allegato

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SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI
PER ANIMALI DA COMPAGNIA
in collaborazione con:
SOCIETÀ ITALIANA SCIENZE
COMPORTAMENTALI APPLICATE
(Società Specialistica affiliata a SCIVAC)
TERAPIA
DEI PROBLEMI
COMPORTAMENTALI
17-18 ottobre 1998
Castelfranco Veneto (TV)
ATTI DEL SEMINARIO
A cura di Maria Cristina Osella
RELATORE
Karen OVERALL
BA, MA, VMD, PhD, Dipl ACVB - University of Pennsylvania
School of Veterinary Medicine - Department of Clinical Studies
Philadelphia, USA
Laureata nel 1983 all’Università della Pennsylvania, dove ha anche completato un Residency in Medicina
Comportamentale nel 1989. Successivamente ha conseguito il PhD all’Università di Wisconsin-Madison in Ecologia
Comportamentale. È autrice di numerosi articoli sulla medicina comportamentale e del testo “Clinical Behavioral
Medicine for Small Animals” che è stato pubblicato nel 1997. È Diplomate dell’American College of Veterinary
Behaviour (ACVB) e riconosciuta dall’Animal Behaviour Society (ABS) come specialista di scienze comportamentali animali applicate. Attualmente è responsabile della Clinica di Medicina Comportamentale dell’Università della
Pennsylvania. I suoi principali interessi di ricerca sono concentrati sullo sviluppo di modelli animali per lo studio
delle patologie psichiche dell’uomo.
È stata premiata nel 1993 con il Randy Award per eccellenza e creatività nella ricerca.
COORDINATORE SCIENTIFICO DEL SEMINARIO
MARIA CRISTINA OSELLA
Med Vet, Libero Professionista - Dottore di ricerca in Medicina Interna
Collaboratrice del Dipartimento di Patologia Animale - Facoltà di Veterinaria
Università di Torino - Segretario-Tesoriere SISCA
INDICE
PARTE PRIMA
L’approccio orientato al problema: anamnesi comportamentale,
comportamento sociale e sistema di comunicazione normale del cane e del gatto,
comportamenti anormali .....................................................................................................................................pag. 7
PARTE SECONDA
Diagnosi di alcuni disturbi comportamentali del cane......................................................................................pag. 12
PARTE TERZA
Diagnosi di alcuni disturbi comportamentali del gatto .....................................................................................pag. 18
PARTE QUARTA
Trattamento comportamentale e farmacologico dei disturbi comportamentali ...............................................pag. 22
BIBLIOGRAFIA ...............................................................................................................................................pag. 29
Terapia dei problemi comportamentali
5
PREMESSA
L
a diagnosi e la terapia dei disturbi comportamentali del cane e del gatto sono un settore innovativo della
Medicina Veterinaria, ma decisamente attuale, che è ormai parte vitale dell’attività professionale, oltre a
costituire un affascinante filone di ricerca scientifica.
Lo studio del comportamento degli animali domestici e le sue applicazioni pratiche non possono essere ulteriormente ignorate dal veterinario impegnato nella clinica dei piccoli animali, che deve rispondere ai quesiti di una
clientela sempre più curiosa e preparata sull’argomento.
Il livello di conoscenza delle nozioni di base può essere in seguito approfondito da coloro che intendono operare
specificamente nel campo.
Il presente lavoro è una sintesi delle lezioni del Seminario SCIVAC-SISCA, organizzato allo scopo di fornire
le linee-guida del metodo della Dr.ssa Karen L. Overall, responsabile della Clinica di Medicina
Comportamentale dell’Università della Pennsylvania. Per completezza di informazione, si segnala il testo da
cui sono stati tratti gli appunti:
Overall K.L.
Clinical Behavioral Medicine for Small Animals,
Mosby, St. Louis, 1997
Dal punto di vista logistico, gli Atti sono suddivisi in quattro parti:
Parte I.
L’approccio orientato al problema
(Concetti di base di comportamento normale e anormale, raccolta dell’anamnesi)
Parte II. La diagnosi di alcuni tra i più comuni disturbi comportamentali del cane
(Aggressività, paure e fobie, ansia)
Parte III. La diagnosi di alcuni tra i più comuni disturbi comportamentali del gatto
(Disturbi eliminatori e aggressività)
Parte IV. Il trattamento dei disturbi comportamentali
(Principi di apprendimento e tecniche di modificazione del comportamento, farmacoterapia)
Con la speranza che la scelta effettuata risponda alle effettive esigenze del Medico Veterinario, ci scusiamo per
l’essenzialità del lavoro e per l’eventuale ripetizione dei termini, motivate rispettivamente da fattori contingenti e
dalla volontà di seguire, per quanto possibile, il testo originario nella traduzione.
Maria Cristina Osella
Terapia dei problemi comportamentali
7
PARTE PRIMA:
L’APPROCCIO ORIENTATO AL PROBLEMA:
ANAMNESI COMPORTAMENTALE,
COMPORTAMENTO SOCIALE E SISTEMA
DI COMUNICAZIONE NORMALE DEL CANE
E DEL GATTO, COMPORTAMENTI ANORMALI
Ontogenesi dei sistemi sociali dei Canidi e dei
Felidi - Rassegna dei comportamenti normali
A. SISTEMA SOCIALE DEI CANIDI
1. I maschi e le femmine “alpha” (attenzione all’uso acritico di questa terminologia) sono generalmente i più
anziani o i più grossi
2. Sistema a “branco” (attenzione all’uso acritico di questa
terminologia) famigliare
3. Gli individui “alpha” sono i principali (o gli unici) riproduttori
4. La periodicità riproduttiva stagionale può essere diversa
da quella dei conspecifici domestici
a. 1-2 volte all’anno
b. non inizia prima di 1-2 anni di età
5. Sistema basato sulla deferenza- può essere controllato
dalle femmine più anziane
6. Gruppi famigliari con molti individui nei Canidi più
grossi - lupi
7. Piccoli branchi monogamici nei Canidi più piccoli volpi
8. Cooperazione nelle attività riproduttive
9. Cooperazione nell’allevamento della prole
10. Analoghe strategie evolutive caratterizzano i sistemi
sociali dei Canidi e dell’Uomo: esigenze di protezione e
di collaborazione nella caccia e nel reperimento del cibo
11. Abitudini alimentari schiettamente onnivore
12. Rigurgito del cibo per i piccoli - facilitazione dei legami
sociali
13. Gestazione di circa 63 giorni (49-54 giorni)
a. figliate da 2 (Fennec) a 13 (lupi, coyote, cani procioni) cuccioli
b. la frequenza e la consistenza delle figliate sono
influenzabili dalla tendenza a regolare la densità
delle popolazioni
14. Importanza del comportamento segnaletico: muso, orecchie, coda, collare
15. Dimorfismo sessuale variabile - meno pronunciato negli
individui monogami
a. taglia
b. colore
c. caratteri secondari (coda, collare)
16. Importanza dei segnali vocali
17. Defecazione ed urinazione come segnali olfattivo/territoriali
18. Sviluppo sociale
a. occhi chiusi alla nascita
b. apertura degli occhi a 10-14 giorni circa
c. concetto di valutazione dei rischi e riduzione del
costo degli errori
1. periodo neonatale: 0-14 giorni
2. periodo di transizione: 14-20 giorni
3. periodo di “socializzazione” - meglio definito come di sviluppo o sensibile: inizia a
circa 3 settimane
a. da 3 a 8 settimane è rivolto ad altri
cani
b. dalla 5 a /7 a settimana alla 12 a è
rivolto all’uomo
c. dalla 5 a alla 12 a/16 a settimana è
rivolto alle nuove circostanze
ambientali
4. periodo giovanile: dai 6-9 mesi d’età
5. periodo maggiormente a rischio per l’insorgenza di reazioni di paura: 10-12 settimane d’età (fin dall’8a settimana; picco
all’11a)
6. preferenza del substrato per le deiezioni:
8.5 settimane
B. LA COMUNICAZIONE DEI CANIDI
SEGNALETICA CANINA
Tipo di segnale
Circostanze/Informazione
abbaio
- allertamento/intimidazione
- ricerca di attenzione
ringhio
- intimidazione
- segnale che facilita l’aumento della distanza
interindividuale
8
Karen Overall
pianto
guaito
lamento
- funzione et-epimeletica (richiesta
di interventi di cura, di rassicurazione)
ululato
- elicita il contatto sociale
- situazioni ansiogene (il contatto sociale rassicura)
mugugno
- piacere, appagamento
coda ed orecchie erette,
zampe anteriori in avanti
di fronte al partner
- allertamento, disposizione ad interagire
sguardo diretto
- sfida
- fiducia
- assenza di minaccia
- segnale che facilita l’aumento della distanza
interindividuale
sguardo che viene distolto - paura
- codardia
- deferenza
- assenza di sfida (significato diverso dalla
deferenza nei cani fiduciosi e di alta collocazione gerarchica)
- segnale che facilita la diminuzione della
distanza interindividuale
presentazione del ventre
- deferenza
- rilassamento
coda ripiegata all’interno
durante la presentazione
del ventre
- paura, sottomissione
idem con urinazione
- profonda paura, sottomissione
ghigno (sollevamento del
labbro con esposizione
dei denti)
- deferenza
- segnale che facilita la diminuzione della
distanza interindividuale
piloerezione
- eccitazione associata ad ansia, paura,
aggressione
- segnale che facilita l’aumento della distanza
interindividuale
orecchie diritte
- vigile
- sicuro di sé
orecchie all’indietro
- paura
orecchie ripiegate
verticalmente
- deferenza
- sottomissione
- basso rango
- ansia
brontolio/ringhio con
solo gli incisivi e i canini
in mostra
- sicuro di sé
- aggressivo in modo offensivo
- segnale che facilita l’aumento della distanza
interindividuale
brontolio/ringhio con
tutti i denti ed il retro
delle fauci evidenti
- aggressivo in modo difensivo
- pauroso
- segnale che facilita l’aumento della distanza
interindividuale
corpo abbassato
- difensivo
- segnale che facilita la riduzione della
distanza interindividuale
- pauroso
- deferente
- rilassato
leccarsi le labbra,
colpetti di lingua
- appagamento
- et-epimeletico
- segnale che facilita la riduzione della
distanza interindividuale
- ansioso (e sollecitante interventi di rassicurazione; derivato dall’et-epimeletico)
sollevamento delle
zampe anteriori
- segnale che facilita la riduzione della
distanza interindividuale
- sollecitazione dell’attenzione
- deferenza (non equilibrato)
zampe in avanti, parte
- inchino di saluto, invito al gioco
anteriore del corpo
abbassata, posteriore
sollevata, scodinzolamento
posizione eretta
- sfida
- sicurezza
piloerezione limitata
alle regioni del
collo o della coda
- cane sicuro di sé
monta o pressione
sulla schiena o sulle
spalle di un altro cane
- sfida
atteggiamento rigido,
rigidità della
muscolatura del tronco
- sicurezza ed intenzione ad interagire
(può non essere aggressivo)
leccamento agli angoli
della bocca di un altro
cane (o di una persona)
- et-epimeletico
- deferenza
- sollecitazione desiderosa
coda al di sopra della
linea orizzontale
- segnale che facilita l’aumento della
distanza interindividuale
- cane sicuro di sé
- rango elevato
sbuffi con le labbra,
le guance
- anticipazione (positiva o negativa)
- ansia (se in sequenza rapida)
far schioccare o scattare
mandibola e mascella
(colpi di becco)
- capitolazione, intenzione a compiacere
come ultima risorsa
coda al di sotto della
linea orizzontale
- cane meno sicuro di sé
- rango inferiore
- deferenza
- paura
scodinzolamento
- voglia di interagire
movimento della punta
della coda a corpo
rigido
- cane sicuro di sé
- comportamento assertivo
- interattivo in modo offensivo
collo diritto o incurvato
- cane sicuro di sé
- provocatorio
C. IL RUOLO DELLA GENETICA E DELLE RAZZE
Tutti i comportamenti hanno componenti ambientali e
genetiche. Le variazioni nella componente genetica sono
sufficienti a produrre una vasta gamma di fenotipi
ambientali individuali in assenza di qualsiasi razza specifica. Quindi, non tutti i gatti domestici a pelo lungo o i
cani meticci hanno identico aspetto né manifestano identici comportamenti in risposta a situazioni simili. Ciò è
Terapia dei problemi comportamentali
valido confrontando tra loro sia diverse cucciolate che i
piccoli di una stessa cucciolata. La misura in cui la plasticità comportamentale sia in funzione della genetica è tuttora un argomento al centro di un acceso dibattito, mentre alcuni recenti studi nei rospi del deserto (Newman,
1989) indicano che la selezione naturale, in ambienti fortemente variabili, può operare mantenendo la plasticità
comportamentale piuttosto che selezionare uno o pochi
tratti comportamentali. Prendendo in esame il ruolo
delle razze, una funzione è proprio quella di canalizzare
parte delle variazioni genetiche complessive, ma la selezione, naturale o artificiale, non può operare se non è
presente una variabilità genetica sottostante. Nel processo di selezione di determinati caratteri fisici e comportamentali all’interno di una razza viene anche selezionata
una certa variabilità del carattere stesso. Inoltre, a differenza di quanto accade per i tratti morfologici, come il
colore del mantello, è più difficile osservare come la selezione di un determinato fenotipo comportamentale, ad
esempio la tendenza ad assumere atteggiamenti protettivi, determini in realtà la comparsa di un continuum di
comportamenti protettivi, alcuni dei quali non sono
quelli che il selezionatore auspicava; si rivelano infatti
inappropriati, o perché incompleti e non abbastanza consistenti o al contrario troppo marcati e manifestati al di
fuori del contesto appropriato.
Perciò, se una razza è stata selezionata per certi comportamenti specifici, ci si deve attendere una certa variabilità relativa al comportamento e che parte di questa
variabilità possa determinare un comportamento inappropriato.
Hart e Hart (1984) e Hart e Miller (1985) hanno provato a suddividere le razze canine secondo determinati gruppi di attributi comportamentali. Anche se la loro classificazione è basata sulle opinioni piuttosto che su criteri oggettivi e le loro categorie comprendono sia comportamenti
che diagnosi comportamentali, è evidente la correlazione
tra alcuni moduli generali di comportamento e le razze.
Studi più recenti hanno cercato di focalizzare la ricerca su
determinati comportamenti; ciò è importante perché c’è
scarsa documentazione sulla frequenza, durata, intensità e
modulo dei comportamenti che sono di fatto coinvolti nei
disturbi comportamentali.
Per concludere, occorre molta attenzione in qualsiasi
generalizzazione sul comportamento basato sulle razze. È
preferibile vedere la selezione per i comportamenti specifici come un’analisi della valutazione del rischio: le razze
che sono state selezionate per uno o alcuni comportamenti
in particolare possono essere più a rischio per sviluppare
un comportamento inappropriato, sulla base della variabilità genetica. Ciò non significa, ad esempio, che i cani selezionati per i comportamenti protettivi sono più aggressivi
degli altri, ma piuttosto che quella razza può essere maggiormente a rischio per produrre un numero decisamente
elevato di cani che manifestano un’aggressività protettiva
inappropriata. In ogni caso, qualsiasi cane, indipendentemente dalla razza, può manifestare lo stesso comportamento inadeguato.
Un ulteriore corollario è che i cani che sono stati selezionati per tenacia e robustezza delle fauci per svolgere un
compito specifico (Bull Terrier, Rottweiler, Rhodesian
Ridgeback), quando rispondono inadeguatamente o al di
9
fuori del contesto richiesto, mantengono inalterate le proprie doti. Queste caratteristiche, associate ad aspetti fisici
appositamente selezionati (grosse fauci, muscolatura
potente) sono responsabili della gravità delle lesioni già al
primo attacco, piuttosto che un aumento di aggressività
legato alla razza.
D. IL RUOLO DEI TEST PER LA DETERMINAZIONE DEL TEMPERAMENTO
I test per la valutazione del temperamento o attitudinali sono spesso utilizzati dagli allevatori per valutare il
potenziale grado di obbedienza e servire da indicazione
per il temperamento futuro del cucciolo in modo da
inserirlo nel nucleo famigliare più adatto (Campbell,
1975). Il test è stato adattato e perfezionato per un suo
impiego generico e comprende due sezioni: la prima
valuta 5 tratti comportamentali del cucciolo (attrazione
sociale, attitudine a seguire, risposta alla costrizione,
dominanza sociale e dominanza mediante sollevamento),
mentre la seconda prende in considerazione le risposte
associate all’esecuzione con esito positivo delle prove di
obbedienza (riporto, sensibilità al tatto, sensibilità ai
suoni, istinto della caccia, stabilità e livello energetico)
(Bartlett, 1979, 1987). L’obiettivo è stabilire l’idoneità o
meno del soggetto, definendo il temperamento come la
capacità del cane a svolgere uno specifico compito o funzione (Tameses-Fisher e Volhard, 1985). Gli allevatori
utilizzano questo metodo per abbinare correttamente
cuccioli e proprietari ed in misura minore per prevedere
il temperamento del cane (Bartlett, 1987). Questi test
sono di tipo correlazionale; ciò non consente l’analisi dei
fattori che spingono il cucciolo a comportarsi in modo
appropriato o meno. Secondariamente, poiché i test sono
eseguiti quando il cucciolo ha 7 settimane di età, il fattore
ambiente ha sufficiente spazio per agire nella definizione
del temperamento del cane.
Chi usa il test in chiave critica lo sa e si serve delle risposte alle prove di addestrabilità come segnali per un intervento precoce. L’età di 7 settimane è scelta come momento
migliore per il test proprio a causa della relativa assenza di
influssi ambientali sul precedente sviluppo comportamentale. Terzo, il test valuta il cane in un momento della sua
vita e non esistono dati sulla prevedibilità di comportamenti specifici associati ai problemi comportamentali.
L’aggressività da dominanza, in particolare, di solito si sviluppa alla maturità sociale (18-24 mesi di età). I cani
dominanti e aggressivi generalmente non hanno mai presentato prima segni di aggressività o dominanza, sebbene
possano aver mostrato alcuni comportamenti di avvertimento (guardare fisso il proprietario, spingere, appoggiarsi contro, opporre resistenza quando qualcuno tocca loro
le zampe o la testa con le mani, opporsi/ringhiare se
disturbati nel sonno, etc.) che preannunciano la manifestazione della sindrome comportamentale completa. La
diversità dell’impatto della maturità sociale (18-24 mesi) e
sessuale (6-12 mesi) sul comportamento non è noto al proprietario, che ritiene che il cane sia diventato improvvisamente aggressivo a 2 anni d’età. Una valida anamnesi comportamentale rivela che il cane può non aver mai morsicato, ma certamente ha manifestato molti altri comporta-
10
Karen Overall
menti compatibili con gli stadi iniziali dell’aggressività da
dominanza; questi casi non vengono rilevati dai test di
valutazione del temperamento. È più prudente considerare questi test esattamente come fanno gli addestratori più
accorti, ovvero come indicatori di comportamenti da correggere. Se durante queste valutazioni il cucciolo mostra
un comportamento inappropriato o aggressivo, questo è
un avvertimento, ma non una condanna definitiva, così
come il semplice fatto che il cane non lo manifesti, non
fornisce sufficienti garanzie per il futuro. Infine, il fatto di
ottenere risultati positivi alle mostre o alle gare di obbedienza non è direttamente associato ad un comportamento
perfetto od anche solo conciliabile con l’ambiente domestico e cani con problemi comportamentali vari, dall’aggressività a quelli eliminatori, possono essere ogni giorno
campioni nei ring. Per costoro la soluzione non è un ulteriore addestramento all’obbedienza, ma l’intervento di
uno specialista che imposti un adeguato piano terapeutico.
E. IL SISTEMA SOCIALE DEI FELIDI
1. Gruppi famigliari basati sulle femmine (matriarcale)
nei grandi Felidi
2. Animali solitari o coppie eterosessuali nei piccoli Felidi
3. Maschi scapoli solitari o gruppi di maschi
4. Un maschio principale nel gruppo riproduttivo
a. copulazioni frequenti in periodi brevi
b. monta di breve durata
c. potenziali infanticidi per il controllo demografico
5. Riproduzione e cure della prole in comune
a. femmine imparentate tra loro
b. ovulazione indotta/poliestrale
6. Gestazione di 120 giorni nel giaguaro
7. Femmine con ruolo primario nella protezione e nella
caccia
8. Felidi a dieta carnivora più rigorosa (ma si consideri il
Margay, Leopardus wiedi)
9. Comportamento di marcatura: urinazione e defecazione
a. spazi aperti: spruzzi di urina
10. Cambiamento di struttura sociale dai solitari puma
contro i leoni
11. Sviluppo sociale - concetto di valutazione dei rischi e
riduzione del costo degli errori
a. non vedenti alla nascita
b. apertura degli occhi a 10-14 giorni
c. a 3 settimane d’età le madri iniziano ad insegnare ai piccoli il comportamento predatorio
d. a 5 settimane d’età si manifestano comportamenti predatori indipendenti dei gattini
e. lo svezzamento precoce anticipa i periodi suddetti
f. a 4-12/14 settimane di età: gioco sociale
g. a 6-8 settimane: risposta a minacce visive, olfattive
h. gioco con oggetti: a 7-8 settimane d’età (dipende dalla coordinazione occhio-zampa)
i. lotta sociale: 14 settimane
j. il “temperamento” è mediato da:
1. padre (determinante della socievolezza)
2. colore del mantello? (disposizione all’aggressività)
k.
l.
m.
n.
3. nutrizione
a. la riduzione del 50% della razione di
cibo somministrata alla madre determina
minori cure materne
b. sviluppo ridotto del cervello nei gattini
4. timidezza geneticamente determinata/nidiate non socievoli
brevi periodi di esposizione sociale molto precoce (più precocemente che nel cane, se possibile)
sviluppo innato dei comportamenti eliminatori
cannibalismo
gioco (pesante) come comportamento predatorio piuttosto che come integratore sociale
F. LA COMUNICAZIONE NEI FELIDI
Posizioni della coda nel gatto (Adattato da Bradshaw, 1992)
Posizione
Interpretazione del segnale
Verticale
- Gioco
- Saluto, spesso con movimento
- Approccio sessuale delle femmine
- Frustrazione (spesso sferzata)
Sollevata a metà
- Approccio sessuale delle femmine
Orizzontale
- Approccio amichevole
- Approccio sessuale delle femmine
Concava
- Comportamento difensivo
Abbassata
- Aggressività offensiva (se rigida e mossa
velocemente)
- Aggressività difensiva (se più rilassata)
Tra le gambe
- Sottomissione
- Paura
Interpretazione delle vocalizzazioni feline (da Moelk, 1944 e McKinley,
1982)*
Vocalizzazione
Descrizione / Interpretazione
Mormorìo (murmur)
Vocalizzazione ritmica; sospiri; sollecitazioni
interattive, non minacciose; forse prodotto
dalla contrazione disincrona dei muscoli
laringei e diaframmatici
Brontolìo (growl)
Dal tono grave, aspro; agonistico; prolungato
Grido (squeak)
Dal tono acuto, stridulo; anticipazione dell’alimentazione, nelle femmine dopo la
copula
Strido (shriek)
Forte, tono acuto; dolore, paura, aggressione
Soffio (hiss)
Agonistico, a bocca aperta, denti in vista; in
difesa offensiva (evita l’aggressione aperta)
Sbruffo (spit)
Suono emesso prima o dopo il soffio
Mugolìo (chatter)
Anticipatorio, frustrazione
Fare le fusa (purr)
Appagamento, allattamento, lieve ansia conflittuale
Mugolìo di richiamo (chirr) Richiamo della madre ai gattini
Miagolìo (mew)
Dal tono acuto, media ampiezza; interazione
madre-gattini per la localizzazione, incoraggiamento
Gemito (moan)
Bassa frequenza/lunga durata; epimeletico;
rigurgito, sollecitazione interattiva
Miàgolo (meow)
Saluto, epimeletico, voglia di interagire
* Si riporta in parentesi il termine inglese per una migliore distinzione
dei vari tipi di vocalizzazione.
Terapia dei problemi comportamentali
G. OLFATTO E SEGNALETICA FEROMONALE
NEL GATTO
1. Organo vomero-nasale, Flehmen
2. Ghiandole del mento
3. Ruolo del movimento di impasto delle zampe
4. Marcatura con urina
5. Vibrazione e sfregamento della coda
6. L’evoluzione delle dinamiche sociali
DISTURBI COMPORTAMENTALI DEL CANE E
DEL GATTO - L’approccio orientato al problema ed il
suo ruolo nella raccolta dell’anamnesi
I. Livelli di “rapporto fra causa ed effetto” da considerare
in qualsiasi diagnosi comportamentale
1. FENOTIPO
a. ruolo delle interazioni genotipo-ambiente
b. ruolo delle diagnosi basate sulla descrizione degli
eventi
2. NEUROANATOMIA
a. ruolo della sede dell’attività
b. ruolo delle diagnosi neuroanatomiche
3. NEUROFISIOLOGIA/NEUROCHIMICA
a. ruolo della chimica/interazione con il substrato
b. ruolo delle diagnosi fisiopatologiche
4. MOLECOLARE
a. ruolo della regolazione genetica e dell’interazione
con il substrato
b. ruolo dei progressi diagnostici su base eziologica
5. GENOTIPO
a. ruolo dell’ereditarietà
II. Diagnosi
Le diagnosi non sono le malattie; una correlazione non
equivale ad un rapporto di causa ed effetto.
I casi in cui c’è potenziale eterogeneità eziologica e fisiopatologica (disturbi multifattoriali) sono complessi, creando difficoltà nella diagnosi e nell’impostazione del piano
terapeutico.
Ad esempio, non tutti i casi di “rincorrersi la coda” nel
cane sono riferibili allo stesso meccanismo neurofisiologico di base. Le diagnosi di tipo funzionale, basate sulla
descrizione degli eventi, sono suscettibili di ulteriori
approfondimenti ai livelli esposti precedentemente nella
tabella, la cui validità può essere verificata soprattutto con
l’impiego di agenti farmacologici specifici e, meno facilmente, applicando le tecniche di modificazione del comportamento. Il procedimento logico per emettere diagnosi
molto specifiche basate sulla descrizione del comportamento dell’animale è di: (a) elencare ed identificare singolarmente le manifestazioni del comportamento su cui si
deve intervenire e (b) identificare le aree in cui lo specifico
intervento comportamentale può essere utile.
III. Raccolta dell’anamnesi
(A) COMMENTI GENERALI SULL’ANAMNESI
Il segnalamento è importante perché alcuni disturbi del
comportamento sono influenzati dall’età, dal sesso e dallo
stato riproduttivo. Inoltre, poiché sopravvivono molti pre-
11
giudizi sul legame tra la razza ed il comportamento che
possono ripercuotersi sul giudizio del cliente e sulla sua
tendenza a giustificare sempre e comunque il comportamento dell’animale, è essenziale sottolineare che la razza
influisce sul disturbo comportamentale in misura minore
di quanto comunemente stimato.
Si deve sempre tener presente l’età del soggetto, poiché
problemi clinici concomitanti possono rendere più difficile il trattamento del caso comportamentale. Inoltre, non è
corretto né professionale somministrare farmaci psicotropi
agli animali, soprattutto a pazienti anziani e/o debilitati,
senza sottoporli ad un attento controllo clinico e a tutti gli
accertamenti diagnostici ritenuti necessari.
Alcune situazioni sono più ricorrenti in un sesso che
nell’altro; ciò non significa che tutti gli individui appartenenti a quel sesso svilupperanno il problema, o che per
questo il comportamento sia normale o accettabile, ma
semplicemente che sono soggetti maggiormente a rischio
per l’insorgenza di quello specifico problema. Lo studio
della relazione esistente tra l’età a cui si effettua l’ovariectomia e lo sviluppo dei disturbi del comportamento correlati allo stato riproduttivo deve essere ulteriormente
approfondito.
(B) DATI DA RACCOGLIERE NELL’ANAMNESI
1. Motivazione per la richiesta di intervento
A. Il cliente realizza la presenza di uno o più problemi
B. Appuntamento fissato per altre ragioni
2. Il senso di colpa e responsabilità per il problema
3. Responsabilità principale nel prendersi cura dell’animale
4. Attività dell’animale
A. Programma giornaliero
B. Variazioni durante il fine settimana e le vacanze
C. Ambiente famigliare ed aree di esercizio
5. Considerazioni cliniche
A. Anamnesi clinica
B. Disturbi clinici presenti allo stato attuale
C. Farmaci somministrati
6. Descrizione delle manifestazioni del problema comportamentale
A. Mimica facciale
B. Posture
C. Vocalizzazioni
7. Elenco degli eventi-problema
A. Gli ultimi 3-4 episodi
B. Gli episodi precedenti
8. Moduli dei comportamenti-problema
A. Frequenza degli episodi
B. Durata media di un episodio
C. In che proporzione si verifica il problema se l’animale è esposto allo stimolo
9. Anamnesi
10. Trattamenti precedenti
11. Età di insorgenza e durata della condizione
12. Variazioni nei moduli del comportamento-problema
13. Composizione del nucleo famigliare
14. Considerazioni per l’inserimento in un nuovo nucleo
famigliare o per l’eutanasia
15. Moduli dell’interazione proprietario-animale
16. Elementi tralasciati
12
Karen Overall
PARTE SECONDA:
DIAGNOSI DI ALCUNI DISTURBI
COMPORTAMENTALI DEL CANE
AGGRESSIVITÀ DEL CANE
A. DEFINIZIONE:
- L’aggressività dipende dal contesto, può essere appropriata o inappropriata, consiste in atteggiamenti di minaccia, sfida, o esibizione che si risolve infine con la lotta o la
deferenza; in certi contesti l’aggressività può essere una
risposta appropriata.
- NOTA: i cani aggressivi NON dovrebbero mai essere
descritti come “viziosi”, trattandosi di una connotazione
tipicamente umana.
B. INDICATORI DELL’INTENSITÀ
DELL’AGGRESSIVITÀ:
1. statura, in ordine di reattività crescente:
giacere a terra, seduto, ritto sulle zampe
2. vocalizzazione/atteggiamenti della bocca nell’ordine di
aumentata aggressività:
silenzio, abbaio, ringhio, sollevamento del labbro,
brontolìo, morso
C. CATEGORIE DI AGGRESSIVITÀ:
1. Aggressività materna
2. Aggressività da dolore
3. Aggressività ridiretta
4. Aggressività nel gioco
5. Aggressività possessiva
6. Aggressività sul cibo
7. Aggressività predatoria
8. Aggressività intraspecifica (in particolare tra maschi)
9. Aggressività da paura
10. Aggressività territoriale e protettiva
11. Aggressività da dominanza
12. Aggressività idiopatica
D. DIAGNOSI DI AGGRESSIVITÀ
AGGRESSIVITÀ MATERNA
L’aggressività materna si verifica durante la gravidanza,
la pseudociesi o al momento del parto. La madre può in
modo corretto o meno percepire una minaccia e può
manifestare l’intero repertorio di manifestazioni aggressive
come ringhio, brontolio, tentativi di mordere (pizzicate) o
morsi; durante le false gravidanze la cagna difende attivamente giocattoli e pupazzi. La madre generalmente avverte con un ringhio e tendenzialmente non morde a patto
che non le si sottragga il cucciolo o il giocattolo. Se disturbata eccessivamente, la cagna può addirittura distruggere
e mangiare i propri giocattoli o arrivare a fenomeni di cannibalismo nei confronti dei cuccioli. Quando i cuccioli
sono svezzati o quando termina la pseudogravidanza, che
dura circa due mesi, il comportamento aggressivo generalmente ha termine. Poiché i soggetti che presentano una
pseudogravidanza sono a rischio per il ripetersi dell’evento, dovrebbero essere sottoposti ad ovariectomia.
AGGRESSIVITÀ DA DOLORE
L’aggressione può essere una risposta appropriata o
meno al dolore. Un cane ferito può ringhiare, tentare di
mordere (pizzicate); se in preda ad un dolore lancinante,
come per un osso fratturato, il cane percepisce il morso
come la sua unica risorsa. Una spinta energica sulle spalle
o la groppa di un cane artritico o displasico, può causare
dolore e, di conseguenza, aggressività da dolore. I bambini
nella fascia d’età 18-36 mesi sono frequentemente chiamati in causa in questo tipo di aggressioni per la loro tendenza a giocare con i cani in modo pesante, associata alla loro
mancanza di coordinazione nei movimenti e alla loro incoscienza. Inoltre, dato che sia i bambini che i cani possono
manifestare comportamenti imprevedibili, è opportuno
insegnare ad entrambi come interagire in modo appropriato. L’aggressività da dolore è ingiustificata quando è una
risposta eccessiva in rapporto al dolore causato: il morso
dovrebbe essere l’ultima risorsa nella comunicazione canina e non il primo.
AGGRESSIVITÀ RIDIRETTA
L’aggressività ridiretta viene spesso osservata quando un
cane è sgridato o è punito. I cani possono ridirigere l’aggressività se interrotti nel corso di un’altra azione aggressiva (ad esempio tra cani). Essi in genere si rivolgono verso
l’individuo più vicino, anche se estraneo all’azione iniziale.
Se il cane presenta ripetutamente comportamenti aggressivi verso una persona in particolare, soprattutto a seguito
di punizioni, si devono considerare le diagnosi differenziali di aggressività da paura e da dominanza.
AGGRESSIVITÀ NEL GIOCO
L’aggressività legata al gioco comporta abbaio, ringhio o
tentativi di mordere (pizzicate) durante le fasi di gioco,
Terapia dei problemi comportamentali
arrivando a vere e proprie fasi di aggressività. Innanzitutto,
si dovrebbe insegnare ai clienti a riconoscere i segni dei
cambiamenti comportamentali, anche se talora sono veramente rapidi ed improvvisi, ad esempio distinguendo il
ringhio “giocoso” (tono acuto, breve e ripetuto frequentemente) da quello di vera aggressività (tono grave e prolungato) o altri avvertimenti, come piloerezione nel collo,
orecchie appiattite e pupille dilatate. Alcuni cani che
manifestano aggressività da gioco semplicemente non
hanno mai imparato a giocare in modo appropriato (cani
abbandonati, mancanza di interazione con altri cani o
persone, soprattutto nei rifugi per animali o nei canili). È
molto importante consigliare ai proprietari di giocare con
il cane in modo da aver sempre la situazione sotto controllo, fin da quando è un cucciolo; potrebbe infatti innescarsi
un meccanismo per cui il cane tende a diventare sempre
più aggressivo in quanto, anche inavvertitamente, il proprietario può rinforzare il suo comportamento inadeguato.
AGGRESSIVITÀ POSSESSIVA
I cani che manifestano questa forma di aggressività non
rilasciano, su richiesta dei proprietari, giocattoli o oggetti
in loro possesso; se si insiste, il cane risponde con ringhio,
brontolio, tentativi di mordere (pizzicate) o morsi.
Frequentemente, questi cani presentano l’oggetto per
gioco ai piedi del proprietario, ma reagiscono bruscamente se questi si muove per recuperarlo. Si può controcondizionare questi cani a rilasciare gli oggetti, ma fino alla conclusione dello svolgimento del programma di modificazione del comportamento è più sicuro evitare lo scontro
diretto. Un atteggiamento di sfida esagerata può segnalare
il rischio dello sviluppo di aggressività da dominanza.
AGGRESSIVITÀ SUL CIBO
Nell’aggressività sul cibo il cane reagisce in modo inappropriato quando ci si avvicina mentre mangia, quando ci
si avvicina o si retrocede dalla ciotola del cane, quando si
recupera cibo caduto sul pavimento, e/o quando si sottrae al cane un osso o un biscotto. In genere, più elevata è
la qualità del cibo (bocconcini, ossi veri e finti) più è marcata l’aggressione. Poiché l’aggressività sul cibo può essere un eccellente indicatore del pericolo potenziale dell’aggressività da dominanza, il veterinario può approfittarne
per discutere con il cliente i segni precoci di questo
disturbo comportamentale, il pericolo e la responsabilità
ad esso connessi e l’importanza della prevenzione.
L’aggressività legata al cibo risente direttamente dell’evoluzione della specie e quindi non deve sorprendere che
sia estremamente difficile trattarla con successo. È pertanto preferibile evitare accuratamente di elicitarla: a questi cani non si dovrebbero mai dare ossi veri o finti, preferendo cibo o biscotti o bocconcini, somministrati solamente in un ambiente in cui non vengono disturbati (ad
esempio al di là di una porta chiusa). Infine, si dovrebbe
impedire ai bambini di maneggiare cibo in presenza del
cane-problema.
AGGRESSIVITÀ PREDATORIA
L’aggressività predatoria si manifesta quando il cane
insegue furtivamente, punta e/o insegue silenziosamente
piccoli animali come uccelli, scoiattoli, gatti, altri cani e
talvolta bimbi piccoli oppure oggetti in movimento come
13
biciclette e skateboard (attenzione, perché in quest’ultimo
caso potrebbe essere un’aggressività territoriale). I cani
che abbaiano e si lanciano all’inseguimento sono potenzialmente meno pericolosi di quelli che inseguono silenziosamente; infatti, trattandosi di una sequenza di caccia,
non sempre la scelta su cosa o chi è la preda è appropriata.
Un bimbo piccolo che piange o si agita può elicitare
aggressività predatoria, comportandosi nello stesso modo
di una preda ferita, muovendosi in modo scoordinato e
urlando e lanciando gridolini acuti, spesso improvvisamente. Finché i bambini non raggiungono piena autonomia, non devono mai essere lasciati da soli con un cane,
senza la sorveglianza di un adulto; comportamenti predatori verso i piccoli animali non hanno come diretta conseguenza che il cane reagirà in modo inappropriato con i
bambini, ma che siamo di fronte ad una situazione di
potenziale pericolo.
AGGRESSIVITÀ INTRASPECIFICA
L’aggressività intraspecifica è più diffusa tra cani dello
stesso sesso ed è un disturbo comportamentale in cui la
castrazione o l’ovariectomia precoce cambiano la situazione. Essendo una manifestazione dei conflitti gerarchici del
cane, in genere diviene evidente alla maturità sociale (1824 mesi d’età); gli ormoni sessuali hanno il ruolo di sostegno fisiologico (facilitatori e promotori). Si possono osservare notevoli cambiamenti comportamentali persino se un
cane più anziano che ha sempre lottato con altri maschi è
castrato. I veterinari dovrebbero avvertire i proprietari,
comunque, che se il disturbo è presente da molto tempo,
gran parte del comportamento è stato appreso; la castrazione può ancora abbassare la soglia della reattività dell’animale, ma non agirà sulla componente appresa. La terapia di scelta è un’imponente modificazione del comportamento abbinata alla castrazione.
AGGRESSIVITÀ DA PAURA
L’aggressività da paura è il tipo di aggressività più frequente dopo l’aggressività da dominanza osservata alla
Behavior Clinic al Veterinary Hospital della University of
Pennsylvania costituendo il 10% del numero totale di casi
comportamentali. Si verifica quando una persona si sposta
verso il cane, quando qualcuno si avvicina al cane è, quando il cane è nell’ambulatorio veterinario, o quando lo si
sgrida. I cani con aggressività da paura ringhiano, tentano
di azzannare o mordono quando sono spaventati e cercano
di evitare la situazione retrocedendo; molti cani ringhiano
finché non sono messi alle strette, quindi mordono.
Normalmente, invece, il cane che è spaventato mette la
coda tra le gambe, si acquatta e si nasconde.
I cani che sono sottoposti a prolungate e dolorose terapie, possono reagire all’approccio del veterinario. Anche
l’uso inappropriato della punizione può rendere un animale aggressivo per paura; questi cani associano l’avvicinarsi della persona all’esperienza della punizione, piuttosto che associarla all’azione inappropriata. Infine, può
anche essere indotta da eventuali atti di crudeltà ad
opera dell’uomo; in questi casi i cani possono addirittura
essere degli indicatori per un potenziale abuso dei bambini da parte degli adulti, senza contare che i bambini
che hanno subito violenza sono a rischio per ulteriore
abuso dei cani.
14
Karen Overall
AGGRESSIVITÀ TERRITORIALE E PROTETTIVA
La maggior parte degli animali è in qualche misura “territoriale”. I territori possono essere fluttuanti, temporanei,
stagionali o più stabili. L’aggressività territoriale è la conseguenza della protezione di un luogo come se fosse il proprio territorio. Alcuni cani diventano territoriali nelle vicinanze della propria cesta o del luogo dove dormono; altri
mantengono una distanza di sicurezza difendendo accanitamente lo spazio intorno a sé. Spazi ristretti, come le
automobili, le gabbie o quello concesso dalla lunghezza
della catena nei cani che sono legati, possono intensificare
questo comportamento (ad esempio, quando si è al distributore di benzina o al casello autostradale). L’aggressività
territoriale è più evidente quando il cane è nel proprio
giardino o cortile e passano una persona o un altro cane, o
quando il cane è in casa e un estraneo bussa alla porta o
entra nella stanza. La maggior parte, se non tutti, abbaiano
per avvisare o annunciare un visitatore; il problema nasce
quando il cane rifiuta di smettere di abbaiare su comando
del proprietario, intensificando difesa ed aggressività al
punto da non consentire al visitatore di entrare.
La caratteristica saliente dell’aggressività territoriale è
che il cane non è aggressivo quando è rimosso dal proprio
territorio. I cani con aggressività territoriale non dovrebbero mai essere lasciati da soli, nella proprietà, rinchiusi o
a fare la guardia senza la supervisione dell’uomo.
L’aggressività protettiva si verifica quando il cane avverte che il proprietario è minacciato senza alcuna minaccia
effettiva. Questo può verificarsi quando un estraneo è alla
porta o sta entrando in casa, o quando il cane è in macchina, quando qualcuno alza la voce con il proprietario o se
lo abbraccia o gli si avvicina con eccessiva esuberanza,
anche solo per scherzo. Ciò che distingue la vera aggressività protettiva è che si verifica quando non c’è una minaccia reale e il cane reagisce in modo inappropriato e al di
fuori del contesto. Al contrario, è accettabile che il cane
sia vigile ed attento, pronto a difendere il proprietario in
caso di necessità.
AGGRESSIVITÀ DA DOMINANZA
L’aggressività da dominanza è la forma di aggressività
più ricorrente presso la Behavior Clinic al Veterinary
Hospital della University of Pennsylvania, costituendo il
19% di 325 casi di disturbi comportamentali del cane
osservati dal 1987 ad oggi. Gran parte della letteratura a
disposizione sull’argomento consiglia di mettersi al vertice
della gerarchia canina, come cane alpha o cane dominante.
Questa è una semplificazione. I sistemi sociali del cane e
dell’uomo sono piuttosto simili e hanno gerarchie sociali
piuttosto instabili, fondate sul principio della deferenza; la
maggior parte dei cani è istintivamente deferente verso
l’uomo e questo atteggiamento è in seguito rinforzato con
l’addestramento. Alcuni cani, invece, contestano il ruolo
di “capo” svolto dall’uomo e non possono accettare di
non essere il “dominante”. Il problema è in realtà il cane
di per sé e non è sempre e solo causato dalla condotta
errata del proprietario; anzi, se il proprietario sceglie di
imporsi sul cane con la forza o con le punizioni fisiche,
può peggiorare la situazione. Il proprietario può anche
inavvertitamente rinforzare il comportamento inappropriato, sottomettendosi al cane fin dalle fasi iniziali della
sfida, che non viene riconosciuta come tale. Ecco perché è
così importante saper interpretare i messaggi della segnaletica canina e conoscere il comportamento normale della
specie. L’esordio dell’aggressività da dominanza è correlato alla maturità sociale (18-24 mesi). Può comparire se il
proprietario si avvicina o disturba il cane mentre sta mangiando, giocando con oggetti, o dormendo. Il cane dominante può reagire se lo si scavalca, lo si spinge via dal divano o dalla cuccia, ci si sposta verso di lui, gli si mette il
guinzaglio o si preme sulle sue spalle o sulla groppa, quando gli si puliscono le zampe o quando lo si fissa negli
occhi. Alcuni cani reagiscono aggressivamente ad essere
rovesciati sulla schiena; altri, quando sono sgridati o sono
corretti nella condotta al guinzaglio. Un cane dominante e
aggressivo cerca di stare sopra il proprietario, o il presunto
sfidante, o premere od appoggiarvisi contro. In definitiva,
il cane vuole il controllo di ogni situazione che non è
necessariamente legata alla gerarchia. È molto interessante
notare che circa il 90% dei cani con problemi di aggressività da dominanza sono maschi. Sfortunatamente, la
castrazione non è un intervento terapeutico o preventivo
che risolva completamente l’aggressività da dominanza,
ma può essere un valido aiuto in un programma di trattamento.
AGGRESSIVITÀ IDIOPATICA
Il comportamento aggressivo del cane non è provocato, è imprevedibile, violento ed incontrollato; alcuni proprietari riferiscono che il cane ha uno sguardo da indemoniato. Altri segni possono essere bava alla bocca e
contrazioni tonico-cloniche, tipiche delle crisi convulsive. Il cane può attaccare le persone con violenza o accanirsi contro oggetti di vario genere, anche mobili. Questa
forma di aggressività sembra comparire più spesso in
cani che hanno da 1 a 3 anni, rendendo difficile la diagnosi differenziale con l’aggressività da dominanza. Lo
studio dell’aggressività idopatica è complicato dal fatto
che non può essere riprodotta sperimentalmente. I segni
dell’aggressività idiopatica sono stati rilevati da diversi
ricercatori: Dr. Beaver della Texas A&M University
(Mental Lapse Syndrome); Dr. Hart della University of
California/Davis (Idiopathic Viciousness). Altri hanno
denominato il disturbo “Spaniel Rage”, in quanto si riteneva fosse tipico della razza Springer Spaniel; si dimostrò
in seguito come si trattasse, nella maggior parte dei casi
di aggressività da dominanza.
E. RUOLO DEGLI ORMONI - SESSO E
AGGRESSIVITÀ
Nel maschio, come già accennato, la castrazione non è
un intervento terapeutico o preventivo che risolve completamente l’aggressività da dominanza, ma può essere una
componente importante di un piano terapeutico. Il testosterone agisce come un modulatore del comportamento,
facendo sì che i cani reagiscano ad uno stimolo più intensamente, più rapidamente e più a lungo. Ad esempio, se il
cane sta reagendo ad un estraneo o ad un altro cane, inizierà prima ad abbaiare, ringhiare o mordere e continuerà
più a lungo di un cane castrato. È importante rendersi
conto del fatto che il comportamento aggressivo è anche
appreso e viene rinforzato durante ciascun episodio di
aggressività. Per questo motivo, castrare un cane aggressi-
Terapia dei problemi comportamentali
vo ad una certa età può non essere così efficace come
quando si interviene precocemente. Una volta che si è
ridotta con la castrazione la componente chimica della
risposta, si deve correggere il comportamento appreso,
con un programma specifico di trattamento.
Nella femmina, i clienti frequentemente associano l’esordio dell’aggressività all’ovarioisterectomia. Poiché la
maggior parte delle forme di aggressività inizia con la
maturità sociale (18-36 mesi), se le cagne sono operate
dopo 1-2 calori, la comparsa delle manifestazioni aggressive e l’intervento tendono a coincidere (Borchelt, 1983;
Borchelt e Voith, 1986; Voith e Borchelt, 1982), generando confusione.
Un riesame dei dati di Borchelt dimostra che quando
si confrontano sesso e stato riproduttivo (maschio intero,
femmina intera, maschio castrato, femmina ovariectomizzata) e aggressività da dominanza, da paura, protettiva,
predatoria e possessiva, la sola categoria per la quale le
femmine operate sono più aggressive di quelle non operate è l’aggressività possessiva. Poiché in questa indagine
gli individui non sono stati seguiti nel tempo, è anche
possibile che le femmine, di cui sono noti i profili comportamentali, possano diventare più aggressive dopo la
sterilizzazione.
O’Farrell e Peachey (1990) osservarono nel tempo 3
gruppi di cagne divise in base all’età (inferiore o uguale a
11 mesi, da 12 a 24 mesi, superiore o uguale a 24 mesi).
Un gruppo di controllo di cagne non sterilizzate fu confrontato per età e razza con un gruppo di cagne sterilizzate. Sfortunatamente, questi gruppi non erano identici in
termini di età di acquisizione, esposizione ad estrogeni sintetici ed esperienze precoci.
Quando si esaminarono gli individui per ciascun gruppo d’età (livello di aggressività aumentato, invariato, diminuito), non c’era una differenza significativa tra le frequenze di cagne sterilizzate e non sterilizzate.
O’Farrell e Peachey indagarono quindi nei gruppi di
età e confrontarono femmine sterilizzate contro non
sterilizzate per tre classi di cani: quelli con aumento di
aggressività contro nessun cambiamento, cani con un
aumento di aggressività contro quelli con una diminuzione, e quelli con nessun cambiamento nell’aggressività
contro quelli con una riduzione. La scoperta interessante fu che per i cani nel gruppo di età inferiore o uguale
a 11 mesi che erano stati operati, l’aggressività aumentò
più frequentemente di quanto diminuì, suggerendo che
soltanto per alcune sottopopolazioni di femmine operate precocemente l’intervento comporta un aumento dell’aggressività. Tuttavia, questo è un risultato che giustifica ulteriori indagini, poiché nel risultato del confronto
con altri gruppi non c’era una differenza statisticamente
significativa tra le classi comportamentali all’interno dei
gruppi di età.
Ci si domanda se questi cuccioli di sesso femminile,
che mostrano precoce e profonda aggressività da dominanza, possano essere mascolinizzati in utero e possa
questo fatto giustificare che il solo gruppo che diventò
più aggressivo dopo l’intervento era quello con cuccioli
di 11 mesi di età o più giovani che avevano già mostrato
aggressività. Per ottenere maggiori informazioni sull’argomento, si potrebbero raccogliere i dati sull’ordine di
nascita e sul sesso dei cuccioli intervenendo con il taglio
15
cesareo alla nascita o utilizzando apparecchi ad ultrasuoni. Una ricerca di questo genere, nonostante l’ingente
lavoro richiesto nel valutare molte cucciolate, potrebbe
essere di estremo interesse.
F. PROGNOSI
È progressivamente sfavorevole in relazione a:
a. più precoce è stato l’esordio
b. da quanto più tempo è presente il disturbo
c. tanto più intensi o frequenti gli episodi di aggressività, specialmente se l’intensità o la frequenza
aumentano col tempo
G. CURA CONTRO CONTROLLO
1. Esigenze del nucleo familiare
2. Sicurezza
3. Responsabilità
4. Valutazione del rischio
5. Considerazione dei fattori meno noti
6. L’alternativa dell’inserimento in un nuovo nucleo
famigliare
Di “aggressività”, come di diabete, non si guarisce, ma
il disturbo può essere efficacemente controllato in molti
casi. In un’analisi retrospettiva di casi di aggressività
esaminati al Veterinary Hospital della University of
Pennsylvania, la collaborazione e l’impegno del cliente
sono risultati determinanti per il successo terapeutico. A
questo proposito, per verificare la validità dei risultati
raggiunti, si considera il livello di miglioramento del cane,
la sua posizione nel nucleo famigliare ed il grado di soddisfacimento del proprietario, piuttosto che avere valori
fissi di riferimento. Occorre essere realistici nelle aspettative, circa gli obiettivi raggiungibili, e consapevoli del
potenziale pericolo e della responsabilità che ne derivano.
È disonesto e persino rischioso garantire l’assoluta ed
incondizionata affidabilità di qualsiasi cane, ed in particolare, quelli trattati per aggressività. Infine, un cane che ha
concluso la terapia può avere ricadute, se il cliente non
continua a rinforzare i comportamenti appropriati del
cane. Ad esempio, nel caso di cani con aggressività da
dominanza, si consiglia di non permettere mai al cane di
controllare le situazioni.
Finché i clienti non ricevono un aiuto qualificato, si
dovrebbero evitare le circostanze che elicitano le risposte
aggressive, ed anche se l’intervento terapeutico consente
di desensibilizzare il cane in tali occasioni, evitarle è
comunque sempre la chiave per ridurre al minimo le conseguenze.
PAURE, ANSIE, FOBIE, E STEREOTIPI (DISTURBI
OSSESSIVO-COMPULSIVI)
(A) Introduzione
Paure, fobie, ansie e stereotipi o disturbi ossessivo-compulsivi sono tra i disturbi comportamentali più complessi
da diagnosticare e trattare. La paura e l’ansia sono probabilmente strettamente correlate, ma non hanno lo stesso
meccanismo neurofisiologico di base. Questo concetto è
16
Karen Overall
importante, perché se è vero che la diagnosi è di tipo funzionale, questi disturbi sono poi trattati non solo a questo
livello ma, usando farmaci psicotropi, anche a livello neurofisiologico.
(B) Definizioni
Le definizioni proposte hanno lo scopo di chiarire i
concetti alla base dei disturbi comportamentali presentati
successivamente:
COMPORTAMENTO ANORMALE: Attività che evidenziano una disfunzione nelle azioni e nel comportamento.
PAURA: Un senso di apprensione associato alla presenza o alla vicinanza di un singolo oggetto, individuo, situazione sociale o generalizzato al loro intero gruppo di
appartenenza. La paura è una componente normale del
comportamento e può essere una risposta adattativa; si
decide se la paura o la risposta legata alla paura sono anormali o inappropriate in base al contesto. Per esempio, il
fuoco è uno strumento utilissimo, ma la paura di essere
arsi vivi in un incendio è una risposta adattativa; il temere
costantemente il fuoco quando è un pericolo inesistente la
rende maladattativa. Si tratta in genere di risposte graduate, con un’intensità proporzionale alla vicinanza od alla
percezione della vicinanza dello stimolo.
FOBIA: Una risposta improvvisa, del tipo tutto-oniente, intensa, anormale, immediata ed eccessivamente
ansiosa, che determina comportamenti legati alla paura
(catatonia, panico). Le fobie in genere si sviluppano
rapidamente, a differenza della paura, che è più graduale; inoltre, negli episodi di comportamento legato
alla paura, la risposta può essere più variabile che in
una fobia. È stato ipotizzato che una volta che l’evento
fobico è stato provato, qualsiasi evento associato ad esso
od anche al suo ricordo è sufficiente ad indurre la risposta. L’animale cerca di evitare a qualsiasi costo queste
situazioni, o se inevitabili, le vive con intensa ansia o
disagio.
ANSIA: L’ansia è l’anticipazione apprensiva del futuro
pericolo o disagio, accompagnata da un senso di disforia
(nell’uomo) e da una sintomatologia che è somatica oltre
che comportamentale (vigilanza ed esplorazione, iperattività del Sistema Nervoso Autonomo, aumentata attività
motoria e tensione). Il fulcro alla base dell’ansia può essere interno o esterno all’individuo.
ATTIVITÀ RIDIRETTA: Spostare un’attività dall’obiettivo principale e rivolgerla ad un altro obiettivo, meno
appropriato. Nell’attività ridiretta, al contrario che in
quella di sostituzione, il comportamento è dello stesso tipo
del comportamento interrotto.
STEREOTIPO: Una sequenza ripetitiva, relativamente
invariata di movimenti che non hanno uno scopo o una
funzione evidente, ma di solito derivano da comportamenti normali (per esempio la toelettatura, il nutrirsi, il camminare) (Luesher ed al., 1991). Intrinseco della classificazione della disfunzione è che il comportamento interferisce con le normali funzioni comportamentali.
DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO: Si tratta
di comportamenti anormali che hanno come caratteristiche ricorrenti, frequenti pensieri o azioni che sono al
di fuori del contesto delle situazioni in cui si verificano.
Questi comportamenti possono determinare rituali
cognitivi o fisici, e sono ritenuti esagerati, nel contesto,
per durata, frequenza ed intensità del comportamento.
Una delle caratteristiche di questa condizione che la
distingue dai tic motori, eccetera, è che la sindrome
ossessivo-compulsiva segue una serie di regole create
dal paziente. La condizione negli animali domestici è
probabilmente simile ed analoga ed annovera le stereotipie, i comportamenti diretti verso se stessi, eccetera.
Per acquisire carattere di anormalità il comportamento
deve essere così marcato da interferire con le normali
attività quotidiane.
ANSIA DA SEPARAZIONE: Quando gli animali
manifestano i sintomi dell’ansia o di disagio eccessivo se
sono lasciati da soli; comunque, i comportamenti più
comunemente presentati (eliminazione delle deiezioni,
distruzione, eccessive vocalizzazioni) sono solo i segni più
evidenti dell’ansia; bava alla bocca, respiro affannoso ed
altri sono probabilmente presenti anche se non possono
essere osservati direttamente.
(C) Condizioni di rilievo
1) ANSIA DA SEPARAZIONE: L’ansia da separazione è segnalata principalmente in due categorie di cani:
cani giovani inseriti in famiglia in seguito ad adozione
(cani abbandonati per strada, cani riscattati dai rifugi per
animali, cani da esperimento adottati dai laboratori) e
cani, in genere più anziani, che vivono drastici cambiamenti familiari, come l’allontanamento da casa dei figli
dei proprietari per esigenze di studio, una nuova carriera
per uno dei coniugi o più semplicemente si verifica una
variazione nel numero di persone che restano a casa
durante la giornata e/o la quantità di tempo che dedicano
al cane. Non vi è predisposizione di età, sesso o razza;
segni caratteristici sono distruttività talora associata a urinazione, defecazione e/o a vocalizzazioni (ululato e
abbaio) quando l’animale è lasciato da solo. Questi comportamenti sono in genere più intensi entro i primi 20-30
minuti dal momento della partenza del proprietario e si
ripetono ogni volta che il cane è lasciato da solo, indipendentemente dalla durata dell’assenza. Se il cane è particolarmente legato ad un famigliare, il disturbo può verificarsi solo quando si allontana. In genere non c’è un fattore
scatenante, ma talvolta il comportamento può essere
indotto da un evento spaventoso (ad esempio il cane catturato nel corso di un incendio). È importante sottolineare che punire il cane peggiora la situazione, creando i presupposti razionali della paura di essere lasciato da solo e
predisponendo all’aggressività da paura. I proprietari
devono capire che il cane è letteralmente preso dal panico
e non è normale durante questi episodi. Recenti studi
negli attacchi di panico e nelle fobie dell’uomo indicano
che non è l’evento o la circostanza, di per sé, che è
responsabile del protrarsi e di solito del peggioramento
degli attacchi, ma piuttosto il ricordo di cosa si prova
durante gli attacchi stessi. Questo suggerisce che i farmaci
anti-ansiogeni (amitriptilina HCl) sono utili nel controllo
Terapia dei problemi comportamentali
del disturbo, costituendo la fase cruciale nell’interrompere il ciclo ed insegnare al cane comportamenti più appropriati. Come per tutti gli altri farmaci impiegati in terapia
comportamentale è inopportuno somministrarli senza i
necessari controlli clinici ed eventuali esami di laboratorio
e soprattutto in assenza di applicazione delle tecniche di
modificazione del comportamento. Si deve insegnare a
questi animali a non associare le proprie reazioni ai segnali
che i proprietari involontariamente inviano quando escono (prendere le chiavi, borse e valigette, indossare giacche
e cappotti), ma a rilassarsi e ad imparare che l’essere
lasciati da soli può essere un’esperienza piacevole anziché
drammatica. Quest’ultimo punto può solo essere ottenuto
con programmi specifici di desensibilizzazione. Finché il
cane non è in grado di essere lasciato da solo per 30-60
minuti consecutivi, sarebbe preferibile lasciarlo in un
posto piccolo e rassicurante e reso confortevole (rinchiuso
in una stanza o addirittura in una gabbia). Il cane deve
avere a disposizione giocattoli, acqua, cibo; si dovrebbero
lasciare accesi le luci, il televisore, la radio.
Occasionalmente gli animali non rispondono alla terapia
farmacologica o alla modificazione del comportamento;
per costoro i pet-sitter, ovvero persone di fiducia cui affidare il cane nei momenti di necessità, potrebbero essere
una valida alternativa.
2) DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI (CANI E
GATTI)
1.
2.
3.
4.
5.
Movimenti in circolo
Rincorrersi la coda
Correre lungo le recinzioni
Acchiappare mosche inesistenti
Auto-mutilazioni (Granuloma Acrale da Leccamento,
Dermatiti Neurogene)
6. Mordicchiarsi il pelo
7. Pica
8. Camminare segnando il passo (pacing)/ruotare velocemente su se stessi (spinning)
9. Sguardo fisso e vocalizzazioni
10. Alcune forme di aggressività
11. Vocalizzazioni dirette a se stessi
12. Succhiare/masticare la lana
(D) Elementi di rilievo nella raccolta dell’anamnesi
- Sesso, razza ed età dell’animale (predisposizione di
razza)
- Età di insorgenza del disturbo comportamentale/
reclamo dei proprietari
- Durata del disturbo comportamentale/reclamo dei
proprietari
- Descrizione del comportamento
17
- Frequenza della condizione-problema/comportamento
(ogni ora, giornaliero, settimanale, mensile)
- Durata media dell’episodio (secondi, minuti, ore)
- Intervallo tra gli episodi
- Qualsiasi cambiamento nel modulo, frequenza, intensità e durata dell’episodio
- Qualsiasi misura correttiva tentata e la risposta che ne
consegue (possibilmente nessuna)
- Qualsiasi attività che blocca il comportamento
- Anamnesi famigliare dell’animale
- Qualsiasi altro elemento che il cliente ritenga sia rilevante
(E) Punti chiave della terapia
1. Identificare qualsiasi stressore effettivo e verificare le
ipotesi che sono implicate
2. Servirsi della modificazione del comportamento per incoraggiare: (a) l’interruzione del comportamento inappropriato,
(b) il rilassamento generale che sarà in competizione con il
comportamento indesiderato e favorirà le alterazioni nei neurotrasmettitori, e (c) insegnare all’animale nuovi comportamenti che lo aiutano a svolgere i punti (a) e (b) spontaneamente.
3. Servirsi dell’intervento farmacologico come un aiuto
nello svolgimento della modificazione del comportamento
e per intervenire sulle presunte basi fisiopatologiche. Ciò
significa che più è specifico il meccanismo del farmaco,
più si è in grado di verificare la validità dell’ipotesi diagnostica iniziale; inoltre, l’impiego razionale del farmaco e la
comprensione del suo meccanismo d’azione, permette di
scegliere i farmaci più adatti per il singolo caso clinico.
4. Gli esami richiesti prima della somministrazione dei
farmaci sono emocromo, profilo enzimatico, elettrocardiogramma (se possibile); si deve accertare ed escludere qualsiasi componente medica (somatica o organica).
(F) Elementi in corso di valutazione
A. Ruolo dello stress
1. Effettivo o percepito
2. Gestione dello stress
B. Ereditarietà
1. Interazioni genotipo × ambiente
2. Manifestazioni fenotipiche rispetto a molecolari
3. Prevenzione/fasi precoci
C. Fonti informative
1. Osservazione del comportamento
2. Deduzioni valide
3. Verifica delle ipotesi
a. Comportamentale (Livello 1)
b. Neuroanatomico/Funzionale (Livello 2)
c. Farmacologico (Livello 3)
d. Coltura cellulare/manipolazione genetica/prodotti genetici (Livello 4)
e. Identificazione dei marcatori e dei geni (Livello 5).
18
Karen Overall
PARTE TERZA:
DIAGNOSI DI ALCUNI DISTURBI
COMPORTAMENTALI DEL GATTO
DISTURBI ELIMINATORI
I disturbi comportamentali più comuni del gatto riguardano un comportamento eliminatorio inappropriato, che
può esprimersi nei modi seguenti: avversione per il substrato o la sede di eliminazione, preferenza per il substrato
o la sede in cui urinare, defecare, o entrambi, e marcare il
territorio con urina (spruzzi). L’analisi di questa serie di
disturbi comportamentali richiede sempre il supporto di
un accurato controllo clinico.
1. Può essere difficile distinguere l’avversione dalla preferenza per il substrato o la sede, così come non si può sempre risalire alla causa; il gatto sceglie comunque un’altra
sede o un altro substrato per depositare le deiezioni. Nei
casi in cui si è stabilita un’avversione in seguito ad eventi
traumatizzanti, alcuni proprietari riferiscono che il gatto
soffia, ringhia, si muove furtivamente o presenta piloerezione quando si trova vicino alla cassetta igienica o all’area di
eliminazione. Per gatti particolarmente sensibili, il vomito o
la diarrea, propri o di un compagno, possono portare allo
stesso risultato. L’avversione per la sede è più frequentemente correlata a situazioni di paura o di dolore.
La preferenza per il substrato su cui depositare le deiezioni, ovvero la scelta di un substrato diverso dalla propria
lettiera, è molto diffusa, soprattutto tra i gatti a pelo lungo.
Sebbene la tendenza sia verso substrati più morbidi (lenzuola, biancheria intima, tappetini da bagno, borsa di plastica per i rifiuti), alcuni prediligono invece aree aperte e
riflettenti come il linoleum, i pavimenti di legno, piastrelle
e vasche da bagno, che ricordano le condizioni di eliminazione delle deiezioni dei progenitori e dei Felidi selvatici.
Il problema può nascere spontaneamente o essere indotto.
Ad esempio, una cassetta igienica non sottoposta alle abituali operazioni di pulizia o uno stato di malattia (cistite,
diarrea) possono portare il gatto ad eliminare occasionalmente su un substrato che può diventare una piacevole
alternativa a quello normalmente utilizzato. Il trattamento
include modificazioni ambientali e comportamentali, nonché l’intervento farmacologico. Innanzitutto, si procede ad
un attento esame clinico, completato da un esame dell’urina o delle feci e da un eventuale esame ematologico. Si è
stimato che oltre un terzo dei gatti con preferenza per il
substrato che non rispondono al trattamento, o dopo un’iniziale risposta positiva alla terapia comportamentale
hanno una ricaduta, soffrono di urolitiasi manifesta od
occulta. Nel caso sia diagnosticata effettivamente una
patologia, si devono suggerire comunque al cliente modificazioni ambientali e comportamentali oltre alla terapia
classica, poiché il malessere fisico potrebbe favorire una
variazione delle abitudini eliminatorie del gatto.
Riguardo alle modalità di correzione del disturbo, oltre
alla pulizia accurata della cassetta e il cambio regolare
della lettiera, si consiglia di allestire una cassetta igienica
con un substrato gradito al gatto che può essere posizionata nella nuova area scelta per le deiezioni. Se il gatto inizia
a servirsene, si inizia a spostarla molto gradatamente (nell’arco di qualche settimana), verso una sede più appropriata. In caso contrario, si possono posizionare alcune
ciotoline contenenti cibo nelle aree colpite (controcondizionamento), poiché di solito, anche se non sempre, i gatti
non eliminano nelle aree di alimentazione; ciò è fattibile
solo nel caso in cui si debba agire su poche sedi. Se è possibile, modificare l’arredamento in modo da coprire la
sede scelta dal gatto; se il gatto cambia sede, ciò suggerisce
la concomitante presenza della preferenza per il substrato.
Un’alternativa è una temporanea limitazione dello spazio
disponibile e il graduale reinserimento del gatto nell’ambiente. Infine, si rammenti che le operazioni di pulizia
devono essere effettuate in modo scrupoloso ed efficace, al
fine di eliminare qualsiasi traccia odorosa; in alcuni casi si
rende addirittura necessaria la sostituzione della moquette
o degli strati di isolante del pavimento.
2. La marcatura del territorio con urina può essere
effettuata dal maschio e dalla femmina, da soggetti interi o
castrati. Il cliente spesso confonde gli spruzzi di urina con
l’urinazione vera e propria, per cui è opportuno chiedergli di descrivere le posizioni assunte dal gatto e di osservare le localizzazioni. Se il gatto è ritto sulle quattro zampe e
dimena la coda soddisfatto, sta emettendo spruzzi di
urina. Caratteristicamente si rinvengono spruzzi sulle
superfici verticali, ma talora anche al centro di una superficie orizzontale, come un letto. Si devono però sempre
esaminare scrupolosamente tutte le superfici, perché una
sola chiazza al centro, ma non altrove, non indica che è
marcatura del territorio. Gli spruzzi di urina sono provocati dalla stimolazione ormonale, dall’arrivo di un nuovo
animale in casa o addirittura semplicemente dalla vista di
un gatto estraneo dalla finestra o attraverso una porta, da
cambiamenti stagionali e talora da eventi compresi solo
dai gatti. Riguardo al trattamento, si deve seguire il protocollo precedentemente presentato, anche se la chiave terapeutica è farmacologica.
Terapia dei problemi comportamentali
Innanzitutto, si deve escludere qualsiasi causa organica
(patologie del tratto urinario, cistite, urolitiasi, ostruzioni,
anomalie anatomiche). Quindi, si può somministrare diazepam, che, quando usato correttamente, controlla gli
spruzzi di urina nel 75-90% della totalità dei gatti. Alcuni
gatti richiedono il trattamento con diazepam per alcuni
giorni, altri a livello stagionale, altri per sempre. Alcuni
gatti che non reagiscono al diazepam possono rispondere
ad una benzodiazepina con un’emivita più lunga, come il
clorazepato dipotassico. Altri farmaci utili possono essere
gli antidepressivi triciclici, in alcuni casi di gatti che marcano con urina o che hanno avversione per la cassetta igienica o sono in uno stato ansioso legati alla propria posizione sociale. Si fa riferimento all’amitriptilina ed al suo
metabolita intermedio, nortriptilina, mentre la clomipramina può essere un prodotto particolarmente valido per
gli spruzzi di urina. Sono in corso studi sull’argomento. Il
buspirone ha dato buon esito nei casi di in cui le benzodiazepine e/o i progestinici hanno fallito, nel controllo
della marcatura con urina, anche in soggetti in cui il
disturbo è associato ad aggressività intraspecifica. I progestinici devono essere l’ultima risorsa, a causa degli effetti
collaterali e della ridotta efficacia rispetto agli altri agenti
farmacologici. Il 50% dei gatti che non reagisce al diazepam risponde sia al megestrolo acetato che al medrossiprogesterone acetato, mentre circa il 50% dei gatti che
non ha risposto al diazepam né ad uno dei due progestinici, risponderà probabilmente all’altro progestinico.
Il nuovo trattamento a base di un composto sintetico
analogo del secreto delle ghiandole del mento del gatto
(Feliway TM; Abbott Laboratories) promette abbastanza
bene per il trattamento dell’emissione di spruzzi di urina
se il problema è insorto recentemente ed è correlato all’introduzione di un nuovo individuo (uomo o animale) o
all’alterazione degli odori nell’ambiente. La ricerca in questo campo è complicata dalle modalità di applicazione del
feromone e dalla prudenza nell’intepretazione dei risultati.
Allo stato attuale, l’unico studio rigorosamente scientifico
che ha testato il Feliway per il trattamento della marcatura
con urina (Frank, D., et al., 1998, in stampa) ha evidenziato che in molti casi vi è una riduzione statisticamente
significativa del disturbo, ma pochi gatti se non addirittura
nessuno, hanno cessato l’emissione degli spruzzi contemporaneamente. Ciò è plausibile se vi è una componente di
ansia oltre all’implicazione dei feromoni. In molti casi
l’impiego concomitante degli agenti feromonali e i farmaci
anti-ansiogeni può determinare una risoluzione più rapida
del disturbo.
Se nessuno dei farmaci proposti e le modificazioni del
comportamento è efficace, o se il cliente non desidera
somministrare farmaci ai gatti, vi sono pochi altri rimedi.
Spesso, può essere d’aiuto il concedere la libera uscita ai
gatti, che si può tentare soprattutto se l’alternativa è l’eutanasia.
Per concludere, alcuni consigli generali. Innanzitutto i
gatti che non rispondono a quanto suggerito precedentemente devono nuovamente essere controllati sotto il profilo clinico, in quanto molte patologie non sono facilmente
identificabili. Secondariamente, i nuclei famigliari con più
di un gatto possono avere più problemi, oltre al fatto che è
spesso difficile riconoscere il vero colpevole. Nelle case in
19
cui ci sono 10 o più gatti la probabilità che qualcuno, e
forse più di uno, spruzzi in qualche parte della casa è del
100% (Vedi Marder, 1991). Inoltre, nel caso di una famiglia con più gatti, la ragione per cui il gatto, soprattutto il
gattino, non si serve della cassetta igienica può risiedere
in un’azione di disturbo da parte di qualche altro gatto
(tenere sempre d’occhio i soggetti di rango più elevato) o
essere legata ad un insufficiente numero di cassette igieniche.
AGGRESSIVITÀ DEL GATTO
Il sistema sociale dei gatti si differenzia da quello dei
cani essenzialmente per il grado in cui prevalgono attività
solitarie rispetto a quelle sociali. I sistemi sociali dei Felidi
e lo sviluppo dei periodi sensibili del gatto, argomenti proposti nella prima parte del lavoro, giustificano i diversi
tipi di aggressività documentati in questa specie.
L’aggressività del gatto include:
- Aggressività da scarsa socializzazione
- Aggressività nel gioco
- Aggressività intrespecifica: la più diffusa è tra gatti
maschi
- Aggressività territoriale
- Aggressività da paura
- Aggressività materna
- Aggressività ridiretta
- Aggressività predatoria
- Aggressività relativa allo stato sociale
AGGRESSIVITÀ DA SCARSA SOCIALIZZAZIONE
I gatti che non hanno avuto contatti con l’uomo prima
dei 3 mesi d’età sono privi del corretto approccio comportamentale con le persone che si sviluppa nei periodi sensibili; inoltre, una carenza o assenza della socializzazione
con altri gatti può non solo ripercuotersi negativamente
sui rapporti tra gli individui della stessa specie, ma comportare conseguenze negative sull’interazione con l’uomo.
Questi quadri di deprivazione sociale possono essere alla
base di molte delle aggressioni osservate nei gatti che vivono liberi nelle città. Questi gatti non saranno mai normali,
teneri animali da compagnia da coccolare, sebbene possano affezionarsi ad una o poche persone col passare del
tempo. Se costretti a vivere una condizione di restrizione,
costrizione o di contatto molto stretto con l’uomo, possono diventare molto aggressivi.
AGGRESSIVITÀ NEL GIOCO
Spesso i gatti svezzati precocemente ed allevati esclusivamente dall’uomo non imparano a modulare le proprie
risposte nel gioco, giocando quindi in modo addirittura
aggressivo con le persone (senza retrarre le unghie o inibire il morso). Nel gatto il gioco sociale raggiunge il suo
picco massimo precocemente ed è quindi sostituito da attività marcatamente predatorie entro le 10-12 settimane
d’età e dal combattimento sociale entro le 14 settimane. In
condizioni naturali, la madre corregge appropriatamente il
piccolo, quando questi è esageratamente esuberante. È
ovviamente impossibile sostituirsi alla madre vera, ma se il
proprietario, superando il timore di far del male al gattino,
20
Karen Overall
tenta di mimare il comportamento materno, il gattino
impara a giocare più correttamente. Se nonostante tutto il
problema insorge, si può intervenire con le tecniche di
modificazione del comportamento.
AGGRESSIVITÀ INTRASPECIFICA
L’aggressività intraspecifica è comune tra i gatti maschi,
fondata in gran parte sui conflitti per la posizione nella
gerarchia sociale piuttosto che sugli scontri sessuali. Lo
schema di aggressione prevede orecchie appiattite, brontolii, soffi, piloerezione, sguardo minaccioso, denti e
unghie ben in mostra. La castrazione precoce (prima dei
12 mesi d’età) riduce o previene le lotte del 90%, considerando il ruolo degli ormoni in questo tipo di aggressività. I
problemi maggiori insorgono quando un gatto non accetta
l’invito alla competizione dello sfidante. Le risposte comportamentali sono aggressività passiva, aggressività attiva e
marcatura del territorio. Gatti che si considerano più o
meno di pari livello tendono ad evitare l’aggressività esplicita (scontri aperti) optando per quella latente.
AGGRESSIVITÀ TERRITORIALE
L’aggressività territoriale può essere diretta verso altri
gatti o verso l’uomo. I gatti possono sorvegliare attentamente il proprio territorio, delimitarlo strofinando il
mento o marcarlo utilizzando o meno gli spruzzi di urina.
A causa delle complesse e transitorie gerarchie sociali un
soggetto può essere aggressivo con un gatto piuttosto che
un altro. Se un gatto sta difendendo o marcando un territorio ed il presunto trasgressore vi transita in mezzo, scattano le minacce e la lotta. Se nel confronto vi è un conflitto per la gerarchia sociale, i gatti possono attirare gli sfidanti nel proprio territorio e poi attaccarli. A causa della
componente sociale, può essere difficile trattare l’aggressività territoriale, specialmente se c’è marcatura del territorio; a proposito, si deve sempre considerare che qualsiasi
disturbo eliminatorio può essere un segnale di un potenziale stato di aggressività latente. Scelte terapeutiche sono
la modificazione ambientale, la modificazione del comportamento e i farmaci, anche se in un’ultima analisi si deve
valutare la collocazione del soggetto in un altro nucleo
famigliare o il suo confinamento in un’area della proprietà.
AGGRESSIVITÀ DA PAURA
Esistono gatti socievoli e gatti timidi, geneticamente
determinati. Non è chiara la correlazione tra timidezza e
potenziali risposte aggressive a causa della paura, ma ci
sono gatti che, nonostante una normale socializzazione,
diventano aggressivi quando sono spaventati, anche senza
uno stimolo evidente. Si tenga presente, comunque, che,
se minacciato o senza via di fuga, qualsiasi gatto può reagire aggressivamente per difesa. Ciò è particolarmente
importante se sono presenti bambini piccoli, che non riconoscono i segnali inviati dall’animale. Infine, è necessario
che il gatto non impari che l’aggressione è la sua unica
alternativa, dal momento che questo potrebbe portarlo a
diventare aggressivo come risposta a qualsiasi approccio.
La modificazione del comportamento può essere molto
efficace nelle prime fasi di sviluppo del disturbo, unitamente all’intervento farmacologico.
AGGRESSIVITÀ MATERNA
L’aggressività materna, come nel cane, può verificarsi al
momento del parto. Le madri possono proteggere il
“nido” e i piccoli, soprattutto minacciando e impedendo
l’avvicinamento di altri gatti e/o dell’uomo, piuttosto che
reagendo con un vero e proprio attacco. Tali minacce
sono generalmente dirette agli individui sconosciuti, ma
talvolta anche agli stessi proprietari e/o ai gatti con cui
vivono. La scelta strategica è evitare il confronto diretto,
poiché una madre che si sente in trappola può attaccare.
Il problema tende a risolversi spontaneamente con la crescita dei piccoli.
AGGRESSIVITÀ RIDIRETTA
Può essere difficile riconoscere l’aggressività ridiretta,
che può essere riferita casualmente con altre forme di
aggressività. Nell’aggressività ridiretta, qualsiasi interruzione di un episodio di aggressività tra due contendenti
determina il rivolgere del comportamento aggressivo ad
un terzo individuo, uomo o animale, implicato o meno
direttamente nel confronto. Il cliente deve essere informato del fatto che il gatto, che resta reattivo per un certo
tempo in seguito a qualsiasi episodio di aggressività, può
reagire anche se interrotto durante un’azione di minaccia
piuttosto che di vero e proprio scontro. Il trattamento si
basa sulle tecniche di modificazione del comportamento;
poiché l’aggressività ridiretta è spesso associata ad altre
forme di aggressività, per un buon successo terapeutico, si
deve intervenire su tutti i disturbi comportamentali presenti. Nel caso si tema per l’incolumità dei proprietari, si
può suggerire loro di tenere pronti per l’uso pistole ad
acqua, secchi d’acqua, fischietti, etc., che hanno lo scopo
di interrompere l’azione indesiderata e nello stesso tempo
mostrare al gatto le inevitabili conseguenze per il suo comportamento.
AGGRESSIVITÀ PREDATORIA
L’aggressività predatoria nel gatto è simile a quella del
cane. Le caratteristiche sono segretezza, silenzio, aumentata attenzione, posture del corpo associate alla caccia
(movimenti furtivi, testa abbassata, movimenti di scatto
della coda e balzi improvvisi ) e sequenze comportamentali come scagliarsi contro o balzare sulla preda che si
muove all’improvviso. Il comportamento predatorio si
sviluppa nei gattini piuttosto giovani (5-7 settimane), che
possono diventare esperti cacciatori entro le 14 settimane.
Si tratta in realtà di un comportamento tipico della specie,
anche se indesiderato dalla maggior parte dei proprietari.
La miglior garanzia che il gatto non la eserciti su piccole
prede all’esterno, come uccellini e topolini, è di impedirgli
di uscire, mentre in casa gli si può mettere un campanellino al collo come avvertimento o predisporre barriere per
impedire che gatto e preda vengano a contatto. Nel gatto
si osserva una grande variabilità di temperamento riguardo le tendenze predatorie, passando da gatti assolutamente indifferenti alla caccia ad altri che operano una distinzione tra prede lecite o meno. Quest’ultima situazione
deve essere fonte di preoccupazione se l’obiettivo è il cibo
o la mano del proprietario, o un bambino. Qualsiasi gatto
che mostra i comportamenti che precedono il balzo finale
descritti precedentemente può essere a rischio per l’aggressività predatoria inappropriata. Questa è un’altra
Terapia dei problemi comportamentali
buona ragione per non lasciare mai bambini da soli, senza
sorveglianza, quando sono presenti animali da compagnia;
i bambini sono considerati generalmente come prede finché non sono in grado di dimostrare efficienti risposte
posturali.
AGGRESSIVITÀ LEGATA ALLO STATO SOCIALE
L’aggressività legata allo stato sociale è stata descritta
come “mordo perché voglio essere lasciato in pace” e si
verifica più frequentemente mentre si sta coccolando il
gatto. La situazione più simile nel cane è l’aggressività da
dominanza, anche se la diversa storia evolutiva dei sistemi
sociali del cane e del gatto non le rende situazioni omologhe. Questi gatti condividono con i cani la necessità del
controllo della situazione. Il proprietario non ha fatto
nulla che abbia provocato il gatto; piuttosto il gatto dimostra un desiderio o una necessità di controllare l’inizio e la
fine dell’attenzione ricevuta. Alcuni gatti si esprimono
mordendo e andandosene via, mentre occasionalmente il
gatto afferra la mano del proprietario con i denti, senza
mordere. Fortunatamente, si può insegnare ai proprietari
21
a riconoscere i segnali dell’aggressione (coda dimenata
qua e là, orecchie appiattite, pupille dilatate, testa piegata,
unghie sguainate, immobilità o tensione, brontolìo basso)
e ad interrompere il comportamento del gatto al primo
segno descritto, o alzandosi in piedi e lasciandolo cadere
il gatto dal grembo o comunque rifiutando di interagire
con lui finché non manifesta un comportamento appropriato. Si dovrebbe dissuadere il cliente dal correggere il
gatto punendolo fisicamente, poiché ciò potrebbe essere
interpretato come una sfida e portare ad un aumento di
aggressività. Se il gatto non risponde al controllo passivo
o ridirige la propria aggressività, è più sicuro contrastare
il comportamento utilizzando un fischietto o una pistola
ad acqua. Le correzioni devono avvenire entro i primi 3060 secondi dall’inizio del comportamento inappropriato,
meglio ancora se nei primi secondi, per garantirne l’apprendimento. Gatti di questo genere non saranno mai
soggetti da colmare di abbracci e carezze, sebbene, se il
proprietario impara a rispettarne tempi e modalità per le
coccole, possono comunque stare tranquilli in grembo
anche per lungo tempo.
Tavola riassuntiva dei moduli comportamentali dell’aggressività del gatto
Possibili combinazioni
- aggressività esplicita rispetto a latente
- aggressività attiva rispetto a passiva
- aggressività offensiva rispetto a difensiva
Situazioni di riferimento
aggressività esplicita, passiva, offensiva: gatto sicuro di sé che fissa con lo sguardo l’altro gatto che entra nella stanza
aggressività esplicita, passiva, difensiva: gatto meno sicuro di sé che lascia la stanza o indietreggia e si ritira in spazi più
piccoli, coda ripiegata, vocalizzazioni
aggressività latente, passiva, difensiva: gatto sconfitto o meno sicuro di sé che marca con il secreto ghiandolare nelle zone
di confine o nelle aree dalle quali era stato allontanato
aggressività latente, attiva, offensiva: gatto sconfitto o meno sicuro di sé che marca con urina o feci nelle zone di confine o
nelle aree dalle quali era stato allontanato
aggressività esplicita, attiva, offensiva: inseguimento e attacco con uso di denti e con vocalizzazioni da parte del gatto residente nei confronti di un nuovo gatto arrivato nell’ambiente
aggressività esplicita, attiva, difensiva: attacco o risposta con uso di denti e con vocalizzazioni, colpendo in arretramento,
senza ulteriori inseguimenti
aggressività latente, attiva, difensiva: ritirata e marcatura di un’area ristretta da parte della vittima
aggressività latente, passiva, offensiva: spostamento o furto di giocattoli, cuccia, cibo del gatto maschio dominante o di gatti
di rango più elevato, copulazioni nascoste accompagnate da marcatura feromonali, non di tipo eliminatorio.
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Karen Overall
PARTE QUARTA:
TRATTAMENTO COMPORTAMENTALE
E FARMACOLOGICO
DEI DISTURBI COMPORTAMENTALI
PREVENZIONE DEI DISTURBI COMPORTAMENTALI
La prevenzione dei disturbi comportamentali non si
limita semplicemente ad istruire un cliente anche molto
disponibile; altri elementi di rilievo sono l’acquisizione
dell’animale da compagnia che è più adatto allo specifico
nucleo famigliare e la valutazione della determinazione
genetica di ciascun disturbo comportamentale.
Quest’ultimo punto può essere di grande aiuto nell’eliminazione dei soggetti con disturbi comportamentali dai
programmi di riproduzione, contribuendo ad un allevamento decisamente più responsabile.
(1) PERCHÉ PRENDERE UN ANIMALE DA COMPAGNIA: Sarebbe opportuno discutere questo argomento
con il cliente prima della scelta dell’animale d’affezione,
valutando, quando possibile, la validità nonché l’autenticità della sua motivazione all’acquisto.
(2) SCEGLIERE L’ANIMALE D’AFFEZIONE “GIUSTO”: La cosiddetta “consulenza preventiva”, ovvero fornire alla clientela informazioni generali riguardanti le
caratteristiche della specie e della razza è uno strumento di
prevenzione estremamente utile, ma generalmente poco
diffuso nella pratica ambulatoriale. Allo scopo si possono
organizzare riunioni, si possono fissare appuntamenti gratuiti o ad un costo accessibile, con il supporto di opuscoli
illustrati, diapositive o videoregistrazioni. La chiave di
tutti i programmi di prevenzione, sia clinici che comportamentali, è la comunicazione e la motivazione; si può stimolare ad esempio la curiosità del cliente ed incoraggiarlo a
formulare domande sull’argomento.
(3) TIPO DI ANIMALE D’AFFEZIONE: La prima
decisione da prendere è relativa alla specie animale, considerando che la scelta non è limitata a cani e gatti. Ciascuna
specie offre pro e contro, da valutare attentamente. Quando
il cliente ha compreso i presupposti dei sistemi sociali, del
grado di domesticazione (particolarmente importante per i
confronti tra cani e gatti), qualsiasi rilievo di natura sanitaria
(ad esempio gli individui immunodepressi sono a rischio se
maneggiano animali con unghie lunghe e affilate e devono
sapere come tutelarsi da patologie specifiche come la
Toxoplasmosi; le persone con allergie dovrebbero preferire
animali che possono essere lavati di frequente) e le caratteristiche comportamentali generali della specie a cui è interessato, può passare a considerare la taglia dell’animale.
(4) TAGLIA DELL’ANIMALE: La taglia del soggetto
riguarda lo stile di vita dei proprietari, entità e tipo di eser-
cizio richiesto, esigenze di toelettatura, il costo del mantenimento e delle spese sanitarie, la gestione globale dell’animale nonché la quantità di feci eliminate da rimuovere.
(5) LIVELLO DI ATTIVITÀ: Il livello di attività è
associabile alla taglia, ma è più direttamente correlato
all’età ed al tipo di lavoro per cui il cane è stato selezionato. Ad esempio un cane di grossa taglia e con molta energia richiede più spazio del suo equivalente di piccola
taglia, ma non tutti i cani di grossa taglia richiedono
molto esercizio, a differenza di quanto si crede normalmente. Ciò non esclude il fatto che tutti i cani necessitano
quotidianamente di momenti di interazione con i proprietari, di contatto con gli altri cani, di vere e proprie passeggiate oltre alle uscite fisiologiche, i momenti di gioco, ecc.
(6) REQUISITI SPECIFICI: Il cliente deve identificare
le caratteristiche che si auspica di trovare nel cucciolo; ad
esempio per le persone per cui il silenzio è sacro non sopporteranno nemmeno il più amabile dei Beagle, mentre
coloro che cercano un cane da caccia non solo devono trovare cani con un’attitudine naturale, ma anche che non
siano eccessivamente reattivi ai rumori. Sarebbe auspicabile raggiungere il giusto equilibrio tra le esigenze dei proprietari e le loro aspettative ed il buon senso.
(7) REQUISITI LEGATI ALL’ASPETTO FISICO:
L’aspetto del cane o del gatto è spesso l’elemento che
attrae il cliente verso una certa razza; questo approccio
può suscitare ilarità, ma nella realtà dei fatti si potrebbe
dibattere a lungo sulle scelte almeno parzialmente effettuate sull’esteriorità; ad esempio il tipo di mantello può
dare un’idea del lavoro di toelettatura richiesto. Un altro
punto è che le leggi rivolte ai cani definiti pericolosi
(American Pit Bull Terriers, Rottweilers, ecc.) penalizzano i soggetti che ricordano morfologicamente le razze
per cui è stato deciso l’intervento legislativo; poiché persistono molti pregiudizi sul legame tra razza e comportamento, il proprietario deve sapere anticipatamente che
questa situazione non faciliterà di sicuro future interazioni sociali.
(8) SVILUPPO DELL’ANIMALE: Al termine, si deve
discutere sulle fasi dello sviluppo dell’animale. Non si può
infatti prevedere il comportamento futuro del cucciolo ed
il suo stato sociale di quando sarà adulto sulla base di
come si comporta con gli altri membri della cucciolata,
mentre i test sul temperamento hanno un valore relativo.
Per questo motivo, alcuni clienti preferiscono acquisire un
soggetto più adulto; in tal senso ci si può rivolgere agli enti
protezionistici.
Terapia dei problemi comportamentali
(9) ASPETTI ECONOMICI: Nella scelta di un cane o
di un gatto si deve anche considerare il costo del loro
mantenimento, incluse le spese mediche, sia quelle di base
che per eventuali malattie. Si tenga presente che purtroppo in caso di problemi economici in famiglia la tendenza è
di affidare gli animali agli enti protezionistici. Due possibilità per prevenire ciò sono la riduzione numerica degli animali d’affezione attraverso una sterilizzazione di massa e il
controllo del mercato, che dovrebbe essere più responsabile e disponibile.
LA QUESTIONE DELLA STERILIZZAZIONE,
ANCHE PRECOCE, E DELLA PREVENZIONE DEI
DISTURBI GENETICAMENTE DETERMINATI:
L’intervento di castrazione e sterilizzazione precoce (6-14
settimane di età) è stato approvato dall’AVMA (American
Veterinary Medical Association) per gli animali ospitati
nei rifugi; il metodo è sicuro ed efficace per qualsiasi animale da compagnia, purché si sia aggiornati sulle tecniche
di intervento neonatale (Salmieri ed altri,1991; Kahler,
1993; Faggella e Aronsohn, 1994); non esistono prove del
fatto che l’intervento precoce interferisca con il processo
di crescita o aumenti l’incidenza della sindrome urologica
felina nel gatto. Se il cliente è indeciso sulla questione,
occorre farlo riflettere su due punti importanti: innanzitutto sull’opportunità di far riprodurre l’animale, proponendo la valutazione del suo comportamento e del suo
temperamento oltre alla verifica della rispondenza allo
standard di razza, e secondariamente sugli aspetti clinici
della riproduzione e sui rischi legati alla gestazione e al
momento del parto, nonché su quelli prettamente economici. Le principali obiezioni mosse dai proprietari sono,
secondo uno studio retrospettivo condotto in Australia da
Blackshaw e Day (1994), che l’animale è troppo vecchio e
che può diventare obeso, che c’è scarsa disponibilità economica in famiglia, che desiderano farlo riprodurre o
semplicemente che non sono d’accordo sull’intervento.
Altre domande rivelano che si ritiene che l’intervento
comporti modificazioni maggiori nel maschio rispetto alla
femmina. Se è vero che la chirurgia in fase geriatrica può
comportare rischi, la maggior parte dei soggetti può e
deve essere operata prima del secondo calore; l’ipernutrizione e l’insufficiente esercizio fisico contribuiscono enormemente all’aumento di peso in relazione all’età; l’intervento è economico rispetto ai costi della cura della prole
ed infine la questione della “mascolinità” e “femminilità”
si ripercuote più sulla sensibilità del cliente che su una
realtà biologica.
SCEGLIERE IL CUCCIOLO E TEST PER LA
VALUTAZIONE DEL TEMPERAMENTO: Dopo aver
scelto la specie, cane o gatto, e la razza, si pone il problema di quale piccolo scegliere nella cucciolata o nella nidiata. A causa delle scarse e spesso errate informazioni sui
sistemi sociali del gatto, il cliente si pone questo problema
essenzialmente per il cane. Nel gatto si deve consigliare di
scegliere gattini amichevoli e socievoli e cresciuti in una
famiglia in cui hanno avuto stretti contatti con l’uomo
dalla 2a alla 7a settimana di vita. La scelta del cucciolo può
essere complessa. Sarebbe un’indagine molto interessante
scoprire se i proprietari che hanno avuto l’opportunità di
23
scegliere il cucciolo hanno vissuto un rapporto più felice
con il proprio cane o hanno avuto meno problemi nel
corso degli anni rispetto a quelli che non hanno avuto possibilità di scelta, ad esempio perché il cucciolo proveniva
da un rifugio o perché era l’ultimo della cucciolata. Nel
tentativo di valutare le tendenze del cucciolo e di destinarlo quindi al proprietario più adatto, molti allevatori usano
i test attitudinali, presentati nella prima parte di questo
lavoro.
TRATTAMENTO DEI DISTURBI
COMPORTAMENTALI
(A) TRE AMBITI IN CUI INTERVENIRE
1. Ambito fisico: variazioni dello spazio, degli oggetti,
delle luci, campanelli, porte o cancelli, nonché dei programmi famigliari, etc. L’ambiente fisico include stimoli
visivi, olfattivi ed uditivi.
2. Ambito comportamentale: modificazione del comportamento del soggetto. La comprensione del comportamento normale e dei sistemi di comunicazione propri della
specie è fondamentale per modificare il comportamento
dell’animale, che è un processo che richiede tempo ed
applicazione costante.
3. Ambito fisiologico: endogeno (ruolo della sterilizzazione e delle malattie) ed esogeno (intervento farmacologico).
(B) COADIUTORI DELLA TERAPIA COMPORTAMENTALE
Campanelline attaccate ai collari, dissuasori di vario
genere, collari anti-abbaio, museruole, collari e guinzagli
speciali (Gentle Leader, Promise System Canine Head
Collar, Sporn, Lupi); il collare a shock, raramente consigliato per cani normali, non è mai raccomandato per cani
anormali.
(C) PRECISAZIONI DEI PUNTI PRECEDENTI
1. AMBITO FISICO
a. Problemi che sono associati all’ambiente reale (ad
esempio rumori per strada)
b. Problemi che sono associati alla percezione dell’ambiente (ad esempio un gatto che vede un altro gatto attraverso la finestra)
c. Problemi legati ai pericoli dell’ambiente (ad esempio
cani che si gettano dalla finestra durante i temporali)
d. Limitazioni dello spazio fisico (ad esempio gatti in
appartamenti-studio)
e. Steccati nei giardini (ad esempio possono rendere un
cane territoriale più aggressivo; oltretutto, se il cane non è
facilmente visibile, le potenziali vittime non possono evitarlo)
f. Recinti, barriere fisiche, canili - Si consideri: intensificazione del comportamento, traumi per gli animali, continuo rinforzo per comportamenti inappropriati, etc.
2. PRINCIPI DI MODIFICAZIONE DEL COMPORTAMENTO
A. ABITUAZIONE: attenuazione della risposta ad un
elemento nuovo dell’ambiente, in relazione all’aumento
dell’intensità o della frequenza dell’esposizione non seguita da alcun evento spaventoso
24
Karen Overall
B. ESTINZIONE: processo mediante il quale le risposte normali o condizionate si riducono o si attenuano in
seguito all’esposizione ad uno stimolo che elicita la risposta, senza essere premiato
C. DESENSIBILIZZAZIONE*: riduzione nella risposta prodotto da un’esposizione graduale allo stimolo che
elicita la risposta (ndt)
D. CONTRO-CONDIZIONAMENTO*: processo
mediante il quale il comportamento negativo o indesiderato è estinto o controllato insegnando all’animale ad eseguire un altro comportamento (preferibilmente gradevole e
divertente) che interferisce in modo competitivo con l’esecuzione del comportamento indesiderato; meglio se associato alla desensibilizzazione
E. FLOODING*: esposizione prolungata allo stimolo al
livello che provoca la risposta fino alla scomparsa del comportamento senza la possibilità di sottrarsi
F. PUNIZIONE: presentazione di uno stimolo aversivo
in risposta ad un comportamento con l’intenzione di
ridurre la probabilità che si verifichi in futuro; deve essere
somministrata nei primi 30-60 secondi dalla manifestazione del comportamento; i fattori cruciali sono:
1. tempestività
2. costanza
3. intensità adeguata
4. risposta condizionata
3. INTERVENTO FARMACOLOGICO
A. ENDOGENO
1. Effetti della castrazione nel cane (University of
California, Davis)
a. entro 6 ore dall’intervento inizia la riduzione dell’ormone nell’organismo, completata quasi interamente entro le 72 ore
b. 90% di riduzione del vagabondaggio
c. riduzione del 75% dell’aggressività tra maschi; effettuare l’intervento quanto prima, considerando il ruolo
dell’apprendimento; almeno 60% nella marcatura con
urina; i dati al riguardo non sono chiari: può ridursi la
frequenza, senza che il disturbo sia eliminato del tutto;
se effettuata nelle fasi iniziali, lo elimina
d. 80% di riduzione della monta inopportuna, che ha
anche un significato sociale e di autogratificazione,
oltre ad essere un comportamento su base ormonale
2. Effetti della castrazione nel gatto (University of
California, Davis)
a. 90% di riduzione della marcatura con spruzzi
di urina, vagabondaggio, lotte
b. il 10% dei gatti continua ad emettere spruzzi di
urina
c. il 10% dei gatti che non emettevano spruzzi di
urina prima della castrazione iniziano a farlo
dopo l’intervento, non tanto come effetto dell’apprendimento quanto come effetto sociale.
B. ESOGENO
1. area di recente indagine
2. il trattamento deve mirare a:
a. alleviamento dei sintomi
* Desensibilizzazione, contro-condizionamento e flooding sono in effetti
tecniche di modificazione del comportamento.
b. riduzione delle risposte
c. percezione alterata
d. azione sulla causa
C. PARTE SPECIFICA SULLA FARMACOLOGIA
COMPORTAMENTALE
INTRODUZIONE
L’intervento farmacologico può essere un utile supporto
all’applicazione delle tecniche di modificazione del comportamento e, in alcuni casi, i farmaci psicotropi sono
essenziali. Si tratti del trattamento primario o agisca come
coadiutore della terapia comportamentale, qualsiasi
approccio farmacologico deve essere razionale. Come in
psichiatria, è quasi sempre inappropriato prescrivere farmaci comportamentali in assenza di un piano terapeutico
che include altre terapie, come la modificazione del comportamento. Ciò è valido persino per i disturbi comportamentali che hanno principalmente una base organica, poiché i farmaci non sono in grado di eliminare tutti i segni
dei disturbi nelle persone senza il sostegno della terapia
comportamentale (Perse, 1988); infine, si deve dissuadere
il cliente dal ritenere che i farmaci usati per modificare il
comportamento possano sostituire l’impegno che deve
coinvolgere l’intera famiglia nel protocollo operativo.
Prima di inserire la farmacologia comportamentale in
qualsiasi programma di trattamento, il veterinario deve
avere: (1) una diagnosi plausibile nell’ambito di un diagnostico differenziale, (2) la comprensione del probabile
meccanismo di azione dei farmaci comportamentali disponibili, (3) una chiara panoramica di qualsiasi potenziale
effetto collaterale, (4) la valutazione di come il farmaco in
questione possa alterare lo specifico comportamento.
L’ultimo punto è critico, in quanto non solo può servire a
riconoscere gli effetti collaterali e a segnalare i miglioramenti, ma può aiutare il veterinario a confermare o no l’ipotesi diagnostica iniziale.
La collaborazione del proprietario è un fattore cruciale
in qualsiasi caso comportamentale; veterinario e cliente
devono comunicare spesso, rilevando i reali e fattivi cambiamenti del comportamento piuttosto che basarsi solo su
considerazioni soggettive.
CONSIDERAZIONI PREVENTIVE
Prima di prescrivere qualsiasi farmaco si deve raccogliere un’anamnesi comportamentale e clinica completa e programmare eventuali esami di laboratorio (emocromo e
profilo biochimico). Molti dei farmaci più comunemente
usati possono avere effetti collaterali a livello cardiaco;
perciò si raccomanda un elettrocardiogramma per i
pazienti con problemi di aritmie, patologie cardiache, precedenti reazioni a farmaci, nei casi in cui si effettuano
sedazioni o anestesie o se si somministrano più farmaci
contemporaneamente. Si dovrebbe consegnare ai clienti
una lista degli effetti collaterali, incoraggiandoli a segnalare al veterinario i primi segni di alterazione, oltre ad una
sintesi delle diverse prescrizioni terapeutiche. Poiché molti
farmaci utili in terapia comportamentale non sono registrati per l’uso nel cane e nel gatto, sarebbe opportuno
tenere agli atti una copia del consenso informato; si tratta
di una dichiarazione in cui il cliente afferma di essere
informato del fatto che i farmaci prescritti, negli Stati
Uniti, sono autorizzati in via eccezionale nel cane e nel
Terapia dei problemi comportamentali
gatto dal Animal Medicinal Drug Use Clarification Act del
1994 (S-340), a condizione di una reale necessità e della
competenza e serietà professionale del veterinario, e
acconsente al trattamento.
Infine, si deve sempre considerare l’intero nucleo familiare, nonché la capacità e la possibilità di somministrare i
farmaci correttamente; è preferibile prescrivere la quantità minima di farmaci, onde da un lato evitare l’abuso
potenziale del farmaco stesso e dall’altro controllare l’evoluzione del caso clinico. Molti farmaci richiedono un
periodo di 6-8 settimane per essere efficaci mentre altri
devono essere somministrati per tutta la vita del paziente,
che sarà costantemente monitorato.
CLASSI DI FARMACI UTILI NELLA MODIFICAZIONE DEL COMPORTAMENTO
1. Antiistaminici
2. Tranquillanti
3. Stabilizzatori di umore
4. Anticonvulsivanti
5. Progestinici
6. Stimolanti del SNC
7. Antidepressivi
8. Ansiolitici
9. Narcotici agonisti ed antagonisti
10. Agenti vari
1. Gli antiistaminici agiscono mediante un meccanismo
di inibizione competitiva dei siti recettoriali H1. Molti farmaci di questo gruppo hanno effetti anticolinergici e/o
atropino-simili e vanno utilizzati con cautela nei pazienti
in cui tali effetti sono indesiderabili o controindicati (ritenzione urinaria, glaucoma, ipertiroidismo). Il più comune
effetto collaterale, la lieve depressione del SNC, solitamente determina sonnolenza, effetto che li rende utili nel controllo dei disturbi comportamentali. La clorfeniramina
maleato, un’alchilamina, e la difenidramina cloridrato, una
monoetanolamina, possono essere utili come blandi sedativi per gli animali in stato di apprensione per certe situazioni o esageratamente attivi in momenti inappropriati.
Sono indicati per il trasporto in macchina, le attività a
notte inoltrata, ed alcune inspiegabili forme di “pacing”
(= camminata a passi lenti e regolari, specialmente avanti e
indietro) accompagnato da vocalizzazione quando il proprietario è con lui. Il controllo di tali problemi può cambiare l’ambiente domestico sino al punto che il proprietario preferisce intervenire sui propri programmi e/o direttamente sul comportamento alterato dell’animale modificandolo, piuttosto che proseguire farmacologicamente. La
difenidramina deve essere utilizzata con cautela negli animali di taglia molto piccola poiché la depressione del SNC
che ne deriva può essere profonda.
2. I tranquillanti sono impiegati per le loro proprietà
calmanti. Essi causano una riduzione nell’attività spontanea che generalmente esita in una risposta ridotta agli stimoli esterni o sociali, che può profondamente interferire
con qualsiasi programma di addestramento o di modificazione del comportamento. Nell’uomo i tranquillanti sono
spesso usati con successo per alleviare l’ansia anche se i
loro effetti sedativi hanno reso più adatti allo scopo numerosi ansiolitici più recenti.
25
Le fenotiazine sono rappresentate da clorpromazina,
promazina, acepromazina maleato, perfenazina, trimeprazina tartrato, propiopromazina, triflupromazina, tioridazina cloridrato e piperacetazina. Il loro impiego prolungato
può comportare la comparsa di effetti collaterali come
disturbi cardiovascolari, ipertensione primaria e segni
extrapiramidali (atassia, tremori muscolari ed in coordinamento). Con poche eccezioni, i tranquillanti sono raramente usati nella terapia comportamentale in modo continuativo o prolungato (Jones, 1987). Si dimostrano decisamente inadatti per il trattamento dell’aggressività poiché
agiscono smorzando sia il comportamento normale che
quello anormale, piuttosto che trattare la causa del disturbo. L’acetilpromazina, in particolare, deve essere usata
con cautela nel contenimento dei cani aggressivi, in quanto diventano più reattivi ai rumori ed agli elementi di
disturbo; inoltre, per l’azione di entità e durata variabile,
il comportamento dell’animale diventa più imprevedibile.
Questo è un effetto inaccettabile ed indesiderato per il
trattamento di un animale aggressivo. Le benzodiazepine
sono rappresentate da diazepan, clordiazepossido, clorazepato dipotassico e clorazepam. L’esatto meccanismo di
azione delle benzodiazepine non è ancora stato ben compreso, sebbene gli effetti calmanti siano stati attribuiti
all’azione sul sistema limbico e formazione reticolare.
Sembra che potenzino gli effetti del GABA (acido
gamma-amino butirrico), un neurotrasmettitore inibitorio
nel sistema nervoso centrale. Gli effetti ansiolitici sembrano essere non specifici ed in parte attribuibili alla sedazione. Attenzione ai pazienti con ridotta funzionalità epatica,
perché la via metabolica primaria è la biotrasformazione a
livello del fegato. Effetti collaterali possono essere aumento dell’appetito e della socievolezza, soprattutto nel gatto;
tuttavia, sono stati riportati casi di reazione paradossa in
bambini iperattivi e aggressivi. Le benzodiazepine sono
controindicate nei pazienti aggressivi poiché l’ansia può
essere una componente di qualsiasi contenimento che l’animale mostra in tali situazioni. Le benzodiazepine sono
state utilizzate con successo per inibire l’aggressività
intraspecifica e nel trattamento della marcatura del territorio con gli spruzzi di urina nel gatto, in cui li riduce
sostanzialmente (in circa il 75% dei casi); la percentuale è
più elevata nei maschi castrati, minore nelle femmine ovariectomizzate e maggiore nei nuclei familiari con più gatti
e nel 43% della totalità dei casi il prolema scomparve
definitivamente (Marder, 1991). Nei gatti che rispondono
al diazepam si osserva barcollamento per i primi 3-4 giorni di terapia, che si risolve spontaneamente (Voith, comunicazione personale; Overall, osservazione personale). Ciò
è ulteriore indicazione del fatto che la sua efficacia è legata al metabolita intermedio. Se la tendenza a spruzzare
urina è correlata all’aggressività o al comportamento territoriale, gli effetti possono essere determinati dalla tendenza delle benzodiazepine ad aumentare il comportamento
amichevole, mentre se prevale l’ansia per lo stato sociale o
la territorialità, potrebbe entrare in gioco l’azione ansiolitica. Di conseguenza, è plausibile che molti disturbi comportamentali siano di fatto sindromi che riconoscono
numerose cause, spiegando come alcuni farmaci siano
efficaci al contrario di altri nei singoli casi e suggerendo
nuove e diverse terapie nei casi refrattari ai precedenti
trattamenti.
26
Karen Overall
Anche il clordiazepossido è stato segnalato per la sua
efficacia nel sopprimere la tendenza a marcare il territorio
con l’urina (Houpt, comunicazione personale); sembra
avere un periodo di massima concentrazione ematica ed
un’emi-vita più variabili delle altre benzodiazepine; un’altra benzodiazepina che è poco considerata nella pratica
ma che potrebbe essere utile in questi casi è l’alprazolam
(Marder, 1991). La variabilità della farmacocinetica delle
benzodiazepine potrebbe spiegare perché alcuni gatti
rispondono meglio ad un farmaco piuttosto che ad un
altro, mentre il fatto che abbiano un’efficacia simile è probabilmente dovuto al loro comune metabolita intermedio,
il desmetildiazepam.
Le benzodiazepine si sono dimostrate utili nel trattamento delle fobie dei tuoni e di altri rumori (Voith e
Borchelt, 1985; Shull-Selcer e Stagg, 1991). Devono essere
somministrate 3-4 ore prima dell’inizio dell’evento che
spaventa l’animale, in modo da raggiungere un adeguato
livello ematico per contrastare gli effetti neurologici centrali e quelli fisiologici dell’ansia alla presentazione dello
stimolo. Per i temporali si deve procedere alla somministrazione del farmaco al più tardi al primo segno di abbassamento della pressione barometrica. Poiché le benzodiazepine hanno un’emivita breve, vanno somministrate ripetutamente, generalmente ogni 3-6 ore durante la presentazione dello stimolo che terrorizza. Il clorazepato di potassio è disponibile sotto forma di farmaco ad azione protratta che può facilitare la somministrazione. Tutte le benzodiazepine interferiscano con la capacità di apprendimento
e quindi possano interferire nei progressi compiuti nei
programmi di riabilitazione.
I butirrofenoni (aloperidolo e azaperone) non hanno al
momento alcuna indicazione comportamentale; si è dimostrato che l’aloperidolo potenzia l’aggressività intraspecifica nel suino.
3. Gli stabilizzatori di umore e gli antipsicotici come il
carbonato di litio sono utili per il controllo della fase
maniacale della depressione maniacale degli umani.
Hanno ristretti limiti di efficacia, oltre al fatto di essere
tossici, richiedendo frequenti controlli ematologici.
Attualmente non sono utilizzati ampiamente negli animali
da compagnia, ma, se questi ultimi diventassero modelli
validi per lo studio delle psicosi umane, potrebbero essere
rivalutati. Si è dimostrato che questi farmaci sono efficaci
in associazione con gli antidepressivi triciclici nel controllo dei disturbi ossessivo-compulsivi che non rispondono ai
soli agenti triciclici (Insel, 1990), anche se la terapia combinata è ancora poco sfruttata nella clinica veterinaria
comportamentale.
4. Gli anticonvulsivanti comprendono il fenobarbital, un
barbiturico, la fenitoina e il primidone. Sono utili per trattare comportamenti iperattivi che possono rappresentare episodi di epilessia psicomotoria. La fenitoina sembra essere
particolarmente efficace per il controllo dell’iperattività e
degli attacchi di aggressività nell’uomo, ma si deve stabilire
in che misura ciò sia valido per gli animali. Il fenobarbital a
piccole dosi trova applicazione nel controllo del miagolare
eccessivo del gatto durante il trasporto in automobile. La
terapia prolungata con qualsiasi dei farmaci elencati richiede il monitoraggio ematochimico per la loro potenziale epa-
totossicità. Ad eccezione delle vocalizzazioni del gatto,
attualmente in medicina comportamentale vi sono poche
indicazioni per questi farmaci. Ad esempio, i barbiturici
somministrati alla dose sufficiente per inibire l’aggressione,
inducono una profonda sedazione dell’animale, con alterazione sia dei comportamenti normali che di quelli anormali;
questa è una soluzione inaccettabile per un corretto rapporto uomo-animale. Inoltre, il livello di sedazione è variabile
ed imprevedibile, rendendo questi farmaci inaccettabili per
il controllo prolungato dell’aggressività.
5. I progestinici e gli estrogeni sono rappresentati da
medrossiprogesterone acetato, megestrolo acetato e dietistilbestrolo. I primi due agenti sono conosciuti nella
Clinica Comportamentale per gli effetti calmanti e la capacità di contrastare comportamenti tipicamente maschili.
L’impiego razionale e competente di questi farmaci comporta l’esame clinico del soggetto e un controllo ematologico prima e durante la somministrazione per monitorare
eventuali effetti collaterali sistemici, quali: diabetogenesi,
ginecomastia, iperplasia delle ghiandole mammarie, adenocarcinomi, iperplasia endometriale/piometra, soppressione cortico-surrenale e soppressione midollare. Il dietilstilbestrolo è stato utilizzato per il trattamento dell’incontinenza urinaria a riposo, sebbene vi siano a disposizione
altri agenti altrettanto efficaci ma più sicuri, come il betanecolo cloridrato e la fenilpropanolamina cloridrato.
Considerando l’ampia gamma di potenziali effetti collaterali dei progestinici, alcuni veterinari richiedono al cliente di firmare un consenso informato prima della somministrazione.
I progestinici possono avere un ruolo in alcune forme di
aggressività (Hart, 1981, 1985), agendo sia con una generale
azione calmante che con l’induzione della femminilizzazione; per questo motivo agiscono con successo nel trattamento di comportamenti tipici del cane maschio, come la monta
e la marcatura (Hart, 1979). Gatti che emettono spruzzi di
urina e che non rispondono al diazepam possono reagire ai
progestinici (Hart, 1980; Hart e Cooper, 1984; Romatowsky,
1989), mentre gatti trattati precedentemente con progestinici per gli spruzzi di urina rispondevano anche a diazepam
(Marder, 1991). Attualmente gli antidepressivi triciclici
hanno pari o maggiore efficacia nel trattamento di questo
disturbo, soprattutto se ricorrente, e non sono più considerati solamente come un’alternativa. Infine, i progestinici
sono controindicati nei soggetti riproduttori, nei diabetici e
nei pazienti sottoposti a terapie corticosteroidee.
6. Gli stimolanti come le amfetamine ed il metilfenidato
cloridrato hanno effetti paradossi negli animali realmente
iperattivi, in cui hanno un effetto calmante, mentre negli
individui normali determinano eccitazione. Poiché si tratta
di amine simpaticomimetiche che stimolano il sistema nervoso centrale, si rilevano sintomi come aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, eventuale anoressia e tremori con possibile ipertermia. Sono controindicati in
pazienti cardiopatici, trattati contemporaneamente con
inibitori della monoaminoossidasi e affetti da glaucoma o
ipertiroidismo. I pazienti devono mostrare segni fisiologici
di iperattività (aumento della frequenza cardiaca e respiratoria) oltre ai segni comportamentali, e non solo un eccesso di esuberanza. Se, con la somministrazione del farmaco,
Terapia dei problemi comportamentali
27
la situazione peggiora, non si tratta di iperattività vera
(piuttosto rara nel cane e nel gatto) e può essere curata
con i metodi della terapia comportamentale, modificazione della dieta e aumento dell’attività fisica.
PSICOFARMACI UTILI NEL TRATTAMENTO DEI
DISTURBI DEL GATTO LEGATI ALL’ANSIA INCLUSO LE SINDROMI OSSESSIVO COMPULSIVE E
L’IPERESTESIA
7. Gli antidepressivi comunemente usati nella terapia
comportamentale sono inibitori della monoaminoossidasi
(anti-MAO) o antidepressivi triciclici. I primi agiscono
bloccando la deaminazione ossidativa delle amine cerebrali (dopamina, noradrenalina, adrenalina e serotonina),
determinando un aumento dei livelli di tali sostanze. Sono
raramente utilizzati nella terapia comportamentale degli
animali da compagnia, a differenza di quanto accade nell’uomo. Si rammenti che con la somministrazione di
monoaminoossidasi si dovrebbero evitare o ridurre cibi
contenenti tiramina (Shulman ed altri, 1989). Gli antidepressivi triciclici sono strettamente correlati, dal punto di
vista strutturale, agli antipsicotici fenotiazinici e, perciò,
determinano analoghi effetti secondari. Gli effetti principali (sedazione, azione anticolinergica periferica e centrale, potenziamento delle amine biogene nel sistema nervoso
centrale attraverso il blocco del loro riassorbimento a livello presinaptico) variano da un farmaco all’altro. Molti
antidepressivi triciclici sono dotati di una potente azione
di blocco dei recettori istaminici H1 e H2 e risultano validi per il trattamento delle affezioni pruriginose. Le amine
terziarie (amitriptilina, imipramina, doxepin e clomipramina) sono tra i farmaci più sicuri e più ampiamente utilizzati nella clinica comportamentale degli animali da compagnia. Gli effetti collaterali possono essere, ma non necessariamente secchezza delle fauci, costipazione, ritenzione
urinaria, tachicardia ed altre aritmie, sincope, atassia, disorientamento, depressione ed inappetenza. I sintomi generalmente regrediscono con la riduzione o la sospensione
del farmaco. Sono controindicati nei soggetti con anamnesi di ritenzione urinaria e gravi e incontrollate aritmie cardiache. Un consulto cardiologico, incluso un elettrocardiogramma, deve precedere la somministrazione. Gli antidepressivi triciclici, ad alte dosi, sono stati implicati nella
sindrome eutiroidea, mentre nei soggetti anziani o debilitati è strettamente raccomandato un controllo ematologico
completo (enzimi epatici); dosi estremamente elevate sono
associate a convulsioni, anomalie cardiache ed epatotossicità (Crome e Newman, 1979). Possono infine interferire
con i farmaci impiegati per la terapia tiroidea e vanno
quindi utilizzati con cautela nei pazienti ipotiroidei. Gli
antidepressivi triciclici sono di grande utilità nel trattamento dell’ansia da separazione, dell’ansia generalizzata
che può precedere alcuni comportamenti eliminatori ed
aggressivi, delle affezioni pruriginose (dermatite acrale da
leccamento, toelettatura compulsiva e alcuni disturbi narcolettici).
L’amitriptilina è molto efficace nel trattamento dell’ansia da separazione e di quella generalizzata (Snyder, 1980;
Cohn ed altri, 1989). L’imipramina si è rivelata utile nelle
forme lievi di perdita di attenzione nell’uomo e può esserlo anche nel cane, poiché è stata impiegata per il trattamento della narcolessia lieve. Un derivato degli antidepressivi triciclici, la carbamazepina, è stata utilizzata con
successo nel controllo delle convulsioni psicomotorie
(Holland, 1989). La clomipramina ha dato ottimi risultati
nei disturbi ossessivo compulsivi dell’uomo (Toren ed
ALPRAZOLAM
0.125-0.25 mg/kg PO ogni 12H
AMITRIPTILINA
0.5-2.0 mg/kg PO ogni 12-24 H
BUSPIRONE
0.5-1.0 mg/kg PO ogni 8-12 H
CLOMIPRAMINA
0.5 mg/kg PO ogni 24 H
DIAZEPAM
0.2-0.4 mg/kg PO ogni 12-24 H
FLUOXETINA
0.5-1.0 mg/kg PO ogni 24 H
IDROCODONE
0.25-1.0 mg/kg PO ogni 8-12 H
NALTREXONE
2.2 mg/kg PO ogni 24 H (fino a 25-50
mg/gatto)
NORTRIPTILINA
0.5-2.0 mg/kg PO ogni 12-24 H
PSICOFARMACI CHE POSSONO ESSERE UTILI
NEL TRATTAMENTO DEI DISTURBI DEL CANE
LEGATI ALL’ANSIA, INCLUSE LE SINDROMI
OSSESSIVO-COMPULSIVE ED IL GRANULOMA
DA LECCAMENTO
ALPRAZOLAM
0.01-0.1-0.25 mg/kg secondo necessità;
NON SUPERARE 4 mg/cane/die
AMITRIPTILINA
1-2 mg/kg PO ogni 12 H
BUSPIRONE
1 mg/kg PO ogni 8-24 H
CLOMIPRAMINA
1 mg/kg PO ogni 12 H × 2 settimane, poi 2
mg/kg PO ogni 12 H × 2 settimane, poi 3
mg/kg PO ogni 12 H × 4 settimane
DOXEPIN
3-5 mg/kg PO ogni 8-12 H
FLUOXETINA
1 mg/kg PO ogni 12-24 H
ALOPERIDOLO
1-4 mg PO ogni 12 H
IMIPRAMINA
2.2-4.4 mg/kg PO ogni 12-24 H
IDROCODONE
1 mg/4 kg PO ogni 8 H
IDROXIZINA
2.2 mg/kg PO ogni 8 H
NALOXONE
11-22 µg/kg IV (SC, IM) secondo necessità
NALTREXONE
2.2 mg/kg PO ogni 12-24 H
NORTRIPTILINA
1-2 mg/kg PO ogni 12 H
TIORIDAZINA
1.1-2.2 mg/kg PO ogni 12-24 H
28
Karen Overall
altri, 1980; Ananth, 1986; Perse, 1988) McTavish and
Benfield, 1990), nonché nella terapia di alcuni casi di dermatite acrale da leccamento in un’indagine non controllata
su pochi casi clinici (Goldeberg e Rappaport, 1991). Si
ritiene che questo farmaco sia il più selettivo del gruppo
come inibitore della riassunzione della serotonina
(Flammen ed altri, 1985; Ananth, 1986). La risposta clinica positiva a questo farmaco è considerata diagnostica per
i disturbi ossessivo-compulsivi, data la classe dei recettori
serotoninici bloccati (Miczac e Donat, 1989); tali protocolli applicativi sono ancora da valutare in Medicina
Veterinaria.
8. Gli ansiolitici sono alcuni tra i farmaci più recenti
creati per il trattamento di depressioni atipiche, di disordini ansiosi aspecifici e generalizzati ed alcune sindromi
ossessivo compulsive. Il buspirone cloridrato è stato
impiegato o proposto nel cane per l’aggressività da dominanza o di origine idiopatica, per i comportamenti ritualistici o stereotipati del cane e del gatto, per le forme di
auto-mutilazione ed eventualmente per i disturbi ossessivo-compulsivi, per le fobie dei tuoni, (Marder, 1991) e
probabilmente per la marcatura del territorio del gatto
(Houpt, comunicazione personale). Il suo impiego nel
trattamento dei disturbi ossessivo-compulsivi dell’uomo
ha dato risultati discordanti (Jenicke e Baer, 1988;
Robinson ed altri, 1989; Pato ed altri, 1991). Sebbene sia
conosciuto in psichiatria umana da più di un decennio, il
suo utilizzo in medicina veterinaria è recente ed appare
promettente. Il buspirone non mostra caratteristiche
comuni con le fenotiazine, le benzodiazepine o gli antidepressivi triciclici; è ansiolitico e agonista parziale della
serotonina (Jenicke e Baer, 1988). Gli effetti collaterali
prevedono lieve disorientamento e sintomi gastroenterici.
9. Gli agonisti ed antagonisti narcotici sono risultati utili
nei disturbi ossessivo-compulsivi dell’uomo (Pickar ed
altri, 1982; Herman ed altri, 1987) e nei comportamenti di
auto-mutilazione e disturbi ritualistici negli animali domestici (Dodman ed altri, 1987, 1988).
10. La fluoxetina è uno specifico agente serotoninergico, molto più potente della clomipramina (Fontaine and
Chouinard, 1989; Pigott ed altri, 1990), che è stato impiegato con risultati variabili per il trattamento dell’aggressi-
vità del cane (Marder, comunicazione personale) e dei
comportamenti stereotipati negli animali domestici
(Houpt, McDonnel, comunicazione personale).
Il propanololo è un agente bloccante dei recettori beta-1
e beta-2 adrenergici (muscolo cardiaco, muscolatura
bronchiale e vascolare) che è stato impiegato con efficacia
variabile nell’ansia e nei disturbi legati alla paura. La risposta clinica all’azione dei beta bloccanti consiste principalmente nella riduzione della gittata cardiaca a riposo e sotto
sforzo e nella diminuzione della pressione sistolica sullo
sforzo. Si ipotizza che questi effetti impediscano lo sviluppo della risposta fisiologica simpatica che è una componente dell’aggressività nei casi di dominanza o di paura in cui
l’ansia o lo stato conflittuale possono giocare un ruolo
(Voith, comunicazione personale). Per questo, il propanololo è stato proposto con successo variabile nella terapia di
queste forme di aggressività e le fobie dei rumori.
(D) FATTORI CHE DETERMINANO IL SUCCESSO
TERAPEUTICO
1. La collaborazione del proprietario è un fattore di fondamentale importanza; si consideri sempre il valore della
visita di controllo di ciascun caso, per verificare i cambiamenti comportamentali e suggerire eventuali variazioni del
programma terapeutico
2. Età di insorgenza: se il disturbo compare precocemente, è probabile che il cane sia realmente anormale, che
non conosca il comportamento normale attraverso l’esperienza e possa aver imparato a un comportamento inappropriato
3. Fornire al cliente le informazioni necessarie su come
anticipare, evitare ed intervenire quando si manifesta il
disturbo
4. Da quanto tempo è presente il disturbo: l’animale
tende ad adattarsi alla situazione
5. Schema di riferimento: l’animale sta migliorando o
peggiorando, gli episodi sono più o meno frequenti, le
risposte sono più o meno generalizzate?
6. Addestramento all’obbedienza: assolutamente non
indicato per i comportamenti anormali e/o inappropriati;
vivamente raccomandato per gli altri cani, costituendo tra
l’altro una buona occasione per evidenziarne eventuali
disturbi del comportamento.
Terapia dei problemi comportamentali
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