 , ottenendo il punto D. Si tracci inoltre la proiezione di V20 sul prolungamento del vettore V2 , ottenendo il punto C. Per piccoli valori dell’angolo V20 V2 , il segmento CDv è trascurabile rispetto al segmento OCv (cosa quasi sempre verificata nella pratica). Quindi: v = fattore di scala [V/cm] V V20 V2 OC v OA v AC v AB v BC v dove AB v Rs" I 2 cos BC v X s" I 2 sin 75 Fig. 24. Diagramma vettoriale del circuito secondario del trasformatore chiuso su un carico. Ne segue: V V2 R s" I 2 cos X s" I 2 sin V 20 V2 n V2 n Si introduca il fattore di carico : I 2 . I 2n Si ricava: R " I X " I V s 2 n cos s 2n sin vkrn cos vkxn sin , V2n V2 n dove si sono introdotte le componenti resistiva vkrn e reattiva vkxn della tensione di corto circuito in valore relativo. La variazione di tensione dipende quindi: dalla potenza assorbita dal carico, espressa dal fattore di carico , variabile tra 0 e 1, o superiore a 1 in caso di sovraccarico (di durata limitata); dalla natura del carico (ohmico, ohmico –induttivo, ohmico – capacitivo, …), espressa dal fattore di potenza cos(); dalle caratteristiche del trasformatore, espresse mediante la resistenza e la reattanza serie o le componenti ohmica e reattiva della tensione di corto circuito. Si fa notare che hanno influenza sia l’impedenza serie dell’avvolgimento primario che quella del secondario: il loro contributo è circa uguale. E’ differente, invece, il contributo della resistenza da quello della reattanza. Il campo di variazione della tensione di corto circuito è molto limitato passando da macchine di piccola potenza a quelle di potenza maggiore. Ne segue che l’espressione così ottenuta per la variazione di tensione è di immediato impiego. 76 Esempio 2 Si consideri trasformatore dell’esempio 1 V1n / V2n =400 V / 230V An = 1 kVA vkn = 3.75 % = 0.0375 vkrn = 3.0% = 0.030 vkxn = 2.25 % = 0.0225 Il carico sia di tipo ohmico – induttivo: cos() = 0.9R , sin() = 0.44 (R: ritardo) e stia funzionando al 90% del valore nominale: = 0.90. Si ricava: V vkrn cos vkxn sin 3.32% La tensione sul secondario è quindi: V2 V2n 1 V = 222.4 V . Usualmente il massimo valore tollerabile della variazione di tensione è pari al 5%. Si fa presente che, se il carico è di tipo ohmico – capacitivo, la variazione di tensione può essere negativa, cioè si manifesta un innalzamento della tensione passando da vuoto a carico. Infatti, con corrente in anticipo sulla tensione: sin() < 0. 14. Corrente di corto circuito. Si supponga che il trasformatore, alimentato a tensione primaria nominale, stia alimentando un carico. Improvvisamente si manifesta un corto circuito ai morsetti del carico (fig. 25). Si vuole valutare l’andamento nel tempo della corrente di corto circuito ed il suo valore a regime. La corrente di corto circuito a tensione nominale è molto maggiore della corrente nominale, la quale è superiore alla corrente a vuoto I0. Quindi, si può utilizzare il circuito equivalente ridotto del secondo tipo, in regime variabile (fig. 26). Fig. 25. Corto circuito sul lato secondario di un trasformatore alimentato a tensione nominale. Fig. 26. Circuito equivalente ridotto del secondo tipo per lo studio del corto circuito improvviso. (*) La legge alle maglie comporta: v1n t R s i1 t Ls d i1 t dt Si tratta di una equazione differenziale del primo ordine a coefficienti costanti. La soluzione è data dalla somma di un integrale dell’equazione omogenea e di un integrale particolare. i1 t i1o t i1 p t La soluzione dell’omogenea associata è: i1 o t A e t s L dove s s è la costante di tempo del circuito di guasto. Rs 77 L’integrale particolare coincide con la soluzione di regime. Infatti: lim i1 t i1 p t t Se la tensione di alimentazione è sinusoidale, ne segue: v1n t 2 V1n sin t i1 p t 2 V1n Rs2 Ls 2 sin t s Ls è l’angolo caratteristico dell’impedenza serie del trasformatore. Rs dove s a tan L’integrale generale risulta quindi: i1 t A e t s 2 V1n Rs2 Ls 2 sin t s La costante A viene determinata sulla base delle condizioni iniziali. Si sposti l’origine dei tempi all’istante t0 in corrispondenza al quale avviene il guasto. In tale istante la corrente i1, sinusoidale, assume il valore Ia; ne segue: Ia A 2 V1n R s2 Ls 2 sin s A Ia 2 V1n R s2 Ls 2 sin s La soluzione è quindi: i1 t I a e Ia e t s t s t s sin s e sin t s 2 2 Rs Ls 2 V1n 2 V1n Rs2 Ls 2 sin s e ia t ib t ic t t s 2 V1n Rs2 Ls 2 sin t s Si analizzino i diversi termini della formula. Ls s a tan Rs angolo caratteristico dell’impedenza del trasformatore: per i piccoli trasformatori (fino a pochi chilo–volt–ampere) Ls Rs s 45 ; per i grossi trasformatori Ls Rs s 90 ; I cc1n V1n R s2 Ls 2 valore efficace della corrente primaria di corto circuito a regime; Sia V1kn la tensione primaria che, nella prova di corto circuito a corrente nominale, fa circolare la corrente nominale, sia nel primario che nel secondario. La tensione di corto circuito in valore relativo è v kn . Ne segue: I cc1n V1n V V V 1 1n 1n 1kn I1n v kn R s2 Ls 2 Z s V1kn Z s 78 Poiché v kn = (3 – 15) %, I cc1n =(7 – 33) I 1n La corrente I a nel regime preesistente al guasto può al massimo raggiungere il valore I a 2 I 1n . Essa è quindi trascurabile rispetto alle altre componenti della corrente di guasto. La corrente sul lato secondario si ricava naturalmente tramite il rapporto di trasformazione: i2 t k i1 t Le diverse componenti sono rappresentate in fig.27. i1(t) v(t) ib(t) ia(t) i1(t) istante del guasto t/T 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Fig. 27. Andamento temporale delle diverse componenti della corrente di corto circuito a valle di un trasformatore. In ascissa è riportato il tempo rapportato al periodo della tensione sinusoidale (per f=50Hz, T=20ms). Le componenti sono quelle riportate nella formula del testo. Determinazione semplificata della corrente di guasto a regime. Si faccia riferimento al circuito equivalente di fig. 28. Il valore efficace della corrente di guasto a regime è pari a: I cc1n V1n R s2 Ls 2 ; 79 Fig. 28. Circuito equivalente per la determinazione della componente a regime della corrente di corto circuito. Sia V1kn la tensione primaria che, nella prova di corto circuito a corrente nominale, fa circolare la corrente nominale, sia nel primario che nel secondario. La tensione di corto circuito in valore relativo è v kn . Ne segue: I cc1n Poiché v kn = (3 – 15) %, V1n R s2 Ls 2 V V V 1 1n 1n 1kn I1n Z s V1kn Z s v kn I cc1n =(7 – 33) I 1n La corrente di guasto è importante: per gli sforzi che agiscono sugli avvolgimenti. Essi sono proporzionali al prodotto delle correnti negli avvolgimenti primario e secondario. E’ necessario quindi ammarrare bene gli avvolgimenti, così che essi non si deformino. SI tenga conto che la componente transitoria può comportare il raddoppio della corrente istantanea rispetto a quella di regime. Per dimensionare il potere di interruzione dell’interruttore di protezione del trasformatore. Il potere di interruzione è la massima corrente che l’interruttore è in grado di interrompere: essa è definita come corrente di regime, non totale (regime più transitoria). Esempio Si abbia un trasformatore monofase: An = 4 kVA V1n / V2n =400 V / 48V vkn = 3.5 % = 0.035 Si ricava: vkrn = 1.4% = 0.014 I1n / I2n =10 A / 83.3 A vkxn = 3.2 % = 0.032 (correnti nominali) Le componenti a regime della corrente di corto circuito sono: I I I cc1n 1n = 28.6 I1n = 286 A I cc 2n 2n = 28.6 I2n = 2.38 kA vkn vkn L’interruttore posto sul lato primario del trasformatore dovrà avere un potere di interruzione superiore a Icc 1n =286 A; per quello posto sul lato secondario, il potere di interruzione dovrà essere superiore a Icc 2n =2.38 kA. Con i moderni interruttori questi valori sono facilmente ottenibili. 15. Perdite e rendimento. Il rendimento del trasformatore, come di una qualunque altra macchina, è definito come rapporto fra potenza resa (Pr) e potenza assorbita (Pa): Pr Pa . 80 Indicando con Pp le perdite totali della macchina, vale la reazione: Pa Pr Pp , da cui: Pr Pp Pp P Pr r , Pa Pr Pp Pr Pp cioè: 1 Pp . Pr Pp Le perdite Pp sono costituite dalle perdite Joule negli avvolgimenti e da quelle nel nucleo magnetico; supponendo di alimentare il trasformatore a tensione nominale, tali perdite hanno espressione, rispettivamente: P fe P fen ; Pk Rs I 2 Rs I n2 I In 2 Pkn 2 dove Pkn sono le perdite Joule negli avvolgimenti a corrente nominale, mentre , rapporto tra la corrente di funzionamento ed il valore di corrente nominale, rappresenta il carico del trasformatore espresso in valore relativo: si noti, infatti, che rappresenta anche il rapporto fra potenza apparente erogata e suo valore nominale: V I I A n I n Vn I n An . Le perdite totali hanno dunque espressione: Pp Pfen Pkn 2 , mentre la potenza resa vale: Pr Vn I n cos Vn I n cos An cos . Il rendimento ha pertanto la seguente espressione: 1 Pfen Pkn 2 An cos Pfen Pkn 2 La funzione ha un massimo in corrispondenza di un valore di max , calcolabile ponendo: d 0 . d Si ottiene: max Pfen Pjn . Per il trasformatore dell’esempio max = 0.816. L'andamento delle funzioni Pp e è rappresentato in fig. 29: in tale figura è anche messo in evidenza il fatto che un basso fattore di potenza del carico influenza negativamente il rendimento di un trasformatore. 81 Fig. 29. Andamento del rendimento in funzione del fattore di carico . 16. Autotrasformatore ideale. Come si è visto, in un trasformatore ideale a carico (fig. 30.a) le correnti nei due avvolgimenti sono tali da produrre f.m.m. uguali e tra loro in opposizione, sono cioè correnti controverse. Per quanto riguarda il comportamento interno, nulla cambia se i due avvolgimenti vengono connessi in serie (fig. 30.b): da tale connessione trae origine una macchina che prende il nome di autotrasformatore. Fig. 30. Autotrasformatore. Anche se meno aderente alla realtà costruttiva, lo schema rappresentato in fig. 31 è più comodo di quello di fig. 30.b, agli effetti delle considerazioni da svolgere. Fig. 31. Schema di un autotrasformatore Come lo schema mette in evidenza, questa connessione comporta che uno dei circuiti esterni (precisamente quello alla porta di ingresso) faccia capo all'insieme dei due avvolgimenti, mentre l'altro è ancora collegato con gli estremi dell'avvolgimento secondario del trasformatore originario a due avvolgimenti. Questo avvolgimento (dotato di Nc spire) viene detto avvolgimento comune (pedice c); l'altro, per la sua collocazione, è detto serie (pedice s) ed è dotato di Ns spire. 82 Si richiamano le ipotesi corrispondenti a considerare il funzionamento ideale: perdite nulle nel nucleo magnetico: è pertanto infinita la resistenza derivata Rp (cioè nulla la corrente di perdita Ip); permeabilità infinita del materiale magnetico costituente il nucleo: è infinita la reattanza di magnetizzazione Xm (cioè nulla la corrente magnetizzante Im); assenza di perdite Joule negli avvolgimenti: questo comporta resistenze serie nulle nel circuito equivalente; flussi dispersi nulli: sono nulle le reattanze serie. Con tali ipotesi, fra le grandezze elettriche indicate nello schema di fig. 31 sussistono le seguenti relazioni, in regime sinusoidale: V1 Vc Vs Vc V2 Vs N s Vc N c I1 I s I2 Is Ic N s I s Nc Ic . Per quanto riguarda le potenze, la potenza apparente ai morsetti, detta potenza passante ( A p ), vale: A p V1 I1 V2 I 2 , mentre la potenza propria degli avvolgimenti,detta potenza interna ( Ai ) vale: Ai V s I s N s E sp I s E sp N c I c Vc I c . Da questa dipende il dimensionamento della macchina, e quindi anche il costo. Con riferimento alla fig. 31, se si sciogliesse il collegamento interno tra i due avvolgimenti si otterrebbe un trasformatore ideale a due avvolgimenti, detto trasformatore corrispondente, di potenza pari alla potenza interna dell'autotrasformatore. Un parametro significativo di un autotrasformatore è il rapporto di nucleo, pari al rapporto fra la potenza interna e la potenza passante; tale quantità viene indicata con c: c Ai . Ap In base alle relazioni precedenti il rapporto di nucleo risulta pari a: V I V I V V2 c s s s 1 1 . V1 I1 V1 I1 V1 Questa espressione mette in evidenza che, a pari potenza passante e a pari tensione ai morsetti (primaria e secondaria), la potenza apparente in gioco nei due avvolgimenti è tanto più piccola quanto più le due tensioni sono tra loro prossime: si riducono il dimensionamento e quindi il costo. Per questa ragione gli autotrasformatori sono vantaggiosamente utilizzati per l'interconnessione di reti a tensione diversa ma con rapporto fra le tensioni in genere non superiore a due; a fronte di tale significativo vantaggio ed ad altri qui non considerati si ha la caratteristica negativa della continuità metallica tra le due reti connesse dall'autotrasformatore. 83 17. Trasformatore ideale a tre avvolgimenti. Si consideri un trasformatore monofase a due avvolgimenti: disponendo attorno al nucleo magnetico un terzo avvolgimento, usualmente concentrico con i due preesistenti, si realizza il cosiddetto trasformatore a tre avvolgimenti (sempre nella versione monofase). In fig. 32 è raffigurato schematicamente un trasformatore a tre avvolgimenti (disposti separatamente invece che attorno ad un'unica colonna, per semplicità di rappresentazione). Si studia il funzionamento di questo trasformatore in regime sinusoidale e nell'ipotesi di idealità (nucleo non dissipativo, con permeabilità infinita e senza flussi dispersi; avvolgimenti privi di resistenza). Fig. 32. Trasformatore monofase a tre avvolgimenti. Come mostrato in fig. 32, si considera che l'avvolgimento di N1 spire sia alimentato (dunque funga da primario), mentre gli altri due, facenti funzione di secondari, alimentano dei carichi esterni. In base all'ipotesi di flussi dispersi nulli, esiste un solo flusso (valore efficace), che percorre il nucleo magnetico e concatena in uguale modo tutte le spire dei tre avvolgimenti; si ha dunque: E sp j . Considerando che sono nulle le c.d.t. resistive e reattive negli avvolgimenti, le tensioni ai morsetti, misurate con le convenzioni di fig. 32, coincidono con le f.e.m. indotte negli stessi avvolgimenti; si ha perciò: Vk N k E sp con k 1, 2, 3; fra le tensioni ai morsetti valgono, pertanto, le seguenti relazioni: V V1 V 2 3 E sp . N1 N 2 N3 Il flusso nel nucleo è, come in ogni circuito magnetico, sostenuto dalla f.m.m. risultante di magnetizzazione M m in base alla relazione: M m n dove n è la riluttanza del nucleo magnetico; d'altra parte, essendo imposta la tensione di alimentazione V1, il flusso risulta ad essa vincolato in base alla relazione: V1 . j N1 Peraltro, dall'ipotesi di permeabilità infinita del materiale magnetico consegue: 84 n 0 ; quindi risulta: Mm 0 . Con i versi indicati in fig. 32 per le correnti, si ha: M m M1 M 2 M 3 0 , ovvero: M1 M 2 M 3 , cui corrisponde l'espressione: N1 I1 N 2 I 2 N 3 I 3 . Questa relazione ha un preciso significato. Note le correnti erogate dagli avvolgimenti secondari (correnti determinate, in modulo e fase, dai carichi connessi ai morsetti dei secondari), la corrente richiamata al primario è tale da equilibrare, in termini di vettori f.m.m., le correnti erogate (v. fig. 33). Fig. 33 Per quanto riguarda le potenze, vale la seguente espressione: V1 I1 E sp N1 I1 E sp N 2 I 2 E sp N 3 I 3 V2 I 2 V3 I 3 ovvero: A1 A2 A3 . Dunque la potenza complessa assorbita da un trasformatore ideale a tre avvolgimenti uguaglia la somma vettoriale delle potenze complesse erogate ai due avvolgimenti secondari. 18. Trasformatori trifase. Si considerino tre trasformatori monofase costruttivamente uguali fra loro, del tipo schematicamente rappresentato in fig. 34: si vuole studiare il loro comportamento in regime sinusoidale, assumendo le seguenti condizioni di funzionamento: Fig. 34 85 tensioni di alimentazione al primario uguali in modulo e sfasate fra loro di 120° (sistema trifase simmetrico di tensioni): Va1 V Vb1 V e j 2 3 Vc1 V e j 2 3 correnti di carico equilibrate ai secondari, cioè uguali in ampiezza e sfasate fra loro di 120°. In queste condizioni di funzionamento anche i flussi nei nuclei magnetici k k a, b, c sono uguali in modulo e sfasati fra loro di 120°: ne consegue che: a b c 0 Riunendo i tre nuclei monofase mediante accostamento delle colonne di estremi A e B, come mostrato in fig. 35, la colonna centrale risultante, percorsa dal flusso pari alla somma dei flussi di fase, è interessata da flusso nullo: tale colonna pertanto può essere tolta, come mostrato in fig. 36.a. Fig. 35 D'altra parte la struttura di fig. 36.a risulta di difficile realizzazione dal punto di vista tecnologico: nella pratica, quindi, il circuito magnetico viene reso planare, come mostrato in fig. 36.b . Fig. 36.a, 36.b 86 L'unica conseguenza di questa trasformazione consiste in una modesta dissimmetria magnetica fra le tre fasi: precisamente, la corrente magnetizzante della fase b, di per sè molto piccola rispetto alla corrente nominale, è di ampiezza un poco inferiore rispetto alle correnti magnetizzanti delle fasi a e c, essendo minore la lunghezza della relativa colonna, ossia minore la riluttanza ad essa associata. Gli avvolgimenti aventi lo stesso numero spire, cioè aventi la medesima tensione ai morsetti in modulo, possono essere tra loro connessi in due modi diversi, entrambi caratteristici dei sistemi trifase: a stella e a triangolo (fig. 37). Il collegamento a stella ha la proprietà, a pari tensione concatenata, di richiedere un numero di spire minore rispetto a quelle richieste per il collegamento a triangolo; per contro, la sezione del conduttore costituente le spire è maggiore nel collegamento a stella che in quello a triangolo. In definitiva, il collegamento a stella, richiedendo un minor volume di isolante (la quantità di rame è la stessa), risulta più economico, robusto e sicuro nei riguardi dell'isolamento ed è tanto più conveniente quanto più alta è la tensione e minore la potenza. Il collegamento a triangolo ha proprietà duali rispetto alla stella ed è preferibile nel caso di basse tensioni ed elevate correnti. Infine, come è possibile estendere alla versione trifase il trasformatore monofase a due avvolgimenti, così si può fare anche per gli altri tipi precedentemente studiati: sono pertanto comunemente realizzati ed utilizzati autotrasformatori trifasi e trasformatori trifasi a tre avvolgimenti (in quest'ultimo caso, su ciascuna delle 3 colonne, relativa ad ogni fase, sono avvolti tre avvolgimenti: primario, secondario e terziario). Fig. 37. 87