Emmott: in Europa c`è una crisi di volontà, non di soldi

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INTERVISTA
Emmott: in Europa c’è una
crisi di volontà, non di soldi
Un “like” su Facebook non può sostituire il coraggio
di James Hansen
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B
ill Emmott è uno dei giornalisti più famosi del mondo. Durante i tredici anni
da direttore dell’Economist tra il 1993
e il 2006, ha trasformato la rivista da pubblicazione specializzata e ben accreditata con
una tiratura di qualche centinaia di migliaia
di copie a potenza editoriale da un milione di
copie a settimana e un peso specifico a livello
mondiale da far invidia a molti stati sovrani.
Autore di libri di successo sul Giappone e
sull’Italia, in anni recenti ha spesso fissato il suo
sguardo su quest’ultima, non tanto per sentimento – “anche se la cucina mi piace molto” –
ma perché nella turbolenza politica ed economica italiane vede una sorta di paradigma della
più vasta crisi che avvolge l’Europa e l’Occidente.
La percezione si è acuita durante le riprese
del film Girlfriend in a Coma, realizzato insieme
alla regista Annalisa Piras. Il documentario,
molto apprezzato, sulla paralisi politica e sociale
dell’Italia moderna – la “fidanzata” del titolo –
evoca fenomeni che, sebbene si manifestino in
modo molto evidente nella società italiana, a
Emmott sembrano ugualmente riscontrabili
nella decadenza europea in generale.
“Si è molto tentati di attribuire il declino
della leadership e del peso politico europei alle
difficoltà economiche mondiali, – dice Emmott
– una constatazione che scagiona tutti. Ma il
declino come fenomeno di lungo periodo non
è stato innescato dalla crisi economica, più sintomo che causa.
È indubbio che vi sia stato un fallimento
della sovrastruttura finanziaria e delle istituzioni responsabili della sua gestione, ma la cosa
più importante da stabilire è perché ciò sia potuto accadere.
Già negli anni Novanta c’era preoccupazione per l’alto tasso di disoccupazione in Europa e il dibattito sulla ‘eurosclerosi’ risale agli
anni Ottanta quando per la prima volta ci siamo
confrontati con l’impatto di una serie di ‘astri
nascenti’ della concorrenza: in primis il Giappone, oggi la Cina. Il nostro continente ha reagito ai cambiamenti non tanto con il panico
quanto con la paralisi, come un coniglio terrorizzato dai fari di un’auto.”
Secondo Emmott non abbiamo più voglia
di lottare:
“La Seconda Guerra Mondiale ci ha permesso di ripartire da zero in un’Europa molto
più liberale di prima, dove sembrava esserci
spazio per tutti. Ora la società pare aver perso
la capacità di evolversi dinamicamente e la nostra democrazia non sembra in grado di mediare tra interessi contrapposti.”
Emmott intravede una “mancanza di nerbo”
da parte di coloro che ci dovrebbero rappresentare nel processo democratico, che ha incagliato i meccanismi con cui la società gestisce la propria evoluzione.
“Ciò si deve in parte alla crescente complessità. La politica per definizione è locale, ma
l’economia no e i nostri leader non sembrano
avere gli strumenti per scavalcare le frontiere
politiche.
Negli Stati Uniti stiamo assistendo a una
graduale erosione del terreno di confronto tra
i due schieramenti politici dominanti, incapaci
di collaborare ma potenti abbastanza da non
permettere a nuovi attori politici di emergere.
È anche una questione di gap tecnologico
east global geopolitics
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TIMOTHY ALLEN / EYEVINE /CONTRASTO
INTERVISTA
\ Il giornalista
Bill Emmott è stato
direttore dell’Economist
dal 1993 al 2006.
che si manifesta come incompetenza. La vicenda Snowden ha dimostrato che gli Usa non
riescono a gestire il loro enorme apparato di
sicurezza senza che il segreto sulla sua esistenza e sulle sue reali dimensioni trapeli.
ll tanto atteso sistema sanitario nazionale,
Obamacare, idealmente accessibile e libero per
tutti proprio perché gestito on-line, è collassato
subito dopo il lancio. Che un tale livello d’imperizia pubblica si palesi nella gestione di una faccenda di questo rilievo è molto preoccupante.”
La situazione si sta complicando per i ceti
di governo di tutto il mondo, che si rivelano
lenti quando non incapaci di reagire. Secondo
Emmott ciò è particolarmente evidente in Europa, dove i veti incrociati di gruppi d’interesse
monotematici paralizzano la politica.
Uno scenario deprimente, che a suo avviso
ha una sola soluzione:
“Le virtù della nostra società vengono prese
sotto gamba, ma non esistono per caso. Spero ci
sia ancora la volontà di sostenerle e rinforzarle.
Siamo intrappolati tra aspettative contrastanti e la difesa a oltranza di una lunga lista
numero 51 gennaio/febbraio 2014
di diritti acquisiti durante gli anni Sessanta e
Settanta sulla base di politiche sociali ben intenzionate ma insostenibili.
Se non vi è sensibilizzazione su questi problemi il nostro declino porterà a un crollo del tenore di vita con effetti sulla stabilità sociale, sull’ordine pubblico e perfino sulla nostra capacità
di evitare l’uso della violenza tra Stati: la guerra.
Dobbiamo mantenere un equilibrio tra le
generazioni, facendo posto ai giovani all’interno dell’economia, senza sacrificare il loro
futuro a favore dell’attuale e futura popolazione senescente.
Il fondatore dell’Economist, James Wilson,
quando lanciò la pubblicazione nel 1840, stava
combattendo una battaglia simile. Diceva di
voler intavolare una ‘seria competizione’ tra la
conoscenza e la timidezza, che a suo modo di
vedere discendeva dall’ignoranza.
È per questo che insieme ad Annalisa Piras
– la regista di ‘Girlfriend’ – abbiamo fondato la
‘Wake up Foundation’: per informare e stimolare
il dibattito e aumentare le conoscenze, come
suggeriva Wilson, per sconfiggere la timidezza.
Nelle società tecnologicamente avanzate è
facile perdere il senso di realtà. Questa perdita
ha contribuito allo smantellamento del coraggio
morale e a un sempre maggior rifiuto della responsabilità individuale – un ‘like’ su Facebook
non può rimpiazzare la lotta per le cose in cui
crediamo…”
Emmott, londinese di nascita, vive in aperta
campagna in un remoto angolo del Somerset,
sulla costa occidentale inglese, dove “si pensa
meglio,” dice.
“Mi reco spesso a Londra, che amo molto.
Paradossalmente, più la Gran Bretagna si scopre euroscettica, più Londra diventa europea.
Penso sia oggi la città più compiutamente europea di tutte.”
James Hansen è direttore della rivista East.
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