dispensa di psicologia

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Unione Europea
Regione Siciliana
Repubblica Italiana
ASSESSORATO REGIONALE DELL’ISTRUZIONE E DELLA
FORMAZIONE PROFESSIONALE
DISPENSA
DI
PSICOLOGIA
Anno Formativo 2011
DISPENSA DI PSICOLOGIA
“Il ruolo dell’Operatore nell’accompagnamento globale
dell’utente” .
“ Io Operatore MI IMPEGNO … a:
STARTI VICINO quando soffri, quando hai paura,
quando la medicina e la
tecnica non bastano. “
[1]
CAP. 1
LA FIGURA DELL’OPERATORE SOCIO-ASSISTENZIALE
Par. 1.1 Caratteristiche generali
L’OPERATORE SOCIO - ASSISTENZIALE è una figura professionale che lavora
nell’ambito del sociale e dell’assistenza ed ha acquisito la qualifica grazie alla
frequenza di un corso professionale di specializzazione riconosciuto per tale titolo.
L’O.S.A è responsabile del benessere generale dell’utente assistito sul piano sociopsico-fisico e relazionale. Tale qualifica ha la seguente validità: qualifica valutabile
nei concorsi pubblici e privati; qualifica riconosciuta dai centri per l’impiego;
qualifica valutabile per la fuoriuscita ex art. 23- LSU; accesso graduatoria I.T.P;
accesso assistente igienico sanitario; accesso docenza corsi “H sostegno”;
accesso graduatoria A.T.A; titolo di preferenza ambito di lavoro; credito
formativo esami di maturità; credito formativo universitario; aspiranti ad un
impiego pubblico; qualifica valida per l’insegnamento nei corsi regionali.
Par. 1.2 Ambiti di lavoro, utenza da assistere, ruoli e competenze
Gli AMBITI DI LAVORO dell’O.S.A possono riferirsi sia all’area privata
che al settore pubblico nonché alle istituzioni scolastiche; l’O.S.A infatti
lavora:

direttamente a casa della persona assistita, all’interno del servizio di
assistenza
domiciliare
fornito
da
enti
pubblici
(comuni)
ed
organizzazioni di privato sociale (cooperative, comunità) o per richiesta
di privati;

in strutture tutelari che sostituiscono l’abitazione dell’utente e dove gli è
fornita l’assistenza quando da solo o la sua famiglia non è in grado di
farlo (casa di riposo, comunità alloggio, case famiglia, RSA );

nelle strutture scolastiche in ausilio dello svolgimento delle varie attività
svolte all’interno della classe e fornendo assistenza ai bambini
diversamente abili.
IL CAMPO DI ATTIVITÀ DELL’OPERATORE SOCIO ASSISTENZIALE
COMPRENDE L’ACCOMPAGNAMENTO E L’ASSISTENZA GLOBALE
DELLA PERSONA ASSISTITA NEL SUO AMBIENTE ABITUALE (A
CASA) IN CENTRI DI DEGENZA E STRUTTURE OCCUPAZIONALI.
[2]
Gli UTENTI che l’O.S.A può assistere sono:

persone anziane

persone adulte con gravi handicap fisici o psichici e con
precedenti di malattia mentale

minori allontanati dalla famiglia collocati in strutture
residenziali (comunità-alloggio, case-famiglia, istituti)

nuclei familiari con persone a rischio o portatori di
handicap fisici o persone che necessitano di assistenza
psichica

persone che vivono in ambienti sociali disagiati

tossicodipendenti o malati terminali

disabili mentali.
Le COMPETENZE dell’O.S.A possono essere raggruppate in
4 aree specifiche:

aiuto diretto alla persona (lavarla, vestirla, imboccarla,
etc…);

aiuto domestico (igiene della casa, sanitizzazione dei
locali)

aiuto logistico complementare o del terzo settore
(orario delle terapie, concordare appuntamenti, disbrigo
pratiche, etc…);

competenze relazionali o di socializzazione( capacità di
relazionare con utenti, famiglia,equipe di lavoro).
AIUTO DIRETTO ALLA PERSONA:

deve favorire l’autosufficienza nella vita quotidiana, aiutare
nello svolgimento delle attività personali della persona
(alzarsi dal letto o coricarsi, pulizie personali, aiuto per il
bagno, vestizione, nutrizione, aiuto nell’assunzione dei pasti,
corretta deambulazione, aiuto per la mobilizzazione).

in sostituzione e appoggio dei familiari e su indicazione sempre dei medici è
in grado di aiutare per la corretta assunzione dei farmaci prescritti e per il
[3]
giusto utilizzo dell’apparecchio medico di semplice uso (macchina della
pressione, aerosol).

deve aiutare nella preparazione delle prestazioni sanitarie; deve osservare,
riconoscere e riferire alcuni dei più comuni sintomi di allarme che l’utente può
presentare (pallore, sudorazione, tachicardia, etc…);

deve segnalare al servizio sanitario di base qualsiasi anomalia osservata
nella condizione dell’utente;

può effettuare piccole medicazioni o cambio garza;

può controllare ed assistere alla somministrazione della dieta;

l’O.S.A segue la persona da assistere a domicilio o nelle strutture,
sorvegliandola nell’applicazione del trattamento terapeutico prescrittole dal
medico;

l’O.S.A può aiutare nelle attività che favoriscono la socializzazione, il
recupero ed il mantenimento delle capacità cognitive e manuali.
L’OSA DI SUA INIZIATIVA NON PUÒ SOMMINISTRARE FARMACI NE’
PER TIPOLOGIA E NÉ PER QUANTITÀ, MA PUÒ DARE AGLI UTENTI
ASSISTITI LA TERAPIA PRESCRITTA DAL PERSONALE MEDICO.
Può essere da ausilio al personale sanitario nell’attuazione di ALCUNE
MISURE TERAPEUTICHE, tra cui:

effettuare clisteri;

applicare pomate e fasciature;

medicazioni di ferite;

preparazione e somministrazione di alcune terapie dietro
l’indicazione del personale medico;

rilevazione di vari parametri vitali (controllo della pressione o
controllo del peso);

attuazione di programmi terapeutici a livello motorio, di
ergoterapia e logopedia;

pedicure;

ginnastica vescicale;

assunzione di cibo, inclusa l’alimentazione tramite sonda;
La programmazione delle misure sopra indicate e la forma di
sostegno che l’operatore deve prestare nella loro adozione
devono essere specificate per iscritto nella pianificazione delle
cure e nella relativa documentazione.
[4]
AIUTO DOMESTICO:

l’O.S.A collabora nello svolgimento delle attività di carattere domestico;

si occupa della cura delle condizioni igieniche e del riordino del contesto
abitativo, cambio e lavaggio della biancheria;

è responsabile della corretta preparazione e somministrazione dei pasti;

osserva le norme igienico-sanitarie;

provvede alla sterilizzazione ambientale e degli strumenti di lavoro, cura
pulizia e manutenzione delle attrezzature e dell’arredo, riordino del
materiale dopo l’assunzione dei pasti, sterilizzazione del materiale
sanitario, secondo le disposizioni avute dall’infermiere o dal medico.
AIUTO LOGISTICO, COMPLEMENTARE O DEL TERZO SETTORE:

l’O.S.A si occupa dello svolgimento delle attività amministrative e pratiche
burocratiche;

si occupa anche di effettuare acquisti per gli utenti e di svolgere piccole
commissioni;

prepara la documentazione necessaria ai fini dell’assicurazione della
qualità della vita e si assume la gestione della casa;

in collaborazione con il personale dei servizi socio-sanitari, elabora la
rilevazione dei bisogni specifici delle persone e dei gruppi da assistere
collaborando con l’équipe alla stesura dei piani di intervento e dei progetti
da realizzare sul territorio e nei servizi;

collabora all’elaborazione del programma individuale o di gruppo volto a
sviluppare le facoltà intellettive e le capacità fisiche delle persone assistite.
COMPETENZE DI TIPO RELAZIONALE:
L’O.S.A deve saper relazionarsi con utenti, famiglie degli utenti ed équipe di
lavoro. Il primo strumento di socializzazione è la comunicazione, veicolo che
permette di creare delle relazioni o interazioni tra individui. Vi sono altri
strumenti di socializzazione, ovvero varie attività artistiche che permettono
l’espressione della capacità creativa, come laboratori di dècoupage, bricolage,
pittura, disegno, teatro, giochi di gruppo, attività culinarie, escursioni turistiche.
[5]
Par. 1.3 Competenze tecniche e relazionali. Punti fondamentali e di sintesi
LE COMPETENZE RICHIESTE ALLA FIGURA DELL’OPERATORE
SONO QUINDI DI 2 TIPI:

COMPETENZE RELATIVE ALLA CONOSCENZA TECNICA

COMPETENZE DI TIPO RELAZIONALE
COMPETENZE RELATIVE ALLA CONOSCENZA TECNICA:

l’O.S.A deve conoscere le principali tipologie di utenti e le
problematiche connesse ;

deve conoscere le diverse fasi di elaborazione dei progetti di
intervento personalizzati;

conoscere i fondamenti della legislazione socio-sanitaria e dei servizi
presenti nel contesto operativo;

conoscere le condizioni dell’utente e la situazione familiare ;

conoscere le modalità di segnalazione e comunicazione dei problemi
generali e specifici relativi all’utente ;

conoscere le condizioni di rischio e i vari disturbi mentali ;

conoscere i principali interventi di educazione alla salute rivolti agli
utenti e ai loro familiari;

conoscere l’organizzazione dei servizi sociali e sanitari presenti nel
territorio;

conoscere le nozioni fondamentali di pronto soccorso, psicologia e
sociologia.
COMPETENZE DI TIPO RELAZIONALE:

l’O.S.A deve saper lavorare in équipe ;
 deve
sapersi relazionare
con altri operatori ed altre figure
professionali;

deve saper rapportarsi con utente e famiglie comunicando le attività di
assistenza coinvolgendo alla comunicazione e al dialogo;

deve saper agire in condizioni di emergenza ;

deve saper interagire con l’utente e il personale sanitario ;

si deve saper rapportare con le strutture sociali, ricreative e culturali
del territorio;
[6]

deve saper collaborare alla stesura dei piani di intervento sia
individuali che di gruppo;

deve essere in grado di partecipare all’accoglimento dell’utente per
assicurare una puntuale informazione sul servizio e sulle risorse;

deve essere in grado di gestire la sua attività con la dovuta
riservatezza e rispettare l’etica e il segreto professionale.
“ La visibilità di ciò che vediamo
Sta nelle realtà in cui crediamo.
Ci sono occhi che non vedono
e orecchie che non sentono
Ma il cuore ascolta sempre.”
[7]
L’O.S.A NON PUÒ SOMMINISTRARE FARMACI DI SUA INIZIATIVA.
È IMPORTANTE CHE L’O.S.A PRESTI LA SUA OPERA RISPETTANDO IL
SEGRETO PROFESSIONALE E SENZA DIVULGARE NOTIZIE E FATTI CHE
ACCADONO NEL LUOGO DI LAVORO.
L’O.S.A PUÒ SVOLGERE IL SUO LAVORO SIA NEL PUBBLICO CHE NEL
PRIVATO ED È TENUTO AD ACCETTARE
INCONDIZIONATAMENTE LA
TIPOLOGIA DI UTENZA ALLA QUALE DEVE PRESTARE LA SUA ASSISTENZA.
È IMPORTANTE CHE ABBIA ACQUISITO DELLE NOZIONI BASILARI DI
PSICOLOGIA PER GESTIRE E ORGANIZZARE I RAPPORTI INTERPERSONALI
RELATIVI ALL’AMBITO LAORATIVO, PER ANALIZZARE E VALUTARE LO
STATO DI SALUTE, LE CONDIZIONI FAMILIARI E SOCIO-RELAZIONALI
DELL’UTENTE, PER CONOSCERE LE CARATTERISTICHE GENERALI DEI VARI
DISTURBI MENTALI E SAPER RICONOSCERE I SINTOMI E GESTIRNE LE
CONSEGUENZE (ES: GESTIONE DELLE CRISI NEI PAZIENTI SCHIZOFRENICI,
COMPARSA DI DELIRI E ALLUCINAZIONI O GESTIONE DI CRISI DEPRESSIVE),
SAPER MIGLIORARE LA COMUNICAZIONE E UTILIZZARE UN LINGUAGGIO
ASSERTIVO CON COLLEGHI, UTENTI E I LORO FAMILIARI AL FINE DI CREARE
UN CLIMA ACCOGLIENTE E COLLABORATIVO.
LE
NOZIONI
DI
PRONTO
SOCCORSO
SONO
UTILI
ALL’O.S.A.
PER
RICONOSCERE I PRIMI SINTOMI DI UN MALESSERE E FORNIRE I PRIMI AIUTI
DANDO COMUNICAZIONE AL PERSONALE MEDICO COMPETENTE.
LE NOZIONI DI SOCIOLOGIA SONO UTILI INVECE AL FINE DI FAR CONOSCERE
ALL’O.S.A. LE CARATTERISTICHE DEL GRUPPO E LE SUE DINAMICHE LA
FUNZIONE DELLA COMUNICAZIONE NEL GRUPPO E I GIOCHI DI ANIMAZIONE
ALLO SCOPO DI CREARE UN CLIMA DI ACCETTAZIONE PER L’UTENTE.
[8]
CAP. 2
LA PSICOLOGIA E LA SUA IMPORTANZA NEL LAVORO DELL’OPERATORE
SOCIO-ASSISTENZIALE
Par. 2.1
La scienza psicologica: caratteristiche generali, cenni storici, orientamenti
teorici
La Psicologia è una scienza che studia la mente umana, il comportamento, le
relazioni tra gli individui e i vari disturbi mentali. È importante che l’Operatore Socio
Assistenziale abbia acquisito nel corso della sua preparazione delle nozioni di
psicologia per diversi motivi:
- per conoscere le varie tipologie di disturbi e assumere atteggiamenti adeguati
dinanzi a determinate situazioni (per es. se si lavora con utenti schizofrenici è
importante che conosca le caratteristiche della patologia e come interagire con essi in
particolari situazioni);
- per sviluppare la comunicazione e modificare lo stile comunicativo,
- per contribuire a creare un clima collaborativo con gli utenti, le rispettive famiglie e
l’équipe di lavoro;
- per capire le dinamiche di gruppo e svolgere un lavoro sinergico e di rete con le
altre figure professionali nell’ambito dell’assistenza;
- per conoscere i limiti, le potenzialità e il vissuto di una determinata persona e
iniziare, grazie alla raccolta delle informazioni anamnestiche, ad analizzare e a
valutare la situazione familiare, personale, sociale, affettiva e relazionale dell’utente.
La psicologia è una scienza che ha diverse ramificazioni ed ogni branca
approfondisce lo specifico aspetto oggetto di studio a cui si riferisce. Si parla
pertanto di psicologia della personalità, di comunità, del colloquio psicologico, dei
test di personalità, della tossicodipendenza, sociale, delle dinamiche familiari,
giuridica, clinica, psicopatologia, etc…Ognuna di esse dedica l’attenzione verso
tematiche specifiche pertinenti alla materia da studiare.
All’interno della scienza psicologica si possono distinguere diversi orientamenti di
studio, ognuno dei quali privilegia un particolare ambito di ricerca, tra questi è
importante annoverare: l’orientamento psicoanalitico: che enfatizza lo studio dei
processi psichici attuando una sorta di scavo archeologico, come sosteneva Freud
(padre della psicoanalisi), nell’inconscio e nel vissuto del soggetto e portare alla
coscienza contenuti interni rimossi; l’orientamento cognitivo- comportamentale:
che punta l’attenzione invece sul comportamento visibile e mira a modificare variabili
[9]
disfunzionali; l’orientamento sistemico- relazionale: valuta invece il problema come
il prodotto di un contesto familiare che funziona male ed è compito dello psicologo
sostituire le regole disfunzionali con delle regole funzionali che controllano l’intero
sistema familiare. L’O.S.A lavora nell’ambito del sociale, un contesto complesso e
piuttosto delicato in quanto si ha a che fare con la sofferenza umana e con tipologie di
utenza che possono manifestare sintomi e patologie di una certa gravità con le quali
bisogna adottare delle misure preventive e comportamentali adeguate.
Lavorare nel sociale significa farsi carico dei disagi e della sofferenza altrui, cercando
di attuare anche un certo distacco emotivo e nel contempo cercare di empatizzare con
l’utente (creando una certa sintonia con il suo vissuto).
CAP. 3
FREUD E LA PSICOANALISI
Par. 3.1 Freud e la psicoanalisi: caratteristiche generali
Freud, medico e psichiatra, nel corso dei suoi studi si interessò di
approfondire diverse tematiche come: l’interpretazione dei sogni; il
lavoro con delle pazienti isteriche che presentavano seri disturbi
mentali; l’elaborazione di una sua teoria chiamata “Teoria dei
Luoghi” per descrivere la dinamica dell’apparato psichico; elaborò
un modello di terapia dei disturbi psichici e propose un modello
descrittivo degli stadi dello sviluppo psicosessuale del bambino
L’interpretazione dei sogni
Il SOGNO
così come viene ricordato e verbalizzato (contenuto manifesto) è
l’espressione di un contenuto latente, nascosto, inconscio. Il contenuto latente si
trasforma in contenuto manifesto attraverso il LAVORO ONIRICO, dando luogo ad un
contenuto apparentemente privo di significato ma che dovrà invece essere
interpretato. Il SOGNO pertanto può essere definito come l’appagamento di un
desiderio, perché consente al desiderio stesso di manifestarsi seppure in forma
mascherata. L’ANALISI permette di individuare il senso del sogno attraverso le
associazioni che il paziente fa in relazione agli elementi del contenuto manifesto.
[10]
La psicoanalisi
La PSICOANALISI è per Freud:

una teoria e un metodo di ricerca in Psicologia

un metodo terapeutico

un procedimento per l’indagine psichica, la terapia psicoanalitica è fondata
sullo svelamento delle rappresentazioni respinte o conservate nell’inconscio
La teoria dei luoghi: ES, IO, SUPERIO. CONSCIO, PRECONSCIO, INCONSCIO
Freud, tra la fine del 1890 e gli inizi del 1920, elaborò una teoria generale della
psiche “LA TEORIA DEI LUOGHI” e si interessò dello studio di particolari fenomeni
osservati nella vita psichica normale e patologica e di descrivere e interpretare
interessanti casi clinici (il caso di Anna O, il caso del piccolo Hans, ecc…). Freud nella
“Teoria dei Luoghi” collocava la dinamica degli affetti all’interno di un APPARATO
PSICHICO suddiviso in SISTEMI aventi diverse funzioni.
La PRIMA TOPICA dove veniva suddiviso l’apparato psichico in:
 INCONSCIO
 PRECONSCIO
 CONSCIO
e la SECONDA TOPICA basata sulla differenziazione tra le tre istanze:
 ES
 IO
 SUPERIO
Per Freud la METAPSICOLOGIA è costituita dall’insieme del punto di vista:
 TOPICO (struttura dell’apparato psichico);
 DINAMICO (studio dei fenomeni psichici in relazione alle forze che agiscono nella
psiche stessa);
 ECONOMICO (energia che circola e si distribuisce nella psiche).
Par. 3.2 Struttura dell’apparato psichico secondo la teoria di Freud
Freud suddivide nella sua teoria l’apparato psichico in: ES,
IO e SUPERIO.
L’ES rappresenta per la psiche il PATRIMONIO EREDITARIO, è la sede di origine
delle pulsioni e la fonte principale dell’energia psichica. Rappresenta la parte oscura,
inaccessibile della nostra personalità.
L’IO è mediatore del rapporto tra l’ES di un individuo e il mondo esterno che, ai fini
dell’autoconservazione dell’individuo stesso, svolge la funzione di CONOSCERE e
[11]
VALUTARE gli stimoli esterni ed interni. Le minacce provenienti dall’ES e
dall’ambiente provocano ANGOSCIA; quando è possibile, l’IO affronta il problema in
modo realistico utilizzando le abilità di problem-solving; quando l’angoscia è così forte
tanto da minacciare di soffocare l’IO, entrano in gioco meccanismi di difesa che
controllano e alleviano l’angoscia stessa apportando distorsioni alla realtà e
permettendo, tuttavia, solo un soddisfacimento parziale delle pulsioni.
Dall’IO si sviluppa durante l’infanzia il SUPER-IO nel quale si collocano le influenze
dei genitori e delle altre persone significative del proprio ambiente sociale.
Esso si sviluppa quando il bambino risolve il suo complesso edipico e sviluppa
l’identificazione con i genitori. Il SUPER-IO è composto da due parti: la COSCIENZA e
l’IO IDEALE. La coscienza è fatta dalle proibizioni dei genitori, dalle loro punizioni,
regole morali tanto che punisce la persona con i sensi di colpa o con un
comportamento autodistruttivo. L’IO ideale si riferisce ad un insieme di condotte verso
cui la persona tende i propri sforzi.
Per Freud l’ES e il SUPER-IO, pur differendo in molte cose fondamentali,
concordano nel fatto di rappresentare entrambi gli influssi del passato:
 l’ES rappresenta l’influsso di ciò che l’individuo ha ereditato
 il SUPER-IO rappresenta l’influsso di ciò che egli ha recepito da altre persone
 l’IO invece è determinato principalmente da ciò che l’individuo ha sperimentato
personalmente, dunque da eventi accidentali e attuali.
I processi psichici si qualificano in base al grado di coscienza che possiedono per
l’individuo. Alcuni processi psichici sono INCONSCI che possono restare tali o
divenire CONSCI, anche se incontrano certe resistenze che possono emergere nel
processo terapeutico.
L’INCONSCIO si riferisce a pensieri e sentimenti repressi e quindi sconosciuti.
Questo materiale non è in grado di aprirsi alla coscienza e qualora accadesse si
assisterebbe ad un aumento delle pulsioni o ad un indebolimento delle difese dell’Io.
Il PRECONSCIO
è capace di diventare conscio attraverso la formazione di
immagini mentali o attraverso il linguaggio.
Il CONSCIO rappresenta il contenuto di cui la persona è consapevole in quel
momento. I pensieri possono passare dal preconscio al conscio rapidamente.
Le
leggi che regolano i processi dell’INCONSCIO e nell’ES rientrano nel processo
primario regolato dal PRINCIPIO DI PIACERE, ovvero i processi psichici mirano ad
ottenere piacere, l’attività psichica si ritrae dagli eventi che possono provocare
dispiacere attraverso i meccanismi difensivi.
[12]
Le leggi che regolano i processi nel PRECONSCIO e nella parte COSCIENTE o
nell’IO, appartengono al PROCESSO SECONDARIO e sono regolati dal PRINCIPIO
DI REALTÀ ovvero si impone un esame di realtà ai fini del conseguimento del
piacere, non vi è una rappresentazione allucinatoria dell’oggetto desiderato ma si
produce una rappresentazione mentale adeguata ad esplorare la realtà per ottenere
una reale soddisfazione del bisogno. I bisogni dell’organismo si esprimono e sono
soddisfatti nella vita psichica come PULSIONI ovvero RAPPRESENTAZIONE
PSICHICA DEL BISOGNO. La PULSIONE arriva alla META in virtù della sua forza o
SPINTA e si dirige su oggetti che possono variare nel tempo.
Par. 3.3 Gli stadi, le fasi o i periodi dello sviluppo psicosessuale del bambino
FREUD, studiando il bambino nelle esperienze di sofferenza da lui verbalizzate o da
lui affrontate, cercò di RINTRACCIARE la rilevanza delle ESPERIENZE PRECOCI
legate al rapporto coi genitori (soprattutto al rapporto con la madre).
“Attribuisce al legame madre-bambino l’importanza delle successive relazioni del
soggetto da adulto col mondo e le modalità attraverso cui il bambino risolve e appaga
i suoi bisogni nel corso dello sviluppo, sottolineando l’esistenza o meno di problemi
che hanno una certa analogia con caratteristiche della vita adulta”.
LO SVILUPPO DELLA SESSUALITÀ INFANTILE è stato cadenzato da FREUD in
varie fasi, stadi o periodi denominate: ORALE, ANALE, FALLICA e GENITALE e da
un PERIODO DI LATENZA. La successione degli stadi prosegue e l’energia nasce
da un investimento verso un oggetto. Secondo Freud i primissimi anni di vita sono i
più importanti per la formazione della personalità, si può capire un comportamento
solo se si conosce come si è sviluppato durante la storia precedente della persona.
Sia il comportamento normale che anormale hanno le loro radici nei primi anni,
quando viene costruita la struttura di base della personalità.
Ogni stadio presenta dei nuovi bisogni che devono essere manovrati dalle strutture
mentali. Tali bisogni se non vengono soddisfatti possono portare allo sviluppo di
atteggiamenti caratteristici, difese, fantasie. Conflitti non risolti in ogni stadio possono
essere presenti lungo tutto il corso della vita dell’individuo.
Il passaggio da uno stadio all’altro è biologicamente determinato, il passaggio allo
stadio successivo è indipendente dal completamento dello stadio precedente; ogni
[13]
stadio è centrato su una particolare zona erogena (una zona del corpo che, una volta
stimolata, produce tensioni sessuali che hanno bisogno di essere alleviate).
FASE ORALE (dalla nascita a 1 anno circa)
Le esperienze ORALI presentano al bambino il piacere e il dolore del mondo. Il
PIACERE proviene dalla soddisfazioni delle PULSIONI ORALI. Succhiare, mangiare,
masticare e morsicare danno GRATIFICAZIONE, ad es. l’attività di suzione è
finalizzata ad ottenere un PIACERE, nell’esercitare tale attività (attaccarsi al seno o al
biberon) il bambino va alla ricerca della soddisfazione di un piacere. Durante lo
svezzamento può insorgere un problema, il bambino abbandona il SENO MATERNO
e per gratificarsi utilizza un altro oggetto. Oltre ad esperire piacere orale, il bambino
piccolo si confronta con l’esperienza del dolore derivante dalla FRUSTRAZIONE e
dall’ANGOSCIA. Le tensioni sessuali sono piacevoli se vengono soddisfatte, ma
diventano dolorose se non sono appagate e continuano ad aumentare di intensità.
Potrebbe capitare che un oggetto preferito, il capezzolo o il biberon, non sia presente
nel momento in cui il bambino lo desidera per cui deve aspettare e ciò risulta
frustrante. Potrebbe abbandonarsi al soddisfacimento allucinatorio del desiderio,
immaginando il biberon desiderato; oppure potrebbe succhiarsi il dito, una coperta o
un giocattolo morbido ma il soddisfacimento non è completo.
Sono i genitori che insegnano ai bambini come soddisfare le proprie pulsioni; il
bambino scopre che la vita comporta delle frustrazioni oltre che piaceri e così
sviluppa, per fronteggiare le frustrazioni, modalità che saranno la base della sua
personalità futura. Un’altra spiacevole sensazione, strettamente collegata alla
frustrazione, è l’ANGOSCIA. L’angoscia ha origine dalla nascita, nel momento in cui il
bambino, nel passaggio dalla vita intrauterina a quella extrauterina, viene sopraffatto
dalle stimolazioni. La sua reazione a questa esperienza traumatica è la PAURA.
Da quel momento il bambino sperimenta angoscia in qualsiasi momento
sopraggiunga una stimolazione, soprattutto se è di tipo sessuale. Il bambino prova
angoscia non solo quando la spinta sessuale diventa troppo intensa, ma anche
quando non è presente l’oggetto gratificante o teme che l’oggetto possa
abbandonarlo.
L’angoscia durante la nascita può essere alla base di manifestazioni di tipo ansioso
future. Un’eccessiva o una mancata gratificazione può portare all’insorgenza di
problemi negli anni successivi.
[14]
Gli effetti di una SCARSA GRATIFICAZIONE sono:
 angoscia frequente
 ricerca continua di gratificazione orale nella vita adulta (fumo eccessivo, eccesso
di cibo, mangiarsi le unghie, ecc…)
 pessimismo
Se la soddisfazione orale è ESTREMAMENTE GRATIFICANTE, il bambino può
incontrare difficoltà a caricare psichicamente nuovi oggetti e si può verificare una
fissazione ad uno stadio dello sviluppo psico-sessuale. Per evitare che il bambino
negli stadi successivi abbia dei bisogni insoddisfatti, è necessario raggiungere un
livello ottimale della gratificazione orale.
Per FREUD il modo in cui il bambino si sviluppa durante lo stadio orale crea le basi
per la sua personalità di adulto.
FASE ANALE (da 1 a 3 anni)
Verso la fine dello stadio orale, la personalità del bambino inizia a delinearsi.
Crescendo e maturando, il bambino progredisce verso lo stadio anale, i suoi interessi
si spostano dalla zona orale a quella anale, quindi il piacere è incentrato nella
soddisfazione del bisogno che nasce nella zona anale. Il bambino comincia a farsi
influenzare dall’ambiente esterno, un eccessivo atteggiamento punitivo in tale periodo
comincia ad influenzare il bambino che può provare un SENSO DI VERGOGNA o si
crea una situazione di ANGOSCIA e di CONFLITTO.
Il bambino deve risolvere il conflitto (un conflitto che può nascere dal controllo
degli sfinteri). Il bisogno fisiologico di defecare crea una tensione che viene alleviata
dalla defecazione stessa. Tale stimolazione anale e la conseguente riduzione della
tensione produce piacere, ma la zona erogena, oltre a produrre piacere, porta a
frustrazione e ansietà.
Il bambino deve fronteggiare il training a tenersi pulito, se i genitori esigono il controllo
degli sfinteri da parte del bambino, il suo desiderio di gratificazione immediata viene
frustrato. Se il training a tenersi pulito è troppo rigido, allora la defecazione può
diventare per il bambino fonte di angoscia.
Alcuni bambini reagiscono a un training severo trattenendo le feci, oppure defecando
in tempi e luoghi inadatti.
[15]
QUALI SONO LE CARATTERISTICHE PATOLOGICHE PRESENTI NELL’ETÀ
ADULTA LEGATE A QUESTO STADIO?
 SENSO DI ORDINE
 AVARIZIA
 CONTROLLO (persona con carattere anale, per descrive un soggetto metodico,
pedante e ostinato)
 DISORDINE (eccessiva personalità anale)
Se in questo stadio si trova un certo equilibrio tra la gratificazione e l’auto-controllo, si
permette al bambino lo sviluppo di un Io più maturo, in quanto è stato plasmato dal
confronto con la realtà.
FASE FALLICA (dai 3 ai 5 anni circa)
In questo stadio, piaceri e preoccupazioni sono incentrati sull’area genitale. Il
compito evolutivo che il bambino deve affrontare in questa fase è la SOLUZIONE DI
UN CONFLITTO. Si ha, pertanto, la nascita del COMPLESSO DI EDIPO (nascita di
sentimenti di amore verso la figura genitoriale di sesso opposto, la madre, e
sentimenti di odio verso la figura genitoriale dello stesso sesso, il padre); il bambino si
trova quindi in una situazione triangolare che vive con forte senso di ANGOSCIA. Il
bambino prova desiderio sessuale per la propria madre e ha paura che il padre possa
castrarlo. Per uscire da questa situazione angosciosa, il bambino rimuove sia il suo
desiderio per la madre che l’ostilità per il padre. Il bambino risolve il CONFLITTO
attraverso il PROCESSO DI IDENTIFICAZIONE (identificazione col padre).
L’identificazione non è imitazione, ma lo sviluppare un forte legame emotivo nei suoi
confronti , si IDENTIFICA con le parti non esterne del padre, INTERIORIZZANDO
valori, stili di vita credenze, interessi e atteggiamenti caratteristici del padre. Il
bambino apprende un ruolo, un’IDENTITÀ DI GENERE, identificandosi nell’essere
maschio. Il periodo dai 4 ai 5 anni corrisponde ad un periodo temporale, il bambino
comincia ad intrattenere rapporti coi propri pari e il gruppo.
PERIODO DI LATENZA (dai 5 anni all’inizio della pubertà)
Tale fase coincide col periodo in cui le pulsioni sessuali sono represse e non
emerge alcuna area del corpo che sia fonte di eccitamento. Il bambino investe su altri
oggetti e vi è uno spostamento dell’energia su altre attività (attività cognitive,
intellettuali, scolastiche e giochi con bambini). L’energia sessuale, rivolta verso
interessi sociali, è intenta alla costruzione di meccanismi di difesa per l’IO
(spostamento, rimozione).
[16]
FASE GENITALE (adolescenza, dai 13 ai 18 anni)
Gli impulsi sessuali, che erano stati repressi durante il periodo di latenza,
ricompaiono a causa dei cambiamenti fisiologici che avvengono durante la pubertà e
sono diretti verso un coetaneo di sesso opposto. L’obiettivo è il raggiungimento di una
intimità sessuale adulta e matura, avente come fine biologico la riproduzione. Alla fine
dello stadio genitale viene raggiunta la maturità e l’individuo ha una struttura dell’IO
forte che gli permette di fronteggiare la realtà del mondo adulto. Uno dei
conseguimenti più importanti è rappresentato dall’equilibrio fra amore e lavoro.
Quali sono le caratteristiche presenti nell’età adulta per quei soggetti che hanno
raggiunto un livello di gratificazione in modo equilibrato?
 si è avuto il raggiungimento delle varie fasi dello sviluppo;
 chi supera con successo le fasi dello sviluppo psicosessuale, raggiunge alla fase
genitale un legame sessuale equilibrato;
 la soluzione dei bisogni dello stadio genitale segna la qualità delle relazioni che il
soggetto ha con gli altri individui e la capacità di orientarsi verso il mondo delle
emozioni, degli affetti e dell’amore e verso una attività lavorativa concreta.
CAP. 4 LA COMUNICAZIONE
Par.4.1 Il concetto di comunicazione
La comunicazione è il primo strumento e veicolo di socializzazione. Attraverso il
canale della comunicazione si stabiliscono le relazioni, ovvero le interazioni tra gli
individui e si creano i rapporti. L’essere umano non può non comunicare, infatti la
comunicazione non ha un suo opposto anche il silenzio è pertanto una forma di
comunicazione. Esistono diversi tipi di comunicazione:
 COMUNICAZIONE VERBALE o modulo numerico, caratterizzata dallo scambio di
informazioni contenuti interni e pensieri tramite il linguaggio;
 COMUNICAZIONE NON VERBALE o modulo analogico, caratterizzata invece
dalla gestualità, mimica, espressione facciale, postura, timbro e tono della voce
ovvero il cosiddetto linguaggio del corpo.
La comunicazione non verbale, però, non viene sempre interpretata allo stesso modo;
ciò dipende dalla soggettiva e personale interpretazione delle emozioni e da ciò che il
trasmettitore riesce a trasferire al ricevitore del messaggio. Possono entrare in gioco
vissuti personali e modalità soggettive di vivere e interpretare uno stato d’animo o
un’emozione.
[17]
I 5 Assiomi della comunicazione
Alla comunicazione vengono riconosciuti 5 assiomi (o leggi fondamentali):
1. Non si può non comunicare: qualsiasi comportamento, le parole, ma anche i
silenzi, l’attività o l’inattività hanno tutti valori comunicativo e influenzano gli altri
interlocutori. In sostanza, non si può evitare di comunicare: il nostro
comportamento è già di per sé un messaggio. Per esempio: chi accoglie una
persona in silenzio non può evitare di comunicare una sensazione di freddezza;
2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione. Non si
trasmettono cioè solo messaggi, ma anche le chiavi per comprenderli. Per
esempio il messaggio “fai attenzione” viene compreso, a seconda del tono e dei
gesti, come minaccia, o preghiera o ordine oppure raccomandazione;
3. La natura di una relazione dipende dall’intenzione tra i comunicanti. Se lo
stesso punto di vista rimbalza senza modifiche fra due persone si realizza una
condizione di comunicazione problematica in cui ognuno rimane sulle sue
posizioni. Per esempio: il marito si chiude in se stesso e così via;
4. Gli esseri umani comunicano sia col modulo numerico ( = le parole) sia con
quello analogico ( = gesti, espressioni del viso, inflessioni della voce, sequenza,
ritmo e cadenza delle parole);
5. Tutti gli aspetti di comunicazione sono simmetrici (se basati sull’eguaglianza:
per esempio. Tu urli e io urlo) o complementari ( se basati sulla differenza: per
esempio. Tu mi urli e io mi metto a disposizione). Alcune relazioni ( esempio.
Insegnante – allievo, medico – paziente) sono complementari per natura.
Importante è che le due modalità non si fossilizzano mai ( esempio. Tu sei
sempre arrogante e io rispondo sempre in modo arrogante).
Par. 4.2 La comunicazione nel gruppo. Il gruppo di lavoro
Un gruppo di lavoro è costituito da un insieme di individui che interagiscono tra loro
con una certa regolarità, nella consapevolezza di dipendere l’uno dall’altro e di
condividere gli stessi obiettivi e gli stessi compiti. Ognuno svolge un ruolo specifico
sotto la guida di un leader, basandosi sulla circolarità della comunicazione e
provvedendo al benessere dei singoli. Perché un gruppo possa evolversi e maturare
nel tempo e per permettere una maggiore collaborazione tra i suoi membri ed una loro
partecipazione più attiva, è necessario che si passi dalla semplice interazione ad una
vera e propria integrazione, affinché i partecipanti al gruppo possano condividere
bisogni ed esigenze.
La comunicazione è il processo chiave che permette il funzionamento del lavoro di
gruppo poiché permette lo scambio di informazioni finalizzato al raggiungimento dei
[18]
risultati. Essa presuppone tre livelli: interattivo, informativo e trasformativo. La
comunicazione infatti permette di creare interazioni, relazioni; facilita lo scambio di
informazioni e conoscenze inerenti al lavoro; produce dei cambiamenti.
Par. 4.3 L’O.S.A. nel lavoro di gruppo
L’O.S.A deve saper lavorare in gruppo e condividere saperi e nozioni con l’équipe di
lavoro. Se l’O.S.A è inserito all’interno di una comunità terapeutica deve saper creare
una sinergia con gli altri membri del gruppo. Il coordinatore affiancato dall’assistente
sociale e altre figure professionali previste, deve saper mantenere un clima
collaborativo, partecipativo e di sostegno all’interno del gruppo. L’O.S.A. è tenuto a
comunicare tutte le vicende che accadono all’interno del luogo di lavoro e a
condividere o chiedere consigli e informazioni sulle strategie da adottare.
Le sue mansioni sono specifiche e l’O.S.A è tenuto a svolgerle correttamente, inoltre
non deve divulgare notizie e fatti personali degli utenti o ciò che accade all’interno del
posto di lavoro; deve mantenere il segreto professionale e una certa riservatezza nello
svolgimento del suo lavoro. Un ottimo metodo per avere sempre una certa circolarità
e un confronto con gli altri componenti del gruppo è quello di saper comunicare e
possibilmente utilizzare un tipo di comunicazione assertiva; si viene pertanto a creare
un clima partecipativo e di condivisione. Tra gli aspetti negativi dello svolgimento del
lavoro di gruppo, potrebbero esserci una scarsa sintonia tra i colleghi, ma utilizzando
uno stile comunicativo adeguato si possono evitare incomprensioni.
La responsabilità e il potere decisionale è essenzialmente a carico del coordinatore e
dell’assistente sociale, è ovvio che l’O.S.A deve concordare ogni sua iniziativa con
queste figure.
CAP. 5
I MECCANISMI DI DIFESA
Par. 5.1 I meccanismi di difesa: caratteristiche generali
I meccanismi di difesa sono utilizzati inconsciamente per salvaguardare l’Io, allo
scopo di ridurre il conflitto o l’angoscia ed evitare qualche sentimento minaccioso
come un dolore insopportabile o un trauma.
I meccanismi di difesa possono essere un normale funzionamento dell’Io, sono
solitamente inconsci, sono mutevoli e sono spesso associati a stati psicologici diversi.
Vengono suddivisi in: difese primarie, primitive, di ordine inferiore, arcaiche;
difese secondarie, di ordine superiore, mature è più evolute.
[19]
Tra le difese primarie primitive vengono distinte:
1) RITIRO PRIMITIVO
2) DINIEGO
3) CONTROLLO ONNIPOTENTE
4) IDEALIZZAZIONE E SVALUTAZIONE PRIMITIVA
5) PROIEZIONE, INTROIEZIONE, IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA
6) SCISSIONE DELL’IO
7) DISSOCIAZIONE
1) Il
Ritiro
primitivo,
consiste
nell’evasione
da
situazioni
sociali
o
interpersonali,sostituendo lo stimolo del proprio mondo fantastico interiore alle
tensioni della relazione con gli altri ( i soggetti che utilizzano tale meccanismo
difensivo evitano il contatto con gli altri). Lo svantaggio di questo tipo di difesa è
che si assiste ad una fuga psicologica della realtà e le persone si chiudono nel
proprio interiore, ponendo una certa resistenza a farsi coinvolgere sul piano
emotivo. Il vantaggio è che richiede una scarsa distorsione della realtà, ma vi è
un distacco dal mondo.
2) Il Diniego, è il rifiuto dell’accettazione che le esperienze spiacevoli possono
accadere. Esso opera automaticamente in ognuno di noi ed è la prima reazione a
qualunque avvenimento catastrofico. Molti di noi utilizzano il diniego per rendere
la vita meno sgradevole; (ad esempio rifiutare di fare controlli medici per paura di
scoprire di avere una malattia; negare la pericolosità di aver un partner violento;
alcolisti che ritengono di non aver nessun problema col bere). Tra gli aspetti
negativi vi è la Negazione della pericolosità di una determinata azione come se
magicamente può essere evitata.
3) Il Controllo onnipotente è la sensazione di poter avere il controllo del mondo e
di poterlo influenzare producendo qualche effetto. Alcune persone hanno un
bisogno irresistibile di provare un senso di controllo onnipotente e di interpretare
le esperienze come frutto del proprio illimitato potere. Avere potere sugli altri è un
piacere centrale per gli individui con personalità dominate dal controllo
onnipotente, tali persone si trovano coinvolti in ambiti dove c’è una certa quota di
rischio e dove sia alta la possibilità di esercitare potere.
4) L’idealizzazione e svalutazione primitiva vengono frequentemente utilizzate
dall’individuo. L’idealizzazione è il bisogno di attribuire un valore e un potere
speciale alle persone da cui dipendiamo emotivamente e che possono aiutarci a
battere il terrore interno che proviamo di non farcela, di sentirci imperfetti. In certe
[20]
persone il bisogno di idealizzare è maggiore e si ha la convinzione che qualcuno
cui è possibile attaccarsi sia onnipotente e che, attraverso la fusione con l’Altro,
sia possibile salvarsi. Quanto più ci si sente dipendenti, tanto maggiore è la
tentazione a idealizzare. La Svalutazione primitiva è l’opposto del bisogno di
idealizzazione. Quanto più un oggetto è stato idealizzato tanto più viene svalutato,
le modalità arcaiche dell’idealizzazione vengono svalutate. Es.( essere considerati
su un piedistallo e poi trascinati nella polvere al minimo errore).
5) La proiezione, l’introiezione e l’identificazione proiettiva sono processi
difensivi più primitivi: La proiezione è il processo per cui qualcosa di interno viene
considerato come proveniente dall’esterno, (per esempio non vado bene a scuola
ed è colpa dei professori). L’introiezione invece quando si considera proveniente
all’interno qualcosa che in realtà è esterno. L’utilizzo dell’introiezione in chiave
psicopatologica si può riscontrare nella depressione legata ad un lutto. Quando
amiamo o siamo legati a delle persone, le introiettiamo (incorporiamo parte di
loro) e le loro rappresentazioni dentro di noi diventano parte della nostra identità.
Se perdiamo realmente (una morte) o simbolicamente (un rifiuto, una
separazione) una delle persone di cui ne abbiamo interiorizzato l’immagine, il
nostro Sé ne risulta impoverito e avvertiamo un senso di vuoto che inizia a
dominare il nostro mondo interiore. Chi ricorre frequentemente all’introiezione per
ridurre l’angoscia e assicurare la continuità del Sé, verrà considerato
caratteriologicamente depresso.
Identificazione proiettiva il paziente proietta oggetti interni e ottiene che la
persona su cui sono proiettati si comporti come quegli oggetti, e i due processi
difensivi proiezione e introiezione ”lavorano insieme”
6) La scissione dell’IO può essere messa in atto dopo lo sviluppo dell’Io integrato.
La scissione implica sempre distorsione, è una difesa potente e pericolosa. Da un
punto di vista clinico, la scissione è evidente quando un paziente esprime un
atteggiamento non ambivalente. Ad es. una donna Borderline percepisce il
terapeuta totalmente buono,e i suoi collaboratori come ostili e indifferenti. Oppure
il terapeuta stesso può diventare incompetente, mentre una settimana prima lo
considerava infallibile.
7) La dissociazione difesa utilizzata spesso dai psicopatici. Tale meccanismo
difensivo è una reazione normale ad un trauma. È possibile dissociarsi a
qualunque età, coloro che da bambini subiscono ripetutamente violenze sessuali
o fisiche possono imparare a dissociarsi come reazione abituale alle tensioni.
Infatti in condizioni insopportabili, il soggetto si distacca totalmente dal dolore,
[21]
terrore, dall’idea di una morte imminente. Lo svantaggio maggiore della difesa è la
sua tendenza a operare automaticamente in condizioni nelle quali la
sopravvivenza non è realmente a rischio (le persone traumatizzate possono
confondere una situazione di normale tensione con una che implica un pericolo di
vita, diventando immediatamente diverse e generando confusione a sé e agli
altri).
Par. 5.2 I meccanismi di difesa di secondo ordine
I meccanismi di difesa secondari sono:
1) RIMOZIONE
2) RAZIONALIZZAZIONE
3) SUBLIMAZIONE
4) SOMATIZZAZIONE
5) INTELLETTUALIZZAZIONE
6) FORMA REATTIVA
7) VOLGERSI VERSO IL SE
8) ANNULLAMENTO
9) COMPARTIMENTALIZZAZIONE
10) ISOLAMENTO
11) SPOSTAMENTO
 RIMOZIONE: impulso o idea inaccettabile all’Io (alla coscienza) viene
depositata nel magazzino dell’inconscio;
 RAZIONALIZZAZIONE: giustificare, dare spiegazioni coerenti dal punto di
vista logico ad azioni, idee o sentimenti che esprimono pulsioni fonte di
conflitto da un punto di vista inconscio;
 SUBLIMAZIONE: modificare l’istinto rendendolo accettabile, indirizzare
l’energia verso nuovi oggetti (ad es. medico che sublima il suo istinto
aggressivo negli interventi chirurgici);
 SOMATIZZAZIONE: un disagio, un’idea inaccettabile, un ricordo traumatico
viene somatizzato scaricato sul corpo provocando delle alterazioni
organiche, fisiologiche (tipico nei disturbi psicosomatici ad es nella gastrite);
 INTELLETTUALIZZAZIONE: controllo razionale delle pulsioni; parlare dei
sentimenti senza sentimento e valenza affettiva;
[22]
 FORMAZIONE REATTIVA: trasformazione di un affetto negativo in positivo
(ad es. odio in amore);
 VOLGERSI CONTRO IL SE’: spostare da un oggetto esterno verso il Sé,
un affetto o un atteggiamento negativo;
 ANNULLAMENTO: sforzo inconscio di controbilanciare un affetto, senso di
colpa o di vergogna con un comportamento che magicamente lo cancelli
 COMPARTIMENTALIZZAZIONE: permettere a due condizioni in conflitto di
esistere senza creare sensi di colpa, vergogna o angoscia sul piano
cosciente;
 ISOLAMENTO: separazione dell’aspetto affettivo di un’esperienza dalla sua
dimensione cognitiva;
 SPOSTAMENTO: pulsione, emozione, preoccupazione o comportamento
viene diretto da un oggetto iniziale verso un altro in quanto provoca ansia.
CAP 6 I DISTURBI MENTALI
Par. 6.1 I disturbi mentali: caratteristiche e classificazione
I disturbi mentali sono una sindrome, una situazione di disagio, di malessere che
riflette uno stato di disabilità psichica del soggetto e ne limita la sua libertà individuale,
aumentandone il rischio di morte e creando delle alterazioni relative al funzionamento
globale dell’individuo pertinente all’area sociale, lavorativa, affettiva, relazionale, cura
di sè e cognitiva. Un disturbo per essere considerato tale deve: presentare un quadro
sintomatologico per un certo periodo di tempo e deve costituire disagio significativo o
sofferenza nella vita del soggetto.
Non sono considerati disturbi mentali: deviazioni sessuali, ideologie politiche,
alterazioni psicologiche temporanee associate ad eventi stressanti (ad es. morte di
una persona cara).
Per studiare i vari disturbi mentali: si utilizzano diversi strumenti, tra questi il DSM IV
(manuale diagnostico e statistico per classificare i disturbi mentali) e la psicopatologia
(branca della psicologia che studia i disturbi mentali).
[23]
Le 3 aree di interesse clinico sono: AREA NEVROTICA, AREA DI CONFINE, STATI
LIMITE O BORDERLINE, AREA PSICOTICA
Area nevrotica
A. Di Confine
Area Psicotica
Stati limite o Borderline
D. di Ansia
Schizofrenia
D. di Attacchi di panico
D. Borderline di Pers.
Disturbo delirante
(agorafobia,fobia specifica,
D. Depressivo maggiore
Disturbo Psicotico Breve
fobia sociale, d. da stress acuto,
Tossicodipendenza o D. da
D. Schizoaffettivo
d. ossess. Compuls., d. ansia
Uso di sostanze psicoattive
D. Schizofreniforme
general., d. post- traum. da stress) D. dell’alimentazione
D. Oss. Compuls. di Pers.
(anoressia, bulimia)
D. Istrionico di Pers.
D. Antisociale di Personalità
D. Narcisistico di Personalità
D. Somatoformi
(somatizzazione, ipocondria)
Vi sono anche:

D. affettivi O D. dell’umore (depressione e mania);

D. dissociativi (d. dissociativi dell’identità o d. di personalità multipla e
depersonalizzazione);

D. della sfera sessuale o parafilie (zoofilia, feticismo, voyeurismo,
masturbazione, pedofilia, necrofilia, etc…);

D. pertinenti della SFERA SENILE (demenza senile, morbo di
Alzheimer, etc…);

D. che riguardano la SFERA INFANTILE (autismo, depressione infantile,
d. dell’apprendimento);

D. cognitivi (D. della coscienza, dell’attenzione, della memoria, della
percezione, del pensiero, dell’affettività).
[24]
Par. 6.2 Elementi importanti da valutare per poter fare diagnosi
Nella valutazione della personalità di un individuo è importante distinguere: il
TRATTO, la STRUTTURA e l’ORGANIZZAZIONE
IL TRATTO: è un modo di percepirsi, pensarsi, sentirsi, rapportarsi rispetto agli altri
e a se stessi, al mondo e alla realtà. Esso può rimanere tale o evolvere in un disturbo
clinico ovvero in un disturbo di personalità,pertanto si distingue il tratto ego sintonico
dal tratto egodistonico .
IL TRATTO EGOSINTONICO evolve in un disturbo clinico, è in sintonia con l’Io e si
integra col funzionamento generale della personalità, diventa inflessibile,rigido e
dando origine ad una distorsione dell’esperienza interiore.
IL TRATTO EGODISTONICO provoca sofferenza e disagio al soggetto che lo
riconosce come disturbante,non in sintonia con l’Io, esso è rigido, disadattivo e non
evolve in un disturbo clinico.
La STRUTTURA è un’entità stabile del soggetto,una visione globale che riguarda il
pensiero, l’affettività ed il controllo delle emozioni e degli impulsi.
L’ORGANIZZAZIONE di personalità descrive il grado di individuazione o di patologia
della persona (psicotico,borderline,nevrotico,normale).
Per fare diagnosi bisogna valutare :

VISSUTO DELLA PERSONA

CONDIZIONI FAMILIARI, SOCIALI, RELAZIONALI, AFFETTIVE

FUNZIONAMENTO DELL’IO

ESAME DI REALTA’

UTILIZZO DEGLI STILI DIFENSIVI

AREE DI FUNZIONAMENTO GLOBALE (sfera sociale, lavorativa, cognitiva,
cura di sé, affettiva).
Par. 6.3 Caratteristiche dell’area nevrotica, psicotica e borderline
Le caratteristiche dell’area nevrotica sono:

L’ESAME DI REALTA’ E LE FUNZIONI DELL’IO SONO INTEGRI E
PREVALENTEMENTE CONSERVATI

LO STATO DI SOFFERENZA È COSCIENTE

LIVELLO DI INTEGRAZIONE BUONO (il soggetto svolge le sue funzioni
globali)

LA
PERSONA è CONSAPEVOLE DEL DISTURBO, ANCHE SE NON LO
ACCETTA
[25]

UTILIZZO DI MECCANISMI DI DIFESA DI SECONDO ORDINE (rimozione,
sublimazione,….).
Le caratteristiche dell’area psicotica sono:

RIPIEGAMENTO ALL’INTERNO

MANCANZA DI RELAZIONE CON LA REALTA’

FENOMENI DI DEREALIZZAZIONE E DI DEPERSONALIZZAZIONE

IO FRAMMENTATO, DISINTEGRATO, SCISSO, DISFUNZIONANTE

SCARSE RISORSE INTERNE

PROBLEMI DI ORIENTAMENTO SPAZIO-TEMPORALE

GRAVI PROBLEMI RELAZIONALI

CHIUSURA SOCIALE

MANCATO SENSO DI CONTINUITA’ TRA IL SÉ E L’ALTRO

L’IO NON HA PIU’ LA FUNZIONE DI GIUDICE E MEDIATORE DELLA
REALTA’

MANCA LA CONSAPEVOLEZZA DEL DISTURBO

È ASSENTE L’ESAME DI REALTA’

UTILIZZO
DEGLI
STILI
DIFENSIVI
DI
PRIMO
ORDINE
(scissione,
dissociazione)
Nella nevrosi si è in uno stato di conflitto, nella psicosi si è in presenza di una forte
angoscia che ha rotto gli argini.
Le caratteristiche degli stati limite o di confine o area borderline (area a limite tra la
nevrosi e la psicosi) sono in base al tipo di disturbo:

ALCUNE FUNZIONI PRINCIPALI DELLA PERSONA SONO CONSERVATE E
ALTRE COMPROMESSE.

GLI STILI DIFENSIVI UTILIZZATI SONO SIA DI PRIMO ORDINE CHE
SECONDARI.

L’ESAME DI REALTÀ PER CERTI ASPETTI PUÒ ESSERE INTEGRO E
FUNZIONANTE E PER ALTRI INVECE FRAMMENTATO.
[26]
CAP. 7 I DISTURBI DELL’AREA NEVROTICA
I disturbi che rientrano nell’area nevrotica si caratterizzano in quanto l’esame di realtà
è integro, l’io funzionante e vi è coscienziosità del disturbo. Vi fanno parte:
Par. 7.1 I disturbi d’ansia: caratteristiche generali e loro classificazione
I Disturbi di ansia: rientrano nell’area nevrotica e si possono classificare in

attacco di panico

disturbi di panico senza agorafobia

d. di panico con agorafobia

fobia specifica

fobia sociale

d. ossessivo compulsivo

d. post-traumatico da stress

d. acuto da stress

d. d’ansia generalizzato
L’ansia è un sintomo comune e diffuso in molte situazioni di disagio psichico, ma è
anche uno stato psicologico che si può sperimentare in condizioni di normalità.
L’ansia è espressione di un conflitto interno che è importante indagare per poi
rielaborarlo. Essa è una forma di paura, un segnale lanciato all’Io che avverte un
pericolo che va individuato. È una sensazione di tensione psichica legata
all’aspettativa di un evento che viene investito di significati particolari e temuto come
potenzialmente pericoloso. L’Io continua a svolgere le sue normali attività anche se
con disagio e difficoltà. Può comparire nel quadro clinico di molte patologie
psichiatriche o essere una sindrome vera e propria o essere vissuta come
un’esperienza comune ad ogni individuo.
L’attacco di panico: è un breve periodo preciso in cui l’individuo viene
improvvisamente travolto da uno stato di terrore legato all’urgenza di fuggire dinanzi a
eventi catastrofici. Secondo il DSM-IV si ha la diagnosi di attacco di panico se sono
presenti almeno 4 dei seguenti sintomi:

palpitazione

sudorazione

tremore

dispnea (sensazione di respiro corto o mancanza di respiro)

sensazione di soffocamento

dolore o malessere al torace

nausea o dolori addominali
[27]

sbandamenti, vertigini, instabilità, svenimenti

sensazione di non poter stare in piedi

derealizzazione (sentimento di irrealtà)

depersonalizzazione (sentimento di distacco da se stessi)

paura di perdere il controllo o di impazzire

paura di morire

improvvise sensazioni di caldo e freddo, brividi, vampate di calore, vertigini.
Nelle persone che soffrono di questo disturbo, sono spesso presenti eventi stressanti
o la separazione da figure significative. Secondo una lettura psicodinamica il soggetto
non riesce, nei momenti di difficoltà, a rivolgersi ad un’immagine interna positiva per
contenere l’ansia,perché in questi soggetti è scarsamente sviluppata la costanza
dell’oggetto.
Agorafobia: Il termine agorafobia indica etimologicamente “paura della piazza”, quindi
paura degli spazi aperti,ansia di trovarsi in luoghi o situazioni dai quali può essere
difficile o imbarazzante allontanarsi rapidamente o nei quali può essere difficile avere
aiuto o soccorso. L’attacco temuto si manifesta quando la persona è sola o lontana dai
suoi unti di riferimento. I soggetti riferiscono di provare smarrimento, confusione e
agitazione. L'agorafobia è una delle manifestazioni ansiose più invalidanti, in quanto
chi ne soffre spesso diventa completamente dipendente dalle mura domestiche, oppure
è costretto ad uscire di casa solo quando è accompagnato.
L’agorafobico infatti non teme solo la strada aperta egli ha paura di: trovarsi in mezzo
alla folla, fare la coda davanti ad uno sportello, andare allo stadio, andare a teatro,
andare al ristorante, viaggiare in treno, in automobile ,ecc ..
Fobia specifica: Paura persistente, eccessiva o irragionevole, provocata dalla
presenza o dall’attesa di un oggetto o situazione specifici (per es. volare, altezze,
animali, ricevere un’iniezione, vedere il sangue); la persona riconosce l’eccessività e
l’irragionevolezza della paura che però non riesce a controllare. Il quadro clinico si
caratterizza per la presenza di paura, disgusto, repulsione, condotte di evitamento
sproporzionate alla reale pericolosità dello stimolo.
Possono essere distinti vari tipi di fobie:

TIPO ANIMALE (Aracnofobia- Fobia dei ragni), degli uccelli, degli insetti,
(cinofobia- dei cani) dei gatti, dei topi, ecc.. )
[28]

TIPO AMBIENTE NATURALE (Keraunofobia -paura dei tuoni), acqua, altezza)

TIPO SANGUE-INIEZIONI-FERITE (Fobia del sangue,degli aghi, delle siringhe)

TIPO SITUAZIONALE (Claustrofobia- ascensori, mezzi pubblici, luoghi chiusi,
guida di vetture, etc…)

ALTRI TIPI (Aerofobia- paura di volare), dei rumori forti, dei personaggi in
maschera, etc…)
Fobia sociale è la paura di agire, di fronte agli altri, in modo imbarazzante o umiliante
e di ricevere giudizi negativi. Questa paura può portare chi ne soffre ad evitare la
maggior parte delle situazioni sociali, per la paura di comportarsi in modo “sbagliato” e
di venir mal giudicati.
Disturbo da stress acuto :, la persona ha vissuto un evento traumatico che ha
implicato la morte o la minaccia di morte, o gravi lesioni fisiche o una minaccia
all'integrità fisica propria o altrui,( simile a quello post-traumatico) la sua durata è di 2
giorni a 4 settimane.
Disturbo ossessivo- compulsivo: è caratterizzato da ossessioni e compulsioni.
Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi che si presentano più e più volte e
sono al di fuori del controllo di chi li sperimenta. Le persone con disturbo ossessivo
compulsivo possono preoccuparsi eccessivamente dello sporco e dei germi.
Possono essere terrorizzate dalla paura di avere inavvertitamente fatto del male a
qualcuno, di poter perdere il controllo di sé e diventare aggressive in certe situazioni,
di aver contratto malattie infettive o di essere omosessuali, anche se di solito
riconoscono che tutto ciò non è realistico. Le compulsioni vengono definite rituali o
cerimoniali e sono comportamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, controllare) o
azioni mentali (contare, pregare, ripetere formule mentalmente) messi in atto per
ridurre il senso di disagio e l'ansia provocati dai pensieri e dagli impulsi tipici delle
ossessioni.
Disturbo di ansia generalizzata: l’ansia si manifesta con carattere cronico e
persistente per almeno 6 mesi e compaiono 3 dei seguenti sintomi:

irrequietezza

facile affaticabilità

difficoltà di concentrazione

irritabilità

tensione muscolare

turbe del sonno
[29]
Disturbo post traumatico da stress:. si manifesta con una serie di sintomi di disagio
innescati dall’esperienza di eventi traumatici stressanti, come la personale
esposizione ad eventi dolorosi, a una malattia grave, al rischio di morire o ad altre
serie minacce alla propria integrità fisica o a quella di familiari e amici stretti (catastrofi
naturali, violenze personali, incidenti, lutti, ecc.).
Ha una durata superiore a 1 mese e crea un disagio significativo nelle aree di
funzionamento globale della persona (lavoro, relazioni sociali, affettività, etc…).
Disturbo ossessivo compulsivo di personalità: chi ne soffre presenta una marcata
tendenza al perfezionismo ed alla precisione, una forte preoccupazione per l'ordine e
per il controllo di ciò che accade.
Disturbo istrionico di personalità: chi ne soffre tende a ricercare l'attenzione degli
altri, ad essere sempre seduttivo e a manifestare in modo marcato e teatrale le
proprie emozioni.
CAP 8. I DISTURBI DELL’AREA DI CONFINE ,STATI LIMITE O BO RDERLINE
Tali disturbi si collocano in un’area definita degli stati limite o di confine e sono:

disturbo Borderline di personalità

depressione (disturbo depressivo maggiore)

dipendenze patologiche (tossicodipendenza, alcolismo).

disturbi dell’alimentazione (anoressia e bulimia)

disturbo antisociale di personalità

disturbo narcisistico di personalità

disturbi somatoformi (Ipocondria, somatizzazione)
Part. 8.1 Il disturbo Borderline di personalità: caratteristiche generali
Il Disturbo Borderline di personalità è una categoria che si colloca a limite tra
l’asse nevrotica e l’asse psicotica, in un’area appunto di confine (dall’inglese border
line = linea di confine).
Il disturbo borderline di personalità è una entità diagnostica molto controversa. Talvolta
non viene neanche riconosciuto come un disturbo specifico, ma come una
classificazione in cui inserire tutti quei casi non meglio diagnosticabili in altro modo. In
realtà il disturbo borderline presenta delle caratteristiche specifiche piuttosto ben
riconoscibili. E' fondamentalmente un disturbo della relazione, che impedisce al
soggetto di stabilire rapporti di amicizia, affetto o amore stabili nel tempo. Si tratta di
persone che trascorrono delle vite in uno stato di estrema confusione ed i cui rapporti
[30]
sono destinati a fallire o risultano emotivamente distruttivi per gli altri. Le persone affette
da questo disturbo trascinano altri, parenti e partner in un vortice di emotività, dal quale
spesso è difficile uscire, se non con l'aiuto di un esperto. Questi soggetti, infatti,
sperimentano emozioni devastanti e le manifestano in modo eclatante, drammatizzano
ed esagerano molti aspetti della loro vita o i loro sentimenti, proiettano le loro
inadempienze sugli altri, sembrano vittime degli altri quando ne sono spesso i carnefici
e si comportano in modo diverso nel giro di qualche minuto o ora.
Il disturbo borderline è stato spesso associato a eventi traumatici subiti nell'infanzia,
quali abusi sessuali o fisici, ma non è detto che ciò sia sempre vero.
L'aspetto più evidente e preoccupante del disturbo borderline è che presenta sintomi
potenzialmente dannosi per il soggetto (abbuffate, uso e abuso di sostanze, guida
spericolata, sessualità promiscua, condotte antisociali, tentativi di suicidio, ecc.) e si
associa a scoppi improvvisi di rabbia intensi.
Secondo DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) , il disturbo
borderline è caratterizzato da:
1) sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono.
2) un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall'alternanza
tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione.
3) alterazione dell'identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e
persistentemente instabili.
4) impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto
come ad esempio spendere eccessivamente, promiscuità sessuale, abuso di sostanze,
guida spericolata, abbuffate, ecc.
5) ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o comportamento automutilante.
6) instabilità affettiva dovuta ad una marcata reattività dell'umore (per es., episodica
intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore, e soltanto raramente
più di pochi giorni).
7) sentimenti cronici di vuoto.
8) rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per es., frequenti
accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici).
9) ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.
Psicoterapia
La psicoterapia della personalità borderline è oggetto di estesi studi e viene
considerata il trattamento di scelta. Recentemente, per migliorare i risultati, al regime
terapeutico è stata aggiunta la farmacoterapia (antidepressivi,neurolettici,stabilizzatori
[31]
dell’umore). Nei casi in cui l’incolumità del soggetto è gravemente a rischio, si può
ricorrere ad un ricovero ospedaliero.
Par. 8.2 La depressione: caratteristiche generali
Il disturbo depressivo è inserito all’interno della categoria dei disturbi dell’umore
(dove per umore si intende emozione duratura che caratterizza lo stato psichico). La
depressione è ormai diventato un disturbo comune nella società, da un punto di vista
clinico essa si manifesta con TRISTEZZA INVINCIBILE, MANCANZA DI ENERGIE,
PERDITA DI INTERESSE, ANEDONIA (incapacità di provare piacere), DISTURBI
VEGETATIVI
(alterazione
del
ritmo
sonno-veglia,
insonnia,
problemi
di
alimentazione).
I 7 punti fondamentali per riconoscere la depressione sono:
1. la D. è un disturbo comune e frequente;
2. la D. spesso non è diagnosticabile (una certa quota di pazienti mostrano segni
depressivi ma sfuggono alla diagnosi);
3. è facilmente diagnosticabile se viene sospettata;
4. è spesso grave (soprattutto se viene diagnosticata come disturbo depressivo
maggiore);
5. è spesso ricorrente (ci sono varie ricadute);
6. è costosa (legata ai farmaci, al tempo richiesto per la diagnosi e all’impegno delle
strutture sanitarie);
7. è del tutto curabile ma non del tutto bene guaribile.
LA
DEPRESSIONE È SEMPRE LEGATA AD UNA PERDITA SIMBOLICA O
REALE.
Alcuni sintomi della depressione sono:

umore triste

sentimento pervasivo di disperazione e angoscia

agitazione, irritabilità e tensione

sentimenti di colpa e autosvalutazione

frequente rallentamento psicomotorio

idea di morte
Con una certa frequenza si possono presentare anche sintomi aspecifici che
persistono anche per settimane, tra questi si riscontrano:

insonnia, cefalea, dolori addominali, altri dolori fisici, dimagrimento
[32]

eccessiva stanchezza, facile affaticabilità

ridotta capacità di provare piacere, lentezza nei processi ideativi

problemi legati alla sfera sessuale.
La prevalenza nel disturbo depressivo è stimata con una percentuale maggiore nel
sesso femminile, il disturbo tende a distribuirsi con una frequenza leggermente
maggiore nelle classi sociali più elevate e nei familiari di pazienti depressi. Per quanto
riguarda lo stato civile, si pensa che si abbia una maggiore concentrazione negli
individui soli separati o divorziati. La depressione è una patologia che può comportare
in ogni momento del suo decorso e anche sotto trattamento farmacologico e
psicoterapico, un certo rischio suicidario. Tale rischio sembra aumentato dalla
comorbidità(associazione di due o più malattie presenti nella stessa persona) con il
disturbo da attacchi di panico e con il disturbo da uso di sostanze o dalla presenza di
sintomi quali: intensa anedonia (incapacità di provare piacere), grave insonnia o ansia
elevata. Inoltre la comparsa di sintomi depressivi durante il decorso di gravi patologie
croniche e degenerative, determina un peggioramento della prognosi.
Ipotesi eziologiche
Le sindromi depressive si esprimono clinicamente con diverse manifestazioni ed
esclusivamente con delle alterazioni di tipo neurobiologico.
Genetica: l’importanza della componente genetica è fondamentale nei disturbi
depressivi, infatti gli studi sulle famiglie dei depressi mostrano un’incidenza maggiore
nella comparsa del disturbo rispetto alle famiglie che non presentano tale patologia.
Neurochimica: è stato riscontrato che vi sia nei soggetti con disturbi depressivi una
carenza di serotonina e noradrenalina, infatti l’antidepressivo a livello neurochimico
esplica la sua azione equilibrando i sistemi di secrezione della sostanza aumentando
il livello della serotonina e della adrenalina (ormoni responsabili della regolazione
dell’umore e dell’affettività).
Sistema neuroendocrino: sono numerose le alterazioni ormonali che coinvolgono
il sistema endocrino,infatti vi è uno scompenso a livello ormonale e tiroideo.
Sistema immunitario: è stato riscontrato che la presenza di una patologia
depressiva nel corso di malattie gravi e potenzialmente mortali può peggiorare il
decorso e diminuire la risposta alle terapie in quanto si verifica una depressione
immunitaria .
[33]
Studi sul sonno: nei disturbi dell’umore sono costanti e visibili le alterazioni del
ritmo sonno-veglia, si verifica infatti insonnia con risveglio precoce o ipersonnia e forte
contrazione della necessità di dormire.
Part. 8.3 Personalità, fattori psicodinamici e psicosociali
La varietà dei fattori psicologici che possono essere alla base di un disturbo
depressivo è molto ampia e tali fattori possono essere variamente combinati tra di
loro. Fra gli aspetti di personalità premorbosa correlati con il disturbo depressivo i
più frequentemente segnalati sono: tendenza ossessiva, ambizione, perfezionismo,
tendenza a vivere la realtà come una sfida e quindi a gareggiare e a competere con
gli altri, ricavandone spesso un senso di insoddisfazione, tratti di personalità
dipendente(con la ricerca continua di approvazione sociale, di conferme, di
gratificazioni esterne), tratti di personalità orale e isterica. Soggetti con bassi livelli di
autostima e forte tendenza all’autocritica sono più inclini a soffrire di manifestazioni
depressive.
Tra i fattori psicosociali sono stati indagati la qualità dell’ambiente affettivo
sperimentato nella prima infanzia fondamentale per lo sviluppo di un senso di
sicurezza e di fiducia e di un atteggiamento positivo nei confronti della vita che
consente di fare riferimento a delle risorse interne nel fronteggiare ostacoli, difficoltà
ed esperienze dolorose. Da questa prospettiva appare centrale la relazione madrebambino che, se particolarmente disturbata o carente, può determinare un
permanente senso di instabilità e insicurezza che, a sua volta, può sensibilizzare
l’individuo alle perdite e alle separazioni aumentando la sua vulnerabilità depressiva
nei confronti di tali eventi.
Le teorie psicodinamiche e soprattutto i contributi di Freud attorno al tema della
depressione, sono utili alla comprensione della natura del disturbo e della sua origine.
Freud infatti in molte sue opere rintraccia la causa del disturbo depressivo nella
perdita dell’oggetto d’amore e nel ritiro dell’investimento affettivo, lipidico. Egli pone
delle analogie tra il lutto e la depressione e pone l’accento sull’esperienza depressiva
attorno ai vissuti di perdita e di colpa, aspetti centrali caratterizzanti attorno alla
psicopatologia del depresso. Il depresso fallisce nella elaborazione del lutto legato ad
una perdita reale o simbolica e ciò provoca delle difficoltà a riadattarsi ad una realtà
nuova e diversa.
Gli eventi stressanti, di perdita possono contribuire all’insorgenza del disturbo
depressivo; però è stato anche osservato che eventi positivi che si collocano
all’estremo opposto rispetto all’esperienza della perdita (raggiungimento di importanti
[34]
mete affettive o lavorative, recupero di relazioni che sembravano compromesse,
nascite di figli o nipoti, miglioramento della situazione conflittuale di coppia o familiare)
possono determinare una evoluzione più rapida e favorevole della condizione
depressiva che consente di attivare una progettualità e un rinnovato interesse per il
futuro.
Par. 8.4 Disturbo depressivo maggiore
È costituito dalla presenza di uno o più episodi depressivi maggiori. L’età di
insorgenza è di 27 anni e la prevalenza è maggiore nella donna. L’episodio
depressivo maggiore si caratterizza dal punto di vista sintomatologico per:

la tonalità depressiva dell’umore

per la riduzione o perdita degli interessi

condizione di tristezza, pessimismo, scoraggiamento, disperazione

incapacità di trarre piacere dalla vita

perdita di piacere per le normali attività, relazioni affettive, tempo libero e
svaghi

condizione di tensione, inquietudine, attesa dolorosa e afinalistica

presenza di una componente di ansia, irrequietezza, irritabilità e una
serie di sintomi somatici (astenia, inappetenza, cefalea, disturbi digestivi)
LA CONDIZIONE ESISTENZIALE DEL DEPRESSO VIENE A CONNOTARSI PER
LA PERDITA DELLA CAPACITÀ DI DESIDERARE, DI SPERARE E DI PERCEPIRE
LA REALTÀ COME MODIFICABILE E MIGLIORABILE.
Sia il mondo del paziente, sia la sua percezione del mondo esterno divengono fissati
e non più trasformabili. La cristallizzazione delle emozioni e dei vissuti determina un
forte restringimento dell’orizzonte relazionale e l’affettività si scolorisce con l’ulteriore
avvertimento negativo di un restringimento della sua vita sentimentale e di un
allentamento del legame che lo unisce agli altri. Il depresso si avverte così sempre più
coartato in uno spazio vitale ed affettivo freddo e angusto, dominato dalla noia, dalla
solitudine, dal senso di vacuità dell’esistenza e di tutti gli sforzi per progredire e per
raggiungere delle mete. La dinamica depressiva determina anche un progressivo
slittamento del paziente dal presente al passato; l’incapacità di interagire con la realtà
lo fa rifugiare nella dimensione del ricordo che, anch’essa privata del suo carattere di
piacevolezza, viene scarnificata dal dubbio, dai fantasmi della colpa, dalle ruminazioni
sulle proprie inadeguatezze, sulle proprie incapacità, sugli errori commessi.
L’amplificazione della risonanza negativa del passato avviene a scapito, oltre del
[35]
presente, anche del futuro: la depressione comporta infatti l’incapacità di “guardare
oltre”, di sperare, di progettarsi, di adattarsi e di aderire al flusso del tempo.
L’attività ideomotoria subisce un rallentamento e il paziente appare stanco, esitante e
sofferente e può anche avvertire un senso di confusione mentale. I contenuti del
pensiero assumono un carattere di ideazione prevalente che può rappresentare il
nucleo attorno al quale si struttura una produzione delirante, secondo i temi
caratteristici della condizione depressiva: colpa, rovina, autoaccusa, malattia.
Par.8.5 Altri tipi di depressione
Depressione con manifestazioni psicotiche: in questa forma possono essere
presenti deliri e allucinazioni, si tratta di condizioni depressive ad alto rischio suicidario
e che possono comportare una maggiore necessità di ospedalizzazione.
Depressione con melanconia: ha caratteristiche specifiche come perdita di
interesse in tutte o quasi tutte le attività, mancanza di risposta agli stimoli
abitualmente piacevoli, peggioramento mattutino della depressione, risveglio precoce,
marcato rallentamento psicomotorio o agitazione, significativa anoressia o perdita di
peso, intenso senso di colpa eccessivo e inappropriato.
Pseudodemenza: sono forme di depressione che possono apparire come forme di
demenza, sono presenti sintomi come turbe della memoria, compromissione della
sfera cognitiva con appiattimento affettivo ed inerzia psicomotoria.
Depressione secondaria: sono condizioni depressive legate a malattie organiche
(malattie neurologiche come morbo di Parkinson, traumi cranici, epilessie, tumori
cerebrali, turbe di tipo vascolare), malattie endocrine (ipo e ipertiroidismo, diabete),
malattie infettive (AIDS, tubercolosi), malattie sistemiche (anemie). È anche
importante ricordare le molte droghe capaci di indurre una fenomenologia depressiva:
alcool, morfina, eroina, cocaina, droghe leggere, etc…
Disturbo distimico: condizione di disturbo dell’umore in cui la sintomatologia
depressiva perdura con continuità da almeno due anni, senza che si sia mai verificato
un episodio depressivo maggiore o un episodio maniacale.
Disturbi bipolari: caratterizzato dall’alternarsi di episodi depressivi, maniacali e
ipomaniacali.
Disturbo ciclotimico: l’esordio del disturbo è più precoce rispetto ad altre forme
bipolari, si struttura sulla base di una rapida e continua alternanza, della durata di
[36]
almeno due anni, di episodi ipomaniacali e di episodi depressivi di gravità inferiore
rispetto al disturbo depressivo maggiore.
Episodio maniacale: la mania è una condizione psicopatologica in cui l’aspetto
centrale è dato dall’innalzamento del tono dell’umore e da uno stato di estrema
euforia, di gioiosità incongrua e immotivata che si accompagna ad un’accelerazione
del decorso ideativo e ad un incremento dell’iniziativa psichica e motoria. Possono
essere presenti iperattività, agitazione, irritabilità, disforia. Il comportamento si
caratterizza per una forte disinibizione che fa emergere condotte inusuali per il
paziente e che stravolge i normali parametri di relazione interpersonale. Il paziente
maniacale interagisce con l’altro attraverso la mimica, la parola, la gestualità e la
psicomotricità in modo incongruamente confidenziale e amichevole, sconfinando
nell’aggressività e nell’invadenza.
Stati misti: sono quelle condizioni psicopatologiche nelle quali coesistono sintomi
sia della polarità maniacale che depressiva.
Par. 8.6 LA TOSSICODIPENDENZA- (AIDS, EPATITE C)- L’ALCOLISMO
La tossicodipendenza: caratteristiche fondamentali
La tossicodipendenza o disturbo della dipendenza da sostanze psicoattive, è un
disturbo dell’area borderline, stati limite o di confine. Le caratteristiche di tale stato
sono: l’esame di realtà e il funzionamento dell’Io è conservato per certi versi,
frammentato e disintegrato per altri aspetti.
Si assiste al rischio di uno scivolamento psicotico o alla concomitanza di una
sindrome psichiatrica grave o un disturbo schizofrenico, disturbo dell’umore,
depressione. Si tratta di personalità dipendenti, incapaci di tollerare la separazione e il
cui rapporto con la realtà appare discontinuo, soggetti che attuano azioni
autolesionistiche. La droga sembra apparire come un rimedio per colmare un vuoto
interiore che maschera una personalità di soggetti tristi e fragili. Si definisce DROGA
qualsiasi sostanza chimica, naturale o sintetica in grado di interferire sulla psiche di un
soggetto, orientando il suo comportamento in modo da provocarne modificazioni più o
meno durature. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) la
tossicodipendenza è uno stato di intossicazione periodica o cronica, causata
dall’assunzione prolungata di una sostanza, caratterizzata da:

coazione a continuare l’uso della sostanza;

bisogno di aumentare la dose per provare lo stesso effetto;

comparsa di difficoltà o impossibilità di smettere;

comparsa di disturbi correlati all’uso della droga.
[37]
I livelli di coinvolgimento verso la sostanza sono diversi:
1. uso sporadico
2. abuso
3. dipendenza psichica e fisica
Nell’uso sporadico il soggetto è in grado di gestire l’assunzione della sostanza, può
interrompere il consumo senza conseguenze eccessive o preoccupanti.
Nell’abuso il consumo è continuo e ricorrente, anche in condizioni fisicamente
rischiose e si verifica compromissione delle attività socio-lavorative.
Nella dipendenza il soggetto è incapace di controllare il ritmo di assunzione per la
comparsa della tolleranza e dell’astinenza.
La dipendenza psichica è connotata dalla necessità di assumere la sostanza al fine
sia di esperirne gli effetti che di evitare il disagio da deprivazione.
La dipendenza fisica è caratterizzata dalla comparsa di un insieme di sintomi,
definita sindrome di astinenza, se si sospende o si riduce l’assunzione della sostanza.
La tolleranza provoca la progressiva diminuzione nel tempo degli effetti della
sostanza, determinando l’aumento del dosaggio per ottenere lo stesso effetto.
La definizione della dipendenza per l’OMS è “uno stato psichico e talora fisico,
derivante dall’interazione con una sostanza, che determina modificazioni del
comportamento e la necessità di assumere questa, per ottenere gli stessi effetti
psichici ed evitare la sindrome di astinenza”.
Le cause determinanti la tossicodipendenza sono molteplici, si hanno concause di
natura psicologica, sociale e biologica.
PSICOLOGICA : la sostanza è utilizzata allo scopo di colmare dei vuoti esistenziali,
interiori caratteristici di quei soggetti con personalità deboli, fragili che non riescono a
trovare soluzioni adeguate a dei problemi che si possono presentare durante il
percorso del ciclo vitale, le cause sono da attribuire ad un contesto familiare
disfunzionale.
SOCIALE: legge del branco, moda o tendenza, modo per rimanere aggregato al
gruppo e non subire l’emarginazione perché gli altri ne fanno uso, curiosità di provare
la sostanza “solo una volta”.
BIOLOGICA: alterazioni provocate dalla sostanza a carico del SNC e ad altri organi
vitali come cuore, fegato, reni.
[38]
La tossicodipendenza si associa con alta frequenza a quadri psichiatrici (disturbi
affettivi, di personalità, schizofrenici). Si fa una classificazione delle droghe,
distinguendole in:

LEGGERA (cannabinoidi, hashish e marijuana)

PESANTE (cocaina, eroina, anfetamine)

ALLUCINOGENI (LSD, funghi allucinogeni)

ANESTETICA O ANALGESICA (morfina, metadone)
Altri tipi di droga: CRACK, POPPER, PSICOFARMACI, caffè o tè, tabacco.
Ogni sostanza provoca degli effetti euforizzanti, allucinogeni.
Oppiacei: Tra i derivati dell’oppio (morfina, codeina, eroina, metadone) l’eroina
rappresenta la sostanza maggiormente consumata dai tossicodipendenti. L’eroina è
una polvere bianca, commercializzata sul mercato, con altre sostanze da taglio
(borotalco, lattosio, mannite, polvere). La via di somministrazione è la via
endovenosa, più rara è la via inalatoria. In Italia si stima che gli eroinomani siano circa
trecentomila, di età prevalentemente tra i 18 e i 30 anni, di sesso maschile, distribuiti
in tutti i ceti sociali.
Quadro clinico
Dopo l’assunzione si avverte una sensazione piacevole breve ed intensa, diffusa in
tutto il corpo, paragonabile all’orgasmo, che dopo poco si trasforma in un
rallentamento psicofisico, con sonnolenza e gradevole sensazione di distacco dal
mondo. Tale stato dura qualche ora ed al termine nel soggetto non dipendente si
ripristina la situazione normale; nel soggetto dipendente invece a questa fase segue
la fase di astinenza. Questa è caratterizzata da ansia, sudorazione, lacrimazione,
brividi di freddo, crampi addominali e ricerca compulsiva dell’eroina per bloccare
l’astinenza. Ciò spiega perché in fase cronica l’esistenza dell’eroinomane è tutta
orientata alla ricerca della sostanza. L’astinenza raggiunge il culmine 48-72 ore dopo
l’ultima assunzione e si risolve, con la progressiva scomparsa della sintomatologia,
dopo qualche giorno. L’intossicazione acuta di eroina (overdose) è caratterizzata da
miosi, ipotensione arteriosa, insufficienza respiratoria e coma. Se non viene trattato
tempestivamente con la somministrazione di antagonisti (naloxone), causa il decesso.
[39]
Par. 8.7 L’AIDS
L’O.S.A può essere assunto in una comunità che ospita tossicodipendenti, è
importante che sappia cosa ci sia alla base del fenomeno e quali interventi possono
essere applicati allo scopo di ottenere risultati positivi nel lavoro, trattando questa
tipologia di utenza. Sono diversi i programmi di recupero e le strutture predisposte ma
il percorso è lungo e faticoso che prevede un coinvolgimento dell’intero nucleo
familiare. Come primo obiettivo vi si pone la disintossicazione e poi si pensa ad un
recupero e reinserimento del soggetto nel mondo sociale, relazionale e lavorativo.
Quando si parla di tossicodipendenza spesso si tende a citare il problema dell’AIDS
che negli ultimi decenni sta dilagando soprattutto tra gli eterosessuali. È pertanto
sbagliato associare la contrazione del virus alle categorie degli omosessuali o dei
tossicodipendenti. L’AIDS è un virus che può interessare tutti e deve essere data
corretta informazione di modalità di trasmissione e prevenzione a tutti. L’O.S.A può
anche lavorare con utenti sieropositivi o con epatite C, è importante che sappia le
modalità di contagio e prenda le corrette precauzioni nello svolgimento del proprio
lavoro.
Caratteristiche generali AIDS
Sindrome da immunodeficienza acquisita.
È un virus che provoca una deficienza del sistema immunitario, infatti non si muore di
AIDS, ma anche un semplice raffreddore può diventare letale perché il corpo non è
più in grado di produrre anticorpi necessari.
L’ AIDS ha 3 FASI dopo il contagio:

Periodo di finestra (per i primi sei mesi dal contagio, il virus è nel sangue ma
se sottoposti a test risulta HIV negativo, in questo periodo si può contagiare).

Periodo di sieropositività (Periodo HIV, il virus è presente nel sangue e se
sottoposti al test risulta HIV positivo. Non si ha nessun sintomo, è un periodo
di incubazione del virus che può durare anche lunghi anni, si può contagiare).
[40]

Periodo di AIDS conclamata (manifestazione dei sintomi, si può morire anche
per un semplice raffreddore o possono subentrare gravi malattie come ad es.
infezioni polmonari. Il sistema immunitario è deficitario, infatti non si muore di
AIDS ma perché l’organismo ha basse difese immunitarie ed è vulnerabile a
qualsiasi tipo di stimolo esterno).
Le MODALITA’ DEL CONTAGIO

SANGUE-SANGUE;

SANGUE-SPERMA;

SANGUE-LIQUIDO VAGINALE O
SEMINALE;

PUNTURE
CON
SIRINGHE
INFETTE O UTENSILI INFETTI;

RAPPORTI
SESSUALI
NON
PROTETTI (rapporti orali, anali,
vaginali);

TRASFUSIONE
CON
SANGUE
INFETTO.
Fare attenzione a mesoterapia, tatuaggi e piercing (che vengano utilizzati appositi
strumenti sterilizzati).
Anche il latte materno è infetto, è opportuno evitare di allattare il neonato e fare il
parto cesareo per evitare il contatto col sangue.
Il virus è contenuto anche negli altri liquidi biologici (sudore, lacrima, saliva) ma non si
è mai verificato il contagio in tali casi.
È importante usare le corrette precauzioni, si può vivere e lavorare con utenti
sieropositivi.
TERAPIA:
Le cure e i farmaci dell'Aids, oggi stanno dando ottimi risultati e ci sono anche novità
che rendono le cure più semplici.
'Non è più la malattia dei gruppi a rischio, come si diceva una volta, cioè dei
tossicodipendenti o degli omosessuali, ma è una malattia che interessa tutta la
popolazione sessualmente attiva. Interessa gli adolescenti, i giovani, ma anche le fasce
di età più avanzata. Quindi è, a tutti gli effetti, una malattia a trasmissione sessuale'. Se
[41]
la mortalità negli ultimi anni è diminuita al punto che i suoi numeri possono essere
paragonati a quelli di una comune polmonite lo si deve soprattutto ai farmaci
antiretrovirali, ( farmaci in grado di agire nei confronti dei retrovirus),usati in
combinazione fra loro a seconda dello stadio della malattia. 'Queste terapie di
combinazione risultano altamente efficaci riescono, praticamente, a bloccare la
moltiplicazione del virus, a ridurre il tasso di virus circolante nel sangue e, questo fa sì
che, l'infezione e la malattia si possano rallentare e quindi, in qualche misura, bloccare.
Il problema è, che una volta che queste terapie vengono sospese, il virus torna a
replicare esattamente come prima'. Un vero e proprio cocktail di pillole, insomma, da
prendere tutta la vita; questi malati per tenere a bada l'infezione non possono
tralasciare neanche una dose, altrimenti si crea un vuoto, un periodo finestra in cui il
virus rialza la testa, prende forza e cambia: diventa farmaco resistente. 'Quando il virus
torna a replicare in presenza di una quantità di farmaco insufficiente per bloccarne
completamente la sua moltiplicazione, il virus usa questo sistema per scappare al
farmaco e in qualche modo può mutare cioè può cambiare le sue caratteristiche
genomiche e quindi diventare resistente alla terapia'. È fondamentale quindi la
cosiddetta aderenza alla terapia, il rispetto di modi e tempi di somministrazione. Più
dell'80% dei malati in terapia in questo ospedale riescono a usufruire della terapia
farmacologica e a convivere col virus, per il restante 20% non rimane che aspettare
nuovi farmaci o nuove molecole che li possano aiutare a combattere la malattia.
Non è ancora disponibile un vaccino a causa della velocità con cui il virus è in grado di
cambiare costituenti; quindi la prevenzione è affidata alla eliminazione dei rischi di
contagio, evitando lo scambio di siringhe, usando il profilattico nei rapporti sessuali,
evitando in genere il contatto con i liquidi biologici di soggetti estranei.
L’O.S.A. con utenti sieropositivi:
È opportuno:

USARE GUANTI MONOUSO

USARE UTENSILI O FORBICI A USO PERSONALIZZATO

USARE LA CANDEGGINA PER DISINFETTARE, E’ L’UNICO SOLVENTE IN
GRADO DI UCCIDERE IL VIRUS

FARE ATTENZIONE ALLE FERITE CHE L’UTENTE PUÒ AVERE ED
EVITARE IL CONTATTO DIRETTO COL SANGUE INFETTO

USARE GLI APPOSITI STERILIZZATORI
[42]
Par. 8.8 EPATITE C
Virus che colpisce il fegato (infezione del fegato); può essere di tipo acuta o cronica.
Spesso è asintomatica e evolve in cirrosi epatica o tumore al fegato. Nel primo
periodo del contagio si può manifestare qualche sintomo: nausea, dolori addominali,
stanchezza. In alcuni casi non evolve in cirrosi, ma si è contagiosi. Le modalità di
contagio sono analoghe al contagio da HIV, quindi bisogna fare attenzione al contatto
col sangue infetto, punture con utensili infetti, non scambiarsi oggetti personali
(spazzolini, forbici, oggetti metallici appuntiti, etc…), evitare rapporti sessuali non
protetti.
TERAPIA: La terapia per l’epatite C è costituita dall’associazione di interferone alfa
con la ribavirina per un periodo che va dalle 24 alle 48 settimane. Secondo recenti
studi l’epatite acuta può essere curata nel 90% dei pazienti se si inizia la terapia entro
12-14 settimane dall’inizio dei sintomi ( quindi prima che diventi cronica).La guarigione
dipende dal livello di anticorpi nel sangue, da come l’organismo risponde e dalla
quantità di virus presente nel sangue e dalla fase o stadio della malattia (l’esito
positivo diminuisce se già si è in una fase di cirrosi, in quel caso l’unico rimedio
rimane il trapianto del fegato).
L’O.S.A nel momento in cui lavora con utenti con epatite C è opportuno adotti le
dovute misure preventive:

Utilizzo di candeggina e appositi sterilizzatori

Utilizzo di guanti monouso

Utilizzo di utensili e oggetti metallici, nonché oggetti personali e per la cura
della persona monouso o sterilizzati

Non avere contatto diretto col sangue infetto

Fare attenzione a ferite o perdita di quantità di sangue nell’utente
Par. 8.9 L’alcolismo
Anche il fenomeno dell’alcol è divenuto negli ultimi decenni piuttosto allarmante. Esso
appartiene sempre alla categorie delle sostanze di abuso o delle dipendenze. La
personalità dell’alcolista è prevalentemente borderline o dipendente, si tratta sempre
di personalità fragili, deboli con grosse carenze esistenziali e vuoti interiori da
colmare. L’alcol provoca oltre alla cirrosi epatica, anche una serie di problematiche a
carattere organico e psicologico. Associati ad esso infatti troviamo: problemi a carico
di reni o apparato digerente, tumori al fegato, problemi di natura psicologica
(depressione, alterazione dell’umore, aggressività, disturbi affettivi, sociali, relazionali,
esclusione sociale, delirium tremens, caratterizzante lo stato di abuso o di astinenza
[43]
dell’alcolista con la comparsa di sintomi fisici come tremori, sudorazione, deliri e
allucinazioni). Esistono dei programmi di recupero e delle comunità terapeutiche, è
efficace soprattutto la terapia di gruppo e l’utilizzo dell’orientamento sistemicorelazionale.
Par. 8.10 DISTURBO DELL’ALIMENTAZIONE: ANORESSIA E BULIMIA
L’anoressia: caratteristiche generali
È
un
disturbo
caratterizzato
dalla
presenza
di
evidenti
alterazioni
del
comportamento alimentare. L’anoressia nervosa si contraddistingue per la fobia di
ingrassare con conseguenti comportamenti di ostinato rifiuto del cibo e desiderio di
perdere peso. La percezione dell’immagine corporea risulta alterata e subentra anche
l’amenorrea (assenza delle mestruazione di almeno 3 cicli consecutivi). Quando il
dimagrimento diventa più evidente le condizioni generali della persona diventano
precarie, si riduce il livello di funzionamento sociale e compare la tendenza
all’isolamento. Si possono associare determinate caratteristiche come: vomito
provocato (presente anche nella bulimia), lavarsi fino a scorticarsi, la fissazione di
mandare via lo sporco, predominano condotte ossessive sul cibo (sminuzzamento,
nascondimento), domina l’eccessivo investimento sul cibo (es. il soggetto ne parla
sempre), tendenza ad effettuare sforzi fisici, corse e vari esercizi ginnici nella
convinzione che tali comportamenti facilitino l’espulsione dello scarso cibo assunto.
Epidemiologia
Colpisce in prevalenza il sesso femminile e compare generalmente nell’età
adolescenziale. Si presenta più spesso nelle classi medio -alte.
Psicopatologia
Freud aveva già parlato di regressione alla fase orale, mentre la Klein ipotizzava un
incompleto superamento della fase
schizo-paranoide.
Secondo Bruch nelle
anoressiche è alterata l’immagine corporea a seguito di un disturbo della percezione
del proprio corpo. Altri autori sostengono che il nucleo fondamentale del disturbo sia
la fobia del sovrappeso che scatena ansia; il rifiuto del cibo e il desiderio di dimagrire
sarebbero condotte di esitamento conseguenti. Secondo la scuola sistemicorelazionale
esistono
nelle
famiglie
delle
anoressiche,
alcune
caratteristiche
fondamentali quali la rigidità, l’ipercoinvolgimento emotivo del figlio, l’iperprotezione e
la mancata risoluzione del conflitto dipendenza-autonomia. Altri attribuiscono
[44]
importanza all’enfatizzazione culturale della magrezza, come aspetto fondamentale
dello stereotipo della bellezza femminile.
Diagnosi
Il DSM IV individua i seguenti criteri:

Rifiuto di mantenere il peso corporeo nella norma;

Eccessiva e immotivata paura dell’aumento del peso corporeo;

Disturbi dell’immagine corporea con alterata percezione delle dimensioni del
proprio corpo;

Amenorrea secondaria per almeno tre cicli consecutivi.
Il DSM IV identifica almeno due sottotipi di anoressia:

Il tipo bulimico con periodici episodi di bulimia e/o condotte di eliminazione
con vomito ed uso di farmaci (ad es. lassativi)

Il tipo “restricter” nel quale la diminuzione del peso avviene col digiuno, la
dieta e l’esercizio fisico.
Quadro clinico
La modalità di esordio può essere una banale dieta ipocalorica instaurata per
smaltire il sovrappeso. Talvolta invece l’inizio è più subdolo con la paziente che fa
“sparire” il cibo con modalità diverse (si induce il vomito, mente sulla reale quantità di
alimenti ingeriti, etc…). Successivamente alle restrizioni nell’apporto del cibo si
associa iperattività motoria.
In questa fase la mancanza di coscienza di malattia ostacola qualunque tipo di
intervento. Allorquando il dimagrimento diventa più evidente le condizioni generali
diventano precarie, si riduce il livello di funzionamento sociale e compare la tendenza
all’isolamento.
Terapia
La prima difficoltà da superare è la mancanza di collaborazione da parte del paziente,
che nega lo stato di malattia. Il trattamento deve comprendere interventi internistici
per correggere le conseguenze della denutrizione. La terapia farmacologica viene
fatta
con
antidepressivi
coadiuvato
da
un
trattamento
psicoterapico.
L’ospedalizzazione si impone allorquando si verificano le seguenti condizioni:

Sensibile calo ponderale con presenza di complicanze internistiche

Inefficacia del trattamento ambulatoriale per aumentare il peso

Presenza di rischio suicidario

Ambiente familiare colpevolizzante o disturbante
[45]
Par. 8.11 La bulimia: caratteristiche generali
La bulimia nervosa è caratterizzata da frequenti episodi di impulsi improvvisi e
irresistibili a mangiare tutto il cibo che reperisce (episodi di abbuffate) e da modalità
inappropriate di espulsione del cibo (condotte compensatorie) per smaltire ed
espellere quanto ingurgitato al fine di evitare l’aumento di peso (es. vomito
autoindotto, uso di lassativi, diuretici, eccessivo sforzo fisico, diete troppo rigide e
digiuni).
Epidemiologia
L’età di esordio è tra i 12 e i 35 anni e le abbuffate avvengono in un periodo definito di
tempo (2 ore circa)in cui il soggetto prova un impulso irrefrenabile e non gestibile a
divorare cibo e mangia in quantità eccessiva. È netta la prevalenza nel sesso
femminile. La richiesta di intervento in genere avviene non prima di 5 anni dall’esordio
del disturbo.
Psicopatologia
La
Bulimia è considerata una manifestazione di una predisposizione all’abuso di
sostanze. Nelle famiglie delle bulimiche, in genere vi è un’alta incidenza di abuso di
sostanze alcoliche e di sostanze psicoattive.
Diagnosi
Il DSM-IV individua i seguenti criteri:

Ricorrenti episodi di ingestione massiccia di cibo in breve tempo

Sensazione di mancanza di controllo del proprio comportamento alimentare
durante le crisi

Comportamenti incongrui messi in atto per evitare l’aumento ponderale (es.
induzione del vomito, abuso di lassativi, digiuno, iperattività motoria)

Le crisi bulimiche e le condotte di eliminazione avvengono in media, due volte
alla settimana per almeno tre mesi

Preoccupazione persistente ed eccessiva per la propria immagine corporea e
del peso
Vengono distinti due sottotipi:

Con condotte di eliminazione (induzione del vomito e/o abuso di lassativi)

Senza condotte di eliminazione (ricorso al digiuno o a iperattività motoria)
[46]
Clinica
Generalmente questi pazienti sono normopeso, ma presentano una fobia per
l’incremento ponderale e manifestano una eccessiva attenzione per la propria
immagine corporea. Le crisi bulimiche sono comportamenti alimentari compulsivi che
non sono dovuti a sensazioni di fame, ma ad un senso di malessere generale con
transitori sintomi del quadro depressivo. Caratteristica è la modalità di inghiottire
grandi quantità di cibo, di solito ipercalorico. In certi casi il bulimico assume durante
una crisi da 5000 a 20000 calorie. La crisi dura da qualche minuto ad un’ora al
termine della quale, il soggetto prova un senso di autosvalutazione e di disgusto.
Segue poi uno stato di angoscia che può sfociare in tentativi di eliminazione del cibo
(induzione del vomito, abuso di lassativi o diuretici). Queste incongrue condotte
possono determinare comparsa di complicanze di tipo internistico da squilibri idroelettrolitici o altre disfunzioni organiche.
Comorbidità
Possono essere variamente associati a questo disturbo le seguenti patologie:

Anoressia nervosa

Disturbi dell’umore

Disturbi da abuso di sostanze

Disturbi di personalità (borderline, ossessivo - compulsivo, istrionico)
Terapia
È consigliato il trattamento integrato: la farmacoterapia, la psicoterapia e
l’ospedalizzazione se opportuno.
Par. 8.12 Il disturbo antisociale di personalità: caratteristiche generali
Disturbo antisociale di personalità: lo stile di vita del soggetto è caratterizzato
dall’intolleranza delle regole e dalla continua violazione dei diritti degli altri. Può
essere diagnosticato a partire dai 18 anni ma già prima dei 15 la condotta deve
apparire disturbata almeno in tre di questi aspetti: incapacità del soggetto di
uniformarsi alle regole sociali e di comportarsi in modo legale, comportamento basato
sulla menzogna, falsità e attività truffaldine a danno di altri per scopi personali di
profitto o di piacere, impulsività e incapacità progettuale, aggressività manifestata in
scontri fisici, incuranza della altrui e propria sicurezza. Il soggetto appare
irresponsabile e incapace di portare avanti un’attività lavorativa o di studio in modo
[47]
continuativo o di far fronte ad obblighi sociali, legali e finanziari. Egli maltratta e
deruba gli altri con indifferenza senza mai provare alcun tipo di rimorso.
Frequentemente il soggetto ha alle spalle una storia di crudeltà, trascuratezza,
deprivazione e abusi da parte delle figure genitoriali. La caratteristica principale di
questa personalità disturbata è la tendenza piuttosto precoce a violare i diritti altrui. La
radicale difficoltà ad adeguarsi alle norme sociali ed al rispetto della legalità può
comportare la messa in atto di azioni illegali che possono comportare l’arresto o la
reclusione. La tendenza ad una condotta disonesta si evidenzia anche attraverso la
menzogna abituale, i ripetitivi tentativi di truffare o raggirare gli altri. Il profilo del
disturbo completato da aspetti quali l’impulsività, l’irritabilità, l’aggressività, l’incapacità
ad assumersi responsabilità e a rispettare gli impegni, l’indifferenza e la mancanza di
rimorso nei confronti del danno arrecato agli altri.
Tali soggetti chiedono raramente un aiuto psichiatrico, più spesso sono spinti a farlo
dai familiari e si sottopongono malvolentieri alla consultazione, tentando di manipolare
il colloquio e di presentare all’interlocutore una facciata normale o addirittura
accattivante, apparentemente priva di significative anormalità.
Par. 8.13 Disturbo Antisociale e Disturbo Narcisistico di Personalità
La caratteristica essenziale del Disturbo Antisociale di Personalità è un quadro di
comportamenti che viola i diritti degli altri e le regole sociali principali,infatti non
riescono a conformarsi né alla legge, per cui compiono atti illegali (es. distruggere
proprietà, truffare, rubare), né alle norme sociali, per cui attuano comportamenti
immorali e manipolativi (es. mentire, simulare, usare false identità) traendone profitto
o piacere personale (es. denaro, sesso, potere). Gli individui con disturbo antisociale
hanno un comportamento caotico e scarsamente in sintonia con le richieste della
società. Sono frequentemente disonesti e manipolativi per trarre profitto o piacere
personale. Le decisioni vengono prese sotto l’impulso del momento, senza
considerazione delle conseguenze per sé e per gli altri.
Dinanzi ad un loro comportamento antisociale possono minimizzare le conseguenze
dannose oppure semplicemente mostrare completa indifferenza,generalmente non
provano senso di colpa.
 Il Disturbo Narcisistico di personalità è caratterizzato da una mancanza di
sensibilità verso gli altri, da ostentazione e grandiosità e bisogno continuo di
adulazione. Il soggetto si sente superiore a tutti e per darsi importanza esagera e
[48]
amplifica i propri comportamenti, le proprie capacità e i propri risultati. Fantastica
di diventare importante, di avere potere, un fascino illimitato, un enorme successo
in tutti i campi e di trovare l’amore ideale. La sua richiesta di eccessiva
ammirazione lo porta a svalutare gli altri. Egli si sente speciale e ritiene di essere il
solo a dover frequentare persone e ambienti elevati e degni a lui. Tutto gli è dovuto
e gli altri devono inchinarsi davanti a lui, favorirlo in tutte le circostanze e
soddisfare tempestivamente le sue aspettative. Egli non rispetta le persone, non
ne avverte i bisogni né i sentimenti ma le sfrutta per ottenere i propri scopi. Il suo
comportamento è altezzoso, si crede invidiato ma in realtà è lui che invidia gli altri.
In genere è una persona che ha raggiunto una posizione sociale di successo. Il
partner si presenta molto bene esteticamente ed è vissuto come un accessorio. Il
narcisista non si mette mai in dubbio, in discussione e non è in grado di
relazionarsi all’altro, di collocarsi nel sistema coppia e mostrare affettività. Gli
elementi centrali del disturbo sono costituiti dalla grandiosità, dal desiderio di
essere ammirati e dalla mancanza di empatia.
A causa di un’autostima grandiosa questi soggetti sono inclini ad una particolare
vulnerabilità quando l’immagine di sé viene danneggiata (il soggetto ha bisogno di
mettersi in mostra per suscitare approvazioni, esibizionismo, tutto ciò comporta una
possibile debolezza nell’organizzazione di personalità che si concretizza se va
incontro ad una ferita narcisistica). Un sentimento grandioso della loro importanza li
porta a coltivare fantasie di successo illimitato, potere,bellezza o amore ideale e la
convinzione di essere unici e speciali. Hanno anche una forte aspettativa di essere
tenuti in grande considerazione dagli altri, aspettandosi riconoscimenti o trattamenti di
favore, irrealistici e poco motivati e senza il minimo senso di reciprocità.
Tendono quindi a idealizzare gli altri, ma ben presto li svalutano e li disprezzano
quando notano qualcosa in loro che non va. La scarsa capacità empatica li rende
poco attenti ad avvertire i bisogni degli altri e a potersi identificare con loro, cercando
di utilizzarli e sfruttarli per i propri scopi. Fondamentalmente questi soggetti sono
deboli e insicuri e tutta una serie di strategia compensatoria tende a proteggere la loro
debole autostima. Il loro fragile equilibrio narcisistico viene facilmente danneggiato
dalle esperienze della vita o da eventi anche di scarsa importanza e quando ciò
accade può comparire, oltre una violenta reazione di collera, una situazione
depressiva, non raramente a rischio suicidario.
[49]
Par. 8.14 Il Disturbo Somatoforme: La persona con disturbo da somatizzazione
(isteria, come veniva definito una volta), avverte dolori fisici in più parti del corpo e per
molto tempo senza che in realtà ci siano cause organiche.
Il disturbo da somatizzazione presenta anche sintomi pseudo - neurologici come
alterazione dell'equilibrio, paralisi, difficoltà a deglutire ecc...
Disturbo da Ipocondria: e' la convinzione di essere gravemente malati nonostante
che dagli accertamenti medici non risulti nessuna malattia.
La persona se ne convince interpretando i sintomi in maniera errata, e continua a
pensarlo anche di fronte all'evidenza che non si tratta di malattia.
CAP. 9 ALTRI DISTURBI DI PERSONALITA’
I disturbi di personalità sono costituiti da un certo raggruppamento di tratti di
personalità che possono essere considerati come una esasperazione di componenti e
aspetti della personalità normale. Essi sono definiti come un insieme di tratti di
personalità inflessibili e maladattivi che causano oltre che un disagio soggettivo, un
danno significativo nel funzionamento sociale e nella capacità di lavoro. Sono tratti di
personalità enormemente alterati che riguardano essenzialmente la:

sfera affettiva,

sfera cognitiva

controllo degli impulsi

bisogno di gratificazione

modalità di rapportarsi con gli altri
un disturbo di personalità, quindi, determina spesso un disfunzionamento globale che
può compromettere la maggior parte delle aree della vita: lavoro, relazioni, affettività,
mondo sociale. Tali per poi poter essere considerati un disturbo devono esser
presenti sin dall’adolescenza o dall’età giovanile e manifestarsi costantemente a
particolari situazioni stressanti. Il rapporto con la realtà è conservato per la maggior
parte del tempo, tranne che per periodi molto limitati, nei quali possono a volte
verificarsi brevi episodi psicotici.
I disturbi di personalità,infine,espongono ad un
rischio elevato di comorbilità per depressione e rappresentano un significativo fattore
di rischio per suicidio, consumo di droghe, comportamento violento.
[50]
Par. 9.1 Disturbo isterico e istrionico, disturbo paranoide, disturbo schizoide e
schizotipico, disturbo evitante e dipendente di personalità
Il disturbo isterico chiamato anche disturbo di conversione. La caratteristica
fondamentale è l’utilizzo della sessualità a scopo deduttivo per ricercare conferma di
se stessi e della propria identità. Si tratta infatti di identità non coese, deboli, che
hanno sempre bisogno di conferme da parte degli altri (seduce e raggiunge un’intimità
sessuale).
Il disturbo istrionico invece si caratterizza perché il soggetto utilizza la sessualità e
la sensualità a scopo manipolativo, come atto di rivendicazione di potere sugli uomini
(seduce e abbandona). L’aspetto fondamentale del disturbo è rappresentato da un
eccesso di preoccupazione per la propria apparenza: il soggetto ricerca l’attenzione
altrui a tal punto da sentirsi a disagio nelle situazioni in cui non è al centro
dell’attenzione. Il desiderio di essere attraente può condurre ad utilizzare un
abbigliamento
inappropriatamente
deduttivo
e
provocante.
La
modalità
di
comunicazione è improntata alla iperespressione delle emozioni, alla teatralità, alla
drammatizzazione. Lo stile del linguaggio tende ad essere esagerato, superficiale e vi
è una costante difficoltà ad occuparsi dei dettagli e ad analizzare i problemi o le
situazioni.
Il disturbo paranoide ha come tratto dominante una forte tendenza alla
sospettosità e alla mancanza di fiducia negli altri, che porta questi soggetti ad essere
guardinghi con gli altri pensando che possa essere danneggiato. Questo aspetto
psicologico li porta ad essere litigiosi, moralistici, incapaci di rilassarsi e di esprimere
sentimenti di calore e simpatia. La preoccupazione a ricevere un danno dagli altri
determina anche una scarsa propensione a sviluppare rapporti di intimità e impedisce
loro di confidarsi per il timore di poter essere traditi o che le informazioni possono
essere usate contro di loro. Sotto stress, questi soggetti possono manifestare deliri di
persecuzione o idee di riferimento, comunque transitori. Questi soggetti in realtà
proiettano sugli altri il loro mondo interno cercando di preservarlo da potenziali
minacce.
Il disturbo schizoide è caratterizzato dal restringimento dell’area socio-relazionale,
da una diminuita capacità di esprimere emozioni in una dimensione interpersonale,
non desiderando di partecipare a rapporti di intimità né a livello amicale, né a livello
familiare. La tendenza marcata all’isolamento, lo porta a scegliere attività solitarie
anche nel tempo libero e ad avere una scarsa propensione anche all’incontro, allo
scambio e alla condivisione relativamente alla vita sessuale, verso la quale ha una
[51]
debole spinta. L’affettività risulta piatta, fredda, scolorita e il rapporto con gli altri è
spesso connotato dal distacco e dall’indifferenza.
Il disturbo schizotipico consiste in una chiusura e scarsa socializzazione sul piano
del funzionamento sociale e interpersonale che determina un estremo disagio nelle
relazioni intime ed una ridotta capacità di affrontarle; inoltre distorsioni cognitive e
percettive e comportamento eccentrico. Possono essere presenti idee di riferimento,
credenze insolite, pensiero magico che influenzano il comportamento. Il linguaggio
può presentare caratteri di stranezza o aspetti bizzarri, il soggetto può essere
sospettoso o diffidente e sviluppare un’ideazione paranoie. L’affettività è inappropriata
e ristretta e le relazioni amicali e confidenziali sono molto carenti.
Tratti schizotipici sfumati possono essere compatibili con una personalità normale,
capace di adattarsi alla normalità. Lo schizotipico può dare l’impressione di produrre
sintomi psicotici.
Il disturbo evitante ha come caratteristiche: l’inibizione sociale, i sentimenti di
inadeguatezza, l’ipersensibilità alle valutazioni negative.
Il soggetto tende ad evitare tutte quelle attività che implicano una relazione
interpersonale significativa in quanto teme di essere criticato, disapprovato o rifiutato.
Così non è disposto a coinvolgersi con qualcuno se prima non ha la certezza di
essere gradito o manifesta evidenti limitazioni nelle relazioni intime per il timore di
essere umiliato o ridicolizzato.
Allo stesso modo è preoccupato di essere criticato o rifiutato nelle situazioni sociali e
mostra notevoli inibizioni dei nuovi rapporti per via di un senso di inadeguatezza.
La convinzione di essere inferiore agli altri lo rende particolarmente riluttante ad
assumere rischi sul piano personale o ad affrontare nuove attività.
Ha paura di non essere all’altezza di instaurare un rapporto con l’altro e preferisce
rinunciare pur di non mettersi a confronto.
Il disturbo di personalità dipendente si caratterizza per un bisogno di dipendenza
dagli altri e un timore di esser abbandonati che determina un comportamento
sottomesso e adesivo, compiacente e remissivo. Sono soggetti che raramente
prendono un decisione di propria iniziativa, hanno costantemente bisogno
dell’approvazione degli altri.
Essi assumono posizioni subalterne e non esprimono il loro disaccordo con gli altri per
paura della perdita del loro sostegno e della loro approvazione.
[52]
CAP. 10 I DISTURBI DELL’AREA PSICOTICA
Par. 10.1 La schizofrenia: caratteristiche generali
La schizofrenia è un grave disturbo psicotico: chi ne è affetto diventa del tutto
indifferente a ciò che accade, reagisce in modo assurdo o incoerente agli eventi
esterni, perde il contatto con la realtà e si isola in un mondo suo proprio,
incomprensibile agli altri. A causa della sua caratteristica destrutturante della
personalità, la schizofrenia compromette tutti gli aspetti della vita del soggetto,
sconvolgendo profondamente la sua rete relazionale e, quindi, coinvolgendo anche il
nucleo familiare.
L’ESAME DI REALTÀ È LA
COME PROPRI, LA
CAPACITÀ DI VALUTARE PENSIERI E AFFETTI
POSSIBILITÀ DI DIFFERENZIARE IL SÉ DAL NON SÉ,
L’INTERNO DALL’ESTERNO, E LA CAPACITÀ DI VALUTARE I PROPRI IMPULSI E
AFFETTI IN RIFERIMENTO ALLE NORME SOCIALI.
Nello schizofrenico l’esame di realtà è frammentato, il pensiero è scisso, si assiste ad
un’incapacità relazionale (incapacità di differenziare il dentro dal fuori), si ha la perdita
del senso del Sé e dell’identità, non c’è un pensiero simbolico ma il loro pensiero è
concreto e quindi se faccio delle domande agli psicotici, rispondono dicendo un’altra
cosa.
Cenni storici
La schizofrenia è un’alterazione psichica conosciuta in ogni epoca e luogo;
inizialmente era chiamata da Emil Kraepelin dementia praecox per indicare tutti quei
casi accomunati dalla presenza di una compromissione della vita affettiva ed emotiva,
alterazioni della volontà, deliri, allucinazioni, progressivo deterioramento mentale, con
esito in demenza. Nel suo Trattato di psichiatria Kraepelin aveva già individuato tre
forme possibili di schizofrenia:

schizofrenia ebefrenica, in cui prevale la dissociazione del pensiero

schizofrenia paranoica, dove prevalgono idee fisse, allucinazioni e deliri

schizofrenia catatonica, in cui prevalgono i "disturbi della volontà" o
disorganizzazione comportamentale.
[53]
Epidemiologia
L’esordio avviene più frequentemente nell’età adolescenziale o giovanile, con
un’incidenza massima tra i 15 e i 35 anni. L’esordio dopo i 35 anni sembra essere più
frequente nella donna che nell’uomo. Per quanto riguarda lo stato civile, i pazienti
affetti da disturbo schizofrenico sono più spesso non coniugati o hanno più probabilità
di divorziare. Non sposarsi può essere una causa della malattia (il disturbo non
permette al soggetto di sposarsi) o un effetto. Relativamente alle classi socioeconomiche, si denota una maggiore concentrazione della patologia nelle classi meno
agiate.
Cause
Un aspetto rilevante nello studio dei disturbi schizofrenici è chiedersi quali siano le
cause dell’insorgenza della malattia. Nella comparsa del disturbo schizofrenico è
fondamentale considerare una componente di tipo ereditario. Ma cosa viene
ereditato? Si eredita la predisposizione ovvero fattori biologici che possono
rappresentare una predisposizione di tipo genetico; se entrambi i genitori sono
schizofrenici la frequenza aumenta notevolmente.
Alla base del disturbo le cause scatenanti sono:
1. Fattore di ordine genetico (componente ereditaria)
2. Fattore di tipo ambientale
3. Fattore di ordine psicologico
Genetico e ambientale
I ricercatori sanno da tempo che la schizofrenia è un disturbo a carattere familiare. La
malattia si presenta in nell’uno per cento della popolazione generale, ma si osserva nel
10 per cento delle persone che hanno un parente di primo grado con la malattia, come
ad esempio un genitore, fratello o sorella. Persone che hanno parenti di secondo grado
(zie, zii, nonni, o cugini ) con la malattia sviluppano anch’essi la schizofrenia più spesso
rispetto alla popolazione generale. Il rischio è poi più elevato per un gemello identico di
un malato, lui o lei ha una probabilità dal 40 al 65 per cento di sviluppare la malattia. Noi
ereditiamo i nostri geni da entrambi i genitori, si ritiene che diversi geni siano associati
ad un aumentato rischio di schizofrenia, ma che nessun gene causi la malattia da solo.
In realtà la ricerca recente ha scoperto che le persone affette da schizofrenia tendono
ad avere tassi più alti di rare mutazioni genetiche, queste differenze coinvolgono
centinaia di geni differenti e, probabilmente, interrompono lo sviluppo cerebrale. Altri
studi recenti suggeriscono che la schizofrenia possa derivare dal malfunzionamento di
[54]
un importante gene preposto alla regolazione di delicati equilibri: questo problema può
influire sulla parte del cervello coinvolta nello sviluppo delle capacità superiori. La
ricerca su questo gene è in corso, quindi non è ancora possibile utilizzare le
informazioni genetiche per prevedere chi svilupperà la malattia. Si pensa comunque
che un gene mal funzionante non sia sufficiente allo sviluppo della malattia e si pensa
che le interazioni tra i geni e l’ambiente siano necessarie per sviluppare la schizofrenia:
molti fattori ambientali possono essere coinvolti , come l’esposizione a virus o
malnutrizione prima della nascita, i problemi durante il parto ed altri fattori psicosociali
non ancora noti.
Chimica e struttura cerebrale.
Una seconda causa si pensa essere uno squilibrio nelle complesse reazioni chimiche
del cervello ad una iperattività dopaminergica (dopamina): il rilascio della dopamina è
alterato
a
causa
del neurotrasmettitore che
funziona
male.
Attraverso
la
farmacoterapia, con i farmaci antipsicotici (neurolettici) si blocca il recettore
dopaminergico.
.
La neuroradiologia
Nello schizofrenico anche la forma del cervello risulta essere diversa rispetto al
cranio di una persona definita normale. Con la TAC e la RMN si può evidenziare una
dilatazione dei ventricoli che provoca una compromissione delle funzioni cognitive e si
riscontra un’asimmetria tra i due emisferi cerebrali. I movimenti oculari sono alterati,
quelli lenti di fissazione risultano meno precisi e i movimenti di spostamento rapido
degli occhi tende ad aumentare e ad interferire con i movimenti lenti.
Fumo ed abuso di sostanze
Alcuni soggetti che fanno abuso di droghe mostrano sintomi simili a quelli della
schizofrenia; parallelamente soggetti con schizofrenia possono essere scambiati per
tossicodipendenti. La gran parte dei ricercatori non crede che l’ abuso di sostanze causi
la schizofrenia, ma per i soggetti malati è più probabile un abuso di droghe o di alcol
rispetto alla popolazione generale . L’ abuso di sostanze può rendere meno efficace il
trattamento per la schizofrenia: alcune sostanze, come la marijuana e stimolanti come
amfetamine o cocaina, potrebbero peggiorare i sintomi. La ricerca ha mostrato una
crescente evidenza riguardo al legame tra marijuana ed i sintomi della schizofrenia, è
inoltre meno probabile che soggetti che abusano di droghe seguano il loro piano
terapeutico .
[55]
Schizofrenia e fumo
La dipendenza dalla nicotina è la più comune forma di abuso di sostanze in soggetti con
schizofrenia, essi sono dipendenti dalla nicotina con un tasso tre volte più alto di quello
della popolazione generale (dal 75% al 90% vs. dal 25% al 30%). Il rapporto tra fumo e
schizofrenia è complesso: persone malate sembrano essere spinte a fumare e i
ricercatori stanno verificando se esista una base biologica per questa esigenza. In
aggiunta ai sui noti pericoli per la salute vari studi hanno rilevato che il fumo può
rendere meno efficaci i farmaci antipsicotici. Smettere di fumare potrebbe essere molto
difficile per i soggetti con schizofrenia, perché l’astinenza dalla nicotina potrebbe
peggiorare i sintomi psicotici. Le strategie per smettere che includono i metodi sostitutivi
della nicotina potrebbero essere più semplici da seguire per i pazienti. I medici che
trattano le persone affette da schizofrenia dovrebbero controllare la risposta dei pazienti
ai farmaci antipsicotici con attenzione se il paziente decide di iniziare o smettere di
fumare.
Fattore psicologico: Le esperienze soggettive e il contesto familiare giocano
sicuramente un ruolo predominante nello sviluppo della malattia.
IL DISTURBO SCHIZOFRENICO È DUNQUE UNA SITUAZIONE DI DISAGIO
PSICHICO ED ESISTENZIALE CON ALLA BASE ELEMENTI DI CAUSA
MULTIFATTORIALI
(GENETICA,
AMBIENTE
E
FAMIGLIA,
SITUAZIONE
TRAUMATICA VISSUTA). È TRA I PIÚ GRAVI DISTURBI MENTALI IN QUANTO
DALLA SCHIZOFRENIA NON SI GUARISCE, LA CURA FARMACOLOGICA HA
LO
SCOPO
DI
LIMITARE
LA
COMPARSA
ALLUCINAZIONI) E DI CONTROLLARE LA
DI
SINTOMI
(DELIRI
E
CONDIZIONE DI DISAGIO DEL
SOGGETTO.
Diagnosi e prognosi
La diagnosi è clinica e anamnestica; tale disturbo per essere definito tale deve durare
per almeno 6 mesi e devono verificarsi una grande varietà di sintomi, che si distinguono
in positivi e negativi.
[56]
I sintomi positivi ( schizofrenia tipo I ) riflettono una distorsione del funzionamento
normale e sono costituiti da:

ALLUCINAZIONI

DELIRI

ELOQUIO DISORGANIZZATO

ALTERAZIONE DEL COMPORTAMENTO (BIZZARRO E DISORGANIZZATO)
Le allucinazioni sono disturbi della percezione comuni nelle persone affette da
schizofrenia. Si tratta di percezioni che non hanno alcun riscontro nella realtà.
Sebbene le allucinazioni possano interessare qualsiasi senso (udito, vista, tatto,
gusto ed olfatto), la forma più comune di allucinazione in corso di schizofrenia è
data dal sentire le voci.
I deliri indicano una varietà di stati mentali confusionali in cui l'attenzione, la
percezione
e
compromesse.
la
cognizione
del
soggetto
appaiono
significativamente
I pazienti che soffrono di sintomo paranoide ad esempio,
manifestano deliri di persecuzione, o credono irrazionalmente di essere vittima di
inganni, minacce, avvelenamenti o cospirazioni.
L'eloquio disorganizzato, conosciuto anche come disturbo formale del pensiero, si
riferisce all'incapacità di organizzare le idee e di parlare in modo che un ascoltatore
possa comprendere. I discorsi di uno schizofrenico sono incoerenti, talvolta la
persona non è in grado di rimanere focalizzato su un argomento.
Comportamento bizzarro: alcune volte il paziente schizofrenico, assume posture
strambe, trasgredisce le regole della convivenza sociale (si denuda in pubblico) o
manifesta comportamenti incongruenti con la situazione (ride ad un funerale).
I sintomi negativi ( schizofrenia di tipo II )riguardano l’appiattimento o la perdita di
normali funzioni, comprendono invece:
 APPIATTIMENTO AFFETTIVO

ALOGIA

ABULIA

ANEDONIA

CHIUSURA RELAZIONALE
[57]
Appiattimento affettivo invece, non reagiscono praticamente a nessuno
stimolo. Hanno lo sguardo vuoto, i muscoli del viso totalmente inespressivi, gli
occhi privi di vita, rispondono con un tono di voce piatto e incolore. Alcuni
pazienti schizofrenici presentano anche gravi compromissioni nei rapporti
sociali; hanno pochi amici, mediocri abilità sociali e sono scarsamente
interessati a stare insieme alla gente .
Alogia è povertà di linguaggio e tende ad essere vaga e ripetitiva.
Abulia, è un disturbo della volontà e consiste nell’incapacità di prendere una
decisione, di iniziare o portare a termine un’azione in rapporto a eventi anche
banali. I pazienti possono trascurare l'abbigliamento e l'igiene personale, i
capelli sono spettinati, le unghie sporche, i denti non lavati. Inoltre essi mostrano
grande difficoltà nel portare avanti le attività lavorative, scolastiche o domestiche
e trascorrono gran parte del tempo sedendo qua e là senza far nulla.
Anedonia è una perdita di interesse o di piacere; si manifesta come mancanza
di interesse nelle attività ricreative, incapacità di sviluppare rapporti stretti con le
altre persone e mancanza di interesse per l'attività sessuale.
Chiusura relazionale: si riferisce ai problemi nell’allacciare e mantenere
amicizie, coloro che soffrono di schizofrenia possono avere poche relazioni
intime ed avere contatti superficiali e sporadici con il prossimo. Nei casi estremi
possono chiudersi totalmente alla vita sociale.
La schizofrenia di tipo I, a sintomi positivi esordisce in modo acuto, la personalità
premorbosa è sufficientemente strutturata, la risposta al trattamento farmacologico
risulta soddisfacente e nella maggior parte dei casi la sintomatologia può essere
controllata (questa forma è spesso legata alla iperattività dopaminergica, per cui
farmaci neurolettici bloccano il rilascio di dopamina).
La schizofrenia di tipo II, a sintomi negativi esordisce in maniera graduale, la
personalità premorbosa appare povera, l’esordio è graduale, è scarsa la risposta al
trattamento farmacologico (le cause vanno riferite a fattori di tipo strutturale, legate ad
asimmetrie del cervello; questi sintomi hanno un valore prognostico più grave rispetto
ai sintomi positivi).
Par. 10.2 Criteri diagnostici del DSM IV per definire la schizofrenia
Secondo il DSM IV è possibile formulare una diagnosi di Schizofrenia quando sono
presenti due (o più) dei seguenti sintomi caratteristici, ciascuno presente per un periodo
di un mese:
[58]
 DELIRI

ALLUCINAZIONI

ELOQUIO DISORGANIZZATO (incoerenza, linguaggio frammentato)

COMPORTAMENTO DISORGANIZZATO

SINTOMI NEGATIVI (appiattimento affettivo, alogia)
La diagnosi differenziale
Una sintomatologia di tipo psicotico può presentarsi in una notevole quantità di
quadri psichiatrici non schizofrenici. Possono, pertanto, causare sintomi psicotici pur
non essendoci in atto una schizofrenia:

INTOSSICAZIONE
DA
DROGHE
O
FARMACI
O
UN
LORO
USO
PROLUNGATO (le sostanze più implicate sono cocaina, anfetamine,
allucinogeni, steroidi);

MALATTIE DEL SNC (epilessia, tumori cerebrali, encefaliti, malattie
degenerative);

DISTURBI DI PERSONALITÀ SCHIZOIDE, SCHIZOTIPICO, PARANOIDE
(presentano solo per brevi periodi deliri, allucinazioni e disorganizzazione
comportamentale).
La clinica
I disturbi schizofrenici presentano, dunque, una grande varietà sintomatologica. Lo
sviluppo del disturbo avviene nella maggior parte dei casi:

nell’età adolescenziale o giovanile;

il rendimento scolastico o l’impegno lavorativo possono cominciare a
decrescere senza alcuna ragione significativa;

compare un ritiro sociale crescente, accompagnato da una graduale perdita
dell’interesse per le attività abituali;

possono comparire stranezze comportamentali (prima sfumate e poi più
consistenti);

possono emergere anormalità a carico della funzione ideativa dominata da
tematiche inusuali, filosofiche, preoccupazioni per il proprio aspetto fisico o per
la propria salute, distorsione della vita affettiva che può comportare una quota
elevata di ansia, appiattimento della risposta emotiva;

si è in presenza di labilità e instabilità dell’umore, euforia o tristezza poco
attinenti alle situazioni, disagio affettivo e peggioramento della performance
cognitiva.
[59]
Tale esordio in cui la sintomatologia, il distacco dall’ambiente e la frattura con la
realtà si rendono evidenti in modo progressivo portano frequentemente alla comparsa
del disturbo schizofrenico.
Il DSM IV distingue 5 sottotipi di schizofrenia: tipo paranoide, tipo disorganizzato,
tipo catatonico, indifferenziato e residuo.
La forma paranoide è caratterizzata da deliri (spesso di onnipotenza, di
persecuzione, di gelosia)e allucinazioni (frequentemente uditive). È la forma meno
grave rispetto alle altre, l’esordio è più tardivo, e i soggetti hanno dei risultati positivi
alla farmacoterapia.
La forma disorganizzata presenta come sintomi preminenti: deliri e allucinazioni,
eloquio
disorganizzato,
comportamento
disorganizzato
(ovvero
incapacità
e
disorientamento nel raggiungere una meta), affettività appiattita o inadeguata.
Comportamenti quotidiani come il fare la doccia o vestirsi possono risultare altamente
problematici per questi soggetti. È la forma più grave della schizofrenia, l’esordio è
più precoce.
La forma catatonica è quella che presenta le maggiori alterazioni a carico della
psicomotricità: immobilità o iperattività motoria sino all’agitazione, mantenimento di
rigide posture immodificabili dall’esterno, mutismo, assunzione volontaria di posture
bizzarre o inadeguate, manierismi.
La forma indifferenziata presenta sintomi come deliri, allucinazioni, appiattimento
affettivo, eloquio disorganizzato.
La forma residua infine è caratterizzata dalla presenza di almeno un episodio
schizofrenico ma allo stato attuale, quello della valutazione, non devono essere
presenti sintomi psicotici rilevanti. Se sono, ad es., presenti deliri e allucinazioni essi
non sono rilevanti e non sono accompagnati da intensa affettività. Il tipo residuo è
caratterizzato dalla transizione da un periodo sviluppato ad uno di probabile
remissione.
Terapia
L’approccio
terapeutico
alla
schizofrenia
si
avvale
della
farmacoterapia,
psicoterapia e processi riabilitativi.
La farmacoterapia : Il trattamento farmacologico viene oggi considerato fondamentale
nel trattamento della Schizofrenia. I farmaci impiegati in questa cura agiscono
soprattutto sui deliri e sulle allucinazioni, diminuendo il senso di angoscia e le reazioni
aggressive. Appartengono alla famiglia degli antipsicotici, che comprende i farmaci di
prima generazione e i cosiddetti “atipici”: clozapina, olanzapina, risperidone e
[60]
quetiapina. Hanno una doppia azione, mirata sia al controllo dell’eccesso di dopamina,
sia al controllo della serotonina. In ogni caso, anche questi farmaci possono avere
effetti indesiderati nei trattamenti a lungo termine, come l’aumento di peso.
La psicoterapia: l'obiettivo è sviluppare una relazione collaborativa tra il paziente, la
sua famiglia e il medico, così che il paziente possa imparare a comprendere e a gestire
la propria malattia, a prendere i farmaci secondo le prescrizioni e a gestire più
efficacemente lo stress. Le ultime ricerche ed esperienze sia in campo psichiatrico che
psicoterapico dimostrano che un approccio integrato (farmacologico + psicoterapeutico)
ottiene un controllo migliore della patologia. Possono a volte risultare utili anche
tecniche che inducono un leggero stato di autoipnosi (come il training autogeno), tutte le
tecniche di rilassamento muscolare e respiratorio, lo yoga e la meditazione (ma solo a
livello complementare, e sempre sotto espressa indicazione psichiatrica). Le terapie del
passato, come le applicazioni elettroconvulsivanti (elettroshock) e l'insulinoterapia, non
hanno mai dato risultati apprezzabili e sono sempre meno impiegate. Va detto che la
TEC
(terapia
elettroconvulsivante)
viene
ancora
oggi
utilizzata
nelle
forme
particolarmente resistenti ai farmaci, sebbene in condizioni molto più controllate di
quanto non si facesse in passato.
La terza forma importante della terapia della psicosi schizofrenica è costituita dagli
interventi riabilitativi che vanno considerati come un approccio indispensabile al
disturbo e che deve guidare dall’inizio del trattamento sul piano psichiatrico, psicosociali
in un’ottica terapeutica di intervento e prevenzione. Il Ricovero ospedaliero è
necessario per trattare gravi deliri o allucinazioni, seri pensieri suicidi, l’inabilità di
provvedere a se stessi, o gravi problemi connessi a droga o alcolici.
Par. 10.3
Classificazione dei vari tipi di deliri
Il delirio è un disturbo psicopatologico frequente nelle sindromi psicotiche acute e
croniche ed è la convinzione patologia erronea che non ha nessun riscontro
nella realtà; è quindi un’idea falsa e assurda che viene considerata vera a tutti
gli effetti. È assente la delimitazione tra la realtà interna e quella esterna, il soggetto
vive in una dimensione di grande confusione.
Un’importante distinzione è da fare tra l’intuizione delirante (ad una percezione
normale si associa una percezione delirante, il soggetto vede qualcosa e ha una
percezione esatta ma attribuisce ad essa un’interpretazione delirante) e l’atmosfera
[61]
delirante (tipica nell’ambito dell’esordio schizofrenico, il soggetto avverte che qualcosa
sta cambiando, avverte una variazione della realtà che lo circonda e della propria
realtà interna).
Il delirio può essere classificato in base al:

contenuto (d. a tematica persecutoria, di grandezza, depressivi, di gelosia,
mistico-religioso);

decorso (d. acuti, cronici, episodici, ricorrenti e residui);

comprensibilità (d. primario e secondario);

stabilità (d. sistematizzato e non sistematizzato);

stato di coscienza (d. lucido e d. confuso).
Il delirio di persecuzione è la convinzione patologica errata di essere circondato da
un ambiente stabile persecutorio; i persecutori possono essere cose, persone,
organizzazioni e in genere il soggetto psicotico identifica il suo persecutore. Tra i deliri
a tematica persecutoria sono compresi:
1) i d. persecutori;
2) i d. di nocumento (il paziente è convinto che qualcuno voglia danneggiarlo,
ma non lo identifica);
3) d. di veneficio (che qualcuno voglia avvelenarlo);
4) d. di influenzamento (che delle forze esterne lo condizionano, agendo sul
suo corpo, movimenti e pensieri, costringendolo anche a compiere
determinate azioni), è un delirio caratteristico delle sindromi schizofreniche;
5) d. di riferimento (che gesti, atti, parole altrui o situazioni possano essere
diretti al paziente, per fargli giungere messaggi di amore o di minaccia);
6) di rivendicazione o di querela (il soggetto fa continuamente causa a
qualcuno che ritiene lo abbia danneggiato. Si verifica nella Schizofrenia o in
stati ipomaniacali);
I deliri di grandezza, riscontrabili nella Schizofrenia, sindromi maniacali e paranoia,
comprendono:
1) il tipo megalomanico (il soggetto è convinto della sua immensa grandezza);
2) genealogico (il soggetto è convinto di far parte di una famiglia importante);
3) di potenza (il soggetto si identifica con persone famose);
4) inventivo (il soggetto dice di essere qualcuno di famoso);
5) erotomanico (il soggetto dice di essere amato da una persona famosa o
appartenente ad un ceto superiore).
[62]
I deliri depressivi sono frequenti nei disturbi depressivi maggiori; le varianti principali
sono rappresentate dai deliri:
1) di rovina (il soggetto è convinto stia per succedere una catastrofe);
2) ipocondriaci (preoccupazione esagerata, abnorme per il proprio stato di
salute);
3) di colpa (il soggetto attribuisce a se stesso la colpa, ritenendosi
responsabile del malessere di un familiare);
4) di autoaccusa (correlato al delirio di colpa);
5) nichilistico o di negazione di parti del proprio corpo o della realtà (il soggetto
è convinto che il suo corpo non esiste più o lui non esiste più).
Il delirio di gelosia o delirio di infedeltà coniugale si può manifestare nelle sindromi
paranoiche, nell’alcolismo cronico e in alcune sindromi psicorganiche come le
demenze. Il soggetto è convinto di essere vittima di un’infedeltà. Il delirio viene distinto
in primario, quando non risulta derivabile da alcuna reale esperienza psicologica,
risulta incomprensibile in quanto non riusciamo a collegarlo in nessun modo
all’esperienza psichica del soggetto e in secondario, quando presenta un rapporto con
un certo stato mentale, è spiegabile (una particolare condizione affettiva o emotiva del
soggetto, in uno stato depressivo può emergere il delirio di colpa o di autoaccusa). I
deliri sono detti sistematizzati quando le idee deliranti sono connesse tra loro; sono
detti non sistematizzati quando c’è un’elevata frammentarietà, non c’è un concetto
ben preciso che si ripropone. Un concetto caratteristico è la memoria delirante
(ricordo, avvenimento del passato che viene spiegato in maniera delirante).
Infine, se lo stato di coscienza è integro e il soggetto è vigile si parla di delirio lucido,
mentre se il delirio si produce in una condizione di alterazione della coscienza di tipo
confusionale si parla di delirio confuso. Lo riscontriamo frequentemente nel delirium,
stati tossici o febbrili.
Cap. 11 DISTURBO DELIRANTE ED ALTRI DISTURBI PSICOTICI
Par.11.1 Il disturbo delirante: caratteristiche fondamentali
Il disturbo delirante o paranoia è diverso dalla schizofrenia ed è caratterizzato dalla
presenza di un delirio sistematizzato (non bizzarro, riguardante situazioni che si
verificano nella vita reale), in assenza di allucinazioni e con un’evoluzione senza
[63]
deterioramento. L’epidemiologia non è conosciuta e la mancanza di coscienza di
malattia da parte di questi soggetti rende difficile l’invio allo specialista e la tolleranza
della famiglia e del gruppo sociale.
Le caratteristiche di tale disturbo sono: insicurezza, diffidenza, riservatezza, utilizzo
di meccanismi di difesa infantili (negazione, proiezione,…), presenza di deliri che si
verificano per almeno 1 mese. I contenuti del delirio possono avere varie tematiche:

di persecuzione: convinzione di essere trattati male da un singolo o da un
gruppo;

di rivendicazione: convinzione di essere stati vittima di un’ingiustizia;

di gelosia: convinzione dell’infedeltà del proprio partner;

di grandezza: convinzione di possedere straordinarie capacità;

di tipo erotomanico: convinzione di essere amati da una persona appartenente
ad una classe sociale superiore;

di tipo somatico: convinzione di essere affetti da una grave malattia.
Caratteristico è il fatto che il paziente al di fuori delle tematiche deliranti, conserva
un discreto adattamento sociale e lavorativo. Il decorso tende alla cronicità in un’alta
percentuale di casi.
Secondo il DSM IV per porre diagnosi è necessaria la presenza per almeno un
mese di un delirio in assenza di un disturbo dell’umore, di sintomi caratteristici della
schizofrenia o di un disturbo mentale organico.
La terapia può essere problematica, questi tipi di pazienti non accettano di avere il
problema e difficilmente si fanno seguire da uno specialista.
Par. 11.2 La parafrenia
È un quadro clinico intermedio tra la Paranoia e la Schizofrenia. Le caratteristiche
fondamentali della Parafrenia sono:

presenza di deliri con tematiche differenti;

assenza di deterioramento della personalità, dell’affettività e dell’intelligenza;

incostante presenza di allucinazioni.
L’esordio della malattia avviene in età adulta(30-40 anni) con personalità affettiva già
sviluppata e matura. Vengono distinte diverse varietà di parafrenia:

parafrenia sistematica, con deliri di persecuzione e di grandezza;

p. espansiva, con deliri a contenuto mistico o erotico, coesiste di solito uno
stato ipomaniacale;
[64]

p. fantastica, con deliri bizzarri ,assurdi, incoerenti,arricchito da allucinazioni
multiple;

p. confabulatoria, con minore deterioramento della personalità.
Tipico del parafrenico è la coesistenza parallela di un sistema di vita discretamente
integrato con il mondo delirante fantastico. Il decorso è cronico con frequente
conservazione di un buon adattamento sociale. La terapia viene effettuata con farmaci
neurolettici.
Par. 11.3 Disturbo psicotico indotto
Sviluppo di un sistema delirante da parte di una persona in stretta relazione con un
altro soggetto affetto da un disturbo di tipo schizofrenico, (es. marito-moglie, madrefiglia).
Fu descritto in Francia alla fine dell’800 come folie à deux.
Se ne distinguono 3 sottotipi:
 simultanea (stesso delirio nello stesso momento)
 comunicata (in cui vengono condivisi aspetti del delirio)
 imposta (la più tipica e quella a cui si riferisce il DSM IV, dove c’è un soggetto
dominante che “impone” e l’altro che “assorbe” il delirio.
Il trattamento consiste nella separazione dei due pazienti, con associazione di
terapie psicologiche e farmacologiche come per i disturbi paranoidei.
Il Disturbo Psicotico breve
Questo quadro clinico è caratterizzato da deliri, allucinazioni, variazioni del tono
dell’umore, comportamento disorganizzato, che insorge improvvisamente in risposta
ad un evento stressante. Colpisce in genere soggetti giovani, la fase di stato dura da
qualche ora a qualche settimana e si ha risoluzione; la diagnosi differenziale va posta
in genere con la Schizofrenia e i Disturbi dell’Umore. Il trattamento della Psicosi
Reattiva Breve va effettuato con degenza ospedaliera e somministrazione di farmaci
in base alla sintomatologia preminente.
Par. 11.4 Il Disturbo Schizoaffettivo
La caratteristica essenziale del Disturbo Schizoaffettivo è un periodo ininterrotto di
sintomi positivi psicotici della Schizofrenia durante il quale, ad un certo punto, vi è un
episodio di alterazione dell'umore. Tali manifestazioni di psicopatologia dell'umore sono
precedute o seguito da almeno due settimane di deliri o allucinazioni.
[65]
La fase della malattia con i soli sintomi psicotici è dunque caratterizzata da deliri o
allucinazioni che durano almeno quattordici giorni.
I sintomi di alterazione dell'umore devono essere presenti per una buona parte
dell'intero periodo di malattia. Se infatti sono presenti solo per breve tempo, l'individuo
è afflitto da Schizofrenia, e non da un Disturbo Schizoaffettivo.
In associazione al Disturbo Schizoaffettivo ci possono essere la riduzione, il
malfunzionamento e/o la trascuratezza dell'ambito personale, sociale, lavorativo e
l'aumento di rischio di suicidio. Infine le persone che presentano tale patologia sono
maggiormente soggette all'ulteriore sviluppo di un Disturbo dell'Umore, di un Disturbo
Schizofreniforme e/o di un Disturbo correlato all'Alcool o ad altre sostanze psicoattive.
Disturbo Schizofreniforme:
Le caratteristiche principali del Disturbo Schizofreniforme sono uguali a quelle della
Schizofrenia tranne che per la durata.
Tale disturbo ha una durata tra uno e sei mesi ed in molti casi non vi è menomazione o
compromissione
della
sfera
personale,
sociale,
affettiva,
lavorativa
che
contraddistinguono invece la Schizofrenia. La durata del Disturbo Schizofreniforme è
inoltre intermedia fra quella del Disturbo Psicotico Breve, nel quale i sintomi psicotici
durano per almeno un giorno, ma meno di un mese, e quella della Schizofrenia, nella
quale essi continuano per almeno 6 mesi. Come detto a differenza della Schizofrenia,
per diagnosticare un Disturbo Schizofreniforme può non essere presente una
menomazione del funzionamento sociale, lavorativo, e così via.
Comunque spesso chi è afflitto da questo disturbo ha una certa disfunzionalità in
molteplici ambiti quotidiani come ad esempio il lavoro, la scuola, le relazioni con gli altri,
la cura della propria persona, etc.
CAP. 12 I DISTURBI AFFETTIVI O D. DELL’UMORE (depressione e mania)
Par. 12.1 Chi soffre di questa condizione tende a presentare fasi depressive seguite
da fasi maniacali. Le fasi depressive sono caratterizzate da un umore particolarmente
basso, una marcata e profonda tristezza e dalla sensazione che non ci sia più nulla in
grado di dare piacere. Inoltre, durante queste fasi, il sonno può facilmente aumentare o
diminuire, così come l’appetito; concentrarsi su un’attività diventa più difficile. A volte la
disperazione ed il senso di vuoto sono così marcati che le persone pensano al
suicidio. Le fasi maniacali, in alcuni casi, sono esattamente il contrario delle fasi
depressive. Sono caratterizzate, infatti, da un umore particolarmente euforico, dalla
[66]
sensazione che tutto sia possibile e da un ottimismo eccessivo. Le idee ed i pensieri si
accavallano rapidamente nella mente ed a volte diventano così veloci che spesso
diventa difficile seguirli. Il comportamento diventa disorganizzato ed inconcludente.
L’energia è tanta che spesso chi attraversa queste fasi non sente il bisogno di mangiare
o dormire ed ha la sensazione di poter fare qualsiasi cosa, a tal punto da commettere
azioni impulsive o compromettenti, come spese folli o imprese avventate.
CAP. 13 I DISTURBI DISSOCIATIVI
Par. 13.1 Caratteristiche generali e classificazione
I Disturbi Dissociativi sono caratterizzati da un’alterazione delle normali funzioni
integrative: la memoria, l’identità, il comportamento motorio e il giudizio di realtà.
Rientrano in questa sfera:

Amnesia Psicogena

Fuga Psicogena

Disturbo da Personalità Multipla

Disturbo da Depersonalizzazione.
L’Amnesia Psicogena è caratterizzata dalla perdita di un segmento più o meno
ampio dell’identità personale, in assenza di cause organiche note, generalmente dopo
un evento traumatico significativo (guerre, disastri naturali, eventi che possono
rientrare nei disturbi post-traumatici da stress). L’amnesia può essere: circoscritta (per
eventi successi in un certo periodo); selettiva (relativa a particolari avvenimenti o
periodi);
generalizzata
(coinvolge
l’intera
esistenza);
sistematizzata
(riguarda
esclusivamente un determinato momento).
La Fuga Psicogena è il fenomeno per il quale il soggetto si allontana
improvvisamente dalla propria abitazione o occupazione per un momento variabile
(breve o lungo) con assunzione di una nuova identità ed amnesia della vita
precedente. Insorge solitamente dopo una catastrofe naturale o durante una guerra,
può durare da poche ore a qualche mese e si risolve spontaneamente; rare le
ricadute.
Il Disturbo da Personalità Multipla si caratterizza per la coesistenza nello stesso
soggetto di due o più personalità (addirittura anche 10 tipi di personalità), con
caratteristiche proprie che a turno controllano il comportamento. Il cambiamento di
[67]
personalità è improvviso, preceduto da malesseri o da eventi stressanti; di solito il
soggetto non ha consapevolezza delle altre personalità. Ogni personalità si differenzia
dalle altre per ricordi, attitudini, affettività, immagine di sé, storia personale. Nella
maggior parte dei casi la personalità principale non ha consapevolezza dell’esistenza
delle altre personalità. Generalmente nell’infanzia di tali soggetti si riscontra un grave
trauma psicofisico, di solito un abuso sessuale. Il meccanismo della negazione
consente al bambino di attribuire ad altri l’esistenza di questi vissuti traumatici. Questa
frammentazione crea pezzi del Sé dissociati, aventi una loro esistenza autonoma e
connotazioni specifiche, che in particolari condizioni possono riattualizzarsi. Esso è un
disturbo che tende alla cronicizzazione, è opportuna una psicoterapia che miri alla
integrazione delle diverse personalità.
Il disturbo da depersonalizzazione è caratterizzato da frequenti e persistenti
episodi di sensazioni di estraneità dal proprio corpo (non sentirsi più se stessi). Si
associa spesso anche derealizzazione, ossia la realtà circostante viene percepita
come estranea. Il soggetto è consapevole dell’irrealtà delle proprie reazioni, ma è
gravemente angosciato, depresso e ansioso. Il disturbo si presenta generalmente
dopo un trauma grave ed è trattabile con l’ipnosi.
CAP. 14 I DISTURBI DELLA SFERA SESSUALE O PARAFILIE
I disturbi sessuali si distinguono in disfunzioni, disturbi dell’identità di genere o
parafilie.
Par. 14.1 Disfunzioni sessuali
Sono le alterazioni delle varie fasi dell’istinto sessuale. Possono avere un’origine
biologica e psicologica. Le disfunzioni possono essere primitive o comparire dopo una
fase di funzionamento sessuale normale. Vengono classificate in base alla fase della
risposta sessuale che risulta alterata:

Desiderio (o libido) caratterizzato da fantasie o dal desiderio di avere un rapporto
sessuale

Eccitamento caratterizzato da fenomeni fisiologici di eccitazione

Orgasmo rappresenta l’apice del piacere sessuale

Risoluzione segue la fase precedente ed è caratterizzata da rilassamento
generale. Non esistono disfunzioni che originano da questo stadio.
[68]
Disturbi del desiderio sessuale: diminuzione o mancanza, periodica o persistente, di
fantasie sessuali o della libido. L’inibizione del desiderio sessuale si ipotizza sia
utilizzato come meccanismo di difesa per proteggersi da paure inconsce relative all’altro
sesso.
Disturbi dell’eccitamento sessuale: deficit o assenza nella donna della lubrificazione
della vagina nel corso dell’eccitamento sessuale e nell’uomo dalla difficoltà o
impossibilità di erezione durante la funzione sessuale. Tale disturbo provoca stress o
difficoltà interpersonali, può derivare da una malattia cardiovascolare, endocrina,
neurologica, metabolica, infettiva o post-traumatica. Ci sono dei farmaci che
interferiscono in questa fase (antidepressivi, antiipertensivi).
Disturbi dell’orgasmo: nella donna l’anorgasmia è presente sotto i 35 anni. Cause
psicologiche possibili possono essere: sensi di colpa verso l’attività sessuale, il timore di
una gravidanza indesiderata, la paura di non essere accettata dal partner o l’ostilità nei
suoi confronti. Nell’uomo generalmente i problemi dell’eiaculazione sono connessi con i
disturbi dell’erezione. L’eiaculazione precoce è il disturbo più frequente, soprattutto tra i
giovani alle prime esperienze sessuali o in caso di stress nella relazione coniugale.
Disturbo da dolore sessuale: colpisce le donne ed è caratterizzato da sintomi dolorosi
o vaginismo (spasmi muscolari ) che rendono difficile o impossibile il rapporto sessuale.
È dovuto di solito a dinamiche relazionali col partner.
Par. 14.2 Disturbi dell’identità di genere
Insorgono solitamente nell’infanzia e si presentano con comportamenti ed atteggiamenti
che differiscono dal genere di sesso a cui si appartiene. Questi soggetti sin da bambini
manifestano un rifiuto per il proprio genere sessuale e preferiscono l’abbigliamento, i
giochi e la compagnia dell’altro sesso. Talvolta questi atteggiamenti si modificano fino
alla scomparsa in età adolescenziale, ma più spesso evolvono in un orientamento di
tipo omosessuale o in transessualismo.
Omosessualità: essa per alcuni orientamenti è considerato un disturbo psichico, per
altri è una variante del comportamento sessuale o un comportamento sintomatico. È
comunque difficile una sua collocazione tra i disturbi.
Transessualismo: profondo e persistente disagio per il proprio genere sessuale, che si
traduce nel desiderio di vivere come una persona dell’altro sesso. È un disturbo raro,
più frequente negli uomini ed insorge in età adolescenziale o all’inizio dell’età adulta.
Permangono comunque incertezze sulla genesi del disturbo.
[69]
Par. 14.3 Parafilie
Questo termine viene usato al posto di perversione, per definire comportamenti sessuali
abnormi per raggiungere il piacere sessuale. In esse l’attenzione è rivolta a OGGETTI,
ANIMALI O PARTNER NON CONSENSIENTI, BAMBINI. In genere questi soggetti
giungono all’osservazione dello Psichiatra per conto di terzi: autorità giudiziaria per
accertamenti medico-legali o per sollecitazione dei familiari.
Le ipotesi eziologiche sono:

Alterazioni organiche (a carico del lobo temporale o del lobo limbico)

Psicoanalitica (fissazione in una delle fasi sessuali dello sviluppo)
Riguardano prevalentemente il sesso maschile. Per porre diagnosi occorre una
persistenza di almeno 6 mesi, l’attività parafilica ha spesso un carattere compulsivo.
Le più comuni forme di parafilia sono:

Esibizionismo: esposizione in pubblico dei genitali per provare piacere, può
essere seguito dalla masturbazione

Feticismo: eccitamento sessuale con oggetti inanimati (abiti, scarpe, capelli)

Frotteurismo: strofinamento dei genitali su donne non consenzienti (avviene in
genere nei luoghi affollati, es. mezzi di trasporto)

Pedofilia: fantasie o pratiche sessuali con bambini in età prepuberale

Parafilie escretorie: vengono utilizzate per raggiungere l’eccitazione sessuale, la
defecazione (coprofilia), la minzione (urofilia), l’uso del clistere (clismafilia), su di
sé o sul proprio partner

Masochismo sessuale: provare piacere nel subire sofferenza fisica o psicologica
(da soli o da parte del partner)

Sadismo sessuale: eccitamento sessuale nel provocare sofferenza fisica o
psichica ad un partner, anche non consenziente

Travestitismo: indossare abiti dell’altro sesso per eccitarsi

Voyeurismo o scoptofilia: provocare eccitamento sessuale nell’osservare
persone nude o mentre hanno rapporti sessuali (in genere è seguito dalla
masturbazione)

Zoofilia: atti sessuali con animali; più frequente nelle zone rurali.
[70]
CAP. 15 DISTURBI DELL’AREA SENILE: LE DEMENZE
Par. 15.1 Le demenze: caratteristiche generali e classificazione
Il termine "demenza" identifica una perdita di funzionalità mentale, generalmente
associata all'età, che comporta problemi di memoria (a breve e a lungo termine) e
almeno un deficit a carico dei seguenti processi cognitivi: pensiero astratto, capacità
critica, linguaggio, orientamento spazio temporale, funzioni esecutive, abilità nel calcolo.
Il deficit mnesico è soprattutto anterogrado (cioè si riferisce agli eventi recenti), con una
minore componente retrograda (riferita cioè agli eventi del passato). Il declino delle
capacità mentali è così grave da interferire con la capacità del soggetto di lavorare e
con le normali relazioni sociali. Nelle fasi più avanzate della malattia i disturbi diventano
più evidenti e più imbarazzanti. Le dimenticanze concernono anche i nomi dei familiari e
gli avvenimenti recenti, le difficoltà nel linguaggio aumentano (il malato fatica sempre
più ad esprimersi in modo comprensibile e anche a capire il senso di ciò che gli si dice),
il disorientamento spaziale si manifesta anche nell'ambito familiare.
Il paziente non può più eseguire gli atti quotidiani, come lavarsi, vestirsi, mangiare, ecc.
se non con la presenza e le istruzioni della persona curante. Possono comparire
allucinazioni o deliri ed i pazienti tendono a diventare ansiosi, aggressivi, a presentare
comportamenti disturbanti, come il girovagare senza meta, l'agitazione e i rituali
ossessivi, spesso prevalenti durante la notte, peggiorando al punto tale da dover essere
assistiti in modo continuativo e intensivo.
Anche i problemi legati all'alimentazione sono molti: identificare il cibo, aprire la bocca,
masticare e deglutire; i pazienti avanzano a piccoli passi e il loro cammino diventa
instabile, aumentando il rischio di cadute e di fratture. Con il passare del tempo, i malati
passano le loro giornate in sedia a rotelle, fino a diventare infermi. Compare anche una
perdita del controllo degli impulsi sfinterici. Si assiste ad una disintegrazione della
personalità, dovuta alla perdita della coscienza di sé e della capacità di giudizio. Si
tratta quindi, in definitiva, non solo di una malattia della persona, ma più in esteso della
famiglia; questo sia perché in genere il decorso può anche durare molti anni, sia perché
spesso il paziente è curato in casa e si assiste ad una trasformazione progressiva e
drammatica delle caratteristiche più intime e peculiari della personalità del malato,
anche a livello comportamentale e “caratteriale”, che lo porta a divenire irriconoscibile;
spesso i parenti non riescono ad accettare ed a capire fino in fondo che si tratta di un
inevitabile correlato della malattia stessa; la gran parte delle relazioni e delle dinamiche
[71]
interne al gruppo familiare subisce delle modificazioni profondissime, a volte irreparabili,
sotto il peso schiacciante di questa trasformazione graduale ed inarrestabile del loro
congiunto, con un’alternanza di sentimenti di rifiuto, di rabbia, di dolore, di
rassegnazione e lo sviluppo conseguente di sensi di colpa.
CLASSIFICAZIONE DELLE DEMENZE
Una classificazione in base alle possibili cause distingue:
• Demenze primarie (cioè che si sviluppano come malattia a sè stanti): malattia di
Alzheimer, malattia di Pick (è una forma di demenza che comporta la lesione di cellule
nervose in quella parte del cervello che controlla il comportamento alterandone la
personalità dell’individuo diventando sgarbato, nervoso,arrogante ecc); afasia
progressiva primaria ,(significa letteralmente assenza di linguaggio).
• Demenze secondarie (cioè che sono la conseguenza di altre malattie, patologia
vascolare, Morbo di Parkinson, malattie infettive, traumi cranici e tumori ecc.)
Par.15.2 MALATTIA DI ALZHEIMER
La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato
da una distruzione progressiva delle cellule del cervello che porta ad un lento declino
delle facoltà mentali.
La degenerazione si produce in zone cerebrali che controllano funzioni mentali
importanti come la memoria, la lingua, la capacità di pianificazione, la mobilità e
l'orientamento nello spazio, implicando serie difficoltà per il paziente nel condurre le
normali attività quotidiane. Prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che
per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici.
Decorso
La malattia di Alzheimer esordisce generalmente dopo i 65 anni. Sebbene possa colpire
anche persone più giovani, casi di questo tipo sono molto meno comuni. Generalmente
progredisce lentamente, quasi impercettibilmente, spesso iniziando con lievi disturbi di
memoria e terminando con un grave danno mentale. E’ una malattia irreversibile,
ingravescente, caratterizzata da una degenerazione progressiva delle facoltà
intellettive.
[72]
I principali sintomi sono:
 Amnesia: in particolare amnesia anterograda, cioè i pazienti tendono ad avere
un buon ricordo degli eventi remoti, ma a non ricordare gli eventi recenti, nuovi.
 Aprassia: l'incapacità di compiere azioni comuni, come fischiettare, preparare il
caffè, cucinare, disegnare.
 Agnosia: l'incapacità di riconoscere oggetti comuni (maggiore difficoltà con gli
oggetti animati, quali frutta, verdura ed animali).

Anomia: l’incapacità a denominare un oggetto, pur riconoscendolo; l’individuo
può utilizzare perifrasi, sinonimi, termini assonanti o neologismi per riferirsi
all'oggetto.

Disorientamento spazio-temporale: l’incapacità di riconoscere il luogo in cui si
trova o di ricordare la data, il giorno, il mese, l’anno.

Acalculia: l’incapacità di compiere operazioni matematiche elementari.
 Agrafia: la difficoltà di scrittura.

Deficit intellettivi: significativo peggioramento delle capacità di ragionamento,
di pianificazione e di giudizio.

Cambiamenti nel tono dell'umore: tendenza a mostrare repentini, marcati ed
ingiustificati cambiamenti nel tono dell'umore, che vanno dalla depressione,
all'euforia, al pianto.
 Sintomi psicotici e modificazione della personalità: l’ assunzione di
comportamenti bizzarri, rozzi,eccentrici o aggressivi. Fra i sintomi psicotici si
annoverano allucinazioni, paranoia, pensieri non realistici e deliri (solitamente di
persecuzione)

Perdita delle capacità di giudizio: compiere errori di giudizio o di valutazione
grossolane nelle attività quotidiane o nel proprio lavoro.

Difficoltà di ragionamento astratto: difficoltà nel compiere operazioni
matematiche o logiche relativamente semplici.

Perdita di iniziativa: perdita totale degli interessi.
Fattori di rischio
Gli unici fattori di rischio per questa malattia identificati finora sono l’età, la presenza di
un caso di demenza in famiglia, e alcuni fattori genetici. Fattori che sembrano interagire
con la predisposizione genetica sono il sesso, le infezioni da herpes, una bassa
concentrazione lipidica, traumi cerebrali gravi e un livello culturale basso. Altri fattori che
si stanno valutando sono un’ esposizione eccessiva ad anestetici, il diabete e l’alcool.
[73]
TERAPIA Ad oggi non esiste nessuna cura che permetta di guarire la malattia
d'Alzheimer o di arrestarne la progressione. Tuttavia esistono diverse terapie che
servono a mantenere più a lungo l'autonomia del paziente e ciò ha un effetto positivo su
tutta la famiglia queste sono: la
terapia farmacologica, la psicoterapia, la terapia
creativa (pittura, cucina, ecc.) la Terapia di orientamento alla realtà ecc..
CAP. 16 I DISTURBI DELL’AREA INFANTILE
Tale categoria di disturbi riguarda l’area infantile e appartengono ad essi:

Autismo

Depressione infantile

Disturbi dell’apprendimento e ritardi mentali
Par. 16.1 L’Autismo: caratteristiche generali
“Un bambino rannicchiato in un angolo che non risponde ai richiami o che sfarfalla
con le mani, impegnato a camminare in punta di piedi, o a correre avanti e indietro; che
non parla o che ripete le stesse parole senza scopo, isolato o dondolante, che urla o
che piange, con l’amore prigioniero dentro”.
Così si presenta l’Autismo Infantile un disturbo dello sviluppo complesso.
Esso insorge, tipicamente, nei primi tre anni di vita ed è caratterizzato da
compromissione delle capacità di comunicazione verbale e non verbale e di interazione
sociale. In particolare, i bambini con Autismo possono presentare ritardo oppure
assenza totale del linguaggio parlato.
Nei bambini che parlano, può esserci un ritardo nell’abilità di sostenere una
conversazione con gli altri, oppure un uso del linguaggio ripetitivo e stereotipato.
Le manifestazioni spontanee e diversificate di gioco simbolico, oppure sociale imitativo,
possono mancare, mentre alcuni pattern di attività risultano spesso ristretti, ripetitivi e
stereotipati. Ancora, i bambini con Autismo possono presentare una varietà di sintomi
comportamentali che includono iperattività, breve durata di attenzione, impulsività,
aggressività, comportamenti autolesionistici ed alterazioni dell’umore.
Possono anche osservarsi risposte insolite a stimoli sensoriali consistenti in mancanza
di reattività al dolore oppure ipersensibilità a suoni particolari.
I bambini con Autismo presentano spesso abitudini alimentari e di sonno insoliti e sono
descritti come agitati e irritabili oppure distaccati e distanti.
La percentuale di incidenza è a favore del sesso maschile, dal DSM IV viene definito un
[74]
Disturbo Pervasivo dello Sviluppo e si caratterizza con alcuni sintomi che interessano 3
importanti aree:

interazione sociale reciproca sono presenti turbe delle capacità relazionali con
tendenza all’isolamento

comunicazione verbale e non verbale, è assente o disfunzionale e presenta
evidenti turbe,la maggior parte dei soggetti con Autismo possiede un linguaggio
molto povero o limitato all’uso di poche parole.

modelli di comportamento ed interessi che sono ristretti, ripetitivi e
stereotipati, l’immaginazione è povera, si presenta spesso auto ed eteroaggressività (basso indice di empatia); scarsa ipersensibilità per ciò che accade
nell’ambiente circostante e per le figure di riferimento affettivo; iperattività motoria
grossolana; ritardo mentale o deficit cognitivo di vario grado. Questi sintomi si
possono esprimere in maniera diversa nei vari soggetti e giocano un ruolo
determinante nella relazione con l’ambiente circostante, creando difficoltà di
accettazione, di gestione e di educazione in chi si relaziona con loro.
Le patologie più frequenti che si presentano associate al D. A., oltre all’epilessia,
sono:
 la
Sindrome di Rett che colpisce le femmine, si manifesta tra il sesto e il
diciottesimo mese di vita, dopo uno sviluppo mentale e sociale normale. La bambina si
isola, perde il controllo e comincia a torcere le mani. Sembra che la mutazione di un
singolo gene possa causare tale patologia
 la Sindrome dell’X Fragile che colpisce i maschi ed è causata da un’alterazione
del cromosoma X che si presenta al microscopio sottile e fragile. Si tratta di una malattia
ereditaria
 la Sclerosi Tuberosa che può diffondersi con la formazione di tumori benigni
nel cervello ed in altri organi vitali.
 il Disturbo Disintegrativi dell’Infanzia che colpisce i maschi, dopo un periodo di
sviluppo normale, a partire dal terzo anno di vita i pazienti affetti cominciano a
presentare i sintomi classici dell’A. accompagnati da perdita del controllo degli sfinteri,
epilessia e da progressivo deficit cognitivo.
È stata documentata una grande difficoltà nelle persone con A.:

a riconoscere le espressioni facciali;

problemi nell’interazione sociale e nella comunicazione;

problemi nell’attenzione e una scarsa capacità di imitazione;
[75]

ad essere asociali, in quanto non consapevoli del mondo sociale attorno a loro;

ad avere una scarsa comprensione degli stati mentali altrui e ciò provoca paura,
isolamento e rifiuto del contatto con gli altri;

incapacità di assumere una postura adeguata;

presenta un ristretto campo di interessi e non fanno, pertanto, l’esperienza di
imparare;

l’essere soli mentalmente;

incapacità di attribuire a sé e ad altri, stati mentali (desideri, credenze,
immaginazioni, emozioni).
DIAGNOSI: Tutti i bambini dovrebbero fare gli esami di routine per lo sviluppo con il loro
pediatra. Ulteriori test possono essere necessari se vi è interesse da parte del medico o
dei genitori. Ciò è particolarmente possibile quando un bambino non riesce a soddisfare
una delle seguenti tappe linguistiche:





Borbottio/balbettamento ai 12 mesi;
Gesticolare a 12 mesi;
Dire singole parole dai 16 mesi;
Dire due parole spontanee o formulare frasi dopo i 24 mesi;
Perdita di qualsiasi lingua o di competenze sociali a qualsiasi età.
Questi bambini potrebbero fare un esame orale, un test del piombo nel sangue e un test
di screening per l’autismo. Una valutazione dell’autismo spesso include un esame fisico
e del sistema nervoso. I bambini con noti o sospetti casi di autismo fanno spesso test
genetici (ricerca di anomalie cromosomiche) e test metabolici. L’autismo comprende un
ampio spettro di sintomi. Pertanto, un unica e breve valutazione non può diagnosticare
la malattia con certezza. Spesso la valutazione non è fatta da un solo medico, ma da
un intero team di specialisti. Essi potrebbero valutare:






Comunicazione;
Linguaggio;
Capacità motorie;
Capacità di parlare;
Successo a scuola;
Abilità nel pensare.
TERAPIA: Un precoce e intensivo trattamento migliorerà le prospettive per la maggior
parte dei bambini con autismo. La maggior parte dei programmi si baseranno sugli
interessi del minore in una struttura altamente costruttiva. Aiuti visivi sono spesso utili.
La terapia ha successo quando si orienta verso le particolari esigenze del bambino. Un
[76]
esperto team di specialisti dovrebbe progettare il programma per ogni singolo bambino.
Una varietà di terapie sono disponibili, tra cui:







Analisi del comportamento applicata (si svolge a casa con un terapista personale
che rafforza le competenze del bambino. Può essere molto costosa);
Farmaci;
Terapia occupazionale;
Terapia fisica;
Intervento di logoterapia;
Integrazione sensoriale;
Terapia della vista.
Il miglior piano terapico può utilizzare una combinazione di tecniche. I medicinali
vengono spesso utilizzati per il trattamento del comportamento o dei problemi emotivi
che gli autistici potrebbero avere, tra cui:










Aggressione;
Ansia;
Problemi di attenzione;
Estreme convulsioni impossibili da fermare;
Iperattività;
Impulsività;
Irritabilità;
Sbalzi di umore;
Esplosioni di ira;
Difficoltà di veglia;
Attualmente, solo il risperidone è approvato per la cura dei bambini di età tra i 5 e i 16
anni con irritabilità e aggressività associati all’autismo. Non vi è alcuna medicina che
tratta il problema dell’autismo. Alcuni bambini sembrano reagire ad una dieta senza
glutine o caseina. Non tutti gli esperti concordano sul fatto che i cambiamenti nella dieta
possano fare la differenza, e non tutte le relazioni che studiano questo metodo hanno
mostrato risultati positivi. Resta sempre importante che il bambino continui a ricevere
abbastanza calorie, nutrienti, e una dieta equilibrata.
PROGNOSI: L’autismo resta una condizione cronica per i bambini, ma le prospettive di
oggi sono superiori a quelle di una generazione fa. A quel tempo, la maggior parte delle
persone con autismo restavano collocate negli istituti. Oggi, con la giusta terapia, molti
dei sintomi dell’autismo possono essere migliorati, anche se la maggior parte delle
persone avrà alcuni sintomi per tutta la vita. Le prospettive dipendono dalla gravità
dell’autismo e dal livello di terapia che la persona riceve. La maggior parte delle
persone con autismo sono in grado di vivere con le loro famiglie o in comunità
[77]
Par. 16.2 LA DEPRESSIONE INFANTILE
Con il termine depressione ci si riferisce ad un complesso quadro morboso costituito da
un abbassamento del tono vitale dell’individuo, nelle sue componenti neuropsichiche e
somatiche.
Caratteristiche generali e criteri diagnostici:
Il bambino viene spesso descritto come un essere psicosomatico, ovvero il malessere
psichico viene manifestato con sintomi fisici (si ricorre al linguaggio corporeo).
I criteri diagnostici della depressione del bambino sono:
nei bambini di età compresa tra 0 e 2 anni

apatia, piagnucolio

disturbi dell’area del sonno e della sfera alimentare

coliche

eczema

sguardo triste e inespressivo

difficoltà allo sguardo diretto

ritardo nello sviluppo del linguaggio

assenza di reazioni di fronte all’estraneo

assenza di un attaccamento individualizzato
nei bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni:

mancanza di spontaneità

atteggiamento serio

tristezza

rallentamento psicomotorio

sguardo spento

incapacità a provare piacere

rifiuto a giocare con gli altri

fobie

senso di inferiorità

sensi di colpa

manifestazioni auto-aggressive

disturbi del sonno
nei bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni:

tristezza, infelicità

ritiro in se stesso
[78]

mancanza di interesse verso qualsiasi cosa

difficoltà a provare piacere

sensazione di essere rifiutato e non essere amato

incapacità di accettare aiuto o conforto

insonnia o altri disturbi del sonno
I FATTORI DI RISCHIO del disturbo depressivo sono:

familiarità

stress ambientale continuato

inizio della scuola

malattia cronica

perdita di un genitore o di una persona amata

divorzio o separazione dei genitori

distacco dalla famiglia o da casa

nascita di un fratellino o sorellina

rapporti conflittuali con gli adulti

difficoltà di comunicazione

disturbo dell’apprendimento

gravi problemi di salute o disabilità

essere vittime di esperienze traumatiche: abuso, maltrattamenti, abbandono

essere testimoni o vittime di eventi gravi
Deve essere valutato il rapporto con la madre, il contesto familiare e i legami che il
bambino può avere, nonché le esplosioni di rabbia, aggressività e ostilità.
Par.16.3 I DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO
I disturbi dell’apprendimento: caratteristiche generali e classificazione
Tale categoria di disturbi si riferisce ad un ritardo nelle normali acquisizioni di alcune
abilità tipiche dell’età infantile. Appartengono a tale categoria:

disturbo della lettura (dislessia)

disturbo del calcolo (discalculia)

disturbo dell’espressione scritta (disgrafia).
[79]
La dislessia ha come caratteristica principale l’incapacità di acquisire i livelli prevedibili
per quel che riguarda l’accuratezza della lettura, la velocità o la comprensione, misurata
attraverso
test
standardizzati
somministrati
individualmente.
I
sintomi
comuni
comprendono l’incapacità di distinguere le forme di lettere simili, o di associare
particolari suoni coi simboli delle lettere. Questa difficoltà può essere notata già negli
asili infantili, ma il disturbo raramente viene diagnosticato fino a che il bambino non si
dimostra incapace di acquisire i livelli iniziali di lettura.
La prognosi è molto migliorata con l’individuazione e l’intervento precoci, ma è comune
che il Disturbo della Lettura persista nella vita adulta.
La discalculia è l’incapacità di acquisire la competenza nel calcolo e nel ragionamento
matematico. I sintomi possono comprendere i seguenti tipi di deficit: l’incapacità di
capire i termini, le operazioni e i concetti matematici e di applicare il ragionamento
simbolico ai problemi, l’incapacità di organizzare oggetti rispetto alle caratteristiche
comuni, o di riconoscere i simboli matematici, la difficoltà a copiare correttamente i
numeri o a rispettare i segni delle operazioni e la difficoltà a contare accuratamente, a
imparare le tabelline o a seguire una successione di passi matematici.
La disgrafia è l’incapacità di acquisire le competenze nella scrittura prevedibili. Per
stabilire la presenza e il grado dell’alterazione può essere utilizzato l’inquadramento
funzionale. I sintomi comuni comprendono la scrittura a mano deficitaria e l’incapacità di
comporre frasi o paragrafi coerenti, come dimostrato dai molteplici errori grammaticali,
di spelling e di punteggiatura. Questa difficoltà di solito è evidente a partire dalla
seconda elementare.
CAP 17 I DISTURBI DELL’AREA COGNITIVA
Tali disturbi riguardano: la coscienza, l’attenzione, il pensiero, la memoria, l’affettività,
etc…
Par. 17.1 La coscienza e i suoi disturbi
La coscienza può essere considerata come un’attività psichica di base, una funzione
cognitiva semplice, una condizione generale del funzionamento mentale e non è
facilmente separabile dagli altri processi e funzioni mentali. Questo aspetto dell’attività
psichica consiste nella consapevolezza che il soggetto ha di sé e dell’ambiente
circostante e nella capacità quindi di integrare i contenuti mentali con i dati provenienti
dalla dimensione esterna. La coscienza risulta, così, come una funzione che si articola
[80]
su più livelli e che costituisce l’elemento sottostante di altri processi psichici. Tale
funzione può essere modificata da tutta una serie di fattori:
1. alcool e sostanze stupefacenti
2. traumi cranici
3. traumi psichici
4. tecniche di rilassamento o di meditazione
5. stato di sonno
I disturbi della coscienza si possono riscontrare in una serie di situazioni patologiche
di natura organica che interessano il S.N.C.(sistema nervoso centrale), di natura
traumatica, infettiva, ma possono comparire anche durante il decorso di sindromi
psichiatriche quali la schizofrenia o i disturbi dell’umore.
Tra le turbe della coscienza vi sono:

la CONFUSIONE MENTALE: è una grave alterazione che comporta una
distorsione o compromissione di altre funzioni psichiche. Le caratteristiche
fondamentali sono: corso delle idee frammentato; il paziente si presenta
disorientato nel tempo e nello spazio; il comportamento risulta alterato, irrequieto
o rallentato; l’affettività si presenta labile con oscillazioni dell’umore;

l’AMENZA è una forma di confusione mentale che si accompagna a stati tossici
o infettivi (iperpiressia); è anche detta delirio acuto;

il DELIRIUM è un contenuto delirante che si manifesta nel corso di un stato
confusionale. Si verifica, ad es., nel Delirium tremens (disturbo psicorganico
acuto dell’alcolismo cronico) e negli stati tossici o infettivi;

l’ALTERAZIONE O STATO IPNOIDE consista in un abbassamento del livello
generale dell’attività psichica ed è accompagnata da rallentamento psicomotorio,
apatia, inerzia, sonnolenza;

lo STATO CREPUSCOLARE corrisponde ad un restringimento del campo di
coscienza nel quale solo una parte degli stimoli ambientali riesce a raggiungere
la coscienza. Si può riscontrare negli stati di intossicazione acuta o in alcune
condizioni isteriche;

lo STATO ONIROIDE è uno stato di alterazione della coscienza nel quale
prevalgono produzioni deliranti fantastiche, il soggetto sembra perdere la lucidità
del contatto con la realtà esterna (può verificarsi nel delirio acuto, nel disturbo
schizofrenico).
Esistono anche alterazioni della coscienza dell’Io e sono:
[81]

la DEPERSONALIZZAZIONE la perdita del sentimento di familiarità con se
stessi;

la DEREALIZZAZIONE perdita del sentimento di familiarità verso l’ambiente.
Questi fenomeni sono legati a quote elevate di angoscia e si possono riscontrare
nell’epilessia temporale, schizofrenia, disturbi d’ansia o in seguito all’assunzione di
sostanze psicoattive.
Par. 17.2 L’attenzione e i suoi disturbi
L’attenzione è una funzione psichica collegata all’attività della coscienza, opera
un’attività di selezione di alcuni elementi verso i quali essa si orienta. Essa riveste
un’importanza rilevante nel favorire i processi dell’apprendimento, nel migliorare le
capacità di acquisizione e di conservazione delle informazioni e nel consentire ottimi
livelli di rendimento psicointellettivo.
Si possono distinguere due tipi di attenzione: spontanea e conativa o volontaria.
L’attenzione spontanea viene suscitata in modo automatico e involontario da uno
stimolo interno o esterno; quella conativa implica, invece, una selezione degli stimoli
verso i quali il soggetto si orienta.
I disturbi dell’attenzione sono classificabili in :

IPOPROSESSIA diminuzione della capacità attentiva o disattenzione, che può
verificarsi nelle sindromi demenziali, nelle insufficienze mentali o negli stati di
sonnolenza o affaticamento mentale;

IPERPROSESSIA accentuazione della capacità attentiva, si può riscontrare
negli stati ansiosi ed ossessivi o nei disturbi di tipo delirante;

DISTRAIBILITA’ è una incapacità a mantenere buoni livelli di attenzione su uno
stesso stimolo per un tempo adeguato, l’attenzione si sposta con facilità da un
contenuto all’altro. Tale forma si può riscontrare negli stati di demenza o di
insufficienza mentale;

APROSESSIA indica una completa incapacità a mantenere l’attenzione, anche
per brevi periodi. Si riscontra nelle gravi insufficienze mentali, negli stati di
confusione mentale e negli stadi avanzati delle demenze.
Par. 17.3 La memoria e i suoi disturbi
La memoria è certamente una delle funzioni più importanti della nostra mente ed è
quella che contribuisce più di ogni altra a dare un senso alla nostra vita. La memoria è
[82]
infatti il filo sottile che lega tutte le nostre azioni, le nostre sensazioni, i nostri sentimenti
e le nostre emozioni; ci permette di recuperare ciò che è già avvenuto, collegandolo a
ciò che stiamo vivendo, dando quindi un senso a tutto ciò che ci circonda, dalle cose,
agli ambienti, alle persone, creando la nostra stessa individualità, permettendo la nostra
vita psichica, la nostra specifica esperienza, insomma definendo noi stessi ed il “nostro”
mondo, la nostra storia personale; quindi la consapevolezza di noi stessi e di
conseguenza di tutto ciò che ci circonda ed interagisce con noi è in gran parte dovuta
alla memoria; in altri termini la memoria è il collegamento tra il nostro tempo e il nostro
spazio, in grado di conferire quel carattere di “tridimensionalità” a tutti i nostri vissuti, tale
da renderci degli esseri unici in grado di vivere l’attimo presente come consapevole
evoluzione del nostro passato e necessario presupposto per il nostro divenire futuro.
TIPI DI MEMORIA
Il più diffuso criterio di classificazione della memoria si basa sulla durata della ritenzione
del ricordo, e identifica tre tipi distinti di memoria: la memoria sensoriale, la memoria a
breve termine, e la memoria a lungo termine.
La memoria sensoriale conserva le informazioni grezze appena percepite
utilizzando i cinque sensi (udito, tatto, gusto, vista, olfatto) e permette di
conservare le informazioni per un tempo brevissimo .
La memoria a breve termine è costituita da tutti i sistemi che consentono la
conservazione solo temporanea di informazioni importanti solo per un breve
periodo di tempo.
La memoria a lungo termine è quella che la persona comune considera "la
memoria". Il ricordo del nome dei nostri figli, dei nostri genitori, di noi stessi, di
dove abbiamo vissuto da bambini, di dove ci trovavamo pochi minuti fa, dipende
dalla memoria a lungo termine. Per uno psicologo l'espressione: "memoria a
lungo termine" si riferisce ad informazioni immagazzinate in modo durevole. Per
durevole si intende un periodo superiore a pochi secondi.
Le modificazioni della memoria possono anche essere legate all’età, declinando
fisiologicamente con l’invecchiamento.
I disturbi veri e propri della memoria sono rappresentati da:

IPOMNESIA che è una riduzione delle capacità mestiche, può essere fisiologica
o legata a situazioni di patologia cerebrale e deficit psicointellettivi;
[83]

AMNESIA è la perdita della capacità di ricordare e può essere totale o parziale
(es. le amnesie lacunari, viene dimenticato un definito periodo di tempo),
organica (è determinata da traumi cranici o processi degenerativi del S.N.C.),
psicogena (è in rapporto a vissuti traumatici o a problematiche affettive di
natura conflittuale), di fissazione (determinata dall’impossibilità di registrare i
ricordi, si verifica nella sindrome di Korsakoff).

IPERMNESIA è l’incremento della capacità di ricordare, condizione che si può
riscontrare nei soggetti normali o in stati ipomaniacali.

ILLUSIONI DELLA MEMORIA rappresentano l’esito di un fenomeno normale, il
soggetto modifica nel corso del tempo le caratteristiche di un ricordo in rapporto
alle esigenze affettive.

DEJÀ-VU e DEJÀ-VECU (già visto e già vissuto) corrispondono alla sensazione
di avere già visto o sperimentato in precedenza un luogo, un oggetto, una
persona o una data situazione che si sta vivendo, pur sapendo di non averli mai
visti o vissuti prima; si ha, quindi, un sentimento di familiarità con esperienze del
tutto nuove. Si può riscontrare in condizioni di normalità, nell’ambito di una
patologia epilettica o nell’alcolismo.

JAMAIS-VU e JAMAIS-VECU (mai visto e mai vissuto) è il fenomeno inverso al
precedente, in questo caso un’esperienza familiare, cioè già vissuta, viene
percepita come nuova o estranea. Si può riscontrare nell’epilessia temporale, nel
disturbo da attacchi di panico e nei disturbi schizofrenici.

CONFABULAZIONI sono elaborazioni di contenuti psichici che corrispondono a
fantasie del soggetto, il quale tende a dissimulare il deficit e a colmare con tali
contenuti (hanno, dunque, una natura compensatoria).
Possono essere presenti nelle sindromi demenziali.
Par. 17.4 La percezione e i suoi disturbi
La percezione è la funzione attraverso cui l’Uomo ottiene informazioni dall’ambiente che
lo circonda, tramite gli organi di senso ad essa preposti. (vista, udito, olfatto, tatto e
gusto).
I momenti fondamentali attraverso i quali si svolge il processo percettivo sono:
1. la sensazione;
2. la percezione;
3. la rappresentazione.
La sensazione è la prima presa di contatto con un dato sensoriale provocato da una
certa stimolazione (suoni, sapori, colori).
[84]
La percezione è quel processo che ci consente di identificare, discriminare e
classificare mentalmente un dato oggetto.
La rappresentazione consiste in una riproduzione mentale delle precedenti esperienze
percettive.
I disturbi della percezione sono:

IPERESTESIA o accentuazione della percezione degli stimoli sensoriali, è un
fenomeno osservabile negli stati ansiosi o nell’isteria.

IPOESTESIA è la diminuzione della percezione e l’ANESTESIA è la mancanza
di percezione, possono riscontrarsi in quadri clinici come la depressione, la
schizofrenia o nelle sindromi demenziali.

ILLUSIONI sono percezioni distorte di un oggetto realmente esistente. Lo
stimolo percettivo è presente ma viene percepito erroneamente. Si possono
riscontrare nei soggetti normali o nei quadri di tipo confusionale o demenziale.

ALLUCINAZIONI sono delle percezioni sensoriali immaginarie, cioè senza che
nessun oggetto reale stimoli l'organo di senso, un oggetto che non esiste viene
creduto reale. I tipi di allucinazioni esistenti sono:
Gustativa: la persona percepisce uno sgradevole gusto inesistente;
Olfattiva: la persona percepisce dei cattivi odori inesistenti (es. pesce marcio
o puzzo di bruciato);
Somatica: comporta un'esperienza fisica di percezione localizzata all'interno
del corpo (es. sensazione di elettricità);
Tattile: comporta la sensazione di essere toccato o di avere qualcosa sopra o
sotto la pelle (es. animaletti che strisciano);
Uditiva: la persona percepisce suoni inesistenti, più comunemente voci;
Visiva: comporta la vista di immagini strutturate (Es. persone) o non
strutturate (es. lampi di luce) naturalmente non esistenti.

ALLUCINOSI sono percezioni allucinatorie di un oggetto non esistente ma che il
soggetto riesce a riconoscerne il carattere patologico, quindi ha capacità di
critica.

PSEUDOALLUCINAZIONE
sono
dispercezioni
dal
grave
significato
psicopatologico, il soggetto che le sperimenta le descrive dicendo che sente
voci, ad es., non attraverso le orecchie ma dentro il cervello o nello stomaco, o
vede non con gli occhi ma dietro la testa (sono presenti soprattutto nella
schizofrenia).
Par. 17.5 Il pensiero e i suoi disturbi
[85]
Il pensiero è un’attività psichica specializzata nella formazione di concetti e giudizi ed
è implicata nella produzione di cultura e soluzione di problemi. Il pensiero opera
attraverso le idee organizzate attraverso una logica interna.
I disturbi del pensiero sono:

ACCELERAZIONE O TACHIPSICHISMO corrisponde ad un corso del pensiero
rapido tipico nelle situazioni maniacali o nell’abuso di sostanze stupefacenti e
caffeina.

RALLENTAMENTO O BRADIPSICHISMO consiste nel decorso lento e faticoso del
pensiero, pertanto si può avere un blocco (nelle demenze, psicosi, depressione);

IDEA FOBICA è un contenuto ideativo che corrisponde ad eventi o situazioni temuti
dal soggetto pur essendo irrazionali. Il soggetto vive un’intensa paura e pur essendo
consapevole della sua natura irrazionale, non riesce a vincerla e tenta anzi di evitare
le circostanze che lo possono mettere a contatto con l’oggetto della sua fobia.

IDEA OSSESSIVA consiste nella persistenza, avvertita come disturbante, di un
contenuto ideativo nel campo della coscienza. L’idea ossessiva provoca una
spiacevole sensazione di disagio, è irrazionale e indipendente dalla volontà del
soggetto, non può essere controllata e si ripete continuamente.

IDEA DELIRANTE è una grave alterazione del contenuto del pensiero che può
definirsi come un convincimento patologico ed erroneo che non ha alcun riscontro
nella realtà; è un’idea falsa, assurda ma accettata come vera in assoluto e non
viene, pertanto, criticata. Il delirio è un insieme di idee deliranti, è un disturbo
psicopatologico frequente nelle sindromi psicotiche acute e croniche (per es. nella
schizofrenia) è indicativo di un perturbamento dello stato psichico e di una perdita di
delimitazione tra la realtà interna e la realtà esterna.
Par. 17.6 L’affettività e i suoi disturbi
L’affettività si esprime attraverso emozioni, desideri e passioni. Ansia, depressione e
ipertimia possono essere considerati come disturbi della sfera affettiva, anche se la loro
valenza psicopatologica è molto rilevante.
Tra gli altri disturbi abbiamo:

la DISFORIA è uno stato di irritabilità dell’umore (riflesso della tonalità affettiva di
base in un determinato momento) che si associa ad un aumento delle risposte
emotive non proporzionali agli stimoli.
[86]

la LABILITÀ AFFETTIVA è un’instabilità dell’umore, che muta rapidamente dalla
gioia alla tristezza senza un motivo significativo.

l’APATIA è uno stato di completo distacco emotivo con assenza di sentimenti
piacevoli o spiacevoli.

lo STUPORE EMOZIONALE è uno stato di indifferenza affettiva, determinato
dall’incapacità di adattamento a situazioni altamente stressanti da provocare un
carico emozionale insopportabile.

l’AMBIVALENZA AFFETTIVA è la coesistenza di sentimenti opposti nei confronti di
una stessa persona o situazione, assume un significato patologico se diventa
intensa e pervasiva.

il SENTIMENTO DI ANAFFETTIVITÀ è l’incapacità di provare sentimenti, si assiste
ad un impoverimento della vita affettiva del paziente.

l’IPOCONDRIA è uno stato affettivo legato al timore di ammalarsi. L’ipocondriaco
dubita sempre del suo stato di salute, amplifica sintomi e segni somatici, può
richiedere frequentemente interventi sanitari.

la DISSOCIAZIONE AFFETTIVA c’è discordanza tra lo stato affettivo e gli eventi
esterni.
CAP. 18 LO STRESS
Par. 18.1 Lo stress: caratteristiche generali, cenni storici
Lo stress è la risposta psicofisica ad una quantità di compiti emotivi, cognitivi o sociali
percepiti dalla persona come eccessivi.
Il termine stress fu impiegato per la prima volta nel 1936 da Hans Selye che lo definì
come “risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso”.
In base al modello di Selye, il processo stressogeno si compone di tre fasi distinte:
1 - fase di allarme: Durante la fase di allarme si mobilitano le energie difensive
(innalzamento della frequenza, della pressione cardiaca, della tensione muscolare,
diminuzione delle secrezione salivare, aumentata liberazione di cortisolo, ecc.).
2 - fase di resistenza: Nella fase di resistenza invece, l'organismo tenta di adattarsi
alla situazione e gli indici fisiologici tendono a normalizzarsi anche se lo sforzo per
raggiungere l'equilibrio è intenso.
3 - fase di esaurimento: Se la condizione stressante continua, oppure risulta troppo
intensa, si entra in una fase di esaurimento in cui l'organismo non riesce più a
difendersi e la naturale capacità di adattarsi viene a mancare . Si assisterà in questa
[87]
fase alla comparsa di malattie dall'adattamento rappresentate per esempio, dal diabete
o dell'ipertensione arteriosa (malattie psicosomatiche).
La durata dell’evento stressante porta a distinguere lo stress in due categorie:
lo stress acuto, si verifica una sola volta e in un lasso di tempo limitato, e lo stress
cronico, cioè quando lo stimolo è di lunga durata. I primi si presentano ad intervalli
regolari, hanno una durata limitata, e sono quindi più o meno prevedibili. I secondi sono
invece rappresentati da situazioni di lunga durata che investono l’esistenza di una
persona e che diventano stressanti nel momento in cui rappresentano un ostacolo
costante al perseguimento dei propri obiettivi. Oltre alla durata, è importante anche la
natura dello stressor.
Possiamo avere stressor benefici, detti eustress, (eu: in greco, buono, bello)che danno
tono e vitalità all’organismo e stressor nocivi detti distress, ( dis: cattivo, morboso),che
possono portare ad un abbassamento delle difese immunitarie.
Lo stress può essere provocato da:
- eventi della vita sia piacevoli che spiacevoli (ad esempio: matrimonio, nascita di un
figlio, morte di una persona cara, divorzio, pensionamento, problemi sessuali);
- cause fisiche: il freddo o il caldo intenso, abuso di fumo e di alcol, gravi limitazioni nei
movimenti;
- fattori ambientali: la mancanza di un’abitazione, ambienti rumorosi, inquinati sono
fattori determinanti di un certo stato di stress;
- malattie organiche: quando il nostro corpo è affetto da una malattia, l’intero organismo,
nel tentativo di difendersi, si pone in uno stato di tensione che, nella maggior parte dei
casi, per le scarse difese in grado di apportare, sfocia in una condizione di stress;
- cataclismi.
I sintomi dello stress possono essere:
Frequente sensazione di stanchezza generale, accelerazione del battito cardiaco,
difficoltà di concentrazione, attacchi di panico, crisi di pianto, depressione, attacchi di
ansia, disturbi del sonno, dolori muscolari, ulcera dello stomaco, diarrea, crampi allo
stomaco, colite, malfunzionamento della tiroide, facilità ad avere malattie, difficoltà ad
esprimersi ed a trovare un vocabolo conosciutissimo, sensazione di noia nei confronti di
ogni situazione, frequente bisogno di urinare, cambio della voce, iperattività, confusione
mentale, irritabilità, abbassamento delle difese immunitarie, diabete, ipertensione,
cefalea, ulcera.
Par. 18.2 Tecniche per ridurre lo stato di tensione provocato da situazioni
stressanti
[88]
Un livello elevato di stress può essere ridotto facendo ricorso a tecniche di
rilassamento e alla psicoterapia cognitivo comportamentale.
Le tecniche di rilassamento mirano a controllare e gestire le risposte fisiologiche legate
allo stress. Imparando a controllare queste reazioni, l’individuo può sfruttarle a suo
vantaggio per la "cura dello stress", raggiungendo uno stato di rilassamento piuttosto
che di tensione.
Le tecniche di rilassamento più efficaci sono: il Jacobson, questa tecnica si basa
sull'alternanza contrazione/rilascio di alcuni gruppi muscolari; è stata ideata negli anni
trenta dal medico e psicofisiologo statunitense Edmund Jacobson, il Training Autogeno,
di Johannes E. Schultz, ( esercizi che portano al rilassamento dell’intero organismo), la
meditazione, lo yoga,ipnosi, autoipnosi
La psicoterapia cognitivo comportamentale, una tra le migliori "cure per lo stress",
consente all’individuo di imparare i metodi di gestione dell’ansia e per modificare i
comportamenti disfunzionali.
CAP. 19 LA SINDROME DI BURN OUT
Par. 19.1 Caratteristiche generali
Il termine burn-out che in italiano può essere tradotto come “bruciato”, “scoppiato”,
“esaurito”, ha fatto la sua prima apparizione nel gergo del mondo dello sport nel 1930
per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, ad ottenere ulteriori risultati
e/o mantenere quelli acquisiti. Lo stesso termine è stato riproposto in ambito sociosanitario per la prima volta nel 1975 dalla psichiatra americana C. Maslach la quale, nel
corso di un convegno, utilizzò questo termine per definire una sindrome i cui sintomi
testimoniano l’evenienza di una patologia comportamentale a carico di tutte le
professioni ad elevata implicazione relazionale. Alcuni Autori identificano il burn-out con
lo stress lavorativo specifico delle helping professions , le professioni dell’aiuto che
comprendono figure come medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali , esperti di
orientamento al lavoro, fisioterapisti, operatori dell’assistenza sociale e sanitaria, guide
spirituali, missionari e operatori del volontariato.
A partire dai primi anni in cui il
fenomeno è stato studiato, esso è stato riscontrato anche in tutte quei mestieri legati
alla gestione quotidiana dei problemi delle persone in difficoltà, a partire dai poliziotti,
carabinieri, vigili del fuoco, fino ai consulenti fiscali, avvocati, nonché in quelle tipologie
di professioni educative (es. insegnanti) che generano un contatto, spesso con un
[89]
coinvolgimento emotivo profondo, con i disagi degli utenti con cui lavorano e di cui
guidano la crescita personale. La definizione che la Maslach fornisce del burn-out è di
“sindrome caratterizzata da esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione
delle capacità personali”. Per misurare il burn-out la Maslach creò una scala che
chiamò MBI un questionario di 22 items, ossia domande, atti a stabilire se nell'individuo
sono attive dinamiche psicofisiche che rientrano nel burn-out. A ogni domanda il
soggetto interessato deve rispondere inserendo un valore da 0 a 6 per indicare intensità
e frequenza con cui si verificano le sensazioni descritte nella domanda stessa.
CAUSE
Le cause del fenomeno più frequenti sono: il lavoro in strutture mal gestite, la scarsa o
inadeguata retribuzione, l’organizzazione del lavoro disfunzionale o patologica, lo
svolgimento di mansioni frustranti
all’insufficiente
autonomia
o inadeguate alle proprie aspettative oltre
decisionale
e
a
sovraccarichi
di
lavoro.
La sindrome si caratterizza per una condizione di nervosismo, irrequietezza, apatia,
indifferenza, cinismo, ostilità degli operatori sociosanitari, sia fra loro sia verso terzi, che
però si distingue dallo stress, eventuale concausa del burn-out così come si distingue
dalle varie forme di nevrosi, in quanto non disturbo della personalità ma del ruolo
lavorativo.
Queste manifestazioni psicologiche e comportamentali possono essere raggruppate,
come dalla precedente definizione della Maslach, in tre categorie di disturbi:
l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale.

L’esaurimento emotivo consiste nel sentimento di essere emotivamente
svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo nel
rapporto con gli altri.

La depersonalizzazione si manifesta come un atteggiamento di allontanamento
e di rifiuto (risposte comportamentali negative e sgarbate) nei confronti di coloro
che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura.

La ridotta realizzazione personale riguarda la percezione della propria
inadeguatezza al lavoro, la caduta dell’autostima e la sensazione di insuccesso
nel proprio lavoro.
Il soggetto colpito da burn-out manifesta sintomi aspecifici (irrequietezza, senso di
stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia), sintomi somatici con
insorgenza di vere e proprie patologie (ulcere, cefalee, aumento o diminuzione
ponderale, disturbi cardiovascolari, difficoltà sessuali ecc.), sintomi psicologici
[90]
(depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia,
risentimento, irritabilità, aggressività, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno,
indifferenza, negativismo, isolamento, sensazione di immobilismo, sospetto e paranoia,
rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, difficoltà nelle relazioni con gli utenti,
cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti e critico nei confronti
dei colleghi). Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di
alcool, di psicofarmaci o fumo. La sindrome del burn-out potrebbe essere paragonata
ad una sorta di virus dell’anima, perché sottile, invisibile, penetrante, continua,
ingravescente. Se non si interviene determina l’exitus volitivo ed energetico, non solo
lavorativo, della persona.
Le FASI del burn-out possono essere riassunte in questo modo:
La prima, è quella dell'entusiasmo idealistico che spinge il soggetto a scegliere un
lavoro di tipo assistenziale.
Nella seconda (stagnazione) il soggetto sottoposto a carichi di lavoro e di stress
eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà
lavorativa. L'entusiasmo, l'interesse ed il senso di gratificazione legati alla professione
iniziano a diminuire.
Nella terza fase (frustrazione) il soggetto affetto da burn-out avverte sentimenti di
inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato,
oberato di lavoro e poco apprezzato; spesso tende a mettere in atto comportamenti di
fuga dall'ambiente lavorativo, ed eventualmente atteggiamenti aggressivi verso gli altri o
verso se stesso.
Nel corso della quarta fase (apatia) l'interesse e la passione per il proprio lavoro si
spengono completamente e all'empatia subentra l'indifferenza, fino ad una vera e
propria "morte professionale".
Tra le strategie di gestione del burn-out, molto successo hanno riscosso le tecniche di
rilassamento, di gestione dello stress, di gestione del tempo, di rafforzamento di abilità
sociali .
Con affetto, a tutti i miei allievi del corso O.S.A.
[91]
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