Prof. Monti – Filosofia III – a.s. 2016-2017 – Eraclito
ERACLITO DA EFESO
1. NOTE GENERALI SU ERACLITO
- Eraclito nacque ad Efeso (città situata in Asia Minore, a nord di Mileto), nella
Ionia, intorno alla metà del VI secolo ac. Della sua vita non si sa quasi nulla, se
non che era di stirpe regale e che, strano a dirsi, non partecipò alla vita politica
della sua città.
- Di lui si conservano numerosi frammenti, spesso di difficile interpretazione, tratti
dal testo che i dossografi indicano con il titolo tradizionale di Sulla Natura.
Già gli antichi indicavano Eraclito con l’appellativo di “oscuro”, per sottolineare
come la sua prosa fosse difficile da comprendere.
Si tratta, in effetti, di frasi brevi e altamente allusive, a volte dal significato sottilmente
e volutamente ambiguo.
Gli storici della filosofia hanno motivato questa tendenza con la sua volontà di non
dare in pasto il suo scritto alle menti volgari, rozze. Emergono di fatto dei tratti
antidemocratici nella sua personalità:
“Uno per me vale diecimila, a patto che sia il migliore.”
“È legge anche obbedire alla volontà di uno solo.”
Invece gli efesii, suoi concittadini, si comportano a suo dire come bambini, che
vogliono distribuirsi il potere invece di lasciarlo nelle mani dei migliori, cioè di chi
sarebbe effettivamente in grado di esercitarlo.
Va sottolineato come l’impostazione aristocratica di Eraclito – come, vedremo,
presente anche in Pitagora – non sia legata al possesso dei beni, quindi alla
ricchezza, oppure alla virtù della nascita, dunque alla nobiltà, ma sia
concernente il possesso della sapienza:
“Possedere saggezza è la virtù più grande, e sapienza è dire la verità e
operare secondo la natura delle cose.”
- Riguardo alla sapienza, Eraclito conduce una sferzante polemica, senza
risparmiare neppure coloro i quali erano comunemente considerati i più sapienti di
Grecia: egli colpisce Esiodo e Pitagora, Senofane e anche Omero (seppure, a sua
detta, questi fu il più sapiente fra gli elleni).
Ma, allora, chi possiede la vera sapienza?
A questo riguardo Eraclito dice una cosa che pare davvero paradossale e
contraddittoria:
“Pensare è ciò che in tutti è comune.”
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In questo “pensare” eracliteo, si badi bene, non c’è ancora la forza del nostro
concetto astratto di “mente” e la sua attività, altrettanto astratta, ma sicuramente c’è
qui un riferimento all’attività dell’intelligenza che riesce a penetrare l’esteriorità
delle cose per giungere al significato nascosto.
Tale sguardo, di per sé, non è posseduto solo da poche persone, ma, sostiene
Eraclito, è comune a tutti gli uomini. A riguardo egli dice anche che “occorre seguire ciò
che è comune” e rimprovera i suoi simili dicendo che la maggior parte di loro “vive come
se possedesse una saggezza privata.”
Persone, insomma, che accumulano conoscenze particolari, apprendono dati su dati
vagando sempre alla superficie delle cose, senza riuscire a penetrarne il senso.
Gli uomini vivono chiusi ognuno nelle proprie persuasioni e nei propri
interessi, i cosiddetti sapienti compresi. Tutti costoro vengono definiti da Eraclito i
dormienti, come se anche da svegli si comportassero come accade nel sonno. I più
non conoscono e non intendono ciò che pure si mostra loro, anche se lo credono.
Non sanno né ascoltare né parlare.
Ma perché questo accade? Eraclito lo spiega così:
“cattivi testimoni sono agli uomini gli occhi e gli orecchi, se hanno anime da
barbari.”
Eraclito propone qui una lezione che
occidentale: per scoprire la verità riposta
semplicemente sulle conoscenze che ci
opportunamente approfondite e comprese
uomini.
sarà fondamentale per l’intera civiltà
nelle cose del mondo non basta basarsi
derivano dai sensi, ma queste vanno
alla luce dell’intelletto, comune a tutti gli
“La natura ama nascondersi”, dice uno dei più noti frammenti di Eraclito. Con ciò egli
intende dire che la verità è profonda e non viene rivelata dalle sensazioni, essa è
difficile sia da capire che da insegnare.
Se i milesii e, come vedremo, anche Pitagora individuavano il loro principio, l’archè,
in base a somiglianze più o meno riconoscibili, cercando poi di generalizzarle e di
indicarle come verosimili, per Eraclito queste evidenze esteriori non sono
sufficienti a rivelare la natura del Principio. La verità si può trovare solo tramite
lo sguardo profondo del pensiero, del noos.
Già i pitagorici mostrano di cercare la verità oltre le apparenze, ma Eraclito è il primo
a sottolineare con forza l’opposizione, seppure non si tratta di un distacco, fra
realtà sensibile e pensiero. Non esistono due realtà separate (il pensiero da una
parte e il mondo fisico dall’altra), ma la conoscenza sensibile, se non
adeguatamente guidata dal pensiero, fallisce il bersaglio proprio perché “la
natura ama nascondersi”, cioè non si lascia comprendere in modo immediato.
- Ma in cosa consiste questa “riflessione a tutti comune”, cui gli uomini devono
affidarsi? Essa consiste in un pensiero, che a sua volta si esprime in un discorso.
Questo discorso è vero perché non è vuota chiacchiera, né elenco di nozioni
fini a se stesse (le conoscenze particolari e superficiali dei sapienti che egli critica,
la cosiddetta polymathìa), ma prevede un accordo perfetto tra parole e fatti. Questo
discorso non è un prodotto arbitrario della mente di Eraclito:
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“non a me dando ascolto ma al discorso, è saggio dire con esso che tutte le
cose sono uno.”
In questo frammento Eraclito dice diverse cose molto importanti. Vediamo di cosa si
tratta:
1. Ciò che egli intende insegnarci non è quella che si potrebbe chiamare
“opinione personale”. Egli, invece, vuole in un certo senso farsi “profeta” di
questo discorso, cioè della verità sul mondo, e non proporsi come “creatore” di
esso. Diciamo altrimenti: la forza di questo discorso, di questo logos, non sta nel
prestigio del personaggio che lo sostiene, ma nel suo accordarsi pienamente
con i fatti reali.
Abbiamo fino a qui tradotto il termine greco “logos” con “discorso”. Il logos è
effettivamente, in primo luogo, inteso da Eraclito come un vero e proprio discorso,
che qualcuno pronuncia e qualcuno ascolta. Ma, ricordiamolo ancora, logos significa
anche “ragione”, nel senso che ciò di cui si parla è razionale, logico. Con logos
Eraclito intende anche la “misura”, il “rapporto”, la “proporzione” esistente fra le cose.
2. Dicendo che “tutte le cose sono uno”, Eraclito sostiene che la realtà dell’universo
non è costituita da una immensa molteplicità di cose fra loro separate, ma che tutte le
cose sono unite perché tutte dipendono dal Principio, dall’archè.
2. CONFLITTO E ARMONIA
L’IMMAGINE TRADIZIONALE: PANTA REI
Per tradizione Eraclito è considerato il “filosofo del divenire”. Egli avrebbe cioè
affermato che la realtà è immersa in un costante flusso di mutamenti, per cui
ogni cosa si trasforma e diviene un’altra, senza che nulla rimanga costante.
In questo caso il principio, l’arché da cui tutto proviene e in cui tutto si risolve, unica
cosa comune a tutto ciò che esiste, sarebbe appunto il divenire, simbolo del quale
sarebbe il fuoco, per il suo carattere eternamente mobile.
I frammenti sul fiume stanno a sostegno di questa interpretazione: “Non è possibile
entrare due volte nel medesimo fiume. Nello stesso fiume entriamo e non entriamo, siamo e non
siamo.” Questa tesi sarebbe sintetizzata nel detto proverbiale, che però non troviamo
nei frammenti di Eraclito, panta rei, cioè “tutto scorre”.
Questa interpretazione non riesce a mettere in evidenza il nocciolo centrale
della filosofia eraclitea, quanto piuttosto l’opera delle successive generazioni
di eraclitei, Cratilo in particolare, che si sviluppò nei secoli V e IV in un’ampia
polemica, che coinvolse vivamente lo stesso Platone.
UN’INTERPRETAZIONE DIVERSA: I CONTRARI
- Sia Anassimandro (come abbiamo visto) che i pitagorici (come vedremo)
avevano individuato nel succedersi dei contrari e nel loro conflitto la
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composizione e il mutare dell’universo. Eraclito porta avanti questo discorso,
approfondendolo: “il conflitto è padre di tutte le cose e di tutte è re.” Il conflitto, lo scontro
(in greco polemos, che significa anche “guerra”) sarebbe dunque il principio di
tutte le cose.
I contrari si alternano a vicenda, susseguendosi l’uno dopo l’altro (per esempio
il sonno e la veglia, oppure il giorno e la notte), ma, oltre ad alternarsi, si combattono:
quante volte diciamo di essere vinti dal sonno, oppure vorremmo dormire, ma non ci
riusciamo?
Attenzione: Eraclito dice che solo apparentemente gli opposti si combattono
per annullarsi; in realtà, l’annullamento di un estremo comporterebbe anche la
morte dell’altro. Il sonno che avesse “sconfitto” la veglia, la notte che avesse
“annullato” il giorno, perderebbero il loro significato. Come potrebbe darsi il giorno,
senza poterlo contrapporre alla notte? Non esisterebbe nella realtà, nel pensiero e
nemmeno nella parola. Dice Eraclito: “La stessa cosa sono il vivo e il morto, il desto e il
dormiente, il giovane e il vecchio: questi mutando trapassano in quelli e quelli ritornano a questi.”
Questo non vuol dire che con l’essere vivo o morto ci si trovi nella medesima
situazione, ovviamente, ma solo che vita e morte non devono essere viste
come due realtà separate, ma aspetti diversi di una realtà unica.
Dunque sia la realtà nel suo complesso sia il singolo ente trovano il loro fondamento
nell’equilibrio fra le contrastanti forze che ne sono componenti. Ogni cosa, pur nella
sua apparente staticità, è il prodotto di questo equilibrio.
Se uno dei contrari perdesse forza, l’altro prevarrebbe e la consistenza dell’ente si
perderebbe (si pensi agli esempi dell’arco e della lira): “Bisogna spegnere la
prevaricazione più che un incendio.” Da qui nasce il concetto di opposizione come
armonia: “Ciò che è opposto concorda e dai discordi [nasce] l’armonia più bella. L’armonia invisibile è
migliore di quella visibile.” Questa armonia è diversa da quella pitagorica: questa
sottendeva pacificazione, ordine e accordo, mentre quella di Eraclito è
determinata proprio dal permanere del conflitto. L’ordine che vediamo
nell’universo non è per Eraclito assenza di conflitto, ma il suo equilibrio
silenzioso.
Sia chiaro che Eraclito non intendeva dire: “senza il concetto di un opposto non ho
neppure il concetto del suo contrario” ma, non avendo egli ancora chiara la
distinzione fra concreto ed astratto, “una certa realtà non si dà senza la realtà ad
essa opposta”.
Dopo aver visto il nocciolo centrale della dottrina eraclitea, l’opposizione dei
contrari come principio fondante ed unico, si può comprendere meglio anche il
divenire.
Ci sono contrari che, sussistendo insieme, mantengono l’equilibrio (si pensi
all’esempio dell’arco), ma anche contrari che si succedono in tempi differenti: giornonotte, vecchio-giovane, caldo-freddo... Non si tratta però di una successione di
cose diverse, ma il giorno diventa notte, il freddo diventa caldo, il giovane
diventa vecchio… Il divenire è diretta conseguenza della sostanziale unità del
tutto, l’armonia degli opposti, che è il principio più alto.
Insomma, per Eraclito l’andamento sereno dell’universo (pensate al tranquillo e
pacifico moto degli astri) è solo un’illusione dettata dai sensi, perché sotto di esso c’è
un muto ed eterno conflitto invisibile ai sensi, ma non alla ragione. Un’altra volta:
questo principio non va inteso come puramente astratto. Secondo alcuni
frammenti ed anche da certe testimonianze anche Eraclito aveva individuato un
arché, a cui abbiamo accennato anche sopra, e questo era proprio il fuoco.
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“In cambio del fuoco si hanno tutte le cose e di tutte le cose il fuoco: come in
cambio dell’oro le merci e delle merci l’oro.”
Eraclito dice anche che il fuoco “timoneggia” (cioè guida) l’universo e che verrà e
giudicherà (come una divinità) tutte le cose. Il fuoco eracliteo ha, dunque, tutte le
caratteristiche di un vero e proprio arché: è eterno e vivente, da lui tutto viene e a lui
tutto va, è divino. A molti studiosi pare strano che la filosofia eraclitea, così
complessa e profonda, sia approdata a un simile, ingenuo risultato. Alcuni
hanno pensato che il fuoco sia inteso solo come “simbolo”, ma pare difficile che
possa essere così, dato che per Eraclito ancora non poteva essere chiara la
distinzione fra realtà concreta e pensiero astratto. Il fuoco era sia principio fisico,
nel senso dei milesii, sia principio logico.
- Difficile indicare le opinioni di Eraclito sulla costituzione dell’universo, ovvero
la sua cosmologia. Ciò che i frammenti dicono direttamente è sconcertante, cose
come: “Il sole ha la larghezza di un piede umano.” Probabilmente Eraclito, facendo una
simile assurda affermazione, voleva solo sottolineare che non è alle apparenze
sensibili che bisogna affidarsi. Insomma è come se ci dicesse: sollevate lo sguardo al
cielo e guardate il Sole, esso appare piccolo... Ma è questa, appunto, solo
un’apparenza!
- Collegata al principio del fuoco troviamo un’elaborata teoria dell’anima. “Morte
delle anime è diventare acqua.” Ma, d’altra parte: “Piacere delle anime è diventare umide. L’anima
secca è di tutte la migliore e più saggia.” L’anima dunque giudica rettamente quando è
secca, come il fuoco, e non quando è umida, o ubriaca, cioè quando si lascia guidare
dal sensi e dai loro piaceri. Questo discorso può essere collegato ad alcune tesi di
carattere politico e civile: per Eraclito gli uomini si lasciano guidare facilmente dal
desiderio e su questa base sbagliano, invece di seguire il logos e il nomos (cioè la
legge divina). Il nomos è la traduzione, a livello sociale, del logos. Eraclito sapeva
che spesso è molto difficile combattere i desideri e le inclinazioni. Il nomos
rappresenta la giusta misura, perché “Le leggi umane traggono tutte nutrimento da un’unica
legge che è la legge divina.”
“I confini dell’anima vai e non li trovi, anche a percorrere tutte le strade: così profondo è il suo
logos.”
Eraclito dice anche di avere indagato se stesso: una via che oggi chiameremmo
“introspettiva”. Qualche frammento sembra anche alludere al destino dell’uomo dopo
la morte, forse per influenze orfiche.
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