5. IL TRASFORMATORE.
1. Generalità.
Il trasformatore è una macchina elettrica statica dotata di un circuito magnetico e di due o più
avvolgimenti con esso concatenati: può essere di tipo monofase o trifase.
Il suo funzionamento si basa sulla legge della induzione elettromagnetica e le sue funzioni
possono essere molteplici, in relazione alle diverse applicazioni.
Dal fatto che si tratta di un dispositivo statico e che si basa sulla legge dell'induzione
consegue che il trasformatore può funzionare solamente quando le grandezze elettriche ai
morsetti degli avvolgimenti sono variabili nel tempo (si generano solo f.e.m. di tipo
trasformatorico). Un impiego tipico, ma non esclusivo, è nelle reti in regime sinusoidale.
Per quanto riguarda la classificazione funzionale, una ampia categoria di trasformatori, detti
trasformatori di potenza, viene utilizzata per connettere fra loro parti della rete elettrica che si
trovano a livelli di tensione diversa.
Infatti, esigenze tecniche ed economiche inerenti alla generazione dell'energia elettrica
portano alla costruzione di centrali di potenza sempre crescente e costruite nei luoghi adatti: ne
viene di conseguenza la necessità del trasporto di grandi quantità di energia con linee spesso
assai lunghe.
L'adozione di elevati valori di tensione per il trasporto di grandi potenze su lunghe distanze
consente un dimensionamento più favorevole delle linee e/o un livello più contenuto delle
perdite in linea per effetto Joule: infatti, a pari potenza trasportata, P=3·V·I·cos, quanto
maggiore è la tensione V di funzionamento della linea, tanto minore è la corrente di linea I,
quindi le perdite R·I². Fra i valori di tensione normalizzati per le linee ad alta tensione vi sono:
130, 220, 380 kV.
D'altra parte, la tensione nominale dei generatori deve essere limitata per ragioni costruttive
(legate alle difficoltà di isolare, all'interno della macchina, le parti in tensione rispetto alla
massa): anche negli esemplari di maggiore potenza la tensione non supera, di solito, i 20 ÷ 25
kV.
Infine, per motivi di sicurezza la tensione di alimentazione della maggior parte degli apparecchi
utilizzatori deve essere contenuta entro il limite di poche centinaia di volt: pertanto la rete di
distribuzione posta alla fine delle linee di trasporto è in bassa tensione.
Le varie parti a diversa tensione del sistema sono tra loro connesse attraverso trasformatori: essi
dunque svolgono la funzione di elevatori o di abbassatori della tensione, praticamente a pari
potenza trasferita da un lato della rete all'altro. L'avvolgimento del trasformatore (o gli
avvolgimenti) che viene alimentato (cioè riceve la potenza) viene detto avvolgimento primario;
l'avvolgimento (o gli avvolgimenti) che alimenta una rete utilizzatrice (cioè eroga ad essa
potenza) viene detto avvolgimento secondario; l'uno o l'altro possono essere di bassa tensione o
di alta tensione, a seconda dell'inserzione nella rete e del flusso di potenza (il verso di tale
flusso è, d'altra parte, reversibile, in relazione alle condizioni di funzionamento della rete).
Il trasformatore, inoltre, è molto usato anche per altre funzioni, tra le quali:
 alimentazione di dispositivi elettronici, specie di potenza;
 separazione galvanica tra primario e secondario (tra i due avvolgimenti non vi è
collegamento metallico). Questa è una funzione importante, qualora interessi svincolare
un circuito utilizzatore dai livelli di tensione, eventualmente pericolosi, della rete
(trasformatori di isolamento per sicurezza); oppure quando si voglia eliminare una
componente continua circolante al primario, che non viene trasferita al secondario;
 impiego come trasformatori di misura delle tensioni (TV) o delle correnti (TA);
 impiego come trasformatore di impedenza, per realizzare dei componenti con
particolari valori dei parametri elettrici, non realizzabili con collegamento diretto;
 impiego come dispositivo di filtraggio (trasformatori selettivi), allo scopo di trasferire
dal primario al secondario solo le tensioni appartenenti ad una prefissata banda di
frequenza, attenuando l'ampiezza delle tensioni con frequenza diversa.
53
2. Principi di funzionamento; cenni costruttivi.
Fino a diverso avviso, nel seguito si farà riferimento al trasformatore monofase a due
avvolgimenti, disposti attorno ad un circuito magnetico comune e caratterizzati da un numero
di spire primarie e secondarie pari, rispettivamente, a N1 e N2.
L'analisi qualitativa del funzionamento è la seguente: quando uno degli avvolgimenti viene
alimentato con tensione variabile nel tempo e l'altro, ad esempio, viene lasciato a morsetti
aperti, nell'avvolgimento alimentato circola una corrente, pure variabile nel tempo. Tale
corrente genera una f.m.m. che, agendo sul circuito magnetico comune, produce un flusso che
concatena entrambi gli avvolgimenti. L'entità di questo flusso dipende principalmente da quello
della tensione applicata e dal numero di spire dell'avvolgimento. Nell'altro avvolgimento si
induce, per effetto della variazione del flusso, una f.e.m., la cui entità dipende, oltre che dal
flusso, dal numero di spire dell'avvolgimento stesso; modificando tale numero di spire si
modifica il rapporto tra le tensioni dei due avvolgimenti cioè il "rapporto di trasformazione".
L'effetto trasformatorico è dovuto quindi alla variazione nel tempo del flusso concatenato con
due o più avvolgimenti.
Tale effetto si verifica anche nel caso in cui gli avvolgimenti siano collocati semplicemente in
aria: tuttavia gli effetti sono quantitativamente molto più elevati se si utilizza come circuito
magnetico un nucleo in materiale ferromagnetico. In tal caso, infatti, il flusso risulta confinato
in prevalenza nel nucleo, con l'ottenimento di un elevato coefficiente di accoppiamento tra gli
avvolgimenti (modesta entità dei flussi dispersi); inoltre la elevata permeabilità dei materiali
(µr=103÷104) consente di ottenere il livello di flusso desiderato con valori molto bassi di
f.m.m..
In fig. 01 è mostrata la forma costruttiva più adottata per la realizzazione di trasformatori
monofase di potenza: si tratta della struttura cosiddetta a colonne. Infatti, il nucleo magnetico è
costruttivamente formato da due parti fondamentali: le colonne, attorno alle quali sono disposti
gli avvolgimenti, ed i gioghi, che collegano fra loro le colonne, per la chiusura del circuito
magnetico. Sia le colonne (verticali, indicate con n in figura) che i gioghi (orizzontali, indicati
con g) sono laminati, cioè realizzati con lamiere di piccolo spessore tra loro elettricamente
isolate: questo, come si vedrà meglio nel seguito, per ragioni funzionali, legate alla necessità di
contenimento delle correnti parassite. Il piano dei lamierini è disposto verticalmente, lungo la
direzione del flusso.
Fig. 01 Forma costruttiva più adottata di un trasformatore monofase.
Gli avvolgimenti delle due fasi, di tipo concentrico, sono usualmente distribuiti su entrambe le
colonne: i due gruppi possono essere connessi in serie o in parallelo, a seconda delle esigenze.
54
3. Studio del trasformatore con le equazioni degli induttori mutuamente accoppiati.
Dal punto di vista del legame tensione-corrente ai morsetti (in tutto i morsetti sono quattro,
due per ciascuno degli avvolgimenti), trascurando tutte le perdite il trasformatore può essere
descritto con le equazioni di due induttori mutuamente accoppiati. Adottando per entrambi gli
avvolgimenti la convenzione degli utilizzatori, si ha:
v1  L1  pi1  Lm  pi1

v 2  Lm  pi1  L2  pi2
dove si è posto, per comodità, p  d dt .
Sommando e sottraendo a ciascuna delle equazioni una medesima, opportuna quantità, come
mostrato nel seguito:
v1  L1  pi1  Lm  pi2  Lm  pi1  Lm  pi1

v 2  Lm  pi1  L2  pi2  Lm  pi2  Lm  pi 2
e raccogliendo i vari addendi, si ottiene:
v1  Lm  pi1  i2   L1  Lm   pi2
.

v 2  Lm  pi1  i2   L2  Lm   pi2
Queste equazioni, perfettamente equivalenti a quelle iniziali del mutuo induttore, hanno una
rappresentazione circuitale molto semplice (fig. 02): per la sua configurazione, tale circuito
equivalente è noto sotto il nome di circuito equivalente a T.
Fig. 02. Circuito equivalente a T del trasformatore.
In linea di principio, con tale circuito è possibile studiare il funzionamento di due avvolgimenti
mutuamente accoppiati; quindi, con i necessari completamenti per tener conto degli effetti
dissipativi, esso consentirebbe di studiare il funzionamento del trasformatore.
Tuttavia, si considerino le espressioni delle auto e mutue induttanze in funzione delle
permeanze equivalenti agli effetti del flusso concatenato:
L1  N1 2  1 ;
L2  N 2 2   2 ;
Lm  N 1  N 2   m .
In relazione al valore che possono avere i numeri di spire N1 ed N2 degli avvolgimenti, si
verifica quanto segue:
 le induttanze L1  Lm  e L2  Lm  possono risultare positive o negative;
 tali differenze non consentono di mettere in evidenza le permeanze di dispersione:
1d  1   m ;  2 d   2   m .
Pertanto per studiare il funzionamento del trasformatore si adotterà un metodo diverso di
rappresentazione circuitale, in modo da eliminare questi inconvenienti.
55
4. Il trasformatore ideale.
Si definisce trasformatore ideale un elemento circuitale ideale a quattro morsetti caratterizzato
dal simbolo di fig. 03 e, con le convenzioni di misura ivi indicate, dalle equazioni:
i1 1
v1
k

.
i2 k
v2
Il parametro k prende il nome di rapporto di trasformazione; la coppia di morsetti primari viene
anche detta porta di ingresso, mentre la coppia di morsetti secondari prende il nome di porta di
uscita.
Fig. 03. Simbolo del trasformatore ideale.
Il trasformatore ideale è dunque un doppio bipolo che trasforma attraverso il fattore k la
tensione e la corrente istantanea dalla porta di ingresso a quella di uscita, rispettivamente in
proporzione diretta o inversa al rapporto di trasformazione k.
Dal punto di vista energetico, per le potenze istantanee alle due porte vale la seguente
relazione:
i 
v1  i1  k  v 2    2   v 2  i2 ,
k
cioè il trasformatore ideale conserva la potenza istantanea.
Quanto affermato nel caso di grandezze istantanee comunque variabili vale anche quando le
grandezze sono sinusoidali, e quindi rappresentabili con i corrispondenti vettori sul piano
complesso di vettori fissi:
V1
k
V2
I1 1

I2 k
V1  I 1  V2  I 2 .
La funzione del trasformatore ideale è quella di connettere fra loro parti di rete che si trovano
a tensione diversa: in tal caso è importante valutare come effettuare il trasporto di un bipolo da
una parte di rete all'altra, in modo che le reti complessive iniziale e finale siano equivalenti dal
punto di vista energetico globale. La trattazione si differenzia a seconda che i bipoli siano
connessi in serie o in parallelo rispetto ai morsetti di una porta del trasformatore ideale.
Riporto di bipoli connessi in serie.
Si consideri, ad esempio, il caso di fig. 04: di un bipolo (u) posto in serie ad un morsetto del
secondario del trasformatore ideale (fig. 04.a) si vuole determinare il bipolo equivalente (u')
posto in serie ad un morsetto del primario.
Esaminiamo questa operazione di riporto nel caso dei tre bipoli passivi.
56
 Resistore:
l'equivalenza energetica tra bipolo originario R e bipolo equivalente riportato si impone
con l'uguaglianza delle potenze perdute:
R '  i1 2  R  i2 2 .
Esprimendo il rapporto delle correnti mediante il rapporto di trasformazione, si ottiene:
R'  R  k 2 .
Fig. 04. Trasporto di un bipolo in serie dal lato secondario al lato primario di un trasformatore ideale.
 Induttore:
in questo caso l'equivalenza nel riporto si impone con l'uguaglianza delle energie
accumulate:
1 '
1
 L  i1 2   L  i2 2 ,
2
2
da cui, sempre mediante k, si ottiene:
L'  L  k 2 .

Condensatore:
in tale caso conviene esprimere le energie accumulate in funzione delle corrispondenti cariche
elettriche:
1 q1 2 1 q 2 2
,

 
2 C'
2 C
q 
da cui: C '  C   1 
2
.
 q2 
Esprimendo poi le cariche in funzione delle correnti si ha:
q2 
ed infine: C  C k
'
2
t
t
t
0 i2  dt  0 k  i1   dt  k  0 i1  dt  k  q1
.
Riporto di bipoli connessi in parallelo.
Si tratta di studiare l'operazione di riporto raffigurata in fig. 05, sempre con riferimento ai tre
bipoli visti.
 Resistore:
l'equivalenza energetica comporta che:
57
v1 2  v2 2
R'
,
R
ovvero:
2
v 
R  R   1   R  k 2 .
 v2 
Naturalmente impiegando il parametro duale conduttanza vale la relazione:
'
G'  G k 2 .
Fig. 05. Trasporto di un bipolo in derivazione dal lato secondario al lato primario di un trasformatore
ideale.
 Induttore:
in funzione del flusso concatenato c, l'energia accumulata è pari a:
1  c1 
1  

  c2
'
2
2
L
L
2

L  L   c1
 c2
2
,
'
ovvero:




2
.
Esprimendo i flussi concatenati in funzione delle tensioni, si ha:
 c1 
t
0
v1  dt 
t
0
k  v 2   dt  k  
t
0
v 2  dt  k   c 2 ,
da cui:
L'  L  k 2 .

Condensatore:
l'uguaglianza delle energie accumulate si scrive:
1 '
1
 C  v1 2   C  v 2 2 ,
2
2
C
da cui: C ' 
.
k2
Pertanto si conclude che il fattore di riporto dei parametri di bipoli passivi è pari a k 2 oppure
a 1 k 2 a seconda del tipo di bipolo; il fattore di riporto è però indipendente dal fatto che essi
siano collegati in serie o in parallelo.
Nel caso di regime sinusoidale il valore del fattore di riporto è diverso a seconda che si
consideri il parametro impedenza o ammettenza; valgono infatti le seguenti relazioni di riporto:
Z ' k2 Z
Y'
Y
k2
.
58
5. Il trasformatore reale con nucleo magnetico senza perdite.
Il circuito elettrico equivalente di un trasformatore reale con nucleo magnetico non
dissipativo si ottiene dallo studio del dispositivo in termini di grandezze magnetiche, tenendo
conto delle relazioni che tali grandezze hanno con quelle elettriche, in base alla legge della
circuitazione di Ampère ed alla legge della induzione elettromagnetica. A tale scopo, è
necessario operare secondo la seguente sequenza:
 schematizzazione di un circuito magnetico a parametri concentrati, definito a partire
dalla distribuzione delle correnti e dall'andamento dei tubi di flusso nello spazio
occupato dal dispositivo;
 scrittura delle equazioni magnetiche, che legano i flussi nei tronchi di circuito
magnetico alle correnti circolanti negli avvolgimenti (o meglio, alle corrispondenti
f.m.m.);
 scrittura delle equazioni elettriche, che legano le tensioni ai morsetti di ciascun
avvolgimento alle cadute di tensione resistive ed alle f.e.m. indotte dai flussi
concatenati con gli avvolgimenti stessi;
 combinazione delle equazioni magnetiche con quelle elettriche;
 definizione di un circuito equivalente elettrico, corrispondente alle equazioni ottenute.
Al fine di definire le convenzioni per la scrittura delle equazioni, si consideri la situazione di
fig. 06: si tratta di un avvolgimento costituito da N spire, tutte ugualmente concatenate (con il
senso di avvolgimento mostrato) con un tronco di circuito magnetico percorso da un flusso (t).
L'avvolgimento, di resistenza R (rappresentata come un bipolo concentrato posto all'esterno
della bobina avvolta), è percorso da corrente. Si decide di assumere, come verso della f.e.m.
indotta in ciascuna spira dell'avvolgimento, quello legato al verso del flusso con la regola
opposta a quella della vita destrorsa, cui corrisponde la scrittura: e = dc/dt.
Fig. 06. Convenzioni per la scrittura delle equazioni di un trasformatore.
Con le convenzioni di misura assunte, il legame tensione-corrente ai morsetti dell'avvolgimento
è il seguente:
v R i  e R i 
d c
d
Ri  N 
dt
dt
Cambiando il verso della corrente, nella equazione precedente comparirebbe un segno meno
davanti alla c.d.t. resistiva.
La struttura di trasformatore dalla quale si dedurranno le equazioni di funzionamento è del
tipo rappresentato in fig. 01, dove per semplicità si considererà la presenza di due soli
avvolgimenti concentrici disposti attorno ad una colonna, come d'altra parte effettivamente
verificato in diversi casi reali. Il circuito equivalente che se ne deduce, tuttavia, è di validità
generale, anche per trasformatori con configurazione diversa.
Ciò premesso, si consideri la struttura rappresentata schematicamente in fig. 07: si tratta di un
trasformatore monofase con due avvolgimenti concentrici (indicati con 1 e 2), disposti attorno
59
ad una colonna di un nucleo dotato di due colonne e di due gioghi e realizzato in materiale
ferromagnetico.
Fig. 07. Struttura del trasformatore usato nello studio.
Si assume che entrambi gli avvolgimenti, qui rappresentati solo attraverso la loro sezione sul
piano della figura, siano avvolti attorno alla colonna (dc) secondo il senso di avvolgimento
indicato in fig. 06.
Si considera alimentato l'avvolgimento primario (1), per il quale si adotta la convenzione degli
utilizzatori.
Si considera, invece, che l'avvolgimento secondario (2) alimenti un circuito di carico: per tale
avvolgimento è dunque naturale adottare la convenzione dei generatori.
In relazione al senso di avvolgimento attorno alla colonna ed ai versi assunti per le correnti
circolanti, ne vengono i versi indicati con punto () e croce (+) per le correnti nelle sezioni
delle bobine, rispettivamente uscenti ed entranti rispetto al piano della figura.
L'ipotesi fondamentale che sta alla base della trattazione è quella di considerare solamente
tubi di flusso magnetici a concatenamento totale.
L'andamento reale delle linee di campo comporta coefficienti di concatenamento variabili da
spira a spira di ciascun avvolgimento: tuttavia nello studio effettuato, in luogo di analizzare
questa situazione di campo, estremamente complicata, si fa riferimento ad una situazione ad
essa equivalente, nella quale i flussi magnetici considerati hanno il significato di flussi
mediamente concatenati da ciascuna spira di ogni avvolgimento.
Pertanto, il campo magnetico viene schematizzato mediante i tre tubi di flusso seguenti (fig.07):
 tubo di flusso di percorso (bcda), costituito da una parte del nucleo magnetico, di
riluttanza 1 (non lineare, perchè in materiale ferromagnetico) e percorso dal flusso 1;
 tubo di flusso di percorso (afgb), costituito dalla restante parte del nucleo magnetico, di
riluttanza 2 (anch'essa non lineare) e percorso dal flusso 2;
 tubo di flusso di percorso (ab), corrispondente allo spazio interposto fra i due
avvolgimenti, di riluttanza d (lineare, in quanto legata alla permeabilità del vuoto µ0)
e percorso dal flusso d, di dispersione perchè non percorre il circuito magnetico
principale, costituito dal nucleo ferromagnetico.
E' evidente che risulta:
1   2   d .
60
In base alla struttura magnetica schematizzata in fig. 07, si possono scrivere tre equazioni
algebriche che legano i flussi alle correnti:
 una equazione di Kirchhoff dei flussi (LK), applicata al nodo magnetico a;
 due equazioni di Kirchhoff delle tensioni magnetiche (LKU), che esprimono la legge
della circuitazione di Ampère applicata alle maglie (abcd) e (abgf):
1   2   d

1  1   d   d  N1  i1 .
        N  i
2
2
2 2
 d d
Ricordando che le correnti totali concatenate corrispondono alle f.m.m., cioè:
m1  N1  i1 ;
m2  N 2  i2 ,
il sistema può anche scriversi:
1   2   d

1  1   d   d  m1 .
        m
2
2
2
 d d
Diversamente dalla precedente, questa formulazione mostra una importante proprietà: agli
effetti delle equazioni magnetiche non ha importanza il valore delle singole correnti o dei
numeri spire, ma il valore complessivo delle f.m.m..
Pertanto tali equazioni prescindono dai dati di avvolgimento del primario e del secondario,
rimanendo invariate al mutare dei numeri spire, purché tale cambiamento sia in proporzione
inversa della corrente corrispondente e mantenendo lo stesso ingombro complessivo
dell'avvolgimento.
Le equazioni magnetiche scritte sono interpretabili anche mediante il circuito di fig.08, dove
sono mostrate esplicitamente le f.m.m. e sono richiamate le convenzioni di misura adottate per
il dispositivo di fig. 07.
Dalla risoluzione delle equazioni magnetiche si ricavano per i flussi le seguenti espressioni in
funzione delle f.m.m.:
2  d


 m1  d  m2
1 
D
D
,





d
  d  m  1
 m2
1
 2 D
D
dove si è posto:
D  1   2  1   d   2   d .
Fig. 08. Schematizzazione del circuito magnetico del trasformatore di fig. 07.
Queste relazioni si possono riscrivere nel seguente modo:
61
d

1  D  m1  m2  

  d  m  m  
1
2
 2 D
2
 m1
D
.
1
 m2
D
Tale formulazione suggerisce di considerare i flussi dei tronchi magnetici avvolti come dati da
un contributo comune, proporzionale alla differenza delle f.m.m. più (o meno) un contributo
proporzionale alla propria f.m.m.: tali contributi rappresentano, rispettivamente, il flusso
comune (m) ed i flussi di dispersione (1d, 2d):
1   m  1d

 2   m   2d
.
Come detto:
1   2   d .
Ne segue:
m 
1d 
d
1
 m1  m2  
 m1  m2    m  m1  m2  ;
D
1   2
2

1
1
 m1 
 m1  1d  m1  2d  1  m2 
 m2   2 d  m2
2  d
2  d
D
D
dove:
 m : permeanza di magnetizzazione (è la permeanza del nucleo in ferro);
1d ,  2d : permeanze di dispersione dell’avvolgimento primario e secondario.
Pertanto la permeanza relativa al flusso comune è praticamente pari a quella del nucleo in
materiale ferromagnetico, mentre le permeanze relative ai flussi di dispersione sono circa pari a
metà di quella del tubo di flusso interposto fra le bobine.
Per quanto riguarda le equazioni elettriche, si tratta di scrivere due equazioni di Kirchhoff
delle tensioni (LKT), che legano tensione e corrente ai morsetti dei due avvolgimenti:
v1  e1t  R1  i1

v2  e2t  R2  i2
Sulla base delle precedenti relazioni, le f.e.m. indotte complessivamente nei due avvolgimenti
si possono così esprimere:
d m
d1d
d c1
d1

e1t  dt  N1  dt  N1  dt  N1  dt  e1  e1d

e  d c 2  N  d 2  N  d m  N  d 2d  e  e
2
2
2
2
2d
 2t
dt
dt
dt
dt
.
Dunque come i flussi, anche le f.e.m. sono date da due contributi: uno (e1, e2) legato al flusso
comune (detto anche mutuo o principale), l'altro (e1d, e2d) dovuto ai flussi di dispersione.
E' interessante notare che fra le f.e.m. principali e1 ed e2 (denominate nel seguito
semplicemente f.e.m.) esiste un legame preciso, indipendente dalle condizioni di
funzionamento. Infatti si ha:
62
e1

e2
d m
dt  N1
d
N2
N2  m
dt
N1 
;
pertanto il rapporto fra le f.e.m. uguaglia il rapporto fra i numeri spire.
Si deve inoltre osservare che questa relazione caratterizza il legame fra le tensioni ai morsetti
di un trasformatore ideale, avente come rapporto di trasformazione il rapporto spire:
e1 N1

k .
e2 N 2
La derivata rispetto al tempo del flusso comune m rappresenta la f.e.m. indotta in ciascuna
spira da tale flusso, cioè:
e sp 
d m
.
dt
Si riprendano ora in considerazione le relazioni che esprimono il legame tensione-corrente ai
morsetti degli avvolgimenti; esplicitando ciascun termine si ottiene:
di1

2
v1  e1  e1d  R1  i1  e1  N1  1d  dt  R1  i1
.

v  e  e  R  i  e  N 2    di2  R  i
2 2
2
2
2d
2 2
 2 2 2d
dt
Introdotte le quantità:
L1d  N12  1d ,
L2d  N 22   2d
denominate induttanze di dispersione, rispettivamente dell'avvolgimento primario e secondario,
si ha:
di1

v1  e1  e1d  R1  i1  e1  L1d  dt  R1  i1
.

v  e  e  R  i  e  L  di2  R  i
2 2
2
2d
2 2
 2 2 2d
dt
Queste equazioni possono essere interpretate con i circuiti equivalenti riportati in fig. 09, dove
provvisoriamente le f.e.m. principali sono rappresentate da generatori di f.e.m. ideale.
Fig. 09. Primo circuito equivalente del trasformatore.
Si riprenda ora in considerazione l'espressione del flusso comune:
63
 m   m  m1  m2  .
indicata con mm la differenza delle f.m.m.:
mm  m1  m2 ,
si può scrivere:
mm   m   m .
Poiché l'avvolgimento alimentato è il primario, tale f.m.m. corrisponde ad una corrente
magnetizzante im, circolante in tale avvolgimento, tale per cui:
m m  N1  i m .
Si può pertanto scrivere:
N1  im  N1  i1  N 2  i2 ,
e, posto:
i '  i1  im
si ottiene:
N1  i '  N 2  i 2 ,
ovvero:
i' N2 1


.
i2 N1 k
Dunque le correnti i ' ed i2 sono legate fra loro dall'inverso del rapporto spire, ovvero
dall'inverso del rapporto di trasformazione con il quale sono legate fra loro le f.e.m. e1 ed e2 .
E' dunque possibile rappresentare questi legami fra correnti e fra f.e.m. mediante un
trasformatore ideale, come mostrato in fig. 10.
D'altra parte, la f.e.m. e1 può essere espressa nel modo seguente:
e1  N1 
d m
di
d
 N1   m  N1  im   N1 2   m  m
dt
dt
dt
cioè:
di
e1  Lm  m ,
dt
dove l'induttanza Lm è detta induttanza di magnetizzazione.
I descritti legami fra le correnti i1 , i ' e l'espressione della f.e.m. e1 sono interpretabili con il
circuito equivalente di fig. 11.
Fig. 10
Fig. 11
64
Infine, il circuito equivalente completo del trasformatore monofase a due avvolgimenti è
rappresentato in fig. 12.
Fig. 12. Circuito equivalente completo del trasformatore.
Applicando i metodi di riporto dei bipoli da una parte all'altra del trasformatore ideale, il
circuito equivalente di fig. 12 può essere trasformato come indicato in fig. 13, dove:
N
L2 d  k  L2d   1
 N2
'
2
2

  N 2 2   2d  N1 2  2d ,

2
N 
R2 '  k 2  R2   1   R2 .
 N2 
Il circuito equivalente di fig. 13 mette in evidenza alcune interessanti proprietà:

è ancora presente un gruppo di tre induttanze connesse a T, conformemente a quanto già
evidenziato in fig. 02 a proposito del circuito equivalente di due induttori mutuamente
accoppiati; tuttavia in questo caso le induttanze serie sono riferite allo stesso numero di spire e
risultano proporzionali alle permeanze di dispersione degli avvolgimenti; l'induttanza Lm del
ramo derivato è proporzionale alla permeanza del nucleo magnetico;
 l'equivalenza rispetto al circuito di fig. 12 è solo agli effetti esterni, cioè relativamente
ai legami tensione-corrente alle due porte: infatti non è più possibile mettere in
evidenza la f.e.m. e2 indotta nell'avvolgimento secondario.
Fig. 13. Circuito equivalente completo con i parametri riportati al primario.
6. Proprietà elettriche e magnetiche intrinseche del trasformatore ideale.
Sulla base della precedente trattazione è ora possibile evidenziare le caratteristiche proprie di
un trasformatore ideale, dal punto di vista delle proprietà elettriche e magnetiche.
A tale scopo conviene calcolare il rapporto delle tensioni e quello delle correnti, con riferimento al circuito equivalente di fig. 12:
di
e1  L 1d  1  R1  i1
v1
dt
;

di2
v2
e2  L2 d 
 R2  i 2
dt
i '  im
i1


i2
i2
i '  m 
i2
m
N1
.
65
Dall'analisi di queste relazioni si deduce che il caso di trasformatore ideale comporta il
verificarsi di queste condizioni:
 materiale magnetico privo di perdite e caratterizzato da un valore infinito di
permeabilità. A tale condizione infatti corrisponde una riluttanza m del nucleo nulla
ed una induttanza di magnetizzazione Lm infinita: basta una corrente infinitesima per
far circolare il flusso m di valore finito. Ne segue:
i1
N
i'
1

 2 
;
i2 i2
N1 k
 assenza di flussi magnetici di dispersione (cioè: 1d   2d  0 , da cui: L1d  L2d  0 )
ed avvolgimenti perfettamente conduttori ( R1  R2  0 ). Da tale ipotesi consegue:
v1
e
N
 1  1 k .
v 2 e2
N2
7. Perdite nel materiale magnetico e loro rappresentazione circuitale.
Nel Cap.4 si è già mostrato il significato energetico del ciclo di isteresi: un materiale
magnetico sottoposto a magnetizzazione alternata presenta delle perdite per isteresi che sono
proporzionali alla massa M fe del materiale ferromagnetico, alla frequenza f di magnetizzazione
ed al valore massimo della induzione BM elevato ad un esponente n.
Pertanto si ha:
Pist   M
fe 
f  B M
n
l'esponente n (noto come coefficiente di Steinmetz) è normalmente compreso nel campo:
1.6÷2.3, con un valore usualmente non molto discosto da 2.
Si osservi tuttavia che il valore massimo della induzione, che caratterizza il ciclo di isteresi,
(valore qui indicato con BM), viene molto spesso indicato per consuetudine semplicemente con
B, senza alcun pedice.
Si sono anche determinate le perdite per correnti parassite, arrivando all’espressione:
Pcp  M fe   2 
f2
 B 2  2 .
 fe   fe
In definitiva le perdite specifiche nel ferro (per unità di massa e per un dato lamierino) si
possono così scrivere:
Pfe _ m  Pist _ m  Pcp _ m    f  B 2    f 2  B 2
dove si è assunto un esponente n=2 nelle perdite per isteresi, avendo inoltre inglobato nel
coefficiente il fattore che lega BM a B ( BM  2  B ).
Nelle condizioni più comuni di funzionamento la frequenza è una costante. Vi è dunque
proporzionalità diretta fra f.e.m. indotta negli avvolgimenti ed induzione B; in particolare, per
la E1 si ha:
B
E1
N1    A fe
,
66
dove Afe è la sezione del nucleo magnetico. Si può dunque affermare che, a frequenza costante,
le perdite ferro sono proporzionali al quadrato della f.e.m. E1. Questa osservazione consente di
rappresentare le perdite nel ferro di un trasformatore tramite un bipolo resistenza (Rp), posto in
parallelo alla induttanza Lm, come mostrato in fig. 14. Infatti, pur di adottare l'opportuno valore
di Rp, si può porre:
P fe 
E1 2 .
Rp
Fig. 14. Circuito equivalente completo che tiene conto anche delle perdite nel nucleo in ferro.
8. Funzionamento in regime sinusoidale. Circuiti equivalenti semplificati.
Si consideri la condizione di funzionamento nella quale il primario del trasformatore sia
alimentato con una tensione alternata sinusoidale di pulsazione .
Se il circuito equivalente è integralmente composto da bipoli lineari, anche tutte le altre
grandezze elettriche di funzionamento (tensioni, correnti, flussi, f.e.m.) sono sinusoidali: è
quindi possibile utilizzare l’algebra fasoriale.
Il circuito equivalente del trasformatore monofase a due avvolgimenti, funzionante in regime
sinusoidale, è quello rappresentato in fig. 15, dove sono stati introdotti i vettori tensioni e
correnti ai morsetti ed i parametri reattanze alla frequenza di alimentazione. A questo circuito
equivalente corrisponde il diagramma vettoriale rappresentato in fig. 16 e 17.
Fig. 15. Circuito equivalente completo del trasformatore monofase a due avvolgimenti in regime
sinusoidale.
Il diagramma fa riferimento ad un trasformatore abbassatore k  N1 N  1 (fig. 16) ed
2
innalzatore, k<1 (fig. 17). In esso, per ragioni di visibilità grafica, l'ampiezza del vettore
corrente nel ramo derivato ( I 0 ) è stata amplificata rispetto alle ampiezze delle correnti primaria
67
e secondaria; analogamente, le c.d.t. resistive ( R1  I1 , R2  I 2 ) e le c.d.t. induttive ( j  X 1d  I1 ,
j  X 2 d  I 2 ) sono amplificate rispetto alle tensioni primaria e secondaria.
Nella realtà i suddetti vettori sono molto piccoli. L'ordine di grandezza rispetto ai valori di
funzionamento a pieno carico, detti valori nominali (pedice n), è il seguente:
I 0  0,01  0,02 I1n ;
R1  j  X 1d  I1n  0,02  0,03  V1n .
Questa osservazione consente di ritenere valide anche per il trasformatore reale le relazioni
viste per quello ideale, con discreta approssimazione; dunque:
V1
k ;
V2
Fig. 16. Diagramma vettoriale qualitativo del
trasformatore monofase abbassatore con carico
ohmico – induttivo.
I1 1
 .
I2 k
Fig. 17. Diagramma vettoriale qualitativo del
trasformatore monofase innalzatore con carico
ohmico – induttivo.
Inoltre, grazie alle relazioni viste, si giustifica la trasformazione del circuito equivalente
secondo quanto rappresentato in fig. 18.a (circuito equivalente ridotto del primo tipo). Il ramo
derivato è spostato a monte della impedenza serie primaria Z 1  R 1  j  X 1 d  e si
pone:
Rs  R1  k 2  R2  R1  R2' ; X s  X 1d  k 2  X 2d  X 1d  X 2' d
Questa trasformazione circuitale, non giustificabile da un punto di vista teorico, risulta del tutto
lecita dal punto di vista operativo, proprio grazie alle citate proporzioni numeriche.
In talune applicazioni, tipicamente quando le correnti circolanti sono elevate, si arriva
addirittura a sostituire il ramo derivato con un circuito aperto, trascurando la corrispondente
corrente I0 rispetto alle correnti di linea (fig. 18.b, circuito equivalente ridotto del secondo
tipo).
68
Fig. 18.a. Circuito equivalente ridotto
Fig. 18.b. Circuito equivalente ridotto del
secondo tipo.
del primo tipo.
9. Grandezze nominali.
Il valore nominale di una grandezza (tensione, corrente, potenza) indica il massimo valore che
essa può assumere senza dar luogo a rapidi deterioramenti degli isolanti e quindi della
macchina.
Le tensioni nominali V1n e V2n sono riferite al funzionamento a vuoto, per il quale (vedi par.
successivo):
V1n
V2 n
k 
N1
N2
.
La potenza nominale di un trasformatore è la massima potenza che esso può erogare, in un
determinato tipo di servizio (continuativo, di durata limitata, intermittente), senza superare la
massima temperatura ammessa dagli isolanti utilizzati.
Il riscaldamento della macchina è provocato dalle perdite nel nucleo in ferro e da quelle negli
avvolgimenti in rame. Le prime dipendono dal quadrato della tensione e sono indipendenti
dall’intensità della corrente; le seconde dipendono dal quadrato della corrente e sono
indipendenti dalla tensione. Non interviene in alcun modo lo sfasamento tra queste due
grandezze, sfasamento imposto dal carico cui la macchina è collegata.
Se ne deduce che la grandezza idonea ad indicare la potenza erogabile da un trasformatore è il
prodotto della tensione per la corrente, cioè è una potenza apparente, misurata in volt–ampere
[VA].
In sede normativa si è stabilito che la potenza nominale An è data dal prodotto della tensione
secondaria a vuoto V2n per la corrente secondaria nominale I2n.
Per la sola definizione di potenza nominale, si considera il trasformatore ideale, cioè senza
perdite: la potenza erogata è pari a quella assorbita.
Data la potenza nominale An e le tensioni V1n e V2n, le correnti nominali sono date da:
I1n 
An
V1n
I 2n 
An
V2n
10. Funzionamento a vuoto. Trasformatori di misura voltmetrici (TV).
Il funzionamento a vuoto di un trasformatore corrisponde ad alimentare un avvolgimento,
lasciando aperti i morsetti dell'altro: in queste condizioni nell'avvolgimento primario circola
solamente la corrente I 0 che, per tale ragione, viene denominata corrente a vuoto (fig. 19).
La modesta entità di questa corrente rispetto al valore della corrente nominale rende
evanescente la c.d.t. sull'impedenza serie primaria, giustificando pienamente lo spostamento del
ramo derivato a monte di tale impedenza. Non essendoci corrente al secondario, non si verifica
69
neppure una corrispondente c.d.t. sulla impedenza serie secondaria: ne consegue il circuito
equivalente di fig. 20.
Fig. 19. Circuito equivalente completo del trasformatore nel funzionamento a vuoto.
Fig. 20. Circuito equivalente ridotto del trasformatore nel funzionamento a vuoto.
E' evidente che in questa situazione di funzionamento il rapporto fra le tensioni ai morsetti è,
con ottima approssimazione, pari al rapporto spire:
V10
V2 0
k 
N1
N2
.
Su questa proprietà del funzionamento a vuoto si basa l'impiego del trasformatore come
riduttore per la misura della tensione (TV). Si tratta di un impiego tipico per il rilievo di medie
o alte tensioni: il primario del TV è connesso all'alta tensione. Il secondario, metallicamente
separato, riduce la tensione ad un livello più basso, secondo un rapporto di trasformazione noto
e costante. Tale livello è di valore normalizzato (di solito 100V) per gli strumenti di misura di
tipo voltmetrico ed è più sicuro contro eventuali contatti diretti delle persone. D'altra parte, il
collegamento degli strumenti di misura ai morsetti del secondario non modifica in modo
significativo la situazione di funzionamento a vuoto del TV, perchè tali strumenti sono
caratterizzati da una impedenza idealmente infinita.
Il circuito equivalente di fig. 20 suggerisce anche il modo per determinare il valore dei
parametri Rp e Xm a partire dai rilievi effettuati durante una prova a vuoto del trasformatore.
Durante tale prova si rilevano la tensione di alimentazione V, la corrente assorbita I0 e la
potenza attiva P0: è evidente che tale potenza corrisponde alle perdite nel nucleo magnetico,
mentre la potenza reattiva (Q0) è quella necessaria alla magnetizzazione.
In corrispondenza al valore nominale della tensione Vn (V1n o V2n), si ricava:
A0 n  Vn  I 0 n ;
Q02n  A02n  P02n ;
70
Xm 
Vn2
;
Q0 n
V2
Rp  n
P0 n
.
Inoltre, effettuando una prova a vuoto a tensione variabile si osserva quanto segue:
 le perdite ferro sono circa proporzionali al quadrato della tensione, e dunque sono
correttamente rappresentate dal parametro Rp, costante e posto in derivazione nel
circuito equivalente;
 la corrente magnetizzante cresce al crescere della tensione, ma non in modo lineare.
Precisamente si ha:
I m V m ,
con m crescente al crescere della tensione (a causa della saturazione magnetica del nucleo) fino
a valori pari a: m=8÷10 e oltre; pertanto il parametro Xm dipende sensibilmente dal valore della
tensione di alimentazione.
Va infine osservato che la quantità:
I0n
i0 n 
,
In
pari al rapporto fra corrente a vuoto a tensione nominale e corrente nominale è indipendente dal
lato del trasformatore da cui si effettua la prova.
La quantità i0n è detta corrente a vuoto a tensione nominale in valore relativo; frequentemente
si dà il valore percentuale:
I0n
i0 n % 
100 .
In
Il suo valore varia tra il 5% e 1% all’aumentare della potenza nominale del trasformatore.
11. Funzionamento in corto circuito. Trasformatori di misura amperometrici (TA).
Il funzionamento in corto circuito corrisponde ad applicare tensione ai capi di un
avvolgimento, chiudendo quelli dell'altro su un collegamento di impedenza nulla.
In queste condizioni è sufficiente applicare una tensione molto minore della nominale perchè
negli avvolgimenti circoli la corrente nominale: la corrente magnetizzante Im, assorbita dal
ramo derivato, già piccola quando la tensione di alimentazione è quella nominale, risulta in
questo caso del tutto trascurabile. Analoga considerazione si può fare per le perdite ferro, cui
nel circuito equivalente corrisponde la corrente Ip (fig. 21).
Fig. 21. Circuito equivalente completo del trasformatore nel funzionamento in corto circuito.
Pertanto per il funzionamento in corto circuito si può adottare il circuito equivalente di fig. 22.
71
Fig. 22. Circuito equivalente ridotto del trasformatore nel funzionamento in corto circuito.
E' evidente che in questa situazione di funzionamento il rapporto fra le correnti ai morsetti è,
con ottima approssimazione, pari all'inverso del rapporto spire:
I1k
I2k

1 N2

k N1
,
dove con l'indice k si vuole indicare che le quantità considerate sono quelle di una prova di
corto circuito.
Su questa proprietà del funzionamento in corto circuito, duale di quella descritta per il funzionamento a vuoto, si basa l'impiego del trasformatore come riduttore per la misura della corrente
(TA). Si tratta di un impiego tipico per il rilievo di medie o alte correnti, o anche per il rilievo,
in condizioni di sicurezza, di correnti in un sistema a tensione elevata: il primario del TA, dotato di un basso numero di spire (al limite un solo concatenamento, corrispondente al filo di
linea), è in serie al circuito del quale si vuole misurare la corrente. Il secondario,
metallicamente separato, riduce tale corrente ad un livello più basso secondo un rapporto di
trasformazione noto e costante. Tale livello è di valore normalizzato(di solito 5 A) per gli
strumenti di misura, di tipo amperometrico. D'altra parte, il collegamento di tali strumenti in
serie ai morsetti del secondario non modifica sostanzialmente la situazione di funzionamento in
corto circuito del TA, perché tali strumenti sono caratterizzati da una impedenza idealmente
nulla e praticamente molto bassa. Al pari di quanto mostrato per quello di fig. 20, il circuito
equivalente di fig. 22 suggerisce anche il modo per determinare il valore dei parametri
R s  R1  R'2 e X s  X 1d  X '2d , a partire dai rilievi effettuati durante una prova in corto
circuito del trasformatore.
Durante tale prova si rilevano la tensione di alimentazione Vk (V1k se si alimenta il primario;
V2k se si alimenta il secondario chiudendo in corto circuito il primario), la corrente assorbita Ik
e la potenza attiva Pk: è evidente che tale potenza corrisponde alle perdite Joule negli
avvolgimenti del trasformatore, mentre la potenza reattiva (Qk) è quella corrispondente ai flussi
di dispersione.
In corrispondenza alla corrente nominale, Ik = In, si ha:
Ak n  Vk n  I n ;
Rs 
Pk n
I n2
;
Qk2n  Ak2n  Pk2n ;
Xs 
Qk n
I n2
.
Le seguenti tensioni:
Vkr n  Rs  I n ,
Vkx n  X s  I n
72
sono le componenti, rispettivamente ohmica e reattiva, della tensione di corto circuito Vkn, il
cui valore efficace al quadrato vale:

 

Vk2n  Vkr n 2  Vkx n 2 .
Va infine osservato che la quantità:
vk n 
Vk n
,
Vn
pari al rapporto fra tensione di corto circuito a corrente nominale e tensione nominale, è
indipendente dal lato del trasformatore da cui si effettua la prova. Infatti, alimentando il lato
primario e chiudendo in corto circuito il lato secondario, si ha in termini vettoriali:
v1k n 
V1k n
V1n

 
 
R s  I1n  j  X s  I1n R s  I1n 2  j  X s  I1n 2 Pk n  j  Qk n


.
V1n
V1n  I1n
An
Alimentando il lato secondario e chiudendo in corto circuito il lato primario, si ha:
v2k n 
V2k n
V2 n

Rs' '  I 2 n  j  X s''  I 2 n
V2 n

 
 
Rs' '  I 2 n 2  j  X s''  I 2 n 2 Pk n  j  Qk n
.

V2n  I 2 n
An
In entrambe le prove, circolano nel primario e nel secondario le stesse correnti nominali I1n ed
I2n; ne segue che sono le stesse sia la potenza persa negli avvolgimenti Pkn che la potenza
reattiva Qkn associata ai campi magnetici di dispersione.
La quantità vkn è detta tensione di corto circuito relativa; frequentemente si dà il valore percentuale:
Vk n
 100 .
vk n % 
Vn
Il suo valore varia tra il 4  15 % all’aumentare della potenza nominale del trasformatore. Per i
piccoli trasformatori monofase assume anche il valore del 2 – 3 % .
Esempio 1.
Un trasformatore monofase abbia potenza nominale An= 1 kVA, tensioni nominali V1n/V2n=400V/230V
e frequenza nominale fn= 50 Hz.
Le prove a vuoto a tensione nominale ed in corto circuito a corrente nominale hanno dato come risultati:
 prova a vuoto con alimentazione del primario: I10n = 75 mA; P0n = 20 W.
 prova in corto circuito con alimentazione del primario: V1kn = 15 V;
Pkn = 30 W.
Determinare le correnti nominali ed i parametri del circuito equivalente riferiti al lato primario.
Correnti nominali: I1n 
An
= 2.5 A
V1n
I 2n 
An
= 4.35 A .
V2n
Potenza apparente assorbita a vuoto: A0 n  V1n  I10 n = 30 VA; si osservi che è molto minore della
potenza nominale An .
Potenza reattiva a vuoto:
Q0 n  A02n  P02n = 22.4 var .
Ne segue:
73
Xm 
V12n
= 7140 ;
Q0 n
Rp 
V12n
= 8000  .
P0 n
In un trasformatore di piccola potenza, quale è quello esaminato, i due parametri trovati sono dello stesso
ordine di grandezza; man mano cresce la potenza nominale, la reattanza diventa sempre più piccola
rispetto alla resistenza Rp (la potenza reattiva Q0n diventa via via più grande della potenza attiva P0n).
I10 n
= 0.030 = 3.0 % .
La corrente a vuoto in valore relativo è pari a i0 n 
I1n
Parametri in serie riferiti al primario.
Potenza apparente assorbita in corto circuito: Ak n  V1 k n  I1n = 37.5 VA; si osservi che è molto minore
della potenza nominale An .
Potenza reattiva assorbita in corto circuito: Qk n  Ak2 n  Pk2n = 22.5 var .
Ne segue:
Pk n
Rs  2 = 4.80 ;
I1n
Xs 
Qk n
2
I1n
= 3.60  .
Al crescere della potenza nominale del trasformatore, la potenza reattiva Qkn (e quindi la reattanza Xs)
diventa via via più grande della potenza attiva Pkn (e quindi la reattanza Xs supera la resistenza Rs).
Mentre per piccole potenze nominali il trasformatore si comporta come un elemento ohmico–induttivo,
all’aumentare della potenza tende a comportarsi come un elemento induttivo, con pochissime perdite.
La tensione di corto circuito in valore relativo è pari a:
Pk n
Qk n
= 0.030 = 3.0 %
= 0.0225 = 2.25 %
vkr n 
vkx n 
An
An
2
2
vk n  vkr
n  vkx n 
Ak n
An
= 0.0375 = 3.75 %
12. Dati di targa.
I dati di targa sono composti da (in parentesi è riportata l’indicazione di targa del trasformatore
dell’esempio precedente):
 potenza nominale An [VA] (An = 1 kVA);
 tensioni nominali primaria e secondaria V1n/V2n [V/V] (V1n/V2n = 400V/230V);
 la frequenza nominale fn [Hz] (fn =50 Hz);
 la tensione di corto circuito in valore relativo vkn e la potenza persa in corto circuito
Pkn [W] a corrente nominale (dati indipendenti dal lato di alimentazione): (vkn =
3.75%, Pkn= 30W);
 la corrente a vuoto in valore relativo i0n e la potenza persa a vuoto P0n [W] a tensione
nominale (dati indipendenti dal lato di alimentazione) (i0n = 3.0%, P0n= 20W).
13. Variazione di tensione nel passaggio da vuoto a carico
Si consideri un trasformatore alimentato a tensione primaria nominale V1n.
Nel funzionamento a vuoto (senza carico allacciato) la tensione ai morsetti dell’avvolgimento
secondario è pari al valore nominale V2n.
Se il secondario viene chiuso su un carico, la tensione V2 ai suoi morsetti subisce una
variazione.
Si vuole determinare la variazione del modulo della tensione secondaria V2 nel passaggio da
vuoto a carico. Essa viene solitamente espressa in valore relativo, riferita al valore nominale:
74
V  V2
V  2 n
V2 n
.
Si consideri il circuito equivalente ridotto del 1° tipo, in cui i parametri serie sono riportati sul
lato secondario (fig. 23) .
Fig. 23. Circuito equivalente ridotto del 1° tipo, per lo studio della variazione di tensione nel passaggio
da vuoto a carico.
A vuoto (interruttore Q2 aperto), la corrente secondaria I2 è nulla. Ne segue:
V2  V20 dove V20 
N2
1
 V1   V1n V2n
N1
k
Si chiuda l’interruttore Q2. Per la maglia del secondario è possibile scrivere la seguente
equazione:
V20  V2  R s"  I 2  j  X s"  I 2
.
A tale equazione corrisponde il diagramma vettoriale riportato in fig. 24, nell’ipotesi che il
carico sia di natura ohmico–induttiva (caso più frequente in pratica).
Ciò che interessa determinare non è la differenza vettoriale tra i fasori V20 e V2 , bensì la
differenza tra i moduli dei due vettori:
V 
V20  V2
V2 n
.
Infatti, interessa conoscere il valore efficace della tensione attualmente applicato al carico,
NON se esso sia sfasato rispetto alla tensione nella condizione a vuoto.
Si riporti con un compasso il vettore V20 sul prolungamento del vettore V2 , ottenendo il punto
D. Si tracci inoltre la proiezione di V20 sul prolungamento del vettore V2 , ottenendo il punto C.
Per piccoli valori dell’angolo    V20  V2  , il segmento CDv è trascurabile rispetto al
segmento OCv (cosa quasi sempre verificata nella pratica). Quindi:
v = fattore di scala [V/cm]
V V20  V2  OC   v  OA   v  AC   v  AB   v  BC   v
dove
AB   v  Rs" I 2 cos
BC   v  X s" I 2 sin 
75
Fig. 24. Diagramma vettoriale del circuito secondario del trasformatore chiuso su un carico.
Ne segue:
V  V2 R s" I 2 cos  X s" I 2 sin 
V  20

V2 n
V2 n
Si introduca il fattore di carico :
I
 2 .
I 2n
Si ricava:
 R " I

X " I
V     s 2 n  cos  s 2n  sin     vkrn  cos  vkxn  sin  ,
V2n
 V2 n

dove si sono introdotte le componenti resistiva vkrn e reattiva vkxn della tensione di corto
circuito in valore relativo.
La variazione di tensione dipende quindi:
 dalla potenza assorbita dal carico, espressa dal fattore di carico , variabile tra 0 e 1, o
superiore a 1 in caso di sovraccarico (di durata limitata);
 dalla natura del carico (ohmico, ohmico –induttivo, ohmico – capacitivo, …), espressa
dal fattore di potenza cos();
 dalle caratteristiche del trasformatore, espresse mediante la resistenza e la reattanza
serie o le componenti ohmica e reattiva della tensione di corto circuito. Si fa notare che
hanno influenza sia l’impedenza serie dell’avvolgimento primario che quella del
secondario: il loro contributo è circa uguale. E’ differente, invece, il contributo della
resistenza da quello della reattanza.
Il campo di variazione della tensione di corto circuito è molto limitato passando da macchine di
piccola potenza a quelle di potenza maggiore. Ne segue che l’espressione così ottenuta per la
variazione di tensione è di immediato impiego.
76
Esempio 2
Si consideri trasformatore dell’esempio 1
V1n / V2n =400 V / 230V
An = 1 kVA
vkn = 3.75 % = 0.0375

vkrn = 3.0% = 0.030
vkxn = 2.25 % = 0.0225
Il carico sia di tipo ohmico – induttivo: cos() = 0.9R , sin() = 0.44 (R: ritardo) e stia funzionando al
90% del valore nominale:  = 0.90.
Si ricava:
V    vkrn  cos  vkxn  sin   3.32%


La tensione sul secondario è quindi: V2  V2n  1  V = 222.4 V .
Usualmente il massimo valore tollerabile della variazione di tensione è pari al 5%.
Si fa presente che, se il carico è di tipo ohmico – capacitivo, la variazione di tensione può
essere negativa, cioè si manifesta un innalzamento della tensione passando da vuoto a carico.
Infatti, con corrente in anticipo sulla tensione: sin() < 0.
14. Corrente di corto circuito.
Si supponga che il trasformatore, alimentato a tensione primaria nominale, stia alimentando
un carico. Improvvisamente si manifesta un corto circuito ai morsetti del carico (fig. 25). Si
vuole valutare l’andamento nel tempo della corrente di corto circuito ed il suo valore a regime.
La corrente di corto circuito a tensione nominale è molto maggiore della corrente nominale, la
quale è superiore alla corrente a vuoto I0. Quindi, si può utilizzare il circuito equivalente ridotto
del secondo tipo, in regime variabile (fig. 26).
Fig. 25. Corto circuito sul lato secondario di un
trasformatore alimentato a tensione nominale.
Fig. 26. Circuito equivalente ridotto del secondo tipo
per lo studio del corto circuito improvviso.
(*) La legge alle maglie comporta:
v1n t   R s  i1 t   Ls 
d i1 t 
dt
Si tratta di una equazione differenziale del primo ordine a coefficienti costanti.
La soluzione è data dalla somma di un integrale dell’equazione omogenea e di un integrale particolare.
i1 t   i1o t   i1 p t 
La soluzione dell’omogenea associata è:
i1 o t  A  e

t
s
L
dove  s  s è la costante di tempo del circuito di guasto.
Rs
77
L’integrale particolare coincide con la soluzione di regime. Infatti:
lim i1 t   i1 p t 
t 
Se la tensione di alimentazione è sinusoidale, ne segue:
v1n t   2  V1n  sin   t 
i1 p t  
2  V1n
Rs2    Ls 2
 sin   t   s 
   Ls 
 è l’angolo caratteristico dell’impedenza serie del trasformatore.

 Rs 
dove  s  a tan 
L’integrale generale risulta quindi:
i1 t  A  e

t
s

2  V1n
Rs2    Ls 2
 sin   t   s 
La costante A viene determinata sulla base delle condizioni iniziali. Si sposti l’origine dei tempi all’istante t0 in
corrispondenza al quale avviene il guasto. In tale istante la corrente i1, sinusoidale, assume il valore Ia; ne segue:
Ia  A 
2  V1n
R s2    Ls 
2
 sin   s 
A Ia 

2  V1n
R s2    Ls 2
 sin  s 
La soluzione è quindi:
i1 t  I a  e
 Ia  e

t
s

t
s
t



s


 sin  s   e
 sin   t   s  

2 
2
Rs    Ls  


2  V1n
2  V1n

Rs2    Ls 2
 sin  s   e
 ia t   ib t   ic t 

t
s

2  V1n
Rs2    Ls 2
 sin   t   s 
Si analizzino i diversi termini della formula.


   Ls
 s  a tan 
 Rs

 angolo caratteristico dell’impedenza del trasformatore:


per i piccoli trasformatori (fino a pochi chilo–volt–ampere)   Ls  Rs   s  45 ;
per i grossi trasformatori   Ls  Rs   s  90 ;
I cc1n 
V1n
R s2    Ls 2
valore efficace della corrente primaria di corto circuito a regime;
Sia V1kn la tensione primaria che, nella prova di corto circuito a corrente nominale, fa circolare la corrente
nominale, sia nel primario che nel secondario. La tensione di corto circuito in valore relativo è v kn . Ne segue:
I cc1n 
V1n
V
V
V
1
 1n  1n  1kn 
 I1n
v kn
R s2    Ls 2 Z s V1kn Z s
78

Poiché v kn = (3 – 15) %,
I cc1n =(7 – 33) I 1n

La corrente I a nel regime preesistente al guasto può al massimo raggiungere il valore I a  2  I 1n .

Essa è quindi trascurabile rispetto alle altre componenti della corrente di guasto.
La corrente sul lato secondario si ricava naturalmente tramite il rapporto di trasformazione:
i2 t   k  i1 t 
Le diverse componenti sono rappresentate in fig.27.
i1(t)
v(t)
ib(t)
ia(t)
i1(t)
istante del
guasto
t/T
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
4.5
5
Fig. 27. Andamento temporale delle diverse componenti della corrente di corto circuito a valle di un trasformatore.
In ascissa è riportato il tempo rapportato al periodo della tensione sinusoidale (per f=50Hz, T=20ms). Le componenti
sono quelle riportate nella formula del testo.
Determinazione semplificata della corrente di guasto a regime.
Si faccia riferimento al circuito equivalente di fig. 28. Il valore efficace della corrente di guasto
a regime è pari a:
I cc1n 
V1n
R s2    Ls 2
;
79
Fig. 28. Circuito equivalente per la determinazione della componente a regime della corrente di corto circuito.
Sia V1kn la tensione primaria che, nella prova di corto circuito a corrente nominale, fa circolare
la corrente nominale, sia nel primario che nel secondario. La tensione di corto circuito in valore
relativo è v kn . Ne segue:
I cc1n 
Poiché v kn = (3 – 15) %, 
V1n
R s2
   Ls 
2
V
V
V
1
 1n  1n  1kn 
 I1n
Z s V1kn Z s
v kn
I cc1n =(7 – 33) I 1n
La corrente di guasto è importante:
 per gli sforzi che agiscono sugli avvolgimenti. Essi sono proporzionali al prodotto delle
correnti negli avvolgimenti primario e secondario. E’ necessario quindi ammarrare
bene gli avvolgimenti, così che essi non si deformino. SI tenga conto che la
componente transitoria può comportare il raddoppio della corrente istantanea rispetto a
quella di regime.
 Per dimensionare il potere di interruzione dell’interruttore di protezione del
trasformatore. Il potere di interruzione è la massima corrente che l’interruttore è in
grado di interrompere: essa è definita come corrente di regime, non totale (regime più
transitoria).
Esempio
Si abbia un trasformatore monofase:
An = 4 kVA
V1n / V2n =400 V / 48V
vkn = 3.5 % = 0.035
Si ricava:
vkrn = 1.4% = 0.014
I1n / I2n =10 A / 83.3 A

vkxn = 3.2 % = 0.032
(correnti nominali)
Le componenti a regime della corrente di corto circuito sono:
I
I
I cc1n  1n = 28.6 I1n = 286 A
I cc 2n  2n = 28.6 I2n = 2.38 kA
vkn
vkn
L’interruttore posto sul lato primario del trasformatore dovrà avere un potere di interruzione superiore a
Icc 1n =286 A; per quello posto sul lato secondario, il potere di interruzione dovrà essere superiore a
Icc 2n =2.38 kA. Con i moderni interruttori questi valori sono facilmente ottenibili.
15. Perdite e rendimento.
Il rendimento del trasformatore, come di una qualunque altra macchina, è definito come
rapporto fra potenza resa (Pr) e potenza assorbita (Pa):
  Pr Pa .
80
Indicando con Pp le perdite totali della macchina, vale la reazione:
Pa  Pr  Pp ,
da cui:
Pr  Pp  Pp
P
Pr
 r 

,
Pa
Pr  Pp
Pr  Pp
cioè:
 1
Pp
.
Pr  Pp
Le perdite Pp sono costituite dalle perdite Joule negli avvolgimenti e da quelle nel nucleo
magnetico; supponendo di alimentare il trasformatore a tensione nominale, tali perdite hanno
espressione, rispettivamente:
P fe  P fen ; Pk  Rs  I
2

 Rs  I n2  
I
 In
2

  Pkn   2

dove Pkn sono le perdite Joule negli avvolgimenti a corrente nominale, mentre , rapporto tra la
corrente di funzionamento ed il valore di corrente nominale, rappresenta il carico del
trasformatore espresso in valore relativo: si noti, infatti, che  rappresenta anche il rapporto fra
potenza apparente erogata e suo valore nominale:

V I
I
A
 n

I n Vn  I n An
.
Le perdite totali hanno dunque espressione:
Pp  Pfen  Pkn   2 ,
mentre la potenza resa vale:
Pr  Vn  I n  cos   Vn  I n    cos   An   cos  .
Il rendimento ha pertanto la seguente espressione:
 1
Pfen  Pkn   2
An    cos   Pfen  Pkn   2
La funzione      ha un massimo in corrispondenza di un valore di    max , calcolabile
ponendo:
d
0 .
d
Si ottiene:
 max 
Pfen
Pjn
.
Per il trasformatore dell’esempio max = 0.816.
L'andamento delle funzioni Pp   e   è rappresentato in fig. 29: in tale figura è anche
messo in evidenza il fatto che un basso fattore di potenza del carico influenza negativamente il
rendimento di un trasformatore.
81
Fig. 29. Andamento del rendimento  in funzione del fattore di carico .
16. Autotrasformatore ideale.
Come si è visto, in un trasformatore ideale a carico (fig. 30.a) le correnti nei due avvolgimenti sono tali
da produrre f.m.m. uguali e tra loro in opposizione, sono cioè correnti controverse. Per quanto riguarda il
comportamento interno, nulla cambia se i due avvolgimenti vengono connessi in serie (fig. 30.b): da tale
connessione trae origine una macchina che prende il nome di autotrasformatore.
Fig. 30. Autotrasformatore.
Anche se meno aderente alla realtà costruttiva, lo schema rappresentato in fig. 31 è più comodo di
quello di fig. 30.b, agli effetti delle considerazioni da svolgere.
Fig. 31. Schema di un autotrasformatore
Come lo schema mette in evidenza, questa connessione comporta che uno dei circuiti esterni
(precisamente quello alla porta di ingresso) faccia capo all'insieme dei due avvolgimenti, mentre l'altro è
ancora collegato con gli estremi dell'avvolgimento secondario del trasformatore originario a due
avvolgimenti. Questo avvolgimento (dotato di Nc spire) viene detto avvolgimento comune (pedice c);
l'altro, per la sua collocazione, è detto serie (pedice s) ed è dotato di Ns spire.
82
Si richiamano le ipotesi corrispondenti a considerare il funzionamento ideale:
 perdite nulle nel nucleo magnetico: è pertanto infinita la resistenza derivata Rp (cioè nulla la
corrente di perdita Ip);

permeabilità infinita del materiale magnetico costituente il nucleo: è infinita la reattanza di
magnetizzazione Xm (cioè nulla la corrente magnetizzante Im);

assenza di perdite Joule negli avvolgimenti: questo comporta resistenze serie nulle nel circuito
equivalente;
flussi dispersi nulli: sono nulle le reattanze serie. Con tali ipotesi, fra le grandezze elettriche
indicate nello schema di fig. 31 sussistono le seguenti relazioni, in regime sinusoidale:

V1  Vc  Vs
Vc  V2
Vs N s

Vc N c
I1  I s
I2  Is  Ic
N s  I s  Nc  Ic .
Per quanto riguarda le potenze, la potenza apparente ai morsetti, detta potenza passante ( A p ), vale:
A p  V1  I1  V2  I 2 ,
mentre la potenza propria degli avvolgimenti,detta potenza interna ( Ai ) vale:
Ai  V s  I s  N s  E sp  I s  E sp  N c  I c  Vc  I c .
Da questa dipende il dimensionamento della macchina, e quindi anche il costo.
Con riferimento alla fig. 31, se si sciogliesse il collegamento interno tra i due avvolgimenti si otterrebbe
un trasformatore ideale a due avvolgimenti, detto trasformatore corrispondente, di potenza pari alla
potenza interna dell'autotrasformatore.
Un parametro significativo di un autotrasformatore è il rapporto di nucleo, pari al rapporto fra la
potenza interna e la potenza passante; tale quantità viene indicata con c:
c
Ai
.
Ap
In base alle relazioni precedenti il rapporto di nucleo risulta pari a:
V I
V I
V  V2
c s s  s 1  1
.
V1  I1
V1  I1
V1
Questa espressione mette in evidenza che, a pari potenza passante e a pari tensione ai morsetti
(primaria e secondaria), la potenza apparente in gioco nei due avvolgimenti è tanto più piccola quanto
più le due tensioni sono tra loro prossime: si riducono il dimensionamento e quindi il costo. Per questa
ragione gli autotrasformatori sono vantaggiosamente utilizzati per l'interconnessione di reti a tensione
diversa ma con rapporto fra le tensioni in genere non superiore a due; a fronte di tale significativo
vantaggio ed ad altri qui non considerati si ha la caratteristica negativa della continuità metallica tra le
due reti connesse dall'autotrasformatore.
83
17. Trasformatore ideale a tre avvolgimenti.
Si consideri un trasformatore monofase a due avvolgimenti: disponendo attorno al nucleo magnetico
un terzo avvolgimento, usualmente concentrico con i due preesistenti, si realizza il cosiddetto
trasformatore a tre avvolgimenti (sempre nella versione monofase).
In fig. 32 è raffigurato schematicamente un trasformatore a tre avvolgimenti (disposti separatamente
invece che attorno ad un'unica colonna, per semplicità di rappresentazione).
Si studia il funzionamento di questo trasformatore in regime sinusoidale e nell'ipotesi di idealità (nucleo
non dissipativo, con permeabilità infinita e senza flussi dispersi; avvolgimenti privi di resistenza).
Fig. 32. Trasformatore monofase a tre avvolgimenti.
Come mostrato in fig. 32, si considera che l'avvolgimento di N1 spire sia alimentato (dunque funga da
primario), mentre gli altri due, facenti funzione di secondari, alimentano dei carichi esterni.
In base all'ipotesi di flussi dispersi nulli, esiste un solo flusso  (valore efficace), che percorre il nucleo
magnetico e concatena in uguale modo tutte le spire dei tre avvolgimenti; si ha dunque:
E sp  j     .
Considerando che sono nulle le c.d.t. resistive e reattive negli avvolgimenti, le tensioni ai morsetti,
misurate con le convenzioni di fig. 32, coincidono con le f.e.m. indotte negli stessi avvolgimenti; si ha
perciò:
Vk  N k  E sp
con k 1, 2, 3;
fra le tensioni ai morsetti valgono, pertanto, le seguenti relazioni:
V
V1
V
 2  3  E sp .
N1 N 2
N3
Il flusso  nel nucleo è, come in ogni circuito magnetico, sostenuto dalla f.m.m. risultante di
magnetizzazione M m in base alla relazione:
M m  n  
dove  n è la riluttanza del nucleo magnetico; d'altra parte, essendo imposta la tensione di alimentazione
V1, il flusso  risulta ad essa vincolato in base alla relazione:

V1
.
j    N1
Peraltro, dall'ipotesi di permeabilità infinita del materiale magnetico consegue:
84
n  0 ;
quindi risulta:
Mm  0 .
Con i versi indicati in fig. 32 per le correnti, si ha:
M m  M1  M 2  M 3  0 ,
ovvero:
M1  M 2  M 3 ,
cui corrisponde l'espressione:
N1  I1  N 2  I 2  N 3  I 3 .
Questa relazione ha un preciso significato. Note le correnti erogate dagli avvolgimenti secondari
(correnti determinate, in modulo e fase, dai carichi connessi ai morsetti dei secondari), la corrente
richiamata al primario è tale da equilibrare, in termini di vettori f.m.m., le correnti erogate (v. fig. 33).
Fig. 33
Per quanto riguarda le potenze, vale la seguente espressione:
V1  I1  E sp  N1  I1  E sp  N 2  I 2  E sp  N 3  I 3  V2  I 2  V3  I 3
ovvero:
A1  A2  A3 .
Dunque la potenza complessa assorbita da un trasformatore ideale a tre avvolgimenti uguaglia la somma
vettoriale delle potenze complesse erogate ai due avvolgimenti secondari.
18. Trasformatori trifase.
Si considerino tre trasformatori monofase costruttivamente uguali fra loro, del tipo schematicamente
rappresentato in fig. 34: si vuole studiare il loro comportamento in regime sinusoidale, assumendo le
seguenti condizioni di funzionamento:
Fig. 34
85

tensioni di alimentazione al primario uguali in modulo e sfasate fra loro di 120° (sistema trifase
simmetrico di tensioni):
Va1  V
Vb1  V  e
j
2
3
Vc1  V  e
 j
2 
3
 correnti di carico equilibrate ai secondari, cioè uguali in ampiezza e sfasate fra loro di 120°.
In queste condizioni di funzionamento anche i flussi nei nuclei magnetici  k k  a, b, c  sono uguali
in modulo e sfasati fra loro di 120°: ne consegue che:
 a  b  c  0
Riunendo i tre nuclei monofase mediante accostamento delle colonne di estremi A e B, come mostrato in
fig. 35, la colonna centrale risultante, percorsa dal flusso pari alla somma dei flussi di fase, è interessata
da flusso nullo: tale colonna pertanto può essere tolta, come mostrato in fig. 36.a.
Fig. 35
D'altra parte la struttura di fig. 36.a risulta di difficile realizzazione dal punto di vista tecnologico: nella
pratica, quindi, il circuito magnetico viene reso planare, come mostrato in fig. 36.b .
Fig. 36.a, 36.b
86
L'unica conseguenza di questa trasformazione consiste in una modesta dissimmetria magnetica fra le tre
fasi: precisamente, la corrente magnetizzante della fase b, di per sè molto piccola rispetto alla corrente
nominale, è di ampiezza un poco inferiore rispetto alle correnti magnetizzanti delle fasi a e c, essendo
minore la lunghezza della relativa colonna, ossia minore la riluttanza ad essa associata.
Gli avvolgimenti aventi lo stesso numero spire, cioè aventi la medesima tensione ai morsetti in
modulo, possono essere tra loro connessi in due modi diversi, entrambi caratteristici dei sistemi trifase: a
stella e a triangolo (fig. 37).
Il collegamento a stella ha la proprietà, a pari tensione concatenata, di richiedere un numero di spire
minore rispetto a quelle richieste per il collegamento a triangolo; per contro, la sezione del conduttore
costituente le spire è maggiore nel collegamento a stella che in quello a triangolo. In definitiva, il
collegamento a stella, richiedendo un minor volume di isolante (la quantità di rame è la stessa), risulta
più economico, robusto e sicuro nei riguardi dell'isolamento ed è tanto più conveniente quanto più alta è
la tensione e minore la potenza.
Il collegamento a triangolo ha proprietà duali rispetto alla stella ed è preferibile nel caso di basse
tensioni ed elevate correnti.
Infine, come è possibile estendere alla versione trifase il trasformatore monofase a due avvolgimenti,
così si può fare anche per gli altri tipi precedentemente studiati: sono pertanto comunemente realizzati ed
utilizzati autotrasformatori trifasi e trasformatori trifasi a tre avvolgimenti (in quest'ultimo caso, su
ciascuna delle 3 colonne, relativa ad ogni fase, sono avvolti tre avvolgimenti: primario, secondario e
terziario).
Fig. 37.
87