il castagno, albero del pane L’albero del pane l’uso del legname per strutture ed attrezzi, lo sfruttamento dell’acqua come forza motrice per i mulini, l’arte di lavorare la terra e la pietra, hanno costituito capitoli fondamentali nella storia della nostra civiltà. Compagno fedele di anni difficili, presenza rassicurante vicino ad ogni borgo montano, il castagno è stato definito “l’albero del pane”. Le castagne, con il loro contenuto di amidi, zuccheri e grassi, hanno un elevato potere nutritivo, e hanno infatti rappresentato una risorsa Colonizzatore della montagna fin dall’alba dei tempi, quando ha incontrato il castagno, l’uomo ha basato su di esso la propria esistenza e, per non rinunciare alla sua immensa utilità, lo ha portato con sé dappertutto: dove c’era il castagno è giunto l’uomo, e dove l’uomo si è fermato, lì ha piantato il castagno. Si è creata così una vera e propria simbiosi tra uomo e albero, elemento indispensabile di vita. La coltura del castagno e dei suoi frutti a scopo alimentare, provvidenziale per le popolazioni più povere delle montagne. E proprio nel fare il pane, come surrogato, si aggiungeva un po’ di farina di castagne, meno preziosa ma più nutriente: nasceva così il pan martìn della Val di Vara, valle dove ancor oggi si fa la farina di castagne e dalla quale derivano per lo più i termini usati in questa pubblicazione. Talvolta le castagne venivano consumate fresche, arrostite (rostïe) nelle veglie, cotte e pelate (piæ) in scodelle piene di latte, bollite con la buccia (balletti), o cotte nei paioli Il castagno varietà di castagne verdesa bellina agostana torcione pistolese raggiolana montana invernenga rossera I castagneti liguri Con i suoi ottocentomila ettari di boschi, l’Italia è il Paese europeo dove il castagno è più diffuso e la nostra regione è senz’altro quella che, in rapporto all’esiguità della superficie, conta la più alta densità di castagneti. Nel secolo scorso la fascia montana dell’attuale provincia di Genova era coltivata per i 3/4 a castagneto. Nel Levante, la Val di Vara e l’entroterra di Chiavari si presentavano come ininterrotte distese di castagni, mentre a Ponente notevoli formazioni ricoprivano le valli Nervia, Argentina ed Arroscia. Le mutate condizioni economiche e sociali delle popolazioni hanno decretato il progressivo abbandono del castagno. Tuttavia, poiché si tratta di una pianta particolarmente longeva, i boschi di castagno sono ancora una costante nel paesaggio del borgo ligure montano e, dove sono curati e mantenuti, si pre- 1 fino a che diventavano scure e raggrinzite (vegette della Valle Scrivia). Ma l’alimentazione della gente di montagna si basava soprattutto sulle rebue, le castagne secche: venivano cucinate nel latte assieme al riso che le contadine liguri portavano dal Piemonte e dalla Lombardia come compenso di migrazioni stagionali, oppure nel brodo (zutta) in cui s’inzuppavano crostoni di pane insaporiti con l’aglio. C’era poi la tradizione delle “castagne grasse”, bollite con gli scarti della lavorazione del maiale. Con la farina si preparava la polenta (pattunn-a) e le trofie, condite con pecorino e ricotta. In Val di Vara si cuociono ancora le focaccette schiacciate (chissöe), nei tradizionali ‘testi’, ciotole di refrattario. Durante la preparazione si usa separare i vari strati sovrapposti di pastella con foglie di castagno: dopo la cottura, le focacce ne conservano l’impronta. Nei giorni di festa, con la farina, si confezionava il castagnaccio (castagnàsu o pan de fænn-a düçe). Alto fino a 30 metri, longevo fino a mille anni, il castagno (castanea sativa) è pianta tipicamente mediterranea, diffusa nell’Europa meridionale, in Asia occidentale e nel nordafrica. Appartiene alla famiglia delle Fagacee ed è dotato di radici molto robuste che si ancorano tenacemente al suolo. Dal fusto si dipartono pochi rami potenti e sinuosi che costituiscono l’impalcatura della sua chioma espansa. E’ protetto, in gioventù, da una corteccia liscia e brillante, che diventa dopo il decimo anno di età rugosa e screpolata. Le foglie, caduche, sono grandi e oblunghe e si evolvono a maggio. La fioritura, estiva, si presenta con lunghe infiorescenze formate da glomeruli di piccoli fiori bianchi. Il castagno sopporta bene forti escursioni termiche e resiste ad intensi freddi invernali; ama la luce e una moderata ventilazione, terreni profondi e freschi. Caratteristica importante del castagneto è la ricchezza di specie fungine: ovoli e porcini, colombine e galletti trovano condizioni ideali per prosperare, in simbiosi con le radici delle piante. Il castagno vive in Europa da epoche antichissime, almeno dall’era Cenozoica, come testimoniano i numerosi reperti fossili. La tradizione vuole che il suo nome tragga origine da Kastanis, città del Ponto, dove era molto diffuso. Il mondo classico conosceva bene questa pianta: già Omero citava i marroni, Virgilio indicava le castagne come frutti prelibati (castaneae molles), mentre Plinio, nella sua “Naturalis historia” elencava le principali specie coltivate in Italia: le Salariane, le Tereiane e le pregiatissime Corelliane. Con la farina di castagne si confezionava un pane speciale, consumato nei periodi dedicati al culto di Iside e Cerere. Il castagno nostrale non ha subito, nel tempo, variazioni apprezzabili. Le numerose varietà di castagno oggi note sono da considerarsi più propriamente delle razze colturali, differenziate dall’uomo per finalità economiche. Le variazioni sono morfologiche e biologiche. Le prime attengono al portamento della pianta, ai caratteri del fusto, delle foglie, alla forma e alle dimensioni; le seconde si riferiscono alle esigenze ambientali, alla precocità (agostane, primaticce) o tardività di maturazione (invernenghe, tardive). Le differenze che derivano poi dal carattere dei frutti hanno una grande importanza dal punto di vista economico-produttivo. Non è facile la classificazione definitiva delle razze colturali del castagno in funzione dei frutti: ammontano a parecchie centinaia. La classificazione del Polacco, effettuata per conto dell’Istituto di Statistica nel 1938, elencava le specie delle province liguri. • a Imperia: Grisciora, Marrone, Martina, Gasse Rossa, Gabbiana, Raggiolana, Rossese, Zine • a Savona: Marrone Cuneense, Gabbiana, Ciria • a Genova: Maggiana, Marrone, Tosette, None • a La Spezia: Carpinese, Castagne Selvatiche Si possono distinguere due grandi gruppi: le castagne propriamente dette ed i marroni. Le prime contengono da due a quattro frutti per riccio, hanno buccia bruna e seme avvolto da uno spesso tegumento; i marroni contengono in ogni riccio solo uno o due frutti grossi e ovali, e la buccia è più pallida e sottile. Le piante di marroni sono più esigenti dal punto di vista ambientale e meno produttive, ma i frutti sono più ricercati. Una recente indagine del Consiglio Nazionale delle Ricerche sottolinea come la produzione di castagne in Italia occupi il primo posto nel mondo per entità e qualità, riferendosi in particolare al tipo marrone. Tra i più famosi annoveriamo quelli del cuneense, ed in particolare l’eccellente Marrone di Chiusa Pesio ed il Marrone di Garoglio, a castagne grosse e lucenti. In Liguria si conoscono il Marrone femmina, maschio e selvatico. Sono poi tipici il Marrone di Triora e il Marrone di Carpasio nel ponente, mentre nello spezzino spiccano il Marrone di Sesta Godano e la Marrona nera di Maissana. Per quanto riguarda le produzioni tipiche di castagne comuni, possiamo citare in provincia di Genova la varietà Borzonasca, dalle castagne grosse, di colore marrone scuro. In Val di Vara, ricordiamo la Carpinese, estesamente coltivata e pregevole per la produzione di farina; le Negrisole dei comuni di Zignago, Borghetto e Bugnato e la Bonevi di Maissana e Varese Ligure, di media grossezza e colore marrone-fulvo. sentano ancora splendidi e maestosi. Come nelle valli più interne dell’imperiese, dove sono degni di particolare nota quelli di Triora. Si narra che, alla fine del ‘500, una poveretta, processata per stregoneria, mentre era sottoposta a tortura piangeva per la nostalgia di non poter rivedere la sua Triora dove in autunno “nascono così belle castagne marrone...”. Nei versanti settentrionali del Beigua, tra le province di Savona e Genova, restano numerose fattorie benedettine (cassine) fra i castagneti, con i loro muri di pietra e i famosi tetti di scandole (tegole in legno di castagno). La Valbrevenna, piccola valle dell’entroterra genovese, alligna esemplari maestosi di castagno: sono stupendi quelli che formano la cosiddetta “Selva del Tonno”. La coltivazione del castagno qui era talmente diffusa che nel breve tratto di cinque chilometri, sul torrente Brevenna, si trovano tuttora testimonianze di ben quindici mulini. Appena alle spalle di Genova, sulla sponda sinistra del torrente Bisagno, si trova il “bosco di Trapena”. In autunno è meta tradizionale dei genovesi appassionati di funghi e castagne, che amano battere i boschi senza allontanarsi troppo dalla città. Tra Scoffera e San Marco d’Urri, in Val Fontanabuona, si estende un ininterrotto bosco di castagni. Fulco Pratesi, presidente del WWF, nella sua Guida alla natura d’Italia, indica i castagneti di Pian Cerese come i più begli esemplari della nostra regione. Il borgo di Castagnelo, in Fontanabuona sul torrente Malvaro, ha legato al castagno i propri destini: circondato da fitti boschi che s’inerpicano fino al passo della Scoglina, organizza leggendarie manifestazioni dedicate alla castagna. In alta Valtrebbia, alle spalle di Fontanigorda, sopravvive un incantevole castagneto d’alto fusto chiamato “Bosco delle Fate”, ora attrezzato con panchine, campi da bocce e giochi per i bimbi. La Val di Vara è la zona dove maggiormente il castagno è stato coltivato e sfruttato, e dove ancora la civiltà del castagno non è del tutto tramontata: l’alta valle, in particolare, si presenta spesso come un’ininterrotta distesa di castagneti in pieno rigoglio. Sui versanti meridionali del monte Gottero, i castagneti si estendono uniformi lungo la Costa dei Lagazzi e la Costa Legnina. Più a valle, lungo la Costa di Travigio, sopra Sesta Godano, i canaloni a nord sono uniformemente coperti di castagni fino alla cresta. Nei pressi di Teviggio, a pochi chilometri da Varese Ligure, il castagneto risale decisamente i contrafforti del Gottero, ed è meta tradizionale dei cercatori di funghi.