LABORATORIO SUI DISTURBI MOTORI E SUL
LINGUAGGIO DEL CORPO
(PROF. A. MAUGERI)
La sindrome di Down
Nel 1866 un medico inglese a nome John Haydon Langdon Down stese la prima
descrizione clinica di quella condizione complessa che ora porta il suo nome: sindrome di
Down. Evidentemente Down ai suoi tempi non poteva fare altro che un rapporto clinico,
ovvero la esposizione dei più importanti e frequenti sintomi, non essendo assolutamente
disponibili conoscenze genetiche. Nel complesso dei sintomi osservati e descritti,
risultarono significativi per Down la morfologia del viso e, soprattutto il deficit dell'intelletto,
tanto che propose la denominazione di idiozia mongoloide oppure mongoloidismo o anche
mongolismo o altre ancora più fantasiose.
Per tanto tempo questa specie di epiteto mongoloide identificò più che degli individui, una
categoria uniforme, priva di personalità: soggetti mentalmente ritardati destinati
ineluttabilmente alla dipendenza totale dalla famiglia o dalla società.
La terminologia che si usa attualmente riconosce con il termine sindrome la plurifocalità
dei sintomi che interessano contemporaneamente diversi organi ed apparati, ma la
scienza identifica persone Down diversificate e singolarmente originali che si possono
incontrare nei banchi di scuola, in una festa fra amici e, sempre più spesso, anche in un
posto di lavoro.
Le anomalie cromosomiche nella Sindrome di Down
Esistono tre diversi tipi di anomalie cromosomiche nella Sindrome di Down, il loro effetto
finale è comunque identico: nelle cellule dei vari organi geni del cromosoma 21 sono in
triplice dose. L'anomalia più frequente è la trisomia 21 libera completa (95% dei casi): in
tutte le cellule dell’organismo vi sono tre cromosomi 21 invece in due; ciò è dovuto al fatto
che durante la meiosi delle cellule germinali la coppia dei 21 non si è disgiunta come
avrebbe dovuto (90% dei casi durate la meiosi della cellula uovo materna, 10 % durante la
meiosi degli spermatozoi paterni). Più raramente si riscontra la trisomia 21 libera in
mosaicismo (2% dei casi): nell’organismo della persona con la sindrome sono presenti
sia cellule normali con 46 cromosomi che cellule con 47 cromosomi (la non disgunzione
della coppia 21 in questo caso si è verificata alle prime divisioni della cellula uovo
fecondata). Come conseguenza, non tutte le cellule dell'embrione che si sta formando
conteranno il cromosoma in più. Il bambino potrà avere meno aspetti legati alla sindrome,
sia da un punto di vista fisico che mentale. Ma questo varierà da bambino a bambino, e a
seconda della sua percentuale di cellule trisomiche. La percentuale di cellule normali e di
cellule trisomiche può variare da un numero minimo al 100%Infine, il terzo tipo di
anomalia, anch’essa rara, è la trisomia 21 da traslocazione (3% dei casi): il cromosoma
21in più (o meglio una parte di esso, almeno il segmento terminale) è attaccato ad un altro
cromosoma di solito al numero 14, 21, o 22.
Di questa anomalia cromosomica non sono sostanzialmente note. Semmai sono
disponibili delle osservazioni statistiche le quali si concretizzano nei seguenti dati:
le anomalie nel numero e/o nella struttura dei cromosomi sono un evento abbastanza
frequente, nell'ordine del 9% di tutti i concepimenti. Però nella grande maggioranza dei
casi le stesse anomalie non sono compatibili con lo sviluppo dell'embrione, cosicché esso
viene spontaneamente abortito;
questi dati di frequenza sono straordinariamente costanti nelle diverse popolazioni e
verosimilmente anche nel tempo; sembra dunque che l'errore cromosomico sia una
caratteristica costante della riproduzione;
non sono stati individuati fattori (chimici? fisici? ormonali? del padre, della madre?
dell'ambiente?) che influenzino significativamente la frequenza dell'anomalia
cromosomica. Esiste tuttavia un dato statistico (epidemiologico) di costante riscontro:
l'incidenza della sindrome aumenta in proporzione diretta all'età della madre al
concepimento.
Valga, relativamente al dato statistico appena citato, la seguente tabella:
Età della madre incidenza alla nascita
inferiore a 30 anni
1 : 1.500
fra 30 e 34
1 : 580
fra 35 e 39
1 : 280
fra 40 e 44
1 : 70
oltre 45
1 : 38
Per fare la diagnosi prenatale (sempre s'intende mediante l'esame cromosomico) si
debbono ottenere cellule del feto e queste possono essere di due tipi:
gli amniociti o cellule presenti nel liquido amniotico. Per ottenerle si effettua un prelievo di
una piccola quantità di liquido in un periodo compreso fra la 14a e la 18a settimana di
gestazione: evidentemente questa data non deve solo essere calcolata sul calendario
della gestazione, ma scelta in base all'esame obiettivo della gravidanza sempre con il
criterio di ottenere la diagnosi quanto prima possibile;
le cellule dei villi coriali (questi sono propriamente la parte fetale della placenta). Il prelievo
o villocentesi è più precoce dell'amniocentesi ed avviene sotto guida ecografica, come
anche l'amniocentesi del resto.
Una possibilità molto interessante, tuttora oggetto di ricerca, sarebbe quella di ottenere
cellule fetali con un sistema meno "cruento" ed invasivo dei due precedenti: si ipotizza, per
esempio, di trovare ed identificare cellule fetali nel sangue materno.
OBIETTIVI TERAPEUTICI
SOGGETTO DOWN
DEL NUOTO
NEL
Il NUOTO è una delle migliori forme di esercizio che permette di migliorare diverse
componenti fisiologiche e non delle persone Down. Esercita tutto l’organismo non
sovraccaricando nessuna parte del corpo che si muove in un ambiente rilassante in cui la
circolazione, la respirazione, la resistenza muscolare e le secrezioni corporee aumentano
poco ma abbastanza per essere efficaci ai fini del benessere.
Per i Down, come per tutti gli handicappati mentali, il nuoto è molto più di uno sport, è per
loro un rilassamento generale che favorisce il loro sviluppo. Attraverso il nuoto il Down è
portato in modo giocoso ad assaporare un successo importante. E’ proprio di esperienze
positive, come l’influenza positiva dell’acqua sul corpo o la gioia ed il divertimento in
acqua, di cui il diversamente abile ha bisogno.
Bisogna sempre tener conto delle diverse capacità di apprendimento del soggetto con
deficit mentale. Egli reagisce sovente ad altri segnali: è più emotivo. Il Down fa fatica ad
imitare perfettamente un movimento poiché la sua motricità è disturbata.
Alla base dell’attività notatoria preventiva e riabilitativa vi è l’atteggiamento educativo che
non deve mai essere troppo esigente, ma neanche ipoesigente perché altrimenti il
soggetto non si sente stimolato. Bisogna, poi, introdurre innovazioni: l’approccio col
bambino Down ha bisogno di continue innovazioni e di strategie per impedire un rischio
che è portato dalla qualità del deficit e dall’immaturità della personalità a fare
apprendimenti stereotipati. Questi rappresentano un grave rischio di appiattimento delle
possibilità di sviluppo del pensiero e dell’adattamento sociale del Down.
Durante l’apprendimento è importante che il bambino venga gratificato, che sia apprezzata
ogni sua più piccola conquista e sdrammatizzato ogni insuccesso.
L’apprendimento dei vari esercizi prevede tempi di lavoro diversi rispetto a quelli che si
applicano nei casi di bambini normali per il fatto che la capacità di attenzione del bambino
Down è ridotta e la memorizzazione degli apprendimenti richiede maggiori reiterazioni.
Proprio per questo bisogna sottolineare che per il bambino Down non ha alcun senso la
fretta; nel caso in cui quest’ultima dovesse prevalere indurrebbe ansia, irritabilità,
aggressività e soprattutto ritardo o persino regressione dell’apprendimento.
Gli obiettivi terapeutici del nuoto sono:
1. organici
2. neuromuscolari
3. interpretativi
4. sociali
5. emozionali.
L’obiettivo organico si riferisce allo sviluppo di scopi specifici che concernono l’efficienza
delle funzioni fisiologiche del corpo:
-
aumento della resistenza cardio-vascolare con esercizi prolungati;
-
miglioramento della mobilità articolare con stiramenti attivi e passivi;
-
anche la forza e la resistenza ne fanno parte.
L’obiettivo neuro-muscolare è basato sulla ricerca di occasioni per sviluppare le funzioni
percettivo-motorie.
L’acqua da numerose possibilità di aumentare l’efficienza di molti meccanismi percettivomotori come il ritardo dello sviluppo di schemi loco-motori, spesso presenti nei Down come
saltare su uno o due piedi, galoppare o correre. In questi casi l’acqua offre una buona
superficie che sommata a una leggera resistenza rallenta i movimenti in sequenza
facilitandone l’apprendimento.
Schemi non loco-motori possono essere aggiunti per rendere certi esercizi più fantasiosi e
quindi più interessanti ed inoltre aiutano a sviluppare l’equilibrio.
In piscina, allo scopo di stimolare intensamente lo sviluppo dello schema corporeo e della
coordinazione è molto indicato l’uso di spugne, oggetti morbidi e leggeri che facilita
l’adattamento in acqua.
Il nuoto così appare all’handicappato come un gioco dove è consentito l’uso di giocattoli,
strumenti fondamentali per coinvolgere il bambino. Sport inteso come gioco, importante
mezzo che stimola e permette la formazione di nuove acquisizioni.
L’obiettivo interpretativo mira a stimolare ed a intensificare la coscienza di sé e del
proprio corpo.
L’acqua è l’ambiente multidimensionale nel quale esplorare, scoprire e sperimentare
nuove possibilità di movimento.
Il bambino deve essere aiutato ad acquisire coscienza delle proprie funzioni corporee
nell’attività fisica.
L’obiettivo sociale dell’attività fisica manifesta la voglia da parte del disabile di poter
interagire con altre persone per sviluppare modi migliori di comunicazione.
Spesso durante le lezioni di nuoto il Down può battersi alla pari con persone non disabili e
questo rinforza l’immagine di sé e la fiducia nelle proprie possibilità di stabilire contatti
sociali. Il nuoto incoraggia a un uso costruttivo del tempo libero.
Principale responsabile di un maggiore adattamento del disabile è il fattore indipendenza
personale o autonomia funzionale. Raggiungere questo obiettivo permette alla persona
con disabilità di essere più sicura delle proprie capacità e di poter partecipare più
attivamente alla vita sociale.
L’ultimo è l’obiettivo emozionale: in ogni lezione di nuoto bisogna inserire delle occasioni
di riuscita. Il fatto che il nuoto sia uno sport che non tutti sono capaci di fare, aumenta la
gratificazione che il disabile trae da una partecipazione coronata da un successo.
L’ AUTISMO
La parola autismo richiama mutismo, isolamento, indifferenza nei confronti
dell'ambiente esterno, una sorta, insomma, di silenzio dell’anima.
La medicina classifica la sindrome autistica all'interno dei Disturbi pervasivi dello
sviluppo, a significarne l'insorgenza in età neonatale con compromissione della normale
crescita intellettuale ed emotiva, ma non di quella fisica.
I bambini autistici fisicamente sono sani e si sviluppano come i loro coetanei, ma
sono affetti da gravi anomalie nella comunicazione e da ritardo mentale di entità variabile,
presente nel 75% dei casi ma, non sufficiente, da solo, a spiegare tutti i sintomi della
malattia.
Sia nei soggetti ritardati che nei soggetti con normale intelligenza, infatti, il profilo
delle prestazioni è spesso molto disomogeneo, con aree di grande abilità, come memoria,
calcolo, competenze spaziali, e aree profondamente compromesse.
LE IPOTESI EZIOLOGICHE
L 'autismo non ha una singola causa ma nasce da un insieme di fattori: genetici, organici,
biochimici e psicologici, che interferiscono creando una frattura nello sviluppo cerebrale
normale, in una fase precoce della vita fetale. La componente genetica sembra
responsabile solo di una maggiore vulnerabilità a sviluppare la malattia.
Gli studi di brain imaging hanno evidenziato anomalie in diverse strutture cerebrali,
in particolare nel cervelletto, nell'amigdala, nell'ippocampo, nel setto e nei corpi
mammillari. La ricerca neurochimica suggerisce che vi siano delle alterazioni nel
metabolismo della serotonina, della dopamina e di altri neurotrasmettitori. Il significato di
tutte queste osservazioni e, soprattutto, il ruolo che ciascuna occupa nella patogenesi
resta ancora da chiarire, anche perché troppo poco si conosce del funzionamento del
cervello.
Manca ancora un'immagine precisa, ma di certo si è sfatata una delle prime ipotesi:
i genitori, con il loro comportamento, non sono in alcun modo responsabili della malattia
dei loro figli.
I SINTOMI
Nei bambini autistici sono compromesse l'interazione sociale, la comunicazione
verbale e quella non verbale, ovvero la mimica dei gesti con cui il bambino si esprime
prima di iniziare a parlare. Il comportamento, gli interessi e le attività sono ristretti, ripetitivi
e stereotipati. Il linguaggio, quando è presente (circa il 50% dei casi) è ripetitivo
(ecolalico), è caratterizzato dall'uso scorretto della prima e della seconda persona, viene
usato in forma non adeguata a comunicare, per esempio con frasi senza significato o fuori
del contesto. La carenza dell'immaginazione e dell'imitazione non consentono il normale
gioco infantile, che viene sostituito da movimenti stereotipati privi di senso.
Questi bambini sono ostacolati nello sviluppo delle relazioni sociali, della
comunicazione e dei meccanismi emozionali, sembrano perciò assenti ma possono
essere ipersensibili a particolari stimoli. Sin dai primi mesi, infatti, possono mostrare
fastidio, e di conseguenza ansia e nervosismo, per un odore, un suono, il contatto fisico da
cui si ritraggono. La loro incapacità a comunicare è particolarmente evidente, e dolorosa,
in quanto non rispondono alla voce dei genitori, sfuggono lo sguardo e non riescono a
esprimere le emozioni che ci si aspetterebbe da loro. Tutto questo non nasce da una
precisa volontà di isolamento ma dalla loro percezione del mondo esterno che è distorta o
carente.
I sintomi hanno un esordio precoce, prima dei tre anni di età, e perdurano nel corso
della vita intera, pur con le modificazioni che il progredire dell'età solitamente comporta.
Certi segni possono essere riscontrabili fin dalla nascita o comparire successivamente, in
quest'ultimo caso il bambino spesso perde le competenze gestuali e linguistiche che
aveva già acquisito.
QUADRO CLINICO
Il Disturbo Autistico è uno dei più gravi disturbi dell’età evolutiva.
Il quadro clinico è caratterizzato sia da disturbi sul piano comportamentale sia da altri
sintomi.
Sul piano comportamentale i disturbi caratterizzanti il quadro clinico sono riconducibili
alla compromissione di tre aree principali:
a). L’interazione sociale;
b). La comunicazione verbale e non verbale;
c) Il repertorio di attività ed interessi.
A questa triade sintomatologica di disturbi comportamentali si associano frequentemente
altri due sintomi caratteristici
d). Il ritardo mentale;
e). L’epilessia.
Ancora possono essere presenti altri sintomi da tenere in debito conto in fase di
trattamento.
Fra di essi uno dei più comuni è l’abnorme risposta agli stimoli sensoriali di natura
uditiva (sirene, cigolii, campanelli), visiva (flash, luci intense, determinati oggetti), o
tattile. Questi stimoli possono scatenare violente reazioni di panico, con tentativi di
proteggersi.
L’iperattività è un altro sintomo frequentemente osservato. I bambini autistici,
infatti, presentano molto spesso labilità attentiva e comportamenti ipercinetici.
Inoltre possono avere condotte auto-aggressive, quali battere il capo contro la parete o
colpirsi il capo con il pugno.
Tra i sintomi caratteristici sono inclusi, infine, alcune particolari abilità:
• un’eccezionale memoria per numeri e date;
• un’inaspettata capacità di leggere e recitare interi brani.
a) Compromissione dell’interazione sociale e comportamenti ad essa correlati.
Nel corso del primo anno di vita, la compromissione dell’interazione sociale è
tipicamente espressa dal deficit del canale di scambio privilegiato in tale periodo: vale a
dire il contatto occhi-occhi. I genitori riferiscono la “sfuggenza dello sguardo” del bambino,
la “difficoltà di agganciare lo sguardo”, “presenza di uno sguardo assente”.
Frequenti,nel primo anno di vita, sono le anomalie delle posture corporee. I genitori
hanno difficoltà a tenere in braccio il bambino che “sguscia da tutte le parti”. Ciò è dovuto
sia ad una insofferenza per il contatto fisico, sia ad una incapacità da parte del piccolo di
adattare la sua postura alla postura di chi lo tiene in braccio. Questa incapacità viene
definita come un disturbo del dialogo tonico.
Nel corso delle sviluppo la compromissione dell’interazione sociale si arricchisce di
comportamenti sempre più espliciti e caratteristici. Il bambino si aggira tra gli altri come se
non esistessero; tende ad isolarsi; quando chiamato non risponde; non richiede la
partecipazione dell’altro nelle sue attività, né lo rende partecipe delle sue attività; utilizza
l’altro in maniera strumentale per l’appagamento delle esigenze del momento (il bambino,
ad esempio, prende il braccio dell’altro senza guardarlo negli occhi e lo indirizza verso una
cosa, che lui da solo non riesce a prendere).
Il piccolo non richiede la compagnia dei coetanei.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto va sottolineato che, anche se l’isolamento e
la chiusura in se stessi rappresentano tratti patognomonici, non sono infrequenti
comportamenti apparentemente paradossi. Alcuni bambini autistici, ad esempio, non solo
non rifiutano il contatto fisico, ma anzi lo ricercano attivamente, ma con modalità
inappropriate e spesso dispensano baci a persone viste per la prima volta o ad estranei. In
merito a questo aspetto, alcuni Autori hanno individuato tre sottogruppi di bambini autistici:
1. Bambini inaccessibili, che si tirano fuori da qualsiasi rapporto sociale;
2. Bambini passivi, che tendono ad isolarsi ma sono in grado di interagire quando sono
sollecitati;
3. Bambini attivi ma bizzarri, che prendono iniziativa nell’interazione sociale ma lo fanno
in maniera inopportuna ed inappropriata.
Questi diversi profili possono riscontrarsi nello stesso bambino in diverse fasi dello
sviluppo.
b) Compromissione della comunicazione e comportamenti ad essa correlati.
Uno dei motivi principali che spinge i genitori a richiedere una consultazione
specialistica è rappresentato dal fatto che “il bambino non parla”. Il deficit espressivo,
peraltro, non è compensato da alcuna forma di comunicazione alternativa. I vari canali
rappresentati dallo sguardo, dalla mimica, dai gesti, o sono assenti o vengono utilizzati in
maniera impropria e limitatamente al soddisfacimento di richieste particolari.
Con il passare degli anni, mentre alcuni bambini non riescono ad acquisire alcuna
espressione verbale, altri presentano un progressivo sviluppo del linguaggio, che può
addirittura diventare particolarmente fluente. Anche in questi casi, tuttavia, esso risulta
qualitativamente inadeguato. Il linguaggio può essere infatti caratterizzato da:
• ripetizione delle domande che gli vengono poste piuttosto che rispondere alle stesse;
• gergolalie fluenti inintelligibili;
• inversioni pronominali;
• ripetizione di parole, frammenti di frasi o intere frasi memorizzate, ma pronunciate senza
aderenza al contesto;
• alterazioni della prosodia;
• stereotipie verbali.
Sul piano del linguaggio di comprensione, vengono segnalati alcuni deficit molto
particolari, quali l’incapacità di riconoscere i motti di spirito, i doppi sensi, le metafore e le
locuzioni idiomatiche.
c) Modalità di comportamento, attività ed interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati.
Sono inclusi in questo gruppo di disturbi tutti quei movimenti, quei gesti e/o quelle
azioni che per la loro frequenza e la scarsa aderenza al contesto assumono la
caratteristica di comportamenti atipici e bizzarri.
Molto spesso tali comportamenti sono genericamente denominati con il termine di
stereotipie.
Il repertorio dei comportamenti osservabili è molto variabile:
• dondolarsi;
• assumere posture bizzarre;
• guardarsi le mani;
• guardarsi allo specchio;
• leccare;
• osservare l’acqua che scorre;
• osservare la lavatrice in funzione;
• versare l’acqua da un contenitore all’altro;
• disegnare sempre la stessa cosa;
• emettere determinati suoni;
• ripetere le stesse parole o frasi;
• recitare le scene di film (sempre le stesse).
Nell’ambito di questo gruppo di disturbi rientra anche la ritualizzazione di alcune
abituali routine quotidiane, quali il mangiare, il lavarsi, l’uscire, che devono svolgersi
secondo sequenze rigide ed immutabili. Questo bisogno di immutabilità si verifica anche
nel gioco, nella disposizione degli oggetti nella sua stanza o nei percorsi da seguire nelle
uscite. Quando vi sono cambiamenti il bambino se ne accorge e prova profondo disagio
reagendo anche con rabbia, aggressività auto od eterodiretta.
Inoltre il bambino dimostra attaccamento esasperato ad oggetti insoliti: una pallina,
un pezzo di stoffa o di plastica.
d) Il ritardo mentale.
Circa il 75% dei pazienti autistici presenta ritardo mentale. Una frequenza così
elevata di co-morbilità ha da sempre sollevato notevoli discussioni. E’ difficile stabilire se
alcuni comportamenti atipici siano riferibili all’autismo o al ritardo mentale comunque
presente.
e) L’epilessia.
L’epilessia si verifica in circa il 30-40% dei casi. Le crisi insorgono soprattutto in
epoca adolescenziale ed assumono le caratteristiche delle crisi parziali complesse
(complessi fenomeni illusori ed atti motori parzialmente finalizzati) e tonico-cloniche
generalizzate. Le crisi tonico–cloniche generalizzate (grande male) sono caratterizzate da
rigidità tonica di tutte le estremità seguita dopo 15 – 30 sec. da tremore, dovuto al
rilassamento. Segue la fase clonica, cioè una contrazione muscolare interrotta da
decontrazioni e quindi movimenti scomposti. Sono possibili dei rischi per il paziente
consistenti nel mordersi la lingua o le guance; frequentemente si ha insufficienza urinaria.
Per lo più, l’autismo e l’epilessia vengono considerati epifenomeni di un comune
danno encefalico.
5. CRITERI DIAGNOSTICI
Al fine di individuare i sintomi dell’Autismo in modo semplice, sono stati messi a
punto dei criteri diagnostici che, in base ad un assegnato numero di domande, consentono
di comprendere se vi sia necessità di un approfondimento.
Un dei criteri è il seguente, basato su 9 domande del Pediatra al genitore e su 4
osservazioni del bambino:
Domande ai genitori:
1) Al bambino piace essere dondolato o fatto saltellare sulle ginocchia?
2) Si interessa agli altri bambini?
3) Gli piace arrampicarsi sui mobili o sulle scale?
4) Si diverte a fare giochi tipo nascondino?
5) Ogni tanto gioca a “far finta “di preparare da mangiare o altro?
6) Ogni tanto usa il dito per indicare o chiedere?
7) Ogni tanto usa il dito per indicare interesse in qualcosa?
8) E in grado di giocare in modo appropriato con i giocattoli( ad esempio macchinine o
mattoncini) oltre che metterli in bocca o manipolarl o farli cadere?
9) Il bambino porge ogni tanto oggetti al genitore per farglieli vedere?
Osservazione durante la visita pediatrica:
10) Durante la visita il bambino fissa mai negli occhi?
11) E’ possibile ottenere l’attenzione del bambino,. indicare poi un oggetto interessante
della stanza, fare il segno con il dito e nominarlo come un
“ Oh, guarda..” e osservare che il bambino effettivamente si giri a guardare ciò che è stato
indicato?
12) Avendo davanti dei cubi, quanti ne riesce ad impilare?
13) Chiedendo ” Dov’è la luce.” o” Mostrami la luce” , eventualmente replicando la
domanda con un altro oggetto che può capire (es. l’orsacchiotto), il bambino, riesce ad
indicare con il dito e contemporaneamente a guardare in faccia l’interlocutore?
Almeno 7 risposte negative su 13 tra domande ed osservazioni lasciano ipotizzare
che il bimbo sia da considerare nello spettro Autistico.
Teorie cognitivo-comportamentali. Programma TEACCH
(Treatment and Education of Autistic and Communication Handicaped Children )
L'efficacia sui comportamenti problematici di questi interventi è tanto maggiore
quanto più è precoce l'età in cui vengono attuati. In base a specifiche linee guida, si ha la
possibilità di scegliere all'interno di un gruppo di tecniche volte all'acquisizione o
all'incremento di comportamenti adattivi, basate sull'uso del rinforzo subito dopo la
comparsa dei comportamenti desiderati, così da aumentarne la frequenza. Di questo
gruppo fanno parte:
a) il concatenamento, grazie al quale la risposta desiderata compare gradualmente
perché ricompensata con stimoli rinforzatori;
b) il modellaggio, ossia un rinforzo sistematico dei comportamenti che sempre più
somigliano a quello meta a partire da uno iniziale selezionato perché già osservato nel
repertorio del paziente;
c) il modellamento, cioè l'apprendimento da un modello per imitazione;
d) il prompting, mediante il quale il raggiungimento del comportamento meta avviene con
l'impiego di suggerimenti fisici gestuali e visivi.
Un secondo gruppo di tecniche è invece finalizzato al decremento dei
comportamenti inadeguati, e si avvale del rinforzo differenziale di altri comportamenti.
Esso è composto da:
a) estinzione, ottenuta non prestando attenzione al comportamento inadeguato;
b) saziazione, cioè una somministrazione volutamente eccessiva del rinforzatore;
c) pratica negativa, che prevede la ripetizione per un numero troppo grande di volte del
comportamento indesiderato;
d) procedure aversive, come il mascheramento visivo, il time-out e l'ipercorrezione.
Gli strumenti appena descritti sono tutti utilizzati nel TEACCH di Shopler. È
necessario però, nella scelta delle attività, individualizzare il programma in base a quattro
criteri che lo possano così rendere specifico per la singola persona e veramente efficace.
1) con modello di interazione si intende la contestualizzazione dell'intervento all'interno
del sistema di relazioni di cui fa parte il bambino in modo da poterne meglio cogliere
bisogni e potenziale di apprendimento.
2) con prospettiva di sviluppo s'intende ribadire l'importanza della definizione delle aree
in cui il bambino manifesta buone capacità e quelle in cui esse sono carenti, così che
l'intervento possa essere coerente con il livello di sviluppo del bambino nelle diverse aree.
3) con relativismo del comportamento, ci si riferisce alle difficoltà dei bambini affetti da
Disturbo Generalizzato dello Sviluppo, di estendere la risposta comportamentale a contesti
diversi da quello in cui è stata appresa.
4) la gerarchia di addestramento permette di ordinare gli obiettivi particolari da
raggiungere col trattamento secondo una scala di urgenza crescente che vede come
interventi immediati quelli volti a modificare in senso positivo i comportamenti che mettono
a rischio la vita del bambino, per poi strutturare il programma in vista dell'adattamento al
contesto familiare, quindi a quello scolastico e infine a quello extrascolastico.
Una parte importante del programma è rappresentato dalla valutazione, che
avviene attraverso tre modalità diverse:
1) la prima che prevede l'uso test intellettivi e scale standardizzate, riguarda la
valutazione dello sviluppo;
2) la seconda modalità è quella dell'osservazione dei modelli di comportamento del
bambino;
3) la terza è rappresentata dalla raccolta di informazioni fatta nei colloqui con i genitori,
in cui vengono anche individuate le loro aspettative nei confronti del bambino e i problemi
principali che essi si trovano ad affrontare. La valutazione dello sviluppo si avvale di uno
strumento specifico chiamato Profilo Psicoeducativo (P.E.P.): il P.E.P. consente di
determinare lo sviluppo del bambino nelle aree dell'imitazione, della percezione, delle
abilità motorie, dell'integrazione oculo-manuale, e delle capacità cognitive.
Le aspettative e gli obiettivi che ci si attende di raggiungere, per ogni bambino,
vengono distinte in :
1) aspettative a lungo termine,
2) aspettative intermedie tra 3 mesi ed un anno.
3) gli obiettivi educativi immediati. Un appropriato intervento dovrà prevedere un
coordinamento tra i tre livelli.
L'intervento dovrebbe inoltre sviluppare per prime quelle capacità che sono implicite
in altre; se, per esempio, il bambino non ha sviluppato la capacità di imitazione, bisogna
sviluppare prima questa, prima di procedere alla stimolazione del linguaggio.
La procedura fin qui descritta è finalizzata alla definizione delle mete educative; il
passaggio successivo è quello di formulare, a partire dalle mete educative, degli obiettivi
educativi specifici. Ciascun obiettivo educativo specifico viene poi tradotto in attività
didattiche, costruite tenendo conto di tutte le variabili citate in precedenza, sia individuali
che contestuali. Accanto ad attività didattiche specifiche è previsto l'utilizzo di tecniche di
modificazione del comportamento, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei
comportamenti problema.
Uno dei princìpi fondamentali dell'intervento è quello per cui l'acquisizione di abilità
da parte del bambino autistico richiede un adattamento e una modificazione dell'ambiente
di vita del bambino, sia familiare, sia scolastico. È importante, in particolare, che
l'ambiente di apprendimento sia strutturato e prevedibile e che le attività che gli vengono
proposte siano precise e, soprattutto per i bambini che non parlano, comprensibili al di là
delle indicazioni verbali.
La strutturazione deve riguardare sia gli spazi sia i tempi di lavoro; per es. possono
essere utilizzate delle immagini che descrivono i vari momenti della giornata, e al bambino
viene insegnato ad associarne ciascuna ad un preciso momento/attività della sua giornata.
In pratica, per fornire una certa autonomia ai soggetti autistici, si abitua il soggetto,
con l’ausilio del terapista e dei genitori, a svolgere i compiti che dovrà affrontare
quotidianamente
Il soggetto autistico è normalmente in contrasto con tutti i cambiamenti, ma con
questo metodo riesce ad assimilare uno stile di vita più o meno normale e quindi può
essere in grado di avere nel tempo un minimo di autonomia.
Il conseguimento di ulteriori abilità va ricercato con passaggi graduali, in modo da
evitare il rischio, sempre presente, di una involuzione come forma di reazione verso
trattamenti non graduali.
Pet Therapy
Nata negli Stati Uniti, solo da pochi anni viene praticata anche in alcuni centri del
nostro Paese. Letteralmente significa terapia con animali, viene chiamata anche terapia
dolce e prevede l'utilizzo degli animali per migliorare la qualità di vita delle persone e mira
a seguire il soggetto problematico e non tanto il problema o la malattia, in tal modo
l'animale diventa il ponte invisibile tra operatore e soggetto seguito.
Gli animali in quest'ottica, diventano co-terapeuti, diventano il mezzo per
raggiungere lo scopo. L'animale prima di tutto offre la possibilità di stabilire una relazione,
non fa domande, accetta incondizionatamente chi ha di fronte qualsiasi sia la sua
patologia o problematica sociale.
In questo senso l'amicizia che si stabilisce con un'animale non è solo terapia, ma
anche prevenzione e protezione dell'equilibrio psico-fisico dell'individuo.
Molto importante è l'elemento ludico, il bambino in particolar modo attraverso il
gioco raggiunge risultati difficilmente ottenibili con attività imposte prettamente
terapeutiche e/o riabilitative. Agli animali si può insegnare, dagli animali si può imparare.
La Pet Therapy si suddivide in:
1) Terapia Assistita con Animali (A.A.T.), che risulta essere una terapia vera e propria
rivolta a persone con problemi fisici e/o psichici, da affiancare ad altre cure, dove viene
precedentemente fatto un progetto individualizzato da seguire, che prevede la scelta
dell'animale adatto in base allo scopo da raggiungere e la presenza di un'équipe
multidisciplinare che collabori a tale progetto (compresa la stesura e la verifica del
progetto stesso);
2) Attività Assistite con Animali (A.A.A.) che mirano a migliorare la qualità di vita delle
persone in situazione di disagio, in quanto l'animale risulta, essere un perfetto tramite per
lo sviluppo delle relazioni.
3) Attività ludica, la Pet Teraphy viene utilizzata anche a livello ludico (gioco), per la
socializzazione, per favorire la comunicazione e per lo sviluppo e/o potenziamento della
responsabilità e dell'autostima.
L'animale in sé è un "catalizzatore" sociale capace di creare situazioni positive e
rilassanti; cane, gatto, cavallo, delfino (e non solo) sono gli animali più conosciuti che
svolgono un importante ruolo nei confronti di persone con disabilità psicofisica.
Il cane, in particolar modo, è il soggetto preferito dai seguaci della Pet Therapy;
come cane sociale per migliorare le condizioni psichiche e/o fisiche di bambini, adulti,
anziani; come cane di servizio per aumentare la mobilità delle persone con limitazioni
fisiche, come cani da passeggio per persone cieche o sorde.
La Delfinoterapia è un'attività praticata negli Stati Uniti da oltre 15 anni, in Italia è
giunta verso il 1993 e viene svolta nei mesi estivi, nei delfinari di Rimini e Brindisi. È una
terapia indicata nei casi di autismo infantile, negli stati depressivi degli adulti e per taluni
disturbi psichici.
I benefici di tale attività sono dati dal rilassamento e da un completo benessere
psico-fisico che si basa su contatti spontanei tra i delfini e le persone che nuotano e
giocano con loro.
L’Ippoterapia, detta anche Riabilitazione Equestre, è destinata a coloro che
presentano disturbi neuromotori, motori sensoriali e relazionali, (e quindi adattissima
anche ai soggetti Autistici).
Il cavallo stimola il proprio "cavaliere" nell'equilibrio, nel coordinamento motorio, nel
processo Spazio-temporale. Si ha, inoltre, un forte beneficio psicologico con conseguente
aumento dell'autostima.
Gli scopi della Riabilitazione Equestre sono la conservazione degli arti sani, lo
sfruttamento dei gruppi muscolari colpiti da alterazioni invalidanti e miglioramento della
situazione statica e dinamica, ottenendo dei miglioramenti sulle condizioni psichiche.
All’ippoterapia sembra opportuno dedicare maggiore spazio in quanto riesce a
stimolare non solo il lato affettivo del paziente ma anche l’aspetto muscolare ed i fattori
mirati all’equilibrio ed alla percezione dello schema motorio.
Elemento fondamentale di tale attività è il cavallo che mette a disposizione una
ricchezza di strumenti naturali quali il ritmo, la sua corporeità, le sensazioni. provocate dal
suo movimento, non statiche ma in continuo mutamento, che scatenano delle reazioni in
chi ci sta sopra risvegliando in loro capacità che in altro modo difficilmente avrebbero
potuto sperimentare, data la particolarità dello "strumento" utilizzato.
Già nel 1801 Goethe affermava: “Il motivo per il quale un maneggio svolge
un’azione così benefica sulle persone dotate di ragione è che qui, unico posto al mondo, è
possibile comprendere con lo spirito e osservare con gli occhi l’opportuna limitazione
dell’azione e l’esclusione di ogni arbitrio e del caso. Qui uomo e animale si fondono in un
tutt’uno, in misura tale che non si saprebbe dire chi dei due effettivamente sta addestrando
l’altro.”
LA PARALISI CEREBRALE INFANTILE
DEFINIZIONE E FATTORI ETIOLOGICI
Che cos’è una paralisi cerebrale infantile
La paralisi cerebrale infantile costituisce un capitolo molto importante della
neuropsichiatria infantile.
E’ molto difficile dare una definizione e fare una descrizione che vada ad attribuire
unità a questo gruppo eterogeneo di sindromi ,anche se dal punto di vista clinico può
essere considerato come un raggruppamento di quadri sintomatologici diversi,
accomunati da un evidente disturbo motorio di origine encefalica.
Si può affermare che la p.c.i. è definita come un’alterazione persistente ,ma non
immodificabile del movimento e della postura che si manifesta nel primo anno di vita
ed è dovuta ad un’alterazione non progressiva del Sistema Nervoso Centrale.
Il disturbo più evidente di questa sindrome cerebrale infantile è il disturbo della
motilità .Questa manifestazione clinica è sempre accompagnata da altri disturbi più o
meno intensi di tipo sensoriale ,mentale e convulsivo.
Anche se il termine p.c.i. è entrato nella pratica ed è accettato dalla maggioranza
degli studiosi, bisogna porre una scrupolosa attenzione sul significato di questi tre
termini.
La parola "paralisi", definisce solo la perdita parziale o totale dell’attività motoria.
Questo termine, non comprende nel suo significato la presenza di atti parassitari che
vanno a disturbare quelli volontari ,né quella di un deficit qualitativo della motricità,
consistente nella incoordinazione tonico-posturale. Dato che il termine paralisi è un
po’ riduttivo, quello più appropriato sarebbe, discinesia intendendo un movimento
anormale o involontario dei muscoli del corpo dovuto ad una alterazione del sistema
nervoso centrale.
Definire "cerebrale" il disturbo motorio è limitativo in quanto, il cervelletto od il
tronco encefalico , possono essere una sede del danno. Sarebbe più coretto utilizzare
il termine encefalico.
Infine anche l’utilizzo di infantile è pressoché imprecisato , poiché esiste una seconda
infanzia che si protrae molto più dei tre anni di vita, precoce, perciò sembrerebbe la
parola più adatta.
Secondo tale analisi la formula più precisa per riferirci a tale sindrome è discinesia
encefalica precoce non evolutiva .
Cause o fattori etiologici delle P.C.I.
I fattori determinanti le p.c.i. sono molteplici e a volte è difficile stabilire le cause per
ogni singolo caso. Ciò si verifica perché spesso tale patologia è determinata da varie
lesioni per cui è molto difficile stabilire una correlazione fra la causa e la lesione
organica.
I fattori etiologici si possono distinguere in :
- fattori agenti prima della nascita
- fattori agenti durante la nascita
- fattori agenti dopo la nascita
FATTORI PRENATALI
Alcuni studiosi includono in questo gruppo di fattori anche quelli ereditari .
Fra le p.c.i. vengono incluse specifiche malattie ereditarie, come la paraplegia
spastica, i tremori congeniti e l’atetosi familiare, che sono determinate da alterazioni
di natura genetico dello sviluppo del sistema nervoso.
Fra le cause prenatali dobbiamo collocare al primo posto il fattore anossia cerebrale
che è indotto da alterazioni placentari (distacco intempestivo, impianto anomalo
,infarto della placenta), oppure da compressione del cordone ombelicale in fase
intrauterina o da vari disturbi materni, come l’ipotensione e l’anemia. L’anossia del
feto provoca quadri di grave ipotensione arteriosa con conseguente danno cerebrale,
perché si viene a determinare una grossa diminuzione di apporto sanguigno nel
sangue placentare e di conseguenza fetale.
Vi sono poi le infezioni virali materne che hanno una fondamentale responsabilità
sulla determinazione della p.c.i. e tra di esse in particolare modo la Rosolia che ha
un’azione dannosa nell’embrione nei primi tre mesi di gravidanza. Anche la
Toxoplasmosi materna può determinare nel feto una encefalite da toxoplasma. In
genere tutte le infezioni virali della madre possono causare delle lesioni encefaliche.
La esposizione ai raggi x della donna incinta, soprattutto nel primo trimestre di
gravidanza, causa cospicue alterazioni cerebrali del feto. Proprio per questo sono
sconsigliati gli esami radiologici alle donne in gravidanza.
I disturbi dismetabolici sono da considerarsi come un’ulteriore causa di p.c.i., fra cui
il diabete .
Vi è poi il cosiddetto ittero nucleare, anch’esso causa di p.c.i., in quanto si viene ad
instaurare un processo tossico a carico del sistema nervoso. Generalmente gli itteri
neonatali sono dovuti alla incompatibilità sanguigna materno-fetale,( Fattore Rh.)
Inoltre le deficienze vitaminiche o proteiche hanno una grossa influenza sulla
morbosità del feto e sull’immaturità.
Infine la prematurità e l’immaturità sono condizioni molto particolari, in quanto il
bambino appare particolarmente vulnerabile dal punto di vista neurologico: Infatti sia
nell’immaturo che nel prematuro esiste una particolare fragilità capillare, per cui
aumenta il rischio di eventi emorragici cerebrali e trombosi al momento del parto.
Tutte queste cause prenatali danno origine ad alterazioni nervose del feto di tipo
malformativo.
Fattori perinatali.
Fra il gruppo di fattori connatali, l'anossia del neonato è la causa più considerevole di
p.c.i. ed é spesso associata a lesioni vascolari, che determinano emorragie e necrosi
dell'encefalo.
Anche se l'encefalo del bambino appena nato può resistere per un maggior tempo alla
mancanza di ossigeno rispetto agli adulti, un'anossia di lunga durata che interessa una
vasta zona cerebrale, provoca danni irreversibili che possono interessare anche l'area
che comanda il movimento.
L'Anossia o l'asfissia nel periodo perinatale è causata da lesioni traumatiche dei vasi,
da torsione del cordone ombelicale, da ostruzioni respiratorie meccaniche (
aspirazione del liquido amniotico) e da alterazioni della pressione sanguigna
determinata dalla somministrazione di farmaci alla madre nel momento del travaglio.
Rientrano in questo gruppo di fattori i traumi diretti all'encefalo, in caso di parto
distocico o per l'utilizzo di particolari strumenti come il forcipe e la ventosa.
Quest'ultime non hanno molta rilevanza dato che alcune statistiche recenti
evidenziano una minor correlazione fra tali fattori e l'insorgenza di p.c.i.
Sia le lesione anossiche che traumatiche sono molto piu' pericolose se il feto presenta
delle fragilità vascolari (tipica del bambino immaturo).
FATTORI POST NATALI.
I fattori post-natali rispetto a tutti gli altri, hanno statisticamente una minima
incidenza nel determinare le p.c.i.
Non tutti gli autori sono d'accordo nello stabilire uno stesso limite al periodo
cronologico in cui la noxa (causa) agisce, determinando danni al tessuto cerebrale.
Alcuni studiosi, sono convinti che la causa patogena agisca in un periodo limitato che
va dalla nascita a pochi giorni o settimane dopo il parto, altri invece prolungano il
periodo fino ad alcuni anni di vita.
Nonostante ciò la maggioranza degli studiosi sono concordi nello stabilire il limite
cronologico d'azione nella noxa al dodicesimo mese di vita. Infatti entro il primo
anno il processo mielizzante delle fibre nervose del S.N.C. dovrebbe ormai essersi
completato .
Tra le cause post-natali vanno inclusi inoltre tutti i processi di tipo infiammatorio sia
delle meningi che dell'encefalo, e perciò tutte le encefaliti e encefalopatie
parainfettive o post-infettive che potrebbero dare luogo a p.c.i. in un bambino nel
primo anno di vita.
Inoltre a tali cause infettive si devono aggiungere tutte le lesioni cerebrali verificatesi
nel periodo post-natale e in genere provocate da traumi cranici, turbe vascolari e
neoplasie.
Quest'ultimo gruppo di fattori una volta verificatisi creano delle alterazioni di tipo
infiammatorio, che danno esito a fatti cicatriziali, i quali vanno ad ostacolare il
successivo sviluppo del nevrasse.
La diagnosi della P.C.I.
Nel caso in cui un neonato abbia subito traumi prima, durante, e dopo il parto, si può
formulare una diagnosi di lesione cerebrale.
La diagnosi della p.c.i. solitamente è possibile quando il bambino, affetto da questa
sindrome, presenta particolari ed inconfondibili segni che si verificano pochi giorni
dopo la nascita e che fanno pensare ad una sofferenza cerebrale. Infatti il bambino
mostra una cute molto pallida, dovuta alle conseguenze secondarie di una anemia
grave, oppure a lesioni del tessuto cerebrale con una particolare espressione del viso,
sguardo fisso e occhi sbarrati, e il volto esprime una intensa sofferenza ed ansia.
Altro segno caratteristico è la presenza di una certa difficoltà nella respirazione
(dispnea) e una incapacità nella alimentazione, nonostante risulti presente il riflesso
della suzione.
In presenza di tali fatti è necessario attuare un controllo generale con un esame
neurologico in modo da verificare in che misura il cervello ha subito dei danni. Non è
così semplice, però, diagnosticare precocemente tale patologia, soprattutto perché le
ripercussioni del danno cerebrale sull'apparato motorio si notano col tempo.
CLASSIFICAZIONE DELLE P.C.I. IN BASE :
- disturbo motorio
- alle forme cliniche
- ai sintomi associati al disturbo motorio
Classificazione base al tipo di disturbo motorio
La classificazione proposta dalla American Academy for Cerebral Palsy, è da tenersi
la più esauriente.
Seguendo questa si possono distinguere sette gruppi fondamentali di paralisi infantile
considerando il disturbo motorio.
A - FORMA SPASTICA
E’ caratterizzata da alterazioni che colpiscono prevalentemente le vie piramidali, atte
alla coordinazione dei movimenti volontari e tale forma si manifesta con la perdita
della motricità.
Il fenomeno basilare di questa forma consiste nell'aumento patologico del tono
posturale, dovuto all'inefficienza del potere inibitorio del primo motoneurone e alla
super efficienza del secondo neurone di moto.
Questo tipo di paralisi si presenta con un'ipertonia che è evidentemente più
accentuata a carico dei muscoli flessori degli arti superiori ed estensori di quelli
inferiori, interessando in particolare le parti corporee terminali (come avambraccio,
la mano, la gamba e il piede).
Si nota, inoltre, un'accentuazione del riflesso di stiramento. La resistenza allo
stiramento è massima all'inizio e cede poi bruscamente (fenomeno del coltello a
serramanico).
B - FORMA ATETOSICA.
A causa delle lesioni localizzate a livello corticale, in questa forma si evidenziano
disturbi di tipo extrapiramidale. Questa paralisi è caratterizzata dalla presenza di
alterazioni ipercinetiche (aumento dei movimenti involontari), che si manifestano in
movimenti subcontinui, irregolari nella ampiezza e nella frequenza e piuttosto lenti
.Tali fenomeni si alternano al movimento volontario, rendendolo inadeguato ed
inefficiente dal punto di vista funzionale. L'atetosi può essere accompagnata sia da
ipotonia che da ipertonia muscolare.
Inoltre la muscolatura mimica, quella della fonazione e degli arti superiori, sono i
distretti muscolari più interessati.
C - FORMA ATASSICA. Questo tipo di p.c.i. è espressione sia di una lesione
cerebrale sia di un danno a carico dei propriocettori ( recettori che raccolgono gli
stimoli provenienti dall'interno di un organo).
Il disturbo più evidente, nei soggetti affetti da questa forma, è l'incapacità di
coordinare i movimenti, che si manifesta con un'alterazione dell'equilibrio in stazione
eretta, barcollamento nel cammino, incoordinazione e tremore della mano.
Si nota quindi un notevole ritardo nello sviluppo motorio che aumenta in particolare
modo quando questi bambini iniziano a camminare. Perciò essi si muovono in
stazione eretta a gambe larghe e rigide, in modo da acquisire maggior equilibrio nel
movimento.
Molte volte assieme a queste alterazioni, si verificano delle altre che vanno a
compromettere la vista, l'udito ed il linguaggio. Quest'ultimo spesso interessato nel
senso di un rallentamento nell'emissione della parola, che viene scandita in modo
particolare.
D - FORMA RIGIDA. E' caratterizzata da ipertonia muscolare plastica di tipo. extra
piramidale che determina una resistenza uniforme nei movimenti passivi di flesso estensione ed interessa nella stessa misura sia i segmenti prossimali che quelli distali.
E - FORMA CON TREMORE. I sintomi più caratteristici di tale forma sono i tremori
e questa manifestazione clinica è piuttosto rara. Tali fenomeni sono rappresentati da
una ipercinesia fine, rapida e ripetitiva, presente in particolare modo nei segmenti
distali (sono soprattutto interessante le mani).
F - FORMA ATONICA. E’ caratterizzata da una drastica riduzione del tono
muscolare ed è molto rara.
G - FORMA MISTA. E' costituita dalla combinazione delle precedenti forme di p.c.i.
determinando quadri clinici poliedrici che possono essere classificati tenendo in
considerazione il sintomo prevalente. Si distinguono perciò quadri con ipertonie di
tipo piramidale extrapiramidale, distonia atetoide e atassia.
Classificazione della P.C.I. in base alle forme cliniche.
In base alla distribuzione topografica del disturbo motorio si possono evidenziare le
seguenti forme cliniche di p.c.i.
1 MONOPLEGIA. Questa forma è caratterizzata dalla perdita della mobilità di un
solo arto. Tale quadro è molto raro, perché solitamente si tratta di una emiplegia o
una diplegia nella quale l'arto, che apparentemente non sembra colpito, conserva una
discreta attività funzionale.
2 PARAPLEGIA. Il deficit motorio è localizzato ai soli arti inferiori ed è sempre
bilaterale. Solitamente si osservano anche dei lievi difetti motori agli arti superiori.
La forma di paralisi, che si verifica, però può essere sia di tipo spastico che rigido.
3. EMIPLEGIA. E’ un difetto motorio che interessa una sola metà del corpo (quella
contro laterale cerebrale). Le alterazioni sono di tipo spastico prevalente dell'arto
superiore.
4. TETRAPLEGIA.Questo è il quadro più frequente e più grave. Le lesioni motorie
interessano tutti e quattro gli arti e sono inabilitati da un deficit prevalentemente di
tipo rigido e con minor frequenza può essere di tipo spastico.
5 DOPPIA EMIPLEGIA .Questo quadro consiste in una emiplegia bilaterale di tipo
spastico che interessa in particolare modo gli arti superiori.
Idroterapia
L'acqua dal punto di vista educativo può essere considerata come un qualsiasi
processo che aiuti la persona a maturare sul piano psico- fisico -sociale e a
valorizzare le specifiche potenzialità.
Inoltre l'ambiente piscina offre innumerevoli opportunità quali la sperimentazione di
nuove sensazioni di gioco e divertimento, di gratificazione, di relazione, di sicurezza
e di autonomia. Queste opportunità sono maggiormente benefiche per i soggetti con
difficoltà motoria, in fase evolutiva e con insufficienza mentale.
Il movimento in acqua e il nuoto:
- potenziano e valorizzano il complesso d'energie latenti in ogni individuo;
- facilitano l’esplorazione e la conoscenza;
- aiutano la presa di coscienza dello schema corporeo;
- richiedono il controllo, del corpo nel suo insieme, in una strutturazione spazio
temporale con il controllo del capo, del respiro, dell'equilibrio e della postura
- richiedono l'educazione al rilassamento globale e segmentario; facilitano il controllo
dell'ansia e delle proprie emozioni.
- l'ambiente "acqua" offre,migliori opportunità ,ai disabili fisici ,rispetto a qualsiasi
altro ambiente, in quanto esso:
- riduce la forza di gravità, escludendo i problemi di 'carico" esistenti in alcuni
ambienti con il galleggiamento.
- favorisce una maggior ampiezza di movimenti a livello articolare
- a determinate temperature (28°e 32°)- riduce il dolore;
- il galleggiamento è in diretta relazione con il grado di rilassamento; viene sentita e
valorizzata la parte del corpo non malata;
- l’ambiente piscina è meno stressante di una palestra.
Le finalità della terapia.
Gli interventi terapeutici si fondano in particolare modo sul recupero della motricità,
poiché l’aspetto caratteristico della p.c.i. è il deficit motorio. Tuttavia la terapia deve
ugualmente tenere in considerazione le sfera affettiva e psichica di ogni bambino.
Lo scopo dell’intervento terapeutico è quello di favorire l'inserimento di questi
soggetti in un ambiente sociale molto stimolante dai punto di vista psico affettivo.
Distrofie muscolari progressive
Si tratta di un gruppo di miopatie geneticamente determinate ed ad andamento
progressivo Le lesioni istologiche, secondarie ad un’alterazione della membrana delle
fibre muscolari sono caratteristicamente di tipo necrotico-degenerativo: si osserva in
genere una marcata differenza del diametro delle fibre per la compresenza di fibre
necrotiche rigenerative ed ipertrofiche.
La fibrosi e l’involuzione adiposa si riscontrano in gradi diversi, a seconda delle
singole entità patologiche.
Le distrofinopatie
La distrofia muscolare di Duchenne (dmd)è una comune malattia neuromuscolare
che ha un’incidenza approssimativamente di un bambino su 3.500 bambini maschi
nati vivi.Sebbene la malattia sia presente fin dalla nascita e possa causare ritardi allo
sviluppo,come un ritardo nell’inizio della deambulazione,il paziente affetto di solito
non presenta sintomi fino a 3 o 5 anni di vita. I disturbi iniziali spesso includono una
debolezza alle gambe che si manifesta nella difficoltà a correre e a salire le scale e nei
problemi ad alzarsi dal pavimento. Quando il bimbo affetto cresce, la mancanza di
forza muscolare causa un’iniziale curvatura convessa alla colonna vertebrale (lordosi)
e un’andatura dondolante durante la camminata. La graduale perdita della funzione
muscolare generalmente porta alla perdita della deambulazione entro 12anni. La
progressiva perdita della forza muscolare continua lungo il corso della vita
interessando prima i muscoli prossimali affetti più tardi i muscoli distali con
conseguente insufficienza respiratoria e morte che frequentemente avviene durante
l’adolescenza o comunque entro i primi 20 anni.
La distrofia muscolare di Becker(bmd) è un disordine allelico meno comune di
quello di Duchenne colpendo solo un bambino maschio su 30.000 nati vivi.
L’andamento della bmd è molto più variabile e meno severo di quello della dmd,
infatti, per esempio, molti pazienti con bmd riescono a camminare bene fino all’età
adulta e possono vivere senza particolari deficit funzionali. A livello cellulare
entrambe le distrofie comportano la perdita di singole fibre muscolari. La tipica
architettura delle fibre muscolari viene sconvolta e c’è una marcata degenerazione,
rigenerazione e fibrosi nei muscoli. Mentre vi sono diverse anormalità che possono
essere svelate fin dalla nascita la fibrosi e la degenerazione grassa divengono più
evidenti più tardi.
La distrofia muscolare di Duchenne è il più noto quadro
ereditario, nota anche come Distrofia Muscolare Infantile Pseudoipertrofica, termine
non specifico dato che la pseudoipertrofia è riscontrabile anche in alcune delle altre
distrofie e qualche volta anche nelle sindromi neurogene.
Manifestazioni cliniche:
L’esordio è variabile.I sintomi possono presentarsi per la prima volta quando il
bambino inizia a camminare e comunque la malattia non viene riconosciuta nel primo
bambino che viene ad essere colpito in una famiglia fino a che quasi non va a scuola.
In retrospettiva i genitori del bambino possono ricordare che il suo sviluppo motorio
era rallentato. Il decorso nei primi fratelli maschi più giovani è simile ma i genitori
hanno ormai acquisito la capacità di riconoscere le più piccole anomalie già osservate
nel figlio precedente e se ne accorgono già dopo la fase dei primi passi.
Nella maggior parte dei casi il bambino presenta andatura ondeggiante e barcollante
con tendenza a varismo podalico.
Talvolta alcuni bambini lamentano dolenza a carico dei polpacci, specialmente in
caso di esercizio fisico. In questa malattia sono state documentate alterazioni
psichiche. Il quoziente intellettivo medio dei bambini affetti da distrofia muscolare di
Duchenne è 85. anche se il 30% di tali piccoli pazienti ha un quoziente intellettivo
inferiore a 75.
Decorso clinico:
La malattia è lentamente ingravescente, con progressivo decadimento muscolare
associato a ipertonia muscolare e deformazioni dello scheletro. Superata
l’adolescenza,
la maggior parte dei pazienti è costretta alla sedia a rotelle. Per quanto un’ipostenia
degli arti superiori sia di solito subclinica nelle fasi precoci della malattia, un esame
particolarmente attento può generalmente dimostrare un certo grado di ipostenia a
carico dei muscoli deltoidi all’età di otto anni.
Man mano che la malattia prosegue, si rendono manifeste deformazioni
scheletriche. Abbastanza precocemente possono comparire contratture dei muscoli
gastrocnemi, con seguente iperetrazione dei tendini di Achille che costringe il
bambino ad una deambulazione sulle punte dei piedi. Anche i muscoli flessori
dell’anca si fanno contratti e per un’ipostenia della muscolatura paraspinale può
svilupparsi una scoliosi. Appena inizia l’atrofia i muscoli del polpaccio sembrano
riacquistare il loro normale aspetto, dando luogo alla cosiddetta pseudoipertrofia.In
realtà il tessuto muscolare è stato sostituito dal tessuto adiposo, infatti i polpacci
cosiddetti “erculei”non hanno capacità contrattile. La maggior parte di tali pazienti
non impara mai a camminare o correre adeguatamente e ciò risulta evidente quando
durante l’esame obiettivo gli viene chiesto di camminare o correre.
Esame obiettivo:
All’esame obiettivo, i segni di un’evidente ipostenia a carico della muscolatura
prossimale sono numerosi. Uno dei metodi migliori per evidenziare la presenza di
un’ipostenia muscolare consiste nell’avere il paziente che giace prono
sul pavimento che esegue la manovra di Gowers. Nelle fasi precoci della malattia,il
paziente è in grado risollevarsi aiutandosi con le mani o appoggiando una mano su
una coscia;man mano che la malattia prosegue è costretto ad usare entrambe le mani
per alzarsi e a portarle in successione dal pavimento al ginocchio e poi alla coscia a
causa dell’interessamento dei muscoli glutei e spinali. Una volta raggiunta la
posizione eretta, assume una postura lordotica che spesso compare se si mette a
sedere.
I muscoli facciali ed estrinseci dell’occhio non vengono colpiti. La gran parte di essi
muore entro la fine della seconda o l’inizio della terza decade di vita. Il decesso può
essere conseguenza di infezioni respiratorie, in quanto anche il più lieve processo
patologico può rivelarsi fatale per l’insufficienza polmonare dovuta alla grave
ipostenia della muscolatura toracica.
Considerando che al momento non esiste una terapia che permetta di guarire da
questa malattia diventa importantissima una fisioterapia il più efficace possibile per
ritardarne la fatale evoluzione. La fisioterapia andrà iniziata il più precocemente
possibile.
Per ritardare la comparsa delle retrazioni tendinee sono indicate la mobilizzazione
passiva e i raggi infrarossi., associando la somministrazione di vasodilatatori
periferici.
Per cercare di mantenere una buona funzionalità della muscolatura bisognerà eseguire
esercizi di cinesiterapia attiva.
Per mantenere un’adeguata capacità respiratoria bisognerà porre l’attenzione su tutte
quelle attività che sollecitano l’apparato respiratorio: iniziando precocemente il
programma fisioterapico si potrà ricorrere, ad esempio, all’uso di strumenti musicali a
fiato.
Non bisogna nemmeno tralasciare che la distrofina è presente anche nel tessuto
cardiaco quindi anche questo apparato risente della sua assenza, sarà quindi
opportuno cercare di sollecitarlo ma senza mai esagerare.
Per il raggiungimento degli obiettivi del trattamento delle distrofinopatie sarebbe
importante affiancare il nuoto.
In acqua il soggetto con distrofia potrà eseguire molti dei movimenti che non riesce
ad eseguire fuori dall’acqua e questo gli darà grandi benefici sia da un punto di vista
motorio sia da un punto di vista psicologico. Infatti il nuoto è efficace sia per
mantenere abbastanza forza nei gruppi muscolari, sia per stimolare l’apparato
respiratorio e l’apparato cardio-circolatorio, sia per la mobilità articolare, sia per
ritardare la comparsa della scoliosi, sia per lo sviluppo degli analizzatori percettivi,
sia per l’aumento della stima di se. Inoltre basterebbe considerare solo il fatto che
spesso chi è già costretto ad utilizzare un tutore o una sedia a rotelle riesce ancora a
camminare in acqua o a nuotare, anche solo per brevi tratti. Oltre agli esercizi di
ginnastica in acqua, a chi inizia il programma precocemente e quindi ancora in
discrete condizioni fisiche, potrà essere insegnato il dorso che è abbastanza semplice
malattia, visto che non pone problemi di respirazione subacquea. IL movimento
da imparare e permette di essere eseguito anche nelle fasi un po’ più avanzate della
tradizionale di gambe dorso potrà anche essere sostituito da un calcio a gambe flesse.
Particolare attenzione dovrà essere posta sulle capacità fisiche del soggetto che non
dovrà mai essere affaticato eccessivamente, inoltre bisognerà adottare delle
precauzioni per l’ingresso in acqua e per evitare infezioni polmonari.
SCALA DI SVILUPPO DELLE ABILITA’ MOTORIE PER DISABILI ( TEST )
Abilità senso-motorie e motorio-prassiche elementari
1
2
Ortostatismo ed equilibrio statico
1.
Sa rotolare dal decubito supino al decubito prono
2.
Sa sollevare il capo e rizzare le braccia dal decubito prono
3.
Sa traslocare in reptazione (strisciando il corpo al suolo)
4.
Sa traslocare in quadrupedia (appoggiando mani e ginocchia)
5.
Sa dal decubito supino mettersi seduto
6.
Sa stare seduto senza appoggio
7.
Sa stare in piedi senza sorreggersi
8.
Sa stare in equilibrio per 6 secondi sulla punta dei piedi
9.
Sa stare in equilibrio per 6 secondi su di un solo piede (destro e sinistro)
Deambulazione, salto, corsa ed equilibrio dinamico
1.
Sa camminare in avanti sollevando i piedi (su una linea tracciata al suolo)
2.
Sa camminare all'indietro (idem come sopra, cioè sollevando i piedi su una linea tracciata al suolo)
3.
Sa camminare lateralmente (a destra e a sinistra) a passi successivi (idem)
4.
Sa camminare lateralmente a passi incrociati avanti e dietro (idem)
5.
Sa saltellare a piedi pari sul posto
6.
Sa saltellare su un piede solo (sinistro e destro) sul posto
7.
Sa saltellare alternando i piedi sul posto
8.
Sa saltellare a piedi pari spostandosi in avanti, indietro e lateralmente (su una linea tracciata al
suolo)
9.
Sa correre in avanti (su una linea tracciata al suolo)
10. Sa correre indietro (idem)
11. Sa correre lateralmente (a destra e a sinistra) a balzi successivi (idem)
12. Sa correre lateralmente a balzi incrociati avanti e dietro (idem)
3.
Traslocazione, trasporto e altre prassie
1.
Sa salire le scale riunendo i piedi ad ogni gradino senza appoggio
2.
Sa salire le scale alternando i piedi
3.
Sa scendere le scale riunendo i piedi ad ogni gradino senza appoggio
4.
Sa scendere le scale alternando i piedi
5.
Sa salire le scale di corsa
6.
Sa scendere le scale di corsa
7.
Sa trasportare oggetti da un posto all'altro
8.
Sa spingere un ostacolo voluminoso
9.
Sa tirare un oggetto voluminoso dotato di una presa, un appiglio o il capo di una fune
4.
Prese e prima manualità
1.
Sa raccogliere e tirare a sé più oggetti con una mano disposta a cucchiaio o con le dita a rastrello
2.
Sa afferrare un oggetto con tutta una mano (grandi blocchi da costruzione)
3.
Sa accartocciare la carta con le due mani
4.
Sa prendere due piccoli oggetti (bastoncini o palline) con una sola mano
5.
Sa afferrare un oggetto voluminoso con le due mani
6.
Sa afferrare piccoli oggetti (spilli) uno alla volta con due dita (pollice e indice) a pinza di una mano
7.
Sa infilare un anello rigido in un’asta rigida con una mano
8.
Sa impugnare correttamente una matita (idem)
5.
Dominanza manuale e manualità complessa
1.
Sa usare spontaneamente sempre la medesima mano dominante per compiti difficili (come tutti quelli
2.
Sa inserire con una mano piccoli oggetti (bulloni, semi di mais) in un recipiente con un’apertura
3.
Sa infilare con una mano un tubo rigido in un’asta flessibile (filo elettrico grosso) tenuto dall’altra
4.
Sa infilare con una mano in un filo abbastanza rigido (bava da pescatore) perline tenute nell’altra
5.
Sa infilare con una mano il filo nella cruna di un ago tenuto dall’altra
6.
Sa versare sabbia da un contenitore tenuto da una mano ad un altro tenuto dall'altra
7.
Sa versare riso da un contenitore all'altro (idem)
8.
Sa versare acqua da un recipiente all'altro (idem)
9.
Sa allacciare le stringhe delle scarpe
6.
Manipolazione e prime gnosoprassie costruttive
1.
Sa manipolare plastilina a piene mani per realizzare forme sferiche o schiacciate grossolane
2.
Sa arrotolare plastilina col palmo sul tavolo per realizzare forme cilindriche grossolane
3.
Sa arrotolare plastilina coi polpastrelli sul tavolo per realizzare forme cilindriche minute
4.
Sa arrotolare plastilina tra pollice e indice per realizzare forme sferiche minute
5.
Sa eseguire facili incastri con il materiale Lego normale
6.
Sa sovrapporre fino a sei mattoni o cubi (senza incastri)
7.
Sa arrotolare su di sé un foglio di cartoncino
8.
Sa piegare in quattro (con due piegature perpendicolari) un foglio di carta
9.
Sa strappare un foglio di carta in tanti pezzi
che precedono e seguono)
stretta (bottiglia) tenuto nell’altra
10. Sa avvitare e svitare fino in fondo un piccolo coperchio
11. Sa tagliare liberamente la carta per farne pezzetti
12. Sa incollare pezzetti di carta su un foglio
Abilità percettivo e ideo-motorie
1. Organizzazione dello schema corporeo, gnosoprassie corporee semplici e conoscenza del corpo
1.
Sa localizzare dove è stato toccato (a occhi chiusi o bendati)
2.
Sa riassumere, da bendato e senza cambiare stazione, la medesima posizione del corpo (flesso,
3.
Sa riassumere da bendato la medesima posizione degli arti superiori o/e inferiori che gli è stata fatta
torto, inclinato) che gli è stata fatta assumere in precedenza
assumere in precedenza, pur mantenendo la medesima stazione
4.
Sa passare da una stazione all’altra (eretta, seduta, in ginocchio, raccolta, in decubito) a occhi chiusi
5.
Sa memorizzare fino a tre stazioni assunte in precedenza
6.
Sa imitare a specchio semplici gesti o spostamenti proposti da chi gli si trova di fronte
7.
Sa memorizzare fino a tre gesti proposti dal compagno
8.
Sa riconoscere le parti del viso su sé stesso, su altri, su figure
9.
Sa riconoscere le parti del corpo (idem)
10. Sa ricostruire il corpo umano congiungendo figure distinte delle varie parti
11. Sa individuare le più semplici funzioni delle principali parti del viso e del corpo
12. Sa riconoscere destra e sinistra su di sé
2.
Organizzazione della percezione e riconoscimento visivo
1.
Sa seguire con lo sguardo elementi che si muovono nel suo spazio visivo
2.
Sa utilizzare con assiduità il medesimo occhio preferenziale per traguardare da un foro, o guardare
nel canocchiale o prendere la mira
3.
Sa discriminare per colore (tra 6/9 elementi di tre colori diversi)
4.
Sa riconoscere i colori fondamentali
5.
Sa discriminare per forma (tra 6/9 elementi di tre forme diverse)
6.
Sa riconoscere le principali figure geometriche piane
7.
Sa riconoscere le principali figure geometriche solide
8.
Sa riconoscere le forme più semplici presenti nel suo ambiente
9.
Sa memorizzare fino a tre colori / forme / figure / solidi discriminati in precedenza
10. Sa discriminare per una dimensione (grandezza, larghezza, altezza, spessore) tra due elementi
11. Sa discriminare per una dimensione (idem) tra tre elementi
12. Sa riconoscere in un insieme di oggetti (figure) uguali l'oggetto (figura) diverso
13. Sa individuare in una serie di figure disposte tutte nello stesso modo quella che ha posizione diversa
14. Sa individuare per colore o forma o grandezza su invito verbale un oggetto da un raggruppamento di
oggetti diversi
3.
Organizzazione della percezione, riconoscimento uditivo e facili gnosoprassie uditive
1.
Sa indicare ad occhi chiusi la direzione della fonte del suono
2.
Sa utilizzare con assiduità il medesimo orecchio preferenziale per ascoltare suoni fievoli o lontani
3.
Sa discriminare per intensità tra due suoni di diversa intensità
4.
Sa discriminare per durata tra due suoni di diversa durata
5.
Sa riconoscere ad occhi chiusi singoli suoni quotidiani (voci di familiari, azioni rumorose; rumori di
6.
Sa memorizzare fino a tre suoni diversi ascoltati in precedenza
7.
Sa ripetere i principali fonemi della lingua italiana
8.
Sa ripetere brevi cadenze e semplici ritmi battendo le mani
9.
Sa sincronizzare il movimento spontaneo del corpo (tipo ballo libero) su guida musicale
strumenti di lavoro e di vita domestica, grida e comportamenti rumorosi di animali ecc.)
10. Sa ricostruire le tracce uditive dei principali percorsi quotidiani
4. Percezione tattile e semplici gnosoprassie tattili nello spazio manipolativo e gestuale
1.
Sa identificare a occhi chiusi o bendati dopo manipolazione le qualità principali degli oggetti
(grande/piccolo, freddo/caldo, liscio/ruvido, spesso/sottile, pesante/leggero, pieno/vuoto,
duro/molle, bagnato/asciutto, rigido/elastico)
2.
Sa scegliere ad occhi chiusi o bendati un oggetto precisato tra alcuni differenti
3.
Sa individuare ad occhi chiusi o bendati di quale oggetto si tratta dopo averlo manipolato
4.
Sa compiere un’azione semplice (composta di 4 movimenti) a occhi chiusi o bendati dopo averlo fatto
a occhi aperti
5.
Sa scomporre a occhi chiusi un oggetto semplice dopo averlo fatto a occhi aperti
6.
Sa individuare senza ampia ricerca manuale e ad occhi chiusi o bendati la disposizione di un oggetto
sul piano di lavoro nello spazio manipolativo (spazio delimitato dall’apertura delle braccia da seduto
al tavolo) dopo averlo ivi collocato in precedenza
7.
Sa individuare a occhi chiusi o bendati dopo ricerca manuale la forma di un raggruppamento di 4/6
8.
Sa individuare senza ampia ricerca manuale e ad occhi chiusi o bendati la disposizione di un oggetto
grandi blocchi o mattoni disposti sul piano di lavoro nello spazio manipolativo
sul piano di lavoro nello spazio gestuale (spazio delimitato dall’apertura delle braccia e dallo
spostamento di un piede da eretti) dopo averlo ivi collocato in precedenza
9.
Sa individuare a occhi chiusi o bendati dopo ricerca gestuale la forma di un raggruppamento di 4/6
banchi scolastici o scatoloni disposti nello spazio gestuale antistante
10. Sa compiere un’azione complessa (composta di 7 movimenti) a occhi chiusi o bendato dopo averlo
fatto a occhi aperti
11. Sa scomporre a occhi chiusi un oggetto complesso dopo averlo fatto a occhi aperti
Abilità percettivo e ideo-motorie
6 Integrazione visivomotoria nella deambulazione
1.
Sa camminare (avanti, dietro, lateralmente) scavalcando piccoli ostacoli o posando i piedi tra spazi
delimitati da strisce disegnate a terra in senso perpendicolare alla direzione di marcia
2.
Sa seguire un percorso tracciato al suolo (con tre cambi di direzione)
3.
Sa camminare su percorso precisato dallo spostamento degli altri, rispettando il turno, adattando il
proprio al movimento degli altri
4.
Sa camminare liberamente evitando gli ostacoli o gli spostamenti liberi degli altri
5.
Sa saltare a piedi pari staccando da un punto precisato dopo breve rincorsa camminata (3/4 passi)
6.
Sa correre scavalcando piccoli ostacoli o posando i piedi tra spazi delimitati da strisce disegnate a
terra in senso perpendicolare alla direzione di marcia
7.
Sa correre liberamente aggirando o evitando correttamente gli ostacoli o gli spostamenti degli altri in
libera direzione
8.
Sa correre su percorso e a turno precisati adattandosi allo spostamento degli altri
7 Integrazione visivomanipolativa, gnosoprassie costruttive e grafismo
1.
Sa strappare la carta seguendo i contorni di una sagoma semplice
2.
Sa colorare una semplice figura rispettando i margini
3.
Sa ritagliare correttamente con le forbici sagome semplici
4.
Sa ricomporre secondo un modello semplici costruzioni con pochi pezzi
5.
Sa unire col dito due punti tracciando una linea orizzontale immaginaria
6.
Sa seguire col dito anelli e spirali in senso antiorario disegnati sul foglio
7.
Sa seguire con una matita il contorno di una figura posata sul foglio
8.
Sa completare una figura tratteggiata
9.
Sa ricopiare con la matita, conservando i rapporti topologici principali, una successione di tre semplici
figure (anche lettere in stampato maiuscolo) di cui due tra loro tangenti
10. Sa ricopiare semplici parole in corsivo
11. Sa ricopiare semplici parole in corsivo e simboli numerici
8 Coordinazione oculomanuale e oculopodalica complesse
1.
Sa lanciare da fermo in un bersaglio dal diametro di cm 60 posto a m. 2,5 di distanza ad un’altezza di
m. 1,5 una palla grande usando entrambe le mani
2.
Sa lanciare da fermo in un bersaglio (idem) una palla piccola usando la mano dominante
3.
Sa palleggiare la palla a terra con la mano preferita sul posto
4.
Sa palleggiare la palla a terra con la mano preferita camminando per m. 6
5.
Sa afferrare da fermo con entrambe le mani una palla grande lanciatagli da m. 2,5
6.
Sa calciare una palla ferma col piede dominante in un bersaglio di m. 1 x 0,60 a terra distante m. 4
7.
Sa afferrare da fermo con la mano dominante una palla piccola lanciatagli da m. 2,5
8.
Sa palleggiare la palla a terra alternando le mani e camminando per m. 10 con 4 cambi di direzione
9.
Sa colpire da fermo e al volo con mano aperta o racchetta da mano o tamburello una pallina lanciata
da m. 2,5 per respingerla contro un bersaglio di m. 2 x 1 disposto a m. 4 all’altezza di m. 1 da terra
10. Sa lanciare in un bersaglio ed afferrare una palla grande con due mani mentre si sposta correndo
11. Sa calciare una palla rotolante col piede dominante in un bersaglio di m. 1 x 0,60 a terra a m. 4
12. Sa afferrare con la mano dominante al volo una piccola palla mentre corre
9 Integrazione sonoromotoria e gnosoprassie gestuali semplici
1.
Sa camminare avanti e dietro o lateralmente a passi successivi o incrociati a cadenza precisata
2.
Sa riprodurre semplici ritmi da seduto battendo i piedi al suolo
3.
Sa combinare in successione passi, giri e salti a cadenza precisata
4.
Sa combinare in simultaneità passi, o giri, o salti con movimenti degli arti superiori su semplici ritmi
5.
Sa memorizzare le combinazioni eseguite fino a 20 tempi
10 Gnosoprassie motorie complesse nello spazio deambulatorio
1.
Sa orientare il passo nelle direzioni ortogonali (angolo esterno) a occhi chiusi o bendato
2.
Sa dirigersi verso un punto vicino, ma non collocato davanti a sé, dopo averlo ben osservato prima di
3.
Sa descrivere o disegnare, dopo averla perlustrata al tatto standovi dentro a occhi chiusi o bendato,
chiudere gli occhi o di venir bendato
la figura disegnata dalla disposizione agli angoli di tre compagni che sostengono con la vita
internamente (angolo interno) una corda lunga m.5,50 (o un elastico di pari lunghezza)
4.
Sa memorizzare (e ripetere bendato) un percorso tracciato al suolo (con tre cambi di direzione)
Sa memorizzare (e ripetere al contrario e da bendato) un percorso tracciato al suolo
Abilità espressivo comunicative coi linguaggi non verbali
Abilità espressivo-comunicative coi linguaggi motori
1.
Abilità di comprensione
1.
Sa comprendere il significato di un gesto semplice, di un’espressione del viso, di un
atteggiamento (dalla posizione del corpo, dalla sua posizione nel contesto e dalla distanza
personale nella relazione comunicativa), di un personaggio (dalla maschera e dal costume)
2.
Sa comprendere il significato dei movimenti e delle azioni dei personaggi di burattini,
marionette, cartoni animati, ombre ecc. anche in riferimento alla storia complessiva
3.
Sa comprendere globalmente una storia semplice raccontata coi gesti, o con i burattini e gli
altri mezzi narrativi motorio-gestuali individuando i personaggi, i fatti principali e la morale
(struttura della fiaba)
4.
Come 1.3 per storie complesse e con differenziazione delle relazioni interpersonali
2. Abilità di espressione e comunicazione gestuale
1.
Sa esprimersi con gesti semplici, atteggiamenti, espressioni
2.
Sa esprimersi con brevi testi gestuali o brevi animazioni per raccontare una semplice storia
3.
Sa comunicare coi gesti un avvenimento rispettandone l’ordine logico
4.
Sa comunicare coi gesti promesse, ordini, dubbi, speranze ecc.
5.
Sa interpretare semplici ruoli in drammatizzazioni di storie, fiabe e racconti
6.
Sa interpretare con burattini, ombre ecc. animazioni di storie, fiabe e racconti
7.
Sa collaborare alla costruzione di drammatizzazioni e animazioni
8.
Sa condurre drammatizzazioni e animazioni organizzando gli altri