Unione Europea Regione Siciliana Repubblica Italiana ASSESSORATO REGIONALE DELL’ISTRUZIONE E DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DISPENSA DI PSICOLOGIA Anno Formativo 2011 DISPENSA DI PSICOLOGIA “Il ruolo dell’Operatore nell’accompagnamento globale dell’utente” . “ Io Operatore MI IMPEGNO … a: STARTI VICINO quando soffri, quando hai paura, quando la medicina e la tecnica non bastano. “ [1] CAP. 1 LA FIGURA DELL’OPERATORE SOCIO-ASSISTENZIALE Par. 1.1 Caratteristiche generali L’OPERATORE SOCIO - ASSISTENZIALE è una figura professionale che lavora nell’ambito del sociale e dell’assistenza ed ha acquisito la qualifica grazie alla frequenza di un corso professionale di specializzazione riconosciuto per tale titolo. L’O.S.A è responsabile del benessere generale dell’utente assistito sul piano sociopsico-fisico e relazionale. Tale qualifica ha la seguente validità: qualifica valutabile nei concorsi pubblici e privati; qualifica riconosciuta dai centri per l’impiego; qualifica valutabile per la fuoriuscita ex art. 23- LSU; accesso graduatoria I.T.P; accesso assistente igienico sanitario; accesso docenza corsi “H sostegno”; accesso graduatoria A.T.A; titolo di preferenza ambito di lavoro; credito formativo esami di maturità; credito formativo universitario; aspiranti ad un impiego pubblico; qualifica valida per l’insegnamento nei corsi regionali. Par. 1.2 Ambiti di lavoro, utenza da assistere, ruoli e competenze Gli AMBITI DI LAVORO dell’O.S.A possono riferirsi sia all’area privata che al settore pubblico nonché alle istituzioni scolastiche; l’O.S.A infatti lavora: direttamente a casa della persona assistita, all’interno del servizio di assistenza domiciliare fornito da enti pubblici (comuni) ed organizzazioni di privato sociale (cooperative, comunità) o per richiesta di privati; in strutture tutelari che sostituiscono l’abitazione dell’utente e dove gli è fornita l’assistenza quando da solo o la sua famiglia non è in grado di farlo (casa di riposo, comunità alloggio, case famiglia, RSA ); nelle strutture scolastiche in ausilio dello svolgimento delle varie attività svolte all’interno della classe e fornendo assistenza ai bambini diversamente abili. IL CAMPO DI ATTIVITÀ DELL’OPERATORE SOCIO ASSISTENZIALE COMPRENDE L’ACCOMPAGNAMENTO E L’ASSISTENZA GLOBALE DELLA PERSONA ASSISTITA NEL SUO AMBIENTE ABITUALE (A CASA) IN CENTRI DI DEGENZA E STRUTTURE OCCUPAZIONALI. [2] Gli UTENTI che l’O.S.A può assistere sono: persone anziane persone adulte con gravi handicap fisici o psichici e con precedenti di malattia mentale minori allontanati dalla famiglia collocati in strutture residenziali (comunità-alloggio, case-famiglia, istituti) nuclei familiari con persone a rischio o portatori di handicap fisici o persone che necessitano di assistenza psichica persone che vivono in ambienti sociali disagiati tossicodipendenti o malati terminali disabili mentali. Le COMPETENZE dell’O.S.A possono essere raggruppate in 4 aree specifiche: aiuto diretto alla persona (lavarla, vestirla, imboccarla, etc…); aiuto domestico (igiene della casa, sanitizzazione dei locali) aiuto logistico complementare o del terzo settore (orario delle terapie, concordare appuntamenti, disbrigo pratiche, etc…); competenze relazionali o di socializzazione( capacità di relazionare con utenti, famiglia,equipe di lavoro). AIUTO DIRETTO ALLA PERSONA: deve favorire l’autosufficienza nella vita quotidiana, aiutare nello svolgimento delle attività personali della persona (alzarsi dal letto o coricarsi, pulizie personali, aiuto per il bagno, vestizione, nutrizione, aiuto nell’assunzione dei pasti, corretta deambulazione, aiuto per la mobilizzazione). in sostituzione e appoggio dei familiari e su indicazione sempre dei medici è in grado di aiutare per la corretta assunzione dei farmaci prescritti e per il [3] giusto utilizzo dell’apparecchio medico di semplice uso (macchina della pressione, aerosol). deve aiutare nella preparazione delle prestazioni sanitarie; deve osservare, riconoscere e riferire alcuni dei più comuni sintomi di allarme che l’utente può presentare (pallore, sudorazione, tachicardia, etc…); deve segnalare al servizio sanitario di base qualsiasi anomalia osservata nella condizione dell’utente; può effettuare piccole medicazioni o cambio garza; può controllare ed assistere alla somministrazione della dieta; l’O.S.A segue la persona da assistere a domicilio o nelle strutture, sorvegliandola nell’applicazione del trattamento terapeutico prescrittole dal medico; l’O.S.A può aiutare nelle attività che favoriscono la socializzazione, il recupero ed il mantenimento delle capacità cognitive e manuali. L’OSA DI SUA INIZIATIVA NON PUÒ SOMMINISTRARE FARMACI NE’ PER TIPOLOGIA E NÉ PER QUANTITÀ, MA PUÒ DARE AGLI UTENTI ASSISTITI LA TERAPIA PRESCRITTA DAL PERSONALE MEDICO. Può essere da ausilio al personale sanitario nell’attuazione di ALCUNE MISURE TERAPEUTICHE, tra cui: effettuare clisteri; applicare pomate e fasciature; medicazioni di ferite; preparazione e somministrazione di alcune terapie dietro l’indicazione del personale medico; rilevazione di vari parametri vitali (controllo della pressione o controllo del peso); attuazione di programmi terapeutici a livello motorio, di ergoterapia e logopedia; pedicure; ginnastica vescicale; assunzione di cibo, inclusa l’alimentazione tramite sonda; La programmazione delle misure sopra indicate e la forma di sostegno che l’operatore deve prestare nella loro adozione devono essere specificate per iscritto nella pianificazione delle cure e nella relativa documentazione. [4] AIUTO DOMESTICO: l’O.S.A collabora nello svolgimento delle attività di carattere domestico; si occupa della cura delle condizioni igieniche e del riordino del contesto abitativo, cambio e lavaggio della biancheria; è responsabile della corretta preparazione e somministrazione dei pasti; osserva le norme igienico-sanitarie; provvede alla sterilizzazione ambientale e degli strumenti di lavoro, cura pulizia e manutenzione delle attrezzature e dell’arredo, riordino del materiale dopo l’assunzione dei pasti, sterilizzazione del materiale sanitario, secondo le disposizioni avute dall’infermiere o dal medico. AIUTO LOGISTICO, COMPLEMENTARE O DEL TERZO SETTORE: l’O.S.A si occupa dello svolgimento delle attività amministrative e pratiche burocratiche; si occupa anche di effettuare acquisti per gli utenti e di svolgere piccole commissioni; prepara la documentazione necessaria ai fini dell’assicurazione della qualità della vita e si assume la gestione della casa; in collaborazione con il personale dei servizi socio-sanitari, elabora la rilevazione dei bisogni specifici delle persone e dei gruppi da assistere collaborando con l’équipe alla stesura dei piani di intervento e dei progetti da realizzare sul territorio e nei servizi; collabora all’elaborazione del programma individuale o di gruppo volto a sviluppare le facoltà intellettive e le capacità fisiche delle persone assistite. COMPETENZE DI TIPO RELAZIONALE: L’O.S.A deve saper relazionarsi con utenti, famiglie degli utenti ed équipe di lavoro. Il primo strumento di socializzazione è la comunicazione, veicolo che permette di creare delle relazioni o interazioni tra individui. Vi sono altri strumenti di socializzazione, ovvero varie attività artistiche che permettono l’espressione della capacità creativa, come laboratori di dècoupage, bricolage, pittura, disegno, teatro, giochi di gruppo, attività culinarie, escursioni turistiche. [5] Par. 1.3 Competenze tecniche e relazionali. Punti fondamentali e di sintesi LE COMPETENZE RICHIESTE ALLA FIGURA DELL’OPERATORE SONO QUINDI DI 2 TIPI: COMPETENZE RELATIVE ALLA CONOSCENZA TECNICA COMPETENZE DI TIPO RELAZIONALE COMPETENZE RELATIVE ALLA CONOSCENZA TECNICA: l’O.S.A deve conoscere le principali tipologie di utenti e le problematiche connesse ; deve conoscere le diverse fasi di elaborazione dei progetti di intervento personalizzati; conoscere i fondamenti della legislazione socio-sanitaria e dei servizi presenti nel contesto operativo; conoscere le condizioni dell’utente e la situazione familiare ; conoscere le modalità di segnalazione e comunicazione dei problemi generali e specifici relativi all’utente ; conoscere le condizioni di rischio e i vari disturbi mentali ; conoscere i principali interventi di educazione alla salute rivolti agli utenti e ai loro familiari; conoscere l’organizzazione dei servizi sociali e sanitari presenti nel territorio; conoscere le nozioni fondamentali di pronto soccorso, psicologia e sociologia. COMPETENZE DI TIPO RELAZIONALE: l’O.S.A deve saper lavorare in équipe ; deve sapersi relazionare con altri operatori ed altre figure professionali; deve saper rapportarsi con utente e famiglie comunicando le attività di assistenza coinvolgendo alla comunicazione e al dialogo; deve saper agire in condizioni di emergenza ; deve saper interagire con l’utente e il personale sanitario ; si deve saper rapportare con le strutture sociali, ricreative e culturali del territorio; [6] deve saper collaborare alla stesura dei piani di intervento sia individuali che di gruppo; deve essere in grado di partecipare all’accoglimento dell’utente per assicurare una puntuale informazione sul servizio e sulle risorse; deve essere in grado di gestire la sua attività con la dovuta riservatezza e rispettare l’etica e il segreto professionale. “ La visibilità di ciò che vediamo Sta nelle realtà in cui crediamo. Ci sono occhi che non vedono e orecchie che non sentono Ma il cuore ascolta sempre.” [7] L’O.S.A NON PUÒ SOMMINISTRARE FARMACI DI SUA INIZIATIVA. È IMPORTANTE CHE L’O.S.A PRESTI LA SUA OPERA RISPETTANDO IL SEGRETO PROFESSIONALE E SENZA DIVULGARE NOTIZIE E FATTI CHE ACCADONO NEL LUOGO DI LAVORO. L’O.S.A PUÒ SVOLGERE IL SUO LAVORO SIA NEL PUBBLICO CHE NEL PRIVATO ED È TENUTO AD ACCETTARE INCONDIZIONATAMENTE LA TIPOLOGIA DI UTENZA ALLA QUALE DEVE PRESTARE LA SUA ASSISTENZA. È IMPORTANTE CHE ABBIA ACQUISITO DELLE NOZIONI BASILARI DI PSICOLOGIA PER GESTIRE E ORGANIZZARE I RAPPORTI INTERPERSONALI RELATIVI ALL’AMBITO LAORATIVO, PER ANALIZZARE E VALUTARE LO STATO DI SALUTE, LE CONDIZIONI FAMILIARI E SOCIO-RELAZIONALI DELL’UTENTE, PER CONOSCERE LE CARATTERISTICHE GENERALI DEI VARI DISTURBI MENTALI E SAPER RICONOSCERE I SINTOMI E GESTIRNE LE CONSEGUENZE (ES: GESTIONE DELLE CRISI NEI PAZIENTI SCHIZOFRENICI, COMPARSA DI DELIRI E ALLUCINAZIONI O GESTIONE DI CRISI DEPRESSIVE), SAPER MIGLIORARE LA COMUNICAZIONE E UTILIZZARE UN LINGUAGGIO ASSERTIVO CON COLLEGHI, UTENTI E I LORO FAMILIARI AL FINE DI CREARE UN CLIMA ACCOGLIENTE E COLLABORATIVO. LE NOZIONI DI PRONTO SOCCORSO SONO UTILI ALL’O.S.A. PER RICONOSCERE I PRIMI SINTOMI DI UN MALESSERE E FORNIRE I PRIMI AIUTI DANDO COMUNICAZIONE AL PERSONALE MEDICO COMPETENTE. LE NOZIONI DI SOCIOLOGIA SONO UTILI INVECE AL FINE DI FAR CONOSCERE ALL’O.S.A. LE CARATTERISTICHE DEL GRUPPO E LE SUE DINAMICHE LA FUNZIONE DELLA COMUNICAZIONE NEL GRUPPO E I GIOCHI DI ANIMAZIONE ALLO SCOPO DI CREARE UN CLIMA DI ACCETTAZIONE PER L’UTENTE. [8] CAP. 2 LA PSICOLOGIA E LA SUA IMPORTANZA NEL LAVORO DELL’OPERATORE SOCIO-ASSISTENZIALE Par. 2.1 La scienza psicologica: caratteristiche generali, cenni storici, orientamenti teorici La Psicologia è una scienza che studia la mente umana, il comportamento, le relazioni tra gli individui e i vari disturbi mentali. È importante che l’Operatore Socio Assistenziale abbia acquisito nel corso della sua preparazione delle nozioni di psicologia per diversi motivi: - per conoscere le varie tipologie di disturbi e assumere atteggiamenti adeguati dinanzi a determinate situazioni (per es. se si lavora con utenti schizofrenici è importante che conosca le caratteristiche della patologia e come interagire con essi in particolari situazioni); - per sviluppare la comunicazione e modificare lo stile comunicativo, - per contribuire a creare un clima collaborativo con gli utenti, le rispettive famiglie e l’équipe di lavoro; - per capire le dinamiche di gruppo e svolgere un lavoro sinergico e di rete con le altre figure professionali nell’ambito dell’assistenza; - per conoscere i limiti, le potenzialità e il vissuto di una determinata persona e iniziare, grazie alla raccolta delle informazioni anamnestiche, ad analizzare e a valutare la situazione familiare, personale, sociale, affettiva e relazionale dell’utente. La psicologia è una scienza che ha diverse ramificazioni ed ogni branca approfondisce lo specifico aspetto oggetto di studio a cui si riferisce. Si parla pertanto di psicologia della personalità, di comunità, del colloquio psicologico, dei test di personalità, della tossicodipendenza, sociale, delle dinamiche familiari, giuridica, clinica, psicopatologia, etc…Ognuna di esse dedica l’attenzione verso tematiche specifiche pertinenti alla materia da studiare. All’interno della scienza psicologica si possono distinguere diversi orientamenti di studio, ognuno dei quali privilegia un particolare ambito di ricerca, tra questi è importante annoverare: l’orientamento psicoanalitico: che enfatizza lo studio dei processi psichici attuando una sorta di scavo archeologico, come sosteneva Freud (padre della psicoanalisi), nell’inconscio e nel vissuto del soggetto e portare alla coscienza contenuti interni rimossi; l’orientamento cognitivo- comportamentale: che punta l’attenzione invece sul comportamento visibile e mira a modificare variabili [9] disfunzionali; l’orientamento sistemico- relazionale: valuta invece il problema come il prodotto di un contesto familiare che funziona male ed è compito dello psicologo sostituire le regole disfunzionali con delle regole funzionali che controllano l’intero sistema familiare. L’O.S.A lavora nell’ambito del sociale, un contesto complesso e piuttosto delicato in quanto si ha a che fare con la sofferenza umana e con tipologie di utenza che possono manifestare sintomi e patologie di una certa gravità con le quali bisogna adottare delle misure preventive e comportamentali adeguate. Lavorare nel sociale significa farsi carico dei disagi e della sofferenza altrui, cercando di attuare anche un certo distacco emotivo e nel contempo cercare di empatizzare con l’utente (creando una certa sintonia con il suo vissuto). CAP. 3 FREUD E LA PSICOANALISI Par. 3.1 Freud e la psicoanalisi: caratteristiche generali Freud, medico e psichiatra, nel corso dei suoi studi si interessò di approfondire diverse tematiche come: l’interpretazione dei sogni; il lavoro con delle pazienti isteriche che presentavano seri disturbi mentali; l’elaborazione di una sua teoria chiamata “Teoria dei Luoghi” per descrivere la dinamica dell’apparato psichico; elaborò un modello di terapia dei disturbi psichici e propose un modello descrittivo degli stadi dello sviluppo psicosessuale del bambino L’interpretazione dei sogni Il SOGNO così come viene ricordato e verbalizzato (contenuto manifesto) è l’espressione di un contenuto latente, nascosto, inconscio. Il contenuto latente si trasforma in contenuto manifesto attraverso il LAVORO ONIRICO, dando luogo ad un contenuto apparentemente privo di significato ma che dovrà invece essere interpretato. Il SOGNO pertanto può essere definito come l’appagamento di un desiderio, perché consente al desiderio stesso di manifestarsi seppure in forma mascherata. L’ANALISI permette di individuare il senso del sogno attraverso le associazioni che il paziente fa in relazione agli elementi del contenuto manifesto. [10] La psicoanalisi La PSICOANALISI è per Freud: una teoria e un metodo di ricerca in Psicologia un metodo terapeutico un procedimento per l’indagine psichica, la terapia psicoanalitica è fondata sullo svelamento delle rappresentazioni respinte o conservate nell’inconscio La teoria dei luoghi: ES, IO, SUPERIO. CONSCIO, PRECONSCIO, INCONSCIO Freud, tra la fine del 1890 e gli inizi del 1920, elaborò una teoria generale della psiche “LA TEORIA DEI LUOGHI” e si interessò dello studio di particolari fenomeni osservati nella vita psichica normale e patologica e di descrivere e interpretare interessanti casi clinici (il caso di Anna O, il caso del piccolo Hans, ecc…). Freud nella “Teoria dei Luoghi” collocava la dinamica degli affetti all’interno di un APPARATO PSICHICO suddiviso in SISTEMI aventi diverse funzioni. La PRIMA TOPICA dove veniva suddiviso l’apparato psichico in: INCONSCIO PRECONSCIO CONSCIO e la SECONDA TOPICA basata sulla differenziazione tra le tre istanze: ES IO SUPERIO Per Freud la METAPSICOLOGIA è costituita dall’insieme del punto di vista: TOPICO (struttura dell’apparato psichico); DINAMICO (studio dei fenomeni psichici in relazione alle forze che agiscono nella psiche stessa); ECONOMICO (energia che circola e si distribuisce nella psiche). Par. 3.2 Struttura dell’apparato psichico secondo la teoria di Freud Freud suddivide nella sua teoria l’apparato psichico in: ES, IO e SUPERIO. L’ES rappresenta per la psiche il PATRIMONIO EREDITARIO, è la sede di origine delle pulsioni e la fonte principale dell’energia psichica. Rappresenta la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità. L’IO è mediatore del rapporto tra l’ES di un individuo e il mondo esterno che, ai fini dell’autoconservazione dell’individuo stesso, svolge la funzione di CONOSCERE e [11] VALUTARE gli stimoli esterni ed interni. Le minacce provenienti dall’ES e dall’ambiente provocano ANGOSCIA; quando è possibile, l’IO affronta il problema in modo realistico utilizzando le abilità di problem-solving; quando l’angoscia è così forte tanto da minacciare di soffocare l’IO, entrano in gioco meccanismi di difesa che controllano e alleviano l’angoscia stessa apportando distorsioni alla realtà e permettendo, tuttavia, solo un soddisfacimento parziale delle pulsioni. Dall’IO si sviluppa durante l’infanzia il SUPER-IO nel quale si collocano le influenze dei genitori e delle altre persone significative del proprio ambiente sociale. Esso si sviluppa quando il bambino risolve il suo complesso edipico e sviluppa l’identificazione con i genitori. Il SUPER-IO è composto da due parti: la COSCIENZA e l’IO IDEALE. La coscienza è fatta dalle proibizioni dei genitori, dalle loro punizioni, regole morali tanto che punisce la persona con i sensi di colpa o con un comportamento autodistruttivo. L’IO ideale si riferisce ad un insieme di condotte verso cui la persona tende i propri sforzi. Per Freud l’ES e il SUPER-IO, pur differendo in molte cose fondamentali, concordano nel fatto di rappresentare entrambi gli influssi del passato: l’ES rappresenta l’influsso di ciò che l’individuo ha ereditato il SUPER-IO rappresenta l’influsso di ciò che egli ha recepito da altre persone l’IO invece è determinato principalmente da ciò che l’individuo ha sperimentato personalmente, dunque da eventi accidentali e attuali. I processi psichici si qualificano in base al grado di coscienza che possiedono per l’individuo. Alcuni processi psichici sono INCONSCI che possono restare tali o divenire CONSCI, anche se incontrano certe resistenze che possono emergere nel processo terapeutico. L’INCONSCIO si riferisce a pensieri e sentimenti repressi e quindi sconosciuti. Questo materiale non è in grado di aprirsi alla coscienza e qualora accadesse si assisterebbe ad un aumento delle pulsioni o ad un indebolimento delle difese dell’Io. Il PRECONSCIO è capace di diventare conscio attraverso la formazione di immagini mentali o attraverso il linguaggio. Il CONSCIO rappresenta il contenuto di cui la persona è consapevole in quel momento. I pensieri possono passare dal preconscio al conscio rapidamente. Le leggi che regolano i processi dell’INCONSCIO e nell’ES rientrano nel processo primario regolato dal PRINCIPIO DI PIACERE, ovvero i processi psichici mirano ad ottenere piacere, l’attività psichica si ritrae dagli eventi che possono provocare dispiacere attraverso i meccanismi difensivi. [12] Le leggi che regolano i processi nel PRECONSCIO e nella parte COSCIENTE o nell’IO, appartengono al PROCESSO SECONDARIO e sono regolati dal PRINCIPIO DI REALTÀ ovvero si impone un esame di realtà ai fini del conseguimento del piacere, non vi è una rappresentazione allucinatoria dell’oggetto desiderato ma si produce una rappresentazione mentale adeguata ad esplorare la realtà per ottenere una reale soddisfazione del bisogno. I bisogni dell’organismo si esprimono e sono soddisfatti nella vita psichica come PULSIONI ovvero RAPPRESENTAZIONE PSICHICA DEL BISOGNO. La PULSIONE arriva alla META in virtù della sua forza o SPINTA e si dirige su oggetti che possono variare nel tempo. Par. 3.3 Gli stadi, le fasi o i periodi dello sviluppo psicosessuale del bambino FREUD, studiando il bambino nelle esperienze di sofferenza da lui verbalizzate o da lui affrontate, cercò di RINTRACCIARE la rilevanza delle ESPERIENZE PRECOCI legate al rapporto coi genitori (soprattutto al rapporto con la madre). “Attribuisce al legame madre-bambino l’importanza delle successive relazioni del soggetto da adulto col mondo e le modalità attraverso cui il bambino risolve e appaga i suoi bisogni nel corso dello sviluppo, sottolineando l’esistenza o meno di problemi che hanno una certa analogia con caratteristiche della vita adulta”. LO SVILUPPO DELLA SESSUALITÀ INFANTILE è stato cadenzato da FREUD in varie fasi, stadi o periodi denominate: ORALE, ANALE, FALLICA e GENITALE e da un PERIODO DI LATENZA. La successione degli stadi prosegue e l’energia nasce da un investimento verso un oggetto. Secondo Freud i primissimi anni di vita sono i più importanti per la formazione della personalità, si può capire un comportamento solo se si conosce come si è sviluppato durante la storia precedente della persona. Sia il comportamento normale che anormale hanno le loro radici nei primi anni, quando viene costruita la struttura di base della personalità. Ogni stadio presenta dei nuovi bisogni che devono essere manovrati dalle strutture mentali. Tali bisogni se non vengono soddisfatti possono portare allo sviluppo di atteggiamenti caratteristici, difese, fantasie. Conflitti non risolti in ogni stadio possono essere presenti lungo tutto il corso della vita dell’individuo. Il passaggio da uno stadio all’altro è biologicamente determinato, il passaggio allo stadio successivo è indipendente dal completamento dello stadio precedente; ogni [13] stadio è centrato su una particolare zona erogena (una zona del corpo che, una volta stimolata, produce tensioni sessuali che hanno bisogno di essere alleviate). FASE ORALE (dalla nascita a 1 anno circa) Le esperienze ORALI presentano al bambino il piacere e il dolore del mondo. Il PIACERE proviene dalla soddisfazioni delle PULSIONI ORALI. Succhiare, mangiare, masticare e morsicare danno GRATIFICAZIONE, ad es. l’attività di suzione è finalizzata ad ottenere un PIACERE, nell’esercitare tale attività (attaccarsi al seno o al biberon) il bambino va alla ricerca della soddisfazione di un piacere. Durante lo svezzamento può insorgere un problema, il bambino abbandona il SENO MATERNO e per gratificarsi utilizza un altro oggetto. Oltre ad esperire piacere orale, il bambino piccolo si confronta con l’esperienza del dolore derivante dalla FRUSTRAZIONE e dall’ANGOSCIA. Le tensioni sessuali sono piacevoli se vengono soddisfatte, ma diventano dolorose se non sono appagate e continuano ad aumentare di intensità. Potrebbe capitare che un oggetto preferito, il capezzolo o il biberon, non sia presente nel momento in cui il bambino lo desidera per cui deve aspettare e ciò risulta frustrante. Potrebbe abbandonarsi al soddisfacimento allucinatorio del desiderio, immaginando il biberon desiderato; oppure potrebbe succhiarsi il dito, una coperta o un giocattolo morbido ma il soddisfacimento non è completo. Sono i genitori che insegnano ai bambini come soddisfare le proprie pulsioni; il bambino scopre che la vita comporta delle frustrazioni oltre che piaceri e così sviluppa, per fronteggiare le frustrazioni, modalità che saranno la base della sua personalità futura. Un’altra spiacevole sensazione, strettamente collegata alla frustrazione, è l’ANGOSCIA. L’angoscia ha origine dalla nascita, nel momento in cui il bambino, nel passaggio dalla vita intrauterina a quella extrauterina, viene sopraffatto dalle stimolazioni. La sua reazione a questa esperienza traumatica è la PAURA. Da quel momento il bambino sperimenta angoscia in qualsiasi momento sopraggiunga una stimolazione, soprattutto se è di tipo sessuale. Il bambino prova angoscia non solo quando la spinta sessuale diventa troppo intensa, ma anche quando non è presente l’oggetto gratificante o teme che l’oggetto possa abbandonarlo. L’angoscia durante la nascita può essere alla base di manifestazioni di tipo ansioso future. Un’eccessiva o una mancata gratificazione può portare all’insorgenza di problemi negli anni successivi. [14] Gli effetti di una SCARSA GRATIFICAZIONE sono: angoscia frequente ricerca continua di gratificazione orale nella vita adulta (fumo eccessivo, eccesso di cibo, mangiarsi le unghie, ecc…) pessimismo Se la soddisfazione orale è ESTREMAMENTE GRATIFICANTE, il bambino può incontrare difficoltà a caricare psichicamente nuovi oggetti e si può verificare una fissazione ad uno stadio dello sviluppo psico-sessuale. Per evitare che il bambino negli stadi successivi abbia dei bisogni insoddisfatti, è necessario raggiungere un livello ottimale della gratificazione orale. Per FREUD il modo in cui il bambino si sviluppa durante lo stadio orale crea le basi per la sua personalità di adulto. FASE ANALE (da 1 a 3 anni) Verso la fine dello stadio orale, la personalità del bambino inizia a delinearsi. Crescendo e maturando, il bambino progredisce verso lo stadio anale, i suoi interessi si spostano dalla zona orale a quella anale, quindi il piacere è incentrato nella soddisfazione del bisogno che nasce nella zona anale. Il bambino comincia a farsi influenzare dall’ambiente esterno, un eccessivo atteggiamento punitivo in tale periodo comincia ad influenzare il bambino che può provare un SENSO DI VERGOGNA o si crea una situazione di ANGOSCIA e di CONFLITTO. Il bambino deve risolvere il conflitto (un conflitto che può nascere dal controllo degli sfinteri). Il bisogno fisiologico di defecare crea una tensione che viene alleviata dalla defecazione stessa. Tale stimolazione anale e la conseguente riduzione della tensione produce piacere, ma la zona erogena, oltre a produrre piacere, porta a frustrazione e ansietà. Il bambino deve fronteggiare il training a tenersi pulito, se i genitori esigono il controllo degli sfinteri da parte del bambino, il suo desiderio di gratificazione immediata viene frustrato. Se il training a tenersi pulito è troppo rigido, allora la defecazione può diventare per il bambino fonte di angoscia. Alcuni bambini reagiscono a un training severo trattenendo le feci, oppure defecando in tempi e luoghi inadatti. [15] QUALI SONO LE CARATTERISTICHE PATOLOGICHE PRESENTI NELL’ETÀ ADULTA LEGATE A QUESTO STADIO? SENSO DI ORDINE AVARIZIA CONTROLLO (persona con carattere anale, per descrive un soggetto metodico, pedante e ostinato) DISORDINE (eccessiva personalità anale) Se in questo stadio si trova un certo equilibrio tra la gratificazione e l’auto-controllo, si permette al bambino lo sviluppo di un Io più maturo, in quanto è stato plasmato dal confronto con la realtà. FASE FALLICA (dai 3 ai 5 anni circa) In questo stadio, piaceri e preoccupazioni sono incentrati sull’area genitale. Il compito evolutivo che il bambino deve affrontare in questa fase è la SOLUZIONE DI UN CONFLITTO. Si ha, pertanto, la nascita del COMPLESSO DI EDIPO (nascita di sentimenti di amore verso la figura genitoriale di sesso opposto, la madre, e sentimenti di odio verso la figura genitoriale dello stesso sesso, il padre); il bambino si trova quindi in una situazione triangolare che vive con forte senso di ANGOSCIA. Il bambino prova desiderio sessuale per la propria madre e ha paura che il padre possa castrarlo. Per uscire da questa situazione angosciosa, il bambino rimuove sia il suo desiderio per la madre che l’ostilità per il padre. Il bambino risolve il CONFLITTO attraverso il PROCESSO DI IDENTIFICAZIONE (identificazione col padre). L’identificazione non è imitazione, ma lo sviluppare un forte legame emotivo nei suoi confronti , si IDENTIFICA con le parti non esterne del padre, INTERIORIZZANDO valori, stili di vita credenze, interessi e atteggiamenti caratteristici del padre. Il bambino apprende un ruolo, un’IDENTITÀ DI GENERE, identificandosi nell’essere maschio. Il periodo dai 4 ai 5 anni corrisponde ad un periodo temporale, il bambino comincia ad intrattenere rapporti coi propri pari e il gruppo. PERIODO DI LATENZA (dai 5 anni all’inizio della pubertà) Tale fase coincide col periodo in cui le pulsioni sessuali sono represse e non emerge alcuna area del corpo che sia fonte di eccitamento. Il bambino investe su altri oggetti e vi è uno spostamento dell’energia su altre attività (attività cognitive, intellettuali, scolastiche e giochi con bambini). L’energia sessuale, rivolta verso interessi sociali, è intenta alla costruzione di meccanismi di difesa per l’IO (spostamento, rimozione). [16] FASE GENITALE (adolescenza, dai 13 ai 18 anni) Gli impulsi sessuali, che erano stati repressi durante il periodo di latenza, ricompaiono a causa dei cambiamenti fisiologici che avvengono durante la pubertà e sono diretti verso un coetaneo di sesso opposto. L’obiettivo è il raggiungimento di una intimità sessuale adulta e matura, avente come fine biologico la riproduzione. Alla fine dello stadio genitale viene raggiunta la maturità e l’individuo ha una struttura dell’IO forte che gli permette di fronteggiare la realtà del mondo adulto. Uno dei conseguimenti più importanti è rappresentato dall’equilibrio fra amore e lavoro. Quali sono le caratteristiche presenti nell’età adulta per quei soggetti che hanno raggiunto un livello di gratificazione in modo equilibrato? si è avuto il raggiungimento delle varie fasi dello sviluppo; chi supera con successo le fasi dello sviluppo psicosessuale, raggiunge alla fase genitale un legame sessuale equilibrato; la soluzione dei bisogni dello stadio genitale segna la qualità delle relazioni che il soggetto ha con gli altri individui e la capacità di orientarsi verso il mondo delle emozioni, degli affetti e dell’amore e verso una attività lavorativa concreta. CAP. 4 LA COMUNICAZIONE Par.4.1 Il concetto di comunicazione La comunicazione è il primo strumento e veicolo di socializzazione. Attraverso il canale della comunicazione si stabiliscono le relazioni, ovvero le interazioni tra gli individui e si creano i rapporti. L’essere umano non può non comunicare, infatti la comunicazione non ha un suo opposto anche il silenzio è pertanto una forma di comunicazione. Esistono diversi tipi di comunicazione: COMUNICAZIONE VERBALE o modulo numerico, caratterizzata dallo scambio di informazioni contenuti interni e pensieri tramite il linguaggio; COMUNICAZIONE NON VERBALE o modulo analogico, caratterizzata invece dalla gestualità, mimica, espressione facciale, postura, timbro e tono della voce ovvero il cosiddetto linguaggio del corpo. La comunicazione non verbale, però, non viene sempre interpretata allo stesso modo; ciò dipende dalla soggettiva e personale interpretazione delle emozioni e da ciò che il trasmettitore riesce a trasferire al ricevitore del messaggio. Possono entrare in gioco vissuti personali e modalità soggettive di vivere e interpretare uno stato d’animo o un’emozione. [17] I 5 Assiomi della comunicazione Alla comunicazione vengono riconosciuti 5 assiomi (o leggi fondamentali): 1. Non si può non comunicare: qualsiasi comportamento, le parole, ma anche i silenzi, l’attività o l’inattività hanno tutti valori comunicativo e influenzano gli altri interlocutori. In sostanza, non si può evitare di comunicare: il nostro comportamento è già di per sé un messaggio. Per esempio: chi accoglie una persona in silenzio non può evitare di comunicare una sensazione di freddezza; 2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione. Non si trasmettono cioè solo messaggi, ma anche le chiavi per comprenderli. Per esempio il messaggio “fai attenzione” viene compreso, a seconda del tono e dei gesti, come minaccia, o preghiera o ordine oppure raccomandazione; 3. La natura di una relazione dipende dall’intenzione tra i comunicanti. Se lo stesso punto di vista rimbalza senza modifiche fra due persone si realizza una condizione di comunicazione problematica in cui ognuno rimane sulle sue posizioni. Per esempio: il marito si chiude in se stesso e così via; 4. Gli esseri umani comunicano sia col modulo numerico ( = le parole) sia con quello analogico ( = gesti, espressioni del viso, inflessioni della voce, sequenza, ritmo e cadenza delle parole); 5. Tutti gli aspetti di comunicazione sono simmetrici (se basati sull’eguaglianza: per esempio. Tu urli e io urlo) o complementari ( se basati sulla differenza: per esempio. Tu mi urli e io mi metto a disposizione). Alcune relazioni ( esempio. Insegnante – allievo, medico – paziente) sono complementari per natura. Importante è che le due modalità non si fossilizzano mai ( esempio. Tu sei sempre arrogante e io rispondo sempre in modo arrogante). Par. 4.2 La comunicazione nel gruppo. Il gruppo di lavoro Un gruppo di lavoro è costituito da un insieme di individui che interagiscono tra loro con una certa regolarità, nella consapevolezza di dipendere l’uno dall’altro e di condividere gli stessi obiettivi e gli stessi compiti. Ognuno svolge un ruolo specifico sotto la guida di un leader, basandosi sulla circolarità della comunicazione e provvedendo al benessere dei singoli. Perché un gruppo possa evolversi e maturare nel tempo e per permettere una maggiore collaborazione tra i suoi membri ed una loro partecipazione più attiva, è necessario che si passi dalla semplice interazione ad una vera e propria integrazione, affinché i partecipanti al gruppo possano condividere bisogni ed esigenze. La comunicazione è il processo chiave che permette il funzionamento del lavoro di gruppo poiché permette lo scambio di informazioni finalizzato al raggiungimento dei [18] risultati. Essa presuppone tre livelli: interattivo, informativo e trasformativo. La comunicazione infatti permette di creare interazioni, relazioni; facilita lo scambio di informazioni e conoscenze inerenti al lavoro; produce dei cambiamenti. Par. 4.3 L’O.S.A. nel lavoro di gruppo L’O.S.A deve saper lavorare in gruppo e condividere saperi e nozioni con l’équipe di lavoro. Se l’O.S.A è inserito all’interno di una comunità terapeutica deve saper creare una sinergia con gli altri membri del gruppo. Il coordinatore affiancato dall’assistente sociale e altre figure professionali previste, deve saper mantenere un clima collaborativo, partecipativo e di sostegno all’interno del gruppo. L’O.S.A. è tenuto a comunicare tutte le vicende che accadono all’interno del luogo di lavoro e a condividere o chiedere consigli e informazioni sulle strategie da adottare. Le sue mansioni sono specifiche e l’O.S.A è tenuto a svolgerle correttamente, inoltre non deve divulgare notizie e fatti personali degli utenti o ciò che accade all’interno del posto di lavoro; deve mantenere il segreto professionale e una certa riservatezza nello svolgimento del suo lavoro. Un ottimo metodo per avere sempre una certa circolarità e un confronto con gli altri componenti del gruppo è quello di saper comunicare e possibilmente utilizzare un tipo di comunicazione assertiva; si viene pertanto a creare un clima partecipativo e di condivisione. Tra gli aspetti negativi dello svolgimento del lavoro di gruppo, potrebbero esserci una scarsa sintonia tra i colleghi, ma utilizzando uno stile comunicativo adeguato si possono evitare incomprensioni. La responsabilità e il potere decisionale è essenzialmente a carico del coordinatore e dell’assistente sociale, è ovvio che l’O.S.A deve concordare ogni sua iniziativa con queste figure. CAP. 5 I MECCANISMI DI DIFESA Par. 5.1 I meccanismi di difesa: caratteristiche generali I meccanismi di difesa sono utilizzati inconsciamente per salvaguardare l’Io, allo scopo di ridurre il conflitto o l’angoscia ed evitare qualche sentimento minaccioso come un dolore insopportabile o un trauma. I meccanismi di difesa possono essere un normale funzionamento dell’Io, sono solitamente inconsci, sono mutevoli e sono spesso associati a stati psicologici diversi. Vengono suddivisi in: difese primarie, primitive, di ordine inferiore, arcaiche; difese secondarie, di ordine superiore, mature è più evolute. [19] Tra le difese primarie primitive vengono distinte: 1) RITIRO PRIMITIVO 2) DINIEGO 3) CONTROLLO ONNIPOTENTE 4) IDEALIZZAZIONE E SVALUTAZIONE PRIMITIVA 5) PROIEZIONE, INTROIEZIONE, IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA 6) SCISSIONE DELL’IO 7) DISSOCIAZIONE 1) Il Ritiro primitivo, consiste nell’evasione da situazioni sociali o interpersonali,sostituendo lo stimolo del proprio mondo fantastico interiore alle tensioni della relazione con gli altri ( i soggetti che utilizzano tale meccanismo difensivo evitano il contatto con gli altri). Lo svantaggio di questo tipo di difesa è che si assiste ad una fuga psicologica della realtà e le persone si chiudono nel proprio interiore, ponendo una certa resistenza a farsi coinvolgere sul piano emotivo. Il vantaggio è che richiede una scarsa distorsione della realtà, ma vi è un distacco dal mondo. 2) Il Diniego, è il rifiuto dell’accettazione che le esperienze spiacevoli possono accadere. Esso opera automaticamente in ognuno di noi ed è la prima reazione a qualunque avvenimento catastrofico. Molti di noi utilizzano il diniego per rendere la vita meno sgradevole; (ad esempio rifiutare di fare controlli medici per paura di scoprire di avere una malattia; negare la pericolosità di aver un partner violento; alcolisti che ritengono di non aver nessun problema col bere). Tra gli aspetti negativi vi è la Negazione della pericolosità di una determinata azione come se magicamente può essere evitata. 3) Il Controllo onnipotente è la sensazione di poter avere il controllo del mondo e di poterlo influenzare producendo qualche effetto. Alcune persone hanno un bisogno irresistibile di provare un senso di controllo onnipotente e di interpretare le esperienze come frutto del proprio illimitato potere. Avere potere sugli altri è un piacere centrale per gli individui con personalità dominate dal controllo onnipotente, tali persone si trovano coinvolti in ambiti dove c’è una certa quota di rischio e dove sia alta la possibilità di esercitare potere. 4) L’idealizzazione e svalutazione primitiva vengono frequentemente utilizzate dall’individuo. L’idealizzazione è il bisogno di attribuire un valore e un potere speciale alle persone da cui dipendiamo emotivamente e che possono aiutarci a battere il terrore interno che proviamo di non farcela, di sentirci imperfetti. In certe [20] persone il bisogno di idealizzare è maggiore e si ha la convinzione che qualcuno cui è possibile attaccarsi sia onnipotente e che, attraverso la fusione con l’Altro, sia possibile salvarsi. Quanto più ci si sente dipendenti, tanto maggiore è la tentazione a idealizzare. La Svalutazione primitiva è l’opposto del bisogno di idealizzazione. Quanto più un oggetto è stato idealizzato tanto più viene svalutato, le modalità arcaiche dell’idealizzazione vengono svalutate. Es.( essere considerati su un piedistallo e poi trascinati nella polvere al minimo errore). 5) La proiezione, l’introiezione e l’identificazione proiettiva sono processi difensivi più primitivi: La proiezione è il processo per cui qualcosa di interno viene considerato come proveniente dall’esterno, (per esempio non vado bene a scuola ed è colpa dei professori). L’introiezione invece quando si considera proveniente all’interno qualcosa che in realtà è esterno. L’utilizzo dell’introiezione in chiave psicopatologica si può riscontrare nella depressione legata ad un lutto. Quando amiamo o siamo legati a delle persone, le introiettiamo (incorporiamo parte di loro) e le loro rappresentazioni dentro di noi diventano parte della nostra identità. Se perdiamo realmente (una morte) o simbolicamente (un rifiuto, una separazione) una delle persone di cui ne abbiamo interiorizzato l’immagine, il nostro Sé ne risulta impoverito e avvertiamo un senso di vuoto che inizia a dominare il nostro mondo interiore. Chi ricorre frequentemente all’introiezione per ridurre l’angoscia e assicurare la continuità del Sé, verrà considerato caratteriologicamente depresso. Identificazione proiettiva il paziente proietta oggetti interni e ottiene che la persona su cui sono proiettati si comporti come quegli oggetti, e i due processi difensivi proiezione e introiezione ”lavorano insieme” 6) La scissione dell’IO può essere messa in atto dopo lo sviluppo dell’Io integrato. La scissione implica sempre distorsione, è una difesa potente e pericolosa. Da un punto di vista clinico, la scissione è evidente quando un paziente esprime un atteggiamento non ambivalente. Ad es. una donna Borderline percepisce il terapeuta totalmente buono,e i suoi collaboratori come ostili e indifferenti. Oppure il terapeuta stesso può diventare incompetente, mentre una settimana prima lo considerava infallibile. 7) La dissociazione difesa utilizzata spesso dai psicopatici. Tale meccanismo difensivo è una reazione normale ad un trauma. È possibile dissociarsi a qualunque età, coloro che da bambini subiscono ripetutamente violenze sessuali o fisiche possono imparare a dissociarsi come reazione abituale alle tensioni. Infatti in condizioni insopportabili, il soggetto si distacca totalmente dal dolore, [21] terrore, dall’idea di una morte imminente. Lo svantaggio maggiore della difesa è la sua tendenza a operare automaticamente in condizioni nelle quali la sopravvivenza non è realmente a rischio (le persone traumatizzate possono confondere una situazione di normale tensione con una che implica un pericolo di vita, diventando immediatamente diverse e generando confusione a sé e agli altri). Par. 5.2 I meccanismi di difesa di secondo ordine I meccanismi di difesa secondari sono: 1) RIMOZIONE 2) RAZIONALIZZAZIONE 3) SUBLIMAZIONE 4) SOMATIZZAZIONE 5) INTELLETTUALIZZAZIONE 6) FORMA REATTIVA 7) VOLGERSI VERSO IL SE 8) ANNULLAMENTO 9) COMPARTIMENTALIZZAZIONE 10) ISOLAMENTO 11) SPOSTAMENTO RIMOZIONE: impulso o idea inaccettabile all’Io (alla coscienza) viene depositata nel magazzino dell’inconscio; RAZIONALIZZAZIONE: giustificare, dare spiegazioni coerenti dal punto di vista logico ad azioni, idee o sentimenti che esprimono pulsioni fonte di conflitto da un punto di vista inconscio; SUBLIMAZIONE: modificare l’istinto rendendolo accettabile, indirizzare l’energia verso nuovi oggetti (ad es. medico che sublima il suo istinto aggressivo negli interventi chirurgici); SOMATIZZAZIONE: un disagio, un’idea inaccettabile, un ricordo traumatico viene somatizzato scaricato sul corpo provocando delle alterazioni organiche, fisiologiche (tipico nei disturbi psicosomatici ad es nella gastrite); INTELLETTUALIZZAZIONE: controllo razionale delle pulsioni; parlare dei sentimenti senza sentimento e valenza affettiva; [22] FORMAZIONE REATTIVA: trasformazione di un affetto negativo in positivo (ad es. odio in amore); VOLGERSI CONTRO IL SE’: spostare da un oggetto esterno verso il Sé, un affetto o un atteggiamento negativo; ANNULLAMENTO: sforzo inconscio di controbilanciare un affetto, senso di colpa o di vergogna con un comportamento che magicamente lo cancelli COMPARTIMENTALIZZAZIONE: permettere a due condizioni in conflitto di esistere senza creare sensi di colpa, vergogna o angoscia sul piano cosciente; ISOLAMENTO: separazione dell’aspetto affettivo di un’esperienza dalla sua dimensione cognitiva; SPOSTAMENTO: pulsione, emozione, preoccupazione o comportamento viene diretto da un oggetto iniziale verso un altro in quanto provoca ansia. CAP 6 I DISTURBI MENTALI Par. 6.1 I disturbi mentali: caratteristiche e classificazione I disturbi mentali sono una sindrome, una situazione di disagio, di malessere che riflette uno stato di disabilità psichica del soggetto e ne limita la sua libertà individuale, aumentandone il rischio di morte e creando delle alterazioni relative al funzionamento globale dell’individuo pertinente all’area sociale, lavorativa, affettiva, relazionale, cura di sè e cognitiva. Un disturbo per essere considerato tale deve: presentare un quadro sintomatologico per un certo periodo di tempo e deve costituire disagio significativo o sofferenza nella vita del soggetto. Non sono considerati disturbi mentali: deviazioni sessuali, ideologie politiche, alterazioni psicologiche temporanee associate ad eventi stressanti (ad es. morte di una persona cara). Per studiare i vari disturbi mentali: si utilizzano diversi strumenti, tra questi il DSM IV (manuale diagnostico e statistico per classificare i disturbi mentali) e la psicopatologia (branca della psicologia che studia i disturbi mentali). [23] Le 3 aree di interesse clinico sono: AREA NEVROTICA, AREA DI CONFINE, STATI LIMITE O BORDERLINE, AREA PSICOTICA Area nevrotica A. Di Confine Area Psicotica Stati limite o Borderline D. di Ansia Schizofrenia D. di Attacchi di panico D. Borderline di Pers. Disturbo delirante (agorafobia,fobia specifica, D. Depressivo maggiore Disturbo Psicotico Breve fobia sociale, d. da stress acuto, Tossicodipendenza o D. da D. Schizoaffettivo d. ossess. Compuls., d. ansia Uso di sostanze psicoattive D. Schizofreniforme general., d. post- traum. da stress) D. dell’alimentazione D. Oss. Compuls. di Pers. (anoressia, bulimia) D. Istrionico di Pers. D. Antisociale di Personalità D. Narcisistico di Personalità D. Somatoformi (somatizzazione, ipocondria) Vi sono anche: D. affettivi O D. dell’umore (depressione e mania); D. dissociativi (d. dissociativi dell’identità o d. di personalità multipla e depersonalizzazione); D. della sfera sessuale o parafilie (zoofilia, feticismo, voyeurismo, masturbazione, pedofilia, necrofilia, etc…); D. pertinenti della SFERA SENILE (demenza senile, morbo di Alzheimer, etc…); D. che riguardano la SFERA INFANTILE (autismo, depressione infantile, d. dell’apprendimento); D. cognitivi (D. della coscienza, dell’attenzione, della memoria, della percezione, del pensiero, dell’affettività). [24] Par. 6.2 Elementi importanti da valutare per poter fare diagnosi Nella valutazione della personalità di un individuo è importante distinguere: il TRATTO, la STRUTTURA e l’ORGANIZZAZIONE IL TRATTO: è un modo di percepirsi, pensarsi, sentirsi, rapportarsi rispetto agli altri e a se stessi, al mondo e alla realtà. Esso può rimanere tale o evolvere in un disturbo clinico ovvero in un disturbo di personalità,pertanto si distingue il tratto ego sintonico dal tratto egodistonico . IL TRATTO EGOSINTONICO evolve in un disturbo clinico, è in sintonia con l’Io e si integra col funzionamento generale della personalità, diventa inflessibile,rigido e dando origine ad una distorsione dell’esperienza interiore. IL TRATTO EGODISTONICO provoca sofferenza e disagio al soggetto che lo riconosce come disturbante,non in sintonia con l’Io, esso è rigido, disadattivo e non evolve in un disturbo clinico. La STRUTTURA è un’entità stabile del soggetto,una visione globale che riguarda il pensiero, l’affettività ed il controllo delle emozioni e degli impulsi. L’ORGANIZZAZIONE di personalità descrive il grado di individuazione o di patologia della persona (psicotico,borderline,nevrotico,normale). Per fare diagnosi bisogna valutare : VISSUTO DELLA PERSONA CONDIZIONI FAMILIARI, SOCIALI, RELAZIONALI, AFFETTIVE FUNZIONAMENTO DELL’IO ESAME DI REALTA’ UTILIZZO DEGLI STILI DIFENSIVI AREE DI FUNZIONAMENTO GLOBALE (sfera sociale, lavorativa, cognitiva, cura di sé, affettiva). Par. 6.3 Caratteristiche dell’area nevrotica, psicotica e borderline Le caratteristiche dell’area nevrotica sono: L’ESAME DI REALTA’ E LE FUNZIONI DELL’IO SONO INTEGRI E PREVALENTEMENTE CONSERVATI LO STATO DI SOFFERENZA È COSCIENTE LIVELLO DI INTEGRAZIONE BUONO (il soggetto svolge le sue funzioni globali) LA PERSONA è CONSAPEVOLE DEL DISTURBO, ANCHE SE NON LO ACCETTA [25] UTILIZZO DI MECCANISMI DI DIFESA DI SECONDO ORDINE (rimozione, sublimazione,….). Le caratteristiche dell’area psicotica sono: RIPIEGAMENTO ALL’INTERNO MANCANZA DI RELAZIONE CON LA REALTA’ FENOMENI DI DEREALIZZAZIONE E DI DEPERSONALIZZAZIONE IO FRAMMENTATO, DISINTEGRATO, SCISSO, DISFUNZIONANTE SCARSE RISORSE INTERNE PROBLEMI DI ORIENTAMENTO SPAZIO-TEMPORALE GRAVI PROBLEMI RELAZIONALI CHIUSURA SOCIALE MANCATO SENSO DI CONTINUITA’ TRA IL SÉ E L’ALTRO L’IO NON HA PIU’ LA FUNZIONE DI GIUDICE E MEDIATORE DELLA REALTA’ MANCA LA CONSAPEVOLEZZA DEL DISTURBO È ASSENTE L’ESAME DI REALTA’ UTILIZZO DEGLI STILI DIFENSIVI DI PRIMO ORDINE (scissione, dissociazione) Nella nevrosi si è in uno stato di conflitto, nella psicosi si è in presenza di una forte angoscia che ha rotto gli argini. Le caratteristiche degli stati limite o di confine o area borderline (area a limite tra la nevrosi e la psicosi) sono in base al tipo di disturbo: ALCUNE FUNZIONI PRINCIPALI DELLA PERSONA SONO CONSERVATE E ALTRE COMPROMESSE. GLI STILI DIFENSIVI UTILIZZATI SONO SIA DI PRIMO ORDINE CHE SECONDARI. L’ESAME DI REALTÀ PER CERTI ASPETTI PUÒ ESSERE INTEGRO E FUNZIONANTE E PER ALTRI INVECE FRAMMENTATO. [26] CAP. 7 I DISTURBI DELL’AREA NEVROTICA I disturbi che rientrano nell’area nevrotica si caratterizzano in quanto l’esame di realtà è integro, l’io funzionante e vi è coscienziosità del disturbo. Vi fanno parte: Par. 7.1 I disturbi d’ansia: caratteristiche generali e loro classificazione I Disturbi di ansia: rientrano nell’area nevrotica e si possono classificare in attacco di panico disturbi di panico senza agorafobia d. di panico con agorafobia fobia specifica fobia sociale d. ossessivo compulsivo d. post-traumatico da stress d. acuto da stress d. d’ansia generalizzato L’ansia è un sintomo comune e diffuso in molte situazioni di disagio psichico, ma è anche uno stato psicologico che si può sperimentare in condizioni di normalità. L’ansia è espressione di un conflitto interno che è importante indagare per poi rielaborarlo. Essa è una forma di paura, un segnale lanciato all’Io che avverte un pericolo che va individuato. È una sensazione di tensione psichica legata all’aspettativa di un evento che viene investito di significati particolari e temuto come potenzialmente pericoloso. L’Io continua a svolgere le sue normali attività anche se con disagio e difficoltà. Può comparire nel quadro clinico di molte patologie psichiatriche o essere una sindrome vera e propria o essere vissuta come un’esperienza comune ad ogni individuo. L’attacco di panico: è un breve periodo preciso in cui l’individuo viene improvvisamente travolto da uno stato di terrore legato all’urgenza di fuggire dinanzi a eventi catastrofici. Secondo il DSM-IV si ha la diagnosi di attacco di panico se sono presenti almeno 4 dei seguenti sintomi: palpitazione sudorazione tremore dispnea (sensazione di respiro corto o mancanza di respiro) sensazione di soffocamento dolore o malessere al torace nausea o dolori addominali [27] sbandamenti, vertigini, instabilità, svenimenti sensazione di non poter stare in piedi derealizzazione (sentimento di irrealtà) depersonalizzazione (sentimento di distacco da se stessi) paura di perdere il controllo o di impazzire paura di morire improvvise sensazioni di caldo e freddo, brividi, vampate di calore, vertigini. Nelle persone che soffrono di questo disturbo, sono spesso presenti eventi stressanti o la separazione da figure significative. Secondo una lettura psicodinamica il soggetto non riesce, nei momenti di difficoltà, a rivolgersi ad un’immagine interna positiva per contenere l’ansia,perché in questi soggetti è scarsamente sviluppata la costanza dell’oggetto. Agorafobia: Il termine agorafobia indica etimologicamente “paura della piazza”, quindi paura degli spazi aperti,ansia di trovarsi in luoghi o situazioni dai quali può essere difficile o imbarazzante allontanarsi rapidamente o nei quali può essere difficile avere aiuto o soccorso. L’attacco temuto si manifesta quando la persona è sola o lontana dai suoi unti di riferimento. I soggetti riferiscono di provare smarrimento, confusione e agitazione. L'agorafobia è una delle manifestazioni ansiose più invalidanti, in quanto chi ne soffre spesso diventa completamente dipendente dalle mura domestiche, oppure è costretto ad uscire di casa solo quando è accompagnato. L’agorafobico infatti non teme solo la strada aperta egli ha paura di: trovarsi in mezzo alla folla, fare la coda davanti ad uno sportello, andare allo stadio, andare a teatro, andare al ristorante, viaggiare in treno, in automobile ,ecc .. Fobia specifica: Paura persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazione specifici (per es. volare, altezze, animali, ricevere un’iniezione, vedere il sangue); la persona riconosce l’eccessività e l’irragionevolezza della paura che però non riesce a controllare. Il quadro clinico si caratterizza per la presenza di paura, disgusto, repulsione, condotte di evitamento sproporzionate alla reale pericolosità dello stimolo. Possono essere distinti vari tipi di fobie: TIPO ANIMALE (Aracnofobia- Fobia dei ragni), degli uccelli, degli insetti, (cinofobia- dei cani) dei gatti, dei topi, ecc.. ) [28] TIPO AMBIENTE NATURALE (Keraunofobia -paura dei tuoni), acqua, altezza) TIPO SANGUE-INIEZIONI-FERITE (Fobia del sangue,degli aghi, delle siringhe) TIPO SITUAZIONALE (Claustrofobia- ascensori, mezzi pubblici, luoghi chiusi, guida di vetture, etc…) ALTRI TIPI (Aerofobia- paura di volare), dei rumori forti, dei personaggi in maschera, etc…) Fobia sociale è la paura di agire, di fronte agli altri, in modo imbarazzante o umiliante e di ricevere giudizi negativi. Questa paura può portare chi ne soffre ad evitare la maggior parte delle situazioni sociali, per la paura di comportarsi in modo “sbagliato” e di venir mal giudicati. Disturbo da stress acuto :, la persona ha vissuto un evento traumatico che ha implicato la morte o la minaccia di morte, o gravi lesioni fisiche o una minaccia all'integrità fisica propria o altrui,( simile a quello post-traumatico) la sua durata è di 2 giorni a 4 settimane. Disturbo ossessivo- compulsivo: è caratterizzato da ossessioni e compulsioni. Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi che si presentano più e più volte e sono al di fuori del controllo di chi li sperimenta. Le persone con disturbo ossessivo compulsivo possono preoccuparsi eccessivamente dello sporco e dei germi. Possono essere terrorizzate dalla paura di avere inavvertitamente fatto del male a qualcuno, di poter perdere il controllo di sé e diventare aggressive in certe situazioni, di aver contratto malattie infettive o di essere omosessuali, anche se di solito riconoscono che tutto ciò non è realistico. Le compulsioni vengono definite rituali o cerimoniali e sono comportamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (contare, pregare, ripetere formule mentalmente) messi in atto per ridurre il senso di disagio e l'ansia provocati dai pensieri e dagli impulsi tipici delle ossessioni. Disturbo di ansia generalizzata: l’ansia si manifesta con carattere cronico e persistente per almeno 6 mesi e compaiono 3 dei seguenti sintomi: irrequietezza facile affaticabilità difficoltà di concentrazione irritabilità tensione muscolare turbe del sonno [29] Disturbo post traumatico da stress:. si manifesta con una serie di sintomi di disagio innescati dall’esperienza di eventi traumatici stressanti, come la personale esposizione ad eventi dolorosi, a una malattia grave, al rischio di morire o ad altre serie minacce alla propria integrità fisica o a quella di familiari e amici stretti (catastrofi naturali, violenze personali, incidenti, lutti, ecc.). Ha una durata superiore a 1 mese e crea un disagio significativo nelle aree di funzionamento globale della persona (lavoro, relazioni sociali, affettività, etc…). Disturbo ossessivo compulsivo di personalità: chi ne soffre presenta una marcata tendenza al perfezionismo ed alla precisione, una forte preoccupazione per l'ordine e per il controllo di ciò che accade. Disturbo istrionico di personalità: chi ne soffre tende a ricercare l'attenzione degli altri, ad essere sempre seduttivo e a manifestare in modo marcato e teatrale le proprie emozioni. CAP 8. I DISTURBI DELL’AREA DI CONFINE ,STATI LIMITE O BO RDERLINE Tali disturbi si collocano in un’area definita degli stati limite o di confine e sono: disturbo Borderline di personalità depressione (disturbo depressivo maggiore) dipendenze patologiche (tossicodipendenza, alcolismo). disturbi dell’alimentazione (anoressia e bulimia) disturbo antisociale di personalità disturbo narcisistico di personalità disturbi somatoformi (Ipocondria, somatizzazione) Part. 8.1 Il disturbo Borderline di personalità: caratteristiche generali Il Disturbo Borderline di personalità è una categoria che si colloca a limite tra l’asse nevrotica e l’asse psicotica, in un’area appunto di confine (dall’inglese border line = linea di confine). Il disturbo borderline di personalità è una entità diagnostica molto controversa. Talvolta non viene neanche riconosciuto come un disturbo specifico, ma come una classificazione in cui inserire tutti quei casi non meglio diagnosticabili in altro modo. In realtà il disturbo borderline presenta delle caratteristiche specifiche piuttosto ben riconoscibili. E' fondamentalmente un disturbo della relazione, che impedisce al soggetto di stabilire rapporti di amicizia, affetto o amore stabili nel tempo. Si tratta di persone che trascorrono delle vite in uno stato di estrema confusione ed i cui rapporti [30] sono destinati a fallire o risultano emotivamente distruttivi per gli altri. Le persone affette da questo disturbo trascinano altri, parenti e partner in un vortice di emotività, dal quale spesso è difficile uscire, se non con l'aiuto di un esperto. Questi soggetti, infatti, sperimentano emozioni devastanti e le manifestano in modo eclatante, drammatizzano ed esagerano molti aspetti della loro vita o i loro sentimenti, proiettano le loro inadempienze sugli altri, sembrano vittime degli altri quando ne sono spesso i carnefici e si comportano in modo diverso nel giro di qualche minuto o ora. Il disturbo borderline è stato spesso associato a eventi traumatici subiti nell'infanzia, quali abusi sessuali o fisici, ma non è detto che ciò sia sempre vero. L'aspetto più evidente e preoccupante del disturbo borderline è che presenta sintomi potenzialmente dannosi per il soggetto (abbuffate, uso e abuso di sostanze, guida spericolata, sessualità promiscua, condotte antisociali, tentativi di suicidio, ecc.) e si associa a scoppi improvvisi di rabbia intensi. Secondo DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) , il disturbo borderline è caratterizzato da: 1) sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono. 2) un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall'alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione. 3) alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili. 4) impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto come ad esempio spendere eccessivamente, promiscuità sessuale, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate, ecc. 5) ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o comportamento automutilante. 6) instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell'umore (per es., episodica intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore, e soltanto raramente più di pochi giorni). 7) sentimenti cronici di vuoto. 8) rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per es., frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici). 9) ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress. Psicoterapia La psicoterapia della personalità borderline è oggetto di estesi studi e viene considerata il trattamento di scelta. Recentemente, per migliorare i risultati, al regime terapeutico è stata aggiunta la farmacoterapia (antidepressivi,neurolettici,stabilizzatori [31] dell’umore). Nei casi in cui l’incolumità del soggetto è gravemente a rischio, si può ricorrere ad un ricovero ospedaliero. Par. 8.2 La depressione: caratteristiche generali Il disturbo depressivo è inserito all’interno della categoria dei disturbi dell’umore (dove per umore si intende emozione duratura che caratterizza lo stato psichico). La depressione è ormai diventato un disturbo comune nella società, da un punto di vista clinico essa si manifesta con TRISTEZZA INVINCIBILE, MANCANZA DI ENERGIE, PERDITA DI INTERESSE, ANEDONIA (incapacità di provare piacere), DISTURBI VEGETATIVI (alterazione del ritmo sonno-veglia, insonnia, problemi di alimentazione). I 7 punti fondamentali per riconoscere la depressione sono: 1. la D. è un disturbo comune e frequente; 2. la D. spesso non è diagnosticabile (una certa quota di pazienti mostrano segni depressivi ma sfuggono alla diagnosi); 3. è facilmente diagnosticabile se viene sospettata; 4. è spesso grave (soprattutto se viene diagnosticata come disturbo depressivo maggiore); 5. è spesso ricorrente (ci sono varie ricadute); 6. è costosa (legata ai farmaci, al tempo richiesto per la diagnosi e all’impegno delle strutture sanitarie); 7. è del tutto curabile ma non del tutto bene guaribile. LA DEPRESSIONE È SEMPRE LEGATA AD UNA PERDITA SIMBOLICA O REALE. Alcuni sintomi della depressione sono: umore triste sentimento pervasivo di disperazione e angoscia agitazione, irritabilità e tensione sentimenti di colpa e autosvalutazione frequente rallentamento psicomotorio idea di morte Con una certa frequenza si possono presentare anche sintomi aspecifici che persistono anche per settimane, tra questi si riscontrano: insonnia, cefalea, dolori addominali, altri dolori fisici, dimagrimento [32] eccessiva stanchezza, facile affaticabilità ridotta capacità di provare piacere, lentezza nei processi ideativi problemi legati alla sfera sessuale. La prevalenza nel disturbo depressivo è stimata con una percentuale maggiore nel sesso femminile, il disturbo tende a distribuirsi con una frequenza leggermente maggiore nelle classi sociali più elevate e nei familiari di pazienti depressi. Per quanto riguarda lo stato civile, si pensa che si abbia una maggiore concentrazione negli individui soli separati o divorziati. La depressione è una patologia che può comportare in ogni momento del suo decorso e anche sotto trattamento farmacologico e psicoterapico, un certo rischio suicidario. Tale rischio sembra aumentato dalla comorbidità(associazione di due o più malattie presenti nella stessa persona) con il disturbo da attacchi di panico e con il disturbo da uso di sostanze o dalla presenza di sintomi quali: intensa anedonia (incapacità di provare piacere), grave insonnia o ansia elevata. Inoltre la comparsa di sintomi depressivi durante il decorso di gravi patologie croniche e degenerative, determina un peggioramento della prognosi. Ipotesi eziologiche Le sindromi depressive si esprimono clinicamente con diverse manifestazioni ed esclusivamente con delle alterazioni di tipo neurobiologico. Genetica: l’importanza della componente genetica è fondamentale nei disturbi depressivi, infatti gli studi sulle famiglie dei depressi mostrano un’incidenza maggiore nella comparsa del disturbo rispetto alle famiglie che non presentano tale patologia. Neurochimica: è stato riscontrato che vi sia nei soggetti con disturbi depressivi una carenza di serotonina e noradrenalina, infatti l’antidepressivo a livello neurochimico esplica la sua azione equilibrando i sistemi di secrezione della sostanza aumentando il livello della serotonina e della adrenalina (ormoni responsabili della regolazione dell’umore e dell’affettività). Sistema neuroendocrino: sono numerose le alterazioni ormonali che coinvolgono il sistema endocrino,infatti vi è uno scompenso a livello ormonale e tiroideo. Sistema immunitario: è stato riscontrato che la presenza di una patologia depressiva nel corso di malattie gravi e potenzialmente mortali può peggiorare il decorso e diminuire la risposta alle terapie in quanto si verifica una depressione immunitaria . [33] Studi sul sonno: nei disturbi dell’umore sono costanti e visibili le alterazioni del ritmo sonno-veglia, si verifica infatti insonnia con risveglio precoce o ipersonnia e forte contrazione della necessità di dormire. Part. 8.3 Personalità, fattori psicodinamici e psicosociali La varietà dei fattori psicologici che possono essere alla base di un disturbo depressivo è molto ampia e tali fattori possono essere variamente combinati tra di loro. Fra gli aspetti di personalità premorbosa correlati con il disturbo depressivo i più frequentemente segnalati sono: tendenza ossessiva, ambizione, perfezionismo, tendenza a vivere la realtà come una sfida e quindi a gareggiare e a competere con gli altri, ricavandone spesso un senso di insoddisfazione, tratti di personalità dipendente(con la ricerca continua di approvazione sociale, di conferme, di gratificazioni esterne), tratti di personalità orale e isterica. Soggetti con bassi livelli di autostima e forte tendenza all’autocritica sono più inclini a soffrire di manifestazioni depressive. Tra i fattori psicosociali sono stati indagati la qualità dell’ambiente affettivo sperimentato nella prima infanzia fondamentale per lo sviluppo di un senso di sicurezza e di fiducia e di un atteggiamento positivo nei confronti della vita che consente di fare riferimento a delle risorse interne nel fronteggiare ostacoli, difficoltà ed esperienze dolorose. Da questa prospettiva appare centrale la relazione madrebambino che, se particolarmente disturbata o carente, può determinare un permanente senso di instabilità e insicurezza che, a sua volta, può sensibilizzare l’individuo alle perdite e alle separazioni aumentando la sua vulnerabilità depressiva nei confronti di tali eventi. Le teorie psicodinamiche e soprattutto i contributi di Freud attorno al tema della depressione, sono utili alla comprensione della natura del disturbo e della sua origine. Freud infatti in molte sue opere rintraccia la causa del disturbo depressivo nella perdita dell’oggetto d’amore e nel ritiro dell’investimento affettivo, lipidico. Egli pone delle analogie tra il lutto e la depressione e pone l’accento sull’esperienza depressiva attorno ai vissuti di perdita e di colpa, aspetti centrali caratterizzanti attorno alla psicopatologia del depresso. Il depresso fallisce nella elaborazione del lutto legato ad una perdita reale o simbolica e ciò provoca delle difficoltà a riadattarsi ad una realtà nuova e diversa. Gli eventi stressanti, di perdita possono contribuire all’insorgenza del disturbo depressivo; però è stato anche osservato che eventi positivi che si collocano all’estremo opposto rispetto all’esperienza della perdita (raggiungimento di importanti [34] mete affettive o lavorative, recupero di relazioni che sembravano compromesse, nascite di figli o nipoti, miglioramento della situazione conflittuale di coppia o familiare) possono determinare una evoluzione più rapida e favorevole della condizione depressiva che consente di attivare una progettualità e un rinnovato interesse per il futuro. Par. 8.4 Disturbo depressivo maggiore È costituito dalla presenza di uno o più episodi depressivi maggiori. L’età di insorgenza è di 27 anni e la prevalenza è maggiore nella donna. L’episodio depressivo maggiore si caratterizza dal punto di vista sintomatologico per: la tonalità depressiva dell’umore per la riduzione o perdita degli interessi condizione di tristezza, pessimismo, scoraggiamento, disperazione incapacità di trarre piacere dalla vita perdita di piacere per le normali attività, relazioni affettive, tempo libero e svaghi condizione di tensione, inquietudine, attesa dolorosa e afinalistica presenza di una componente di ansia, irrequietezza, irritabilità e una serie di sintomi somatici (astenia, inappetenza, cefalea, disturbi digestivi) LA CONDIZIONE ESISTENZIALE DEL DEPRESSO VIENE A CONNOTARSI PER LA PERDITA DELLA CAPACITÀ DI DESIDERARE, DI SPERARE E DI PERCEPIRE LA REALTÀ COME MODIFICABILE E MIGLIORABILE. Sia il mondo del paziente, sia la sua percezione del mondo esterno divengono fissati e non più trasformabili. La cristallizzazione delle emozioni e dei vissuti determina un forte restringimento dell’orizzonte relazionale e l’affettività si scolorisce con l’ulteriore avvertimento negativo di un restringimento della sua vita sentimentale e di un allentamento del legame che lo unisce agli altri. Il depresso si avverte così sempre più coartato in uno spazio vitale ed affettivo freddo e angusto, dominato dalla noia, dalla solitudine, dal senso di vacuità dell’esistenza e di tutti gli sforzi per progredire e per raggiungere delle mete. La dinamica depressiva determina anche un progressivo slittamento del paziente dal presente al passato; l’incapacità di interagire con la realtà lo fa rifugiare nella dimensione del ricordo che, anch’essa privata del suo carattere di piacevolezza, viene scarnificata dal dubbio, dai fantasmi della colpa, dalle ruminazioni sulle proprie inadeguatezze, sulle proprie incapacità, sugli errori commessi. L’amplificazione della risonanza negativa del passato avviene a scapito, oltre del [35] presente, anche del futuro: la depressione comporta infatti l’incapacità di “guardare oltre”, di sperare, di progettarsi, di adattarsi e di aderire al flusso del tempo. L’attività ideomotoria subisce un rallentamento e il paziente appare stanco, esitante e sofferente e può anche avvertire un senso di confusione mentale. I contenuti del pensiero assumono un carattere di ideazione prevalente che può rappresentare il nucleo attorno al quale si struttura una produzione delirante, secondo i temi caratteristici della condizione depressiva: colpa, rovina, autoaccusa, malattia. Par.8.5 Altri tipi di depressione Depressione con manifestazioni psicotiche: in questa forma possono essere presenti deliri e allucinazioni, si tratta di condizioni depressive ad alto rischio suicidario e che possono comportare una maggiore necessità di ospedalizzazione. Depressione con melanconia: ha caratteristiche specifiche come perdita di interesse in tutte o quasi tutte le attività, mancanza di risposta agli stimoli abitualmente piacevoli, peggioramento mattutino della depressione, risveglio precoce, marcato rallentamento psicomotorio o agitazione, significativa anoressia o perdita di peso, intenso senso di colpa eccessivo e inappropriato. Pseudodemenza: sono forme di depressione che possono apparire come forme di demenza, sono presenti sintomi come turbe della memoria, compromissione della sfera cognitiva con appiattimento affettivo ed inerzia psicomotoria. Depressione secondaria: sono condizioni depressive legate a malattie organiche (malattie neurologiche come morbo di Parkinson, traumi cranici, epilessie, tumori cerebrali, turbe di tipo vascolare), malattie endocrine (ipo e ipertiroidismo, diabete), malattie infettive (AIDS, tubercolosi), malattie sistemiche (anemie). È anche importante ricordare le molte droghe capaci di indurre una fenomenologia depressiva: alcool, morfina, eroina, cocaina, droghe leggere, etc… Disturbo distimico: condizione di disturbo dell’umore in cui la sintomatologia depressiva perdura con continuità da almeno due anni, senza che si sia mai verificato un episodio depressivo maggiore o un episodio maniacale. Disturbi bipolari: caratterizzato dall’alternarsi di episodi depressivi, maniacali e ipomaniacali. Disturbo ciclotimico: l’esordio del disturbo è più precoce rispetto ad altre forme bipolari, si struttura sulla base di una rapida e continua alternanza, della durata di [36] almeno due anni, di episodi ipomaniacali e di episodi depressivi di gravità inferiore rispetto al disturbo depressivo maggiore. Episodio maniacale: la mania è una condizione psicopatologica in cui l’aspetto centrale è dato dall’innalzamento del tono dell’umore e da uno stato di estrema euforia, di gioiosità incongrua e immotivata che si accompagna ad un’accelerazione del decorso ideativo e ad un incremento dell’iniziativa psichica e motoria. Possono essere presenti iperattività, agitazione, irritabilità, disforia. Il comportamento si caratterizza per una forte disinibizione che fa emergere condotte inusuali per il paziente e che stravolge i normali parametri di relazione interpersonale. Il paziente maniacale interagisce con l’altro attraverso la mimica, la parola, la gestualità e la psicomotricità in modo incongruamente confidenziale e amichevole, sconfinando nell’aggressività e nell’invadenza. Stati misti: sono quelle condizioni psicopatologiche nelle quali coesistono sintomi sia della polarità maniacale che depressiva. Par. 8.6 LA TOSSICODIPENDENZA- (AIDS, EPATITE C)- L’ALCOLISMO La tossicodipendenza: caratteristiche fondamentali La tossicodipendenza o disturbo della dipendenza da sostanze psicoattive, è un disturbo dell’area borderline, stati limite o di confine. Le caratteristiche di tale stato sono: l’esame di realtà e il funzionamento dell’Io è conservato per certi versi, frammentato e disintegrato per altri aspetti. Si assiste al rischio di uno scivolamento psicotico o alla concomitanza di una sindrome psichiatrica grave o un disturbo schizofrenico, disturbo dell’umore, depressione. Si tratta di personalità dipendenti, incapaci di tollerare la separazione e il cui rapporto con la realtà appare discontinuo, soggetti che attuano azioni autolesionistiche. La droga sembra apparire come un rimedio per colmare un vuoto interiore che maschera una personalità di soggetti tristi e fragili. Si definisce DROGA qualsiasi sostanza chimica, naturale o sintetica in grado di interferire sulla psiche di un soggetto, orientando il suo comportamento in modo da provocarne modificazioni più o meno durature. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la tossicodipendenza è uno stato di intossicazione periodica o cronica, causata dall’assunzione prolungata di una sostanza, caratterizzata da: coazione a continuare l’uso della sostanza; bisogno di aumentare la dose per provare lo stesso effetto; comparsa di difficoltà o impossibilità di smettere; comparsa di disturbi correlati all’uso della droga. [37] I livelli di coinvolgimento verso la sostanza sono diversi: 1. uso sporadico 2. abuso 3. dipendenza psichica e fisica Nell’uso sporadico il soggetto è in grado di gestire l’assunzione della sostanza, può interrompere il consumo senza conseguenze eccessive o preoccupanti. Nell’abuso il consumo è continuo e ricorrente, anche in condizioni fisicamente rischiose e si verifica compromissione delle attività socio-lavorative. Nella dipendenza il soggetto è incapace di controllare il ritmo di assunzione per la comparsa della tolleranza e dell’astinenza. La dipendenza psichica è connotata dalla necessità di assumere la sostanza al fine sia di esperirne gli effetti che di evitare il disagio da deprivazione. La dipendenza fisica è caratterizzata dalla comparsa di un insieme di sintomi, definita sindrome di astinenza, se si sospende o si riduce l’assunzione della sostanza. La tolleranza provoca la progressiva diminuzione nel tempo degli effetti della sostanza, determinando l’aumento del dosaggio per ottenere lo stesso effetto. La definizione della dipendenza per l’OMS è “uno stato psichico e talora fisico, derivante dall’interazione con una sostanza, che determina modificazioni del comportamento e la necessità di assumere questa, per ottenere gli stessi effetti psichici ed evitare la sindrome di astinenza”. Le cause determinanti la tossicodipendenza sono molteplici, si hanno concause di natura psicologica, sociale e biologica. PSICOLOGICA : la sostanza è utilizzata allo scopo di colmare dei vuoti esistenziali, interiori caratteristici di quei soggetti con personalità deboli, fragili che non riescono a trovare soluzioni adeguate a dei problemi che si possono presentare durante il percorso del ciclo vitale, le cause sono da attribuire ad un contesto familiare disfunzionale. SOCIALE: legge del branco, moda o tendenza, modo per rimanere aggregato al gruppo e non subire l’emarginazione perché gli altri ne fanno uso, curiosità di provare la sostanza “solo una volta”. BIOLOGICA: alterazioni provocate dalla sostanza a carico del SNC e ad altri organi vitali come cuore, fegato, reni. [38] La tossicodipendenza si associa con alta frequenza a quadri psichiatrici (disturbi affettivi, di personalità, schizofrenici). Si fa una classificazione delle droghe, distinguendole in: LEGGERA (cannabinoidi, hashish e marijuana) PESANTE (cocaina, eroina, anfetamine) ALLUCINOGENI (LSD, funghi allucinogeni) ANESTETICA O ANALGESICA (morfina, metadone) Altri tipi di droga: CRACK, POPPER, PSICOFARMACI, caffè o tè, tabacco. Ogni sostanza provoca degli effetti euforizzanti, allucinogeni. Oppiacei: Tra i derivati dell’oppio (morfina, codeina, eroina, metadone) l’eroina rappresenta la sostanza maggiormente consumata dai tossicodipendenti. L’eroina è una polvere bianca, commercializzata sul mercato, con altre sostanze da taglio (borotalco, lattosio, mannite, polvere). La via di somministrazione è la via endovenosa, più rara è la via inalatoria. In Italia si stima che gli eroinomani siano circa trecentomila, di età prevalentemente tra i 18 e i 30 anni, di sesso maschile, distribuiti in tutti i ceti sociali. Quadro clinico Dopo l’assunzione si avverte una sensazione piacevole breve ed intensa, diffusa in tutto il corpo, paragonabile all’orgasmo, che dopo poco si trasforma in un rallentamento psicofisico, con sonnolenza e gradevole sensazione di distacco dal mondo. Tale stato dura qualche ora ed al termine nel soggetto non dipendente si ripristina la situazione normale; nel soggetto dipendente invece a questa fase segue la fase di astinenza. Questa è caratterizzata da ansia, sudorazione, lacrimazione, brividi di freddo, crampi addominali e ricerca compulsiva dell’eroina per bloccare l’astinenza. Ciò spiega perché in fase cronica l’esistenza dell’eroinomane è tutta orientata alla ricerca della sostanza. L’astinenza raggiunge il culmine 48-72 ore dopo l’ultima assunzione e si risolve, con la progressiva scomparsa della sintomatologia, dopo qualche giorno. L’intossicazione acuta di eroina (overdose) è caratterizzata da miosi, ipotensione arteriosa, insufficienza respiratoria e coma. Se non viene trattato tempestivamente con la somministrazione di antagonisti (naloxone), causa il decesso. [39] Par. 8.7 L’AIDS L’O.S.A può essere assunto in una comunità che ospita tossicodipendenti, è importante che sappia cosa ci sia alla base del fenomeno e quali interventi possono essere applicati allo scopo di ottenere risultati positivi nel lavoro, trattando questa tipologia di utenza. Sono diversi i programmi di recupero e le strutture predisposte ma il percorso è lungo e faticoso che prevede un coinvolgimento dell’intero nucleo familiare. Come primo obiettivo vi si pone la disintossicazione e poi si pensa ad un recupero e reinserimento del soggetto nel mondo sociale, relazionale e lavorativo. Quando si parla di tossicodipendenza spesso si tende a citare il problema dell’AIDS che negli ultimi decenni sta dilagando soprattutto tra gli eterosessuali. È pertanto sbagliato associare la contrazione del virus alle categorie degli omosessuali o dei tossicodipendenti. L’AIDS è un virus che può interessare tutti e deve essere data corretta informazione di modalità di trasmissione e prevenzione a tutti. L’O.S.A può anche lavorare con utenti sieropositivi o con epatite C, è importante che sappia le modalità di contagio e prenda le corrette precauzioni nello svolgimento del proprio lavoro. Caratteristiche generali AIDS Sindrome da immunodeficienza acquisita. È un virus che provoca una deficienza del sistema immunitario, infatti non si muore di AIDS, ma anche un semplice raffreddore può diventare letale perché il corpo non è più in grado di produrre anticorpi necessari. L’ AIDS ha 3 FASI dopo il contagio: Periodo di finestra (per i primi sei mesi dal contagio, il virus è nel sangue ma se sottoposti a test risulta HIV negativo, in questo periodo si può contagiare). Periodo di sieropositività (Periodo HIV, il virus è presente nel sangue e se sottoposti al test risulta HIV positivo. Non si ha nessun sintomo, è un periodo di incubazione del virus che può durare anche lunghi anni, si può contagiare). [40] Periodo di AIDS conclamata (manifestazione dei sintomi, si può morire anche per un semplice raffreddore o possono subentrare gravi malattie come ad es. infezioni polmonari. Il sistema immunitario è deficitario, infatti non si muore di AIDS ma perché l’organismo ha basse difese immunitarie ed è vulnerabile a qualsiasi tipo di stimolo esterno). Le MODALITA’ DEL CONTAGIO SANGUE-SANGUE; SANGUE-SPERMA; SANGUE-LIQUIDO VAGINALE O SEMINALE; PUNTURE CON SIRINGHE INFETTE O UTENSILI INFETTI; RAPPORTI SESSUALI NON PROTETTI (rapporti orali, anali, vaginali); TRASFUSIONE CON SANGUE INFETTO. Fare attenzione a mesoterapia, tatuaggi e piercing (che vengano utilizzati appositi strumenti sterilizzati). Anche il latte materno è infetto, è opportuno evitare di allattare il neonato e fare il parto cesareo per evitare il contatto col sangue. Il virus è contenuto anche negli altri liquidi biologici (sudore, lacrima, saliva) ma non si è mai verificato il contagio in tali casi. È importante usare le corrette precauzioni, si può vivere e lavorare con utenti sieropositivi. TERAPIA: Le cure e i farmaci dell'Aids, oggi stanno dando ottimi risultati e ci sono anche novità che rendono le cure più semplici. 'Non è più la malattia dei gruppi a rischio, come si diceva una volta, cioè dei tossicodipendenti o degli omosessuali, ma è una malattia che interessa tutta la popolazione sessualmente attiva. Interessa gli adolescenti, i giovani, ma anche le fasce di età più avanzata. Quindi è, a tutti gli effetti, una malattia a trasmissione sessuale'. Se [41] la mortalità negli ultimi anni è diminuita al punto che i suoi numeri possono essere paragonati a quelli di una comune polmonite lo si deve soprattutto ai farmaci antiretrovirali, ( farmaci in grado di agire nei confronti dei retrovirus),usati in combinazione fra loro a seconda dello stadio della malattia. 'Queste terapie di combinazione risultano altamente efficaci riescono, praticamente, a bloccare la moltiplicazione del virus, a ridurre il tasso di virus circolante nel sangue e, questo fa sì che, l'infezione e la malattia si possano rallentare e quindi, in qualche misura, bloccare. Il problema è, che una volta che queste terapie vengono sospese, il virus torna a replicare esattamente come prima'. Un vero e proprio cocktail di pillole, insomma, da prendere tutta la vita; questi malati per tenere a bada l'infezione non possono tralasciare neanche una dose, altrimenti si crea un vuoto, un periodo finestra in cui il virus rialza la testa, prende forza e cambia: diventa farmaco resistente. 'Quando il virus torna a replicare in presenza di una quantità di farmaco insufficiente per bloccarne completamente la sua moltiplicazione, il virus usa questo sistema per scappare al farmaco e in qualche modo può mutare cioè può cambiare le sue caratteristiche genomiche e quindi diventare resistente alla terapia'. È fondamentale quindi la cosiddetta aderenza alla terapia, il rispetto di modi e tempi di somministrazione. Più dell'80% dei malati in terapia in questo ospedale riescono a usufruire della terapia farmacologica e a convivere col virus, per il restante 20% non rimane che aspettare nuovi farmaci o nuove molecole che li possano aiutare a combattere la malattia. Non è ancora disponibile un vaccino a causa della velocità con cui il virus è in grado di cambiare costituenti; quindi la prevenzione è affidata alla eliminazione dei rischi di contagio, evitando lo scambio di siringhe, usando il profilattico nei rapporti sessuali, evitando in genere il contatto con i liquidi biologici di soggetti estranei. L’O.S.A. con utenti sieropositivi: È opportuno: USARE GUANTI MONOUSO USARE UTENSILI O FORBICI A USO PERSONALIZZATO USARE LA CANDEGGINA PER DISINFETTARE, E’ L’UNICO SOLVENTE IN GRADO DI UCCIDERE IL VIRUS FARE ATTENZIONE ALLE FERITE CHE L’UTENTE PUÒ AVERE ED EVITARE IL CONTATTO DIRETTO COL SANGUE INFETTO USARE GLI APPOSITI STERILIZZATORI [42] Par. 8.8 EPATITE C Virus che colpisce il fegato (infezione del fegato); può essere di tipo acuta o cronica. Spesso è asintomatica e evolve in cirrosi epatica o tumore al fegato. Nel primo periodo del contagio si può manifestare qualche sintomo: nausea, dolori addominali, stanchezza. In alcuni casi non evolve in cirrosi, ma si è contagiosi. Le modalità di contagio sono analoghe al contagio da HIV, quindi bisogna fare attenzione al contatto col sangue infetto, punture con utensili infetti, non scambiarsi oggetti personali (spazzolini, forbici, oggetti metallici appuntiti, etc…), evitare rapporti sessuali non protetti. TERAPIA: La terapia per l’epatite C è costituita dall’associazione di interferone alfa con la ribavirina per un periodo che va dalle 24 alle 48 settimane. Secondo recenti studi l’epatite acuta può essere curata nel 90% dei pazienti se si inizia la terapia entro 12-14 settimane dall’inizio dei sintomi ( quindi prima che diventi cronica).La guarigione dipende dal livello di anticorpi nel sangue, da come l’organismo risponde e dalla quantità di virus presente nel sangue e dalla fase o stadio della malattia (l’esito positivo diminuisce se già si è in una fase di cirrosi, in quel caso l’unico rimedio rimane il trapianto del fegato). L’O.S.A nel momento in cui lavora con utenti con epatite C è opportuno adotti le dovute misure preventive: Utilizzo di candeggina e appositi sterilizzatori Utilizzo di guanti monouso Utilizzo di utensili e oggetti metallici, nonché oggetti personali e per la cura della persona monouso o sterilizzati Non avere contatto diretto col sangue infetto Fare attenzione a ferite o perdita di quantità di sangue nell’utente Par. 8.9 L’alcolismo Anche il fenomeno dell’alcol è divenuto negli ultimi decenni piuttosto allarmante. Esso appartiene sempre alla categorie delle sostanze di abuso o delle dipendenze. La personalità dell’alcolista è prevalentemente borderline o dipendente, si tratta sempre di personalità fragili, deboli con grosse carenze esistenziali e vuoti interiori da colmare. L’alcol provoca oltre alla cirrosi epatica, anche una serie di problematiche a carattere organico e psicologico. Associati ad esso infatti troviamo: problemi a carico di reni o apparato digerente, tumori al fegato, problemi di natura psicologica (depressione, alterazione dell’umore, aggressività, disturbi affettivi, sociali, relazionali, esclusione sociale, delirium tremens, caratterizzante lo stato di abuso o di astinenza [43] dell’alcolista con la comparsa di sintomi fisici come tremori, sudorazione, deliri e allucinazioni). Esistono dei programmi di recupero e delle comunità terapeutiche, è efficace soprattutto la terapia di gruppo e l’utilizzo dell’orientamento sistemicorelazionale. Par. 8.10 DISTURBO DELL’ALIMENTAZIONE: ANORESSIA E BULIMIA L’anoressia: caratteristiche generali È un disturbo caratterizzato dalla presenza di evidenti alterazioni del comportamento alimentare. L’anoressia nervosa si contraddistingue per la fobia di ingrassare con conseguenti comportamenti di ostinato rifiuto del cibo e desiderio di perdere peso. La percezione dell’immagine corporea risulta alterata e subentra anche l’amenorrea (assenza delle mestruazione di almeno 3 cicli consecutivi). Quando il dimagrimento diventa più evidente le condizioni generali della persona diventano precarie, si riduce il livello di funzionamento sociale e compare la tendenza all’isolamento. Si possono associare determinate caratteristiche come: vomito provocato (presente anche nella bulimia), lavarsi fino a scorticarsi, la fissazione di mandare via lo sporco, predominano condotte ossessive sul cibo (sminuzzamento, nascondimento), domina l’eccessivo investimento sul cibo (es. il soggetto ne parla sempre), tendenza ad effettuare sforzi fisici, corse e vari esercizi ginnici nella convinzione che tali comportamenti facilitino l’espulsione dello scarso cibo assunto. Epidemiologia Colpisce in prevalenza il sesso femminile e compare generalmente nell’età adolescenziale. Si presenta più spesso nelle classi medio -alte. Psicopatologia Freud aveva già parlato di regressione alla fase orale, mentre la Klein ipotizzava un incompleto superamento della fase schizo-paranoide. Secondo Bruch nelle anoressiche è alterata l’immagine corporea a seguito di un disturbo della percezione del proprio corpo. Altri autori sostengono che il nucleo fondamentale del disturbo sia la fobia del sovrappeso che scatena ansia; il rifiuto del cibo e il desiderio di dimagrire sarebbero condotte di esitamento conseguenti. Secondo la scuola sistemicorelazionale esistono nelle famiglie delle anoressiche, alcune caratteristiche fondamentali quali la rigidità, l’ipercoinvolgimento emotivo del figlio, l’iperprotezione e la mancata risoluzione del conflitto dipendenza-autonomia. Altri attribuiscono [44] importanza all’enfatizzazione culturale della magrezza, come aspetto fondamentale dello stereotipo della bellezza femminile. Diagnosi Il DSM IV individua i seguenti criteri: Rifiuto di mantenere il peso corporeo nella norma; Eccessiva e immotivata paura dell’aumento del peso corporeo; Disturbi dell’immagine corporea con alterata percezione delle dimensioni del proprio corpo; Amenorrea secondaria per almeno tre cicli consecutivi. Il DSM IV identifica almeno due sottotipi di anoressia: Il tipo bulimico con periodici episodi di bulimia e/o condotte di eliminazione con vomito ed uso di farmaci (ad es. lassativi) Il tipo “restricter” nel quale la diminuzione del peso avviene col digiuno, la dieta e l’esercizio fisico. Quadro clinico La modalità di esordio può essere una banale dieta ipocalorica instaurata per smaltire il sovrappeso. Talvolta invece l’inizio è più subdolo con la paziente che fa “sparire” il cibo con modalità diverse (si induce il vomito, mente sulla reale quantità di alimenti ingeriti, etc…). Successivamente alle restrizioni nell’apporto del cibo si associa iperattività motoria. In questa fase la mancanza di coscienza di malattia ostacola qualunque tipo di intervento. Allorquando il dimagrimento diventa più evidente le condizioni generali diventano precarie, si riduce il livello di funzionamento sociale e compare la tendenza all’isolamento. Terapia La prima difficoltà da superare è la mancanza di collaborazione da parte del paziente, che nega lo stato di malattia. Il trattamento deve comprendere interventi internistici per correggere le conseguenze della denutrizione. La terapia farmacologica viene fatta con antidepressivi coadiuvato da un trattamento psicoterapico. L’ospedalizzazione si impone allorquando si verificano le seguenti condizioni: Sensibile calo ponderale con presenza di complicanze internistiche Inefficacia del trattamento ambulatoriale per aumentare il peso Presenza di rischio suicidario Ambiente familiare colpevolizzante o disturbante [45] Par. 8.11 La bulimia: caratteristiche generali La bulimia nervosa è caratterizzata da frequenti episodi di impulsi improvvisi e irresistibili a mangiare tutto il cibo che reperisce (episodi di abbuffate) e da modalità inappropriate di espulsione del cibo (condotte compensatorie) per smaltire ed espellere quanto ingurgitato al fine di evitare l’aumento di peso (es. vomito autoindotto, uso di lassativi, diuretici, eccessivo sforzo fisico, diete troppo rigide e digiuni). Epidemiologia L’età di esordio è tra i 12 e i 35 anni e le abbuffate avvengono in un periodo definito di tempo (2 ore circa)in cui il soggetto prova un impulso irrefrenabile e non gestibile a divorare cibo e mangia in quantità eccessiva. È netta la prevalenza nel sesso femminile. La richiesta di intervento in genere avviene non prima di 5 anni dall’esordio del disturbo. Psicopatologia La Bulimia è considerata una manifestazione di una predisposizione all’abuso di sostanze. Nelle famiglie delle bulimiche, in genere vi è un’alta incidenza di abuso di sostanze alcoliche e di sostanze psicoattive. Diagnosi Il DSM-IV individua i seguenti criteri: Ricorrenti episodi di ingestione massiccia di cibo in breve tempo Sensazione di mancanza di controllo del proprio comportamento alimentare durante le crisi Comportamenti incongrui messi in atto per evitare l’aumento ponderale (es. induzione del vomito, abuso di lassativi, digiuno, iperattività motoria) Le crisi bulimiche e le condotte di eliminazione avvengono in media, due volte alla settimana per almeno tre mesi Preoccupazione persistente ed eccessiva per la propria immagine corporea e del peso Vengono distinti due sottotipi: Con condotte di eliminazione (induzione del vomito e/o abuso di lassativi) Senza condotte di eliminazione (ricorso al digiuno o a iperattività motoria) [46] Clinica Generalmente questi pazienti sono normopeso, ma presentano una fobia per l’incremento ponderale e manifestano una eccessiva attenzione per la propria immagine corporea. Le crisi bulimiche sono comportamenti alimentari compulsivi che non sono dovuti a sensazioni di fame, ma ad un senso di malessere generale con transitori sintomi del quadro depressivo. Caratteristica è la modalità di inghiottire grandi quantità di cibo, di solito ipercalorico. In certi casi il bulimico assume durante una crisi da 5000 a 20000 calorie. La crisi dura da qualche minuto ad un’ora al termine della quale, il soggetto prova un senso di autosvalutazione e di disgusto. Segue poi uno stato di angoscia che può sfociare in tentativi di eliminazione del cibo (induzione del vomito, abuso di lassativi o diuretici). Queste incongrue condotte possono determinare comparsa di complicanze di tipo internistico da squilibri idroelettrolitici o altre disfunzioni organiche. Comorbidità Possono essere variamente associati a questo disturbo le seguenti patologie: Anoressia nervosa Disturbi dell’umore Disturbi da abuso di sostanze Disturbi di personalità (borderline, ossessivo - compulsivo, istrionico) Terapia È consigliato il trattamento integrato: la farmacoterapia, la psicoterapia e l’ospedalizzazione se opportuno. Par. 8.12 Il disturbo antisociale di personalità: caratteristiche generali Disturbo antisociale di personalità: lo stile di vita del soggetto è caratterizzato dall’intolleranza delle regole e dalla continua violazione dei diritti degli altri. Può essere diagnosticato a partire dai 18 anni ma già prima dei 15 la condotta deve apparire disturbata almeno in tre di questi aspetti: incapacità del soggetto di uniformarsi alle regole sociali e di comportarsi in modo legale, comportamento basato sulla menzogna, falsità e attività truffaldine a danno di altri per scopi personali di profitto o di piacere, impulsività e incapacità progettuale, aggressività manifestata in scontri fisici, incuranza della altrui e propria sicurezza. Il soggetto appare irresponsabile e incapace di portare avanti un’attività lavorativa o di studio in modo [47] continuativo o di far fronte ad obblighi sociali, legali e finanziari. Egli maltratta e deruba gli altri con indifferenza senza mai provare alcun tipo di rimorso. Frequentemente il soggetto ha alle spalle una storia di crudeltà, trascuratezza, deprivazione e abusi da parte delle figure genitoriali. La caratteristica principale di questa personalità disturbata è la tendenza piuttosto precoce a violare i diritti altrui. La radicale difficoltà ad adeguarsi alle norme sociali ed al rispetto della legalità può comportare la messa in atto di azioni illegali che possono comportare l’arresto o la reclusione. La tendenza ad una condotta disonesta si evidenzia anche attraverso la menzogna abituale, i ripetitivi tentativi di truffare o raggirare gli altri. Il profilo del disturbo completato da aspetti quali l’impulsività, l’irritabilità, l’aggressività, l’incapacità ad assumersi responsabilità e a rispettare gli impegni, l’indifferenza e la mancanza di rimorso nei confronti del danno arrecato agli altri. Tali soggetti chiedono raramente un aiuto psichiatrico, più spesso sono spinti a farlo dai familiari e si sottopongono malvolentieri alla consultazione, tentando di manipolare il colloquio e di presentare all’interlocutore una facciata normale o addirittura accattivante, apparentemente priva di significative anormalità. Par. 8.13 Disturbo Antisociale e Disturbo Narcisistico di Personalità La caratteristica essenziale del Disturbo Antisociale di Personalità è un quadro di comportamenti che viola i diritti degli altri e le regole sociali principali,infatti non riescono a conformarsi né alla legge, per cui compiono atti illegali (es. distruggere proprietà, truffare, rubare), né alle norme sociali, per cui attuano comportamenti immorali e manipolativi (es. mentire, simulare, usare false identità) traendone profitto o piacere personale (es. denaro, sesso, potere). Gli individui con disturbo antisociale hanno un comportamento caotico e scarsamente in sintonia con le richieste della società. Sono frequentemente disonesti e manipolativi per trarre profitto o piacere personale. Le decisioni vengono prese sotto l’impulso del momento, senza considerazione delle conseguenze per sé e per gli altri. Dinanzi ad un loro comportamento antisociale possono minimizzare le conseguenze dannose oppure semplicemente mostrare completa indifferenza,generalmente non provano senso di colpa. Il Disturbo Narcisistico di personalità è caratterizzato da una mancanza di sensibilità verso gli altri, da ostentazione e grandiosità e bisogno continuo di adulazione. Il soggetto si sente superiore a tutti e per darsi importanza esagera e [48] amplifica i propri comportamenti, le proprie capacità e i propri risultati. Fantastica di diventare importante, di avere potere, un fascino illimitato, un enorme successo in tutti i campi e di trovare l’amore ideale. La sua richiesta di eccessiva ammirazione lo porta a svalutare gli altri. Egli si sente speciale e ritiene di essere il solo a dover frequentare persone e ambienti elevati e degni a lui. Tutto gli è dovuto e gli altri devono inchinarsi davanti a lui, favorirlo in tutte le circostanze e soddisfare tempestivamente le sue aspettative. Egli non rispetta le persone, non ne avverte i bisogni né i sentimenti ma le sfrutta per ottenere i propri scopi. Il suo comportamento è altezzoso, si crede invidiato ma in realtà è lui che invidia gli altri. In genere è una persona che ha raggiunto una posizione sociale di successo. Il partner si presenta molto bene esteticamente ed è vissuto come un accessorio. Il narcisista non si mette mai in dubbio, in discussione e non è in grado di relazionarsi all’altro, di collocarsi nel sistema coppia e mostrare affettività. Gli elementi centrali del disturbo sono costituiti dalla grandiosità, dal desiderio di essere ammirati e dalla mancanza di empatia. A causa di un’autostima grandiosa questi soggetti sono inclini ad una particolare vulnerabilità quando l’immagine di sé viene danneggiata (il soggetto ha bisogno di mettersi in mostra per suscitare approvazioni, esibizionismo, tutto ciò comporta una possibile debolezza nell’organizzazione di personalità che si concretizza se va incontro ad una ferita narcisistica). Un sentimento grandioso della loro importanza li porta a coltivare fantasie di successo illimitato, potere,bellezza o amore ideale e la convinzione di essere unici e speciali. Hanno anche una forte aspettativa di essere tenuti in grande considerazione dagli altri, aspettandosi riconoscimenti o trattamenti di favore, irrealistici e poco motivati e senza il minimo senso di reciprocità. Tendono quindi a idealizzare gli altri, ma ben presto li svalutano e li disprezzano quando notano qualcosa in loro che non va. La scarsa capacità empatica li rende poco attenti ad avvertire i bisogni degli altri e a potersi identificare con loro, cercando di utilizzarli e sfruttarli per i propri scopi. Fondamentalmente questi soggetti sono deboli e insicuri e tutta una serie di strategia compensatoria tende a proteggere la loro debole autostima. Il loro fragile equilibrio narcisistico viene facilmente danneggiato dalle esperienze della vita o da eventi anche di scarsa importanza e quando ciò accade può comparire, oltre una violenta reazione di collera, una situazione depressiva, non raramente a rischio suicidario. [49] Par. 8.14 Il Disturbo Somatoforme: La persona con disturbo da somatizzazione (isteria, come veniva definito una volta), avverte dolori fisici in più parti del corpo e per molto tempo senza che in realtà ci siano cause organiche. Il disturbo da somatizzazione presenta anche sintomi pseudo - neurologici come alterazione dell'equilibrio, paralisi, difficoltà a deglutire ecc... Disturbo da Ipocondria: e' la convinzione di essere gravemente malati nonostante che dagli accertamenti medici non risulti nessuna malattia. La persona se ne convince interpretando i sintomi in maniera errata, e continua a pensarlo anche di fronte all'evidenza che non si tratta di malattia. CAP. 9 ALTRI DISTURBI DI PERSONALITA’ I disturbi di personalità sono costituiti da un certo raggruppamento di tratti di personalità che possono essere considerati come una esasperazione di componenti e aspetti della personalità normale. Essi sono definiti come un insieme di tratti di personalità inflessibili e maladattivi che causano oltre che un disagio soggettivo, un danno significativo nel funzionamento sociale e nella capacità di lavoro. Sono tratti di personalità enormemente alterati che riguardano essenzialmente la: sfera affettiva, sfera cognitiva controllo degli impulsi bisogno di gratificazione modalità di rapportarsi con gli altri un disturbo di personalità, quindi, determina spesso un disfunzionamento globale che può compromettere la maggior parte delle aree della vita: lavoro, relazioni, affettività, mondo sociale. Tali per poi poter essere considerati un disturbo devono esser presenti sin dall’adolescenza o dall’età giovanile e manifestarsi costantemente a particolari situazioni stressanti. Il rapporto con la realtà è conservato per la maggior parte del tempo, tranne che per periodi molto limitati, nei quali possono a volte verificarsi brevi episodi psicotici. I disturbi di personalità,infine,espongono ad un rischio elevato di comorbilità per depressione e rappresentano un significativo fattore di rischio per suicidio, consumo di droghe, comportamento violento. [50] Par. 9.1 Disturbo isterico e istrionico, disturbo paranoide, disturbo schizoide e schizotipico, disturbo evitante e dipendente di personalità Il disturbo isterico chiamato anche disturbo di conversione. La caratteristica fondamentale è l’utilizzo della sessualità a scopo deduttivo per ricercare conferma di se stessi e della propria identità. Si tratta infatti di identità non coese, deboli, che hanno sempre bisogno di conferme da parte degli altri (seduce e raggiunge un’intimità sessuale). Il disturbo istrionico invece si caratterizza perché il soggetto utilizza la sessualità e la sensualità a scopo manipolativo, come atto di rivendicazione di potere sugli uomini (seduce e abbandona). L’aspetto fondamentale del disturbo è rappresentato da un eccesso di preoccupazione per la propria apparenza: il soggetto ricerca l’attenzione altrui a tal punto da sentirsi a disagio nelle situazioni in cui non è al centro dell’attenzione. Il desiderio di essere attraente può condurre ad utilizzare un abbigliamento inappropriatamente deduttivo e provocante. La modalità di comunicazione è improntata alla iperespressione delle emozioni, alla teatralità, alla drammatizzazione. Lo stile del linguaggio tende ad essere esagerato, superficiale e vi è una costante difficoltà ad occuparsi dei dettagli e ad analizzare i problemi o le situazioni. Il disturbo paranoide ha come tratto dominante una forte tendenza alla sospettosità e alla mancanza di fiducia negli altri, che porta questi soggetti ad essere guardinghi con gli altri pensando che possa essere danneggiato. Questo aspetto psicologico li porta ad essere litigiosi, moralistici, incapaci di rilassarsi e di esprimere sentimenti di calore e simpatia. La preoccupazione a ricevere un danno dagli altri determina anche una scarsa propensione a sviluppare rapporti di intimità e impedisce loro di confidarsi per il timore di poter essere traditi o che le informazioni possono essere usate contro di loro. Sotto stress, questi soggetti possono manifestare deliri di persecuzione o idee di riferimento, comunque transitori. Questi soggetti in realtà proiettano sugli altri il loro mondo interno cercando di preservarlo da potenziali minacce. Il disturbo schizoide è caratterizzato dal restringimento dell’area socio-relazionale, da una diminuita capacità di esprimere emozioni in una dimensione interpersonale, non desiderando di partecipare a rapporti di intimità né a livello amicale, né a livello familiare. La tendenza marcata all’isolamento, lo porta a scegliere attività solitarie anche nel tempo libero e ad avere una scarsa propensione anche all’incontro, allo scambio e alla condivisione relativamente alla vita sessuale, verso la quale ha una [51] debole spinta. L’affettività risulta piatta, fredda, scolorita e il rapporto con gli altri è spesso connotato dal distacco e dall’indifferenza. Il disturbo schizotipico consiste in una chiusura e scarsa socializzazione sul piano del funzionamento sociale e interpersonale che determina un estremo disagio nelle relazioni intime ed una ridotta capacità di affrontarle; inoltre distorsioni cognitive e percettive e comportamento eccentrico. Possono essere presenti idee di riferimento, credenze insolite, pensiero magico che influenzano il comportamento. Il linguaggio può presentare caratteri di stranezza o aspetti bizzarri, il soggetto può essere sospettoso o diffidente e sviluppare un’ideazione paranoie. L’affettività è inappropriata e ristretta e le relazioni amicali e confidenziali sono molto carenti. Tratti schizotipici sfumati possono essere compatibili con una personalità normale, capace di adattarsi alla normalità. Lo schizotipico può dare l’impressione di produrre sintomi psicotici. Il disturbo evitante ha come caratteristiche: l’inibizione sociale, i sentimenti di inadeguatezza, l’ipersensibilità alle valutazioni negative. Il soggetto tende ad evitare tutte quelle attività che implicano una relazione interpersonale significativa in quanto teme di essere criticato, disapprovato o rifiutato. Così non è disposto a coinvolgersi con qualcuno se prima non ha la certezza di essere gradito o manifesta evidenti limitazioni nelle relazioni intime per il timore di essere umiliato o ridicolizzato. Allo stesso modo è preoccupato di essere criticato o rifiutato nelle situazioni sociali e mostra notevoli inibizioni dei nuovi rapporti per via di un senso di inadeguatezza. La convinzione di essere inferiore agli altri lo rende particolarmente riluttante ad assumere rischi sul piano personale o ad affrontare nuove attività. Ha paura di non essere all’altezza di instaurare un rapporto con l’altro e preferisce rinunciare pur di non mettersi a confronto. Il disturbo di personalità dipendente si caratterizza per un bisogno di dipendenza dagli altri e un timore di esser abbandonati che determina un comportamento sottomesso e adesivo, compiacente e remissivo. Sono soggetti che raramente prendono un decisione di propria iniziativa, hanno costantemente bisogno dell’approvazione degli altri. Essi assumono posizioni subalterne e non esprimono il loro disaccordo con gli altri per paura della perdita del loro sostegno e della loro approvazione. [52] CAP. 10 I DISTURBI DELL’AREA PSICOTICA Par. 10.1 La schizofrenia: caratteristiche generali La schizofrenia è un grave disturbo psicotico: chi ne è affetto diventa del tutto indifferente a ciò che accade, reagisce in modo assurdo o incoerente agli eventi esterni, perde il contatto con la realtà e si isola in un mondo suo proprio, incomprensibile agli altri. A causa della sua caratteristica destrutturante della personalità, la schizofrenia compromette tutti gli aspetti della vita del soggetto, sconvolgendo profondamente la sua rete relazionale e, quindi, coinvolgendo anche il nucleo familiare. L’ESAME DI REALTÀ È LA COME PROPRI, LA CAPACITÀ DI VALUTARE PENSIERI E AFFETTI POSSIBILITÀ DI DIFFERENZIARE IL SÉ DAL NON SÉ, L’INTERNO DALL’ESTERNO, E LA CAPACITÀ DI VALUTARE I PROPRI IMPULSI E AFFETTI IN RIFERIMENTO ALLE NORME SOCIALI. Nello schizofrenico l’esame di realtà è frammentato, il pensiero è scisso, si assiste ad un’incapacità relazionale (incapacità di differenziare il dentro dal fuori), si ha la perdita del senso del Sé e dell’identità, non c’è un pensiero simbolico ma il loro pensiero è concreto e quindi se faccio delle domande agli psicotici, rispondono dicendo un’altra cosa. Cenni storici La schizofrenia è un’alterazione psichica conosciuta in ogni epoca e luogo; inizialmente era chiamata da Emil Kraepelin dementia praecox per indicare tutti quei casi accomunati dalla presenza di una compromissione della vita affettiva ed emotiva, alterazioni della volontà, deliri, allucinazioni, progressivo deterioramento mentale, con esito in demenza. Nel suo Trattato di psichiatria Kraepelin aveva già individuato tre forme possibili di schizofrenia: schizofrenia ebefrenica, in cui prevale la dissociazione del pensiero schizofrenia paranoica, dove prevalgono idee fisse, allucinazioni e deliri schizofrenia catatonica, in cui prevalgono i "disturbi della volontà" o disorganizzazione comportamentale. [53] Epidemiologia L’esordio avviene più frequentemente nell’età adolescenziale o giovanile, con un’incidenza massima tra i 15 e i 35 anni. L’esordio dopo i 35 anni sembra essere più frequente nella donna che nell’uomo. Per quanto riguarda lo stato civile, i pazienti affetti da disturbo schizofrenico sono più spesso non coniugati o hanno più probabilità di divorziare. Non sposarsi può essere una causa della malattia (il disturbo non permette al soggetto di sposarsi) o un effetto. Relativamente alle classi socioeconomiche, si denota una maggiore concentrazione della patologia nelle classi meno agiate. Cause Un aspetto rilevante nello studio dei disturbi schizofrenici è chiedersi quali siano le cause dell’insorgenza della malattia. Nella comparsa del disturbo schizofrenico è fondamentale considerare una componente di tipo ereditario. Ma cosa viene ereditato? Si eredita la predisposizione ovvero fattori biologici che possono rappresentare una predisposizione di tipo genetico; se entrambi i genitori sono schizofrenici la frequenza aumenta notevolmente. Alla base del disturbo le cause scatenanti sono: 1. Fattore di ordine genetico (componente ereditaria) 2. Fattore di tipo ambientale 3. Fattore di ordine psicologico Genetico e ambientale I ricercatori sanno da tempo che la schizofrenia è un disturbo a carattere familiare. La malattia si presenta in nell’uno per cento della popolazione generale, ma si osserva nel 10 per cento delle persone che hanno un parente di primo grado con la malattia, come ad esempio un genitore, fratello o sorella. Persone che hanno parenti di secondo grado (zie, zii, nonni, o cugini ) con la malattia sviluppano anch’essi la schizofrenia più spesso rispetto alla popolazione generale. Il rischio è poi più elevato per un gemello identico di un malato, lui o lei ha una probabilità dal 40 al 65 per cento di sviluppare la malattia. Noi ereditiamo i nostri geni da entrambi i genitori, si ritiene che diversi geni siano associati ad un aumentato rischio di schizofrenia, ma che nessun gene causi la malattia da solo. In realtà la ricerca recente ha scoperto che le persone affette da schizofrenia tendono ad avere tassi più alti di rare mutazioni genetiche, queste differenze coinvolgono centinaia di geni differenti e, probabilmente, interrompono lo sviluppo cerebrale. Altri studi recenti suggeriscono che la schizofrenia possa derivare dal malfunzionamento di [54] un importante gene preposto alla regolazione di delicati equilibri: questo problema può influire sulla parte del cervello coinvolta nello sviluppo delle capacità superiori. La ricerca su questo gene è in corso, quindi non è ancora possibile utilizzare le informazioni genetiche per prevedere chi svilupperà la malattia. Si pensa comunque che un gene mal funzionante non sia sufficiente allo sviluppo della malattia e si pensa che le interazioni tra i geni e l’ambiente siano necessarie per sviluppare la schizofrenia: molti fattori ambientali possono essere coinvolti , come l’esposizione a virus o malnutrizione prima della nascita, i problemi durante il parto ed altri fattori psicosociali non ancora noti. Chimica e struttura cerebrale. Una seconda causa si pensa essere uno squilibrio nelle complesse reazioni chimiche del cervello ad una iperattività dopaminergica (dopamina): il rilascio della dopamina è alterato a causa del neurotrasmettitore che funziona male. Attraverso la farmacoterapia, con i farmaci antipsicotici (neurolettici) si blocca il recettore dopaminergico. . La neuroradiologia Nello schizofrenico anche la forma del cervello risulta essere diversa rispetto al cranio di una persona definita normale. Con la TAC e la RMN si può evidenziare una dilatazione dei ventricoli che provoca una compromissione delle funzioni cognitive e si riscontra un’asimmetria tra i due emisferi cerebrali. I movimenti oculari sono alterati, quelli lenti di fissazione risultano meno precisi e i movimenti di spostamento rapido degli occhi tende ad aumentare e ad interferire con i movimenti lenti. Fumo ed abuso di sostanze Alcuni soggetti che fanno abuso di droghe mostrano sintomi simili a quelli della schizofrenia; parallelamente soggetti con schizofrenia possono essere scambiati per tossicodipendenti. La gran parte dei ricercatori non crede che l’ abuso di sostanze causi la schizofrenia, ma per i soggetti malati è più probabile un abuso di droghe o di alcol rispetto alla popolazione generale . L’ abuso di sostanze può rendere meno efficace il trattamento per la schizofrenia: alcune sostanze, come la marijuana e stimolanti come amfetamine o cocaina, potrebbero peggiorare i sintomi. La ricerca ha mostrato una crescente evidenza riguardo al legame tra marijuana ed i sintomi della schizofrenia, è inoltre meno probabile che soggetti che abusano di droghe seguano il loro piano terapeutico . [55] Schizofrenia e fumo La dipendenza dalla nicotina è la più comune forma di abuso di sostanze in soggetti con schizofrenia, essi sono dipendenti dalla nicotina con un tasso tre volte più alto di quello della popolazione generale (dal 75% al 90% vs. dal 25% al 30%). Il rapporto tra fumo e schizofrenia è complesso: persone malate sembrano essere spinte a fumare e i ricercatori stanno verificando se esista una base biologica per questa esigenza. In aggiunta ai sui noti pericoli per la salute vari studi hanno rilevato che il fumo può rendere meno efficaci i farmaci antipsicotici. Smettere di fumare potrebbe essere molto difficile per i soggetti con schizofrenia, perché l’astinenza dalla nicotina potrebbe peggiorare i sintomi psicotici. Le strategie per smettere che includono i metodi sostitutivi della nicotina potrebbero essere più semplici da seguire per i pazienti. I medici che trattano le persone affette da schizofrenia dovrebbero controllare la risposta dei pazienti ai farmaci antipsicotici con attenzione se il paziente decide di iniziare o smettere di fumare. Fattore psicologico: Le esperienze soggettive e il contesto familiare giocano sicuramente un ruolo predominante nello sviluppo della malattia. IL DISTURBO SCHIZOFRENICO È DUNQUE UNA SITUAZIONE DI DISAGIO PSICHICO ED ESISTENZIALE CON ALLA BASE ELEMENTI DI CAUSA MULTIFATTORIALI (GENETICA, AMBIENTE E FAMIGLIA, SITUAZIONE TRAUMATICA VISSUTA). È TRA I PIÚ GRAVI DISTURBI MENTALI IN QUANTO DALLA SCHIZOFRENIA NON SI GUARISCE, LA CURA FARMACOLOGICA HA LO SCOPO DI LIMITARE LA COMPARSA ALLUCINAZIONI) E DI CONTROLLARE LA DI SINTOMI (DELIRI E CONDIZIONE DI DISAGIO DEL SOGGETTO. Diagnosi e prognosi La diagnosi è clinica e anamnestica; tale disturbo per essere definito tale deve durare per almeno 6 mesi e devono verificarsi una grande varietà di sintomi, che si distinguono in positivi e negativi. [56] I sintomi positivi ( schizofrenia tipo I ) riflettono una distorsione del funzionamento normale e sono costituiti da: ALLUCINAZIONI DELIRI ELOQUIO DISORGANIZZATO ALTERAZIONE DEL COMPORTAMENTO (BIZZARRO E DISORGANIZZATO) Le allucinazioni sono disturbi della percezione comuni nelle persone affette da schizofrenia. Si tratta di percezioni che non hanno alcun riscontro nella realtà. Sebbene le allucinazioni possano interessare qualsiasi senso (udito, vista, tatto, gusto ed olfatto), la forma più comune di allucinazione in corso di schizofrenia è data dal sentire le voci. I deliri indicano una varietà di stati mentali confusionali in cui l'attenzione, la percezione e compromesse. la cognizione del soggetto appaiono significativamente I pazienti che soffrono di sintomo paranoide ad esempio, manifestano deliri di persecuzione, o credono irrazionalmente di essere vittima di inganni, minacce, avvelenamenti o cospirazioni. L'eloquio disorganizzato, conosciuto anche come disturbo formale del pensiero, si riferisce all'incapacità di organizzare le idee e di parlare in modo che un ascoltatore possa comprendere. I discorsi di uno schizofrenico sono incoerenti, talvolta la persona non è in grado di rimanere focalizzato su un argomento. Comportamento bizzarro: alcune volte il paziente schizofrenico, assume posture strambe, trasgredisce le regole della convivenza sociale (si denuda in pubblico) o manifesta comportamenti incongruenti con la situazione (ride ad un funerale). I sintomi negativi ( schizofrenia di tipo II )riguardano l’appiattimento o la perdita di normali funzioni, comprendono invece: APPIATTIMENTO AFFETTIVO ALOGIA ABULIA ANEDONIA CHIUSURA RELAZIONALE [57] Appiattimento affettivo invece, non reagiscono praticamente a nessuno stimolo. Hanno lo sguardo vuoto, i muscoli del viso totalmente inespressivi, gli occhi privi di vita, rispondono con un tono di voce piatto e incolore. Alcuni pazienti schizofrenici presentano anche gravi compromissioni nei rapporti sociali; hanno pochi amici, mediocri abilità sociali e sono scarsamente interessati a stare insieme alla gente . Alogia è povertà di linguaggio e tende ad essere vaga e ripetitiva. Abulia, è un disturbo della volontà e consiste nell’incapacità di prendere una decisione, di iniziare o portare a termine un’azione in rapporto a eventi anche banali. I pazienti possono trascurare l'abbigliamento e l'igiene personale, i capelli sono spettinati, le unghie sporche, i denti non lavati. Inoltre essi mostrano grande difficoltà nel portare avanti le attività lavorative, scolastiche o domestiche e trascorrono gran parte del tempo sedendo qua e là senza far nulla. Anedonia è una perdita di interesse o di piacere; si manifesta come mancanza di interesse nelle attività ricreative, incapacità di sviluppare rapporti stretti con le altre persone e mancanza di interesse per l'attività sessuale. Chiusura relazionale: si riferisce ai problemi nell’allacciare e mantenere amicizie, coloro che soffrono di schizofrenia possono avere poche relazioni intime ed avere contatti superficiali e sporadici con il prossimo. Nei casi estremi possono chiudersi totalmente alla vita sociale. La schizofrenia di tipo I, a sintomi positivi esordisce in modo acuto, la personalità premorbosa è sufficientemente strutturata, la risposta al trattamento farmacologico risulta soddisfacente e nella maggior parte dei casi la sintomatologia può essere controllata (questa forma è spesso legata alla iperattività dopaminergica, per cui farmaci neurolettici bloccano il rilascio di dopamina). La schizofrenia di tipo II, a sintomi negativi esordisce in maniera graduale, la personalità premorbosa appare povera, l’esordio è graduale, è scarsa la risposta al trattamento farmacologico (le cause vanno riferite a fattori di tipo strutturale, legate ad asimmetrie del cervello; questi sintomi hanno un valore prognostico più grave rispetto ai sintomi positivi). Par. 10.2 Criteri diagnostici del DSM IV per definire la schizofrenia Secondo il DSM IV è possibile formulare una diagnosi di Schizofrenia quando sono presenti due (o più) dei seguenti sintomi caratteristici, ciascuno presente per un periodo di un mese: [58] DELIRI ALLUCINAZIONI ELOQUIO DISORGANIZZATO (incoerenza, linguaggio frammentato) COMPORTAMENTO DISORGANIZZATO SINTOMI NEGATIVI (appiattimento affettivo, alogia) La diagnosi differenziale Una sintomatologia di tipo psicotico può presentarsi in una notevole quantità di quadri psichiatrici non schizofrenici. Possono, pertanto, causare sintomi psicotici pur non essendoci in atto una schizofrenia: INTOSSICAZIONE DA DROGHE O FARMACI O UN LORO USO PROLUNGATO (le sostanze più implicate sono cocaina, anfetamine, allucinogeni, steroidi); MALATTIE DEL SNC (epilessia, tumori cerebrali, encefaliti, malattie degenerative); DISTURBI DI PERSONALITÀ SCHIZOIDE, SCHIZOTIPICO, PARANOIDE (presentano solo per brevi periodi deliri, allucinazioni e disorganizzazione comportamentale). La clinica I disturbi schizofrenici presentano, dunque, una grande varietà sintomatologica. Lo sviluppo del disturbo avviene nella maggior parte dei casi: nell’età adolescenziale o giovanile; il rendimento scolastico o l’impegno lavorativo possono cominciare a decrescere senza alcuna ragione significativa; compare un ritiro sociale crescente, accompagnato da una graduale perdita dell’interesse per le attività abituali; possono comparire stranezze comportamentali (prima sfumate e poi più consistenti); possono emergere anormalità a carico della funzione ideativa dominata da tematiche inusuali, filosofiche, preoccupazioni per il proprio aspetto fisico o per la propria salute, distorsione della vita affettiva che può comportare una quota elevata di ansia, appiattimento della risposta emotiva; si è in presenza di labilità e instabilità dell’umore, euforia o tristezza poco attinenti alle situazioni, disagio affettivo e peggioramento della performance cognitiva. [59] Tale esordio in cui la sintomatologia, il distacco dall’ambiente e la frattura con la realtà si rendono evidenti in modo progressivo portano frequentemente alla comparsa del disturbo schizofrenico. Il DSM IV distingue 5 sottotipi di schizofrenia: tipo paranoide, tipo disorganizzato, tipo catatonico, indifferenziato e residuo. La forma paranoide è caratterizzata da deliri (spesso di onnipotenza, di persecuzione, di gelosia)e allucinazioni (frequentemente uditive). È la forma meno grave rispetto alle altre, l’esordio è più tardivo, e i soggetti hanno dei risultati positivi alla farmacoterapia. La forma disorganizzata presenta come sintomi preminenti: deliri e allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento disorganizzato (ovvero incapacità e disorientamento nel raggiungere una meta), affettività appiattita o inadeguata. Comportamenti quotidiani come il fare la doccia o vestirsi possono risultare altamente problematici per questi soggetti. È la forma più grave della schizofrenia, l’esordio è più precoce. La forma catatonica è quella che presenta le maggiori alterazioni a carico della psicomotricità: immobilità o iperattività motoria sino all’agitazione, mantenimento di rigide posture immodificabili dall’esterno, mutismo, assunzione volontaria di posture bizzarre o inadeguate, manierismi. La forma indifferenziata presenta sintomi come deliri, allucinazioni, appiattimento affettivo, eloquio disorganizzato. La forma residua infine è caratterizzata dalla presenza di almeno un episodio schizofrenico ma allo stato attuale, quello della valutazione, non devono essere presenti sintomi psicotici rilevanti. Se sono, ad es., presenti deliri e allucinazioni essi non sono rilevanti e non sono accompagnati da intensa affettività. Il tipo residuo è caratterizzato dalla transizione da un periodo sviluppato ad uno di probabile remissione. Terapia L’approccio terapeutico alla schizofrenia si avvale della farmacoterapia, psicoterapia e processi riabilitativi. La farmacoterapia : Il trattamento farmacologico viene oggi considerato fondamentale nel trattamento della Schizofrenia. I farmaci impiegati in questa cura agiscono soprattutto sui deliri e sulle allucinazioni, diminuendo il senso di angoscia e le reazioni aggressive. Appartengono alla famiglia degli antipsicotici, che comprende i farmaci di prima generazione e i cosiddetti “atipici”: clozapina, olanzapina, risperidone e [60] quetiapina. Hanno una doppia azione, mirata sia al controllo dell’eccesso di dopamina, sia al controllo della serotonina. In ogni caso, anche questi farmaci possono avere effetti indesiderati nei trattamenti a lungo termine, come l’aumento di peso. La psicoterapia: l'obiettivo è sviluppare una relazione collaborativa tra il paziente, la sua famiglia e il medico, così che il paziente possa imparare a comprendere e a gestire la propria malattia, a prendere i farmaci secondo le prescrizioni e a gestire più efficacemente lo stress. Le ultime ricerche ed esperienze sia in campo psichiatrico che psicoterapico dimostrano che un approccio integrato (farmacologico + psicoterapeutico) ottiene un controllo migliore della patologia. Possono a volte risultare utili anche tecniche che inducono un leggero stato di autoipnosi (come il training autogeno), tutte le tecniche di rilassamento muscolare e respiratorio, lo yoga e la meditazione (ma solo a livello complementare, e sempre sotto espressa indicazione psichiatrica). Le terapie del passato, come le applicazioni elettroconvulsivanti (elettroshock) e l'insulinoterapia, non hanno mai dato risultati apprezzabili e sono sempre meno impiegate. Va detto che la TEC (terapia elettroconvulsivante) viene ancora oggi utilizzata nelle forme particolarmente resistenti ai farmaci, sebbene in condizioni molto più controllate di quanto non si facesse in passato. La terza forma importante della terapia della psicosi schizofrenica è costituita dagli interventi riabilitativi che vanno considerati come un approccio indispensabile al disturbo e che deve guidare dall’inizio del trattamento sul piano psichiatrico, psicosociali in un’ottica terapeutica di intervento e prevenzione. Il Ricovero ospedaliero è necessario per trattare gravi deliri o allucinazioni, seri pensieri suicidi, l’inabilità di provvedere a se stessi, o gravi problemi connessi a droga o alcolici. Par. 10.3 Classificazione dei vari tipi di deliri Il delirio è un disturbo psicopatologico frequente nelle sindromi psicotiche acute e croniche ed è la convinzione patologia erronea che non ha nessun riscontro nella realtà; è quindi un’idea falsa e assurda che viene considerata vera a tutti gli effetti. È assente la delimitazione tra la realtà interna e quella esterna, il soggetto vive in una dimensione di grande confusione. Un’importante distinzione è da fare tra l’intuizione delirante (ad una percezione normale si associa una percezione delirante, il soggetto vede qualcosa e ha una percezione esatta ma attribuisce ad essa un’interpretazione delirante) e l’atmosfera [61] delirante (tipica nell’ambito dell’esordio schizofrenico, il soggetto avverte che qualcosa sta cambiando, avverte una variazione della realtà che lo circonda e della propria realtà interna). Il delirio può essere classificato in base al: contenuto (d. a tematica persecutoria, di grandezza, depressivi, di gelosia, mistico-religioso); decorso (d. acuti, cronici, episodici, ricorrenti e residui); comprensibilità (d. primario e secondario); stabilità (d. sistematizzato e non sistematizzato); stato di coscienza (d. lucido e d. confuso). Il delirio di persecuzione è la convinzione patologica errata di essere circondato da un ambiente stabile persecutorio; i persecutori possono essere cose, persone, organizzazioni e in genere il soggetto psicotico identifica il suo persecutore. Tra i deliri a tematica persecutoria sono compresi: 1) i d. persecutori; 2) i d. di nocumento (il paziente è convinto che qualcuno voglia danneggiarlo, ma non lo identifica); 3) d. di veneficio (che qualcuno voglia avvelenarlo); 4) d. di influenzamento (che delle forze esterne lo condizionano, agendo sul suo corpo, movimenti e pensieri, costringendolo anche a compiere determinate azioni), è un delirio caratteristico delle sindromi schizofreniche; 5) d. di riferimento (che gesti, atti, parole altrui o situazioni possano essere diretti al paziente, per fargli giungere messaggi di amore o di minaccia); 6) di rivendicazione o di querela (il soggetto fa continuamente causa a qualcuno che ritiene lo abbia danneggiato. Si verifica nella Schizofrenia o in stati ipomaniacali); I deliri di grandezza, riscontrabili nella Schizofrenia, sindromi maniacali e paranoia, comprendono: 1) il tipo megalomanico (il soggetto è convinto della sua immensa grandezza); 2) genealogico (il soggetto è convinto di far parte di una famiglia importante); 3) di potenza (il soggetto si identifica con persone famose); 4) inventivo (il soggetto dice di essere qualcuno di famoso); 5) erotomanico (il soggetto dice di essere amato da una persona famosa o appartenente ad un ceto superiore). [62] I deliri depressivi sono frequenti nei disturbi depressivi maggiori; le varianti principali sono rappresentate dai deliri: 1) di rovina (il soggetto è convinto stia per succedere una catastrofe); 2) ipocondriaci (preoccupazione esagerata, abnorme per il proprio stato di salute); 3) di colpa (il soggetto attribuisce a se stesso la colpa, ritenendosi responsabile del malessere di un familiare); 4) di autoaccusa (correlato al delirio di colpa); 5) nichilistico o di negazione di parti del proprio corpo o della realtà (il soggetto è convinto che il suo corpo non esiste più o lui non esiste più). Il delirio di gelosia o delirio di infedeltà coniugale si può manifestare nelle sindromi paranoiche, nell’alcolismo cronico e in alcune sindromi psicorganiche come le demenze. Il soggetto è convinto di essere vittima di un’infedeltà. Il delirio viene distinto in primario, quando non risulta derivabile da alcuna reale esperienza psicologica, risulta incomprensibile in quanto non riusciamo a collegarlo in nessun modo all’esperienza psichica del soggetto e in secondario, quando presenta un rapporto con un certo stato mentale, è spiegabile (una particolare condizione affettiva o emotiva del soggetto, in uno stato depressivo può emergere il delirio di colpa o di autoaccusa). I deliri sono detti sistematizzati quando le idee deliranti sono connesse tra loro; sono detti non sistematizzati quando c’è un’elevata frammentarietà, non c’è un concetto ben preciso che si ripropone. Un concetto caratteristico è la memoria delirante (ricordo, avvenimento del passato che viene spiegato in maniera delirante). Infine, se lo stato di coscienza è integro e il soggetto è vigile si parla di delirio lucido, mentre se il delirio si produce in una condizione di alterazione della coscienza di tipo confusionale si parla di delirio confuso. Lo riscontriamo frequentemente nel delirium, stati tossici o febbrili. Cap. 11 DISTURBO DELIRANTE ED ALTRI DISTURBI PSICOTICI Par.11.1 Il disturbo delirante: caratteristiche fondamentali Il disturbo delirante o paranoia è diverso dalla schizofrenia ed è caratterizzato dalla presenza di un delirio sistematizzato (non bizzarro, riguardante situazioni che si verificano nella vita reale), in assenza di allucinazioni e con un’evoluzione senza [63] deterioramento. L’epidemiologia non è conosciuta e la mancanza di coscienza di malattia da parte di questi soggetti rende difficile l’invio allo specialista e la tolleranza della famiglia e del gruppo sociale. Le caratteristiche di tale disturbo sono: insicurezza, diffidenza, riservatezza, utilizzo di meccanismi di difesa infantili (negazione, proiezione,…), presenza di deliri che si verificano per almeno 1 mese. I contenuti del delirio possono avere varie tematiche: di persecuzione: convinzione di essere trattati male da un singolo o da un gruppo; di rivendicazione: convinzione di essere stati vittima di un’ingiustizia; di gelosia: convinzione dell’infedeltà del proprio partner; di grandezza: convinzione di possedere straordinarie capacità; di tipo erotomanico: convinzione di essere amati da una persona appartenente ad una classe sociale superiore; di tipo somatico: convinzione di essere affetti da una grave malattia. Caratteristico è il fatto che il paziente al di fuori delle tematiche deliranti, conserva un discreto adattamento sociale e lavorativo. Il decorso tende alla cronicità in un’alta percentuale di casi. Secondo il DSM IV per porre diagnosi è necessaria la presenza per almeno un mese di un delirio in assenza di un disturbo dell’umore, di sintomi caratteristici della schizofrenia o di un disturbo mentale organico. La terapia può essere problematica, questi tipi di pazienti non accettano di avere il problema e difficilmente si fanno seguire da uno specialista. Par. 11.2 La parafrenia È un quadro clinico intermedio tra la Paranoia e la Schizofrenia. Le caratteristiche fondamentali della Parafrenia sono: presenza di deliri con tematiche differenti; assenza di deterioramento della personalità, dell’affettività e dell’intelligenza; incostante presenza di allucinazioni. L’esordio della malattia avviene in età adulta(30-40 anni) con personalità affettiva già sviluppata e matura. Vengono distinte diverse varietà di parafrenia: parafrenia sistematica, con deliri di persecuzione e di grandezza; p. espansiva, con deliri a contenuto mistico o erotico, coesiste di solito uno stato ipomaniacale; [64] p. fantastica, con deliri bizzarri ,assurdi, incoerenti,arricchito da allucinazioni multiple; p. confabulatoria, con minore deterioramento della personalità. Tipico del parafrenico è la coesistenza parallela di un sistema di vita discretamente integrato con il mondo delirante fantastico. Il decorso è cronico con frequente conservazione di un buon adattamento sociale. La terapia viene effettuata con farmaci neurolettici. Par. 11.3 Disturbo psicotico indotto Sviluppo di un sistema delirante da parte di una persona in stretta relazione con un altro soggetto affetto da un disturbo di tipo schizofrenico, (es. marito-moglie, madrefiglia). Fu descritto in Francia alla fine dell’800 come folie à deux. Se ne distinguono 3 sottotipi: simultanea (stesso delirio nello stesso momento) comunicata (in cui vengono condivisi aspetti del delirio) imposta (la più tipica e quella a cui si riferisce il DSM IV, dove c’è un soggetto dominante che “impone” e l’altro che “assorbe” il delirio. Il trattamento consiste nella separazione dei due pazienti, con associazione di terapie psicologiche e farmacologiche come per i disturbi paranoidei. Il Disturbo Psicotico breve Questo quadro clinico è caratterizzato da deliri, allucinazioni, variazioni del tono dell’umore, comportamento disorganizzato, che insorge improvvisamente in risposta ad un evento stressante. Colpisce in genere soggetti giovani, la fase di stato dura da qualche ora a qualche settimana e si ha risoluzione; la diagnosi differenziale va posta in genere con la Schizofrenia e i Disturbi dell’Umore. Il trattamento della Psicosi Reattiva Breve va effettuato con degenza ospedaliera e somministrazione di farmaci in base alla sintomatologia preminente. Par. 11.4 Il Disturbo Schizoaffettivo La caratteristica essenziale del Disturbo Schizoaffettivo è un periodo ininterrotto di sintomi positivi psicotici della Schizofrenia durante il quale, ad un certo punto, vi è un episodio di alterazione dell'umore. Tali manifestazioni di psicopatologia dell'umore sono precedute o seguito da almeno due settimane di deliri o allucinazioni. [65] La fase della malattia con i soli sintomi psicotici è dunque caratterizzata da deliri o allucinazioni che durano almeno quattordici giorni. I sintomi di alterazione dell'umore devono essere presenti per una buona parte dell'intero periodo di malattia. Se infatti sono presenti solo per breve tempo, l'individuo è afflitto da Schizofrenia, e non da un Disturbo Schizoaffettivo. In associazione al Disturbo Schizoaffettivo ci possono essere la riduzione, il malfunzionamento e/o la trascuratezza dell'ambito personale, sociale, lavorativo e l'aumento di rischio di suicidio. Infine le persone che presentano tale patologia sono maggiormente soggette all'ulteriore sviluppo di un Disturbo dell'Umore, di un Disturbo Schizofreniforme e/o di un Disturbo correlato all'Alcool o ad altre sostanze psicoattive. Disturbo Schizofreniforme: Le caratteristiche principali del Disturbo Schizofreniforme sono uguali a quelle della Schizofrenia tranne che per la durata. Tale disturbo ha una durata tra uno e sei mesi ed in molti casi non vi è menomazione o compromissione della sfera personale, sociale, affettiva, lavorativa che contraddistinguono invece la Schizofrenia. La durata del Disturbo Schizofreniforme è inoltre intermedia fra quella del Disturbo Psicotico Breve, nel quale i sintomi psicotici durano per almeno un giorno, ma meno di un mese, e quella della Schizofrenia, nella quale essi continuano per almeno 6 mesi. Come detto a differenza della Schizofrenia, per diagnosticare un Disturbo Schizofreniforme può non essere presente una menomazione del funzionamento sociale, lavorativo, e così via. Comunque spesso chi è afflitto da questo disturbo ha una certa disfunzionalità in molteplici ambiti quotidiani come ad esempio il lavoro, la scuola, le relazioni con gli altri, la cura della propria persona, etc. CAP. 12 I DISTURBI AFFETTIVI O D. DELL’UMORE (depressione e mania) Par. 12.1 Chi soffre di questa condizione tende a presentare fasi depressive seguite da fasi maniacali. Le fasi depressive sono caratterizzate da un umore particolarmente basso, una marcata e profonda tristezza e dalla sensazione che non ci sia più nulla in grado di dare piacere. Inoltre, durante queste fasi, il sonno può facilmente aumentare o diminuire, così come l’appetito; concentrarsi su un’attività diventa più difficile. A volte la disperazione ed il senso di vuoto sono così marcati che le persone pensano al suicidio. Le fasi maniacali, in alcuni casi, sono esattamente il contrario delle fasi depressive. Sono caratterizzate, infatti, da un umore particolarmente euforico, dalla [66] sensazione che tutto sia possibile e da un ottimismo eccessivo. Le idee ed i pensieri si accavallano rapidamente nella mente ed a volte diventano così veloci che spesso diventa difficile seguirli. Il comportamento diventa disorganizzato ed inconcludente. L’energia è tanta che spesso chi attraversa queste fasi non sente il bisogno di mangiare o dormire ed ha la sensazione di poter fare qualsiasi cosa, a tal punto da commettere azioni impulsive o compromettenti, come spese folli o imprese avventate. CAP. 13 I DISTURBI DISSOCIATIVI Par. 13.1 Caratteristiche generali e classificazione I Disturbi Dissociativi sono caratterizzati da un’alterazione delle normali funzioni integrative: la memoria, l’identità, il comportamento motorio e il giudizio di realtà. Rientrano in questa sfera: Amnesia Psicogena Fuga Psicogena Disturbo da Personalità Multipla Disturbo da Depersonalizzazione. L’Amnesia Psicogena è caratterizzata dalla perdita di un segmento più o meno ampio dell’identità personale, in assenza di cause organiche note, generalmente dopo un evento traumatico significativo (guerre, disastri naturali, eventi che possono rientrare nei disturbi post-traumatici da stress). L’amnesia può essere: circoscritta (per eventi successi in un certo periodo); selettiva (relativa a particolari avvenimenti o periodi); generalizzata (coinvolge l’intera esistenza); sistematizzata (riguarda esclusivamente un determinato momento). La Fuga Psicogena è il fenomeno per il quale il soggetto si allontana improvvisamente dalla propria abitazione o occupazione per un momento variabile (breve o lungo) con assunzione di una nuova identità ed amnesia della vita precedente. Insorge solitamente dopo una catastrofe naturale o durante una guerra, può durare da poche ore a qualche mese e si risolve spontaneamente; rare le ricadute. Il Disturbo da Personalità Multipla si caratterizza per la coesistenza nello stesso soggetto di due o più personalità (addirittura anche 10 tipi di personalità), con caratteristiche proprie che a turno controllano il comportamento. Il cambiamento di [67] personalità è improvviso, preceduto da malesseri o da eventi stressanti; di solito il soggetto non ha consapevolezza delle altre personalità. Ogni personalità si differenzia dalle altre per ricordi, attitudini, affettività, immagine di sé, storia personale. Nella maggior parte dei casi la personalità principale non ha consapevolezza dell’esistenza delle altre personalità. Generalmente nell’infanzia di tali soggetti si riscontra un grave trauma psicofisico, di solito un abuso sessuale. Il meccanismo della negazione consente al bambino di attribuire ad altri l’esistenza di questi vissuti traumatici. Questa frammentazione crea pezzi del Sé dissociati, aventi una loro esistenza autonoma e connotazioni specifiche, che in particolari condizioni possono riattualizzarsi. Esso è un disturbo che tende alla cronicizzazione, è opportuna una psicoterapia che miri alla integrazione delle diverse personalità. Il disturbo da depersonalizzazione è caratterizzato da frequenti e persistenti episodi di sensazioni di estraneità dal proprio corpo (non sentirsi più se stessi). Si associa spesso anche derealizzazione, ossia la realtà circostante viene percepita come estranea. Il soggetto è consapevole dell’irrealtà delle proprie reazioni, ma è gravemente angosciato, depresso e ansioso. Il disturbo si presenta generalmente dopo un trauma grave ed è trattabile con l’ipnosi. CAP. 14 I DISTURBI DELLA SFERA SESSUALE O PARAFILIE I disturbi sessuali si distinguono in disfunzioni, disturbi dell’identità di genere o parafilie. Par. 14.1 Disfunzioni sessuali Sono le alterazioni delle varie fasi dell’istinto sessuale. Possono avere un’origine biologica e psicologica. Le disfunzioni possono essere primitive o comparire dopo una fase di funzionamento sessuale normale. Vengono classificate in base alla fase della risposta sessuale che risulta alterata: Desiderio (o libido) caratterizzato da fantasie o dal desiderio di avere un rapporto sessuale Eccitamento caratterizzato da fenomeni fisiologici di eccitazione Orgasmo rappresenta l’apice del piacere sessuale Risoluzione segue la fase precedente ed è caratterizzata da rilassamento generale. Non esistono disfunzioni che originano da questo stadio. [68] Disturbi del desiderio sessuale: diminuzione o mancanza, periodica o persistente, di fantasie sessuali o della libido. L’inibizione del desiderio sessuale si ipotizza sia utilizzato come meccanismo di difesa per proteggersi da paure inconsce relative all’altro sesso. Disturbi dell’eccitamento sessuale: deficit o assenza nella donna della lubrificazione della vagina nel corso dell’eccitamento sessuale e nell’uomo dalla difficoltà o impossibilità di erezione durante la funzione sessuale. Tale disturbo provoca stress o difficoltà interpersonali, può derivare da una malattia cardiovascolare, endocrina, neurologica, metabolica, infettiva o post-traumatica. Ci sono dei farmaci che interferiscono in questa fase (antidepressivi, antiipertensivi). Disturbi dell’orgasmo: nella donna l’anorgasmia è presente sotto i 35 anni. Cause psicologiche possibili possono essere: sensi di colpa verso l’attività sessuale, il timore di una gravidanza indesiderata, la paura di non essere accettata dal partner o l’ostilità nei suoi confronti. Nell’uomo generalmente i problemi dell’eiaculazione sono connessi con i disturbi dell’erezione. L’eiaculazione precoce è il disturbo più frequente, soprattutto tra i giovani alle prime esperienze sessuali o in caso di stress nella relazione coniugale. Disturbo da dolore sessuale: colpisce le donne ed è caratterizzato da sintomi dolorosi o vaginismo (spasmi muscolari ) che rendono difficile o impossibile il rapporto sessuale. È dovuto di solito a dinamiche relazionali col partner. Par. 14.2 Disturbi dell’identità di genere Insorgono solitamente nell’infanzia e si presentano con comportamenti ed atteggiamenti che differiscono dal genere di sesso a cui si appartiene. Questi soggetti sin da bambini manifestano un rifiuto per il proprio genere sessuale e preferiscono l’abbigliamento, i giochi e la compagnia dell’altro sesso. Talvolta questi atteggiamenti si modificano fino alla scomparsa in età adolescenziale, ma più spesso evolvono in un orientamento di tipo omosessuale o in transessualismo. Omosessualità: essa per alcuni orientamenti è considerato un disturbo psichico, per altri è una variante del comportamento sessuale o un comportamento sintomatico. È comunque difficile una sua collocazione tra i disturbi. Transessualismo: profondo e persistente disagio per il proprio genere sessuale, che si traduce nel desiderio di vivere come una persona dell’altro sesso. È un disturbo raro, più frequente negli uomini ed insorge in età adolescenziale o all’inizio dell’età adulta. Permangono comunque incertezze sulla genesi del disturbo. [69] Par. 14.3 Parafilie Questo termine viene usato al posto di perversione, per definire comportamenti sessuali abnormi per raggiungere il piacere sessuale. In esse l’attenzione è rivolta a OGGETTI, ANIMALI O PARTNER NON CONSENSIENTI, BAMBINI. In genere questi soggetti giungono all’osservazione dello Psichiatra per conto di terzi: autorità giudiziaria per accertamenti medico-legali o per sollecitazione dei familiari. Le ipotesi eziologiche sono: Alterazioni organiche (a carico del lobo temporale o del lobo limbico) Psicoanalitica (fissazione in una delle fasi sessuali dello sviluppo) Riguardano prevalentemente il sesso maschile. Per porre diagnosi occorre una persistenza di almeno 6 mesi, l’attività parafilica ha spesso un carattere compulsivo. Le più comuni forme di parafilia sono: Esibizionismo: esposizione in pubblico dei genitali per provare piacere, può essere seguito dalla masturbazione Feticismo: eccitamento sessuale con oggetti inanimati (abiti, scarpe, capelli) Frotteurismo: strofinamento dei genitali su donne non consenzienti (avviene in genere nei luoghi affollati, es. mezzi di trasporto) Pedofilia: fantasie o pratiche sessuali con bambini in età prepuberale Parafilie escretorie: vengono utilizzate per raggiungere l’eccitazione sessuale, la defecazione (coprofilia), la minzione (urofilia), l’uso del clistere (clismafilia), su di sé o sul proprio partner Masochismo sessuale: provare piacere nel subire sofferenza fisica o psicologica (da soli o da parte del partner) Sadismo sessuale: eccitamento sessuale nel provocare sofferenza fisica o psichica ad un partner, anche non consenziente Travestitismo: indossare abiti dell’altro sesso per eccitarsi Voyeurismo o scoptofilia: provocare eccitamento sessuale nell’osservare persone nude o mentre hanno rapporti sessuali (in genere è seguito dalla masturbazione) Zoofilia: atti sessuali con animali; più frequente nelle zone rurali. [70] CAP. 15 DISTURBI DELL’AREA SENILE: LE DEMENZE Par. 15.1 Le demenze: caratteristiche generali e classificazione Il termine "demenza" identifica una perdita di funzionalità mentale, generalmente associata all'età, che comporta problemi di memoria (a breve e a lungo termine) e almeno un deficit a carico dei seguenti processi cognitivi: pensiero astratto, capacità critica, linguaggio, orientamento spazio temporale, funzioni esecutive, abilità nel calcolo. Il deficit mnesico è soprattutto anterogrado (cioè si riferisce agli eventi recenti), con una minore componente retrograda (riferita cioè agli eventi del passato). Il declino delle capacità mentali è così grave da interferire con la capacità del soggetto di lavorare e con le normali relazioni sociali. Nelle fasi più avanzate della malattia i disturbi diventano più evidenti e più imbarazzanti. Le dimenticanze concernono anche i nomi dei familiari e gli avvenimenti recenti, le difficoltà nel linguaggio aumentano (il malato fatica sempre più ad esprimersi in modo comprensibile e anche a capire il senso di ciò che gli si dice), il disorientamento spaziale si manifesta anche nell'ambito familiare. Il paziente non può più eseguire gli atti quotidiani, come lavarsi, vestirsi, mangiare, ecc. se non con la presenza e le istruzioni della persona curante. Possono comparire allucinazioni o deliri ed i pazienti tendono a diventare ansiosi, aggressivi, a presentare comportamenti disturbanti, come il girovagare senza meta, l'agitazione e i rituali ossessivi, spesso prevalenti durante la notte, peggiorando al punto tale da dover essere assistiti in modo continuativo e intensivo. Anche i problemi legati all'alimentazione sono molti: identificare il cibo, aprire la bocca, masticare e deglutire; i pazienti avanzano a piccoli passi e il loro cammino diventa instabile, aumentando il rischio di cadute e di fratture. Con il passare del tempo, i malati passano le loro giornate in sedia a rotelle, fino a diventare infermi. Compare anche una perdita del controllo degli impulsi sfinterici. Si assiste ad una disintegrazione della personalità, dovuta alla perdita della coscienza di sé e della capacità di giudizio. Si tratta quindi, in definitiva, non solo di una malattia della persona, ma più in esteso della famiglia; questo sia perché in genere il decorso può anche durare molti anni, sia perché spesso il paziente è curato in casa e si assiste ad una trasformazione progressiva e drammatica delle caratteristiche più intime e peculiari della personalità del malato, anche a livello comportamentale e “caratteriale”, che lo porta a divenire irriconoscibile; spesso i parenti non riescono ad accettare ed a capire fino in fondo che si tratta di un inevitabile correlato della malattia stessa; la gran parte delle relazioni e delle dinamiche [71] interne al gruppo familiare subisce delle modificazioni profondissime, a volte irreparabili, sotto il peso schiacciante di questa trasformazione graduale ed inarrestabile del loro congiunto, con un’alternanza di sentimenti di rifiuto, di rabbia, di dolore, di rassegnazione e lo sviluppo conseguente di sensi di colpa. CLASSIFICAZIONE DELLE DEMENZE Una classificazione in base alle possibili cause distingue: • Demenze primarie (cioè che si sviluppano come malattia a sè stanti): malattia di Alzheimer, malattia di Pick (è una forma di demenza che comporta la lesione di cellule nervose in quella parte del cervello che controlla il comportamento alterandone la personalità dell’individuo diventando sgarbato, nervoso,arrogante ecc); afasia progressiva primaria ,(significa letteralmente assenza di linguaggio). • Demenze secondarie (cioè che sono la conseguenza di altre malattie, patologia vascolare, Morbo di Parkinson, malattie infettive, traumi cranici e tumori ecc.) Par.15.2 MALATTIA DI ALZHEIMER La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato da una distruzione progressiva delle cellule del cervello che porta ad un lento declino delle facoltà mentali. La degenerazione si produce in zone cerebrali che controllano funzioni mentali importanti come la memoria, la lingua, la capacità di pianificazione, la mobilità e l'orientamento nello spazio, implicando serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. Prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici. Decorso La malattia di Alzheimer esordisce generalmente dopo i 65 anni. Sebbene possa colpire anche persone più giovani, casi di questo tipo sono molto meno comuni. Generalmente progredisce lentamente, quasi impercettibilmente, spesso iniziando con lievi disturbi di memoria e terminando con un grave danno mentale. E’ una malattia irreversibile, ingravescente, caratterizzata da una degenerazione progressiva delle facoltà intellettive. [72] I principali sintomi sono: Amnesia: in particolare amnesia anterograda, cioè i pazienti tendono ad avere un buon ricordo degli eventi remoti, ma a non ricordare gli eventi recenti, nuovi. Aprassia: l'incapacità di compiere azioni comuni, come fischiettare, preparare il caffè, cucinare, disegnare. Agnosia: l'incapacità di riconoscere oggetti comuni (maggiore difficoltà con gli oggetti animati, quali frutta, verdura ed animali). Anomia: l’incapacità a denominare un oggetto, pur riconoscendolo; l’individuo può utilizzare perifrasi, sinonimi, termini assonanti o neologismi per riferirsi all'oggetto. Disorientamento spazio-temporale: l’incapacità di riconoscere il luogo in cui si trova o di ricordare la data, il giorno, il mese, l’anno. Acalculia: l’incapacità di compiere operazioni matematiche elementari. Agrafia: la difficoltà di scrittura. Deficit intellettivi: significativo peggioramento delle capacità di ragionamento, di pianificazione e di giudizio. Cambiamenti nel tono dell'umore: tendenza a mostrare repentini, marcati ed ingiustificati cambiamenti nel tono dell'umore, che vanno dalla depressione, all'euforia, al pianto. Sintomi psicotici e modificazione della personalità: l’ assunzione di comportamenti bizzarri, rozzi,eccentrici o aggressivi. Fra i sintomi psicotici si annoverano allucinazioni, paranoia, pensieri non realistici e deliri (solitamente di persecuzione) Perdita delle capacità di giudizio: compiere errori di giudizio o di valutazione grossolane nelle attività quotidiane o nel proprio lavoro. Difficoltà di ragionamento astratto: difficoltà nel compiere operazioni matematiche o logiche relativamente semplici. Perdita di iniziativa: perdita totale degli interessi. Fattori di rischio Gli unici fattori di rischio per questa malattia identificati finora sono l’età, la presenza di un caso di demenza in famiglia, e alcuni fattori genetici. Fattori che sembrano interagire con la predisposizione genetica sono il sesso, le infezioni da herpes, una bassa concentrazione lipidica, traumi cerebrali gravi e un livello culturale basso. Altri fattori che si stanno valutando sono un’ esposizione eccessiva ad anestetici, il diabete e l’alcool. [73] TERAPIA Ad oggi non esiste nessuna cura che permetta di guarire la malattia d'Alzheimer o di arrestarne la progressione. Tuttavia esistono diverse terapie che servono a mantenere più a lungo l'autonomia del paziente e ciò ha un effetto positivo su tutta la famiglia queste sono: la terapia farmacologica, la psicoterapia, la terapia creativa (pittura, cucina, ecc.) la Terapia di orientamento alla realtà ecc.. CAP. 16 I DISTURBI DELL’AREA INFANTILE Tale categoria di disturbi riguarda l’area infantile e appartengono ad essi: Autismo Depressione infantile Disturbi dell’apprendimento e ritardi mentali Par. 16.1 L’Autismo: caratteristiche generali “Un bambino rannicchiato in un angolo che non risponde ai richiami o che sfarfalla con le mani, impegnato a camminare in punta di piedi, o a correre avanti e indietro; che non parla o che ripete le stesse parole senza scopo, isolato o dondolante, che urla o che piange, con l’amore prigioniero dentro”. Così si presenta l’Autismo Infantile un disturbo dello sviluppo complesso. Esso insorge, tipicamente, nei primi tre anni di vita ed è caratterizzato da compromissione delle capacità di comunicazione verbale e non verbale e di interazione sociale. In particolare, i bambini con Autismo possono presentare ritardo oppure assenza totale del linguaggio parlato. Nei bambini che parlano, può esserci un ritardo nell’abilità di sostenere una conversazione con gli altri, oppure un uso del linguaggio ripetitivo e stereotipato. Le manifestazioni spontanee e diversificate di gioco simbolico, oppure sociale imitativo, possono mancare, mentre alcuni pattern di attività risultano spesso ristretti, ripetitivi e stereotipati. Ancora, i bambini con Autismo possono presentare una varietà di sintomi comportamentali che includono iperattività, breve durata di attenzione, impulsività, aggressività, comportamenti autolesionistici ed alterazioni dell’umore. Possono anche osservarsi risposte insolite a stimoli sensoriali consistenti in mancanza di reattività al dolore oppure ipersensibilità a suoni particolari. I bambini con Autismo presentano spesso abitudini alimentari e di sonno insoliti e sono descritti come agitati e irritabili oppure distaccati e distanti. La percentuale di incidenza è a favore del sesso maschile, dal DSM IV viene definito un [74] Disturbo Pervasivo dello Sviluppo e si caratterizza con alcuni sintomi che interessano 3 importanti aree: interazione sociale reciproca sono presenti turbe delle capacità relazionali con tendenza all’isolamento comunicazione verbale e non verbale, è assente o disfunzionale e presenta evidenti turbe,la maggior parte dei soggetti con Autismo possiede un linguaggio molto povero o limitato all’uso di poche parole. modelli di comportamento ed interessi che sono ristretti, ripetitivi e stereotipati, l’immaginazione è povera, si presenta spesso auto ed eteroaggressività (basso indice di empatia); scarsa ipersensibilità per ciò che accade nell’ambiente circostante e per le figure di riferimento affettivo; iperattività motoria grossolana; ritardo mentale o deficit cognitivo di vario grado. Questi sintomi si possono esprimere in maniera diversa nei vari soggetti e giocano un ruolo determinante nella relazione con l’ambiente circostante, creando difficoltà di accettazione, di gestione e di educazione in chi si relaziona con loro. Le patologie più frequenti che si presentano associate al D. A., oltre all’epilessia, sono: la Sindrome di Rett che colpisce le femmine, si manifesta tra il sesto e il diciottesimo mese di vita, dopo uno sviluppo mentale e sociale normale. La bambina si isola, perde il controllo e comincia a torcere le mani. Sembra che la mutazione di un singolo gene possa causare tale patologia la Sindrome dell’X Fragile che colpisce i maschi ed è causata da un’alterazione del cromosoma X che si presenta al microscopio sottile e fragile. Si tratta di una malattia ereditaria la Sclerosi Tuberosa che può diffondersi con la formazione di tumori benigni nel cervello ed in altri organi vitali. il Disturbo Disintegrativi dell’Infanzia che colpisce i maschi, dopo un periodo di sviluppo normale, a partire dal terzo anno di vita i pazienti affetti cominciano a presentare i sintomi classici dell’A. accompagnati da perdita del controllo degli sfinteri, epilessia e da progressivo deficit cognitivo. È stata documentata una grande difficoltà nelle persone con A.: a riconoscere le espressioni facciali; problemi nell’interazione sociale e nella comunicazione; problemi nell’attenzione e una scarsa capacità di imitazione; [75] ad essere asociali, in quanto non consapevoli del mondo sociale attorno a loro; ad avere una scarsa comprensione degli stati mentali altrui e ciò provoca paura, isolamento e rifiuto del contatto con gli altri; incapacità di assumere una postura adeguata; presenta un ristretto campo di interessi e non fanno, pertanto, l’esperienza di imparare; l’essere soli mentalmente; incapacità di attribuire a sé e ad altri, stati mentali (desideri, credenze, immaginazioni, emozioni). DIAGNOSI: Tutti i bambini dovrebbero fare gli esami di routine per lo sviluppo con il loro pediatra. Ulteriori test possono essere necessari se vi è interesse da parte del medico o dei genitori. Ciò è particolarmente possibile quando un bambino non riesce a soddisfare una delle seguenti tappe linguistiche: Borbottio/balbettamento ai 12 mesi; Gesticolare a 12 mesi; Dire singole parole dai 16 mesi; Dire due parole spontanee o formulare frasi dopo i 24 mesi; Perdita di qualsiasi lingua o di competenze sociali a qualsiasi età. Questi bambini potrebbero fare un esame orale, un test del piombo nel sangue e un test di screening per l’autismo. Una valutazione dell’autismo spesso include un esame fisico e del sistema nervoso. I bambini con noti o sospetti casi di autismo fanno spesso test genetici (ricerca di anomalie cromosomiche) e test metabolici. L’autismo comprende un ampio spettro di sintomi. Pertanto, un unica e breve valutazione non può diagnosticare la malattia con certezza. Spesso la valutazione non è fatta da un solo medico, ma da un intero team di specialisti. Essi potrebbero valutare: Comunicazione; Linguaggio; Capacità motorie; Capacità di parlare; Successo a scuola; Abilità nel pensare. TERAPIA: Un precoce e intensivo trattamento migliorerà le prospettive per la maggior parte dei bambini con autismo. La maggior parte dei programmi si baseranno sugli interessi del minore in una struttura altamente costruttiva. Aiuti visivi sono spesso utili. La terapia ha successo quando si orienta verso le particolari esigenze del bambino. Un [76] esperto team di specialisti dovrebbe progettare il programma per ogni singolo bambino. Una varietà di terapie sono disponibili, tra cui: Analisi del comportamento applicata (si svolge a casa con un terapista personale che rafforza le competenze del bambino. Può essere molto costosa); Farmaci; Terapia occupazionale; Terapia fisica; Intervento di logoterapia; Integrazione sensoriale; Terapia della vista. Il miglior piano terapico può utilizzare una combinazione di tecniche. I medicinali vengono spesso utilizzati per il trattamento del comportamento o dei problemi emotivi che gli autistici potrebbero avere, tra cui: Aggressione; Ansia; Problemi di attenzione; Estreme convulsioni impossibili da fermare; Iperattività; Impulsività; Irritabilità; Sbalzi di umore; Esplosioni di ira; Difficoltà di veglia; Attualmente, solo il risperidone è approvato per la cura dei bambini di età tra i 5 e i 16 anni con irritabilità e aggressività associati all’autismo. Non vi è alcuna medicina che tratta il problema dell’autismo. Alcuni bambini sembrano reagire ad una dieta senza glutine o caseina. Non tutti gli esperti concordano sul fatto che i cambiamenti nella dieta possano fare la differenza, e non tutte le relazioni che studiano questo metodo hanno mostrato risultati positivi. Resta sempre importante che il bambino continui a ricevere abbastanza calorie, nutrienti, e una dieta equilibrata. PROGNOSI: L’autismo resta una condizione cronica per i bambini, ma le prospettive di oggi sono superiori a quelle di una generazione fa. A quel tempo, la maggior parte delle persone con autismo restavano collocate negli istituti. Oggi, con la giusta terapia, molti dei sintomi dell’autismo possono essere migliorati, anche se la maggior parte delle persone avrà alcuni sintomi per tutta la vita. Le prospettive dipendono dalla gravità dell’autismo e dal livello di terapia che la persona riceve. La maggior parte delle persone con autismo sono in grado di vivere con le loro famiglie o in comunità [77] Par. 16.2 LA DEPRESSIONE INFANTILE Con il termine depressione ci si riferisce ad un complesso quadro morboso costituito da un abbassamento del tono vitale dell’individuo, nelle sue componenti neuropsichiche e somatiche. Caratteristiche generali e criteri diagnostici: Il bambino viene spesso descritto come un essere psicosomatico, ovvero il malessere psichico viene manifestato con sintomi fisici (si ricorre al linguaggio corporeo). I criteri diagnostici della depressione del bambino sono: nei bambini di età compresa tra 0 e 2 anni apatia, piagnucolio disturbi dell’area del sonno e della sfera alimentare coliche eczema sguardo triste e inespressivo difficoltà allo sguardo diretto ritardo nello sviluppo del linguaggio assenza di reazioni di fronte all’estraneo assenza di un attaccamento individualizzato nei bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni: mancanza di spontaneità atteggiamento serio tristezza rallentamento psicomotorio sguardo spento incapacità a provare piacere rifiuto a giocare con gli altri fobie senso di inferiorità sensi di colpa manifestazioni auto-aggressive disturbi del sonno nei bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni: tristezza, infelicità ritiro in se stesso [78] mancanza di interesse verso qualsiasi cosa difficoltà a provare piacere sensazione di essere rifiutato e non essere amato incapacità di accettare aiuto o conforto insonnia o altri disturbi del sonno I FATTORI DI RISCHIO del disturbo depressivo sono: familiarità stress ambientale continuato inizio della scuola malattia cronica perdita di un genitore o di una persona amata divorzio o separazione dei genitori distacco dalla famiglia o da casa nascita di un fratellino o sorellina rapporti conflittuali con gli adulti difficoltà di comunicazione disturbo dell’apprendimento gravi problemi di salute o disabilità essere vittime di esperienze traumatiche: abuso, maltrattamenti, abbandono essere testimoni o vittime di eventi gravi Deve essere valutato il rapporto con la madre, il contesto familiare e i legami che il bambino può avere, nonché le esplosioni di rabbia, aggressività e ostilità. Par.16.3 I DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO I disturbi dell’apprendimento: caratteristiche generali e classificazione Tale categoria di disturbi si riferisce ad un ritardo nelle normali acquisizioni di alcune abilità tipiche dell’età infantile. Appartengono a tale categoria: disturbo della lettura (dislessia) disturbo del calcolo (discalculia) disturbo dell’espressione scritta (disgrafia). [79] La dislessia ha come caratteristica principale l’incapacità di acquisire i livelli prevedibili per quel che riguarda l’accuratezza della lettura, la velocità o la comprensione, misurata attraverso test standardizzati somministrati individualmente. I sintomi comuni comprendono l’incapacità di distinguere le forme di lettere simili, o di associare particolari suoni coi simboli delle lettere. Questa difficoltà può essere notata già negli asili infantili, ma il disturbo raramente viene diagnosticato fino a che il bambino non si dimostra incapace di acquisire i livelli iniziali di lettura. La prognosi è molto migliorata con l’individuazione e l’intervento precoci, ma è comune che il Disturbo della Lettura persista nella vita adulta. La discalculia è l’incapacità di acquisire la competenza nel calcolo e nel ragionamento matematico. I sintomi possono comprendere i seguenti tipi di deficit: l’incapacità di capire i termini, le operazioni e i concetti matematici e di applicare il ragionamento simbolico ai problemi, l’incapacità di organizzare oggetti rispetto alle caratteristiche comuni, o di riconoscere i simboli matematici, la difficoltà a copiare correttamente i numeri o a rispettare i segni delle operazioni e la difficoltà a contare accuratamente, a imparare le tabelline o a seguire una successione di passi matematici. La disgrafia è l’incapacità di acquisire le competenze nella scrittura prevedibili. Per stabilire la presenza e il grado dell’alterazione può essere utilizzato l’inquadramento funzionale. I sintomi comuni comprendono la scrittura a mano deficitaria e l’incapacità di comporre frasi o paragrafi coerenti, come dimostrato dai molteplici errori grammaticali, di spelling e di punteggiatura. Questa difficoltà di solito è evidente a partire dalla seconda elementare. CAP 17 I DISTURBI DELL’AREA COGNITIVA Tali disturbi riguardano: la coscienza, l’attenzione, il pensiero, la memoria, l’affettività, etc… Par. 17.1 La coscienza e i suoi disturbi La coscienza può essere considerata come un’attività psichica di base, una funzione cognitiva semplice, una condizione generale del funzionamento mentale e non è facilmente separabile dagli altri processi e funzioni mentali. Questo aspetto dell’attività psichica consiste nella consapevolezza che il soggetto ha di sé e dell’ambiente circostante e nella capacità quindi di integrare i contenuti mentali con i dati provenienti dalla dimensione esterna. La coscienza risulta, così, come una funzione che si articola [80] su più livelli e che costituisce l’elemento sottostante di altri processi psichici. Tale funzione può essere modificata da tutta una serie di fattori: 1. alcool e sostanze stupefacenti 2. traumi cranici 3. traumi psichici 4. tecniche di rilassamento o di meditazione 5. stato di sonno I disturbi della coscienza si possono riscontrare in una serie di situazioni patologiche di natura organica che interessano il S.N.C.(sistema nervoso centrale), di natura traumatica, infettiva, ma possono comparire anche durante il decorso di sindromi psichiatriche quali la schizofrenia o i disturbi dell’umore. Tra le turbe della coscienza vi sono: la CONFUSIONE MENTALE: è una grave alterazione che comporta una distorsione o compromissione di altre funzioni psichiche. Le caratteristiche fondamentali sono: corso delle idee frammentato; il paziente si presenta disorientato nel tempo e nello spazio; il comportamento risulta alterato, irrequieto o rallentato; l’affettività si presenta labile con oscillazioni dell’umore; l’AMENZA è una forma di confusione mentale che si accompagna a stati tossici o infettivi (iperpiressia); è anche detta delirio acuto; il DELIRIUM è un contenuto delirante che si manifesta nel corso di un stato confusionale. Si verifica, ad es., nel Delirium tremens (disturbo psicorganico acuto dell’alcolismo cronico) e negli stati tossici o infettivi; l’ALTERAZIONE O STATO IPNOIDE consista in un abbassamento del livello generale dell’attività psichica ed è accompagnata da rallentamento psicomotorio, apatia, inerzia, sonnolenza; lo STATO CREPUSCOLARE corrisponde ad un restringimento del campo di coscienza nel quale solo una parte degli stimoli ambientali riesce a raggiungere la coscienza. Si può riscontrare negli stati di intossicazione acuta o in alcune condizioni isteriche; lo STATO ONIROIDE è uno stato di alterazione della coscienza nel quale prevalgono produzioni deliranti fantastiche, il soggetto sembra perdere la lucidità del contatto con la realtà esterna (può verificarsi nel delirio acuto, nel disturbo schizofrenico). Esistono anche alterazioni della coscienza dell’Io e sono: [81] la DEPERSONALIZZAZIONE la perdita del sentimento di familiarità con se stessi; la DEREALIZZAZIONE perdita del sentimento di familiarità verso l’ambiente. Questi fenomeni sono legati a quote elevate di angoscia e si possono riscontrare nell’epilessia temporale, schizofrenia, disturbi d’ansia o in seguito all’assunzione di sostanze psicoattive. Par. 17.2 L’attenzione e i suoi disturbi L’attenzione è una funzione psichica collegata all’attività della coscienza, opera un’attività di selezione di alcuni elementi verso i quali essa si orienta. Essa riveste un’importanza rilevante nel favorire i processi dell’apprendimento, nel migliorare le capacità di acquisizione e di conservazione delle informazioni e nel consentire ottimi livelli di rendimento psicointellettivo. Si possono distinguere due tipi di attenzione: spontanea e conativa o volontaria. L’attenzione spontanea viene suscitata in modo automatico e involontario da uno stimolo interno o esterno; quella conativa implica, invece, una selezione degli stimoli verso i quali il soggetto si orienta. I disturbi dell’attenzione sono classificabili in : IPOPROSESSIA diminuzione della capacità attentiva o disattenzione, che può verificarsi nelle sindromi demenziali, nelle insufficienze mentali o negli stati di sonnolenza o affaticamento mentale; IPERPROSESSIA accentuazione della capacità attentiva, si può riscontrare negli stati ansiosi ed ossessivi o nei disturbi di tipo delirante; DISTRAIBILITA’ è una incapacità a mantenere buoni livelli di attenzione su uno stesso stimolo per un tempo adeguato, l’attenzione si sposta con facilità da un contenuto all’altro. Tale forma si può riscontrare negli stati di demenza o di insufficienza mentale; APROSESSIA indica una completa incapacità a mantenere l’attenzione, anche per brevi periodi. Si riscontra nelle gravi insufficienze mentali, negli stati di confusione mentale e negli stadi avanzati delle demenze. Par. 17.3 La memoria e i suoi disturbi La memoria è certamente una delle funzioni più importanti della nostra mente ed è quella che contribuisce più di ogni altra a dare un senso alla nostra vita. La memoria è [82] infatti il filo sottile che lega tutte le nostre azioni, le nostre sensazioni, i nostri sentimenti e le nostre emozioni; ci permette di recuperare ciò che è già avvenuto, collegandolo a ciò che stiamo vivendo, dando quindi un senso a tutto ciò che ci circonda, dalle cose, agli ambienti, alle persone, creando la nostra stessa individualità, permettendo la nostra vita psichica, la nostra specifica esperienza, insomma definendo noi stessi ed il “nostro” mondo, la nostra storia personale; quindi la consapevolezza di noi stessi e di conseguenza di tutto ciò che ci circonda ed interagisce con noi è in gran parte dovuta alla memoria; in altri termini la memoria è il collegamento tra il nostro tempo e il nostro spazio, in grado di conferire quel carattere di “tridimensionalità” a tutti i nostri vissuti, tale da renderci degli esseri unici in grado di vivere l’attimo presente come consapevole evoluzione del nostro passato e necessario presupposto per il nostro divenire futuro. TIPI DI MEMORIA Il più diffuso criterio di classificazione della memoria si basa sulla durata della ritenzione del ricordo, e identifica tre tipi distinti di memoria: la memoria sensoriale, la memoria a breve termine, e la memoria a lungo termine. La memoria sensoriale conserva le informazioni grezze appena percepite utilizzando i cinque sensi (udito, tatto, gusto, vista, olfatto) e permette di conservare le informazioni per un tempo brevissimo . La memoria a breve termine è costituita da tutti i sistemi che consentono la conservazione solo temporanea di informazioni importanti solo per un breve periodo di tempo. La memoria a lungo termine è quella che la persona comune considera "la memoria". Il ricordo del nome dei nostri figli, dei nostri genitori, di noi stessi, di dove abbiamo vissuto da bambini, di dove ci trovavamo pochi minuti fa, dipende dalla memoria a lungo termine. Per uno psicologo l'espressione: "memoria a lungo termine" si riferisce ad informazioni immagazzinate in modo durevole. Per durevole si intende un periodo superiore a pochi secondi. Le modificazioni della memoria possono anche essere legate all’età, declinando fisiologicamente con l’invecchiamento. I disturbi veri e propri della memoria sono rappresentati da: IPOMNESIA che è una riduzione delle capacità mestiche, può essere fisiologica o legata a situazioni di patologia cerebrale e deficit psicointellettivi; [83] AMNESIA è la perdita della capacità di ricordare e può essere totale o parziale (es. le amnesie lacunari, viene dimenticato un definito periodo di tempo), organica (è determinata da traumi cranici o processi degenerativi del S.N.C.), psicogena (è in rapporto a vissuti traumatici o a problematiche affettive di natura conflittuale), di fissazione (determinata dall’impossibilità di registrare i ricordi, si verifica nella sindrome di Korsakoff). IPERMNESIA è l’incremento della capacità di ricordare, condizione che si può riscontrare nei soggetti normali o in stati ipomaniacali. ILLUSIONI DELLA MEMORIA rappresentano l’esito di un fenomeno normale, il soggetto modifica nel corso del tempo le caratteristiche di un ricordo in rapporto alle esigenze affettive. DEJÀ-VU e DEJÀ-VECU (già visto e già vissuto) corrispondono alla sensazione di avere già visto o sperimentato in precedenza un luogo, un oggetto, una persona o una data situazione che si sta vivendo, pur sapendo di non averli mai visti o vissuti prima; si ha, quindi, un sentimento di familiarità con esperienze del tutto nuove. Si può riscontrare in condizioni di normalità, nell’ambito di una patologia epilettica o nell’alcolismo. JAMAIS-VU e JAMAIS-VECU (mai visto e mai vissuto) è il fenomeno inverso al precedente, in questo caso un’esperienza familiare, cioè già vissuta, viene percepita come nuova o estranea. Si può riscontrare nell’epilessia temporale, nel disturbo da attacchi di panico e nei disturbi schizofrenici. CONFABULAZIONI sono elaborazioni di contenuti psichici che corrispondono a fantasie del soggetto, il quale tende a dissimulare il deficit e a colmare con tali contenuti (hanno, dunque, una natura compensatoria). Possono essere presenti nelle sindromi demenziali. Par. 17.4 La percezione e i suoi disturbi La percezione è la funzione attraverso cui l’Uomo ottiene informazioni dall’ambiente che lo circonda, tramite gli organi di senso ad essa preposti. (vista, udito, olfatto, tatto e gusto). I momenti fondamentali attraverso i quali si svolge il processo percettivo sono: 1. la sensazione; 2. la percezione; 3. la rappresentazione. La sensazione è la prima presa di contatto con un dato sensoriale provocato da una certa stimolazione (suoni, sapori, colori). [84] La percezione è quel processo che ci consente di identificare, discriminare e classificare mentalmente un dato oggetto. La rappresentazione consiste in una riproduzione mentale delle precedenti esperienze percettive. I disturbi della percezione sono: IPERESTESIA o accentuazione della percezione degli stimoli sensoriali, è un fenomeno osservabile negli stati ansiosi o nell’isteria. IPOESTESIA è la diminuzione della percezione e l’ANESTESIA è la mancanza di percezione, possono riscontrarsi in quadri clinici come la depressione, la schizofrenia o nelle sindromi demenziali. ILLUSIONI sono percezioni distorte di un oggetto realmente esistente. Lo stimolo percettivo è presente ma viene percepito erroneamente. Si possono riscontrare nei soggetti normali o nei quadri di tipo confusionale o demenziale. ALLUCINAZIONI sono delle percezioni sensoriali immaginarie, cioè senza che nessun oggetto reale stimoli l'organo di senso, un oggetto che non esiste viene creduto reale. I tipi di allucinazioni esistenti sono: Gustativa: la persona percepisce uno sgradevole gusto inesistente; Olfattiva: la persona percepisce dei cattivi odori inesistenti (es. pesce marcio o puzzo di bruciato); Somatica: comporta un'esperienza fisica di percezione localizzata all'interno del corpo (es. sensazione di elettricità); Tattile: comporta la sensazione di essere toccato o di avere qualcosa sopra o sotto la pelle (es. animaletti che strisciano); Uditiva: la persona percepisce suoni inesistenti, più comunemente voci; Visiva: comporta la vista di immagini strutturate (Es. persone) o non strutturate (es. lampi di luce) naturalmente non esistenti. ALLUCINOSI sono percezioni allucinatorie di un oggetto non esistente ma che il soggetto riesce a riconoscerne il carattere patologico, quindi ha capacità di critica. PSEUDOALLUCINAZIONE sono dispercezioni dal grave significato psicopatologico, il soggetto che le sperimenta le descrive dicendo che sente voci, ad es., non attraverso le orecchie ma dentro il cervello o nello stomaco, o vede non con gli occhi ma dietro la testa (sono presenti soprattutto nella schizofrenia). Par. 17.5 Il pensiero e i suoi disturbi [85] Il pensiero è un’attività psichica specializzata nella formazione di concetti e giudizi ed è implicata nella produzione di cultura e soluzione di problemi. Il pensiero opera attraverso le idee organizzate attraverso una logica interna. I disturbi del pensiero sono: ACCELERAZIONE O TACHIPSICHISMO corrisponde ad un corso del pensiero rapido tipico nelle situazioni maniacali o nell’abuso di sostanze stupefacenti e caffeina. RALLENTAMENTO O BRADIPSICHISMO consiste nel decorso lento e faticoso del pensiero, pertanto si può avere un blocco (nelle demenze, psicosi, depressione); IDEA FOBICA è un contenuto ideativo che corrisponde ad eventi o situazioni temuti dal soggetto pur essendo irrazionali. Il soggetto vive un’intensa paura e pur essendo consapevole della sua natura irrazionale, non riesce a vincerla e tenta anzi di evitare le circostanze che lo possono mettere a contatto con l’oggetto della sua fobia. IDEA OSSESSIVA consiste nella persistenza, avvertita come disturbante, di un contenuto ideativo nel campo della coscienza. L’idea ossessiva provoca una spiacevole sensazione di disagio, è irrazionale e indipendente dalla volontà del soggetto, non può essere controllata e si ripete continuamente. IDEA DELIRANTE è una grave alterazione del contenuto del pensiero che può definirsi come un convincimento patologico ed erroneo che non ha alcun riscontro nella realtà; è un’idea falsa, assurda ma accettata come vera in assoluto e non viene, pertanto, criticata. Il delirio è un insieme di idee deliranti, è un disturbo psicopatologico frequente nelle sindromi psicotiche acute e croniche (per es. nella schizofrenia) è indicativo di un perturbamento dello stato psichico e di una perdita di delimitazione tra la realtà interna e la realtà esterna. Par. 17.6 L’affettività e i suoi disturbi L’affettività si esprime attraverso emozioni, desideri e passioni. Ansia, depressione e ipertimia possono essere considerati come disturbi della sfera affettiva, anche se la loro valenza psicopatologica è molto rilevante. Tra gli altri disturbi abbiamo: la DISFORIA è uno stato di irritabilità dell’umore (riflesso della tonalità affettiva di base in un determinato momento) che si associa ad un aumento delle risposte emotive non proporzionali agli stimoli. [86] la LABILITÀ AFFETTIVA è un’instabilità dell’umore, che muta rapidamente dalla gioia alla tristezza senza un motivo significativo. l’APATIA è uno stato di completo distacco emotivo con assenza di sentimenti piacevoli o spiacevoli. lo STUPORE EMOZIONALE è uno stato di indifferenza affettiva, determinato dall’incapacità di adattamento a situazioni altamente stressanti da provocare un carico emozionale insopportabile. l’AMBIVALENZA AFFETTIVA è la coesistenza di sentimenti opposti nei confronti di una stessa persona o situazione, assume un significato patologico se diventa intensa e pervasiva. il SENTIMENTO DI ANAFFETTIVITÀ è l’incapacità di provare sentimenti, si assiste ad un impoverimento della vita affettiva del paziente. l’IPOCONDRIA è uno stato affettivo legato al timore di ammalarsi. L’ipocondriaco dubita sempre del suo stato di salute, amplifica sintomi e segni somatici, può richiedere frequentemente interventi sanitari. la DISSOCIAZIONE AFFETTIVA c’è discordanza tra lo stato affettivo e gli eventi esterni. CAP. 18 LO STRESS Par. 18.1 Lo stress: caratteristiche generali, cenni storici Lo stress è la risposta psicofisica ad una quantità di compiti emotivi, cognitivi o sociali percepiti dalla persona come eccessivi. Il termine stress fu impiegato per la prima volta nel 1936 da Hans Selye che lo definì come “risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso”. In base al modello di Selye, il processo stressogeno si compone di tre fasi distinte: 1 - fase di allarme: Durante la fase di allarme si mobilitano le energie difensive (innalzamento della frequenza, della pressione cardiaca, della tensione muscolare, diminuzione delle secrezione salivare, aumentata liberazione di cortisolo, ecc.). 2 - fase di resistenza: Nella fase di resistenza invece, l'organismo tenta di adattarsi alla situazione e gli indici fisiologici tendono a normalizzarsi anche se lo sforzo per raggiungere l'equilibrio è intenso. 3 - fase di esaurimento: Se la condizione stressante continua, oppure risulta troppo intensa, si entra in una fase di esaurimento in cui l'organismo non riesce più a difendersi e la naturale capacità di adattarsi viene a mancare . Si assisterà in questa [87] fase alla comparsa di malattie dall'adattamento rappresentate per esempio, dal diabete o dell'ipertensione arteriosa (malattie psicosomatiche). La durata dell’evento stressante porta a distinguere lo stress in due categorie: lo stress acuto, si verifica una sola volta e in un lasso di tempo limitato, e lo stress cronico, cioè quando lo stimolo è di lunga durata. I primi si presentano ad intervalli regolari, hanno una durata limitata, e sono quindi più o meno prevedibili. I secondi sono invece rappresentati da situazioni di lunga durata che investono l’esistenza di una persona e che diventano stressanti nel momento in cui rappresentano un ostacolo costante al perseguimento dei propri obiettivi. Oltre alla durata, è importante anche la natura dello stressor. Possiamo avere stressor benefici, detti eustress, (eu: in greco, buono, bello)che danno tono e vitalità all’organismo e stressor nocivi detti distress, ( dis: cattivo, morboso),che possono portare ad un abbassamento delle difese immunitarie. Lo stress può essere provocato da: - eventi della vita sia piacevoli che spiacevoli (ad esempio: matrimonio, nascita di un figlio, morte di una persona cara, divorzio, pensionamento, problemi sessuali); - cause fisiche: il freddo o il caldo intenso, abuso di fumo e di alcol, gravi limitazioni nei movimenti; - fattori ambientali: la mancanza di un’abitazione, ambienti rumorosi, inquinati sono fattori determinanti di un certo stato di stress; - malattie organiche: quando il nostro corpo è affetto da una malattia, l’intero organismo, nel tentativo di difendersi, si pone in uno stato di tensione che, nella maggior parte dei casi, per le scarse difese in grado di apportare, sfocia in una condizione di stress; - cataclismi. I sintomi dello stress possono essere: Frequente sensazione di stanchezza generale, accelerazione del battito cardiaco, difficoltà di concentrazione, attacchi di panico, crisi di pianto, depressione, attacchi di ansia, disturbi del sonno, dolori muscolari, ulcera dello stomaco, diarrea, crampi allo stomaco, colite, malfunzionamento della tiroide, facilità ad avere malattie, difficoltà ad esprimersi ed a trovare un vocabolo conosciutissimo, sensazione di noia nei confronti di ogni situazione, frequente bisogno di urinare, cambio della voce, iperattività, confusione mentale, irritabilità, abbassamento delle difese immunitarie, diabete, ipertensione, cefalea, ulcera. Par. 18.2 Tecniche per ridurre lo stato di tensione provocato da situazioni stressanti [88] Un livello elevato di stress può essere ridotto facendo ricorso a tecniche di rilassamento e alla psicoterapia cognitivo comportamentale. Le tecniche di rilassamento mirano a controllare e gestire le risposte fisiologiche legate allo stress. Imparando a controllare queste reazioni, l’individuo può sfruttarle a suo vantaggio per la "cura dello stress", raggiungendo uno stato di rilassamento piuttosto che di tensione. Le tecniche di rilassamento più efficaci sono: il Jacobson, questa tecnica si basa sull'alternanza contrazione/rilascio di alcuni gruppi muscolari; è stata ideata negli anni trenta dal medico e psicofisiologo statunitense Edmund Jacobson, il Training Autogeno, di Johannes E. Schultz, ( esercizi che portano al rilassamento dell’intero organismo), la meditazione, lo yoga,ipnosi, autoipnosi La psicoterapia cognitivo comportamentale, una tra le migliori "cure per lo stress", consente all’individuo di imparare i metodi di gestione dell’ansia e per modificare i comportamenti disfunzionali. CAP. 19 LA SINDROME DI BURN OUT Par. 19.1 Caratteristiche generali Il termine burn-out che in italiano può essere tradotto come “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”, ha fatto la sua prima apparizione nel gergo del mondo dello sport nel 1930 per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, ad ottenere ulteriori risultati e/o mantenere quelli acquisiti. Lo stesso termine è stato riproposto in ambito sociosanitario per la prima volta nel 1975 dalla psichiatra americana C. Maslach la quale, nel corso di un convegno, utilizzò questo termine per definire una sindrome i cui sintomi testimoniano l’evenienza di una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale. Alcuni Autori identificano il burn-out con lo stress lavorativo specifico delle helping professions , le professioni dell’aiuto che comprendono figure come medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali , esperti di orientamento al lavoro, fisioterapisti, operatori dell’assistenza sociale e sanitaria, guide spirituali, missionari e operatori del volontariato. A partire dai primi anni in cui il fenomeno è stato studiato, esso è stato riscontrato anche in tutte quei mestieri legati alla gestione quotidiana dei problemi delle persone in difficoltà, a partire dai poliziotti, carabinieri, vigili del fuoco, fino ai consulenti fiscali, avvocati, nonché in quelle tipologie di professioni educative (es. insegnanti) che generano un contatto, spesso con un [89] coinvolgimento emotivo profondo, con i disagi degli utenti con cui lavorano e di cui guidano la crescita personale. La definizione che la Maslach fornisce del burn-out è di “sindrome caratterizzata da esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali”. Per misurare il burn-out la Maslach creò una scala che chiamò MBI un questionario di 22 items, ossia domande, atti a stabilire se nell'individuo sono attive dinamiche psicofisiche che rientrano nel burn-out. A ogni domanda il soggetto interessato deve rispondere inserendo un valore da 0 a 6 per indicare intensità e frequenza con cui si verificano le sensazioni descritte nella domanda stessa. CAUSE Le cause del fenomeno più frequenti sono: il lavoro in strutture mal gestite, la scarsa o inadeguata retribuzione, l’organizzazione del lavoro disfunzionale o patologica, lo svolgimento di mansioni frustranti all’insufficiente autonomia o inadeguate alle proprie aspettative oltre decisionale e a sovraccarichi di lavoro. La sindrome si caratterizza per una condizione di nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo, ostilità degli operatori sociosanitari, sia fra loro sia verso terzi, che però si distingue dallo stress, eventuale concausa del burn-out così come si distingue dalle varie forme di nevrosi, in quanto non disturbo della personalità ma del ruolo lavorativo. Queste manifestazioni psicologiche e comportamentali possono essere raggruppate, come dalla precedente definizione della Maslach, in tre categorie di disturbi: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale. L’esaurimento emotivo consiste nel sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo nel rapporto con gli altri. La depersonalizzazione si manifesta come un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto (risposte comportamentali negative e sgarbate) nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura. La ridotta realizzazione personale riguarda la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, la caduta dell’autostima e la sensazione di insuccesso nel proprio lavoro. Il soggetto colpito da burn-out manifesta sintomi aspecifici (irrequietezza, senso di stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia), sintomi somatici con insorgenza di vere e proprie patologie (ulcere, cefalee, aumento o diminuzione ponderale, disturbi cardiovascolari, difficoltà sessuali ecc.), sintomi psicologici [90] (depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia, risentimento, irritabilità, aggressività, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza, negativismo, isolamento, sensazione di immobilismo, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti e critico nei confronti dei colleghi). Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo. La sindrome del burn-out potrebbe essere paragonata ad una sorta di virus dell’anima, perché sottile, invisibile, penetrante, continua, ingravescente. Se non si interviene determina l’exitus volitivo ed energetico, non solo lavorativo, della persona. Le FASI del burn-out possono essere riassunte in questo modo: La prima, è quella dell'entusiasmo idealistico che spinge il soggetto a scegliere un lavoro di tipo assistenziale. Nella seconda (stagnazione) il soggetto sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa. L'entusiasmo, l'interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione iniziano a diminuire. Nella terza fase (frustrazione) il soggetto affetto da burn-out avverte sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato; spesso tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall'ambiente lavorativo, ed eventualmente atteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso. Nel corso della quarta fase (apatia) l'interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all'empatia subentra l'indifferenza, fino ad una vera e propria "morte professionale". Tra le strategie di gestione del burn-out, molto successo hanno riscosso le tecniche di rilassamento, di gestione dello stress, di gestione del tempo, di rafforzamento di abilità sociali . Con affetto, a tutti i miei allievi del corso O.S.A. [91]