Capitolo 1 LA LEADERSHIP NELL’AZIENDA 1.1 - Introduzione: definizione di leadership e quadro concettuale di riferimento Prima di addentrarci nella trattazione dei vari modelli attraverso i quali possiamo proporci di leggere la complessa fenomenica della leadership, converrà identificare alcune definizioni di base anche al solo scopo di stabilire qualche convenzione di linguaggio. Per quanto riguarda il termine leader, è facilmente realizzabile che si tratti di una parola di provenienza inglese, di origine indoeuropea derivata dal verbo “to lead”, condurre, guidare. La piccola enciclopedia Hoepli del 1895 sottolinea una derivazione ippica: “leader è il cavallo che si pone in testa nella gara e fa l‟andatura”. Il suo significato è simile dunque ad una delle possibili configurazioni della parola italiana “guida”, ovvero “ciò che indirizza verso una meta determinata o suscita o provoca un determinato effetto; ciò che indica il percorso da seguire; punto di riferimento; musa ispiratrice (Grande Dizionario della lingua italiana, Utet)”. Ma se si scorrono più in dettaglio i molteplici significati che la nostra parola “guida” può avere, si comprende come mai la più specifica ed incisiva parola “leader” sia entrata nell‟uso comune. Infatti, la nostra parola “guida” può anche indicare un oggetto inanimato o astratto, oppure una persona che ci conduce lungo un percorso. Ci si collega bene, su questa base linguistico-etimologica, alle definizioni per così dire classiche di “leader” che compaiono nella letteratura psicologica; esse sono riconducibili già secondo English & English (1958) alle basilari seguenti: 1. Una persona che in un dato tempo e luogo modifica, dirige o controlla mediante le proprie azioni, gli atteggiamenti o le azioni di uno o più seguaci. Si tratta di una definizione che potremmo qualificare come descrittivo-rappresentativa; 2. Una persona che occupa un ufficio o una posizione tale da conferire ai suoi consigli o comandi una certa autorità o un certo potenziale atto a controllare il comportamento di un gruppo sociale; abbiamo a che fare con una definizione di tipo situazionalista; 3. Una persona che possiede i tratti supposti necessari per la leadership. Questi tratti vengono variamente definiti, tuttavia molte ricerche sembrano indicare che non esistano tratti specifici di contrassegno della leadership. Si tratta di una definizione che potremmo qualificare come personologica; 4. Sociometricamente parlando, si può definire il leader come la persona che riceve il maggior numero di scelte sociometriche; questo significato può essere indicato come statistico-strutturale. Si è parlato fino a questo punto di leader con riferimento a persone fisiche dotate di peculiari funzioni o compiti o capacità o responsabilità (più o meno definite che siano). E‟ tuttavia opportuno definire parimenti la leadership in quanto funzione; almeno in prima istanza infatti si tratta di qualcosa che non è necessariamente o sempre riferibile o legata ad una determinata persona fisica. Anche per quanto riguarda la leadership sono rintracciabili a fondamento delle molte esistenti alcune definizioni che possiamo considerare classiche. Per English & English (1958) esse sono: 1. I tratti o le capacità caratteristiche dei leader o della funzione di conduzione. Questo primo significato ignora la situazione come fattore determinante del “chi” e del “come” guida e conduce, implicando che il leader sia contrassegnato soltanto o prevalentemente dalle sue qualità intrinseche; si tratta di una definizione chiaramente obliqua per non dire mistificatoria. 2. L‟iniziazione, la direzione o il controllo delle azioni o degli atteggiamenti di un‟altra persona o gruppo, con la più o meno volontaria acquiescenza dei seguaci; questo significato non implica che vi sia una categoria speciale di persone che sono leader, né che speciali qualità o tipi di azione conferiscano la leadership. Si tratta di una configurazione definitoria che è libera da teoria; possiamo tuttavia inquadrarla e qualificarla come funzionalista. 3. L‟azione, qualunque essa sia, che influenza il gruppo nel perseguimento dei suoi scopi; questo terzo significato appare come valutativo, e sembra sottintendere che una leadership auto-centrata non è leadership autentica, e che tutto si debba o si possa comunque ridurre ad un problema di influenzamento, per di più ad una sola via. Si tratta in ogni caso di un tipo di definizione che possiamo qualificare come riduttivisticamente e comportamentivisticamente situazionalista. A doverosa e interessante integrazione del testo di riferimento costituito dall„English & English (e a riprova della fondamentale esattezza della sintesi significale in esso rappresentata) è utile riportare alcuni altri inquadramenti definitori rintracciabili nella letteratura o da essa legittimamente ricavabili: a) La leadership è l‟attività volta ad influenzare le persone che si impegnano volontariamente su obiettivi di gruppo (A. Etzioni, 1961)1. b) L‟influenza interpersonale esercitata da un principe in una determinata situazione e rivolta in direzione del conseguimento di uno o più obiettivi specifici (N. Machiavelli, 1513)2. c) Il processo volto a influenzare le attività di un individuo o di un gruppo che si impegna per il conseguimento di obiettivi in una determinata situazione (P. Hersey e K. Blanchard, 1984)3. d) La complessità dei processi psicologici che caratterizzano l‟esercizio delle funzioni di potere e di influenzamento nei gruppi (G. Trentini, 1980)4. e) La leadership può essere riferita in senso lato alla relazione che corre tra un individuo e un gruppo costituito intorno a un interesse comune, e che induce a comportarsi secondo modalità dirette o comunque determinate dall‟individuo medesimo (K. Schmidt, 1933)5. f) Il termine leader si riferisce alla persona che è stata eletta o incaricata o che è emersa dal gruppo per dirigere e coordinare gli sforzi dei membri del gruppo stesso in direzione di un dato scopo (F. Fiedler, 1987)6. g) Una forma particolare di influenza. E‟ quella in cui una persona (il leader) influenza un altro o varie altre persone (i seguaci) disposti ad accettarne gli scopi e 1 ETZIONI A., “A comporative analysis of complex organization”, Free Press New York, 1961. MACHIAVELLI N.,(1929), “Il Principe”, Le Monnier, Firenze. 3 BLANCHARD K., HERSEY P., (1984), “Lifecycle theory of leadership”, Training and development journal, 23, pagg. 26-64. 4 TRENTINI G., (1990), “L’uno e i molti”, Milano. 5 SCHMIDT K., (1990), “Geschprach uber die Macht und den Zugang zum Machtaber”, Il Melangolo, Genova. 6 FIEDLER F., ( 1987), “Leadership experience and leadership performance”, Wiley, New York. 2 le finalità, e a procedere tutti insieme nella direzione da lui indicata, affermando la propria autorità grazie alla forza di convinzione (E. Jacques, 1990)7. h) Il processo mediante il quale le attività dei membri di un gruppo sono influenzate da una o più persone. Si tratta di un fenomeno di gruppo, indice dello sviluppo, in senso sociale, secondo cui un individuo influenza gli altri più di quanto non venga egli stesso influenzato. Le diverse modalità di leadership si chiamano stili di leadership, cfr par. dedicato (E. Spaltro, 1981)8. A livello di un primo commento è subito annotabile che le convenzioni definitorie che abbiamo testé indicato come classiche sembrano propendere (pur in modo non drastico) verso una impostazione prevalentemente personologica del problema. In realtà le cose stanno o si pongono in modo diverso, come emerge già dal riesame e dall‟analisi accurata del saggio delle definizioni sopra riportate, nonché dai dati delle ultime ricerche e riflessioni svolte nell‟ambito delle discipline interessate al problema. In proposito è anzi opportuno sistematizzare in una breve panoramica le principali scuole di pensiero, cioè i principali orientamenti e punti di vista teoretici adottati nell‟affrontare la tematica della leadership. Un comune rilievo emerge e attraversa tali correnti di pensiero (personologica, interattiva e funzionale chi sia): esso riguarda ancora una volta la complessità che comunque interviene a questo livello dell‟analisi del tema. Per fortuna si tratta di una complessità che è anche riconducibile all‟articolarsi di due soli e grandi schieramenti, separati da un interessante antico spartiacque: quello del primato da conferire all‟individuo oppure al sociale. Si ritorna sempre al punto cruciale. Si nota infatti l‟esistenza nella considerazione teoretica della nostra problematica, dei due seguenti versanti: Il versante portato sulla fenomenologia psico-sociale, centrato sulla vita del gruppo nella sua globalità e sulla sua conduzione o guida, nelle vicissitudini situazionali che lo riguardano all‟interno e all‟esterno. Rientra in tale versante anche ogni accenno o tentativo di analisi istituzionale di una dinamica generale o speciale della leadership. 7 8 JACQUES E., (1990), “A general theory of burocracy”, Hienaman London. SPALTRO E., (1981), “Gruppi e cambiamento”, Etas Libri, Milano. Il versante portato dalla fenomenologia individualista, centrato sulla vita e la personologia del leader, sui suoi tratti e sulle sue attitudini e capacità più o meno carismaticamente caricate. Rientrano in tale versante anche le centrature sul comportamento del leader, così come quelle riguardanti le vicissitudini della vita soggettiva ed intersoggettiva del leader. Da almeno cinquant‟anni, la considerazione della fenomenologia psico-sociale (genericamente indicabile come situazionista) ha teso a gradualmente sopravanzare quella della fenomenologia individualista, quantomeno nel richiamare la considerazione degli studiosi. A. Bryman9 ha tentato di schematizzare tale evoluzione in una tavola (vedi Tabella 1), mirando a semplificare storicamente il percorso. Ma, come abbiamo potuto vedere già fino a questo punto, il caso è più complesso di quanto appaia a prima vista. Quanto al sopra citato spartiacque, potrebbe venir pensato che esso tenda a coincidere con il pur incerto confine tra natura e cultura, cioè con l‟antica “vexata questio” se leader si nasca o si diventi. Ma anche qui le cose non stanno proprio in modo così semplice: sul versante psicologico-sociale, infatti, la fenomenologia della leadership ripete puntualmente quella sintesi dinamica di natura e cultura che è rintracciabile in ogni agire dell‟essere umano in un dato ambito o società di altri esseri umani; sul versante personologicoindividualistico il riscontro è analogo: basti ricordare che tutti i tratti caratteriologici e tutte le attitudini e capacità derivano, perfino costituzionalmente, sia dal genotipo che dal fenotipo e per questa duplice strada, in modo articolato e complesso, vengono trasmessi nonché addestrati e affinati: la natura non rifiuta e non respinge certo la cultura e viceversa. Ancora una volta, quindi, tra il determinismo genetico ed il determinismo sociale l‟unica scelta vera e possibile è quella di una connessione e intersezione tra le due parti, all‟insegna della complessità, e cioè all‟insegna della ragione del Bios, della biologia profondamente e propriamente intesa. 9 BRYMAN A., (1992), “Charisma and leadership in organizations”, Sage, Londra. Tabella 1 - Tendenze nelle teorie e nelle ricerche sulla leadership secondo A. Bryman Denominazione Periodo Tipo di approccio Fulcro di base (secondo G. Trentini) Fino agli (ultimi) Approccio basato La capacità di Orientamenti anni „40 sui “tratti” leadership è innata personologici L‟efficienza della Dagli ultimi anni ‟40 Approccio basato agli ultimi anni „60 sugli “stili” leadership ha a che fare con il comportamento del Orientamenti interattivi leader In questo caso Dagli ultimi anni ‟60 Approccio basato ai primi anni „80 sulla “contingenza” dipende: la leadership efficiente è determinata dalla Orientamenti funzionalisti situazione Approccio basato Dai primi anni ‟80 in poi sulla nuova leadership (includente anche Nuovo funzionalismo I leader devono (attenzione a certe possedere la “vision” valenze quella carismatica) personologiche) Continuando e tirando le fila del discorso sul significato che la dottrina organizzativosociologica ha tentato di attribuire alla nozione di leadership, è utile analizzare ciò che, per esempio, Bernard Bass10 nel proprio manuale sull‟argomento propone come soluzioni alla questione. Egli elenca undici categorie di significati attribuiti alla leadership nel corso dell'ultimo secolo, che possono essere considerate un compiuto sunto di tutte le diverse correnti di pensiero: 10 BASS B.M., (1981), “Stogdills handbook of leadership”, Free Press, New York. 1. Leadership come focus della dinamica di gruppo: il leader viene visto da alcuni autori come protagonista, punto di polarizzazione, centro focale di gruppo. La tendenza che si riscontra in queste prospettive di studio è di considerare il concetto di leadership strettamente legato a quello di struttura e dinamica di gruppo stesso; 2. Leadership come personalità e suoi effetti: questa definizione fa parte della teoria dei tratti secondo la quale si devono ricercare le caratteristiche che rendono alcune persone più capaci di altre nell'esercitare la leadership. Gli studiosi ricercano una definizione che descriva più le caratteristiche che il leader deve possedere per essere tale, piuttosto che una spiegazione gnoseologica del termine leadership; 3. Leadership come l'arte di indurre il consenso: la leadership è definita come l'abilità di manipolare le persone così da ottenerne il meglio con i minimi contrasti e la massima cooperazione attraverso il contatto face-to-face tra leader e subordinati; viene quindi vista come un esercizio di influenza unidirezionale, e pertanto sia il gruppo che i suoi membri vengono messi in secondo piano e considerati alla stregua di meri soggetti passivi; 4. Leadership come esercizio dell'influenza: l'utilizzo del concetto di influenza segna un passo decisivo nell'astrazione del concetto di leadership; gran parte degli studiosi che operarono già negli anni '50 utilizzarono definizioni affini. Il concetto di influenza implica una relazione reciproca tra individui, non necessariamente caratterizzata da dominio, controllo o induzione del consenso da parte del leader; 5. Leadership come comportamento: questa definizione, caratteristica dell'Organizational Behavior, emerse nello stesso periodo della precedente; i ricercatori cercarono di spiegare quali fossero gli atti e i comportamenti caratteristici dell'esercizio della leadership, ovvero quelli propri di un individuo orientato alle attività di gruppo; 6. Leadership come forma di persuasione: è un tipo di definizione che cerca di rimuovere ogni implicazione alla coercizione, focalizzando invece l'attenzione alla relazione con i seguaci. Più recentemente la strategia persuasiva è stata indicata come una delle modalità principali di leadership; 7. Leadership come relazione di potere: per spiegare questo tipo di affermazione, gran parte degli studiosi che l'hanno adottata hanno utilizzato due soggetti di riferimento, A e B, simulando tra loro relazioni di potere; se A induce B ad attuare dei comportamenti per raggiungere un comune obiettivo, allora si può affermare che A ha esercitato leadership su B; 8. Leadership come strumento per raggiungere l'obiettivo: quest'idea è comune a molti studiosi che l'hanno inclusa nelle proprie definizioni, ma alcuni più di altri hanno centrato la loro sul raggiungimento dell'obiettivo; questi studiosi considerano la leadership come forza principale per stimolare, motivare e coordinare coloro i quali si muovono per raggiungere un obiettivo comune; 9. Leadership come fattore emergente dell'interazione: ciò che differenzia questa affermazione dalle precedenti è il nesso di causalità; in questa si nota che la leadership viene considerata un effetto dell'azione del gruppo e non più un suo elemento formante. La sua importanza sta nell'aver messo in evidenza che la leadership emerge dal processo di interazione tra individui, e non avrebbe ragione di esistere senza di esso; 10. Leadership come ruolo di differenziazione: tale definizione fa parte della teoria dei ruoli, secondo la quale ogni individuo interagendo con altre persone o con un gruppo gioca un ruolo, solitamente diverso, dagli altri individui. Diversi autori utilizzano definizioni che vedono nella leadership un attributo che differenzia i membri all'interno di un gruppo; 11. Leadership come l'iniziazione di una struttura: con questa affermazione si vuole intendere che la funzione di leadership è indispensabile per l'avvio di una struttura e per il suo mantenimento e perseguimento di obiettivi nel tempo. A chiosa della lunga trattazione, ci sentiamo di fare nostra un‟unica e breve definizione del significato del concetto di leadership come oggi appare più aderente al contesto socioeconomico; si può pertanto definire la leadership come “una forma di problem solving organizzativo, che mira a raggiungere gli obiettivi dell‟organizzazione attraverso l‟influenza sull‟azione altrui”. Questa definizione permette di calarsi in maniera più coerente nel quadro aziendalista, che in questa sede assume maggior peso e rilievo; si noti però come racchiuda in sé i recenti sviluppi funzionalistici, e le più profonde caratterizzazioni del leader nell‟ottica dell‟impresa. 1.2 - La leaderschip nell’impresa L'impresa è costantemente costretta a cambiare e adeguarsi alle trasformazioni del mercato, ma, oggi, come nel passato, sono ancora poche le persone in grado di modificare in modo significativo l'impresa. Queste persone possono essere definite con l'espressione di leadership aziendale. Ogni nuova idea nasce, generalmente, dal pensiero di un uomo ed è per questo che, in un'epoca caratterizzata dalla creatività, la leadership assume un ruolo ancora più importante che nel passato; il leader deve possedere una visione del "mondo" tale, che gli consenta di vedere più avanti degli altri e di conseguenza di agire in anticipo sui tempi. Ogni impresa eccellente mira al raggiungimento di un ruolo di preminenza nei rami di attività in cui opera; alla leadership spetta il compito di incubare, stimolare, sostenere, conquistare questo obiettivo. Per il conseguimento di questo target, la leadership deve metabolizzare una serie di "valori": Possedere la vision mirata al raggiungimento del successo dell'impresa. Essere elemento trainante ed esempio per i collaboratori. Essere creativa. Essere in grado di determinare processi di cambiamento nell'impresa finalizzati al coinvolgimento degli stakeholder. Riuscire a creare valore per l'impresa. Essere in grado di valutare lo stato di salute dell'impresa non tanto e non solo dagli indicatori economico-finanziari, ma da indicatori di natura intangibile o da segnali provenienti dal mercato e dall'impresa. Spesso i manager, in particolare quelli delle grandi aziende, si attribuiscono l'etichetta di leadership aziendale. Ma la leadership è cosa diversa dal management. Leadership e management sono due funzioni aziendali distinte e complementari, entrambe necessarie per il successo della grande, come della piccola impresa. Al management è affidata la gestione della complessità, alla leadership è affidato il cambiamento; oggi in piena transizione dalla "vecchia" alla "nuova" economia la maggior parte delle aziende di tutti i paesi industrializzati soffre di eccesso di management e di carenza di leadership, conseguentemente ne risultano gravi difficoltà nel gestire il cambiamento. D'altra parte un lavoro svolto presso l'Mit ha mostrato che su 280 aziende statunitensi di successo prese in considerazione, solo tre sono state in grado di mantenere una posizione di preminenza di mercato per più di 18 anni; la causa del decadimento è stato attribuita alla incapacità al cambiamento mostrato da tali aziende. Circa la longevità di un'impresa esistono punti di eccellenza, che vanno citati. La Dupont, impresa nata ben duecento anni fa per la produzione della polvere da sparo, nel 1920 era uno dei principali azionisti della General Motors e oggi è essenzialmente un'impresa chimica. La General Electric, che è oggi il maggiore gruppo industriale del pianeta, alla sua nascita realizzava lampadine e trasformatori, dopo la seconda guerra mondiale produceva centrali termiche, reattori nucleari, impianti, treni ed elettrodomestici, oggi ricava la maggior parte dei suoi utili da attività di servizio nel campo della finanza e dell'affitto di aeromobili a gran parte delle compagnie aeree del mondo. La direzione di un'impresa comprende management e leadership, funzioni diverse e complementari (Hinterhuber, 1999) le cui differenze possono essere così riassunte. La leadership: Scopre nuove opportunità e gli strumenti per attuarle o farle attuare. Crea nuovi paradigmi. Considera normale lavorare per breakthroughs. E' orientata alla creatività. E' in grado di cambiare radicalmente il sistema dell'impresa. Ha grande rispetto per le persone. E' in grado di motivare i collaboratori in modo da porli nelle condizioni di fornire prestazioni di spicco. La sua autorevolezza deriva dalla condivisione della vision, della mission, delle strategie e degli atteggiamenti da parte dei collaboratori. Ha metabolizzato l'atteggiamento del servire. Pensa in modo pro-attivo. Sfugge all'identificazione (in un ruolo, ad esempio), mediante l'auto-osservazione: vede dall'esterno il suo comportamento e lo adegua alle necessità poste dagli eventi esterni. Dai punti sopra elencati si evince che il compito più significativo che compete alla leadership è attivare nel sistema aziendale salti qualitativi, che possano condurre a vere e proprie rivoluzioni organizzative nell'impresa. Per ottenere questi obiettivi, che potrebbero trovare ostacoli proprio tra i collaboratori, la leadership dovrebbe agire facendo riferimento ai seguenti comportamenti (Kotter,1999): 1. Creare il senso dell'urgenza. 2. Attivare un gruppo di lavoro abbastanza autorevole. 3. Creare una vision adeguata e stimolante, capace di creare il consenso. 4. Comunicare la vision in modo chiaro. 5. Conferire ai collaboratori ampie responsabilità decisionali. 6. Cercare risultati positivi sul breve tempo, in modo da convincere gli scettici. 7. Affrontare i punti più delicati del cambiamento con slancio. 8. Incorporare nella cultura aziendale i nuovi comportamenti assunti per la gestione del cambiamento. Il management: Trova soluzioni ai problemi. Lavora all'interno di paradigmi definiti e accettati. Opera per cambiamenti incrementali. Adotta metodi e tecniche per porre cose e persone al posto giusto e al momento giusto. Usa l'uomo come risorsa per conseguire degli obiettivi. La sua autorità deriva dalla posizione gerarchica e dalla competenza specialistica. Ha metabolizzato l'atteggiamento del fare. Pensa in funzione dell'agire. E' orientato all'identificazione (in un ruolo ad esempio). Da quanto detto la distinzione tra leadership e management non è né arbitraria né semantica, è, all'opposto, molto forte. Quelle aziende che confondono la leadership con il management saranno in grado di gestire i piccoli miglioramenti incrementali, ma non saranno in grado di introdurre modifiche di ampio respiro, quei breakthroughs, che possono consentire di cogliere l'occasione di un nuovo business ed evitare il declino. D'altra parte, i nuovi paradigmi della gestione d'impresa, impongono al manager, pur riservandogli una funzione diversa da quella della leadership, la necessità di una cultura maggiormente imprenditoriale; se non avviene questo cambiamento i manager possono diventare l'anello debole delle imprese e fisiologicamente essere estromessi ad ogni riorganizzazione aziendale o ad ogni mutamento del business. Ma spesso il cambiamento è stato affidato a manager, privi delle qualità della leadership. Le ragioni dell'insuccesso di un cambiamento organizzativo possono essere le seguenti (Kotter, 1999): 1. Non aver creato un senso di urgenza sufficientemente forte. 2. Non aver creato un gruppo sufficientemente motivato e autorevole per la gestione del processo. 3. La mancanza di una vision sufficientemente lungimirante, efficace e comprensiva. 4. Non aver comunicato la vision in modo adeguato. 5. Non aver rimosso gli ostacoli che intralciano la nuova vision. 6. Non aver creato condizioni di successo sul breve termine. 7. Aver cantato vittoria troppo presto. 8. Non aver incorporato i cambiamenti nella cultura d'impresa. Giova notare che, secondo il lessico convenzionale, esistono due tipi di leadership che operano secondo due diversi paradigmi. In base al primo paradigma, il leader è spinto da un'enorme energia, indica una direzione chiara e i suoi collaboratori lo seguono come un eroe per raggiungere l'obiettivo indicato. Il secondo paradigma vede il leader come un saggio e gli elementi centrali che creano il rapporto con i collaboratori sono la fiducia, l'atteggiamento orientato al servizio, l'affiatamento, l'empatia. I due paradigmi sembra che non possano convivere, ma essi potrebbero rappresentare le due facce della leadership, da presentare in occasioni diverse della vita dell'impresa, la prima quando è necessaria l'azione, la seconda quando è necessario elaborare una strategia. La leadership, come vedremo meglio, deve individuare e stabilire rapporti con tutti i soggetti che possono contribuire alla crescita di valore dell'impresa o che, indirettamente, hanno rapporti con l'impresa, ma un'attenzione particolare essa dovrà avere con i propri collaboratori e con i clienti. 1.4 - La leadership e lo stile con cui è condotta Alla luce di quanto è stato precedentemente enunciato è possibile affermare che la capacità di svolgere compiti di coordinamento all‟interno del gruppo si identifica con il ruolo di guida del gruppo medesimo. Se tale capacità si manifesta in modo continuativo essa costituisce una indispensabile premessa per l‟attribuzione della leadership a colui che la dimostra e la esercita. La leadership è quindi una qualità, una dote che costituisce non solo un fattore di apprezzamento per l‟individuo, ma anche una risorsa preziosa per il gruppo. Avviene solitamente che uno o più membri di una organizzazione ritengano importante impegnarsi nella ricerca di una qualche influenza su altri membri; ciò significa effettuare tentativi di esercizio di autorità. Qualora questi tentativi siano coronati da successo e vengano ripetuti nel tempo, essi possono in realtà conferire la leadership a colui che ne è risultato protagonista. Il tipo e la consistenza dell‟impegno profuso dagli appartenenti al gruppo organizzato dipende in buona parte anche dalla posizione coperta originariamente da ciascuno di essi. Infatti, nella generalità dei casi il ruolo di capo è attribuito formalmente con un atto di investitura, spesso anche da individui o organismi estranei alle operazioni sviluppate nel sistema. Per quanto il leader formale non dimostri qualità sufficienti ad esercitare la guida del gruppo, è probabile che gli altri membri non ritengano opportuno o conveniente cercare di opporsi all‟autorità precostituita, limitandosi ad uniformarsi alle disposizioni impartite da questa ultima; la conseguenza di ciò è la crescente deresponsabilizzazione dei collaboratori del capo, il quale difficilmente otterrà un riconoscimento sostanziale del proprio ruolo. Di contro può accadere che lo stesso capo investito e non immediatamente accettato si adoperi nello sviluppare bene il proprio compito per acquisire consenso e prestigio. E‟ pure possibile che la ricerca del consenso avvenga da parte di coloro che, pur rivestendo ruoli di subordinati, mostrino qualità tali da farli ritenere meritevoli di posizioni di livello gerarchicamente superiore. È necessario,quindi, porre un‟importante distinzione tra due concetti spesso imprecisi nella letteratura sull‟argomento: la leadership formale, che viene spesso associata al leader imposto dall‟esterno, nella psicologia del lavoro al manager, e la leadership informale, derivante dall‟interno del gruppo; tale distinzione corrisponde, al limite, a quella che corre tra leader imposto dall'esterno (il "sergente" della oleografia popolare) e il leader espresso dall'interno del gruppo (il "profeta " o "guru" trascinatore). È possibile distinguere, in lingua inglese, la leadership (che viene intesa come capacità di influenzare) dalla headship (“capacità", saper essere a capo di, funzionare da "duce" di qualcosa). Inoltre, occorre sottolineare che quando si parla di leadership ci si rende conto che spesso l‟influenza scaturita dai grandi leader non deriva dal diretto contatto con esso, ma avviene attraverso alcuni intermediari. È necessario dunque porre una chiara distinzione tra leadership diretta, che comprende le relazioni e le interazioni fra un leader riconosciuto e i suoi immediati collaboratori e la leadership indiretta detta anche leadership “a distanza”, che consiste nell‟influenza di un leader riconosciuto su persone che non sono subordinate direttamente a lui/lei. In genere si può affermare che la leadership, per essere realmente acquisita, ha bisogno di svilupparsi gradualmente attraverso un processo che conferisca al soggetto interessato due essenziali strumenti operativi da far valere alla guida del comportamento del gruppo. Nello specifico ci riferiamo a: La capacità di collegare tra loro dati ed informazioni per costruire soluzioni idonee all‟esercizio di tale guida; La padronanza di strumenti di persuasione e di comunicazione utilizzando messaggi rivolti ai soggetti appartenenti al gruppo medesimo. Gli studi psicologici hanno dimostrato che la personalità e le caratteristiche comportamentali di un individuo sono determinate dai processi di apprendimento a cui egli, nel proprio contesto sociale, è stato sottoposto durante l‟intero arco di vita. Da ciò, le disposizioni della personalità sono parte intima di un individuo mostrando una certa stabilità nel tempo e nelle situazioni. Tuttavia, le disposizioni della personalità non risultano immutabili, infatti possono cambiare come risultato di un nuovo processo di apprendimento. Conoscere le differenti disposizioni della personalità è una delle caratteristiche fondamentali di un leader in ambito aziendale o progettuale, in quanto aiuta ad analizzare le proprie caratteristiche personali e quelle dei propri colleghi o collaboratori, individuando punti di forza, di debolezza e il potenziale che ognuno è in grado di esprimere. Essere in grado di distinguere fra disposizione performance-oriented, sociale, cognitiva, disposizione al potere e al cambiamento, è la base per capire in quali situazioni il talento e il potenziale possono esprimersi liberamente. Se la personalità è in armonia con le attività professionali, gli obiettivi e i desideri personali saranno soddisfatti e il successo arriverà automaticamente. La comprensione delle disposizioni di personalità aiuta a comprendere il modello comportamentale altrui, migliorando le relazioni interpersonali, creando le condizioni ottimali per un‟efficace collaborazione reciproca, per utilizzare la propria energia dove sarà più efficace, per riconoscere le potenziali aree di conflitto con altre persone minimizzandole e per creare l‟ambiente professionale più proficuo per il successo. I fattori di successo di un‟unità organizzativa sono motivati da un sistema culturale che ne determina struttura, equilibri interni e interazioni. I valori e le attitudini di leader e collaboratori sono i fattori chiave di successo dell‟unità organizzativa. La cultura aziendale determina i comportamenti di leader e collaboratori, ma i collaboratori e i leader costruiscono la cultura aziendale in un lungo arco temporale. In ogni struttura sociale è naturale che chi ha poteri decisionali eserciti particolari influenze sui valori, i ruoli e i comportamenti aziendali. In questo senso, lo stile o la cultura di leadership influenza la cultura aziendale. La leadership diventa efficace quando stile di leadership e valori aziendali sono allineati, ovvero quando la leadership è compatibile con i valori aziendali percepiti e non sussistono conflitti di valori fra le gerarchie. La leadership può trarre fondamento da doti innate presenti nell‟individuo, derivanti da fattori caratteriali, sviluppati pure a seguito dell‟assimilazione di valori culturali appresi dal proprio gruppo originario di appartenenza. Si parla in proposito, quindi, di qualità carismatiche che esprimono, all‟interno di un contesto organizzato, salienti differenze coerenti con la ricordata autorità di prestigio. Tutto ciò porta a definire alcune qualità o requisiti che dovrebbero in ogni caso essere presenti in coloro ai quali si ritiene opportuno attribuire il ruolo di leader. Fra tali qualità possiamo sommariamente annoverare: 1. Elementi che contraddistinguono tratti della persona, quali l‟aspetto ed il comportamento abituale, che inducono la considerazione ed il rispetto altrui. Si possono così attribuire sinteticamente all‟individuo il caratteri di predicatore – catalizzatore o quello di persuasore – dominatore; 2. Capacità di percepire e di gestire il cambiamento, nonché di modificare i punti di riferimento del proprio gruppo. Il leader deve saper cogliere tempestivamente i mutamenti strutturali dell‟ambiente, capaci di provocare trasformazioni nei valori culturali accettati dal gruppo di riferimento; 3. Coerenza con le caratteristiche dei seguaci. La capacità di guidare il comportamento dei membri del gruppo dipende anche dalle caratteristiche di questi ultimi; difatti il rapporto di leadership è caratterizzato dalla biunivocità, dove la collaborazione è elemento essenziale per il raggiungimento delle proprie prerogative; 4. Capacità di sviluppare azioni organizzative coerenti con le proprie idee innovative e con i cambiamenti culturali sollecitati nei propri collaboratori; 5. Capacità di esprimere e trasmettere idee di successo per le proprie iniziative. L‟azione del leader per essere efficace ha bisogno di basarsi sulle esperienze positive di risultati già conseguiti in passato. Alcuni autori11 sostengono che i leader posseggano l‟intelligenza emotiva, termine omnicomprensivo utilizzato per indicare quei tratti della personalità che condizionano il nostro modo di percepire gli altri e gli eventi esterni, e che determinano il modo in cui gli altri si relazionano a noi. È la modalità di elaborazione delle informazioni interpersonali e intrapersonali, ovvero la consapevolezza e l‟abilità di gestire la comunicazione fra le persone e con se stesso. L‟intelligenza emotiva si suddivide in cinque domini: consapevolezza, automotivazione, autodisciplina, competenza sociale ed empatia. 11 STUCCHI G, (2008), “Leadership, modelli e comportamenti”. La consapevolezza è la capacità di un individuo di percepire, comprendere e accettare il proprio carattere, i propri valori e le proprie necessità e la capacità di comprendere come questi influiscono sugli altri; induce all‟armonia, all‟autostima e alla fiducia in se stessi. L‟automotivazione è l‟entusiasmo per il proprio lavoro, quindi è la capacità di trovare individualmente stimoli nella propria attività senza bisogno di incentivi. I fattori chiave dell‟automotivazione sono la desiderabilità e la realizzabilità. La desiderabilità di un obiettivo è data dai benefici attesi sia nell‟immediato che nel lungo termine e dalla probabilità di raggiungere l‟obiettivo; la realizzabilità è data dal grado in cui le proprie azioni possono contribuire al raggiungimento dell‟obiettivo. L‟autodisciplina è la capacità di darsi regole e metodo per esercitare il proprio lavoro in modo autonomo e indipendente; ogni individuo dovrebbe sentirsi capace di realizzare i propri desideri e i propri obiettivi senza sentire il peso oppressivo di fattori esterni.è La competenza sociale è la capacità di stabilire e sostenere relazioni interpersonali soddisfacenti e quindi si riferisce alle capacità della persona di adattare il proprio comportamento dal livello individuale a quello sociale. Questo è il tipo di competenza caratteristico dei leader nel contesto aziendale, in quanto descrive la capacità di creare e mantenere uno spirito di gruppo, la motivazione alla collaborazione e al raggiungimento di un obiettivo comune. L‟empatia è la capacità di un individuo di immaginare se stesso nella situazione altrui per capire lo stato emotivo e le motivazioni di un‟altra persona. Avere un comportamento empatico significa anche reagire a fattori personali esterni in modo appropriato. I domini dell‟intelligenza emotiva si concentrano in quattro disposizioni di personalità con tratti caratteristici molto netti e distinti, fattori motivazionali e tendenze comportamentali peculiari. Queste disposizioni sono riassunte brevemente nei profili DISC (Dominante, Influente, Steady, Cauto), di cui la Tabella 2 delinea, a grandi linee, le caratteristiche riassuntive. Tabella 2 - Profili DISC La leadership non deve essere intesa come una prerogativa “naturale”, bensì come una posizione da conquistare attraverso un impegno consapevole e prolungato nel tempo di individui che intendono ottenere consenso e prestigio nel sistema di impresa. Inoltre tale posizione deve essere alleggerita di quei fattori legati all‟apparenza e alle capacità “magnetiche” dell‟individuo, traducibili nel cosiddetto carisma. Tutto ciò consente di concentrare l‟attenzione su alcune principali attitudini che il leader dovrebbe sviluppare attraverso ogni possibile forma di apprendimento. Nello specifico intendiamo in questo contesto riferirci a: a) Attitudine a collegare realisticamente obiettivi da raggiungere e mezzi da utilizzare. La principale dote del leader sarà quella di sintetizzare in specifici piani operativi direttive che ottengano il consenso e la condivisione del gruppo; b) Capacità di esprimere fiducia nelle potenzialità del gruppo, trasmettendo ai propri collaboratori messaggi ottimistici circa le attese dei risultati delle azioni da intraprendere. La carica di fiducia e di entusiasmo che egli palesa riguardo al successo realizzabile dal proprio gruppo può facilmente trasmettersi a tutti i componenti interessati dal piano di azione, stimolando una condivisione e una partecipazione sentite e generalizzate. Lo scetticismo, la sfiducia e l‟indifferenza del leader sono negatività assai contagiose e provocano atteggiamenti di incertezza anche sui collaboratori più motivati. c) Idoneità a realizzare concretamente le azioni programmate. Il leader non deve essere tentato da atteggiamenti di prudente attesa, esponendosi al rischio insito nella “inazione”. E‟ opportuno che si confronti di continuo con i problemi di varia natura capaci di ostacolare l‟inizio o la regolare prosecuzione dell‟azione, contrastando atteggiamenti di indifferenza e di opposizione attiva sviluppati all‟interno o all‟esterno del proprio gruppo. La leadership vera e propria non può essere conferita; non più di quanto possa esserlo l‟autorità. Un dirigente che debba essere costantemente pressato all‟azione perde gradatamente la sua leadership a vantaggio di colui che lo stimola. Un vero leader non aspetta che un problema gli venga sottoposto, non si adagia lasciando che le cose vadano per loro conto, ne spera che qualcun altro dia l‟avvio alle iniziative necessarie. Al contrario, egli si dà da fare e va alla ricerca dei problemi da risolvere. Egli è, in sostanza, un riformatore. 1.5 - Stili di leadership La leadership è la combinazione di comportamenti individuali nell‟esercitare particolari ruoli e funzioni atti alla pianificazione, ai processi di decision-making, all‟implementazione e al controllo all‟interno di un‟organizzazione. Leadership significa esercitare un‟influenza deliberata sull‟ambiente circostante, in particolare sui collaboratori, al fine di raggiungere un obiettivo specifico. Tuttavia, la leadership non esiste in modo isolato, è influenzata da fattori intrinseci quali la cultura aziendale prevalente e la strategia aziendale, o esterni quali gli standard sociali. Le attitudini fondamentali e personali di un leader influenzano il suo stile di leadership. La classificazione più nota è quella elaborata da KURT Lewin che distingue: Lo stile autoritario è caratteristico di coloro che confidano sulla propria funzione gerarchica e che richiedono rigida subordinazione; questi leader si ritengono i soli intitolati a prendere decisioni e si rivolgono ai collaboratori con istruzioni e ordini. La conseguenza di questo stile è la mancanza di fiducia reciproca, l‟instaurarsi di tensioni e conflitti. I gruppi guidati da leader autoritari mostrano di solito un'elevata produttività, che tende però a crollare in assenza del leader ; inoltre presentano un clima emotivo solitamente sgradevole. Si può far rientrare in questa categoria anche lo stile persuasivo, definito successivamente da altri autori, nel quale il leader tende a spiegare le motivazioni delle decisioni prese, per farle accettare meglio ai collaboratori. Lo stile cooperativo riguarda quei leader che coinvolgono i collaboratori nei processi decisionali, consentono agli altri di fare proposte per poi scegliere l‟opzione più adeguata, riconoscono le capacità dei collaboratori usandone le competenze e i punti di forza in modo adeguato, e condividono gli obiettivi e le modalità di conseguimento con i collaboratori. Il leader cooperativo interviene in caso di deviazioni dagli obiettivi o quando percepisce che questi non possano essere raggiunti e cerca il contatto diretto e personale con i collaboratori. In seno al gruppo prevale un clima di mutuo rispetto e l‟atmosfera è rilassata e informale. Lo stile democratico è tipico dei leader che trattano i collaboratori come propri pari, malgrado differenze di funzione, competenze, età. Costoro si focalizzano sul potenziale del collaboratore massimizzandone la produttività. I processi decisionali sono collegiali, sia il leader che i collaboratori prendono le proprie decisioni condividendo un senso comune di responsabilità. Questa responsabilizzazione induce il collaboratore a lavorare con impegno anche quando il leader è assente. I gruppi guidati da leader democratici mostrano di solito una bassa produttività iniziale che tende però a crescere; inoltre il gruppo lavora anche in assenza del leader e il clima emozionale tende ad essere piacevole; Lo stile “laissez-faire” è quello del leader che ha scarso interesse alle necessità dei collaboratori o al raggiungimento di obiettivi; si mostra ai collaboratori soltanto in caso di assoluta necessità, delega i controlli ad altri collaboratori o ad altri leader. In questo modo la cooperazione risulta difficoltosa e inefficiente, il leader perde parte del suo ruolo e si formano sottogruppi con leader informali. I gruppi guidati da un leader laissez-faire tendono a presentare un clima emozionale molto piacevole ma anche scarsa produttività. Gli stili di leadership12 che possono essere messi in opera variano da leader a leader e da situazione a situazione. Il suddetto stile di guida può avere come estremi l‟essere “incentrato sul leader” o l‟essere “incentrato sul gruppo”; ciò dipende dalla misura in cui il leader condivide o meno con i propri collaboratori il controllo del gruppo stesso. Alcuni affermano che ci sia un momento opportuno per ognuno di questi cinque stili. L‟orientamento verso uno stile “incentrato sul leader” tuttavia, sarebbe normalmente appropriato solo quando il gruppo manca della maturità e della comprensione necessaria per prendere buone decisioni, o forse anche in una situazione di crisi aziendale o decisionale. I cinque stili di leadership più comunemente attuati nei vari contesti operativi possono essere riassunti nelle seguenti macrocategorie: 1. Prescrivere: il leader identifica i problemi, considera le possibili soluzioni, sceglie la più appropriata e indica ai suoi seguaci come comportarsi nel suo perseguimento. Il leader può prendere in considerazione le opinioni dei membri, ma essi non partecipano direttamente nelle decisioni, e pertanto accentra su di sé sia le procedure di “problem solving” che di “decision making”. 2. Convincere: il leader prende delle decisioni in autonomia e tenta di persuadere i membri del gruppo ad accettarle ed a supportarle. Un leader che usi questo stile può, nel processo comunicativo, evidenziare di aver considerato sia gli obiettivi dell‟organizzazione che gli interessi dei membri del gruppo, indicando come in qualunque caso il gruppo stesso trarrà beneficio dalla decisione presa. 12 SPALTRO E., “Culture di coppia, di gruppo, di collettivo”, in Psciologia Sociale, Boringhieri, Torino. 3. Consultare: imembri del gruppo hanno l‟opportunità di influenzare il processo decisionale sin dal suo inizio. Il leader che usa questo stile in prima istanza presenta dettagliatamente la problematica e fornisce tutte le informazioni necessarie per avere un corretto feedback dai collaboratori. Egli poi invita il gruppo a suggerire possibili piani d‟azione e una volta concluso questo processo di “brain storming” individua le soluzioni più interessanti e ad alto potenziale di “rewarding”. 4. Partecipare: il leader decide di partecipare alla discussione sulla problematica oggetto di analisi come se fosse un comune membro del gruppo, concordando in anticipo di condividere e perorare qualsiasi decisione venga successivamente presa e concordata. 5. Delegare: il leader definisce i confini all‟interno dei quali risolvere i problemi o portare a termine la missione prefissata. A quel punto lascia che sia il gruppo in completa autonomia a trovare le soluzioni e portare avanti il lavoro così come deliberato. E‟ tuttavia necessario ricordare come nessuno di questi cinque stili sia giusto o sbagliato in sé, e che pertanto ognuno deve essere valutato criticamente. In campo militare, ad esempio, l‟imposizione ai soldati della decisione sul da farsi senza il minimo margine di discussione si rivela la soluzione ottimale. Questo di solito accade quando è evidente il bisogno urgente di prendere decisioni. Tuttavia, in circostanze normali, il leader che lavora con un gruppo deve saper discernere quando ogni stile di leadership sia più appropriato, e maturare la capacità di usare, quando è necessario, nuovi registri comportamentali. 1.6 - I compiti della leadership Una volta definita e inquadrato compiutamente il concetto di leadership, è opportuno analizzare una serie di compiti che competono alla leadership, e che come si potrà subito intuire mal si conciliano con la gestione ordinaria dell‟azienda. In un circolo virtuoso, quanto più un imprenditore si libera di impegni operativi affidandoli a collaboratori responsabilizzati, tanto più potrà occuparsi del futuro della sua azienda. Un leader capace dovrà individuare le capacità distintive più consone alle necessità della propria impresa e più adeguate alla creazione del valore. Compito del leader è possedere la vision più opportuna, che gli consenta di tracciare la rotta dell‟impresa e di dare un senso alle azioni di ciascun collaboratore. La vision deve essere ovviamente associata ad ipotesi concrete e dimostrabili, nonché alla capacità di essere comunicata in modo trasparente e intuitivo. In questo modo i collaboratori accetteranno e condivideranno i valori che la vision richiede, potranno identificare ed apprezzare il proprio ruolo in azienda, migliorare le proprie competenze, e saranno invogliati ad assumersi responsabilità partecipando alla creazione dell‟intelligenza emotiva aziendale. Giova sottolineare che la realizzazione di visions particolarmente ambiziose (Kotter, 1999) infonde energia nei collaboratori, non solo perché li spinge nella direzione giusta, ma anche perché soddisfa alcuni bisogni primari dell'uomo: appagamento, appartenenza, riconoscimento, autostima. In sintesi la vision rappresenta l'immagine aziendale desiderata nel lungo termine, e viene, normalmente, esplicitata dalla leadership attraverso frasi chiare e concise che ne definiscono l'essenza nei confronti di tutti gli stakeholder. La mission è la ragion d‟essere di un‟azienda e deve essere pensata dal vertice imprenditoriale in modo tale che ciascun individuo, pur con diversi gradi di approfondimento, sia in grado di dare risposte precise relativamente ai suoi valori, ai suoi clienti, ai suoi prodotti ed alle sue priorità strategiche. La leadership deve garantire che la mission aziendale assicuri i seguenti requisiti: sia enunciata in modo chiaro e visibile; contenga le regole fondamentali della vita aziendale; sia rispettata da tutti; tenga conto della soddisfazione dei collaboratori. La mission assolve, quindi, tre funzioni: La funzione di orientamento. Ogni stakeholder deve disporre di informazioni chiare per il conseguimento degli obiettivi comuni; la navigazione deve procedere su una rotta tracciata e nota a tutti. La funzione di legittimazione. La prima legittimazione viene normalmente dall'imprenditore, ma, nell'impresa è ancora più importante la legittimazione proveniente dagli stakeholder, per ciascuno dei quali la mission deve prevedere un codice di comportamento, gli obiettivi e un sistema di valori. La funzione di motivazione. Fissando per ciascun collaboratore, in modo chiaro e semplice, obiettivi raggiungibili, si stimola il collaboratore ad offrire il massimo impegno nel raggiungimento del compito affidatogli, ma ancor più a sviluppare un'autoanalisi volta a riconoscere il proprio potenziale di crescita professionale. Il collaboratore, in base alle sue potenzialità, dovrà essere in grado di dare una risposta alla seguente domanda: «Che tipo di contributo posso offrire all'impresa per il soddisfacimento degli stakeholder, innanzitutto i clienti?». La mission ha valore se non si ferma al presente ma si proietta nel futuro, pertanto essa deve essere flessibile e ripensata almeno ogni anno. La leadership dovrà operare col fine ultimo che la propria impresa raggiunga l‟eccellenza grazie a competenze distintive che le consentano di essere diversa dalle altre. Esistono una miriade di Pmi che godono di questa realtà, ma, a titolo esemplificativo, non si può non far riferimento alle competenze distintive di alcuni grandi brands: McDonald's per la forza del marketing orientato ai giovani, Swatch per il design ed il marketing, l'industria delle macchine fotografiche giapponesi per la meccanica di precisione e per la microelettronica, Sony per la miniaturizzazione, Benetton per la pubblicità, Microsoft per il software, Volvo per la robustezza delle auto, Ikea per l'arredamento economico. Come è già stato ampiamente descritto in letteratura, uno degli elementi del vantaggio competitivo dell‟impresa è rappresentato dalla differenziazione; questa caratteristica può essere acquisita grazie al costante sviluppo delle competenze dell‟azienda. Le competenze distintive si manifestano in genere come asset immateriali, e si sviluppano attraverso lo studio, l‟addestramento, l‟aggiornamento; aiutano a migliorare l‟autostima dei lavoratori e lo spirito di squadra. Al fine di potenziare e di sfruttare le competenze distintive dell‟impresa, la leadership dovrà avere ben chiari alcuni concetti: qual‟è il principale know how aziendale? Qual‟è il suo maggiore potenziale conoscitivo? Quale prodotto mette in evidenza il suo potenziale distintivo? Quale segmento di mercato può meglio apprezzare tali competenze, e quali altre opportunità di business possono nascere dal know how posseduto? La leadership dovrà inoltre ed infine preoccuparsi di sviluppare in azienda le competenze emotive che consentano sia di trasmettere ai collaboratori il cuore, l‟entusiasmo, il senso di appartenenza e lo spirito di sacrificio, sia di evitare la caduta nella routine, nella deresponsabilizzazione, nella burocratizzazione e nel disimpegno emotivo. È interessante in tal proposito leggere cosa afferma il sociologo Alberoni13 riguardo all‟entusiasmo: “la parola entusiasmo deriva dal greco essere in Dio. L‟entusiasmo è quindi energia straordinaria, slancio, fede. È una forza che ci spinge verso ciò che è elevato, che ha valore, è una spinta verso il futuro, una fede nella propria meta, nelle proprie possibilità. L‟entusiasmo è un esplosione di speranza. Curiosamente sono pochi quelli che sanno accettare l‟entusiasmo in se stessi e coltivarlo negli altri. Molti si vergognano dei loro sentimenti, del loro slancio vitale, pensano che possa indebolire la loro razionalità e la loro capacità di auto controllo. Ma non è affatto vero. L‟entusiasmo è una forza vitale che può essere sprecata nell‟inseguire sogni ad occhi aperti, ma che può essere incanalata in un compito costruttivo, in una ricerca razionale. L‟entusiasmo è fondamentale per convincere gli altri; se non siete sicuri di voi stessi, se non siete convinti del progetto che andate a proporre, come potete pensare di suscitare nell‟altro interesse perché possa ascoltarvi? L‟entusiasta ha un nemico subdolo: il cinico, il quale è appiattito sul presente, sul proprio egoismo, sulla propria pigrizia, sul proprio utile e non crede perché privo di fantasia e generosità. Nelle imprese ci sono molte persone di questo tipo, che fanno di tutto per spegnere l‟entusiasmo di altri, soprattutto dei giovani che arrivano in azienda pieni di fede e di valori”. Alla base dei compiti di una leadership eccellente sta la creazione e la formazione di un team di collaboratori da responsabilizzare e con i quali creare un clima di affiatamento e trasparenza. La cosiddetta "sindrome del cavaliere solitario", dell'imprenditore "faccio tutto io" (2) deve tendere a scomparire, salvo rischiare la scomparsa delle aziende, specie per i problemi generazionali connessi con la successione. Creare un clima di collaborazione vuol dire trasmettere fiducia e sicurezza, la fiducia di avere una leadership che sa dove sta andando, la sicurezza di poter disporre del vantaggio competitivo di una leadership che sa guardare nel futuro meglio dei concorrenti e che saprà dare sempre maggior valore all'impresa. 13 ALBERONI F., (1968), “Status nascenti”, Il Mulino, Bologna. La leadership dovrà, inoltre, "preoccuparsi" dei clienti, approfondirne la conoscenza, studiarne i bisogni manifesti e latenti, coinvolgerli nello sviluppo, informarli sugli orientamenti strategici, cercare di stabilire con loro un rapporto analogo a quello che avrebbe con i suoi collaboratori. Infatti, nell'ottica del prosumer il cliente è per definizione un collaboratore e, nella "casa degli stakeholder", il cliente è uno dei pilastri. Assicurata la necessaria attenzione allo zoccolo duro dei clienti fidelizzati, che creano una gran parte del valore per l'impresa, la leadership dovrà, costantemente, attivarsi per incrementare il numero dei clienti e, possibilmente, diversificarne la tipologia. Non sono rari i casi di aziende che si avviano verso un declino irreversibile, trascinatevi dalla crisi dei propri keyclient. Un altro importante compito della leadership è analizzare la propria fornitura sulla base della capacità di creare valore. La scelta dei prodotti chiave, il loro rafforzamento e completamento e le relative strategie, di tipo offensivo, difensivo o di disinvestimento, sono fra le decisioni più importanti che competono alla leadership. La strategia necessaria per sostenere una fornitura dipende però anche dal tipo di fornitura. L‟imprenditore dovrà verificare che tutti i collaboratori abbiano ben chiaro qual è il core business dell‟impresa e quali sono gli strumenti perché quel business crei valore. Nell‟analizzare la propria fornitura un aspetto di estrema importanza è quello della valutazione del costo di produzione di ciascun prodotto. Una volta acquisita la conoscenza della redditività di ciascun prodotto sta all‟imprenditore stabilire, per ciascuno di essi, una strategia di mantenimento oppure di abbandono. Un altro dei compiti della leadership è l‟individuazione degli stakeholder. L‟imprenditore, una volta creata la rete dei soggetti che possono contribuire, in modo più o meno rilevante, alla crescita del valore dell‟impresa, dovrà anche preoccuparsi del suo monitoraggio Monitorando costantemente il sistema degli stakeholder, l‟imprenditore sarà in grado di comprendere quali ostacoli o problemi i singoli soggetti stanno incontrando, o dovranno incontrare, e potrà pertanto introdurre una modalità pro-attiva di gestione. In particolare, la leadership dovrà cercare di individuare: I principali problemi operativi dell‟area presidiata da ciascun soggetto della rete; Le cause di questi problemi; Le principali urgenze da affrontare; Gli interventi organizzativi necessari per superare gli ostacoli incombenti ed evitare quelli in fieri. La comunicazione all‟interno dell‟azienda è uno degli strumenti fondamentali per il successo dell‟impresa. La fluidità della comunicazione interaziendale trova, spesso, ostacoli nelle differenti esperienze del personale, nei diversi gradi di cultura, preparazione, addestramento e mentalità, nelle diverse abitudini, nella sottostima dell'importanza della funzione, nella volontà di non diffondere le informazioni, nella gelosia. Per ottimizzare il processo della comunicazione, la leadership dovrà impegnare molte energie al fine di sensibilizzare le persone a leggere e ad ascoltare, di creare un clima per la libera circolazione delle informazioni e delle idee, di creare gli strumenti per la circolazione delle informazioni, di far sì che la politica aziendale sia recepita da tutti in modo chiaro. Quando si è parlato d'impresa eccellente è stato più volte sottolineato il valore della responsabilizzazione dei dipendenti in modo che essi, superato il ruolo della semplice dipendenza, si sentano portati a giocare quello della partnership (Moglia, 1998); per arrivare a questa conquista l'impresa deve comportarsi in modo trasparente e la comunicazione deve essere chiara e tempestiva. Ogni dipendente deve essere messo nelle condizioni di valutare come sta andando lui stesso, il suo reparto, l'impresa; se non ha una chiara visione di che cosa ci si attende da lui, di come può contribuire al raggiungimento dei traguardi aziendali e se quanto fa non gli viene riconosciuto e non gli porta vantaggi concreti non potrà mai diventare un partner dell'impresa. Nel progettare il proprio processo di comunicazione l'impresa non può ignorare gli aspetti psicologici ed emotivi delle relazioni che caratterizzano l'organizzazione aziendale nel suo insieme. L'impresa è costituita da relazioni e da persone e pertanto è pervasa di ambiguità, vulnerabilità, conflittualità, ma gli studi più avanzati hanno evidenziato che è possibile far scaturire energia positiva da valenze negative. È necessaria una leadership in grado di favorire approcci comunicativi "caldi" orientati a sollecitare dialogo, ascolto e fiducia. Solo attraverso il coinvolgimento del "cuore" (Whyte,1997), oltre che della mente delle persone, è possibile ottenere la condivisione del dettato strategico dell'impresa e quindi "produrre" l'energia necessaria all'impresa per superare ogni tipo di difficoltà. Se la leadership è stata capace di costruire un‟adeguata rete relazionale, l‟azienda disporrà di quella che Derek Abell (Fiocca, 1994) chiama la «finestra strategica», e cioè il sensore in grado di prevedere i cambiamenti che possono avvenire nell‟ambiente circostante, e sarà preparata alla difesa del proprio vantaggio competitivo. Un altro compito fondamentale che spetta alla leadership è la pianificazione, ossia l‟individuazione di tutti i possibili obiettivi aziendali e la scelta delle priorità. La pianificazione aziendale deve partire da una bozza di piano poliennale, per il quale potrebbero essere utili i seguenti criteri: Definizione di obiettivi, azioni, mezzi e strumenti di monitoraggio attraverso l‟interlocuzione con i collaboratori; Raggruppamento di obiettivi e di azioni per affinità; Strutturazione gerarchica degli obiettivi; quelli di livello superiore devono includere quelli di livello inferiore; Posizionamento degli obiettivi e delle azioni sulla scala temporale, attraverso relazioni di causalità; Feedback su previsioni, informazioni e dati raccolti; Individuazione degli strumenti necessari per la realizzazione del piano. Nell‟elaborazione del piano si dovrà evitare che questo sia il prolungamento storico del passato: è cioè auspicabile che non si basi sui trend. Il piano dovrà avere un impatto tale sull‟impresa, da determinare un miglioramento sensibile rispetto ai risultati tendenziali prevedibili. Occorre, inoltre, sottolineare che l‟immagine aziendale è come l‟impresa, vuole essere vista e percepita da terzi. Ciò comporta, da parte della leadership, di essere in grado di dare risposte precise alle seguenti due domande: come ci vede oggi il mondo esterno, cosa dobbiamo fare perché il mondo esterno ci veda come vorremmo ci vedesse. Le componenti che influenzano l‟immagine aziendale sono sostanzialmente tre: Il comportamento dei collaboratori. Le attività di ogni dipendente, siano esse di vendita, di ricerca, di produzione, di segreteria, oppure di assistenza, influiscono tutte sull‟immagine dell‟impresa, in relazione alla capacità di ognuno di interfacciarsi con l‟esterno. L‟empatia dei venditori, l‟efficienza della centralinista, la gentilezza con cui si viene ricevuti, la cura nel confezionamento, le modalità nello svolgimento del recupero crediti, sono tanti piccoli tasselli che concorrono alla formazione dell‟immagine di un‟impresa. Il design. Esso è rappresentato dal logo dell‟impresa, dai cataloghi, dalle brochure, dal sito web, dallo stile di progettazione del prodotto, dalla sede dell‟azienda e dall‟ambiente di lavoro. La comunicazione. La comunicazione aziendale è lo strumento con il quale si trasmette all‟esterno l‟immagine dell‟impresa ed è essa stessa l‟immagine dell‟impresa. Non per nulla, il guru della comunicazione aziendale, Marshall McLuhan, sostiene che il mezzo è il messaggio. L‟immagine aziendale deve essere chiara ai clienti, ma anche a tutto il sistema degli stakeholder. Essa deve, in primo luogo, mettere in evidenza che le competenze distintive dell‟impresa sono fondamentali per la soddisfazione del segmento di clientela obiettivo e che essa si basa su prove che hanno suscitato testimonianze da parte dei clienti. Un‟accorta gestione dell‟immagine viene confermata dalla fierezza dell‟appartenenza che mostrerà il personale e dal compiacimento dei clienti di essere serviti da quell‟impresa. È opportuno curare l’armonia fra la sfera interiore e il mondo esterno. Questa responsabilità, che compete al leader, potrebbe sembrare un elemento esterno ai problemi della gestione aziendali e al rapporto con i collaboratori, ma in realtà non lo è. Se il leader riesce a trovare condizioni di vita che si adattino alla sua personalità e alle sue aspirazioni, riuscirà a vivere in armonia con se stesso, e quindi anche con il mondo esterno, e sarà in grado di gestire la propria impresa in modo ottimale. Contestualmente la leadership dovrà preoccuparsi che i propri collaboratori godano anch‟essi di una buona armonia fra il mondo interiore e quello esterno. Questo obiettivo è conseguibile facendo sì che i collaboratori trovino una convergenza fra i propri valori personali e quelli dell‟impresa. La leadership dovrà quindi costruire una cultura d'impresa progettata su valori; se si vuole ottenere quella convergenza il percorso è lungo e difficile, ma al termine di quel percorso l'impresa avrà acquistato "un'anima" e conseguito un comune sentire tra tutti i membri dell'organizzazione. Nella formulazione della vision e della mission aziendale l'impresa eccellente dovrà quindi lavorare sulla base di valori condivisibili non solo da tutti i collaboratori, ma anche da tutti gli stakeholder; il processo dovrà quindi essere condotto seguendo il circolo virtuoso top-down/botton-up/top-down. Le più recenti indagini sugli "imprenditori di successo" mettono in luce che il compito fondamentale del leader è quello di innescare sentimenti positivi nei propri collaboratori (Goleman, 2002). Ciò accade quando sanno creare una riserva di positività che consente di liberare quanto c‟è di meglio in ogni individuo; nella sua essenza, quindi, il compito fondamentale della leadership è di tipo emozionale. Sebbene questa dimensione della leadership sia spesso invisibile o ignorata, il successo dell‟imprenditore, della sua impresa e la soddisfazione dei collaboratori dipende proprio da essa. Pertanto, l‟intelligenza emotiva, ossia la capacità di essere intelligenti nella sfera delle emozioni, ha un‟enorme importanza; compito fondamentale del leader è quello di esercitare la propria intelligenza emotiva. Da alcuni anni i più noti psicologi del lavoro hanno dimostrato che l‟intelligenza emotiva, nel contesto lavorativo, è essenziale ai fini del successo in qualsiasi organizzazione. L‟importanza dell‟intelligenza emotiva viene peraltro ricondotta al principio ancestrale dell‟organizzazione degli esseri primitivi aggregati in bande, accomunati da vincoli di protezione reciproca, la cui sopravvivenza dipendeva dalla comprensione e dalla stretta collaborazione. Per molto tempo imprenditori e manager hanno considerato le emozioni alla stregua di un rumore di fondo che disturbava il normale esercizio dell‟impresa, ma l‟epoca in cui le emozioni erano ignorate, perché considerate irrilevanti ai fini aziendali, è ormai tramontata. Oggi, in qualunque settore operino, le aziende hanno bisogno di raccogliere i vantaggi offerti da leader in grado di generare nell‟impresa quella "risonanza emozionale" che consenta a ciascuno di realizzare le proprie aspirazioni e di rendere concrete le proprie potenzialità. È importante notare che, se può essere semplice realizzare una soddisfazione emozionale individuale e privata, il compito è più complesso quando un leader voglia creare una risonanza emozionale nel gruppo dei propri collaboratori. Giova innanzitutto constatare che la presa di coscienza delle proprie singole realtà emozionali rappresenta, per l‟intera organizzazione dell‟impresa, l‟inizio di un‟utile analisi delle abitudini comuni su cui quelle realtà emozionali si fondano e dalle quali sono alimentate. È proprio questo, infatti, il punto di partenza del leader che voglia diffondere l‟intelligenza emotiva nella sua organizzazione. Un gruppo di persone può infatti intraprendere il cambiamento solo quando avrà compreso appieno la realtà dei propri meccanismi interni e, soprattutto, quando i singoli membri dell‟impresa saranno consapevoli delle situazioni dissonanti o di disagio in cui stanno eventualmente operando. La comprensione di tali realtà, a livello emozionale, è di fondamentale importanza; tuttavia, la consapevolezza dell‟esistenza di dissonanze e disagi non è sufficiente per realizzare un cambiamento. È infatti necessario che i membri del gruppo risalgano alla causa del malcontento, una realtà emozionale che di solito non ha origine in un dissidio con il leader ma, molto spesso, nelle regole di base e nelle abitudini consolidate e assimilate dal gruppo. Partendo dalla comprensione della realtà emozionale, delle regole e delle abitudini che esistono nell‟organizzazione, sarà possibile elaborare una "visione ideale collettiva" che, per coinvolgere effettivamente tutti, dovrà essere in sintonia con quella personale di ciascuno. Una volta che sia stata compresa la realtà aziendale e individuata una visione ideale collettiva, si potrà poi valutare qual è il divario esistente fra le due e pianificare una strategia per portarle a combaciare. Sintonizzando realtà e ideale si crea il contesto per trasformare un gruppo dissonante in un gruppo dotato di intelligenza emotiva più efficace. Quando il leader identifica le realtà emozionali e le abitudini di un‟azienda può avviare un diffuso processo di trasformazione orientato all‟intelligenza emotiva (Goleman, 2002). Ricapitolando, il primo passo verso l‟azienda "orientata all‟intelligenza emotiva" è la messa a nudo delle verità e delle realtà aziendali. Purtroppo, spesso i leader non riescono a far emergere la realtà e rischiano così di essere sopraffatti dalla sindrome della reticenza, di essere tagliati fuori e di risultare in disarmonia. Ciò accade perché hanno scarsi contatti con il personale, vivono in un‟atmosfera rarefatta e sono esclusi dalla realtà emozionale della vita quotidiana, oppure perché utilizzano metodi autoritari e gerarchici, costringendo i dipendenti a chiudersi in un rancoroso silenzio, silenzio che può costare molto caro all‟impresa. Quando i leader operano con stili prepotenti, autoritari e dissonanti, la cultura aziendale che si produce è, inevitabilmente, tossica. Che effetto fa lavorare in un‟organizzazione priva di intelligenza emotiva? Spesso, alla bassa efficienza complessiva si sommano malattie psicosomatiche che abbattono ulteriormente i lavoratori. Le abitudini deleterie dell‟azienda danno luogo a una cultura in cui nessuno si chiede più il come e il perché di quello che sta facendo. Tutti tirano a campare, giorno dopo giorno, spinti da atteggiamenti, norme e politiche nocivi. L‟aspetto più negativo della dissonanza all‟interno di un‟azienda è infatti il suo effetto sui singoli individui: quando la loro passione si affievolisce, questi possono perdere la consapevolezza delle proprie qualità. Invece di riscontrare eccellenza e fiducia, quando ci si imbatte in un‟azienda "tossica" si trovano spavalderia, ottuso conformismo, aperto risentimento e celate frustrazioni. I dipendenti sono sul posto di lavoro, ma si sente chiaramente nell‟aria che il loro cuore e la loro anima sono rimasti fuori dall‟azienda. Spesso il leader di un‟azienda tossica è schiavo della cosiddetta sindrome della rana bollita: "Se si immerge una rana in una pentola di acqua bollente la rana salta fuori istantaneamente, se invece la si mette in una pentola d‟acqua fredda la rana, lentamente, finisce bollita". Il destino di alcuni leader non è molto diverso da quello della rana: si adeguano alla routine quotidiana, lasciano che piccole abitudini si consolidino e, così facendo, decadono lentamente nell‟inerzia. Queste considerazioni non devono far pensare che un‟organizzazione "tossica" non possa cambiare; il problema è che il percorso verso l‟impresa orientata all‟intelligenza emotiva è più arduo. Il leader, se è realmente tale e se possiede intelligenza emotiva, prima o poi si accorge che deve costruire un ponte verso i propri dipendenti. Per avviare il processo di disintossicazione il leader deve iniziare con il "guardarsi dentro" per prendere atto del "sé" reale. È come guardarsi in uno specchio opaco: è difficile capire come si è realmente. Il leader deve evitare sia l‟autoinganno, una potente trappola psicologica capace di sviare i tentativi di autovalutazione e di dare un‟immagine distorta del sé, sia le menzogne vitali6. Un aiuto nel processo di autovalutazione può venire da colloqui aperti e informali con le persone che ci sono più vicine, sia sul piano del lavoro, che sul piano privato, non crogiolandosi nei rassicuranti feedback positivi, ma facendo molta attenzione a quelli negativi. Il passo seguente è l‟identificazione del sé ideale, ossia del tragitto che si vuole veramente percorrere. Una volta individuato il sé ideale si accende il fuoco della speranza, l‟antidoto contro l‟inerzia indotta dalla routine e dalle abitudini consolidate. Successivamente il leader dovrà cercare di cogliere ciò che sente, pensa e percepisce della sua organizzazione, dovrà usare l‟intelligenza emotiva per osservare e per interpretare gli impercettibili indizi di ciò che sta realmente accadendo, dovrà diventare un potente sensore, sia per rilevare ciò che l‟azienda è, e ciò che potrebbe essere, sia per intercettare la potenziale visione ideale. Dopo avere fotografato la realtà, dovrà passare alla fase della condivisione della visione ideale di ciascun collaboratore, quella visione che ognuno ha in sé, sia come individuo, sia come membro di un‟organizzazione. Accade, però, che talvolta, per creare risonanza emotiva il leader debba prima sconfiggere l‟inerzia e le viscosità intrinseche dell‟azienda. Egli dovrà pertanto creare i presupposti, sia per innescare conversazioni, apparentemente avulse dai problemi aziendali, sia per fare domande allo scopo di capire i sentimenti delle persone. Da queste conversazioni iniziali, a poco a poco, scaturiscono tematiche più significative e meno generiche, tematiche che tendono a innescare discussioni mirate sulla realtà dell‟organizzazione. Ma, quel che più conta è che quando le persone parlano delle problematiche dell‟azienda, della sua realtà emozionale e di come ci si sente a lavorarci dentro, tendono, in qualche misura a fare propri i problemi e i sogni dell‟imprenditore, e si avvia il processo di transizione dal reale all‟ideale. Si tende a creare un linguaggio condiviso che genera, a sua volta, un senso di aggregazione e di risonanza, dal quale nasce lo stimolo necessario per passare dalle parole all‟azione. 1.7 - Il processo di acquisizione della leadership La continuità del sistema organizzativo è collegata alla competenza ed alla “sicurezza” con le quali viene guidata l‟azione. Tali capacità devono essere assicurate e mantenute o incrementate nel corso del tempo. Si richiedono così provvedimenti che individuino soggetti particolarmente motivati ad assumere il ruolo di leader. Ciò significa promuovere un vero e proprio processo di acquisizione della leadership. I requisiti base non sono necessariamente identificati nelle doti innate del leader. Possono essere ritenuti sufficienti una notevole carica motivazionale alla guida, il forte convincimento circa la bontà della missione aziendale, la volontà di apprendere e di sperimentare le proprie capacità. L‟iniziativa di dar vita al processo proviene principalmente dagli stessi soggetti interessati. Le azioni che caratterizzano il percorso in oggetto sono: 1. L‟aspirante leader deve sviluppare la propria conoscenza, appropriandosi degli strumenti concettuali che lo mettano in grado di valutare criticamente le esperienze da egli maturate. 2. E‟ poi opportuno che sviluppi le comunicazioni fra sé e gli altri membri del gruppo, cercando di occupare qualche nodo centrale o sviluppando nuove “maglie” della stessa rete. 3. Un passo ulteriore riguarda la disponibilità del soggetto nel proporsi alla soluzione di problemi anche parziali, cioè l‟aspirante leader può autocoinvolgersi sfruttando le conoscenze acquisite per proporre interventi. Egli così è in grado di sviluppare le proprie capacità decisionali acquisendo nel gruppo un prestigio legato all‟esperienza di iniziative di successo proposte e realizzate. 4. Sarà poi importante appropriarsi degli strumenti e delle metodologie idonee a costruire un numero di soluzioni superiore a quello proposto da altri. La numerosità delle alternative non è legata alla numerosità delle informazioni raccolte, quanto all‟abilità di saperle opportunamente impiegare. Ai fini di un coerente percorso decisionale appare controproducente accumulare troppe informazioni. 5. Il leader deve coinvolgere attivamente tutti i membri del gruppo durante la formulazione delle decisioni. Far emergere la propria decisione da un‟aperta discussione nella quale si sollecita il contributo di tutti facilita il buon esito di qualsiasi proposta. 6. A questo punto l‟individuo ha maturato una capacità decisionale scissa da una concreta traduzione operativa delle soluzioni proposte. Solo lo sviluppo di doti di attenzione e di tempestività nell‟individuazione dei rischi, consente di maturare la necessaria capacità realizzativi. Tali doti risultano legate all‟esperienza. L‟azione deve essere svolta senza impazienza ma anche senza indugio. Il successo e la reputazione del leader sono legati indissolubilmente ai risultati e questi dipendono anche dal tempo in cui si svolge l‟attività pianificata. 7. Infine, un carattere sostanziale del comportamento dell‟individuo che intende assumere funzioni di guida del gruppo è la assoluta correttezza ed onestà intellettuale ispiratrici delle proprie azioni. In ogni circostanza è opportuno che il leader potenziale mostri un elevato rispetto di se stesso, non avventurandosi in operazioni per le quali non avverta una sufficiente competenza propria o dei propri collaboratori. Nel contempo, appare di analoga importanza mantenere il rispetto per gli altri, siano essi individui interni o esterni al sistema. Ciò significa ispirarsi a principi di chiarezza e trasparenza, cercando di non alimentare il clima di ambiguità spesso presente in misura eccessiva nelle organizzazioni. Tacere su fatti e situazioni di rilevante importanza per il gruppo o addirittura riferirli in modo alterato, non può essere mai considerato indice di riservatezza o di assunzione di una responsabilità esclusiva, che non si intende condividere con altri. Al contrario, emergono in tal caso l‟insicurezza e la tendenza al raggiro, assai lontane dal carattere di un capo che per essere accettato deve principalmente ispirare fiducia. Egli deve affermare e riconoscersi con i principi di comportamento etico e di conformità ai codici morali in uso nell‟ambiente sociale. Questi ultimi sono da considerare sempre più irrinunciabili nell‟attuale contesto economico, nonché fattori in grado di assicurare la sopravvivenza dei sistemi organizzati nel medio – lungo andare. Il percorso descritto si sviluppa, in genere, in modo assai graduale e contrassegna le tappe della carriera dell‟individuo interno al sistema di cui fa parte. E‟ possibile riassumerlo attraverso un processo di acquisizione della leadership: a) L‟aspirante leader possiede una spiccata carica motivazionale alla guida ed una volontà di apprendimento; b) L‟interessato acquisisce gli strumenti concettuali che gli consentono di sviluppare la propria conoscenza; c) Sviluppa le comunicazioni fra se e gli altri membri del gruppo; d) Si propone alla soluzione di problemi, acquisendo un prestigio legato alle iniziative di successo; e) Costruisce un numero di soluzioni superiore a quello proposto da altri, all‟interno del gruppo; f) Attiva i membri del gruppo stimolando la loro partecipazione alla formulazione delle decisioni; g) Matura la necessaria capacità realizzativi; h) Palesa nella propria azione un‟assoluta correttezza ed onestà intellettuale; i) L‟individuo è accettato come leader. La ricerca di un coinvolgimento e di una collaborazione sempre più ampi all‟interno del gruppo appaiono coerenti con l‟attuale contesto concorrenziale, nel quale i sistemi d‟impresa devono costruire basi operative solide sfruttando adeguatamente pure il tessuto di relazioni instaurabili all‟esterno dell‟organizzazione. E‟ importante agevolare allora un gioco di squadra, nel quale tutti nel gruppo prodighino al meglio il proprio impegno per far acquisire posizioni di vantaggio al sistema di cui fanno parte. Ciò si traduce in una progressiva degerarchizzazione con cui si confrontano molte organizzazioni del nostro tempo, le quali tuttavia non mostrano di trascurare il problema della leadership. Essa è tuttora considerata un fattore insostituibile di ogni schema organizzativo, una qualità da conservare o da incentivare al fine di promuovere il miglior sfruttamento possibile delle risorse umane presenti nel sistema. L‟attenuarsi della formalizzazione della guida ha sviluppato la necessità di disporre di competenze orientate a favorire la massima integrazione possibile fra i pari grado inseriti all‟interno di aggregati, gruppi, nuclei operativi. Il moderno leader è un organo non sempre unipersonale, che pur conservando un generico ruolo di indirizzo, si qualifica essenzialmente per la conduzione di due tipi di processi, destinati ad incidere sulla qualità delle risorse umane, sulla loro umanizzazione e sugli stessi risultati conseguibili. Si tratta in pratica di: 1. Condurre un‟azione di comprensione – contenimento, tramite la quale il leader non deve tendere ad uniformare i pareri ed i punti di vista sviluppati nel gruppo bensì cogliere ed esaltare le differenze esistenti; se un tempo la protezione dei singoli avveniva attraverso norme ed ordini precisi da seguire in modo deresponsabilizzato, oggi la destrutturazione lascia ciascuno alle proprie responsabilità ed al proprio senso discrezionale, ecco allora l‟importanza di un opera di contenimento, da intendersi come una modalità attraverso cui sono tenuti insieme parti o frammenti, ovvero come un‟attività volta a plasmare in modo definito un sistema che si presenta informe e non ben precisato. 2. Ricorrere ad un‟opera di simbolizzazione, tramite la quale si cerca di superare le inquietudini di chi agisce all‟interno delle moderne strutture organizzative, confrontandosi di continuo con il timore della propria inadeguatezza o incompetenza professionale. Tale sentimento può spronare l‟individuo verso l‟incremento delle proprie competenze, attraverso la cosiddetta formazione continua, ma può condurre anche a stati depressivi e ad una progressiva demotivazione. Il leader moderno deve far si che i membri del proprio gruppo individuino significati simbolici nelle più salienti azioni da loro sviluppate, assegnando ad esse un valore coerente con la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema da un lato e con una sostanziale accettazione da parte dell‟ambiente dall‟altro. 1.8 - Ripensare alla leadership In un periodo di forti incertezze e diffuse criticità come quello che stiamo attraversando, è tempo di ripensare alla leadership come fonte e strumento di guida nello sviluppo delle risorse umane in azienda. Guarderemo pertanto alla leadership come al risultato dell'attività di un "effective leader", ossia colui che è capace di innovare sia in termini di prodotto che di cultura organizzativa; un leader che persegue il miglioramento della sua organizzazione e che non ha paura di intraprendere nuove strade; un leader che rende eccitante e stimolante la giornata lavorativa creando significato e scopo per e con i suoi collaboratori. Le realtà organizzative contemporanee si trovano a operare in ambienti che la globalizzazione ha reso particolarmente complessi: la velocità e il tasso di cambiamento non hanno eguali nel passato sia recente che lontano; la conoscenza diffusa a tutti i livelli della struttura mal si accompagna con modelli organizzativi di tradizione top-down; il collasso dei sistemi di welfare; l'affermarsi del multiculturalismo, che se da un lato arricchisce le organizzazioni, dall'altro richiede loro una maggiore sensibilità e competenza per far funzionare più efficacemente la macchina. Insomma, una vera rivoluzione che pone molti quesiti sulla natura e le caratteristiche della leadership per il futuro. Risulta dunque evidente che, aumentata la complessità del contesto nel quale si trovano ad operare, oggi i leader, più che nel passato, si trovano ad affrontare l'incognita del futuro e la complessità del presente con maggiori difficoltà. Così, l'immagine gerarchizzata di un leader al vertice della piramide, sufficientemente capace, creativo e competente per condurre un'organizzazione sembra essere anacronistica rispetto alle mutate condizioni ambientali: appare oggi più consona quella di un facilitatore della conoscenza e di un negoziatore delle idee e della volontà proveniente da tutti i livelli della sua organizzazione. E' evidente che un tale stile di leadership richiede l'apprendimento di competenze e l‟acquisizione di una sensibilità diverse da quelle tradizionali. Gli studiosi di leadership affermano che, nella knowledge economy, i tradizionali modelli di tipo command and control sono inadatti a sfruttare le potenzialità offerte da quello che oggi viene considerato il vero capitale di impresa: la conoscenza. Cosa significa dunque essere un buon leader in questa nuova realtà? Innanzitutto è necessario definire cosa s'intenda per leadership. Oggi la leadership è più che mai la continua ricerca della migliore integrazione tra comportamenti, contesto e bisogni, che condurranno al processo decisionale in un percorso mutante e in continuo adattamento alle realtà emergenti. In sintesi, la leadership ottimale non è quella definita in un elenco di attributi che un leader deve avere; piuttosto, é semmai la sua capacità di "leggere" gli eventi insieme alla sua organizzazione e di adattare velocemente l'attività organizzativa al nuovo presente. Nel passato la leadership era sostanzialmente identificabile in ciò che i leader facevano e questo rendeva difficile distinguere tra leader "nominali", ossia coloro che guidano senza averne in effetti le capacità, e leader "strategici" di qualità , ossia quei soggetti capaci di identificare una missione e renderla operativa con la finalità di produrre crescita e valore per gli stakeholders. E' difficile identificare storicamente il passaggio attraverso il quale i leader hanno iniziato ad essere scelti per le loro capacità e non per la loro appartenenza di classe; da quando, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, si sono sviluppati compiuti studi sulla leadership, l'attenzione si è spostata da modelli adatti alla produzione fordista (e molto simili a quelli dei generali degli eserciti - command and control) a studiare e individuare, verso la fine degli anni '70, soprattutto con gli studi di Hersey e Blanchard14, modelli di 14 Op. Cit. situational leadership: questi ultimi sono in sostanza adattamenti dello stile di leadership alla situazione di business nella quale i leader operano (bisogni del mercato, tipologia di personale, etc.). Moltissime ancora oggi sono le organizzazioni che utilizzano questo approccio, che evidenzia il limite di accentrare nel leader tutto il processo decisionale e di interpretazione delle condizioni ambientali nel quale il suo business opera. Alcune delle più comuni posizioni circa la buona leadership evidenziano che lo stile migliore è quello che integra qualità ottimali con la capacità di adattare il comportamento alle situazioni emergenti, mettendo in evidenza che ciò che è valido in un ambiente può non esserlo in un altro. Cosa accade quando non si hanno sufficienti informazioni, quando i cambiamenti sono così veloci da rendere impossibile programmare a lungo termine, e quando si ha una prospettiva specifica valida, ma non si hanno tutte le informazioni per implementarla? Quando le conoscenze tecniche non sono più sufficienti a capire od interpretare il futuro? Da qui nascono gli stili di leadership che si fondano sull'empowerment, ossia sulla delega dei processi decisionali: questo strumento ha ancora parzialmente un elemento di carattere centralistico, poiché un soggetto al vertice decide se e quando delegare potere e in che misura; inoltre non sempre empowerment a parole significa poi empowerment in pratica; anzi, moltissime organizzazioni si sono trovate a dover gestire comportamenti "disfunctional" dei loro leader, proprio perché era stato dapprima proclamato a parole un nuovo modello (quello dell'empowerment) che non era poi stato attuato nella pratica (empowerment predicato, command e control praticato). La moda dell'empowerment è andata negli anni scemando, e allora molti studiosi hanno spostato il fuoco delle loro indagini sulla caratteristiche della buona leadership nelle imprese. Tali studi, perlopiù di tipo qualitativo, hanno adottato varie metodologie: dalle impressioni casuali, alle interviste sistematiche e all'osservazione. Seppure le varie analisi abbiano suggerito (evidentemente), punti di vista diversi, appare in tutti presente un'idea comune: una leadership effettiva identifica una vision, stabilisce gli standard della performance da raggiungere e indica un focus e una direzione per l'impresa. Alcuni studiosi, tra cui Clifford, Cavanagh, Peters ed Austin, evidenziano nelle loro ricerche che gli effective leader hanno anche la caratteristica di saper comunicare efficacemente una vision, spesso attraverso l'uso di simboli. Scoppia così agli inizi degli anni '90 negli Stati Uniti (e solo recentemente in Europa) l'utilizzo delle metafore nello sviluppo organizzativo. Viene quindi promosso l‟uso di metafore che riguardano le arti figurative e il teatro fino ad arrivare, in alcuni casi, a riflettere sulla validità della metafora musicale, in particolare del lavoro svolto dal direttore e dalla sua orchestra. Il leader, come il direttore d'orchestra diviene così un facilitatore che aiuta i concertisti a raggiungere un elevato livello interpretativo e stilistico attraverso il dialogo, in modo da trasformare una performance ordinaria in una esecuzione straordinaria, con l'obiettivo di far emergere l'unicità del prodotto e l'inconfondibilità del suono. L'unicità del suono prevede, tuttavia, la presenza di uno spartito sul quale esercitarsi e di una musica da poter interpretare; ossia una forte capacità interpretativa in un futuro già disegnato (lo spartito). Questo modello, estremamente valido e utile rispetto al contesto nel quale è nato, sembra essere meno congruente con la realtà odierna. Oggi infatti i cambiamenti sono così rapidi che talora appare più importante saper comporre velocemente la musica, che non saperla interpretare correttamente. I tempi di reazione sono ridotti rispetto al passato, un'organizzazione solo reattiva agli input della leadership rischia di avere tempi di risposta al mercato troppo lunghi e di farsi velocemente scalzare dalla concorrenza. Cosa accade quindi, se il nostro leader non ha l'abilità o non può per mancanza di informazioni comporre la musica (non ha la vision) che il resto degli orchestrali deve eseguire? Come é possibile far esplodere tutto il talento latente dei musicisti, se non si ha lo spartito sul quale lavorare, le note sulle quali provare le diverse possibili interpretazioni? Quali opportunità creative si aprono oggi per la leadership? I leader devono trovare la chiave per poter serenamente ed efficacemente operare in presenza di un elevato livello di incertezza e di forte ambiguità. Siamo quindi in presenza di un modello emergente di leadership, che non opera sulla base di istruzioni o informazioni particolari, ma trae piuttosto la sua forza dalla capacità di agire con efficacia sulla base di informazioni minime. Una leadership che capisce come condurre oggi significa avere un approccio "let it go" con il controllo, ossia condurre efficacemente significa aiutare a divenire autonomi, secondo un modello di leadership che ha più le peculiarità del coaching che non dell'istruzione cognitiva. In un recente incontro con Dominic Alldis - professore di improvvisazione jazzistica alla Royal Academy of Music di Londra – è stata esplorata la possibilità di utilizzare la metafora jazzistica come strumento di sviluppo organizzativo in un'epoca nella quale i nostri leader non hanno più la capacità di individuare sempre con sicurezza la via da percorrere. L'elevato livello di incertezza, la forte ambiguità dei mercati ed il crescente livello di conoscenza - diffuso a tutti i livelli dell'organizzazione - sono tali da condizionare fortemente la validità del processo decisionale al vertice e la sua implementazione a cascata fino alla base della piramide. Cosa possiamo apprendere dall'osservazione di un'orchestra jazzistica, senza pretendere che questa divenga la ricetta finalizzata a curare tutti i mali organizzativi, ma costituisca piuttosto uno spunto di riflessione che può innescare la miccia del cambiamento nelle modalità attraverso le quali pensiamo ed esercitiamo alla leadership? Come evidenzia Dominic Alldis, le orchestre jazz sono organizzazioni protese verso l'innovazione e la creazione di novità e sono disegnate, dunque, per massimizzare l'apprendimento. I jazzisti sono professionisti che operano serenamente in un ambiente caotico e turbolento, capaci di processi decisionali rapidi, efficaci ed irreversibili; sono musicisti fortemente interdipendenti nell'interpretazione di informazioni equivoche. Così come per i musicisti jazz, capaci di suonare con una struttura minima, anche per molte organizzazioni nasce l'esigenza di operare efficacemente con pochissime informazioni, lavorando pertanto sull'emergente. Nokia e Gore (la società produttrice di giacche e abbigliamento impermeabile), sono esempi tipici di organizzazioni che massimizzano il contributo offerto dal loro capitale intellettuale. I loro leader hanno la straordinaria sensibilità di esercitare una leadership facilitativa, una leadership ove le decisioni sono co-create con i rispettivi team, con i collaboratori, secondo un modello che trae la sua forza dalla profonda capacità di ascolto e valorizzazione dei singoli contributi. In particolare, Gore ha creato un sistema di coaching interno che da oltre venti anni ha contribuito a garantire un'incontrastata posizione dominante della società nel mercato dei materiali per l'abbigliamento impermeabile e di alta montagna. Il modo di operare di queste due organizzazioni ha molte similarità con quello delle orchestre jazz. I jazzisti infatti assorbono costantemente le idee degli altri musicisti aprendo così nuove vie alla continua possibilità di trasformazione, in modo da far emergere dall'inaspettato nuove direzioni imprevedibili. Le idee di ciascun membro dell'orchestra sono contestualizzate e rapidamente valutate per la loro capacità di creare ostacoli o, al contrario, opportunità dirette all'insorgere di nuove sonorità. L'orchestra è cosi capace di lavorare sia sull'armonia che sulla distorsione armonica, o su quella che ad un orecchio inesperto può apparire tale. La fusione di suoni diversi concorre alla formazione di una nuova armonia che risulta dalla perfetta integrazione e dal contributo di tutte le voci; è in questo particolare momento che avviene il processo creativo, che risulta dal contributo collettivo. Quali sono le opportunità per le organizzazioni? Cosa possiamo apprendere da un orchestra jazz? Cosa significa cocreare, come avviene per l'interpretazione jazzistica? Se le metafore facilitano la comprensione della realtà, d'altro canto bisogna anche evidenziare che queste non sono da sole sufficienti a fornire una visione complessiva ed esaustiva dei fenomeni. Infatti, come evidenzia Mary Jo Hatch : "le metafore possono talora rivelare le similitudini tra due cose, ma non le loro differenze”. E' bene quindi riconoscere il limite delle metafore perché un uso improprio delle stesse potrebbe creare un'idea fuorviante e semplicistica della realtà. Pur tuttavia, le metafore contribuiscono alla conoscenza delle organizzazioni e, almeno in parte, ci possono aiutare a leggere più chiaramente le realtà organizzative. E' evidente come si apra così per le organizzazioni intelligenti e capaci di raccogliere la sfida, la possibilità di creare maggiore stabilità in condizioni ambientali di elevata complessità e turbolenza. L'evoluzione nello stile di leadership verso modelli di natura facilitativa e di co-creazione, presuppone forti investimenti in termini di cambiamento ma soprattutto di evoluzione culturale, di sfida agli assunti mentali attraverso i quali pensiamo alla leadership e, più in generale alla figura del leader. Nelle organizzazioni dove si reputa necessario operare anche senza mappe predefinite, e quindi ridurre la complessità e l'incognita del futuro attraverso stili di leadership maggiormente inclusivi, che valorizzano gli importanti contributi delle diverse voci "d'orchestra", si dovrà valutare come passare da modelli di leadership ove il credo era "lavoriamo insieme alla realizzazione delle mie idee", a una tipologia comportamentale in cui il processo decisionale è il risultato della inclusione di tutte le voci, comprese quelle apparentemente dissonanti, in un'ottica che si può quindi riassumere nel "creiamo insieme la nostra vision e il nostro futuro" . E' evidente che per molti leader non sarà facile ammettere di non avere una risposta ai problemi e ai dilemmi che il futuro gli metterà di fronte. Un leader che apprende insieme alla sua organizzazione deve capire che l'apprendimento dai suoi errori deve essere pubblicizzato tanto quanto l'apprendimento proveniente dai suoi successi. Un tale comportamento, potrà presumibilmente stimolare un processo di continua rigenerazione della conoscenza, così da porre una vera e propria sfida allo status quo e agli assunti che sottostanno a molte delle scelte strategiche. E' questa la via attraverso la quale la leadership può divenire sempre più l'elemento centrale di stimolo di un'organizzazione che apprende e massimizza il potere della conoscenza, spingendo l'organizzazione a camminare con fiducia verso l'ignoto, creando armonia e integrando valori culturali e comportamenti atti a promuovere la ricerca del nuovo e ad aver rispetto per il passato che ha garantito il successo; ciò conduce a formulare domande (non sempre trovando risposte), attendendo che il nuovo modello di leadership penetri in profondità, affinché le persone, ora più consce delle proprie capacità e in maggiore sintonia con la cultura aziendale, rispondano efficacemente garantendo un futuro di successo. 1.9 - Leadership e potere Interrogandoci sulla leadership e sulle sue direttrici di analisi, andiamo spesso inesorabilmente a toccare i problema del potere, con tutte le implicazioni e complicazioni del caso, visto anche che si tratta di un termine/concetto usato ed abusato da tante discipline ed in tanti ambiti. Così come può valere anche il reciproco, sia pur in forme non improntate da una reciprocanza meccanica: interrogandoci infatti sul tema del potere, andiamo spesso ad incagliarci sugli scogli del discorso concernente la leadership: l‟uno e l‟altro si snodano in un rapporto di tipo circolare, così che la dinamica della leadership appare come la matrice e alternativamente la conseguenza della dinamica del potere. Va subito sottolineato (nell‟approcciarsi al tema del potere e delle sue connessioni con la laedership) che stiamo adottando un‟ottica di tipo non formale, un approccio non giuridico, una prospettiva non burocratica. A questo punto si rende necessario chiarire meglio le cose, anche per evitare equivoci all‟uso che faremo di termini mutuati da altre branche del sapere (da autocrazia a democrazia). A tal fine è preliminare richiamare ed approfondire i significati attribuibili al termine istituzione, che possono essere fondamentalmente di due tipi. Vi sono infatti istituzioni di tipo formale, esplicito, manifesto, codificato anche all‟esterno in legge e regolamenti più o meno articolati ma in ogni caso dichiarati e definiti non sottintesi. L‟essere membri formali di un gruppo sociale, cioè anche soci di un qualsivoglia “societas”, comporta la messa in gioco della dinamica soggettiva del sentimento di appartenenza. Si tratta dell‟animarsi della membership, cioè delle molte e flessibili peripezie attraverso cui si declinano le propensioni e le resistenze a partecipare alla forma associativa che è di volta in volta in questione. Per esempio, il fatto di essere e sentirsi italiani partecipa e/o pertiene, contemporaneamente, sia a livello formale che a livello informale dell‟agire della italianità in quanto istituzione. Quanto fin qui detto si collega bene con l‟osservazione che l‟approccio di tipo costituzionalistico-giuridico trova il suo limite al proprio stesso interno, nell‟identificazione tra istituzione da un lato e società dall‟altro. Tale identificazione se presa alla lettera e in modo radicale, non porta che a una storia del palazzo, banalizzata o sofisticata che sia caratteristicamente dimentica delle scienze dell‟uomo sia in generale sia con particolare riferimento alla psicologia e all‟antropologia sociale. Da un altro lato significativamente ci si trova in linea di corrispondenza o di correlazione logica con le puntualizzazioni di tipo gramsciano circa la diversità fra società politica e società civile, fra paese legale e paese reale. Ne consegue che le varie situazioni sono in buona misura riconducibili alle modalità di gestione del potere, e quindi in un continuo rapporto causale-reciproco, alle fonti di legittimazione del potere stesso, o meglio alle modalità con cui il potere si è generato e formato. Per quanto riguarda il nostro tema dunque, si potrebbe certo dire che non vi è impresa senza il potere, ma bisogna subito aggiungere che ciò vale sia a livello formale che informale. Esaminiamo alcuni interessanti contributi che possono essere recati alla nostra indagine. 1.10 - Le fonti di legittimazione Un aspetto tra i più complessi del nostro tema si riferisce alla possibilità di dare una risposta ad un interrogativo suggestivo, di caratterizzazione contemporaneamente strutturale e funzionale: a livello di forma, ma soprattutto di sostanza, quali sono le sorgenti prime del potere che si interconnettono con le varie possibili situazioni di leadership? Quali sono i fondamenti istituzionali, nel senso detto in precedenza, che legittimano il ruolo dei detentori del potere? Quali sono le radici profonde che spiegano, producono, ratificano, ed omologano l‟emersione di determinate figure in autorità? Quali sono categorialmente le possibili risposte all‟ipotetica ed ideale domanda: da chi e/o da dove e/o da cosa deriva istituzionalmente il potere che si esercita? Si annoti che si sono usati tre termini basilari (potere, autorità, leadership) in modo un po‟ sovrapposto, con evidenti rischi di confusione e sinonimia. La cosa è in effetti un po‟ intenzionale, al fine di stare per ora vicini ad un certo pensiero corrente. Il successivo prosieguo del discorso farà emergere sempre più gradualmente le differenze che corrono tra i significati dei tre termini. Una prima analisi delle fonti di legittimazione del potere si rende ben possibile se pratichiamo una strada ispirata al sapere globale delle scienze umane. Per tale strada il termine/concetto di potere può andare almeno in parte ad imbastardirsi con il concetto/termine di leadership, almeno nella misura in cui trattiamo comunque dell‟interdipendenza e dell‟influenzamento reciproco tra gli esseri umani. Quell‟interdipendenza e quell‟influenzamento che si accendono all‟interno dei gruppi, dei macrogruppi, delle comunità: all‟interno cioè di tutti quei circuiti grandi o piccoli che delineano un bisogno di timoniere, che fanno nascere una funzione di guida affidata a determinati ruoli/persone, atti ad esprimere o imprimere un cammino collettivo, affrontato sia consensualmente che in maggiore o minore misura conflittualmente. Fin qui le premesse. Entrando più direttamente nell‟argomento, andiamo ad utilizzare una serie di contributi che la letteratura scientifica pone a nostra disposizione e che provengono da orizzonti multidisciplinari: quegli orizzonti che sono costituiti dalla storia, dalla politologia, dall‟antropologia culturale, dalle scienze economiche, dalla sociologia e (perché no) dalla biologia. I quadri di riferimento fondamentale in cui possiamo inscrivere e inquadrare le varie dinamiche delle fonti psico-sociali di legittimazione del potere e della leadership sono quattro: 1. L‟Autocrazia: fondata sul Principio di Sovranità; a legittimazione è riconducibile alla grazie di Dio; 2. Il Padronato: fondato sui vissuti attivi e passivi del Principio di Proprietà; 3. La Tecnocrazia: fondata sul Principio di Competenza, sul sapere, sulle capacità acquisite e sulle professionalità; 4. La Democrazia: fondata sul Principio di Consenso. La legittimazione è riconducibile alla volontà della nazione. Soffermiamoci un attimo su ciascuno di essi, premettendo subito che non si tratta di paradigmi statici, stagni e da usare meccanicamente. Per quanto riguarda l‟Autocrazia siamo di fronte al potere di guida conferito psicologicamente dal Principio di Sovranità: “per grazia di Dio”. Può sembrare si tratti solo di una situazione di antica memoria, superata dai tempi, obsoleta. In realtà, se ci guardiamo bene in giro si tratta di una condizione socio-psicologica ben riscontrabile tuttora, magari sotto mentite spoglie. Per certi aspetti, anzi, il ventesimo secolo si è rivelato ricco di personaggi buoni interpreti di situazioni riconducibili al gioco di qualche Autocrazia: Hitler, Mussolini, Stalin, Mao, Pinochet, Bokassa, etc, con tutti i loro epigoni grandi o piccoli, ma anche una miriade di altre figure minori. Può anche sembrare si tratti di una situazione riscontrabile solo in alto, ai vertici, alla sommità, al livello dei massimi culmini di un qualche sistema piramidale sociale. In realtà anche sotto questo rispetto, se esaminiamo bene le cose, esiste sempre una levata e spesso saturante congruenza con il basso di quello stesso sistema. Anche in questo caso c‟è una sorta di armonia del tutto: se non altro quella esprimibile con una osservazione già avanzata secondo cui, ciascun sottoposto o subordinato ha l‟autocrate che si merita. Va aggiunto che, coerentemente, la “grazia di Dio” scende per così dire a cascata lungo la piramide sociale: il sovrano autocrate ai suoi seguaci diretti, costoro sono i despoti dei loro sottoposti, questi ultimi hanno a loro volta dei supini subordinati, e così via dicendo, in una catena di tributarietà che può risultare complessa, ma risponde in definitiva ad una sola logica: quella di un rapporto discendente ad una sola via tra sovrapposto e subordinato. Alla domanda “da quale fonte deriva, direttamente o indirettamente, il potere del leader”, la risposta sarà sempre sostanzialmente una: dall‟alto. A scanso di equivoci va esorcizzato il pericolo di un inquadramento manicheo della situazione autocratica: il despotato non è necessariamente ed inintelligentemente tirannico e sergentesco. Può essere benissimo illuminato e molto spesso lo è. La Storia con la “s” maiuscola è piena di signorie illuminate, di tiranni gloriosi, di autocrati sagaci, perfino di usurpatori avveduti e capaci di grandi risultati a vantaggio di sé e degli altri. La storia con la “s” minuscola vede pure ognora e ovunque, dittatori carismatici e trascinatori, guide risolutrici. E‟ arduo e suona scorretto dar loro nomi paradigmaticamente esemplificativi, in quanto si tratta di tutti quei condottieri, conduttori, timonieri e dirigenti che è possibile ritrovare nelle organizzazioni, nelle comunità, nei grandi e nei piccoli gruppi, nella famiglie, nelle squadre politiche o sportive. Se, dove, e quando la cultura di quelle organizzazioni-comunità-famiglie-squadre glie lo consente. Tuttavia è necessario non cadere mai in facili incensamenti, fino a raggiungere eventuali canonizzazioni di despoti tiranni. Per quanto riguarda il Padronato siamo di fronte al potere di guida psicologicamente conferito e legittimato dal Principio di Proprietà. A prima vista, può sembrare trattarsi di una situazione analoga (o anche addirittura sovrapponibile) a quella Autocratica precedentemente delineata. In realtà, le cose stanno diversamente. Innanzitutto, il termine concetto di proprietà non viene qui utilizzato nel suo senso oggettivo, socio-economicogiuridico; almeno prevalentemente, ci si riferisce all‟accezione soggettiva ed intersoggettiva presente nelle credenze e negli atteggiamenti di coloro che sono attenti alla proprietà. Ciò sia sul versante attivo (i detentori di proprietà) sia su quello passivo (i proletari); quanto detto significa porre l‟accento sui vissuti che caratterizzano il “padrone”, da un lato, e i suoi subalterni o “servi” dall‟altro. Una relazione sottile e contemporaneamente ben robusta lega queste due polarità che si incardinano reciprocamente nel bene e nel male, nelle coalizioni e nei conflitti: l‟una spiega l‟altra, l‟una alimenta l‟altra, l‟una è il cardine dell‟altra. Risulta chiaro che la legittimazione del potere non proviene dall‟alto come nel caso dell‟Autocrazia, anzi, spesso, proviene dal sé. Comunque, alla fatidica possibile domanda “da quale fonte” istituzionale deriva, direttamente o indirettamente il potere del leader, la risposta sarà sempre sostanzialmente la seguente: dal possesso, dalla proprietà dei beni mobili o immobili, da quello del territorio, dei mezzi di produzione, dei manufatti, del podere degli oggetti e degli esseri umani. Anche per un altro e correlato motivo la situazione è ben diversa da quella autocratica precedentemente considerata: in quest‟ultima, almeno per lo più, il vissuto di proprietà è assente. Mutatis mutandis, le cose ora dette valgono anche per il quadro globale di certe culture; si può osservare che gran parte delle civilizzazioni emergenti o previste dal modello storico di Toynbee15 non implicano il parametro della proprietà. Non casualmente, è praticamente impossibile far comprendere ad un indiano d‟America, o ad un abitante delle isole dei mari del sud, il concetto stesso di proprietà in quanto non ne ha il vissuto. Inoltre, il quadro del Padronato si sviluppa e si regge su alcune precise e imprescindibili 15 TOYNBEE A., (1934), “A study of Histhory: the genesis of civilizations”, Oxford University Press, London. condizioni psico-sociali, che sono contemporaneamente causa ed effetto del quadro medesimo in un rapporto di tipo circolare: La proprietà deve essere in grado almeno potenzialmente di fornire un profitto a chi ne è detentore; non è forse così tanto importante la misura di tale profitto quanto la sua presenza; La proprietà dev‟essere, almeno concettualmente, unica e di dimensioni finite, meglio se più o meno relativamente limitate; quanto più si allarga spazialmente e/o temporalmente, essa implica il passaggio ad una delle altre forme basali di legittimazione del potere che vengono ivi delineate (Autocrazia, Tecnocrazia, Democrazia). Ciò va chiaramente al di là o anche contro larga parte del pensiero corrente. Si badi in proposito che si è detto ad una delle altre forme di legittimazione: non vi sono leggi di scelta meccaniche tra una forma e l‟altra, sebbene principi dinamici dell‟agire processuale; La proprietà deve essere vendibile, deve poter essere percepita e vissuta come spostabile da un oggetto all‟altro, implica cioè qualche forma possibile di compravendita; all‟interno di ciò non è molto importante che tale compravendita venga poi esercitata in questo o quel modo, con maggiore o minor frequenza, all‟insegna dell‟uno e/o dell‟altro sistema di valori (economici, ideologici, estetici, etc). In altre parole la proprietà implica la mobilità e la flessibilità almeno teorica degli investimenti, attraverso un qualche gioco di domanda e di offerta. Se un padre è padrone, deve poter vendere i figli che escono così dal suo controllo per andare sotto proprietà di altri. Gli obblighi o vincoli psico-sociali istituiti con le tre condizioni di cui sopra implicano, per converso, dei corrispondenti limiti o divieti: In primis, non si può mantenere il potere se non c‟è un ritorno in qualche modo redditizio da parte della proprietà stessa; In secundis, non si può mantenere il potere stesso se si varcano certe soglie di dimensioni quali-quantitative della Proprietà che lo statuisce; Tertio loco, il potere in oggetto non può reggere se la compravendita diviene impossibile. Per quanto riguarda la Teocrazia siamo qui di fronte al potere di governo legittimato dal Principio di Competenza. Può sembrare trattarsi di una base scontata, unica, ovvia, di legittimazione del comando; ciò nella misura in cui si ritenga valido lo stereotipo secondo il quale chi possiede determinate capacità (non potenziali) emerge meritocraticamente nei gruppi in cui opera e con ciò stesso si pone alla loro guida. Le cose come tutti ben sappiamo sono molto più complesse, anche se non si può negare il primato e la funzione delle abilità e delle competenze in determinati contesti situazionali. Anche per il quadro tecnocratico emergono alcuni fattori caratterizzanti, che sono circolarmente causa ed effetto, sostegno ed esito del quadro medesimo: La Tecnocrazia non persegue necessariamente il profitto. Anzi, nell‟articolazione figura-sfondo con la potestà, il profitto sfuma in buona misura in seconda posizione: ciò che infatti importa primariamente al tecnocrate ed alla tecnostruttura non è la proprietà, ma il costante incremento della propria onnipotenza, esercitata appunto in nome della tecnica. Al limite, anche a costo di far distruggere la struttura di cui si è alla guida (come si può facilmente e frequentemente riscontrare nella casistica offerta da taluni manager dei grandi imperi economici pubblici o privati che siano); Per la Tecnocrazia e per il tecnocrate, le sfere di dominio controllate sulla base delle proprie competenze hanno da avere dimensioni sempre più ampie, devono cioè essere in espansione costante, quantomeno in prospettiva; si realizza così una tendenza alla crescita che acquisisce spesso dei connotati richiamanti metaforicamente una espressione cancerogena. Tale logica del “chi si ferma è perduto” non è fuori dalla realtà; contiene e rivela comunque agevolmente dei significati psico-patologici, spesso rintracciabili sia nei comportamenti delle tecnostrutture che nell‟agire dei loro leader responsabili; La Tecnocrazia è allo stesso tempo conservatrice ed innovativa. Tende infatti a realizzare un equilibrio ottimale, anche se forzatamente instabile, tra la conservazione dell‟utilità basilare del sapere e delle competenze di cui è portatrice, da un lato, e necessario aggiornamento delle proprie competenze stesse dall‟altro. Naviga così (per lo più con successo) tra la stabilità conservatrice del sapere esistente accumulato con tanta fatica, e il continuo fabbisogno esterno di cambiamento. In merito alla Democrazia siamo di fronte al potere di guida psicologicamente conferito e legittimato dal consenso dei sottoposti: “Per volontà della Nazione”. Il consenso formale (il voto, il plauso, l‟approvazione esplicita, la ratifica contrattuale) non ci interessa qui ed ora; non è questione di patto giuridico né di patto sociale. In questo senso appare apprezzabile ma certo non sufficiente la tesi di Popper, secondo cui la Democrazia consiste nel mettere sotto controllo il potere politico. Quantomeno si tratta di intendersi sul termine ed il concetto di controllo; psicologicamente parlando, la questione è un‟altra: quella della dinamica del consenso al livello delle istituzioni informali implicite nascoste intersoggettive. Ci si muove in altri termini al livello del patto comunicazionale e del patto psicologico, laddove le forza in campo sono incessantemente in azione, con alterne vicende. A questo livello le cose sono sempre molto più intricate di quanto non appaia, e la dinamica del consenso è inestricabilmente inscindibile da quella del dissenso. I due termini ineriscono agli estremi di una dimensione basilare, che ne regge molte altre, subordinate, in costante movimento. Si tratta della dimensione dei conflitti e delle coalizioni tra forze diverse e spesso opposte, che animano il mondo intra ed intersoggettivo di ogni essere umano, cioè il suo universo interiore e i suoi rapporti interpersonali e sociali. In tale costrutto consenso e dissenso nei confronti del potere possono articolarsi in mille varianti, all‟interno di ciascun individuo così come all‟interno di ciascun gruppo psico-sociale: allora, la volontà della Nazione è solo la risultante della dinamica accennata. In definitiva, la fonte di legittimazione si può rintracciare nella gestione del dissenso più che del consenso, nella negoziazione, nell‟accettazione della critica, nell‟interpretazione corretta e propulsiva, non necessariamente conformistica, della domanda profonda che sale dalla base. Non a caso, nelle situazioni che sono invece, al di là delle apparenze formali, autenticamente autocratiche, il dissenso diviene rapidamente dissidenza, separazione e ostilità, fino ad essere eventualmente degradato come inimicizia ed insulto, eresia, follia. Puntualmente, anche per il quadro democratico emergono alcuni fenomeni che sono circolarmente movente e conseguenza, origine e risultato, del quadro medesimo: La Democrazia si fonda sulla fiducia di base, autentica e reciproca, fra leader e seguaci: costoro sono gli aventi titolo ad esprimere la propria gradazione di consenso-dissenso nei confronti della leadership. La reciproca vale assolutamente, anche per il leader nei confronti dei membri della piccola, media o grande comunità in cui egli gioca il suo ruolo. Si tratta di una dinamica vicendevole, di un gioco alternante di atteggiamenti che è generatore di un libero e mutuo scambio di ruoli tra gli attori del rapporto comunicativo; La Democrazia implica un peculiare processo di emersione degli assistenti del leader, cioè anche di scelta dei collaboratori e/o successori da parte del leader stesso. Costui, per ottemperare al meglio ai fondamenti istituzionali che lo legano ai suoi seguaci, tende ad attuare una condotta decisionale favorevole a chi è più gradito dagli altri membri del gruppo, sulla base di criteri che possono essere anche molto diversi da un caso all‟altro. In ogni caso il parametro fondamentale su cui poggia la scelta non è più la fedeltà, la consanguineità, e neppure la competenza, anche se ovviamente tali fattori continuano ad esercitare dinamicamente un loro peso; La Democrazia, quando autentica, si legittima sulla base del fenomeno della trasparenza o visibilità del potere: anche questo fenomeno è una causa e contemporaneamente una conseguenza del realizzarsi e del gestirsi della volontà della Nazione; Come chiosa al punto precedente, si può rilevare come l‟essenzialità democratica viene tendenzialmente rivestita da ogni meccanismo di costruttiva mediazione e di equilibrata e matura negoziazione, al fine di governare al meglio la gestione del consenso/dissenso di cui si diceva. Capitolo 2 LA LEGITTIMAZIONE DEL LEADER: MODELLI 2.1 Modello di Weber Max Weber, nel famoso lavoro “Economia e Società16” delinea il modello ideale-tipico della burocrazia, intesa come organizzazione amministrativa. All‟interno di questa estesa analisi, Weber sviluppa una teoria del potere, nella quale si distinguono due principali concetti: il concetto di Macht (potenza) e di Herrschaft (potere legittimo). Con il termine potenza Weber intende: "qualsiasi possibilità di far valere all’interno di una relazione sociale, anche di fronte ad un'opposizione, la propria volontà, quale che sia la base di questa possibilità"; in sostanza, una relazione sociale dove il soggetto più forte riesce a far valere la propria volontà in ogni caso. Con il termine potere legittimo Weber intende invece: "la possibilità di trovare obbedienza, presso certe persone, ad un comando che abbia un determinato contenuto"; questa espressione di potere si riferisce alle relazioni in cui il soggetto debole accetta le decisioni altrui perché le riconosce valide e quindi legittime. Basandosi su questo secondo concetto, ogni potere quindi: - Si comprende solo a patto di partire non solo dai particolari rapporti di comando e di obbedienza che legano fra loro le persone, ma anche se si stabiliscono le condizioni e le circostanze in cui si attiva il rapporto di potere; - Richiede un apparato amministrativo di uomini di fidata obbedienza, che servano da tramite fra superiori e sottoposti; - Per poter essere esercitato in modo continuativo e regolare deve essere legittimato e coloro che obbediscono, i sottoposti, devono credere nella sua legittimità. Per questo il vero potere si distingue da atti puramente arbitrari, volti ad ottenere l‟obbedienza con la forza pura. 16 WEBER M, (1922), Economia e Società, Wirtschaft und Gesellschaft, Tubinga Weber realizza così la tipologia delle tre forme di legittimazione del potere. Tale tipologia è costituita dal potere tradizionale, dal potere carismatico e dal potere razionalelegale; le tre forme si distinguono innanzitutto in base al criterio su cui si fonda la loro pretesa di legittimità, e ne deriva poi un diverso al tipo di obbedienza, quindi una diversa efficacia; nello specifico17: 1) POTERE TRADIZIONALE: quando la legittimazione poggia sulla credenza nel carattere sacro, nella giustezza della tradizione, e nella legittimità di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere e rivestire un‟autorità nel nome di quella tradizione. Caratteri: Il potere tradizionale fonda la sua legittimità su ordinamenti antichi ed esistenti da sempre; chi ha il potere è rispettato in virtù della tradizione, può non avere personali doti di comando (un esempio è il sovrano che regna in base a un diritto di sangue). L'apparato amministrativo: a livello di organizzazione dello Stato può essere sia patrimoniale che feudale; nella forma patrimoniale il sovrano ha diritto di comando illimitato su qualsiasi subordinato, e i funzionari sono al suo servizio diretto e dipendono da lui per ogni forma di remunerazione(doni, concessioni e altri benefici). Nella forma feudale, l‟apparato amministrativo ha maggiore autonomia rispetto al sovrano; infatti i funzionari non sono dipendenti personali, ma alleati uniti da un giuramento di onore o fedeltà. Tipo di Obbedienza al Leader: nel potere tradizionale, il capo è una “persona del signore” a cui si deve obbedienza, designata dalla tradizione e vincolata alla tradizione. Limiti: In tale potere si assegnano cariche in base all'appartenenza ad un gruppo privilegiato e, per questo motivo, tale potere è sempre minacciato dall'insorgere di un capo carismatico, oppure può essere soggetto alla messa in discussione per l‟assenza di capacità del detentore del potere. Esempi: La storia è piena di esempi di questa tipologia di legittimazione del potere; oggi aspetti tradizionali si possono ritrovare nelle dinastie imprenditoriali, quindi in tutti quei casi in cui l‟eredità o l‟appartenenza a gruppi privilegiati giustificano l‟esercizio del potere. 17 Queste tre forme di potere sono degli ideal-tipo, ovvero costrutti mentali che servono a fini analitici per comparare i fenomeni (punti di riferimenti). Il tipo ideale quindi non è rintracciabile empiricamente nella realtà. 2) POTERE CARISMATICO: da carisma18 (dal greco charisma, dono della grazia), si basa su qualità eccezionali e a volte sovraumane che i seguaci attribuiscono a un capo. Caratteri: nella sua forma pura secondo Weber questo potere è irrazionale, infatti manca assolutamente di regole, ed è rivoluzionario perché rovescia il passato e dà una interpretazione diversa dalla tradizione. Secondo Weber tale potere nasce da una rottura radicale con le Istituzioni vigenti19. L'apparato amministrativo: è rudimentale, formato da discepoli a diretto contatto con il capo, persone che hanno dato prova di fedeltà nel tempo. Tipo di Obbedienza al Leader: si obbedisce al leader in quanto tale, volontariamente e con dedizione, in virtù della fiducia personale nell‟eroismo e nelle capacità esemplari del capo carismatico. Limiti: tale movimento si affievolisce con la scomparsa del capo (o se si ritira) e i suoi seguaci trasformano il carisma in pratica quotidiana. Weber la definisce routinizzazione del carisma, diventando alla fine un potere burocratico o tradizionale; il potere carismatico è quindi transitorio (si estingue o diventa routine), instabile (il carisma può perdere il suo “fascino”) ed effimero (il leader carismatico non è all‟altezza) e tende a trasformarsi in uno degli altri due tipi; il carisma si può infatti trasformare nell‟attributo di una carica ereditaria (ex il monarca) o di un ufficio (ex presidente/primo ministro). Esempi: le forme più pure sono riconducibili alla sfera religiosa (Gesù, Lutero etc) e nella sfera politica (grandi leader rivoluzionari, es. Napoleone, Che Guevara etc); in epoca moderna il potere carismatico trova espressione nella sfera economica (grandi capitani d‟industria), ma è ravvisabile in tutte le situazioni in cui determinati ordini vengono eseguiti più per la capacità personale del capo di imporsi che per il grado formale della carica che riveste. 3) POTERE RAZIONALE (o LEGALE): quando poggia sulla credenza nella legalità di un sistema di ordinamenti impersonali statuiti (norme, regole, procedure) 18 È stato lo stesso Max Weber ad introdurre il vocabolo “carisma” in sociologia, per indicare un potere che si fonda non già sulla legalità (la “burocrazia”) o sulla tradizione (quella che possiamo indicare come patriarcalità) o sulle proprietà e patrimonialità, ma su straordinarie qualità personali: designando come “capo carismatico” colui che le esercita. 19 Si può così affermare sia come la predicazione di un ordine nuovo, sia come ritorno alle origini di una istituzione accusata di una forte degenerazione nel corso del tempo e nel diritto di comando di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere in base a quelle leggi e regole. Caratteri: Nel caso del potere legale, tutti sono sottoposti alle leggi e regole che lo legittimano, sia il detentore del potere che i destinatari del potere. Nessuno è al di sopra della legge, nemmeno il detentore del potere. Egli trae il suo potere dalla legge stessa ed è subordinato ai suoi vincoli: i suoi poteri di comando sono competenze legali. Si presume che gli ordinamenti siano stati stabiliti razionalmente, rispetto ad un determinato valore o scopo, e che costituiscano nel loro insieme un corpus di regole astratte e universali e che non siano quindi state emanate per regolare casi specifici con intendimenti arbitrari. L'apparato amministrativo: l‟apparato amministrativo tipico del potere legale è la burocrazia20. Tipo di Obbedienza al Leader: in questo caso si obbedisce all‟ordinamento impersonale statuito legalmente e agli individui preposti al potere in base a tale ordinamento, in virtù della legalità formale delle sue prescrizioni e nell‟ambito di queste. La legge,come già detto, è astratta, universale ed impersonale. Nel caso del potere legale l‟obbedienza si deve non alla persona (come nel potere carismatico), ma alla carica, all‟ufficio, all‟ordinamento impersonale, e nei limiti previsti da questo ordinamento. Limiti: il detentore del potere è tenuto ad orientare le proprie disposizioni nel rispetto dell‟ordinamenti, in caso contrario si cade nel dispotismo o nell‟arbitrio. Esempi: la burocrazia è tipica degli stati moderni, ma anche delle grandi imprese capitalistiche; i primi esempi di burocrazia razionale nelle imprese capitalistiche sono riconducibili al modello taylorista/fordista. 20 Weber dice infatti che la burocrazia è razionale perché operando in maniera spersonalizzata mette in luce i criteri di scelta per raggiungere i fini; è quindi razionale secondo lo scopo (usa i mezzi migliori per raggiungere il fine) e come scelta più opportuna (egli vede infatti nella burocrazia un'idealtipo di tipo euristico) Figura 2.1 – Le tre forme di legittimazione del potere, ns rielaborazione Il potere legale rappresenta per Weber la migliore forma di legittimazione del leader; Weber dedica infatti “Economia e Società” all‟analisi completa della burocrazia, intesa come categoria storico-sociologica indispensabile per la comprensione di tendenze più generali della società moderna e contemporanea. Infatti, al contrario del valore piuttosto negativo associato al termine nel linguaggio corrente, per Weber la burocrazia è espressione e risultato dei processi di razionalizzazione e di specializzazione funzionale che si registrano nelle comunità21. 21 TRANFAGLIA N. , (1979), Il mondo contemporaneo, La Nuova Italia, Firenze Weber esamina i principi ed le modalità di funzionamento di una burocrazia moderna intesa sia come amministrazione pubblica che come impresa privata: 1) Il principio della competenza di autorità definite, ben disciplinata da leggi e regolamenti; si presuppone quindi che vi sia una stabile divisione dei doveri e poteri di ufficio (divisione del lavoro in base a regolamenti) e che vi sia l‟adempimento regolare e continuativo dei compiti suddivisi 2) Il principio della gerarchia degli uffici, ovvero un sistema rigido di subordinazione ad organi di attività, con poteri di controllo. 3) Il segreto di ufficio, conservazione di tutti gli atti relativi al funzionamento dell‟apparato, che è rigidamente separato dalla vita privata dei funzionari. 4) Una preparazione specializzata dei funzionari, l‟unica ragione per cui i funzionari sono in una posizione di privilegio rispetto ai non addetti ai lavori. 5) Attività burocratica come attività a tempo pieno, non quindi un impegno temporaneo o una professione secondaria L‟enfasi che Weber pone nel suo lavoro sull‟efficienza della burocrazia è facilmente comprensibile dal fatto che la sua descrizione va verso un modello tipico-ideale, e che la burocrazia ha come termine di confronto amministrazioni tradizionali (patrimoniali, feudali, patriarcali), che funzionavano prescindendo da criteri sistematici di efficienza, oggettività, precisione etc. È vero però che Weber non ignora le possibili inefficienze della burocrazia, ma sottolinea che le inefficienze nelle burocrazie moderne possono apparire ed essere denunciate in quanto esistono norme e leggi che le sanzionano, mentre nelle amministrazioni pre-burocratiche la mancanza di regole riguardanti efficienza e obiettività non permetteva neanche la possibilità di denuncia. Particolare attenzione è dedicata da Weber ai rapporti tra burocrazia e capitalismo; nelle attività economiche, lo sviluppo dell‟impresa capitalistica moderna è fondato l‟adozione del modello di amministrazione burocratica come strumento rapido, continuativo, preciso e univoco per lo svolgimento delle attività. Sono infatti le più grandi imprese capitalistiche i migliori esempi di rigida organizzazione burocratica, fondati sulla divisione del lavoro secondo criteri oggettivi e sull‟affidamento degli incarichi secondo principi di competenza. L‟efficienza, prerogativa delle imprese moderne, si rispecchia nella calcolabilità del capitale, ovvero la possibilità di calcolare in modo razionale ed univoco costi e profitti di ogni atto economico, e trova lo strumento peculiare di attuazione nell‟amministrazione burocratica. 2.1.1 La leadership della burocrazia: razionale, carismatica o tradizionale? Il Burocrate puro non chiede né di essere amato né di essere temuto per i suoi tratti caratteriali, trae la sua autorevolezza dalla legge, non sono previsti né tradizione, né carisma nella burocrazia pura vige solo la fedeltà di ufficio. Weber sa di definire un tipo ideale puro e privo di spessore umano, non esiste un uomo così perfetto ma lui vuole vedere in termini di analisi sociologica le conseguenze che derivano dal riconoscere che in un‟organizzazione burocratica si può obbedire e per quali ragioni. Uno spunto su ciò arriva da un sociologo israeliano, Etzioni (1961) che osserva che il carisma non nasce solo dal rifiuto di un ordine preesistente ossia fuori e contro le istituzioni, ma può nascere dentro le istituzioni sull'onda del successo che il capo ottiene nell'opera di rafforzarle e rinnovarle. Il carisma può anche essere esercitato su persone esterne all'organizzazione. Biggart (1989) parla di capitalismo carismatico a proposito dei venditori che riescono a fare un grande fatturato imbambolando i clienti con la loro capacità di persuasione. Fin qui gli effetti benefici del carisma, ma non è sempre così. Osserva Etzioni che personaggi come un medico, un professore etc portano prestigio all'organizzazione senza che questa lo possieda direttamente e, in tal caso, l'obbedienza al professionista carismatico si avvicina all'obbedienza razionale della burocrazia pura, elemento di differenza tra le due è l'attaccamento emotivo al professionista che non c'è nella burocrazia pura. Altro problema si pone nelle carceri, l'apparato di custodia ha criteri burocratici ma tra i detenuti vi sono spesso leader con carisma che conservano un attivo appoggio negli ambienti malavitosi esterni. Infine in una burocrazia ci possono essere aspetti tradizionali, un agire tradizionale si presenta quando dirigenti funzionari o impiegati fanno carriera non per merito ma per appartenenza a determinati gruppi sociali, le raccomandazioni sono una pratica attiva perseguita e verbalmente deprecata come segno di nepotismo e clientelismo. Altra situazione d‟intreccio tra criteri tradizionali e razionali o meritocratici, si ha nelle carriere accademiche dove un docente porta un proprio allievo in concorso. 2.2 Altri modelli e analisi: Etzioni, Likert e D’amico 2.2.1 Amitai Etzioni: le fonti di legittimazione I due studiosi Amitai Etzioni e Rensis Likert portano avanti la riflessione sul tema della leadership in due opere dal titolo, rispettivamente Complex Organizations e New patterns of management pubblicate entrambe nel 1961. Il principale contributo di Etzioni consiste nel fatto di avere proposto una vera e propria classificazione della leadership; in particolar modo analizza le ragioni per cui alcune persone riconoscono legittimità al potere che il leader esercita su di essi (ovvero le fonti di legittimazione). Il punto di arrivo del pensiero di Etzioni è in qualche modo obbligato dalla base sulla quale egli fonda tutta la sua analisi, la variabile strategica per un‟analisi comparata delle organizzazioni: la disposizione all‟obbedienza (compliance) nelle organizzazioni, vale a dire la relazione che passa fra il tipo di controllo (può riguardare genericamente le categorie del comando, del potere, dell‟autorità) che l‟organizzazione esercita nei confronti dei propri membri e l‟orientamento che gli stessi membri adottano nei confronti di quel controllo. Si possono immaginare, così tre tipi di orientamento da parte dei sottoposti e cioè: - alienativo, in quanto chi subisce il potere lo subisce contro la propria volontà (esempio classico i detenuti) - calcolativo, quando chi subisce il potere intrattiene un rapporto prevalentemente economico nei confronti di chi esercita il potere (esempio classico sono i dipendenti di un‟impresa o i clienti) - impegnato, infine allorché chi subisce il potere condivide i valori e i fini dell‟organizzazione (esempio classico sono i membri di una squadra sportiva). Proseguendo su questa direttrice d‟analisi, Etzioni arriva a proporre una classificazione delle organizzazioni in tre tipi che sono: - organizzazioni coercitive, dove la disposizione all‟obbedienza da parte dei membri dell‟organizzazione è di tipo alienativo (esempi sono le carceri, i campi di concentramento, gli ospedali psichiatrici) - organizzazioni utilitaristiche, dove la disposizione all‟obbedienza è di tipo calcolativo (esempi sono le imprese e più in generale le organizzazioni di lavoro) - organizzazioni normative, dove la disposizione all‟obbedienza è di tipo impegnato (esempi sono le organizzazioni religiose, culturali, associazioni di volontariato, ecc.). A questo punto del suo ragionamento, e dopo aver aggiunto un ulteriore tassello alla sua analisi, rappresentato dalla relazione che nei tre tipi di organizzazione passa tra la variabile che egli definisce “campo di controllo” (vale a dire il complesso di attività che i membri svolgono insieme all‟interno delle organizzazioni) e quella che definisce “aree di invadenza o di pervasione” (vale a dire il complesso delle attività per le quali l‟organizzazione stabilisce norme di comportamento per i suoi membri), Etzioni è pronto ad affrontare la questione delle fonti di legittimazione della leadership nelle organizzazioni e a costruire su questa base la propria classificazione dei tipi di leadership. Secondo questo autore infatti la leadership può avere due diverse fonti di legittimazione: le qualità personali del leader o il ruolo ufficiale ricoperto dalla gerarchia. Le due fonti sono tra loro indipendenti, nel senso che, alle qualità personali può non corrispondere una carica ufficiale e viceversa22. A questa affermazione corrisponde la tipologia della leadership di Etzioni, frutto del modo in cui possono essere combinate le due fonti di legittimazione. Ed ecco tre categorie di leadership (le categorie sono tre non quattro, dal momento che la quarta casella rimane sostanzialmente vuota, perché manca qualsiasi legittimazione): 22 - formale - informale - burocratica BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli p.337 Figura 2.2 – I quattro stili di leadership secondo Amitai Etzioni Fonte: A. Etzioni, 1961 Il primo tipo è costituito dalla leadership che possiamo ritenere “completa”, dove cioè il ruolo gerarchico si accompagna alle qualità personali (ad esempio un capo eletto per i suoi meriti). Il secondo tipo definisce, invece, la leadership informale di chi ha il potere per le sue doti personali, ma al di fuori della gerarchia (ad esempio il leader di un movimento spontaneo di protesta). Il terzo tipo definisce la situazione opposta, dove la leadership è dovuta unicamente al ruolo burocratico ricoperto (ad esempio un poliziotto che ordina un arresto). Il quarto tipo coincide con l‟assoluta assenza di leadership. Collegata alla leadership è la questione del carisma, inteso come l‟abilità di una persona ad esercitare una diffusa ed intensa influenza sugli orientamenti normativi di altri attori. La definizione << si collega alla distinzione tra la leadership strumentale riguardante il dominio delle tecniche e delle procedure, e la leadership espressiva che riguarda il dominio delle convinzioni morali e dei valori. Una leadership soltanto tecnica, afferma Etzioni, non può mai essere carismatica; questa qualità è riservata unicamente alla leadership espressiva, nella misura in cui il leader esercita un‟influenza diffusa ed intensa sui convincimenti generali di coloro che riconoscono la sua autorità>>23. Il concetto di potere è strettamente collegato con il concetto di leadership, dato che il potere è uno dei mezzi mediante il quale un leader influenza il comportamento dei collaboratori. Esso è il potenziale di influenza di un leader, è la risorsa che gli permette di influenzare gli altri e di ottenere consenso. Il potere è un requisito senza il quale il leader non può guidare gli altri e, che leadership e potere sono due facce della stessa medaglia all‟interno dei metodi di governo di un‟organizzazione. Ma da dove deriva il potere dei leader? Etzioni24 distingue il potere in due categorie: - potere di posizione - potere personale. In funzione di questa suddivisione, una parte del potere dei leader viene loro proprio dal fatto di ricoprire una posizione organizzativa che permette di utilizzare certe risorse specifiche come: il riconoscimento di avere un‟autorità formalmente legittimata, il controllo esercitato su risorse, ricompense e sanzioni. Il potere di posizione tende, quindi, a fluire verso il basso di un organizzazione. L‟altra categoria, ossia il potere personale, è costituita dalle qualità personali, quali: la competenza tecnico-professionale la capacità di suscitare sentimenti positivi, di vicinanza emozionale, di lealtà o di identificazione, e il carisma personale, inteso come capacità di influenzare, con una forte componente emotiva. Il potere personale è la misura in cui i collaboratori si sentono ben disposti e sono impegnati nei confronti del leader, è la misura di quanto le persone sono disposte 1a seguire un leader. In un contesto organizzativo, quindi, il potere personale viene dal basso, cioè dai collaboratori. La situazione migliore per i leader, secondo Etzioni, è quella in cui dispongono di entrambi i poteri, poiché le basi del potere di posizione e quelle del potere personale costituiscono assieme un sistema di interazione-influenza. Ogni base di potere incide tendenzialmente su ognuna delle altre basi di potere. Si è scoperto, infatti, che la misura in cui gli individui sono disposti a concedere potere personale dipende dal loro modo di percepire la capacità del leader di offrire ricompense, punizioni o sanzioni, ossia il potere di posizione. Si conferisce, allo stesso tempo, potere di posizione ad un leader nel 23 24 BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli p.339 ETZIONI A., (1961), A comparative Analysis of complex organizations, The Free Press, New York. momento in cui si percepisce che quel leader è apprezzato e rispettato e dispone di maggiori informazioni ed esperienze rispetto ai collaboratori (potere personale). Diverso è il significato di autorità che fa riferimento alla legittimità dell‟esercizio del potere, quindi, è attribuito agli individui secondo regole definite 3. L‟autorità, è un particolare tipo di potere, che trae la propria origine dalla posizione ricoperta da un leader; è quel potere che si legittima in virtù del ruolo formale dell‟individuo all‟interno di un‟organizzazione. Con il termine controllo, si intende la modalità con cui si verifica il conseguimento di standard specificati. Il controllo non è altro che un‟esplicazione concreta di un potere acquisito. La leadership è connessa a questi concetti, poiché questi non sono altro che sfaccettature della stessa, ma è importante non far coincidere, o meglio non riconoscere la leadership mediante l‟identificazione univoca in una delle dimensione, tant‟è che, ad esempio, si può essere leader senza autorità e si può avere autorità senza essere leader. 2.2.2 Rensis Likert: Stili di leadership e linking pins Il contributo teorico di Likert più importante rigurda la sua tipologia degli stili di leadership. Lo studioso ne individua tre tipi e li dispone lungo un continuum, e cioè: - lo stile autoritario sfruttatorio. manager lo adotta quando decide da solo sul da farsi e impone le sue scelte ai subordinati ricorrendo alla coercizione. Esso si fonda quindi sul timore, sulla coercizione, sulle minacce. Gli atteggiamenti sono di solito ostili e contrari agli obiettivi dell‟organizzazione. Vige un sistema decisionale verticistico; - lo stile autoritario benevolo. Esso si fonda su ricompense e punizioni reali o potenziali, e su atteggiamenti di competitività per l‟acquisizione dello status. Esiste un sistema decisionale che assegna alla direzione le decisioni di portata generale e delega ai livelli più bassi quelle più specifiche; - lo stile consultivo. Esso si fonda su ricompense, punizioni saltuarie e una certa partecipazione. Anche nello stile consultivo il manager adotta le decisioni di maggior rilievo, ma incoraggia comunque i suoi subordinati a proporre idee e possibili soluzioni ai problemi.; - lo stile partecipativo di gruppo. Esso è caratterizzato da un controllo gerarchico più distaccato, su reazioni non punitive in caso di errori ma orientate ad una comprensione amichevole dello sbaglio. Nel sistema decisionale hanno fondamentale importanza le discussioni di gruppo dei lavoratori con i propri superiori. È uno stile fortemente democratico, caratterizzato da un ampio ricorso alla delega delle decisioni. Il manager conserva, in questo caso, un ruolo di supervisione. Un approccio di questo tipo consente ai componenti del team di prendere parte al processo decisionale, si sentono coinvolti nel progetto e questo aiuta il leader a fare in modo che gli obiettivi di ciascun individuo coincidano con quelli dell‟azienda. Generalmente quando è presente un approccio partecipativo il rendimento e la performance sono migliori e questo perché il leader riesce ad instaurare una migliore comunicazione con il proprio team, ha l‟occasione e di conoscere meglio le singole persone che prendendo parte al processo decisionale “posso dire la loro”, sentendosi così di poter contribuire al progetto aziendale. Attraverso questo processo di conoscenza reciproca e di mediazione tra le diverse esigenze, gli obiettivi dell‟individuo si avvicineranno sempre più a quelli aziendali. Anche se Likert stesso dice che non esiste uno stile di leadership migliore in assoluto, in quanto l‟efficacia e la validità dipendono essenzialmente dalle circostanze, ma per questo autore, come per la scuola delle Relazioni Umane, un ruolo centrale nella vita delle organizzazioni è svolto dal “gruppo”. A differenza degli psicologi di quella scuola, che fanno riferimento alla dimensione informale, psico-emotiva delle relazioni di gruppo all‟interno delle organizzazioni, il gruppo al quale si riferisce Likert è quello formale, è “il gruppo di lavoro” incardinato nell‟organizzazione formale. Quindi per Likert possiamo affermare che la forma di legittimazione più importante è quella del proveniente dal gruppo. I gruppi di lavoro costituiscono per Likert l‟ossatura dell‟organizzazione. Essi sono collegati tra loro secondo una disposizione gerarchica, in modo da rispettare il principio secondo il quale di ciascun gruppo fanno parte una “base”, che comprende i membri che sono a capo di gruppi di lavoro posti a livello gerarchico inferiore, ed un “capo” che a sua volta, insieme ai membri posti a capo degli altri gruppi collocati sullo stesso piano orizzontale, forma la base del gruppo di lavoro posto a livello gerarchico superiore. Figura 2.3 – I “perni connettori” secondo Rensis Likert Fonte: R. Likert, 1961 Il collante di quest‟ossatura è rappresentata da quelli che Likert definisce i “perni connettori” (linking pins), e che altro non sono che gli stessi membri dei gruppi di lavoro; membri, questi, che proprio per il ruolo assolutamente fondamentale che il gruppo di lavoro riveste per l‟organizzazione nello schema teorico di Likert, devono essere << dotati di un alto grado di lealtà verso il gruppo stesso, di effettive capacità di interazione e con obiettivi che richiedono un alto rendimento>>25. Secondo questo schema, l‟interazione si verifica tanto tra gli individui che tra i gruppi; alcune indagini sperimentali dimostrano che se un dirigente(o comunque un superiore) deve assolvere con successo il suo ruolo di guida del gruppo, deve mostrarsi capace sia come capo che come subordinato(per cui sia come leader che come membro del gruppo). L‟importanza che ha il gruppo di lavoro in tutto il ragionamento di Likert si coglie ad ogni passo delle sue elaborazioni in tema di leadership; un‟elaborazione che si fonda su 25 BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli, p.112 un‟analisi metodologicamente rigorosa di varie ricerche empiriche in materia di sociologia industriale, a partire inanzitutto da quelle di A. Marrow, D. Bowers e S. Seashore, nell‟ambito delle organizzazioni di successo (1967), e alla fine degli anni ‟30, di Kurt Lewin su gruppi di studenti dell‟università dell‟Iowa. Likert osserva così che la maggior parte delle persone è altamente motivata a comportarsi conformemente agli obiettivi e ai valori del proprio gruppo di lavoro, al fine di riceverne riconoscimento, appoggio, sicurezza e reazioni favorevoli. Ad esempio, alcune ricerche indicano che quanto maggiori sono l‟attrazione e la lealtà nei confronti del gruppo, tanto più l‟individuo è motivato a: - accettare gli obiettivi e le decisioni del gruppo - cercare di influenzare gli obiettivi e le decisioni del gruppu, in modo che siano conformi alla propria esperienza e alle proprie mete - comportarsi in modo da contribuire alla realizzazione degli obiettivi e delle decisioni che il gruppo considera molto imporatante - comportarsi esattamente in modo da ricevere appoggio e riconoscimento favorevole dai membri del gruppo e specialmente da coloro che l‟individuo considera i più potenti e di status più elevato. Si può, pertanto, concludere che la direzione farà un pieno uso delle capacità potenziali delle sue risorse umane, solo allorché ciascuna persona appartenente all‟organizzazione sarà membro di uno o più gruppi di lavoro efficientemente funzionanti, che presentino un alto grado di realtà di gruppo ed efficaci capacità di interazione ed elevati obiettivi di rendimento. Un principio altrettanto importante è per Likert quello delle cosidette “relazioni di sostegno” che si svolgono nelle dinamiche dei gruppi di lavoro. Da alcuni studi si è giunti alla conclusione che i subordinati reagiscono favorevolmente alle esperienze che essi ritengono di sostegno e che contribuiscono al raggiungimento del risultato in base al loro senso di importanza e di valore personale. Analogamente, i dipendenti reagiscono sfavorevolmente alle esperienze coercitive e che diminuiscono o minimizzano il loro senso di dignità e valore personale. << Ciascuno di noi desidera stima, riconoscimento, influenza, un senso di realizzazione, e la sensazione che le persone che riteniamo importanti ci dimostrino fiducia e ci rispettino. Desideriamo insomma avere il nostro posto nel mondo. Di conseguenza, il membro individuale di una organizzazione interpreterà sempre un‟interazione tra quest‟ultimo e se stesso sulla base del suo background, della sua cultura delle sue esperienze e delle proprie aspettative >>26. Quindi la leadership e gli altri processi organizzativi devono essere tali da assicurare il massimo delle probabilità che ciascun membro dell‟organizzazione alla luce del suo background, dei suoi valori e delle sue aspettative, consideri l‟esperienza come un fatto di sostegno e tale da creare e mantenere il suo senso di valore e di importanza personale. Il lavoro di Likert ha lo scopo di presentare una nuova teoria dell‟organizzazione basata sui principi e i metodi di direzione dei manager volti a rendere l‟organizzazione produttiva più congruente con il crescente bisogno di libertà, di progresso dell‟istruzione, di miglioramento della salute mentale, nonché con la complessità delle nuove tecnologie. Il suo modello organizzativo muove dall‟analisi delle motivazioni dei dipendenti cui i manager “più produttivi”consentono soddisfazioni, nonché sul ruolo centrale che ha il gruppo di lavoro: esso deve avere un alto grado di lealtà di gruppo, capacità di interazione e alti obiettivi di efficienza. Una notevole quantità di risultati di ricerche, dimostra che quanto maggiore è la lealtà dei membri di un gruppo verso il gruppo stesso, tanto più forte sarà la motivazione che spinge i membri del gruppo a conseguire gli obiettivi e tanto più grande la probabilità che questo li consegua. Grazie ai risultati delle tante ricerche analizzate, Likert avanza le sue proposte relative ad un nuovo metodo di direzione aziendale, fondato sulla presenza di una leadership che richiede continui cambiamenti sostanziali, nell‟intera struttura organizzativa ed, in particolare, nel sistema e nel modo di comunicare. Per Likert << le comunicazioni non devono limitarsi, come raccomanda la scuola classica, a discendere dall‟alto al basso in forma di comandi. Sono previste anche comunicazioni dal basso verso l‟alto, che devono tradursi in un‟effettiva influenza che i collaboratori subordinati esercitano in aperte discussioni di gruppo con i loro capi. L‟autonomia dei collaboratori è un elemento fondamentale del nuovo modello direttivo; ma d‟altra parte questa autonomia non deve tradursi in isolamento e mancanza di contatti verticali. Il capo 26 LIKERT R., (1961) , Nuovi Modelli di Direzione Aziendale, Franco Angeli ideale per Likert è colui che riesce a conciliare il rispetto dell‟autonomia dei suoi dipendenti con continui e collaborativi scambi di idee >>27. Per quanto riguarda le funzioni delle leadership Likert sostiene che il ruolo del leader, all‟intero dei gruppi altamente efficienti è particolarmente importante, in quanto alcune funzioni relative alla leadership possono essere condivise con i membri del gruppo, mentre altre possono essere svolte soltanto dal leader designato (come ad esempio, decisioni da prendere rapidamente, per le quali non c‟è tempo per attendere lo svolgersi dei processi di gruppo.) Il leader, inoltre, è pienamente responsabile della prestazione del gruppo, e deve accertarsi che questo si adegui alle richieste stabilite dal resto dell‟organizzazione di cui esso fa parte. Tuttavia il leader non cerca di prendere tutte le decisioni da solo: egli porta il suo gruppo a costituire un‟unità che, con la sua partecipazione, prende decisioni migliori di quanto esso possa fare da solo. 2.2.3 Renato D’amico: Management e Leadership Renato D‟Amico, rielaborando i contributi di numerosi autori e prendendo spunto da Likert, individua due dimensioni distinte, ma complementari, nella quale viene esercitata l‟autorità: Management e Leadership; riprendendo il pensiero di Kotter, descrive e distingue le due accezioni come: - Management: gestione della complessità, quindi gestione dell‟attività, ordine e coerenza; - Leadership: gestione del cambiamento, necessario quindi in contesti estremamente dinamici, competitivi ed incerti; Nei contesti competitivi moderni Management e Leadership costituiscono due diversi modi in cui si coniuga la tradizionale attività di direzione del capo e il riferimento è soprattutto a tre dimensioni: 1. le fonti di legittimazione dell‟autorità delle due figure 2. il ruolo e le funzioni che le due figure svolgono nell‟organizzazione 3. le rispettive qualità personali 27 BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, FrancoAngeli p.112 La fonte di legittimazione dell’autorità, nel caso del manager essa risiede nel fatto di possedere un‟elevata conoscenza degli aspetti tecnico-gestionali dell‟azienda in cui lavora, oltre ad occupare una posizione di vertice nella gestione formale dell‟organizzazione. Il leader, invece, non deve necessariamente ricoprire un ruolo di vertice, ma la sua fonte di legittimazione si fonda soprattutto sul possesso di qualità personali particolari, quali la capacità di attrarre, di coinvolgere, di influenzare e di motivare tutti i membri, allo scopo di creare un‟atmosfera armoniosa che meglio permette di lavorare insieme e di raggiungere il fine organizzativo. Per quanto riguarda il ruolo svolto all‟interno dell‟organizzazione, quel che contraddistingue l‟attività manageriale è il fatto di essere orientata verso il problem solving, intesa come attività di analisi, di valutazione e di soluzione dei principali problemi aziendali. Il manager si occupa di tutti gli aspetti formali dell‟attività, ed evita sostanzialmente il confronto e lo scambio di opinioni con gli altri membri del gruppo che non hanno accesso alle informazioni, a cui riconosce quindi un ruolo meramente esecutivo. Ben diverso è il ruolo del leader, la cui attività è principalmente caratterizzata dall‟interpretare le situazioni. E quindi l‟attività del leader è orientata alla << ricerca del know-why ancora prima del know-how (verso cui è orientata l‟attività del manager): “sapere perché fare”28 è preliminare la “sapere come fare”>>. La differenza è quindi che il manager è considerato un risolutore dei problemi di routine; il leader invece è visto come lo scopritore dei problemi sia di routine che non. L‟ultimo tratto che distingue le due figure è quello relativo alle attitudini e alle qualità personali. L‟immagine tradizionale del manager fa riferimento a quelle capacità organizzative che permettono ad un dirigente di gestire e di dirigere un‟azienda, senza quasi dover ricorrere ad aiuti esterni (è una visione più ”tayloristica”, il manager deve ricercare efficace e produttività, per massimizzare il profitto). Nel caso del leader invece, ci troviamo di fronte a un complesso di doti personali che riguardano, ad esempio, il saper mettere in discussione le proprie idee, il saper contare sulle proprie abilità personali di visione e di programmazione, il sapersi rivolgere alle emozioni e all‟intelligenza dei collaboratori, senza mezzi coercitivi; nell‟accezione più moderna infatti, non trova più 28 BENNIS W., NANUS B., (1987), Leader. Anatomia della Leadership. Le 4 chiavi della Leadership effettiva, Milano, Franco Angeli, p. 46 spazio la visione del leader come capo autoritario che impone le proprie convinzioni ai sottoposti. Capitolo 3 LEGITTIMAZIONE MORALE E LEADERSHIP ETICA 3.1 – Legittimazione morale del leader Come spiegato nei precedenti capitoli, la leadership non va intesa come puro comando ma come autorità. Essa richiede sempre di essere legittimata da chi si trova in una posizione subordinata, affinché accetti di seguire le indicazioni di chi detiene maggiore potere. Spesso in economia tale legittimazione è interpretata come un semplice accordo contrattuale, relativo a una prestazione di lavoro in cambio di una remunerazione, ma questa visione non esaurisce la comprensione del ruolo del leader all‟interno di un team di lavoro nel quale egli dà indicazioni che favoriscono il coordinamento e la cooperazione tra i membri. Infatti nel caso della leadership sono in gioco valori e interessi che vanno al di là dello scambio tra una prestazione prefissata e il relativo pagamento e che si riferiscono alle ragioni per cui un gruppo di persone dovrebbe accettare di farsi guidare da un leader. In sostanza l‟autorità è una “delega a decidere” che si basa sull‟accettazione preventiva, grazie alla quale le decisioni delegate saranno effettivamente eseguite dai membri del gruppo. Anche la legittimazione è una decisione che necessita di una spiegazione ai componenti dell‟organizzazione; per farlo è importante risalire alle ragioni che determinano l‟accettazione dell‟autorità, interpretata come rinuncia a discutere ogni singola decisione su una base fiduciaria, supposto che il leader è tale che le sue funzioni servono al gruppo stesso che gli riconosce la delega a decidere. Nei capitoli precedenti sono state esposte alcune delle ragioni che sottostanno alla accettazione di un leader; in questo paragrafo approfondiremo l‟etica come componente essenziale della legittimazione. L‟etica “offre ragioni morali per accettare la relazione di autorità, che si manifestano nel caso in cui tali ragioni siano imparziali (…), ovvero riconoscere che l‟autorità garantisce un beneficio o un valore che tocca imparzialmente tutti coloro che danno fiducia al leader stesso.”29 Al contempo, l‟interpretazione dell‟etica come una delle ragioni fondanti la legittimazione morale del leader, implica il riconoscimento da parte di quest‟ultimo che: i collaboratori siano depositari di diritti e di altre caratteristiche morali e non un semplice strumento per il raggiungimento dei fini dell‟organizzazione. Infatti se seguissimo il ragionamento in una pura ottica finanziaria, in cui l‟unico scopo dell‟impresa è la creazione di valore per gli azionisti, dovremmo giungere alla conclusione che tutti i membri e i fattori della organizzazione siano dei semplici mezzi. Se cosi fosse, i dipendenti eseguirebbero le proprie mansioni esclusivamente in cambio del salario; di conseguenza si verrebbero a creare delle reazioni a catena che originano dalla sterilità del rapporto tra il soggetto ed il proprio lavoro. Un dipendente non motivato, in una tale situazione, tenderà a non estendere le proprie competenze e a non aiutare i colleghi a superare eventuali difficoltà. Questo incide in modo negativo sulle relazioni all‟interno dell‟organizzazione, venendo meno quindi alla realizzazione di un gruppo solido, che si basa su cooperazione e collaborazione. Non da ultimo la leadership mancherà di prospettive, trovandosi di fronte collaboratori non motivati ed individualisti. Quindi, dando per scontato che all‟interno di un‟organizzazione ognuno cerca di soddisfare i propri obiettivi, ciascun individuo è sia un mezzo per il perseguimento dello scopo altrui, che un fine, nel senso che la cooperazione dei collaboratori gli è necessaria al raggiungimento delle proprie finalità. 29 D‟ORAZIO E. (2007), Corporate Integrity, Ethical Leadership, Global Business Standards. The Scope and Limits of CSR, POLITEIA, XXIII, 85/86, 2007, pp. 497. Figura 3.1 – L’individuo come mezzo di creazione del valore MEZZI STERILITÀ RAPPORTI AUTORITÀ • I dipendenti dell‟impresa siano considerati come mezzi. • Essi lavorino solo per il conseguimento dello stipendio. • Col proprio lavoro e non ampliamento delle competenze. • Non cooperazione e collaborazione nel gruppo. • La leadership mancherà di prospettive trovandosi di fronti collaboratori non motivati ed individualisti. la legittimazione della leadership sia basata imparzialmente su scopi, valori e interessi di coloro che ne accettano l‟autorità. L‟etica della gestione delle risorse umane non può essere “imposta” dall‟alto come una pura richiesta di osservanza di regole dettate dal vertice, ma i suoi principi, per essere accettati, devono preventivamente essere riconosciuti come termini di mutuo accordo da parte di ciascun agente morale, posto così in grado di esercitare la sua autonomia razionale. L‟adozione di questi principi avviene tramite il consenso razionale, non forzato e informato da parte dei partecipanti al dialogo, che sebbene siano ciascuno portatore di propri interessi, siano non di meno spinti da un‟analoga preoccupazione per il consenso e l‟accordo comune. A partire dai principi etici trovati tramite accordo, possiamo rintracciare le ragioni morali in nome delle quali una data autorità è legittimata. Tali considerazioni non ci devono portare a pensar che l‟etica della leadership possa essere usata come un semplice strumento per acquisire l‟osservanza o l‟adesione dei collaboratori per scopi che non rientrano nei loro obiettivi. L‟uso strumentale della legittimazione etica paradossalmente non determina l‟accettazione della leadership perché i collaboratori non si vedranno attribuita la dignità di agente morale, ma otterrà come unico risultato la benevolenza di quei proprietari che hanno come unica preoccupazione la remunerazione sottoforma di dividendi. 3.2 - La leadership etica e gestione delle risorse umane Sarebbe limitativo considerare l‟etica solo come fonte di legittimazione, in quanto essa dovrebbe essere una “condizione” diffusa all‟interno dell‟organizzazione. Questa prospettiva dipende dalla creazione nelle imprese di nuove strutture di governo e di reporting capaci di istituzionalizzare l‟etica al loro interno. I requisiti minimi identificati dalle “Linee Guida” per lo sviluppo nelle aziende, in particolar modo oltreoceano, sono: l‟organizzazione deve sviluppare standard di comportamento deve nominare un alto dirigente responsabile dell‟attuazione del programma30 non deve delegare potere discrezionale a dipendenti che siano noti per la loro propensione a comportamenti illegali deve comunicare gli standard di comportamento e le procedure in modo efficace a tutti i dipendenti31 deve predisporre sistemi per monitorare e verificare l‟effettiva attuazione di standard e procedure e per riferire eventuali comportamenti illeciti 30 31 deve far osservare gli standard di condotta prevedendo meccanismi sanzionatori deve impegnarsi nel miglioramento continuo del programma etico D‟Orazio definisce queste figure come Ethics Officer Ad esempio attraverso la realizzazione di corsi in formazione etica Figura 3.2 - Linee guida per lo sviluppo etico CODICI ETICI STRUTTURE Strumenti per la formazion e di valori etici MECCANISMI DI DENUNCIA PROGRAMMI DI FORMAZIONE Uno dei documenti più efficaci per la penetrazione delle linee guida nell‟organizzazione è il codice etico, che rappresenta un contratto sociale tra l‟impresa ed i suoi stakeholder (in particolare riferendoci ai dipendenti) e ha la “funzione di legittimare l‟autonomia dell‟impresa annunciando pubblicamente che essa è consapevole dei suoi obblighi di cittadinanza e che ha sviluppato politiche e pratiche aziendali coerenti con essi”32. Dal punto di vista delle risorse umane, il contratto sociale rappresenta un‟ipotetica scelta, in base alla quale coloro che sono sottoposti alla gerarchia dell‟impresa, decidono razionalmente di accettarla, a condizione che i loro diritti siano rispettati. Il codice etico deve essere anche teso all‟instaurazione di relazioni di fiducia all‟interno dell‟ambiente lavorativo e prevedere che l‟impresa investa a tal fine in modo da salvaguardare i rapporti creatisi, ossia il capitale sociale. In questo caso l‟impresa deve 32 D‟ORAZIO E. (2003), Codici etici, cultura e responsabilità d’impresa, Politeia, XIX, 72, pp.127- 143. tenere in considerazione che tali investimenti sono naturalmente soggetti alla debolezza delle relazioni fiduciarie. La fiducia nel business rappresenta infatti un “collante” che permette lo sviluppo di tutte quelle relazioni che non possono essere pienamente definite in termini contrattuali. Alcuni studiosi considerano la fiducia, nell‟ambito delle organizzazioni, una caratteristica tipica del contratto relazionale, i cui termini sono intenzionalmente incompleti, per cui, nonostante l‟intento iniziale dei contraenti sia quello di lavorare assieme, esiste sempre la possibilità che si verifichino comportamenti opportunistici. La fiducia reciproca è una condizione fortemente desiderabile da parte dell‟impresa nelle relazioni con gli stakeholder in generale e con i dipendenti in particolare, in quanto incoraggia lo scambio di idee e informazioni, riducendo al contempo la necessità di controlli costosi e consentendo l‟adattamento al cambiamento e la disponibilità a lavorare nonostante le differenze culturali. Attraverso la condivisione di idee e informazioni tra i dipendenti risulta stimolata anche la capacità innovativa dell‟impresa nel suo insieme e quindi la sua capacità di cogliere le opportunità. Ciò che consente ai membri e alle unità di un‟organizzazione di fidarsi reciprocamente e di collaborare è il riferimento a valori condivisi, cioè a norme culturali che contribuiscono a definire l‟organizzazione. Tutti questi risultati possono essere ottenuti soltanto se i vertici aziendali prestano la dovuta attenzione alla progettazione e successiva implementazione del codice etico aziendale, strumento di autoregolazione che fornisce a manager e dipendenti una direzione in senso etico. Il codice etico influenza il comportamento dei dipendenti in modo significativo, solo se le sue indicazioni risultano coerenti con la cultura aziendale nel suo complesso33. Adottare questa impostazione presuppone considerare l‟etica d‟impresa una questione che investe sia la sfera organizzativa che personale. Ne consegue che l‟etica ha a che fare con il management: i manager infatti, modellano il contesto organizzativo attraverso il loro comportamento, il loro disegno dell‟organizzazione e dei suoi sistemi e la loro leadership nell‟elaborazione di un codice etico che orienta il processo decisionale. 33 TREVINO L.K., NELSON K.A. (2004), Managing Business Ethics, Wiley & Son, pp.240-243, N.Y Recentemente si è giunti alla conclusione che la “reputazione” di leadership etica poggia su due dimensioni che operano congiuntamente: la dimensione della persona morale, cioè capace di prendere le decisioni etiche;essere una persona morale indica ai dipendenti come il leader è probabile che si comporti, ma non come esso si aspetta che i dipendenti agiscano. la dimensione del manager morale, cioè colui che pone al centro del messaggio di leadership l‟etica e i valori che modellano la cultura dell‟impresa e opera dando l‟esempio, comunicando operativamente e costantemente con i dipendenti circa l‟etica e i valori e premiando coerentemente la condotta di coloro che vi aderiscono. La combinazione di queste due dimensioni dà origine ad una matrice che definisce quattro modi in cui i dirigenti possono sviluppare una reputazione di leadership etica, immorale, ipocrita e neutrale. Figura 3.3 – I 4 modi per sviluppare una reputazione di leadership Affinchè l‟insieme dei valori etici stabiliti dal management rappresenti uno strumento effettivo per la gestione dell‟organizzazione, i leader devono impegnarsi in prima persona comportandosi in modo conforme ad essi. Infatti, la comunicazione dei valori tramite codici etici, programmi, e altri documenti, per quanto importanti, ha un impatto estremamente limitato se non è accompagnata da un comportamento che li rispecchi: il comportamento etico del leader, unito alla motivazione a far rispettare la cultura e l‟etica dell‟organizzazione per tutti i membri, sono i fattori più importanti per l‟affermazione delle stesse. Gli ideali ed i principi etici devono essere condivisi tra il leader e gli altri membri dell‟organizzazione; il fatto che tali ideali e tali principi informino il comportamento dei leader fornisce uno stimolo ed un rinforzo per tutti gli altri membri. Un sistema di valori non si può imporre, ma si può condividere proponendosi come esempio di interiorizzazione, di applicazione e di difesa di tale sistema, proprio perché il più importante fattore nella costruzione dell‟etica di un‟organizzazione è l‟esempio dato dai suoi leader. Il loro comportamento invia un messaggio ai dipendenti più chiaro di qualunque codice etico aziendale; un‟evidente incoerenza tra comportamento dei vertici e standard adottati dall‟azienda produrrà cinismo nei dipendenti ed erosione degli standard stessi, poiché la ricezione di messaggi contraddittori lasciano i collaboratori senza adeguato sostegno per l‟azione responsabile. E‟ comunque necessario tenere presente che leadership, sistemi, strutture e culture possono influire sul comportamento individuale ma non determinarlo. Figura 3.4 – Leadership dei valori In generale le fonti all‟origine dei valori sono raggruppabili sotto quattro fattori principali; 1. I valori etici e le convinzioni morali di ciascuno dei membri possono influenzare le decisioni etiche dell‟organizzazione. 2. La cultura organizzativa può influenzare notevolmente il comportamento etico sul lavoro dei membri dell‟organizzazione indipendentemente dai valori etici di ciascuno di essi. 3. I sistemi organizzativi: le procedure, i sistemi di ricompensa e di controllo formalizzano e rinforzano i valori etici espressi dalla cultura aziendale. Ad esempio le norme dell‟organizzazione prevedere cerimonie o premi per le persone che si sono distinte per l‟eticità del loro comportamento. I sistemi organizzativi traducono nell‟architettura organizzativa i valori etici imcorporati nella cultura organizzativa. 4. Anche gli stakeholder esterni all‟organizzazione contribuiscono ad “orientare” il comportamento etico dell‟organizzazione: l‟indirizzo politico delle Pubbliche Amministrazioni, la presenza di associazioni ambientaliste, etc. possono incidere in modo rilevante nella formazione etica dell‟organizzazione. Figura 3.5 – Le fonti dei valori etici nelle organizzazioni Infine, si possono suggerire alcuni aspetti e fasi di un codice morale della gestione delle risorse umane basato sull‟idea di contratto sociale: all‟avvio del rapporto: informazione il più possibile completa sulle caratteristiche del lavoro, trasparenza sulle alternative e non discriminazione arbitraria nella selezione. nella gestione del rapporto: non abuso delle asimmetrie informative, non abuso di autorità nell‟ambito della gestione della carriera, opportunità di formazione e sviluppo di capitale umano e sua qualificazione, riconoscimenti nel merito, valutazione del lavoro in team, riconoscimento delle situazioni di bisogno, partecipazione al processo decisionale, accountability ed equità delle procedure decisionali che riguardano il personale e le carriere. 3.3 – Le sette responsabilità manageriali verso l’interno dell’impresa Come abbiamo già ripetuto precedentemente esiste una dimensione etica dell‟attività imprenditoriale, ossia un‟attività economica rivolta al bene comune dalla quale l‟intera collettività trae giovamento in molteplici modi e circostanze, e viene realizzato attraverso l‟assunzione di responsabilità interne puntuali e fondamentali che Novak così sintetizza. 1. Soddisfare i clienti con beni e servizi realmente validi: è indubbio che siano i clienti, attraverso l‟acquisto dei prodotti dell‟impresa, ad esprimere il verdetto finale nei confronti della stessa. I manager si assumono, nei confronti dei propri clienti, un‟insieme di responsabilità dal contenuto etico e morale alla quale devono far fronte con un impegno quotidiano. 2. Realizzare un ragionevole reddito dai capitali affidati all’impresa agli investitori: questa è una responsabilità sociale di fondamentale importanza riconosciuta anche dagli studiosi più liberisti, dalla quale deriva l‟affidabilità di un impresa e l‟appetibilità a farne parte. Gli investitori soddisfatti resteranno all‟interno dell‟impresa e oltre a impiegare nuovi capitali fungeranno da polo attrattivo per nuovi soggetti che apporteranno un‟ulteriore disponibilità di capitali. 3. Creare nuova ricchezza: altrimenti se l‟impresa non ne crea fa girare a vuoto i propri ingranaggi e si autodistrugge. 4. Creare nuovi posti di lavoro: è una delle grandi responsabilità odierne e per realizzarla il mondo del lavoro si affida all‟universo imprenditoriale; la formazione di nuovi lavoratori dipendenti passa attraverso la creazione di nuovi datori di lavoro. 5. Sconfiggere l’invidia favorendo la mobilità verso l’alto e fornendo un fondamento empirico alla convinzione che il lavoro duro e il talento sono adeguatamente ricompensati, attraverso attività industriali, iniziative economiche che contribuiscono a migliorare la propria condizione sociale e di vita, possibilità che ha come chiavi di accesso lavoro duro, buona volontà, ingegnosità e talento. 6. Promuovere l’inventiva, l’ingegnosità ed in generale “il progresso nelle arti e nelle scienze utili”, responsabilità primaria per l‟impresa votata al successo. L‟attività d‟impresa è incentrata infatti sulla creazione e l‟innovazione, obiettivi che devono essere perseguiti attraverso la concessione di incentivi per la scoperta di nuove idee pratiche e per la loro messa a servizio del prossimo. La creatività è una virtù nella vita delle imprese, coloro che sminuiscono e frenano la capacità creativa, violano la loro vocazione, e si danneggiano. 7. Diversificare gli interessi del paese: manager dovrebbero dare concretezza all‟impegno dei lavoratori ed espandere le loro conoscenze pratiche sui diversi settori della vita economica. Ciascuna di queste sette responsabilità deve essere assunta dalle imprese in modo diffuso in quanto critica per la salute economica e sociale di un paese e della società civile. Figura 3.6 – Le 7 responsabilità manageriali 1. Validità di beni e servizi 2. Profittabilità 7. Diversificare gli interessi del paese dei capitali affidati all'impresa Le 7 responsabilità manageriali 6. Promuovere l'inventiva e l'ingegnosità 3. Creazione di nuova ricchezza 5. Favorire la mobilità verso l'alto per merito 4.Creazione nuovi posti di lavoro BIBLIOGRAFIA ALBERONI F., (1968), “Status nascenti”, Il Mulino, Bologna. BASS B.M., (1981), “Stogdills handbook of leadership”, Free Press, New York. BENNIS W., NANUS B., (1987), Leader. Anatomia della Leadership. Le 4 chiavi della Leadership effettiva, Milano, Franco Angeli. BLANCHARD K., HERSEY P., (1984), “Lifecycle theory of leadership”, Training and development journal, 23, pagg. 26-64. BONAZZI G., (2000), Storia del pensiero organizzativo, Milano, Franco Angeli BRYMAN A., (1992), “Charisma and leadership in organizations”, Sage, Londra. CASTAGNA R. (2002), La cultura organizzativa ed i conflitti intergruppo, Corso di Gestione Aziendale, Facoltà di Ingegneria, Politecnico di Milano, Cremona. D‟ORAZIO E. (2003), Codici etici, cultura e responsabilità d’impresa, POLITEIA, XIX, 72. D‟ORAZIO E. 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