SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA in collaborazione con: SOCIETÀ ITALIANA SCIENZE COMPORTAMENTALI APPLICATE (Società Specialistica affiliata a SCIVAC) TERAPIA DEI PROBLEMI COMPORTAMENTALI 17-18 ottobre 1998 Castelfranco Veneto (TV) ATTI DEL SEMINARIO A cura di Maria Cristina Osella RELATORE Karen OVERALL BA, MA, VMD, PhD, Dipl ACVB - University of Pennsylvania School of Veterinary Medicine - Department of Clinical Studies Philadelphia, USA Laureata nel 1983 all’Università della Pennsylvania, dove ha anche completato un Residency in Medicina Comportamentale nel 1989. Successivamente ha conseguito il PhD all’Università di Wisconsin-Madison in Ecologia Comportamentale. È autrice di numerosi articoli sulla medicina comportamentale e del testo “Clinical Behavioral Medicine for Small Animals” che è stato pubblicato nel 1997. È Diplomate dell’American College of Veterinary Behaviour (ACVB) e riconosciuta dall’Animal Behaviour Society (ABS) come specialista di scienze comportamentali animali applicate. Attualmente è responsabile della Clinica di Medicina Comportamentale dell’Università della Pennsylvania. I suoi principali interessi di ricerca sono concentrati sullo sviluppo di modelli animali per lo studio delle patologie psichiche dell’uomo. È stata premiata nel 1993 con il Randy Award per eccellenza e creatività nella ricerca. COORDINATORE SCIENTIFICO DEL SEMINARIO MARIA CRISTINA OSELLA Med Vet, Libero Professionista - Dottore di ricerca in Medicina Interna Collaboratrice del Dipartimento di Patologia Animale - Facoltà di Veterinaria Università di Torino - Segretario-Tesoriere SISCA INDICE PARTE PRIMA L’approccio orientato al problema: anamnesi comportamentale, comportamento sociale e sistema di comunicazione normale del cane e del gatto, comportamenti anormali .....................................................................................................................................pag. 7 PARTE SECONDA Diagnosi di alcuni disturbi comportamentali del cane......................................................................................pag. 12 PARTE TERZA Diagnosi di alcuni disturbi comportamentali del gatto .....................................................................................pag. 18 PARTE QUARTA Trattamento comportamentale e farmacologico dei disturbi comportamentali ...............................................pag. 22 BIBLIOGRAFIA ...............................................................................................................................................pag. 29 Terapia dei problemi comportamentali 5 PREMESSA L a diagnosi e la terapia dei disturbi comportamentali del cane e del gatto sono un settore innovativo della Medicina Veterinaria, ma decisamente attuale, che è ormai parte vitale dell’attività professionale, oltre a costituire un affascinante filone di ricerca scientifica. Lo studio del comportamento degli animali domestici e le sue applicazioni pratiche non possono essere ulteriormente ignorate dal veterinario impegnato nella clinica dei piccoli animali, che deve rispondere ai quesiti di una clientela sempre più curiosa e preparata sull’argomento. Il livello di conoscenza delle nozioni di base può essere in seguito approfondito da coloro che intendono operare specificamente nel campo. Il presente lavoro è una sintesi delle lezioni del Seminario SCIVAC-SISCA, organizzato allo scopo di fornire le linee-guida del metodo della Dr.ssa Karen L. Overall, responsabile della Clinica di Medicina Comportamentale dell’Università della Pennsylvania. Per completezza di informazione, si segnala il testo da cui sono stati tratti gli appunti: Overall K.L. Clinical Behavioral Medicine for Small Animals, Mosby, St. Louis, 1997 Dal punto di vista logistico, gli Atti sono suddivisi in quattro parti: Parte I. L’approccio orientato al problema (Concetti di base di comportamento normale e anormale, raccolta dell’anamnesi) Parte II. La diagnosi di alcuni tra i più comuni disturbi comportamentali del cane (Aggressività, paure e fobie, ansia) Parte III. La diagnosi di alcuni tra i più comuni disturbi comportamentali del gatto (Disturbi eliminatori e aggressività) Parte IV. Il trattamento dei disturbi comportamentali (Principi di apprendimento e tecniche di modificazione del comportamento, farmacoterapia) Con la speranza che la scelta effettuata risponda alle effettive esigenze del Medico Veterinario, ci scusiamo per l’essenzialità del lavoro e per l’eventuale ripetizione dei termini, motivate rispettivamente da fattori contingenti e dalla volontà di seguire, per quanto possibile, il testo originario nella traduzione. Maria Cristina Osella Terapia dei problemi comportamentali 7 PARTE PRIMA: L’APPROCCIO ORIENTATO AL PROBLEMA: ANAMNESI COMPORTAMENTALE, COMPORTAMENTO SOCIALE E SISTEMA DI COMUNICAZIONE NORMALE DEL CANE E DEL GATTO, COMPORTAMENTI ANORMALI Ontogenesi dei sistemi sociali dei Canidi e dei Felidi - Rassegna dei comportamenti normali A. SISTEMA SOCIALE DEI CANIDI 1. I maschi e le femmine “alpha” (attenzione all’uso acritico di questa terminologia) sono generalmente i più anziani o i più grossi 2. Sistema a “branco” (attenzione all’uso acritico di questa terminologia) famigliare 3. Gli individui “alpha” sono i principali (o gli unici) riproduttori 4. La periodicità riproduttiva stagionale può essere diversa da quella dei conspecifici domestici a. 1-2 volte all’anno b. non inizia prima di 1-2 anni di età 5. Sistema basato sulla deferenza- può essere controllato dalle femmine più anziane 6. Gruppi famigliari con molti individui nei Canidi più grossi - lupi 7. Piccoli branchi monogamici nei Canidi più piccoli volpi 8. Cooperazione nelle attività riproduttive 9. Cooperazione nell’allevamento della prole 10. Analoghe strategie evolutive caratterizzano i sistemi sociali dei Canidi e dell’Uomo: esigenze di protezione e di collaborazione nella caccia e nel reperimento del cibo 11. Abitudini alimentari schiettamente onnivore 12. Rigurgito del cibo per i piccoli - facilitazione dei legami sociali 13. Gestazione di circa 63 giorni (49-54 giorni) a. figliate da 2 (Fennec) a 13 (lupi, coyote, cani procioni) cuccioli b. la frequenza e la consistenza delle figliate sono influenzabili dalla tendenza a regolare la densità delle popolazioni 14. Importanza del comportamento segnaletico: muso, orecchie, coda, collare 15. Dimorfismo sessuale variabile - meno pronunciato negli individui monogami a. taglia b. colore c. caratteri secondari (coda, collare) 16. Importanza dei segnali vocali 17. Defecazione ed urinazione come segnali olfattivo/territoriali 18. Sviluppo sociale a. occhi chiusi alla nascita b. apertura degli occhi a 10-14 giorni circa c. concetto di valutazione dei rischi e riduzione del costo degli errori 1. periodo neonatale: 0-14 giorni 2. periodo di transizione: 14-20 giorni 3. periodo di “socializzazione” - meglio definito come di sviluppo o sensibile: inizia a circa 3 settimane a. da 3 a 8 settimane è rivolto ad altri cani b. dalla 5 a /7 a settimana alla 12 a è rivolto all’uomo c. dalla 5 a alla 12 a/16 a settimana è rivolto alle nuove circostanze ambientali 4. periodo giovanile: dai 6-9 mesi d’età 5. periodo maggiormente a rischio per l’insorgenza di reazioni di paura: 10-12 settimane d’età (fin dall’8a settimana; picco all’11a) 6. preferenza del substrato per le deiezioni: 8.5 settimane B. LA COMUNICAZIONE DEI CANIDI SEGNALETICA CANINA Tipo di segnale Circostanze/Informazione abbaio - allertamento/intimidazione - ricerca di attenzione ringhio - intimidazione - segnale che facilita l’aumento della distanza interindividuale 8 Karen Overall pianto guaito lamento - funzione et-epimeletica (richiesta di interventi di cura, di rassicurazione) ululato - elicita il contatto sociale - situazioni ansiogene (il contatto sociale rassicura) mugugno - piacere, appagamento coda ed orecchie erette, zampe anteriori in avanti di fronte al partner - allertamento, disposizione ad interagire sguardo diretto - sfida - fiducia - assenza di minaccia - segnale che facilita l’aumento della distanza interindividuale sguardo che viene distolto - paura - codardia - deferenza - assenza di sfida (significato diverso dalla deferenza nei cani fiduciosi e di alta collocazione gerarchica) - segnale che facilita la diminuzione della distanza interindividuale presentazione del ventre - deferenza - rilassamento coda ripiegata all’interno durante la presentazione del ventre - paura, sottomissione idem con urinazione - profonda paura, sottomissione ghigno (sollevamento del labbro con esposizione dei denti) - deferenza - segnale che facilita la diminuzione della distanza interindividuale piloerezione - eccitazione associata ad ansia, paura, aggressione - segnale che facilita l’aumento della distanza interindividuale orecchie diritte - vigile - sicuro di sé orecchie all’indietro - paura orecchie ripiegate verticalmente - deferenza - sottomissione - basso rango - ansia brontolio/ringhio con solo gli incisivi e i canini in mostra - sicuro di sé - aggressivo in modo offensivo - segnale che facilita l’aumento della distanza interindividuale brontolio/ringhio con tutti i denti ed il retro delle fauci evidenti - aggressivo in modo difensivo - pauroso - segnale che facilita l’aumento della distanza interindividuale corpo abbassato - difensivo - segnale che facilita la riduzione della distanza interindividuale - pauroso - deferente - rilassato leccarsi le labbra, colpetti di lingua - appagamento - et-epimeletico - segnale che facilita la riduzione della distanza interindividuale - ansioso (e sollecitante interventi di rassicurazione; derivato dall’et-epimeletico) sollevamento delle zampe anteriori - segnale che facilita la riduzione della distanza interindividuale - sollecitazione dell’attenzione - deferenza (non equilibrato) zampe in avanti, parte - inchino di saluto, invito al gioco anteriore del corpo abbassata, posteriore sollevata, scodinzolamento posizione eretta - sfida - sicurezza piloerezione limitata alle regioni del collo o della coda - cane sicuro di sé monta o pressione sulla schiena o sulle spalle di un altro cane - sfida atteggiamento rigido, rigidità della muscolatura del tronco - sicurezza ed intenzione ad interagire (può non essere aggressivo) leccamento agli angoli della bocca di un altro cane (o di una persona) - et-epimeletico - deferenza - sollecitazione desiderosa coda al di sopra della linea orizzontale - segnale che facilita l’aumento della distanza interindividuale - cane sicuro di sé - rango elevato sbuffi con le labbra, le guance - anticipazione (positiva o negativa) - ansia (se in sequenza rapida) far schioccare o scattare mandibola e mascella (colpi di becco) - capitolazione, intenzione a compiacere come ultima risorsa coda al di sotto della linea orizzontale - cane meno sicuro di sé - rango inferiore - deferenza - paura scodinzolamento - voglia di interagire movimento della punta della coda a corpo rigido - cane sicuro di sé - comportamento assertivo - interattivo in modo offensivo collo diritto o incurvato - cane sicuro di sé - provocatorio C. IL RUOLO DELLA GENETICA E DELLE RAZZE Tutti i comportamenti hanno componenti ambientali e genetiche. Le variazioni nella componente genetica sono sufficienti a produrre una vasta gamma di fenotipi ambientali individuali in assenza di qualsiasi razza specifica. Quindi, non tutti i gatti domestici a pelo lungo o i cani meticci hanno identico aspetto né manifestano identici comportamenti in risposta a situazioni simili. Ciò è Terapia dei problemi comportamentali valido confrontando tra loro sia diverse cucciolate che i piccoli di una stessa cucciolata. La misura in cui la plasticità comportamentale sia in funzione della genetica è tuttora un argomento al centro di un acceso dibattito, mentre alcuni recenti studi nei rospi del deserto (Newman, 1989) indicano che la selezione naturale, in ambienti fortemente variabili, può operare mantenendo la plasticità comportamentale piuttosto che selezionare uno o pochi tratti comportamentali. Prendendo in esame il ruolo delle razze, una funzione è proprio quella di canalizzare parte delle variazioni genetiche complessive, ma la selezione, naturale o artificiale, non può operare se non è presente una variabilità genetica sottostante. Nel processo di selezione di determinati caratteri fisici e comportamentali all’interno di una razza viene anche selezionata una certa variabilità del carattere stesso. Inoltre, a differenza di quanto accade per i tratti morfologici, come il colore del mantello, è più difficile osservare come la selezione di un determinato fenotipo comportamentale, ad esempio la tendenza ad assumere atteggiamenti protettivi, determini in realtà la comparsa di un continuum di comportamenti protettivi, alcuni dei quali non sono quelli che il selezionatore auspicava; si rivelano infatti inappropriati, o perché incompleti e non abbastanza consistenti o al contrario troppo marcati e manifestati al di fuori del contesto appropriato. Perciò, se una razza è stata selezionata per certi comportamenti specifici, ci si deve attendere una certa variabilità relativa al comportamento e che parte di questa variabilità possa determinare un comportamento inappropriato. Hart e Hart (1984) e Hart e Miller (1985) hanno provato a suddividere le razze canine secondo determinati gruppi di attributi comportamentali. Anche se la loro classificazione è basata sulle opinioni piuttosto che su criteri oggettivi e le loro categorie comprendono sia comportamenti che diagnosi comportamentali, è evidente la correlazione tra alcuni moduli generali di comportamento e le razze. Studi più recenti hanno cercato di focalizzare la ricerca su determinati comportamenti; ciò è importante perché c’è scarsa documentazione sulla frequenza, durata, intensità e modulo dei comportamenti che sono di fatto coinvolti nei disturbi comportamentali. Per concludere, occorre molta attenzione in qualsiasi generalizzazione sul comportamento basato sulle razze. È preferibile vedere la selezione per i comportamenti specifici come un’analisi della valutazione del rischio: le razze che sono state selezionate per uno o alcuni comportamenti in particolare possono essere più a rischio per sviluppare un comportamento inappropriato, sulla base della variabilità genetica. Ciò non significa, ad esempio, che i cani selezionati per i comportamenti protettivi sono più aggressivi degli altri, ma piuttosto che quella razza può essere maggiormente a rischio per produrre un numero decisamente elevato di cani che manifestano un’aggressività protettiva inappropriata. In ogni caso, qualsiasi cane, indipendentemente dalla razza, può manifestare lo stesso comportamento inadeguato. Un ulteriore corollario è che i cani che sono stati selezionati per tenacia e robustezza delle fauci per svolgere un compito specifico (Bull Terrier, Rottweiler, Rhodesian Ridgeback), quando rispondono inadeguatamente o al di 9 fuori del contesto richiesto, mantengono inalterate le proprie doti. Queste caratteristiche, associate ad aspetti fisici appositamente selezionati (grosse fauci, muscolatura potente) sono responsabili della gravità delle lesioni già al primo attacco, piuttosto che un aumento di aggressività legato alla razza. D. IL RUOLO DEI TEST PER LA DETERMINAZIONE DEL TEMPERAMENTO I test per la valutazione del temperamento o attitudinali sono spesso utilizzati dagli allevatori per valutare il potenziale grado di obbedienza e servire da indicazione per il temperamento futuro del cucciolo in modo da inserirlo nel nucleo famigliare più adatto (Campbell, 1975). Il test è stato adattato e perfezionato per un suo impiego generico e comprende due sezioni: la prima valuta 5 tratti comportamentali del cucciolo (attrazione sociale, attitudine a seguire, risposta alla costrizione, dominanza sociale e dominanza mediante sollevamento), mentre la seconda prende in considerazione le risposte associate all’esecuzione con esito positivo delle prove di obbedienza (riporto, sensibilità al tatto, sensibilità ai suoni, istinto della caccia, stabilità e livello energetico) (Bartlett, 1979, 1987). L’obiettivo è stabilire l’idoneità o meno del soggetto, definendo il temperamento come la capacità del cane a svolgere uno specifico compito o funzione (Tameses-Fisher e Volhard, 1985). Gli allevatori utilizzano questo metodo per abbinare correttamente cuccioli e proprietari ed in misura minore per prevedere il temperamento del cane (Bartlett, 1987). Questi test sono di tipo correlazionale; ciò non consente l’analisi dei fattori che spingono il cucciolo a comportarsi in modo appropriato o meno. Secondariamente, poiché i test sono eseguiti quando il cucciolo ha 7 settimane di età, il fattore ambiente ha sufficiente spazio per agire nella definizione del temperamento del cane. Chi usa il test in chiave critica lo sa e si serve delle risposte alle prove di addestrabilità come segnali per un intervento precoce. L’età di 7 settimane è scelta come momento migliore per il test proprio a causa della relativa assenza di influssi ambientali sul precedente sviluppo comportamentale. Terzo, il test valuta il cane in un momento della sua vita e non esistono dati sulla prevedibilità di comportamenti specifici associati ai problemi comportamentali. L’aggressività da dominanza, in particolare, di solito si sviluppa alla maturità sociale (18-24 mesi di età). I cani dominanti e aggressivi generalmente non hanno mai presentato prima segni di aggressività o dominanza, sebbene possano aver mostrato alcuni comportamenti di avvertimento (guardare fisso il proprietario, spingere, appoggiarsi contro, opporre resistenza quando qualcuno tocca loro le zampe o la testa con le mani, opporsi/ringhiare se disturbati nel sonno, etc.) che preannunciano la manifestazione della sindrome comportamentale completa. La diversità dell’impatto della maturità sociale (18-24 mesi) e sessuale (6-12 mesi) sul comportamento non è noto al proprietario, che ritiene che il cane sia diventato improvvisamente aggressivo a 2 anni d’età. Una valida anamnesi comportamentale rivela che il cane può non aver mai morsicato, ma certamente ha manifestato molti altri comporta- 10 Karen Overall menti compatibili con gli stadi iniziali dell’aggressività da dominanza; questi casi non vengono rilevati dai test di valutazione del temperamento. È più prudente considerare questi test esattamente come fanno gli addestratori più accorti, ovvero come indicatori di comportamenti da correggere. Se durante queste valutazioni il cucciolo mostra un comportamento inappropriato o aggressivo, questo è un avvertimento, ma non una condanna definitiva, così come il semplice fatto che il cane non lo manifesti, non fornisce sufficienti garanzie per il futuro. Infine, il fatto di ottenere risultati positivi alle mostre o alle gare di obbedienza non è direttamente associato ad un comportamento perfetto od anche solo conciliabile con l’ambiente domestico e cani con problemi comportamentali vari, dall’aggressività a quelli eliminatori, possono essere ogni giorno campioni nei ring. Per costoro la soluzione non è un ulteriore addestramento all’obbedienza, ma l’intervento di uno specialista che imposti un adeguato piano terapeutico. E. IL SISTEMA SOCIALE DEI FELIDI 1. Gruppi famigliari basati sulle femmine (matriarcale) nei grandi Felidi 2. Animali solitari o coppie eterosessuali nei piccoli Felidi 3. Maschi scapoli solitari o gruppi di maschi 4. Un maschio principale nel gruppo riproduttivo a. copulazioni frequenti in periodi brevi b. monta di breve durata c. potenziali infanticidi per il controllo demografico 5. Riproduzione e cure della prole in comune a. femmine imparentate tra loro b. ovulazione indotta/poliestrale 6. Gestazione di 120 giorni nel giaguaro 7. Femmine con ruolo primario nella protezione e nella caccia 8. Felidi a dieta carnivora più rigorosa (ma si consideri il Margay, Leopardus wiedi) 9. Comportamento di marcatura: urinazione e defecazione a. spazi aperti: spruzzi di urina 10. Cambiamento di struttura sociale dai solitari puma contro i leoni 11. Sviluppo sociale - concetto di valutazione dei rischi e riduzione del costo degli errori a. non vedenti alla nascita b. apertura degli occhi a 10-14 giorni c. a 3 settimane d’età le madri iniziano ad insegnare ai piccoli il comportamento predatorio d. a 5 settimane d’età si manifestano comportamenti predatori indipendenti dei gattini e. lo svezzamento precoce anticipa i periodi suddetti f. a 4-12/14 settimane di età: gioco sociale g. a 6-8 settimane: risposta a minacce visive, olfattive h. gioco con oggetti: a 7-8 settimane d’età (dipende dalla coordinazione occhio-zampa) i. lotta sociale: 14 settimane j. il “temperamento” è mediato da: 1. padre (determinante della socievolezza) 2. colore del mantello? (disposizione all’aggressività) k. l. m. n. 3. nutrizione a. la riduzione del 50% della razione di cibo somministrata alla madre determina minori cure materne b. sviluppo ridotto del cervello nei gattini 4. timidezza geneticamente determinata/nidiate non socievoli brevi periodi di esposizione sociale molto precoce (più precocemente che nel cane, se possibile) sviluppo innato dei comportamenti eliminatori cannibalismo gioco (pesante) come comportamento predatorio piuttosto che come integratore sociale F. LA COMUNICAZIONE NEI FELIDI Posizioni della coda nel gatto (Adattato da Bradshaw, 1992) Posizione Interpretazione del segnale Verticale - Gioco - Saluto, spesso con movimento - Approccio sessuale delle femmine - Frustrazione (spesso sferzata) Sollevata a metà - Approccio sessuale delle femmine Orizzontale - Approccio amichevole - Approccio sessuale delle femmine Concava - Comportamento difensivo Abbassata - Aggressività offensiva (se rigida e mossa velocemente) - Aggressività difensiva (se più rilassata) Tra le gambe - Sottomissione - Paura Interpretazione delle vocalizzazioni feline (da Moelk, 1944 e McKinley, 1982)* Vocalizzazione Descrizione / Interpretazione Mormorìo (murmur) Vocalizzazione ritmica; sospiri; sollecitazioni interattive, non minacciose; forse prodotto dalla contrazione disincrona dei muscoli laringei e diaframmatici Brontolìo (growl) Dal tono grave, aspro; agonistico; prolungato Grido (squeak) Dal tono acuto, stridulo; anticipazione dell’alimentazione, nelle femmine dopo la copula Strido (shriek) Forte, tono acuto; dolore, paura, aggressione Soffio (hiss) Agonistico, a bocca aperta, denti in vista; in difesa offensiva (evita l’aggressione aperta) Sbruffo (spit) Suono emesso prima o dopo il soffio Mugolìo (chatter) Anticipatorio, frustrazione Fare le fusa (purr) Appagamento, allattamento, lieve ansia conflittuale Mugolìo di richiamo (chirr) Richiamo della madre ai gattini Miagolìo (mew) Dal tono acuto, media ampiezza; interazione madre-gattini per la localizzazione, incoraggiamento Gemito (moan) Bassa frequenza/lunga durata; epimeletico; rigurgito, sollecitazione interattiva Miàgolo (meow) Saluto, epimeletico, voglia di interagire * Si riporta in parentesi il termine inglese per una migliore distinzione dei vari tipi di vocalizzazione. Terapia dei problemi comportamentali G. OLFATTO E SEGNALETICA FEROMONALE NEL GATTO 1. Organo vomero-nasale, Flehmen 2. Ghiandole del mento 3. Ruolo del movimento di impasto delle zampe 4. Marcatura con urina 5. Vibrazione e sfregamento della coda 6. L’evoluzione delle dinamiche sociali DISTURBI COMPORTAMENTALI DEL CANE E DEL GATTO - L’approccio orientato al problema ed il suo ruolo nella raccolta dell’anamnesi I. Livelli di “rapporto fra causa ed effetto” da considerare in qualsiasi diagnosi comportamentale 1. FENOTIPO a. ruolo delle interazioni genotipo-ambiente b. ruolo delle diagnosi basate sulla descrizione degli eventi 2. NEUROANATOMIA a. ruolo della sede dell’attività b. ruolo delle diagnosi neuroanatomiche 3. NEUROFISIOLOGIA/NEUROCHIMICA a. ruolo della chimica/interazione con il substrato b. ruolo delle diagnosi fisiopatologiche 4. MOLECOLARE a. ruolo della regolazione genetica e dell’interazione con il substrato b. ruolo dei progressi diagnostici su base eziologica 5. GENOTIPO a. ruolo dell’ereditarietà II. Diagnosi Le diagnosi non sono le malattie; una correlazione non equivale ad un rapporto di causa ed effetto. I casi in cui c’è potenziale eterogeneità eziologica e fisiopatologica (disturbi multifattoriali) sono complessi, creando difficoltà nella diagnosi e nell’impostazione del piano terapeutico. Ad esempio, non tutti i casi di “rincorrersi la coda” nel cane sono riferibili allo stesso meccanismo neurofisiologico di base. Le diagnosi di tipo funzionale, basate sulla descrizione degli eventi, sono suscettibili di ulteriori approfondimenti ai livelli esposti precedentemente nella tabella, la cui validità può essere verificata soprattutto con l’impiego di agenti farmacologici specifici e, meno facilmente, applicando le tecniche di modificazione del comportamento. Il procedimento logico per emettere diagnosi molto specifiche basate sulla descrizione del comportamento dell’animale è di: (a) elencare ed identificare singolarmente le manifestazioni del comportamento su cui si deve intervenire e (b) identificare le aree in cui lo specifico intervento comportamentale può essere utile. III. Raccolta dell’anamnesi (A) COMMENTI GENERALI SULL’ANAMNESI Il segnalamento è importante perché alcuni disturbi del comportamento sono influenzati dall’età, dal sesso e dallo stato riproduttivo. Inoltre, poiché sopravvivono molti pre- 11 giudizi sul legame tra la razza ed il comportamento che possono ripercuotersi sul giudizio del cliente e sulla sua tendenza a giustificare sempre e comunque il comportamento dell’animale, è essenziale sottolineare che la razza influisce sul disturbo comportamentale in misura minore di quanto comunemente stimato. Si deve sempre tener presente l’età del soggetto, poiché problemi clinici concomitanti possono rendere più difficile il trattamento del caso comportamentale. Inoltre, non è corretto né professionale somministrare farmaci psicotropi agli animali, soprattutto a pazienti anziani e/o debilitati, senza sottoporli ad un attento controllo clinico e a tutti gli accertamenti diagnostici ritenuti necessari. Alcune situazioni sono più ricorrenti in un sesso che nell’altro; ciò non significa che tutti gli individui appartenenti a quel sesso svilupperanno il problema, o che per questo il comportamento sia normale o accettabile, ma semplicemente che sono soggetti maggiormente a rischio per l’insorgenza di quello specifico problema. Lo studio della relazione esistente tra l’età a cui si effettua l’ovariectomia e lo sviluppo dei disturbi del comportamento correlati allo stato riproduttivo deve essere ulteriormente approfondito. (B) DATI DA RACCOGLIERE NELL’ANAMNESI 1. Motivazione per la richiesta di intervento A. Il cliente realizza la presenza di uno o più problemi B. Appuntamento fissato per altre ragioni 2. Il senso di colpa e responsabilità per il problema 3. Responsabilità principale nel prendersi cura dell’animale 4. Attività dell’animale A. Programma giornaliero B. Variazioni durante il fine settimana e le vacanze C. Ambiente famigliare ed aree di esercizio 5. Considerazioni cliniche A. Anamnesi clinica B. Disturbi clinici presenti allo stato attuale C. Farmaci somministrati 6. Descrizione delle manifestazioni del problema comportamentale A. Mimica facciale B. Posture C. Vocalizzazioni 7. Elenco degli eventi-problema A. Gli ultimi 3-4 episodi B. Gli episodi precedenti 8. Moduli dei comportamenti-problema A. Frequenza degli episodi B. Durata media di un episodio C. In che proporzione si verifica il problema se l’animale è esposto allo stimolo 9. Anamnesi 10. Trattamenti precedenti 11. Età di insorgenza e durata della condizione 12. Variazioni nei moduli del comportamento-problema 13. Composizione del nucleo famigliare 14. Considerazioni per l’inserimento in un nuovo nucleo famigliare o per l’eutanasia 15. Moduli dell’interazione proprietario-animale 16. Elementi tralasciati 12 Karen Overall PARTE SECONDA: DIAGNOSI DI ALCUNI DISTURBI COMPORTAMENTALI DEL CANE AGGRESSIVITÀ DEL CANE A. DEFINIZIONE: - L’aggressività dipende dal contesto, può essere appropriata o inappropriata, consiste in atteggiamenti di minaccia, sfida, o esibizione che si risolve infine con la lotta o la deferenza; in certi contesti l’aggressività può essere una risposta appropriata. - NOTA: i cani aggressivi NON dovrebbero mai essere descritti come “viziosi”, trattandosi di una connotazione tipicamente umana. B. INDICATORI DELL’INTENSITÀ DELL’AGGRESSIVITÀ: 1. statura, in ordine di reattività crescente: giacere a terra, seduto, ritto sulle zampe 2. vocalizzazione/atteggiamenti della bocca nell’ordine di aumentata aggressività: silenzio, abbaio, ringhio, sollevamento del labbro, brontolìo, morso C. CATEGORIE DI AGGRESSIVITÀ: 1. Aggressività materna 2. Aggressività da dolore 3. Aggressività ridiretta 4. Aggressività nel gioco 5. Aggressività possessiva 6. Aggressività sul cibo 7. Aggressività predatoria 8. Aggressività intraspecifica (in particolare tra maschi) 9. Aggressività da paura 10. Aggressività territoriale e protettiva 11. Aggressività da dominanza 12. Aggressività idiopatica D. DIAGNOSI DI AGGRESSIVITÀ AGGRESSIVITÀ MATERNA L’aggressività materna si verifica durante la gravidanza, la pseudociesi o al momento del parto. La madre può in modo corretto o meno percepire una minaccia e può manifestare l’intero repertorio di manifestazioni aggressive come ringhio, brontolio, tentativi di mordere (pizzicate) o morsi; durante le false gravidanze la cagna difende attivamente giocattoli e pupazzi. La madre generalmente avverte con un ringhio e tendenzialmente non morde a patto che non le si sottragga il cucciolo o il giocattolo. Se disturbata eccessivamente, la cagna può addirittura distruggere e mangiare i propri giocattoli o arrivare a fenomeni di cannibalismo nei confronti dei cuccioli. Quando i cuccioli sono svezzati o quando termina la pseudogravidanza, che dura circa due mesi, il comportamento aggressivo generalmente ha termine. Poiché i soggetti che presentano una pseudogravidanza sono a rischio per il ripetersi dell’evento, dovrebbero essere sottoposti ad ovariectomia. AGGRESSIVITÀ DA DOLORE L’aggressione può essere una risposta appropriata o meno al dolore. Un cane ferito può ringhiare, tentare di mordere (pizzicate); se in preda ad un dolore lancinante, come per un osso fratturato, il cane percepisce il morso come la sua unica risorsa. Una spinta energica sulle spalle o la groppa di un cane artritico o displasico, può causare dolore e, di conseguenza, aggressività da dolore. I bambini nella fascia d’età 18-36 mesi sono frequentemente chiamati in causa in questo tipo di aggressioni per la loro tendenza a giocare con i cani in modo pesante, associata alla loro mancanza di coordinazione nei movimenti e alla loro incoscienza. Inoltre, dato che sia i bambini che i cani possono manifestare comportamenti imprevedibili, è opportuno insegnare ad entrambi come interagire in modo appropriato. L’aggressività da dolore è ingiustificata quando è una risposta eccessiva in rapporto al dolore causato: il morso dovrebbe essere l’ultima risorsa nella comunicazione canina e non il primo. AGGRESSIVITÀ RIDIRETTA L’aggressività ridiretta viene spesso osservata quando un cane è sgridato o è punito. I cani possono ridirigere l’aggressività se interrotti nel corso di un’altra azione aggressiva (ad esempio tra cani). Essi in genere si rivolgono verso l’individuo più vicino, anche se estraneo all’azione iniziale. Se il cane presenta ripetutamente comportamenti aggressivi verso una persona in particolare, soprattutto a seguito di punizioni, si devono considerare le diagnosi differenziali di aggressività da paura e da dominanza. AGGRESSIVITÀ NEL GIOCO L’aggressività legata al gioco comporta abbaio, ringhio o tentativi di mordere (pizzicate) durante le fasi di gioco, Terapia dei problemi comportamentali arrivando a vere e proprie fasi di aggressività. Innanzitutto, si dovrebbe insegnare ai clienti a riconoscere i segni dei cambiamenti comportamentali, anche se talora sono veramente rapidi ed improvvisi, ad esempio distinguendo il ringhio “giocoso” (tono acuto, breve e ripetuto frequentemente) da quello di vera aggressività (tono grave e prolungato) o altri avvertimenti, come piloerezione nel collo, orecchie appiattite e pupille dilatate. Alcuni cani che manifestano aggressività da gioco semplicemente non hanno mai imparato a giocare in modo appropriato (cani abbandonati, mancanza di interazione con altri cani o persone, soprattutto nei rifugi per animali o nei canili). È molto importante consigliare ai proprietari di giocare con il cane in modo da aver sempre la situazione sotto controllo, fin da quando è un cucciolo; potrebbe infatti innescarsi un meccanismo per cui il cane tende a diventare sempre più aggressivo in quanto, anche inavvertitamente, il proprietario può rinforzare il suo comportamento inadeguato. AGGRESSIVITÀ POSSESSIVA I cani che manifestano questa forma di aggressività non rilasciano, su richiesta dei proprietari, giocattoli o oggetti in loro possesso; se si insiste, il cane risponde con ringhio, brontolio, tentativi di mordere (pizzicate) o morsi. Frequentemente, questi cani presentano l’oggetto per gioco ai piedi del proprietario, ma reagiscono bruscamente se questi si muove per recuperarlo. Si può controcondizionare questi cani a rilasciare gli oggetti, ma fino alla conclusione dello svolgimento del programma di modificazione del comportamento è più sicuro evitare lo scontro diretto. Un atteggiamento di sfida esagerata può segnalare il rischio dello sviluppo di aggressività da dominanza. AGGRESSIVITÀ SUL CIBO Nell’aggressività sul cibo il cane reagisce in modo inappropriato quando ci si avvicina mentre mangia, quando ci si avvicina o si retrocede dalla ciotola del cane, quando si recupera cibo caduto sul pavimento, e/o quando si sottrae al cane un osso o un biscotto. In genere, più elevata è la qualità del cibo (bocconcini, ossi veri e finti) più è marcata l’aggressione. Poiché l’aggressività sul cibo può essere un eccellente indicatore del pericolo potenziale dell’aggressività da dominanza, il veterinario può approfittarne per discutere con il cliente i segni precoci di questo disturbo comportamentale, il pericolo e la responsabilità ad esso connessi e l’importanza della prevenzione. L’aggressività legata al cibo risente direttamente dell’evoluzione della specie e quindi non deve sorprendere che sia estremamente difficile trattarla con successo. È pertanto preferibile evitare accuratamente di elicitarla: a questi cani non si dovrebbero mai dare ossi veri o finti, preferendo cibo o biscotti o bocconcini, somministrati solamente in un ambiente in cui non vengono disturbati (ad esempio al di là di una porta chiusa). Infine, si dovrebbe impedire ai bambini di maneggiare cibo in presenza del cane-problema. AGGRESSIVITÀ PREDATORIA L’aggressività predatoria si manifesta quando il cane insegue furtivamente, punta e/o insegue silenziosamente piccoli animali come uccelli, scoiattoli, gatti, altri cani e talvolta bimbi piccoli oppure oggetti in movimento come 13 biciclette e skateboard (attenzione, perché in quest’ultimo caso potrebbe essere un’aggressività territoriale). I cani che abbaiano e si lanciano all’inseguimento sono potenzialmente meno pericolosi di quelli che inseguono silenziosamente; infatti, trattandosi di una sequenza di caccia, non sempre la scelta su cosa o chi è la preda è appropriata. Un bimbo piccolo che piange o si agita può elicitare aggressività predatoria, comportandosi nello stesso modo di una preda ferita, muovendosi in modo scoordinato e urlando e lanciando gridolini acuti, spesso improvvisamente. Finché i bambini non raggiungono piena autonomia, non devono mai essere lasciati da soli con un cane, senza la sorveglianza di un adulto; comportamenti predatori verso i piccoli animali non hanno come diretta conseguenza che il cane reagirà in modo inappropriato con i bambini, ma che siamo di fronte ad una situazione di potenziale pericolo. AGGRESSIVITÀ INTRASPECIFICA L’aggressività intraspecifica è più diffusa tra cani dello stesso sesso ed è un disturbo comportamentale in cui la castrazione o l’ovariectomia precoce cambiano la situazione. Essendo una manifestazione dei conflitti gerarchici del cane, in genere diviene evidente alla maturità sociale (1824 mesi d’età); gli ormoni sessuali hanno il ruolo di sostegno fisiologico (facilitatori e promotori). Si possono osservare notevoli cambiamenti comportamentali persino se un cane più anziano che ha sempre lottato con altri maschi è castrato. I veterinari dovrebbero avvertire i proprietari, comunque, che se il disturbo è presente da molto tempo, gran parte del comportamento è stato appreso; la castrazione può ancora abbassare la soglia della reattività dell’animale, ma non agirà sulla componente appresa. La terapia di scelta è un’imponente modificazione del comportamento abbinata alla castrazione. AGGRESSIVITÀ DA PAURA L’aggressività da paura è il tipo di aggressività più frequente dopo l’aggressività da dominanza osservata alla Behavior Clinic al Veterinary Hospital della University of Pennsylvania costituendo il 10% del numero totale di casi comportamentali. Si verifica quando una persona si sposta verso il cane, quando qualcuno si avvicina al cane è, quando il cane è nell’ambulatorio veterinario, o quando lo si sgrida. I cani con aggressività da paura ringhiano, tentano di azzannare o mordono quando sono spaventati e cercano di evitare la situazione retrocedendo; molti cani ringhiano finché non sono messi alle strette, quindi mordono. Normalmente, invece, il cane che è spaventato mette la coda tra le gambe, si acquatta e si nasconde. I cani che sono sottoposti a prolungate e dolorose terapie, possono reagire all’approccio del veterinario. Anche l’uso inappropriato della punizione può rendere un animale aggressivo per paura; questi cani associano l’avvicinarsi della persona all’esperienza della punizione, piuttosto che associarla all’azione inappropriata. Infine, può anche essere indotta da eventuali atti di crudeltà ad opera dell’uomo; in questi casi i cani possono addirittura essere degli indicatori per un potenziale abuso dei bambini da parte degli adulti, senza contare che i bambini che hanno subito violenza sono a rischio per ulteriore abuso dei cani. 14 Karen Overall AGGRESSIVITÀ TERRITORIALE E PROTETTIVA La maggior parte degli animali è in qualche misura “territoriale”. I territori possono essere fluttuanti, temporanei, stagionali o più stabili. L’aggressività territoriale è la conseguenza della protezione di un luogo come se fosse il proprio territorio. Alcuni cani diventano territoriali nelle vicinanze della propria cesta o del luogo dove dormono; altri mantengono una distanza di sicurezza difendendo accanitamente lo spazio intorno a sé. Spazi ristretti, come le automobili, le gabbie o quello concesso dalla lunghezza della catena nei cani che sono legati, possono intensificare questo comportamento (ad esempio, quando si è al distributore di benzina o al casello autostradale). L’aggressività territoriale è più evidente quando il cane è nel proprio giardino o cortile e passano una persona o un altro cane, o quando il cane è in casa e un estraneo bussa alla porta o entra nella stanza. La maggior parte, se non tutti, abbaiano per avvisare o annunciare un visitatore; il problema nasce quando il cane rifiuta di smettere di abbaiare su comando del proprietario, intensificando difesa ed aggressività al punto da non consentire al visitatore di entrare. La caratteristica saliente dell’aggressività territoriale è che il cane non è aggressivo quando è rimosso dal proprio territorio. I cani con aggressività territoriale non dovrebbero mai essere lasciati da soli, nella proprietà, rinchiusi o a fare la guardia senza la supervisione dell’uomo. L’aggressività protettiva si verifica quando il cane avverte che il proprietario è minacciato senza alcuna minaccia effettiva. Questo può verificarsi quando un estraneo è alla porta o sta entrando in casa, o quando il cane è in macchina, quando qualcuno alza la voce con il proprietario o se lo abbraccia o gli si avvicina con eccessiva esuberanza, anche solo per scherzo. Ciò che distingue la vera aggressività protettiva è che si verifica quando non c’è una minaccia reale e il cane reagisce in modo inappropriato e al di fuori del contesto. Al contrario, è accettabile che il cane sia vigile ed attento, pronto a difendere il proprietario in caso di necessità. AGGRESSIVITÀ DA DOMINANZA L’aggressività da dominanza è la forma di aggressività più ricorrente presso la Behavior Clinic al Veterinary Hospital della University of Pennsylvania, costituendo il 19% di 325 casi di disturbi comportamentali del cane osservati dal 1987 ad oggi. Gran parte della letteratura a disposizione sull’argomento consiglia di mettersi al vertice della gerarchia canina, come cane alpha o cane dominante. Questa è una semplificazione. I sistemi sociali del cane e dell’uomo sono piuttosto simili e hanno gerarchie sociali piuttosto instabili, fondate sul principio della deferenza; la maggior parte dei cani è istintivamente deferente verso l’uomo e questo atteggiamento è in seguito rinforzato con l’addestramento. Alcuni cani, invece, contestano il ruolo di “capo” svolto dall’uomo e non possono accettare di non essere il “dominante”. Il problema è in realtà il cane di per sé e non è sempre e solo causato dalla condotta errata del proprietario; anzi, se il proprietario sceglie di imporsi sul cane con la forza o con le punizioni fisiche, può peggiorare la situazione. Il proprietario può anche inavvertitamente rinforzare il comportamento inappropriato, sottomettendosi al cane fin dalle fasi iniziali della sfida, che non viene riconosciuta come tale. Ecco perché è così importante saper interpretare i messaggi della segnaletica canina e conoscere il comportamento normale della specie. L’esordio dell’aggressività da dominanza è correlato alla maturità sociale (18-24 mesi). Può comparire se il proprietario si avvicina o disturba il cane mentre sta mangiando, giocando con oggetti, o dormendo. Il cane dominante può reagire se lo si scavalca, lo si spinge via dal divano o dalla cuccia, ci si sposta verso di lui, gli si mette il guinzaglio o si preme sulle sue spalle o sulla groppa, quando gli si puliscono le zampe o quando lo si fissa negli occhi. Alcuni cani reagiscono aggressivamente ad essere rovesciati sulla schiena; altri, quando sono sgridati o sono corretti nella condotta al guinzaglio. Un cane dominante e aggressivo cerca di stare sopra il proprietario, o il presunto sfidante, o premere od appoggiarvisi contro. In definitiva, il cane vuole il controllo di ogni situazione che non è necessariamente legata alla gerarchia. È molto interessante notare che circa il 90% dei cani con problemi di aggressività da dominanza sono maschi. Sfortunatamente, la castrazione non è un intervento terapeutico o preventivo che risolva completamente l’aggressività da dominanza, ma può essere un valido aiuto in un programma di trattamento. AGGRESSIVITÀ IDIOPATICA Il comportamento aggressivo del cane non è provocato, è imprevedibile, violento ed incontrollato; alcuni proprietari riferiscono che il cane ha uno sguardo da indemoniato. Altri segni possono essere bava alla bocca e contrazioni tonico-cloniche, tipiche delle crisi convulsive. Il cane può attaccare le persone con violenza o accanirsi contro oggetti di vario genere, anche mobili. Questa forma di aggressività sembra comparire più spesso in cani che hanno da 1 a 3 anni, rendendo difficile la diagnosi differenziale con l’aggressività da dominanza. Lo studio dell’aggressività idopatica è complicato dal fatto che non può essere riprodotta sperimentalmente. I segni dell’aggressività idiopatica sono stati rilevati da diversi ricercatori: Dr. Beaver della Texas A&M University (Mental Lapse Syndrome); Dr. Hart della University of California/Davis (Idiopathic Viciousness). Altri hanno denominato il disturbo “Spaniel Rage”, in quanto si riteneva fosse tipico della razza Springer Spaniel; si dimostrò in seguito come si trattasse, nella maggior parte dei casi di aggressività da dominanza. E. RUOLO DEGLI ORMONI - SESSO E AGGRESSIVITÀ Nel maschio, come già accennato, la castrazione non è un intervento terapeutico o preventivo che risolve completamente l’aggressività da dominanza, ma può essere una componente importante di un piano terapeutico. Il testosterone agisce come un modulatore del comportamento, facendo sì che i cani reagiscano ad uno stimolo più intensamente, più rapidamente e più a lungo. Ad esempio, se il cane sta reagendo ad un estraneo o ad un altro cane, inizierà prima ad abbaiare, ringhiare o mordere e continuerà più a lungo di un cane castrato. È importante rendersi conto del fatto che il comportamento aggressivo è anche appreso e viene rinforzato durante ciascun episodio di aggressività. Per questo motivo, castrare un cane aggressi- Terapia dei problemi comportamentali vo ad una certa età può non essere così efficace come quando si interviene precocemente. Una volta che si è ridotta con la castrazione la componente chimica della risposta, si deve correggere il comportamento appreso, con un programma specifico di trattamento. Nella femmina, i clienti frequentemente associano l’esordio dell’aggressività all’ovarioisterectomia. Poiché la maggior parte delle forme di aggressività inizia con la maturità sociale (18-36 mesi), se le cagne sono operate dopo 1-2 calori, la comparsa delle manifestazioni aggressive e l’intervento tendono a coincidere (Borchelt, 1983; Borchelt e Voith, 1986; Voith e Borchelt, 1982), generando confusione. Un riesame dei dati di Borchelt dimostra che quando si confrontano sesso e stato riproduttivo (maschio intero, femmina intera, maschio castrato, femmina ovariectomizzata) e aggressività da dominanza, da paura, protettiva, predatoria e possessiva, la sola categoria per la quale le femmine operate sono più aggressive di quelle non operate è l’aggressività possessiva. Poiché in questa indagine gli individui non sono stati seguiti nel tempo, è anche possibile che le femmine, di cui sono noti i profili comportamentali, possano diventare più aggressive dopo la sterilizzazione. O’Farrell e Peachey (1990) osservarono nel tempo 3 gruppi di cagne divise in base all’età (inferiore o uguale a 11 mesi, da 12 a 24 mesi, superiore o uguale a 24 mesi). Un gruppo di controllo di cagne non sterilizzate fu confrontato per età e razza con un gruppo di cagne sterilizzate. Sfortunatamente, questi gruppi non erano identici in termini di età di acquisizione, esposizione ad estrogeni sintetici ed esperienze precoci. Quando si esaminarono gli individui per ciascun gruppo d’età (livello di aggressività aumentato, invariato, diminuito), non c’era una differenza significativa tra le frequenze di cagne sterilizzate e non sterilizzate. O’Farrell e Peachey indagarono quindi nei gruppi di età e confrontarono femmine sterilizzate contro non sterilizzate per tre classi di cani: quelli con aumento di aggressività contro nessun cambiamento, cani con un aumento di aggressività contro quelli con una diminuzione, e quelli con nessun cambiamento nell’aggressività contro quelli con una riduzione. La scoperta interessante fu che per i cani nel gruppo di età inferiore o uguale a 11 mesi che erano stati operati, l’aggressività aumentò più frequentemente di quanto diminuì, suggerendo che soltanto per alcune sottopopolazioni di femmine operate precocemente l’intervento comporta un aumento dell’aggressività. Tuttavia, questo è un risultato che giustifica ulteriori indagini, poiché nel risultato del confronto con altri gruppi non c’era una differenza statisticamente significativa tra le classi comportamentali all’interno dei gruppi di età. Ci si domanda se questi cuccioli di sesso femminile, che mostrano precoce e profonda aggressività da dominanza, possano essere mascolinizzati in utero e possa questo fatto giustificare che il solo gruppo che diventò più aggressivo dopo l’intervento era quello con cuccioli di 11 mesi di età o più giovani che avevano già mostrato aggressività. Per ottenere maggiori informazioni sull’argomento, si potrebbero raccogliere i dati sull’ordine di nascita e sul sesso dei cuccioli intervenendo con il taglio 15 cesareo alla nascita o utilizzando apparecchi ad ultrasuoni. Una ricerca di questo genere, nonostante l’ingente lavoro richiesto nel valutare molte cucciolate, potrebbe essere di estremo interesse. F. PROGNOSI È progressivamente sfavorevole in relazione a: a. più precoce è stato l’esordio b. da quanto più tempo è presente il disturbo c. tanto più intensi o frequenti gli episodi di aggressività, specialmente se l’intensità o la frequenza aumentano col tempo G. CURA CONTRO CONTROLLO 1. Esigenze del nucleo familiare 2. Sicurezza 3. Responsabilità 4. Valutazione del rischio 5. Considerazione dei fattori meno noti 6. L’alternativa dell’inserimento in un nuovo nucleo famigliare Di “aggressività”, come di diabete, non si guarisce, ma il disturbo può essere efficacemente controllato in molti casi. In un’analisi retrospettiva di casi di aggressività esaminati al Veterinary Hospital della University of Pennsylvania, la collaborazione e l’impegno del cliente sono risultati determinanti per il successo terapeutico. A questo proposito, per verificare la validità dei risultati raggiunti, si considera il livello di miglioramento del cane, la sua posizione nel nucleo famigliare ed il grado di soddisfacimento del proprietario, piuttosto che avere valori fissi di riferimento. Occorre essere realistici nelle aspettative, circa gli obiettivi raggiungibili, e consapevoli del potenziale pericolo e della responsabilità che ne derivano. È disonesto e persino rischioso garantire l’assoluta ed incondizionata affidabilità di qualsiasi cane, ed in particolare, quelli trattati per aggressività. Infine, un cane che ha concluso la terapia può avere ricadute, se il cliente non continua a rinforzare i comportamenti appropriati del cane. Ad esempio, nel caso di cani con aggressività da dominanza, si consiglia di non permettere mai al cane di controllare le situazioni. Finché i clienti non ricevono un aiuto qualificato, si dovrebbero evitare le circostanze che elicitano le risposte aggressive, ed anche se l’intervento terapeutico consente di desensibilizzare il cane in tali occasioni, evitarle è comunque sempre la chiave per ridurre al minimo le conseguenze. PAURE, ANSIE, FOBIE, E STEREOTIPI (DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI) (A) Introduzione Paure, fobie, ansie e stereotipi o disturbi ossessivo-compulsivi sono tra i disturbi comportamentali più complessi da diagnosticare e trattare. La paura e l’ansia sono probabilmente strettamente correlate, ma non hanno lo stesso meccanismo neurofisiologico di base. Questo concetto è 16 Karen Overall importante, perché se è vero che la diagnosi è di tipo funzionale, questi disturbi sono poi trattati non solo a questo livello ma, usando farmaci psicotropi, anche a livello neurofisiologico. (B) Definizioni Le definizioni proposte hanno lo scopo di chiarire i concetti alla base dei disturbi comportamentali presentati successivamente: COMPORTAMENTO ANORMALE: Attività che evidenziano una disfunzione nelle azioni e nel comportamento. PAURA: Un senso di apprensione associato alla presenza o alla vicinanza di un singolo oggetto, individuo, situazione sociale o generalizzato al loro intero gruppo di appartenenza. La paura è una componente normale del comportamento e può essere una risposta adattativa; si decide se la paura o la risposta legata alla paura sono anormali o inappropriate in base al contesto. Per esempio, il fuoco è uno strumento utilissimo, ma la paura di essere arsi vivi in un incendio è una risposta adattativa; il temere costantemente il fuoco quando è un pericolo inesistente la rende maladattativa. Si tratta in genere di risposte graduate, con un’intensità proporzionale alla vicinanza od alla percezione della vicinanza dello stimolo. FOBIA: Una risposta improvvisa, del tipo tutto-oniente, intensa, anormale, immediata ed eccessivamente ansiosa, che determina comportamenti legati alla paura (catatonia, panico). Le fobie in genere si sviluppano rapidamente, a differenza della paura, che è più graduale; inoltre, negli episodi di comportamento legato alla paura, la risposta può essere più variabile che in una fobia. È stato ipotizzato che una volta che l’evento fobico è stato provato, qualsiasi evento associato ad esso od anche al suo ricordo è sufficiente ad indurre la risposta. L’animale cerca di evitare a qualsiasi costo queste situazioni, o se inevitabili, le vive con intensa ansia o disagio. ANSIA: L’ansia è l’anticipazione apprensiva del futuro pericolo o disagio, accompagnata da un senso di disforia (nell’uomo) e da una sintomatologia che è somatica oltre che comportamentale (vigilanza ed esplorazione, iperattività del Sistema Nervoso Autonomo, aumentata attività motoria e tensione). Il fulcro alla base dell’ansia può essere interno o esterno all’individuo. ATTIVITÀ RIDIRETTA: Spostare un’attività dall’obiettivo principale e rivolgerla ad un altro obiettivo, meno appropriato. Nell’attività ridiretta, al contrario che in quella di sostituzione, il comportamento è dello stesso tipo del comportamento interrotto. STEREOTIPO: Una sequenza ripetitiva, relativamente invariata di movimenti che non hanno uno scopo o una funzione evidente, ma di solito derivano da comportamenti normali (per esempio la toelettatura, il nutrirsi, il camminare) (Luesher ed al., 1991). Intrinseco della classificazione della disfunzione è che il comportamento interferisce con le normali funzioni comportamentali. DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO: Si tratta di comportamenti anormali che hanno come caratteristiche ricorrenti, frequenti pensieri o azioni che sono al di fuori del contesto delle situazioni in cui si verificano. Questi comportamenti possono determinare rituali cognitivi o fisici, e sono ritenuti esagerati, nel contesto, per durata, frequenza ed intensità del comportamento. Una delle caratteristiche di questa condizione che la distingue dai tic motori, eccetera, è che la sindrome ossessivo-compulsiva segue una serie di regole create dal paziente. La condizione negli animali domestici è probabilmente simile ed analoga ed annovera le stereotipie, i comportamenti diretti verso se stessi, eccetera. Per acquisire carattere di anormalità il comportamento deve essere così marcato da interferire con le normali attività quotidiane. ANSIA DA SEPARAZIONE: Quando gli animali manifestano i sintomi dell’ansia o di disagio eccessivo se sono lasciati da soli; comunque, i comportamenti più comunemente presentati (eliminazione delle deiezioni, distruzione, eccessive vocalizzazioni) sono solo i segni più evidenti dell’ansia; bava alla bocca, respiro affannoso ed altri sono probabilmente presenti anche se non possono essere osservati direttamente. (C) Condizioni di rilievo 1) ANSIA DA SEPARAZIONE: L’ansia da separazione è segnalata principalmente in due categorie di cani: cani giovani inseriti in famiglia in seguito ad adozione (cani abbandonati per strada, cani riscattati dai rifugi per animali, cani da esperimento adottati dai laboratori) e cani, in genere più anziani, che vivono drastici cambiamenti familiari, come l’allontanamento da casa dei figli dei proprietari per esigenze di studio, una nuova carriera per uno dei coniugi o più semplicemente si verifica una variazione nel numero di persone che restano a casa durante la giornata e/o la quantità di tempo che dedicano al cane. Non vi è predisposizione di età, sesso o razza; segni caratteristici sono distruttività talora associata a urinazione, defecazione e/o a vocalizzazioni (ululato e abbaio) quando l’animale è lasciato da solo. Questi comportamenti sono in genere più intensi entro i primi 20-30 minuti dal momento della partenza del proprietario e si ripetono ogni volta che il cane è lasciato da solo, indipendentemente dalla durata dell’assenza. Se il cane è particolarmente legato ad un famigliare, il disturbo può verificarsi solo quando si allontana. In genere non c’è un fattore scatenante, ma talvolta il comportamento può essere indotto da un evento spaventoso (ad esempio il cane catturato nel corso di un incendio). È importante sottolineare che punire il cane peggiora la situazione, creando i presupposti razionali della paura di essere lasciato da solo e predisponendo all’aggressività da paura. I proprietari devono capire che il cane è letteralmente preso dal panico e non è normale durante questi episodi. Recenti studi negli attacchi di panico e nelle fobie dell’uomo indicano che non è l’evento o la circostanza, di per sé, che è responsabile del protrarsi e di solito del peggioramento degli attacchi, ma piuttosto il ricordo di cosa si prova durante gli attacchi stessi. Questo suggerisce che i farmaci anti-ansiogeni (amitriptilina HCl) sono utili nel controllo Terapia dei problemi comportamentali del disturbo, costituendo la fase cruciale nell’interrompere il ciclo ed insegnare al cane comportamenti più appropriati. Come per tutti gli altri farmaci impiegati in terapia comportamentale è inopportuno somministrarli senza i necessari controlli clinici ed eventuali esami di laboratorio e soprattutto in assenza di applicazione delle tecniche di modificazione del comportamento. Si deve insegnare a questi animali a non associare le proprie reazioni ai segnali che i proprietari involontariamente inviano quando escono (prendere le chiavi, borse e valigette, indossare giacche e cappotti), ma a rilassarsi e ad imparare che l’essere lasciati da soli può essere un’esperienza piacevole anziché drammatica. Quest’ultimo punto può solo essere ottenuto con programmi specifici di desensibilizzazione. Finché il cane non è in grado di essere lasciato da solo per 30-60 minuti consecutivi, sarebbe preferibile lasciarlo in un posto piccolo e rassicurante e reso confortevole (rinchiuso in una stanza o addirittura in una gabbia). Il cane deve avere a disposizione giocattoli, acqua, cibo; si dovrebbero lasciare accesi le luci, il televisore, la radio. Occasionalmente gli animali non rispondono alla terapia farmacologica o alla modificazione del comportamento; per costoro i pet-sitter, ovvero persone di fiducia cui affidare il cane nei momenti di necessità, potrebbero essere una valida alternativa. 2) DISTURBI OSSESSIVO-COMPULSIVI (CANI E GATTI) 1. 2. 3. 4. 5. Movimenti in circolo Rincorrersi la coda Correre lungo le recinzioni Acchiappare mosche inesistenti Auto-mutilazioni (Granuloma Acrale da Leccamento, Dermatiti Neurogene) 6. Mordicchiarsi il pelo 7. Pica 8. Camminare segnando il passo (pacing)/ruotare velocemente su se stessi (spinning) 9. Sguardo fisso e vocalizzazioni 10. Alcune forme di aggressività 11. Vocalizzazioni dirette a se stessi 12. Succhiare/masticare la lana (D) Elementi di rilievo nella raccolta dell’anamnesi - Sesso, razza ed età dell’animale (predisposizione di razza) - Età di insorgenza del disturbo comportamentale/ reclamo dei proprietari - Durata del disturbo comportamentale/reclamo dei proprietari - Descrizione del comportamento 17 - Frequenza della condizione-problema/comportamento (ogni ora, giornaliero, settimanale, mensile) - Durata media dell’episodio (secondi, minuti, ore) - Intervallo tra gli episodi - Qualsiasi cambiamento nel modulo, frequenza, intensità e durata dell’episodio - Qualsiasi misura correttiva tentata e la risposta che ne consegue (possibilmente nessuna) - Qualsiasi attività che blocca il comportamento - Anamnesi famigliare dell’animale - Qualsiasi altro elemento che il cliente ritenga sia rilevante (E) Punti chiave della terapia 1. Identificare qualsiasi stressore effettivo e verificare le ipotesi che sono implicate 2. Servirsi della modificazione del comportamento per incoraggiare: (a) l’interruzione del comportamento inappropriato, (b) il rilassamento generale che sarà in competizione con il comportamento indesiderato e favorirà le alterazioni nei neurotrasmettitori, e (c) insegnare all’animale nuovi comportamenti che lo aiutano a svolgere i punti (a) e (b) spontaneamente. 3. Servirsi dell’intervento farmacologico come un aiuto nello svolgimento della modificazione del comportamento e per intervenire sulle presunte basi fisiopatologiche. Ciò significa che più è specifico il meccanismo del farmaco, più si è in grado di verificare la validità dell’ipotesi diagnostica iniziale; inoltre, l’impiego razionale del farmaco e la comprensione del suo meccanismo d’azione, permette di scegliere i farmaci più adatti per il singolo caso clinico. 4. Gli esami richiesti prima della somministrazione dei farmaci sono emocromo, profilo enzimatico, elettrocardiogramma (se possibile); si deve accertare ed escludere qualsiasi componente medica (somatica o organica). (F) Elementi in corso di valutazione A. Ruolo dello stress 1. Effettivo o percepito 2. Gestione dello stress B. Ereditarietà 1. Interazioni genotipo × ambiente 2. Manifestazioni fenotipiche rispetto a molecolari 3. Prevenzione/fasi precoci C. Fonti informative 1. Osservazione del comportamento 2. Deduzioni valide 3. Verifica delle ipotesi a. Comportamentale (Livello 1) b. Neuroanatomico/Funzionale (Livello 2) c. Farmacologico (Livello 3) d. Coltura cellulare/manipolazione genetica/prodotti genetici (Livello 4) e. Identificazione dei marcatori e dei geni (Livello 5). 18 Karen Overall PARTE TERZA: DIAGNOSI DI ALCUNI DISTURBI COMPORTAMENTALI DEL GATTO DISTURBI ELIMINATORI I disturbi comportamentali più comuni del gatto riguardano un comportamento eliminatorio inappropriato, che può esprimersi nei modi seguenti: avversione per il substrato o la sede di eliminazione, preferenza per il substrato o la sede in cui urinare, defecare, o entrambi, e marcare il territorio con urina (spruzzi). L’analisi di questa serie di disturbi comportamentali richiede sempre il supporto di un accurato controllo clinico. 1. Può essere difficile distinguere l’avversione dalla preferenza per il substrato o la sede, così come non si può sempre risalire alla causa; il gatto sceglie comunque un’altra sede o un altro substrato per depositare le deiezioni. Nei casi in cui si è stabilita un’avversione in seguito ad eventi traumatizzanti, alcuni proprietari riferiscono che il gatto soffia, ringhia, si muove furtivamente o presenta piloerezione quando si trova vicino alla cassetta igienica o all’area di eliminazione. Per gatti particolarmente sensibili, il vomito o la diarrea, propri o di un compagno, possono portare allo stesso risultato. L’avversione per la sede è più frequentemente correlata a situazioni di paura o di dolore. La preferenza per il substrato su cui depositare le deiezioni, ovvero la scelta di un substrato diverso dalla propria lettiera, è molto diffusa, soprattutto tra i gatti a pelo lungo. Sebbene la tendenza sia verso substrati più morbidi (lenzuola, biancheria intima, tappetini da bagno, borsa di plastica per i rifiuti), alcuni prediligono invece aree aperte e riflettenti come il linoleum, i pavimenti di legno, piastrelle e vasche da bagno, che ricordano le condizioni di eliminazione delle deiezioni dei progenitori e dei Felidi selvatici. Il problema può nascere spontaneamente o essere indotto. Ad esempio, una cassetta igienica non sottoposta alle abituali operazioni di pulizia o uno stato di malattia (cistite, diarrea) possono portare il gatto ad eliminare occasionalmente su un substrato che può diventare una piacevole alternativa a quello normalmente utilizzato. Il trattamento include modificazioni ambientali e comportamentali, nonché l’intervento farmacologico. Innanzitutto, si procede ad un attento esame clinico, completato da un esame dell’urina o delle feci e da un eventuale esame ematologico. Si è stimato che oltre un terzo dei gatti con preferenza per il substrato che non rispondono al trattamento, o dopo un’iniziale risposta positiva alla terapia comportamentale hanno una ricaduta, soffrono di urolitiasi manifesta od occulta. Nel caso sia diagnosticata effettivamente una patologia, si devono suggerire comunque al cliente modificazioni ambientali e comportamentali oltre alla terapia classica, poiché il malessere fisico potrebbe favorire una variazione delle abitudini eliminatorie del gatto. Riguardo alle modalità di correzione del disturbo, oltre alla pulizia accurata della cassetta e il cambio regolare della lettiera, si consiglia di allestire una cassetta igienica con un substrato gradito al gatto che può essere posizionata nella nuova area scelta per le deiezioni. Se il gatto inizia a servirsene, si inizia a spostarla molto gradatamente (nell’arco di qualche settimana), verso una sede più appropriata. In caso contrario, si possono posizionare alcune ciotoline contenenti cibo nelle aree colpite (controcondizionamento), poiché di solito, anche se non sempre, i gatti non eliminano nelle aree di alimentazione; ciò è fattibile solo nel caso in cui si debba agire su poche sedi. Se è possibile, modificare l’arredamento in modo da coprire la sede scelta dal gatto; se il gatto cambia sede, ciò suggerisce la concomitante presenza della preferenza per il substrato. Un’alternativa è una temporanea limitazione dello spazio disponibile e il graduale reinserimento del gatto nell’ambiente. Infine, si rammenti che le operazioni di pulizia devono essere effettuate in modo scrupoloso ed efficace, al fine di eliminare qualsiasi traccia odorosa; in alcuni casi si rende addirittura necessaria la sostituzione della moquette o degli strati di isolante del pavimento. 2. La marcatura del territorio con urina può essere effettuata dal maschio e dalla femmina, da soggetti interi o castrati. Il cliente spesso confonde gli spruzzi di urina con l’urinazione vera e propria, per cui è opportuno chiedergli di descrivere le posizioni assunte dal gatto e di osservare le localizzazioni. Se il gatto è ritto sulle quattro zampe e dimena la coda soddisfatto, sta emettendo spruzzi di urina. Caratteristicamente si rinvengono spruzzi sulle superfici verticali, ma talora anche al centro di una superficie orizzontale, come un letto. Si devono però sempre esaminare scrupolosamente tutte le superfici, perché una sola chiazza al centro, ma non altrove, non indica che è marcatura del territorio. Gli spruzzi di urina sono provocati dalla stimolazione ormonale, dall’arrivo di un nuovo animale in casa o addirittura semplicemente dalla vista di un gatto estraneo dalla finestra o attraverso una porta, da cambiamenti stagionali e talora da eventi compresi solo dai gatti. Riguardo al trattamento, si deve seguire il protocollo precedentemente presentato, anche se la chiave terapeutica è farmacologica. Terapia dei problemi comportamentali Innanzitutto, si deve escludere qualsiasi causa organica (patologie del tratto urinario, cistite, urolitiasi, ostruzioni, anomalie anatomiche). Quindi, si può somministrare diazepam, che, quando usato correttamente, controlla gli spruzzi di urina nel 75-90% della totalità dei gatti. Alcuni gatti richiedono il trattamento con diazepam per alcuni giorni, altri a livello stagionale, altri per sempre. Alcuni gatti che non reagiscono al diazepam possono rispondere ad una benzodiazepina con un’emivita più lunga, come il clorazepato dipotassico. Altri farmaci utili possono essere gli antidepressivi triciclici, in alcuni casi di gatti che marcano con urina o che hanno avversione per la cassetta igienica o sono in uno stato ansioso legati alla propria posizione sociale. Si fa riferimento all’amitriptilina ed al suo metabolita intermedio, nortriptilina, mentre la clomipramina può essere un prodotto particolarmente valido per gli spruzzi di urina. Sono in corso studi sull’argomento. Il buspirone ha dato buon esito nei casi di in cui le benzodiazepine e/o i progestinici hanno fallito, nel controllo della marcatura con urina, anche in soggetti in cui il disturbo è associato ad aggressività intraspecifica. I progestinici devono essere l’ultima risorsa, a causa degli effetti collaterali e della ridotta efficacia rispetto agli altri agenti farmacologici. Il 50% dei gatti che non reagisce al diazepam risponde sia al megestrolo acetato che al medrossiprogesterone acetato, mentre circa il 50% dei gatti che non ha risposto al diazepam né ad uno dei due progestinici, risponderà probabilmente all’altro progestinico. Il nuovo trattamento a base di un composto sintetico analogo del secreto delle ghiandole del mento del gatto (Feliway TM; Abbott Laboratories) promette abbastanza bene per il trattamento dell’emissione di spruzzi di urina se il problema è insorto recentemente ed è correlato all’introduzione di un nuovo individuo (uomo o animale) o all’alterazione degli odori nell’ambiente. La ricerca in questo campo è complicata dalle modalità di applicazione del feromone e dalla prudenza nell’intepretazione dei risultati. Allo stato attuale, l’unico studio rigorosamente scientifico che ha testato il Feliway per il trattamento della marcatura con urina (Frank, D., et al., 1998, in stampa) ha evidenziato che in molti casi vi è una riduzione statisticamente significativa del disturbo, ma pochi gatti se non addirittura nessuno, hanno cessato l’emissione degli spruzzi contemporaneamente. Ciò è plausibile se vi è una componente di ansia oltre all’implicazione dei feromoni. In molti casi l’impiego concomitante degli agenti feromonali e i farmaci anti-ansiogeni può determinare una risoluzione più rapida del disturbo. Se nessuno dei farmaci proposti e le modificazioni del comportamento è efficace, o se il cliente non desidera somministrare farmaci ai gatti, vi sono pochi altri rimedi. Spesso, può essere d’aiuto il concedere la libera uscita ai gatti, che si può tentare soprattutto se l’alternativa è l’eutanasia. Per concludere, alcuni consigli generali. Innanzitutto i gatti che non rispondono a quanto suggerito precedentemente devono nuovamente essere controllati sotto il profilo clinico, in quanto molte patologie non sono facilmente identificabili. Secondariamente, i nuclei famigliari con più di un gatto possono avere più problemi, oltre al fatto che è spesso difficile riconoscere il vero colpevole. Nelle case in 19 cui ci sono 10 o più gatti la probabilità che qualcuno, e forse più di uno, spruzzi in qualche parte della casa è del 100% (Vedi Marder, 1991). Inoltre, nel caso di una famiglia con più gatti, la ragione per cui il gatto, soprattutto il gattino, non si serve della cassetta igienica può risiedere in un’azione di disturbo da parte di qualche altro gatto (tenere sempre d’occhio i soggetti di rango più elevato) o essere legata ad un insufficiente numero di cassette igieniche. AGGRESSIVITÀ DEL GATTO Il sistema sociale dei gatti si differenzia da quello dei cani essenzialmente per il grado in cui prevalgono attività solitarie rispetto a quelle sociali. I sistemi sociali dei Felidi e lo sviluppo dei periodi sensibili del gatto, argomenti proposti nella prima parte del lavoro, giustificano i diversi tipi di aggressività documentati in questa specie. L’aggressività del gatto include: - Aggressività da scarsa socializzazione - Aggressività nel gioco - Aggressività intrespecifica: la più diffusa è tra gatti maschi - Aggressività territoriale - Aggressività da paura - Aggressività materna - Aggressività ridiretta - Aggressività predatoria - Aggressività relativa allo stato sociale AGGRESSIVITÀ DA SCARSA SOCIALIZZAZIONE I gatti che non hanno avuto contatti con l’uomo prima dei 3 mesi d’età sono privi del corretto approccio comportamentale con le persone che si sviluppa nei periodi sensibili; inoltre, una carenza o assenza della socializzazione con altri gatti può non solo ripercuotersi negativamente sui rapporti tra gli individui della stessa specie, ma comportare conseguenze negative sull’interazione con l’uomo. Questi quadri di deprivazione sociale possono essere alla base di molte delle aggressioni osservate nei gatti che vivono liberi nelle città. Questi gatti non saranno mai normali, teneri animali da compagnia da coccolare, sebbene possano affezionarsi ad una o poche persone col passare del tempo. Se costretti a vivere una condizione di restrizione, costrizione o di contatto molto stretto con l’uomo, possono diventare molto aggressivi. AGGRESSIVITÀ NEL GIOCO Spesso i gatti svezzati precocemente ed allevati esclusivamente dall’uomo non imparano a modulare le proprie risposte nel gioco, giocando quindi in modo addirittura aggressivo con le persone (senza retrarre le unghie o inibire il morso). Nel gatto il gioco sociale raggiunge il suo picco massimo precocemente ed è quindi sostituito da attività marcatamente predatorie entro le 10-12 settimane d’età e dal combattimento sociale entro le 14 settimane. In condizioni naturali, la madre corregge appropriatamente il piccolo, quando questi è esageratamente esuberante. È ovviamente impossibile sostituirsi alla madre vera, ma se il proprietario, superando il timore di far del male al gattino, 20 Karen Overall tenta di mimare il comportamento materno, il gattino impara a giocare più correttamente. Se nonostante tutto il problema insorge, si può intervenire con le tecniche di modificazione del comportamento. AGGRESSIVITÀ INTRASPECIFICA L’aggressività intraspecifica è comune tra i gatti maschi, fondata in gran parte sui conflitti per la posizione nella gerarchia sociale piuttosto che sugli scontri sessuali. Lo schema di aggressione prevede orecchie appiattite, brontolii, soffi, piloerezione, sguardo minaccioso, denti e unghie ben in mostra. La castrazione precoce (prima dei 12 mesi d’età) riduce o previene le lotte del 90%, considerando il ruolo degli ormoni in questo tipo di aggressività. I problemi maggiori insorgono quando un gatto non accetta l’invito alla competizione dello sfidante. Le risposte comportamentali sono aggressività passiva, aggressività attiva e marcatura del territorio. Gatti che si considerano più o meno di pari livello tendono ad evitare l’aggressività esplicita (scontri aperti) optando per quella latente. AGGRESSIVITÀ TERRITORIALE L’aggressività territoriale può essere diretta verso altri gatti o verso l’uomo. I gatti possono sorvegliare attentamente il proprio territorio, delimitarlo strofinando il mento o marcarlo utilizzando o meno gli spruzzi di urina. A causa delle complesse e transitorie gerarchie sociali un soggetto può essere aggressivo con un gatto piuttosto che un altro. Se un gatto sta difendendo o marcando un territorio ed il presunto trasgressore vi transita in mezzo, scattano le minacce e la lotta. Se nel confronto vi è un conflitto per la gerarchia sociale, i gatti possono attirare gli sfidanti nel proprio territorio e poi attaccarli. A causa della componente sociale, può essere difficile trattare l’aggressività territoriale, specialmente se c’è marcatura del territorio; a proposito, si deve sempre considerare che qualsiasi disturbo eliminatorio può essere un segnale di un potenziale stato di aggressività latente. Scelte terapeutiche sono la modificazione ambientale, la modificazione del comportamento e i farmaci, anche se in un’ultima analisi si deve valutare la collocazione del soggetto in un altro nucleo famigliare o il suo confinamento in un’area della proprietà. AGGRESSIVITÀ DA PAURA Esistono gatti socievoli e gatti timidi, geneticamente determinati. Non è chiara la correlazione tra timidezza e potenziali risposte aggressive a causa della paura, ma ci sono gatti che, nonostante una normale socializzazione, diventano aggressivi quando sono spaventati, anche senza uno stimolo evidente. Si tenga presente, comunque, che, se minacciato o senza via di fuga, qualsiasi gatto può reagire aggressivamente per difesa. Ciò è particolarmente importante se sono presenti bambini piccoli, che non riconoscono i segnali inviati dall’animale. Infine, è necessario che il gatto non impari che l’aggressione è la sua unica alternativa, dal momento che questo potrebbe portarlo a diventare aggressivo come risposta a qualsiasi approccio. La modificazione del comportamento può essere molto efficace nelle prime fasi di sviluppo del disturbo, unitamente all’intervento farmacologico. AGGRESSIVITÀ MATERNA L’aggressività materna, come nel cane, può verificarsi al momento del parto. Le madri possono proteggere il “nido” e i piccoli, soprattutto minacciando e impedendo l’avvicinamento di altri gatti e/o dell’uomo, piuttosto che reagendo con un vero e proprio attacco. Tali minacce sono generalmente dirette agli individui sconosciuti, ma talvolta anche agli stessi proprietari e/o ai gatti con cui vivono. La scelta strategica è evitare il confronto diretto, poiché una madre che si sente in trappola può attaccare. Il problema tende a risolversi spontaneamente con la crescita dei piccoli. AGGRESSIVITÀ RIDIRETTA Può essere difficile riconoscere l’aggressività ridiretta, che può essere riferita casualmente con altre forme di aggressività. Nell’aggressività ridiretta, qualsiasi interruzione di un episodio di aggressività tra due contendenti determina il rivolgere del comportamento aggressivo ad un terzo individuo, uomo o animale, implicato o meno direttamente nel confronto. Il cliente deve essere informato del fatto che il gatto, che resta reattivo per un certo tempo in seguito a qualsiasi episodio di aggressività, può reagire anche se interrotto durante un’azione di minaccia piuttosto che di vero e proprio scontro. Il trattamento si basa sulle tecniche di modificazione del comportamento; poiché l’aggressività ridiretta è spesso associata ad altre forme di aggressività, per un buon successo terapeutico, si deve intervenire su tutti i disturbi comportamentali presenti. Nel caso si tema per l’incolumità dei proprietari, si può suggerire loro di tenere pronti per l’uso pistole ad acqua, secchi d’acqua, fischietti, etc., che hanno lo scopo di interrompere l’azione indesiderata e nello stesso tempo mostrare al gatto le inevitabili conseguenze per il suo comportamento. AGGRESSIVITÀ PREDATORIA L’aggressività predatoria nel gatto è simile a quella del cane. Le caratteristiche sono segretezza, silenzio, aumentata attenzione, posture del corpo associate alla caccia (movimenti furtivi, testa abbassata, movimenti di scatto della coda e balzi improvvisi ) e sequenze comportamentali come scagliarsi contro o balzare sulla preda che si muove all’improvviso. Il comportamento predatorio si sviluppa nei gattini piuttosto giovani (5-7 settimane), che possono diventare esperti cacciatori entro le 14 settimane. Si tratta in realtà di un comportamento tipico della specie, anche se indesiderato dalla maggior parte dei proprietari. La miglior garanzia che il gatto non la eserciti su piccole prede all’esterno, come uccellini e topolini, è di impedirgli di uscire, mentre in casa gli si può mettere un campanellino al collo come avvertimento o predisporre barriere per impedire che gatto e preda vengano a contatto. Nel gatto si osserva una grande variabilità di temperamento riguardo le tendenze predatorie, passando da gatti assolutamente indifferenti alla caccia ad altri che operano una distinzione tra prede lecite o meno. Quest’ultima situazione deve essere fonte di preoccupazione se l’obiettivo è il cibo o la mano del proprietario, o un bambino. Qualsiasi gatto che mostra i comportamenti che precedono il balzo finale descritti precedentemente può essere a rischio per l’aggressività predatoria inappropriata. Questa è un’altra Terapia dei problemi comportamentali buona ragione per non lasciare mai bambini da soli, senza sorveglianza, quando sono presenti animali da compagnia; i bambini sono considerati generalmente come prede finché non sono in grado di dimostrare efficienti risposte posturali. AGGRESSIVITÀ LEGATA ALLO STATO SOCIALE L’aggressività legata allo stato sociale è stata descritta come “mordo perché voglio essere lasciato in pace” e si verifica più frequentemente mentre si sta coccolando il gatto. La situazione più simile nel cane è l’aggressività da dominanza, anche se la diversa storia evolutiva dei sistemi sociali del cane e del gatto non le rende situazioni omologhe. Questi gatti condividono con i cani la necessità del controllo della situazione. Il proprietario non ha fatto nulla che abbia provocato il gatto; piuttosto il gatto dimostra un desiderio o una necessità di controllare l’inizio e la fine dell’attenzione ricevuta. Alcuni gatti si esprimono mordendo e andandosene via, mentre occasionalmente il gatto afferra la mano del proprietario con i denti, senza mordere. Fortunatamente, si può insegnare ai proprietari 21 a riconoscere i segnali dell’aggressione (coda dimenata qua e là, orecchie appiattite, pupille dilatate, testa piegata, unghie sguainate, immobilità o tensione, brontolìo basso) e ad interrompere il comportamento del gatto al primo segno descritto, o alzandosi in piedi e lasciandolo cadere il gatto dal grembo o comunque rifiutando di interagire con lui finché non manifesta un comportamento appropriato. Si dovrebbe dissuadere il cliente dal correggere il gatto punendolo fisicamente, poiché ciò potrebbe essere interpretato come una sfida e portare ad un aumento di aggressività. Se il gatto non risponde al controllo passivo o ridirige la propria aggressività, è più sicuro contrastare il comportamento utilizzando un fischietto o una pistola ad acqua. Le correzioni devono avvenire entro i primi 3060 secondi dall’inizio del comportamento inappropriato, meglio ancora se nei primi secondi, per garantirne l’apprendimento. Gatti di questo genere non saranno mai soggetti da colmare di abbracci e carezze, sebbene, se il proprietario impara a rispettarne tempi e modalità per le coccole, possono comunque stare tranquilli in grembo anche per lungo tempo. Tavola riassuntiva dei moduli comportamentali dell’aggressività del gatto Possibili combinazioni - aggressività esplicita rispetto a latente - aggressività attiva rispetto a passiva - aggressività offensiva rispetto a difensiva Situazioni di riferimento aggressività esplicita, passiva, offensiva: gatto sicuro di sé che fissa con lo sguardo l’altro gatto che entra nella stanza aggressività esplicita, passiva, difensiva: gatto meno sicuro di sé che lascia la stanza o indietreggia e si ritira in spazi più piccoli, coda ripiegata, vocalizzazioni aggressività latente, passiva, difensiva: gatto sconfitto o meno sicuro di sé che marca con il secreto ghiandolare nelle zone di confine o nelle aree dalle quali era stato allontanato aggressività latente, attiva, offensiva: gatto sconfitto o meno sicuro di sé che marca con urina o feci nelle zone di confine o nelle aree dalle quali era stato allontanato aggressività esplicita, attiva, offensiva: inseguimento e attacco con uso di denti e con vocalizzazioni da parte del gatto residente nei confronti di un nuovo gatto arrivato nell’ambiente aggressività esplicita, attiva, difensiva: attacco o risposta con uso di denti e con vocalizzazioni, colpendo in arretramento, senza ulteriori inseguimenti aggressività latente, attiva, difensiva: ritirata e marcatura di un’area ristretta da parte della vittima aggressività latente, passiva, offensiva: spostamento o furto di giocattoli, cuccia, cibo del gatto maschio dominante o di gatti di rango più elevato, copulazioni nascoste accompagnate da marcatura feromonali, non di tipo eliminatorio. 22 Karen Overall PARTE QUARTA: TRATTAMENTO COMPORTAMENTALE E FARMACOLOGICO DEI DISTURBI COMPORTAMENTALI PREVENZIONE DEI DISTURBI COMPORTAMENTALI La prevenzione dei disturbi comportamentali non si limita semplicemente ad istruire un cliente anche molto disponibile; altri elementi di rilievo sono l’acquisizione dell’animale da compagnia che è più adatto allo specifico nucleo famigliare e la valutazione della determinazione genetica di ciascun disturbo comportamentale. Quest’ultimo punto può essere di grande aiuto nell’eliminazione dei soggetti con disturbi comportamentali dai programmi di riproduzione, contribuendo ad un allevamento decisamente più responsabile. (1) PERCHÉ PRENDERE UN ANIMALE DA COMPAGNIA: Sarebbe opportuno discutere questo argomento con il cliente prima della scelta dell’animale d’affezione, valutando, quando possibile, la validità nonché l’autenticità della sua motivazione all’acquisto. (2) SCEGLIERE L’ANIMALE D’AFFEZIONE “GIUSTO”: La cosiddetta “consulenza preventiva”, ovvero fornire alla clientela informazioni generali riguardanti le caratteristiche della specie e della razza è uno strumento di prevenzione estremamente utile, ma generalmente poco diffuso nella pratica ambulatoriale. Allo scopo si possono organizzare riunioni, si possono fissare appuntamenti gratuiti o ad un costo accessibile, con il supporto di opuscoli illustrati, diapositive o videoregistrazioni. La chiave di tutti i programmi di prevenzione, sia clinici che comportamentali, è la comunicazione e la motivazione; si può stimolare ad esempio la curiosità del cliente ed incoraggiarlo a formulare domande sull’argomento. (3) TIPO DI ANIMALE D’AFFEZIONE: La prima decisione da prendere è relativa alla specie animale, considerando che la scelta non è limitata a cani e gatti. Ciascuna specie offre pro e contro, da valutare attentamente. Quando il cliente ha compreso i presupposti dei sistemi sociali, del grado di domesticazione (particolarmente importante per i confronti tra cani e gatti), qualsiasi rilievo di natura sanitaria (ad esempio gli individui immunodepressi sono a rischio se maneggiano animali con unghie lunghe e affilate e devono sapere come tutelarsi da patologie specifiche come la Toxoplasmosi; le persone con allergie dovrebbero preferire animali che possono essere lavati di frequente) e le caratteristiche comportamentali generali della specie a cui è interessato, può passare a considerare la taglia dell’animale. (4) TAGLIA DELL’ANIMALE: La taglia del soggetto riguarda lo stile di vita dei proprietari, entità e tipo di eser- cizio richiesto, esigenze di toelettatura, il costo del mantenimento e delle spese sanitarie, la gestione globale dell’animale nonché la quantità di feci eliminate da rimuovere. (5) LIVELLO DI ATTIVITÀ: Il livello di attività è associabile alla taglia, ma è più direttamente correlato all’età ed al tipo di lavoro per cui il cane è stato selezionato. Ad esempio un cane di grossa taglia e con molta energia richiede più spazio del suo equivalente di piccola taglia, ma non tutti i cani di grossa taglia richiedono molto esercizio, a differenza di quanto si crede normalmente. Ciò non esclude il fatto che tutti i cani necessitano quotidianamente di momenti di interazione con i proprietari, di contatto con gli altri cani, di vere e proprie passeggiate oltre alle uscite fisiologiche, i momenti di gioco, ecc. (6) REQUISITI SPECIFICI: Il cliente deve identificare le caratteristiche che si auspica di trovare nel cucciolo; ad esempio per le persone per cui il silenzio è sacro non sopporteranno nemmeno il più amabile dei Beagle, mentre coloro che cercano un cane da caccia non solo devono trovare cani con un’attitudine naturale, ma anche che non siano eccessivamente reattivi ai rumori. Sarebbe auspicabile raggiungere il giusto equilibrio tra le esigenze dei proprietari e le loro aspettative ed il buon senso. (7) REQUISITI LEGATI ALL’ASPETTO FISICO: L’aspetto del cane o del gatto è spesso l’elemento che attrae il cliente verso una certa razza; questo approccio può suscitare ilarità, ma nella realtà dei fatti si potrebbe dibattere a lungo sulle scelte almeno parzialmente effettuate sull’esteriorità; ad esempio il tipo di mantello può dare un’idea del lavoro di toelettatura richiesto. Un altro punto è che le leggi rivolte ai cani definiti pericolosi (American Pit Bull Terriers, Rottweilers, ecc.) penalizzano i soggetti che ricordano morfologicamente le razze per cui è stato deciso l’intervento legislativo; poiché persistono molti pregiudizi sul legame tra razza e comportamento, il proprietario deve sapere anticipatamente che questa situazione non faciliterà di sicuro future interazioni sociali. (8) SVILUPPO DELL’ANIMALE: Al termine, si deve discutere sulle fasi dello sviluppo dell’animale. Non si può infatti prevedere il comportamento futuro del cucciolo ed il suo stato sociale di quando sarà adulto sulla base di come si comporta con gli altri membri della cucciolata, mentre i test sul temperamento hanno un valore relativo. Per questo motivo, alcuni clienti preferiscono acquisire un soggetto più adulto; in tal senso ci si può rivolgere agli enti protezionistici. Terapia dei problemi comportamentali (9) ASPETTI ECONOMICI: Nella scelta di un cane o di un gatto si deve anche considerare il costo del loro mantenimento, incluse le spese mediche, sia quelle di base che per eventuali malattie. Si tenga presente che purtroppo in caso di problemi economici in famiglia la tendenza è di affidare gli animali agli enti protezionistici. Due possibilità per prevenire ciò sono la riduzione numerica degli animali d’affezione attraverso una sterilizzazione di massa e il controllo del mercato, che dovrebbe essere più responsabile e disponibile. LA QUESTIONE DELLA STERILIZZAZIONE, ANCHE PRECOCE, E DELLA PREVENZIONE DEI DISTURBI GENETICAMENTE DETERMINATI: L’intervento di castrazione e sterilizzazione precoce (6-14 settimane di età) è stato approvato dall’AVMA (American Veterinary Medical Association) per gli animali ospitati nei rifugi; il metodo è sicuro ed efficace per qualsiasi animale da compagnia, purché si sia aggiornati sulle tecniche di intervento neonatale (Salmieri ed altri,1991; Kahler, 1993; Faggella e Aronsohn, 1994); non esistono prove del fatto che l’intervento precoce interferisca con il processo di crescita o aumenti l’incidenza della sindrome urologica felina nel gatto. Se il cliente è indeciso sulla questione, occorre farlo riflettere su due punti importanti: innanzitutto sull’opportunità di far riprodurre l’animale, proponendo la valutazione del suo comportamento e del suo temperamento oltre alla verifica della rispondenza allo standard di razza, e secondariamente sugli aspetti clinici della riproduzione e sui rischi legati alla gestazione e al momento del parto, nonché su quelli prettamente economici. Le principali obiezioni mosse dai proprietari sono, secondo uno studio retrospettivo condotto in Australia da Blackshaw e Day (1994), che l’animale è troppo vecchio e che può diventare obeso, che c’è scarsa disponibilità economica in famiglia, che desiderano farlo riprodurre o semplicemente che non sono d’accordo sull’intervento. Altre domande rivelano che si ritiene che l’intervento comporti modificazioni maggiori nel maschio rispetto alla femmina. Se è vero che la chirurgia in fase geriatrica può comportare rischi, la maggior parte dei soggetti può e deve essere operata prima del secondo calore; l’ipernutrizione e l’insufficiente esercizio fisico contribuiscono enormemente all’aumento di peso in relazione all’età; l’intervento è economico rispetto ai costi della cura della prole ed infine la questione della “mascolinità” e “femminilità” si ripercuote più sulla sensibilità del cliente che su una realtà biologica. SCEGLIERE IL CUCCIOLO E TEST PER LA VALUTAZIONE DEL TEMPERAMENTO: Dopo aver scelto la specie, cane o gatto, e la razza, si pone il problema di quale piccolo scegliere nella cucciolata o nella nidiata. A causa delle scarse e spesso errate informazioni sui sistemi sociali del gatto, il cliente si pone questo problema essenzialmente per il cane. Nel gatto si deve consigliare di scegliere gattini amichevoli e socievoli e cresciuti in una famiglia in cui hanno avuto stretti contatti con l’uomo dalla 2a alla 7a settimana di vita. La scelta del cucciolo può essere complessa. Sarebbe un’indagine molto interessante scoprire se i proprietari che hanno avuto l’opportunità di 23 scegliere il cucciolo hanno vissuto un rapporto più felice con il proprio cane o hanno avuto meno problemi nel corso degli anni rispetto a quelli che non hanno avuto possibilità di scelta, ad esempio perché il cucciolo proveniva da un rifugio o perché era l’ultimo della cucciolata. Nel tentativo di valutare le tendenze del cucciolo e di destinarlo quindi al proprietario più adatto, molti allevatori usano i test attitudinali, presentati nella prima parte di questo lavoro. TRATTAMENTO DEI DISTURBI COMPORTAMENTALI (A) TRE AMBITI IN CUI INTERVENIRE 1. Ambito fisico: variazioni dello spazio, degli oggetti, delle luci, campanelli, porte o cancelli, nonché dei programmi famigliari, etc. L’ambiente fisico include stimoli visivi, olfattivi ed uditivi. 2. Ambito comportamentale: modificazione del comportamento del soggetto. La comprensione del comportamento normale e dei sistemi di comunicazione propri della specie è fondamentale per modificare il comportamento dell’animale, che è un processo che richiede tempo ed applicazione costante. 3. Ambito fisiologico: endogeno (ruolo della sterilizzazione e delle malattie) ed esogeno (intervento farmacologico). (B) COADIUTORI DELLA TERAPIA COMPORTAMENTALE Campanelline attaccate ai collari, dissuasori di vario genere, collari anti-abbaio, museruole, collari e guinzagli speciali (Gentle Leader, Promise System Canine Head Collar, Sporn, Lupi); il collare a shock, raramente consigliato per cani normali, non è mai raccomandato per cani anormali. (C) PRECISAZIONI DEI PUNTI PRECEDENTI 1. AMBITO FISICO a. Problemi che sono associati all’ambiente reale (ad esempio rumori per strada) b. Problemi che sono associati alla percezione dell’ambiente (ad esempio un gatto che vede un altro gatto attraverso la finestra) c. Problemi legati ai pericoli dell’ambiente (ad esempio cani che si gettano dalla finestra durante i temporali) d. Limitazioni dello spazio fisico (ad esempio gatti in appartamenti-studio) e. Steccati nei giardini (ad esempio possono rendere un cane territoriale più aggressivo; oltretutto, se il cane non è facilmente visibile, le potenziali vittime non possono evitarlo) f. Recinti, barriere fisiche, canili - Si consideri: intensificazione del comportamento, traumi per gli animali, continuo rinforzo per comportamenti inappropriati, etc. 2. PRINCIPI DI MODIFICAZIONE DEL COMPORTAMENTO A. ABITUAZIONE: attenuazione della risposta ad un elemento nuovo dell’ambiente, in relazione all’aumento dell’intensità o della frequenza dell’esposizione non seguita da alcun evento spaventoso 24 Karen Overall B. ESTINZIONE: processo mediante il quale le risposte normali o condizionate si riducono o si attenuano in seguito all’esposizione ad uno stimolo che elicita la risposta, senza essere premiato C. DESENSIBILIZZAZIONE*: riduzione nella risposta prodotto da un’esposizione graduale allo stimolo che elicita la risposta (ndt) D. CONTRO-CONDIZIONAMENTO*: processo mediante il quale il comportamento negativo o indesiderato è estinto o controllato insegnando all’animale ad eseguire un altro comportamento (preferibilmente gradevole e divertente) che interferisce in modo competitivo con l’esecuzione del comportamento indesiderato; meglio se associato alla desensibilizzazione E. FLOODING*: esposizione prolungata allo stimolo al livello che provoca la risposta fino alla scomparsa del comportamento senza la possibilità di sottrarsi F. PUNIZIONE: presentazione di uno stimolo aversivo in risposta ad un comportamento con l’intenzione di ridurre la probabilità che si verifichi in futuro; deve essere somministrata nei primi 30-60 secondi dalla manifestazione del comportamento; i fattori cruciali sono: 1. tempestività 2. costanza 3. intensità adeguata 4. risposta condizionata 3. INTERVENTO FARMACOLOGICO A. ENDOGENO 1. Effetti della castrazione nel cane (University of California, Davis) a. entro 6 ore dall’intervento inizia la riduzione dell’ormone nell’organismo, completata quasi interamente entro le 72 ore b. 90% di riduzione del vagabondaggio c. riduzione del 75% dell’aggressività tra maschi; effettuare l’intervento quanto prima, considerando il ruolo dell’apprendimento; almeno 60% nella marcatura con urina; i dati al riguardo non sono chiari: può ridursi la frequenza, senza che il disturbo sia eliminato del tutto; se effettuata nelle fasi iniziali, lo elimina d. 80% di riduzione della monta inopportuna, che ha anche un significato sociale e di autogratificazione, oltre ad essere un comportamento su base ormonale 2. Effetti della castrazione nel gatto (University of California, Davis) a. 90% di riduzione della marcatura con spruzzi di urina, vagabondaggio, lotte b. il 10% dei gatti continua ad emettere spruzzi di urina c. il 10% dei gatti che non emettevano spruzzi di urina prima della castrazione iniziano a farlo dopo l’intervento, non tanto come effetto dell’apprendimento quanto come effetto sociale. B. ESOGENO 1. area di recente indagine 2. il trattamento deve mirare a: a. alleviamento dei sintomi * Desensibilizzazione, contro-condizionamento e flooding sono in effetti tecniche di modificazione del comportamento. b. riduzione delle risposte c. percezione alterata d. azione sulla causa C. PARTE SPECIFICA SULLA FARMACOLOGIA COMPORTAMENTALE INTRODUZIONE L’intervento farmacologico può essere un utile supporto all’applicazione delle tecniche di modificazione del comportamento e, in alcuni casi, i farmaci psicotropi sono essenziali. Si tratti del trattamento primario o agisca come coadiutore della terapia comportamentale, qualsiasi approccio farmacologico deve essere razionale. Come in psichiatria, è quasi sempre inappropriato prescrivere farmaci comportamentali in assenza di un piano terapeutico che include altre terapie, come la modificazione del comportamento. Ciò è valido persino per i disturbi comportamentali che hanno principalmente una base organica, poiché i farmaci non sono in grado di eliminare tutti i segni dei disturbi nelle persone senza il sostegno della terapia comportamentale (Perse, 1988); infine, si deve dissuadere il cliente dal ritenere che i farmaci usati per modificare il comportamento possano sostituire l’impegno che deve coinvolgere l’intera famiglia nel protocollo operativo. Prima di inserire la farmacologia comportamentale in qualsiasi programma di trattamento, il veterinario deve avere: (1) una diagnosi plausibile nell’ambito di un diagnostico differenziale, (2) la comprensione del probabile meccanismo di azione dei farmaci comportamentali disponibili, (3) una chiara panoramica di qualsiasi potenziale effetto collaterale, (4) la valutazione di come il farmaco in questione possa alterare lo specifico comportamento. L’ultimo punto è critico, in quanto non solo può servire a riconoscere gli effetti collaterali e a segnalare i miglioramenti, ma può aiutare il veterinario a confermare o no l’ipotesi diagnostica iniziale. La collaborazione del proprietario è un fattore cruciale in qualsiasi caso comportamentale; veterinario e cliente devono comunicare spesso, rilevando i reali e fattivi cambiamenti del comportamento piuttosto che basarsi solo su considerazioni soggettive. CONSIDERAZIONI PREVENTIVE Prima di prescrivere qualsiasi farmaco si deve raccogliere un’anamnesi comportamentale e clinica completa e programmare eventuali esami di laboratorio (emocromo e profilo biochimico). Molti dei farmaci più comunemente usati possono avere effetti collaterali a livello cardiaco; perciò si raccomanda un elettrocardiogramma per i pazienti con problemi di aritmie, patologie cardiache, precedenti reazioni a farmaci, nei casi in cui si effettuano sedazioni o anestesie o se si somministrano più farmaci contemporaneamente. Si dovrebbe consegnare ai clienti una lista degli effetti collaterali, incoraggiandoli a segnalare al veterinario i primi segni di alterazione, oltre ad una sintesi delle diverse prescrizioni terapeutiche. Poiché molti farmaci utili in terapia comportamentale non sono registrati per l’uso nel cane e nel gatto, sarebbe opportuno tenere agli atti una copia del consenso informato; si tratta di una dichiarazione in cui il cliente afferma di essere informato del fatto che i farmaci prescritti, negli Stati Uniti, sono autorizzati in via eccezionale nel cane e nel Terapia dei problemi comportamentali gatto dal Animal Medicinal Drug Use Clarification Act del 1994 (S-340), a condizione di una reale necessità e della competenza e serietà professionale del veterinario, e acconsente al trattamento. Infine, si deve sempre considerare l’intero nucleo familiare, nonché la capacità e la possibilità di somministrare i farmaci correttamente; è preferibile prescrivere la quantità minima di farmaci, onde da un lato evitare l’abuso potenziale del farmaco stesso e dall’altro controllare l’evoluzione del caso clinico. Molti farmaci richiedono un periodo di 6-8 settimane per essere efficaci mentre altri devono essere somministrati per tutta la vita del paziente, che sarà costantemente monitorato. CLASSI DI FARMACI UTILI NELLA MODIFICAZIONE DEL COMPORTAMENTO 1. Antiistaminici 2. Tranquillanti 3. Stabilizzatori di umore 4. Anticonvulsivanti 5. Progestinici 6. Stimolanti del SNC 7. Antidepressivi 8. Ansiolitici 9. Narcotici agonisti ed antagonisti 10. Agenti vari 1. Gli antiistaminici agiscono mediante un meccanismo di inibizione competitiva dei siti recettoriali H1. Molti farmaci di questo gruppo hanno effetti anticolinergici e/o atropino-simili e vanno utilizzati con cautela nei pazienti in cui tali effetti sono indesiderabili o controindicati (ritenzione urinaria, glaucoma, ipertiroidismo). Il più comune effetto collaterale, la lieve depressione del SNC, solitamente determina sonnolenza, effetto che li rende utili nel controllo dei disturbi comportamentali. La clorfeniramina maleato, un’alchilamina, e la difenidramina cloridrato, una monoetanolamina, possono essere utili come blandi sedativi per gli animali in stato di apprensione per certe situazioni o esageratamente attivi in momenti inappropriati. Sono indicati per il trasporto in macchina, le attività a notte inoltrata, ed alcune inspiegabili forme di “pacing” (= camminata a passi lenti e regolari, specialmente avanti e indietro) accompagnato da vocalizzazione quando il proprietario è con lui. Il controllo di tali problemi può cambiare l’ambiente domestico sino al punto che il proprietario preferisce intervenire sui propri programmi e/o direttamente sul comportamento alterato dell’animale modificandolo, piuttosto che proseguire farmacologicamente. La difenidramina deve essere utilizzata con cautela negli animali di taglia molto piccola poiché la depressione del SNC che ne deriva può essere profonda. 2. I tranquillanti sono impiegati per le loro proprietà calmanti. Essi causano una riduzione nell’attività spontanea che generalmente esita in una risposta ridotta agli stimoli esterni o sociali, che può profondamente interferire con qualsiasi programma di addestramento o di modificazione del comportamento. Nell’uomo i tranquillanti sono spesso usati con successo per alleviare l’ansia anche se i loro effetti sedativi hanno reso più adatti allo scopo numerosi ansiolitici più recenti. 25 Le fenotiazine sono rappresentate da clorpromazina, promazina, acepromazina maleato, perfenazina, trimeprazina tartrato, propiopromazina, triflupromazina, tioridazina cloridrato e piperacetazina. Il loro impiego prolungato può comportare la comparsa di effetti collaterali come disturbi cardiovascolari, ipertensione primaria e segni extrapiramidali (atassia, tremori muscolari ed in coordinamento). Con poche eccezioni, i tranquillanti sono raramente usati nella terapia comportamentale in modo continuativo o prolungato (Jones, 1987). Si dimostrano decisamente inadatti per il trattamento dell’aggressività poiché agiscono smorzando sia il comportamento normale che quello anormale, piuttosto che trattare la causa del disturbo. L’acetilpromazina, in particolare, deve essere usata con cautela nel contenimento dei cani aggressivi, in quanto diventano più reattivi ai rumori ed agli elementi di disturbo; inoltre, per l’azione di entità e durata variabile, il comportamento dell’animale diventa più imprevedibile. Questo è un effetto inaccettabile ed indesiderato per il trattamento di un animale aggressivo. Le benzodiazepine sono rappresentate da diazepan, clordiazepossido, clorazepato dipotassico e clorazepam. L’esatto meccanismo di azione delle benzodiazepine non è ancora stato ben compreso, sebbene gli effetti calmanti siano stati attribuiti all’azione sul sistema limbico e formazione reticolare. Sembra che potenzino gli effetti del GABA (acido gamma-amino butirrico), un neurotrasmettitore inibitorio nel sistema nervoso centrale. Gli effetti ansiolitici sembrano essere non specifici ed in parte attribuibili alla sedazione. Attenzione ai pazienti con ridotta funzionalità epatica, perché la via metabolica primaria è la biotrasformazione a livello del fegato. Effetti collaterali possono essere aumento dell’appetito e della socievolezza, soprattutto nel gatto; tuttavia, sono stati riportati casi di reazione paradossa in bambini iperattivi e aggressivi. Le benzodiazepine sono controindicate nei pazienti aggressivi poiché l’ansia può essere una componente di qualsiasi contenimento che l’animale mostra in tali situazioni. Le benzodiazepine sono state utilizzate con successo per inibire l’aggressività intraspecifica e nel trattamento della marcatura del territorio con gli spruzzi di urina nel gatto, in cui li riduce sostanzialmente (in circa il 75% dei casi); la percentuale è più elevata nei maschi castrati, minore nelle femmine ovariectomizzate e maggiore nei nuclei familiari con più gatti e nel 43% della totalità dei casi il prolema scomparve definitivamente (Marder, 1991). Nei gatti che rispondono al diazepam si osserva barcollamento per i primi 3-4 giorni di terapia, che si risolve spontaneamente (Voith, comunicazione personale; Overall, osservazione personale). Ciò è ulteriore indicazione del fatto che la sua efficacia è legata al metabolita intermedio. Se la tendenza a spruzzare urina è correlata all’aggressività o al comportamento territoriale, gli effetti possono essere determinati dalla tendenza delle benzodiazepine ad aumentare il comportamento amichevole, mentre se prevale l’ansia per lo stato sociale o la territorialità, potrebbe entrare in gioco l’azione ansiolitica. Di conseguenza, è plausibile che molti disturbi comportamentali siano di fatto sindromi che riconoscono numerose cause, spiegando come alcuni farmaci siano efficaci al contrario di altri nei singoli casi e suggerendo nuove e diverse terapie nei casi refrattari ai precedenti trattamenti. 26 Karen Overall Anche il clordiazepossido è stato segnalato per la sua efficacia nel sopprimere la tendenza a marcare il territorio con l’urina (Houpt, comunicazione personale); sembra avere un periodo di massima concentrazione ematica ed un’emi-vita più variabili delle altre benzodiazepine; un’altra benzodiazepina che è poco considerata nella pratica ma che potrebbe essere utile in questi casi è l’alprazolam (Marder, 1991). La variabilità della farmacocinetica delle benzodiazepine potrebbe spiegare perché alcuni gatti rispondono meglio ad un farmaco piuttosto che ad un altro, mentre il fatto che abbiano un’efficacia simile è probabilmente dovuto al loro comune metabolita intermedio, il desmetildiazepam. Le benzodiazepine si sono dimostrate utili nel trattamento delle fobie dei tuoni e di altri rumori (Voith e Borchelt, 1985; Shull-Selcer e Stagg, 1991). Devono essere somministrate 3-4 ore prima dell’inizio dell’evento che spaventa l’animale, in modo da raggiungere un adeguato livello ematico per contrastare gli effetti neurologici centrali e quelli fisiologici dell’ansia alla presentazione dello stimolo. Per i temporali si deve procedere alla somministrazione del farmaco al più tardi al primo segno di abbassamento della pressione barometrica. Poiché le benzodiazepine hanno un’emivita breve, vanno somministrate ripetutamente, generalmente ogni 3-6 ore durante la presentazione dello stimolo che terrorizza. Il clorazepato di potassio è disponibile sotto forma di farmaco ad azione protratta che può facilitare la somministrazione. Tutte le benzodiazepine interferiscano con la capacità di apprendimento e quindi possano interferire nei progressi compiuti nei programmi di riabilitazione. I butirrofenoni (aloperidolo e azaperone) non hanno al momento alcuna indicazione comportamentale; si è dimostrato che l’aloperidolo potenzia l’aggressività intraspecifica nel suino. 3. Gli stabilizzatori di umore e gli antipsicotici come il carbonato di litio sono utili per il controllo della fase maniacale della depressione maniacale degli umani. Hanno ristretti limiti di efficacia, oltre al fatto di essere tossici, richiedendo frequenti controlli ematologici. Attualmente non sono utilizzati ampiamente negli animali da compagnia, ma, se questi ultimi diventassero modelli validi per lo studio delle psicosi umane, potrebbero essere rivalutati. Si è dimostrato che questi farmaci sono efficaci in associazione con gli antidepressivi triciclici nel controllo dei disturbi ossessivo-compulsivi che non rispondono ai soli agenti triciclici (Insel, 1990), anche se la terapia combinata è ancora poco sfruttata nella clinica veterinaria comportamentale. 4. Gli anticonvulsivanti comprendono il fenobarbital, un barbiturico, la fenitoina e il primidone. Sono utili per trattare comportamenti iperattivi che possono rappresentare episodi di epilessia psicomotoria. La fenitoina sembra essere particolarmente efficace per il controllo dell’iperattività e degli attacchi di aggressività nell’uomo, ma si deve stabilire in che misura ciò sia valido per gli animali. Il fenobarbital a piccole dosi trova applicazione nel controllo del miagolare eccessivo del gatto durante il trasporto in automobile. La terapia prolungata con qualsiasi dei farmaci elencati richiede il monitoraggio ematochimico per la loro potenziale epa- totossicità. Ad eccezione delle vocalizzazioni del gatto, attualmente in medicina comportamentale vi sono poche indicazioni per questi farmaci. Ad esempio, i barbiturici somministrati alla dose sufficiente per inibire l’aggressione, inducono una profonda sedazione dell’animale, con alterazione sia dei comportamenti normali che di quelli anormali; questa è una soluzione inaccettabile per un corretto rapporto uomo-animale. Inoltre, il livello di sedazione è variabile ed imprevedibile, rendendo questi farmaci inaccettabili per il controllo prolungato dell’aggressività. 5. I progestinici e gli estrogeni sono rappresentati da medrossiprogesterone acetato, megestrolo acetato e dietistilbestrolo. I primi due agenti sono conosciuti nella Clinica Comportamentale per gli effetti calmanti e la capacità di contrastare comportamenti tipicamente maschili. L’impiego razionale e competente di questi farmaci comporta l’esame clinico del soggetto e un controllo ematologico prima e durante la somministrazione per monitorare eventuali effetti collaterali sistemici, quali: diabetogenesi, ginecomastia, iperplasia delle ghiandole mammarie, adenocarcinomi, iperplasia endometriale/piometra, soppressione cortico-surrenale e soppressione midollare. Il dietilstilbestrolo è stato utilizzato per il trattamento dell’incontinenza urinaria a riposo, sebbene vi siano a disposizione altri agenti altrettanto efficaci ma più sicuri, come il betanecolo cloridrato e la fenilpropanolamina cloridrato. Considerando l’ampia gamma di potenziali effetti collaterali dei progestinici, alcuni veterinari richiedono al cliente di firmare un consenso informato prima della somministrazione. I progestinici possono avere un ruolo in alcune forme di aggressività (Hart, 1981, 1985), agendo sia con una generale azione calmante che con l’induzione della femminilizzazione; per questo motivo agiscono con successo nel trattamento di comportamenti tipici del cane maschio, come la monta e la marcatura (Hart, 1979). Gatti che emettono spruzzi di urina e che non rispondono al diazepam possono reagire ai progestinici (Hart, 1980; Hart e Cooper, 1984; Romatowsky, 1989), mentre gatti trattati precedentemente con progestinici per gli spruzzi di urina rispondevano anche a diazepam (Marder, 1991). Attualmente gli antidepressivi triciclici hanno pari o maggiore efficacia nel trattamento di questo disturbo, soprattutto se ricorrente, e non sono più considerati solamente come un’alternativa. Infine, i progestinici sono controindicati nei soggetti riproduttori, nei diabetici e nei pazienti sottoposti a terapie corticosteroidee. 6. Gli stimolanti come le amfetamine ed il metilfenidato cloridrato hanno effetti paradossi negli animali realmente iperattivi, in cui hanno un effetto calmante, mentre negli individui normali determinano eccitazione. Poiché si tratta di amine simpaticomimetiche che stimolano il sistema nervoso centrale, si rilevano sintomi come aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, eventuale anoressia e tremori con possibile ipertermia. Sono controindicati in pazienti cardiopatici, trattati contemporaneamente con inibitori della monoaminoossidasi e affetti da glaucoma o ipertiroidismo. I pazienti devono mostrare segni fisiologici di iperattività (aumento della frequenza cardiaca e respiratoria) oltre ai segni comportamentali, e non solo un eccesso di esuberanza. Se, con la somministrazione del farmaco, Terapia dei problemi comportamentali 27 la situazione peggiora, non si tratta di iperattività vera (piuttosto rara nel cane e nel gatto) e può essere curata con i metodi della terapia comportamentale, modificazione della dieta e aumento dell’attività fisica. PSICOFARMACI UTILI NEL TRATTAMENTO DEI DISTURBI DEL GATTO LEGATI ALL’ANSIA INCLUSO LE SINDROMI OSSESSIVO COMPULSIVE E L’IPERESTESIA 7. Gli antidepressivi comunemente usati nella terapia comportamentale sono inibitori della monoaminoossidasi (anti-MAO) o antidepressivi triciclici. I primi agiscono bloccando la deaminazione ossidativa delle amine cerebrali (dopamina, noradrenalina, adrenalina e serotonina), determinando un aumento dei livelli di tali sostanze. Sono raramente utilizzati nella terapia comportamentale degli animali da compagnia, a differenza di quanto accade nell’uomo. Si rammenti che con la somministrazione di monoaminoossidasi si dovrebbero evitare o ridurre cibi contenenti tiramina (Shulman ed altri, 1989). Gli antidepressivi triciclici sono strettamente correlati, dal punto di vista strutturale, agli antipsicotici fenotiazinici e, perciò, determinano analoghi effetti secondari. Gli effetti principali (sedazione, azione anticolinergica periferica e centrale, potenziamento delle amine biogene nel sistema nervoso centrale attraverso il blocco del loro riassorbimento a livello presinaptico) variano da un farmaco all’altro. Molti antidepressivi triciclici sono dotati di una potente azione di blocco dei recettori istaminici H1 e H2 e risultano validi per il trattamento delle affezioni pruriginose. Le amine terziarie (amitriptilina, imipramina, doxepin e clomipramina) sono tra i farmaci più sicuri e più ampiamente utilizzati nella clinica comportamentale degli animali da compagnia. Gli effetti collaterali possono essere, ma non necessariamente secchezza delle fauci, costipazione, ritenzione urinaria, tachicardia ed altre aritmie, sincope, atassia, disorientamento, depressione ed inappetenza. I sintomi generalmente regrediscono con la riduzione o la sospensione del farmaco. Sono controindicati nei soggetti con anamnesi di ritenzione urinaria e gravi e incontrollate aritmie cardiache. Un consulto cardiologico, incluso un elettrocardiogramma, deve precedere la somministrazione. Gli antidepressivi triciclici, ad alte dosi, sono stati implicati nella sindrome eutiroidea, mentre nei soggetti anziani o debilitati è strettamente raccomandato un controllo ematologico completo (enzimi epatici); dosi estremamente elevate sono associate a convulsioni, anomalie cardiache ed epatotossicità (Crome e Newman, 1979). Possono infine interferire con i farmaci impiegati per la terapia tiroidea e vanno quindi utilizzati con cautela nei pazienti ipotiroidei. Gli antidepressivi triciclici sono di grande utilità nel trattamento dell’ansia da separazione, dell’ansia generalizzata che può precedere alcuni comportamenti eliminatori ed aggressivi, delle affezioni pruriginose (dermatite acrale da leccamento, toelettatura compulsiva e alcuni disturbi narcolettici). L’amitriptilina è molto efficace nel trattamento dell’ansia da separazione e di quella generalizzata (Snyder, 1980; Cohn ed altri, 1989). L’imipramina si è rivelata utile nelle forme lievi di perdita di attenzione nell’uomo e può esserlo anche nel cane, poiché è stata impiegata per il trattamento della narcolessia lieve. Un derivato degli antidepressivi triciclici, la carbamazepina, è stata utilizzata con successo nel controllo delle convulsioni psicomotorie (Holland, 1989). La clomipramina ha dato ottimi risultati nei disturbi ossessivo compulsivi dell’uomo (Toren ed ALPRAZOLAM 0.125-0.25 mg/kg PO ogni 12H AMITRIPTILINA 0.5-2.0 mg/kg PO ogni 12-24 H BUSPIRONE 0.5-1.0 mg/kg PO ogni 8-12 H CLOMIPRAMINA 0.5 mg/kg PO ogni 24 H DIAZEPAM 0.2-0.4 mg/kg PO ogni 12-24 H FLUOXETINA 0.5-1.0 mg/kg PO ogni 24 H IDROCODONE 0.25-1.0 mg/kg PO ogni 8-12 H NALTREXONE 2.2 mg/kg PO ogni 24 H (fino a 25-50 mg/gatto) NORTRIPTILINA 0.5-2.0 mg/kg PO ogni 12-24 H PSICOFARMACI CHE POSSONO ESSERE UTILI NEL TRATTAMENTO DEI DISTURBI DEL CANE LEGATI ALL’ANSIA, INCLUSE LE SINDROMI OSSESSIVO-COMPULSIVE ED IL GRANULOMA DA LECCAMENTO ALPRAZOLAM 0.01-0.1-0.25 mg/kg secondo necessità; NON SUPERARE 4 mg/cane/die AMITRIPTILINA 1-2 mg/kg PO ogni 12 H BUSPIRONE 1 mg/kg PO ogni 8-24 H CLOMIPRAMINA 1 mg/kg PO ogni 12 H × 2 settimane, poi 2 mg/kg PO ogni 12 H × 2 settimane, poi 3 mg/kg PO ogni 12 H × 4 settimane DOXEPIN 3-5 mg/kg PO ogni 8-12 H FLUOXETINA 1 mg/kg PO ogni 12-24 H ALOPERIDOLO 1-4 mg PO ogni 12 H IMIPRAMINA 2.2-4.4 mg/kg PO ogni 12-24 H IDROCODONE 1 mg/4 kg PO ogni 8 H IDROXIZINA 2.2 mg/kg PO ogni 8 H NALOXONE 11-22 µg/kg IV (SC, IM) secondo necessità NALTREXONE 2.2 mg/kg PO ogni 12-24 H NORTRIPTILINA 1-2 mg/kg PO ogni 12 H TIORIDAZINA 1.1-2.2 mg/kg PO ogni 12-24 H 28 Karen Overall altri, 1980; Ananth, 1986; Perse, 1988) McTavish and Benfield, 1990), nonché nella terapia di alcuni casi di dermatite acrale da leccamento in un’indagine non controllata su pochi casi clinici (Goldeberg e Rappaport, 1991). Si ritiene che questo farmaco sia il più selettivo del gruppo come inibitore della riassunzione della serotonina (Flammen ed altri, 1985; Ananth, 1986). La risposta clinica positiva a questo farmaco è considerata diagnostica per i disturbi ossessivo-compulsivi, data la classe dei recettori serotoninici bloccati (Miczac e Donat, 1989); tali protocolli applicativi sono ancora da valutare in Medicina Veterinaria. 8. Gli ansiolitici sono alcuni tra i farmaci più recenti creati per il trattamento di depressioni atipiche, di disordini ansiosi aspecifici e generalizzati ed alcune sindromi ossessivo compulsive. Il buspirone cloridrato è stato impiegato o proposto nel cane per l’aggressività da dominanza o di origine idiopatica, per i comportamenti ritualistici o stereotipati del cane e del gatto, per le forme di auto-mutilazione ed eventualmente per i disturbi ossessivo-compulsivi, per le fobie dei tuoni, (Marder, 1991) e probabilmente per la marcatura del territorio del gatto (Houpt, comunicazione personale). Il suo impiego nel trattamento dei disturbi ossessivo-compulsivi dell’uomo ha dato risultati discordanti (Jenicke e Baer, 1988; Robinson ed altri, 1989; Pato ed altri, 1991). Sebbene sia conosciuto in psichiatria umana da più di un decennio, il suo utilizzo in medicina veterinaria è recente ed appare promettente. Il buspirone non mostra caratteristiche comuni con le fenotiazine, le benzodiazepine o gli antidepressivi triciclici; è ansiolitico e agonista parziale della serotonina (Jenicke e Baer, 1988). Gli effetti collaterali prevedono lieve disorientamento e sintomi gastroenterici. 9. Gli agonisti ed antagonisti narcotici sono risultati utili nei disturbi ossessivo-compulsivi dell’uomo (Pickar ed altri, 1982; Herman ed altri, 1987) e nei comportamenti di auto-mutilazione e disturbi ritualistici negli animali domestici (Dodman ed altri, 1987, 1988). 10. La fluoxetina è uno specifico agente serotoninergico, molto più potente della clomipramina (Fontaine and Chouinard, 1989; Pigott ed altri, 1990), che è stato impiegato con risultati variabili per il trattamento dell’aggressi- vità del cane (Marder, comunicazione personale) e dei comportamenti stereotipati negli animali domestici (Houpt, McDonnel, comunicazione personale). Il propanololo è un agente bloccante dei recettori beta-1 e beta-2 adrenergici (muscolo cardiaco, muscolatura bronchiale e vascolare) che è stato impiegato con efficacia variabile nell’ansia e nei disturbi legati alla paura. La risposta clinica all’azione dei beta bloccanti consiste principalmente nella riduzione della gittata cardiaca a riposo e sotto sforzo e nella diminuzione della pressione sistolica sullo sforzo. Si ipotizza che questi effetti impediscano lo sviluppo della risposta fisiologica simpatica che è una componente dell’aggressività nei casi di dominanza o di paura in cui l’ansia o lo stato conflittuale possono giocare un ruolo (Voith, comunicazione personale). Per questo, il propanololo è stato proposto con successo variabile nella terapia di queste forme di aggressività e le fobie dei rumori. (D) FATTORI CHE DETERMINANO IL SUCCESSO TERAPEUTICO 1. La collaborazione del proprietario è un fattore di fondamentale importanza; si consideri sempre il valore della visita di controllo di ciascun caso, per verificare i cambiamenti comportamentali e suggerire eventuali variazioni del programma terapeutico 2. Età di insorgenza: se il disturbo compare precocemente, è probabile che il cane sia realmente anormale, che non conosca il comportamento normale attraverso l’esperienza e possa aver imparato a un comportamento inappropriato 3. Fornire al cliente le informazioni necessarie su come anticipare, evitare ed intervenire quando si manifesta il disturbo 4. Da quanto tempo è presente il disturbo: l’animale tende ad adattarsi alla situazione 5. Schema di riferimento: l’animale sta migliorando o peggiorando, gli episodi sono più o meno frequenti, le risposte sono più o meno generalizzate? 6. Addestramento all’obbedienza: assolutamente non indicato per i comportamenti anormali e/o inappropriati; vivamente raccomandato per gli altri cani, costituendo tra l’altro una buona occasione per evidenziarne eventuali disturbi del comportamento. Terapia dei problemi comportamentali 29 BIBLIOGRAFIA Ananth J: Clomipramine: an antiobsessive drug. 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