Investire in cultura dopo l`11 settembre

Investire in cultura dopo l’11 settembre
Pier Luigi Sacco
Se ci si affida ad una logica economica convenzionale e meccanica, i tragici fatti
dell’11 settembre e, ancor più, la drammatica catena di eventi che ne è seguita
dovrebbero preludere ad una significativa contrazione dell’investimento in cultura
da parte delle imprese. E probabilmente in un primo momento questo è quello che
accadrà.
Di fronte ad una drammatica emergenza dal punto di vista delle prospettive di
profittabilità futura, il riflesso istintivo è quello di tagliare tutti i centri di costo
possibili, tanto più quanto questi risultano ‘periferici’ rispetto al core business
dell’azienda.
E non c’è dubbio che l’investimento in cultura, anche per le imprese coraggiose e
lungimiranti che lo perseguono, difficilmente può essere considerato come priorità
assoluta da difendere.
Eppure lo scenario largamente imprevisto e imprevedibile in cui ci troviamo oggi
rappresenta, dal punto di vista dell’investimento culturale come strumento di
produzione e consolidamento del valore economico, un vero e proprio punto di
svolta.
Perché un’impresa investe in cultura?
Fino a ieri era difficile dare una risposta generale che potesse valere per tutti i casi.
Spesso alla base di questa scelta c’era la passione individuale o la ricerca più o
meno deliberata e consapevole di visibilità e di prestigio per il proprio marchio, o
anche il desiderio di utilizzare parte delle proprie risorse per la crescita sociale e
culturale della comunità. Ma da oggi investire in cultura acquista un senso preciso e
determinante.
Di fronte allo shock degli attentati terroristici e degli scenari di guerra, molte
persone hanno ridotto i propri consumi e modificato le proprie abitudini. Non tanto
come conseguenza di una anticipazione razionale dei minori redditi futuri che
richiedono prudenza nelle spese, quanto per una vera e propria crisi del senso e
della motivazione che sta dietro i comportamenti di consumo.
Quegli stessi comportamenti che fino a un momento prima apparivano piacevoli e
desiderabili sono stati improvvisamente investiti da una crisi di legittimazione.
Gli anni Novanta, che per i cittadini delle grandi economie occidentali postindustriali hanno rinverdito i fasti degli anni Sessanta lasciando presagire uno
sviluppo economico potenzialmente senza limiti e un modello di benessere fondato
sulla crescita permanente dei livelli di consumo, sono finiti bruscamente lasciando
un gran senso di vuoto.
E’ questo vuoto che occorre riempire con nuove motivazioni che facciano leva non
tanto sul desiderio individualistico di affermazione, di piacere, di riconoscimento,
valori che appaiono in gran parte responsabili del senso di solitudine e di impotenza
che molti provano di fronte alle nuove sfide esistenziali che oggi si trovano a
fronteggiare, quanto piuttosto sulla capacità di relazionarsi, di condividere le
emozioni e i progetti, di immaginare percorsi per aumentare le possibilità di
sviluppo umano nella diversità delle culture, delle esperienze, dei valori e non il
conflitto e la contrapposizione.
Per conseguire questi obiettivi non si può che fare affidamento sulla cultura.
La cultura è in ultima analisi la materia prima attraverso cui ciascuno di noi produce
senso, trova ragioni per comunicare con mondi ed esperienze per lui lontani,
ricostruisce e comprende le motivazioni di ciò che è altro da sè.
La cultura è, nel nostro nuovo scenario, una risorsa primaria di sopravvivenza.
Investire in cultura diventa così un modo chiaro e determinato di contribuire alla
costruzione delle basi di una nuova convivenza civile, di un nuovo modello di
sviluppo economico, di nuove basi per i comportamenti e le progettualità individuali
e collettive. Investire in cultura è la nuova e pressante frontiera della responsabilità
sociale delle imprese.
Negli ultimi anni le imprese più impegnate nel comunicare ai clienti attuali e
potenziali la propria visione e il proprio orientamento al valore si sono sforzate di
mostrare come tutta la loro attività fosse orientata a costruire un mondo più vicino
alle loro aspirazioni e ai loro desideri. Ma trasmettere una visione e un proprio
orientamento al valore significa immergere il consumatore in un mondo di senso
che trascende il prodotto, il quale diventa solo un elemento di un contesto molto più
complesso ed articolato.
In un momento in cui il fondamento stesso delle aspirazioni e dei desideri è messo
in discussione e sottoposto ad una complessa ridefinizione, lo stesso mondo di
senso che fino a poco fa appariva ricco, appagante, autosufficiente rischia ora di
diventare soffocante e solipsistico se non si apre ad una dimensione più relazionale,
più comunitaria, alla costruzione di un mondo valoriale nel quale l’individuo non
stabilisce una relazione preferenziale con il prodotto ma inserisce il prodotto
all’interno di un modello di socialità più evoluto e consapevole.
Queste dinamiche evolutive non possono essere improvvisate o costruite in modo
strumentale al raggiungimento di determinati obiettivi di vendita: il richiamo
strumentale e superficiale a determinati valori o stati emotivi finisce per divenire
evidente e distrugge la credibilità del marchio e del mondo di senso che l’impresa
cerca di costruire.
Occorre invece allargare la prospettiva e attingere al luogo sociale di produzione
non strumentale di valori, visioni del mondo, modelli di comportamento: la cultura,
appunto.
Nel nuovo scenario, ancora più che nel precedente, la cultura diventa quindi la
materia prima per la costruzione del valore, una risorsa strategica su cui investire
per partecipare alla produzione delle idee, delle visioni, delle ragioni di vita: quanto
più partecipativo, consapevole e mirato l’investimento, tanto maggiore la sua utilità
per l’impresa e per la comunità.
Il problema non è quindi tanto l’investire in cultura: qualunque impresa che mira a
produrre valore nel nuovo scenario definisce una propria cultura, in un modo o
nell’altro. Il problema è imparare ad investire, saper comprendere il complesso e
vitale metabolismo attraverso il quale le nostre società di mercato avanzate
utilizzano le risorse economiche per costruire una nuova economia della mente,
delle motivazioni, dei progetti di vita, e per divenirne parte integrante attraverso
una progettualità ambiziosa, lucida, lungimirante, creativa.
Questo deve essere oggi, e questo sarà sempre più, investire in cultura.