Esplorazione Dimensionale dei Disturbi di Personalità in

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I FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
DOTTORATO DI RICERCA IN PSICHIATRIA
Interventi Precoci nelle Psicosi
Ciclo XXVI
Esplorazione Dimensionale dei Disturbi di
Personalità in pazienti schizofrenici e nei loro
familiari di primo grado: una valutazione con la
SWAP-200
Coordinatore
Dottoranda
Ch.mo Prof. Paolo Fiori Nastro
Dott.ssa Maria Chiara Torti
Tutors
Ch.mo Prof. Massimo Biondi
Dott. Fabio Di Fabio
A. A. 2013-2014
«Tutto questo deriva da una sola colata.
Ciò che prorompe catastroficamente nelle crisi saltuarie e
nei capricci subitanei dei nostri pazienti catatonici
come delirio di persecuzione, come un sistema assurdo,
come un inceppamento disperato, come una rigidità pietrificata,
come un autismo ostile, come negativismo e mutismo,
questo stesso elemento è presente come uno Spirito familiare,
con intensità diversa e con varianti sane e psicopatiche».
(Kretschmer, 1918)
Alle famiglie.
INDICE
RINGRAZIAMENTI
1
1
2
PSICOSI E PERSONALITÀ: CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
1.1
L’INDIPENDENZA TRA PSICOSI E PERSONALITÀ: GLI ORIENTAMENTI CLASSICI
1.2
LA QUESTIONE DELLA CONTINUITÀ TRA PERSONALITÀ E PSICOSI: I TEORICI DELLO SVILUPPO SCHIZOFRENICO E LA
SOGGETTIVITÀ DEL FENOMENO ELEMENTARE
1.3
6
11
CONFIGURAZIONI ABNORMI DELLA PERSONALITÀ COME SINDROMI PSICOTICHE SUBCLINICHE: L’APPROCCIO
ORGANICISTA
12
1.4
15
LA VISIONE ANTROPOLOGICA E PSICODINAMICA DEL CONTINUUM PSICOSI-PERSONALITÀ
1.4.1
ERNST KRETSCHMER: LE PSICOSI COMPRENSIBILI ED IL CARATTERE
21
1.5
EVOLUZIONE NOSOGRAFICA DEI DISTURBI DI PERSONALITÀ CORRELATI ALLE PSICOSI
27
1.6
LE PERSONALITÀ SCHIZOTIPICHE E LO SPETTRO SCHIZOFRENICO
33
1.6.1
1.7
DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITÀ E PSICOSI
DALLA SCHIZOFRENIA BORDERLINE AL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
39
42
2 ANALISI DEGLI ATTUALI STRUMENTI DIAGNOSTICI DIMENSIONALI PER LA VALUTAZIONE DELLA
PERSONALITÀ
49
2.1
16 PERSONALITY FACTORS QUESTIONNAIRE (16-PF)
52
2.2
EYSENCK PERSONALITY QUESTIONNAIRE (EPQ)
54
2.3
FIVE-FACTOR MODEL (FFM)
55
2.4
TEMPERAMENT AND CHARACTER INVENTORY (TCI)
57
2.5
MILLON CLINICAL MULTIAXIAL INVENTORY-III (MCMI-III)
58
2.6
SHEDLER-WESTEN ASSESSMENT PROCEDURE-200 (SWAP-200)
60
2.7
ALTRI MODELLI DIMENSIONALI
62
2.8
LIMITI DEI TEST SELF-REPORT DI VALUTAZIONE DELLA PERSONALITÀ
63
3
OBIETTIVI DELLO STUDIO
66
4
MATERIALI E METODI
68
4.1
DISEGNO SPERIMENTALE
68
4.2
POPOLAZIONE
70
4.3
STRUMENTI UTILIZZATI E VALUTAZIONI
70
4.3.1
LA SHEDLER-WESTEN ASSESSMENT PROCEDURE – 200 (SWAP-200)
70
4.3.2
4.4
5
LA STRUCTURED CLINICAL INTERVIEW FOR DSM-IV AXIS I DISORDERS (SCID-I)
ANALISI STATISTICA
RISULTATI
81
82
84
5.1
DESCRIZIONE DEL CAMPIONE
84
5.2
ANOVA ETÀ E SCOLARIZZAZIONE
84
5.3
PROFILI DI PERSONALITÀ: I PUNTEGGI PD
86
5.3.1
MANOVA GRUPPI PER LE SCALE PUNTI PD T DEL TEST SWAP-200
86
5.3.2
CONFRONTI PIANIFICATI
88
5.4
PROFILI DI PERSONALITÀ: I PUNTEGGI Q
94
5.4.1
MANOVA GRUPPI PER LE SCALE PUNTI Q DEL TEST SWAP-200
94
5.4.2
CONFRONTI PIANIFICATI
95
6
DISCUSSIONE
100
7
CONCLUSIONI
108
8
APPENDICE
109
8.1
TABELLE RIASSUNTIVE DEI CONFRONTI PIANIFICATI PER I PUNTI PD T
109
8.2
TABELLE RIASSUNTIVE DEI CONFRONTI PIANIFICATI PER I PUNTI Q T
112
9
ALLEGATO A
115
10
ALLEGATO B
120
11
BIBLIOGRAFIA
127
RINGRAZIAMENTI
La tesi di Dottorato è un lavoro impegnativo, non tanto per la sua estensione nel tempo o per gli
sforzi intellettuali che richiede, piuttosto perché è il frutto di un percorso nel quale si sceglie di
mettersi personalmente in gioco. A conclusione di questo viaggio sento perciò il dovere ed il piacere
di scrivere queste righe di ringraziamenti che da tanto tempo medito.
Grazie al Prof. Biondi, per aver creduto in me e per avermi dato la possibilità di svolgere attività di
ricerca e clinica nel D.A.I. di Neurologia e Psichiatria del Pol. Umberto I, e per avermi considerata da
subito, e ormai da tempo, come “parte dello staff”, di una squadra di cui vado orgogliosa.
Un ringraziamento particolare va al Dott. Di Fabio, con il quale la parola “tutor” ha acquisito un
significato affettivo ed affettuoso che nel mio vocabolario personale resterà per sempre collegato a
lui. Fabio ha respirato questa tesi con me, ideandola tanto tempo fa come progetto ambizioso ed
affidandomela con piena fiducia. A lui sono anche riconoscente per avermi insegnato il coraggio ad
assumermi delle responsabilità cliniche che forse, se non lo avessi conosciuto, come molti avrei
aggirato e che ora mi hanno trasformato nella psichiatra che sono.
Grazie al Prof. Fiori, per la disponibilità mostrata ad incontrarmi in ogni fase di questo cammino e,
soprattutto, per le iniziative e l’impegno mostrato a noi dottorandi nel fare di questo Corso un iter
formativo di alto livello, con offerte educative che non hanno temuto il confronto con i modelli
internazionali a cui sempre noi italiani ci ispiriamo.
Esprimo la mia gratitudine anche al Dott. Buzzanca, a cui attribuisco il merito del rigore scientifico
che questo lavoro può vantare, e che non finirò mai di ringraziare per avermi insegnato ad integrare
la statistica in uno studio sperimentale fin dal suo concepimento, senza più considerarla una
expertise specifica riservata a pochi.
Per me è poi una vera gioia ricordare le mie compagne di cammino: Sara, Camilla, Chiara e Vittoria.
Ci siamo incontrate ad una tappa comune e abbiamo piacevolmente fatto parte della strada
insieme, pur rimanendo ciascuna di noi diretta verso una destinazione diversa, personale. Di questa
tratta insieme, che ci ha reso amiche più che colleghe, conserverò per sempre il ricordo, proprio
come di un viaggio incancellabile da cui siamo uscite tutte un po’ trasformate. A martedì!
Un pensiero speciale va poi alle famiglie, a cui questa tesi è intensamente dedicata.
Grazie alle famiglie dei pazienti, per il loro offrirsi ai propri cari ed alla ricerca, e perché senza dubbio
lavorare con loro è stata l’esperienza umana e professionale emotivamente più incisiva.
Grazie alla “vecchia” famiglia, che mi ha cresciuta con affetti ed idee che mi sostengono ancora e
sempre. Grazie alla “nuova” famiglia, a mio marito e soprattutto ai miei due piccoli fiori, perché con
voi nella pancia e nel cuore ho intrapreso la strada e con voi a fianco la concludo.
1
1
PSICOSI E PERSONALITÀ: CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
Nel polideterminismo eziologico della psicosi schizofrenica, l’assenza di ipotesi
patogenetiche certe e dimostrate è causa della difficoltà a raggiungere un criterio
“definitivo e definitorio” univoco di questa patologia, che la colga cioè nel suo “nucleo
essenziale”.
Nel dibattito sia storico sia attuale, i modelli di definizione di questi disturbi appaiono
continuamente modificabili sulla base di nuovi dati empirici, seppure via via più raffinati
nel tempo. La molteplicità dei criteri valutativi che scaturiscono dalle osservazioni cliniche
ha da sempre favorito un approccio tendenzialmente “ideologico”, in cui determinate
definizioni sembrano ispirarsi, più che a dimostrazioni decisive, alla specifica tradizione e
alle preferenze dei singoli gruppi di ricerca o delle Scuole di pensiero.
In particolare, il problema tuttora irrisolto del movente iniziale, generatore della psicosi, ha
suscitato un dilemma sul quale la psicopatologia si è da sempre interrogata.
L’innesco psicotico è stato infatti individuato secondo una duplice prospettiva teorica:
1) causato da un meccanismo organico e quindi oggettivo e invariante, omogeneo per ogni
paziente a prescindere dagli eventi di vita; i contenuti personali lo possono arricchire solo in un
secondo momento, aggiungendosi a posteriori come reazione di adattamento o di coping e
guidandone i successivi sviluppi;
2) costituito da un processo soggettivo, di tipo psichico, inscritto in un continuum personologico;
esso appare quindi dotato ab initio di caratteristiche strettamente individuali, variabili ed
eterogenee da persona a persona.
A partire da queste due differenti posizioni concettuali, si sono sviluppate correnti di
pensiero che hanno necessariamente investito la complessità dei rapporti che intercorrono
tra configurazione della personalità e comparsa ed evoluzione delle psicosi, facendone un
tema ricorrente nella storia della psichiatria.
Coerentemente con la contrapposizione di prospettive descritta, fin dalle origini della
psichiatria moderna l’osservazione clinica dei pazienti ha portato all’elaborazione di
modelli interpretativi dicotomicamente distinti tra quelli che hanno fermamente sostenuto
2
la totale indipendenza tra personalità premorbosa e psicosi (Jaspers, 1913; Schneider,
1958) e quelli che le hanno al contrario considerate in rapporto di continuità (Bleuler, 1929;
Kretschmer, 1934).
In particolare, l’approccio alla psicopatologia delle psicosi ha assunto nel corso di un secolo
una strutturazione ancora più radicalmente scissa secondo queste due direttive principali
in seguito alle teorizzazioni di Jaspers relative alle nozioni di “processo” e “sviluppo”.
Il processo si caratterizza come una “frattura” nel decorso di una vita, che conferisce a
questa un carattere non unitario ed armonico, bensì diviso in due atti, in modo irreversibile
ed inguaribile. Il processo insorge in un breve e ben definibile intervallo di tempo, in cui
convergono anche i principali sintomi noti; mancano sia una causa scatenante sia una
esperienza sufficientemente valida che possa permettere di inserire ciò che si osserva nel
paziente nel campo del comprensibile e derivabile. Il processo è analogo, nel pensiero
jaspersiano, alla malattia in senso medico, ed afferisce dunque al campo del somatico.
Lo sviluppo di una personalità, invece, ha la sua causa in una singola disposizione intrinseca
e realizza il suo corso senza fasi endogene evidenti e soprattutto senza fratture
incomprensibili che mostrino, nel fluire di quella peculiare vita e storia, la presenza di un
“prima” e di un “dopo”. Sono proprie di questo decorso vitale i disturbi funzionali
comprensibili, che afferirebbero al campo dello psichico e sarebbero descrivibili sul piano
clinico quali sindromi stabili o transitorie, in cui intervengono anche fattori psicogeni, e di
fronte alle quali «il comprendere non subisce uno smacco, proponendosi come
maggiorazioni, minorazioni o contaminazioni di modelli di funzionamento psicologico
normale» (Sarteschi & Maggini, 1996).
Nella prima prospettiva, la visione della schizofrenia è quella di una malattia organica
insorgente in un individuo precedentemente sano, e in quanto tale parte di un processo
ben definito e separato da tutta la vita psichica del soggetto precedente al momento
dell’esordio psicotico. La psicosi è cioè un fenomeno primario che si abbatte e frattura il
corso di un’esistenza fino a quel momento normale.
D’altra parte, secondo le contrapposte teorie sull’eziologia della schizofrenia, si ammette
l’ipotesi di uno sviluppo da una personalità preesistente, dotata di specifiche caratteristiche
3
e peculiarità, che in alcuni soggetti rimarrebbe tale per tutta la durata della vita, mentre in
una minoranza evolverebbe, probabilmente anche per l’intervento di fattori ambientali, in
schizofrenia conclamata. In questo senso, è nella personalità premorbosa che devono
essere rintracciati quegli elementi psicologici di cui la psicosi non è altro che
un’amplificazione.
Da una simile dicotomia derivano considerazioni rilevanti non soltanto sul piano puramente
concettuale, ma anche e soprattutto clinico, poiché dalla sua soluzione, ovvero dal
prevalere di una determinata concezione eziologica e psicopatologica, origina la possibilità
di comprendere in che cosa consista un esordio psicotico, da che cosa sia innescato e,
conseguentemente, come si possa prevenire (Alessandrini & Di Giannantonio, 2005).
È evidente, tuttavia, che le più interessanti linee di pensiero siano emerse proprio dalle
zone di intersezione tra personalità e psicopatologia, a dispetto della loro storica
separazione che si riflette peraltro ancora oggi nella consuetudine di attribuirle a due
diverse aree di indagine -la prima più psicologica e la seconda di pertinenza psichiatrica- e
nella tradizione nosografica di codificarle secondo due assi distinti. Attualmente, i diversi
orientamenti ed indirizzi non possono che convergere sulla posizione di un’innegabile
interdipendenza tra psicosi e disturbi di personalità: se da una parte si può ancora dibattere
sull’eventuale presenza (e sulla direzione) del nesso causale che collega queste due aree
psichiche, dall’altra non si può più negare l’idea che, in caso di comorbilità, esse non
possono che influenzarsi vicendevolmente (Andersen & Bienvenu, 2011; Balaratnasingam
& Janca, 2015; Berenbaum & Fujita, 1994; Schroeder, Naber, & Huber, 2014).
E’ proprio per il rilievo, nella maggioranza degli studi, di elevati tassi di comorbilità tra
disturbi di personalità e psicosi che il focus della ricerca ha progressivamente sempre più
insistito su questa interdipendenza tra psicosi e personalità e, parallelamente, ha
alimentato anche il crescente dibattito sull’abilità degli attuali strumenti psicometrici
nell’identificare e valutare accuratamente gli aspetti personologici nell’ambito delle psicosi
(Newton-Howes, Tyrer, North, & Yang, 2008).
Una revisione sistematica della letteratura (Newton-Howes, Tyrer, North, et al., 2008) ha
riportato una prevalenza dei disturbi di personalità nel 39,5% dei pazienti con diagnosi di
4
schizofrenia, simile a quella riscontrata in altre gravi patologie psichiatriche come i disturbi
bipolari e le dipendenze da sostanze (40-60%) (Newton-Howes, Tyrer, North, et al., 2008;
Schroeder et al., 2012). A confronto, solo il 6-13% della popolazione generale soddisfa i
criteri lifetime per i disturbi di personalità (Huang et al., 2009; Paris, 2010). Nella suddetta
revisione vengono anche considerate, però, le notevoli variazioni tra differenti studi (4,5100%), che presumibilmente riflettono le differenze metodologiche tra gli strumenti
diagnostici selezionati e le diverse distribuzioni di queste diagnosi nei vari paesi.
Il riscontro che gli individui con diagnosi di schizofrenia o di altri disturbi psicotici risultano
affetti anche da almeno un disturbo di personalità in una proporzione circa tre volte
superiore a quella dei soggetti senza patologie psicotiche è stato tuttavia confermato anche
da McMillan e coll. (McMillan, Enns, Cox, & Sareen, 2009).
Numerosi studi hanno anche rilevato l’associazione di questa comorbilità con outcomes
peggiori (Berenbaum & Fujita, 1994; Lenzenweger, Lane, Loranger, & Kessler, 2007;
Newton-Howes et al., 2010; Newton-Howes, Tyrer, Moore, & Nur, 2007).
In particolare, la comorbilità dei disturbi di personalità con i disturbi psicotici è stata
associata a un peggiore insight (Campos et al., 2011), maggior tasso di riospedalizzazioni
(Fok, Stewart, Hayes, & Moran, 2014; Smith, Deutsch, Schwartz, & Terkelsen, 1993),
aumento dei comportamenti violenti (Bo, Abu-Akel, Kongerslev, Haahr, & Simonsen, 2013;
Moran et al., 2003), peggiore qualità di vita percepita (Buzzanca, Di Fabio, Boncori, & Biondi,
2010; Ritsner, Lisker, & Grinshpoon, 2014) e maggiore compromissione del funzionamento
sociale (Jetha, Goldberg, & Schmidt, 2013; Moore, Green, & Carr, 2012; Newton-Howes,
Tyrer, & Weaver, 2008; Ohi et al., 2012).
I pazienti affetti da schizofrenia ed altre psicosi presentano inoltre alti livelli di comorbilità
inter-cluster (Moore et al., 2012; Simonsen et al., 2008). Questo suggerisce la presenza di
un effetto cumulativo dei tratti di personalità aberranti nelle psicosi e, allo stesso tempo,
che una combinazione di dimensioni personologiche patologiche sia la norma piuttosto che
l'eccezione tra le persone con schizofrenia.
Gli studi di prevalenza e di comorbilità, come si vede, ribadiscono la necessità di definire
paradigmi di interazione tra personalità e psicosi.
5
A tal proposito, Krueger e Tackett nel 2003 (Krueger & Tackett, 2003) hanno efficacemente
sintetizzato i modelli avanzati che definiscono le relazioni tra Asse I ed Asse II in quattro
categorie:
• Predisposizione-Vulnerabilità: la presenza di un disturbo di Asse II, o comunque di un set
specifico di tratti di personalità disfunzionali, aumenta la probabilità di sviluppare uno specifico
disturbo di Asse I;
• Complicazione-Cicatrice: rispetto alla prima categoria si propone una causalità inversa, per cui
la presenza di un disturbo sull’Asse I può creare una “complicazione” o una “cicatrice” a livello
della personalità;
• Patoplasticità-Esacerbazione: i disturbi dell’Asse I e II, pur essendo indipendenti per eziologia
ed insorgenza, possono influenzarsi reciprocamente, con un effetto sinergico (esacerbazione) o
che modifica la modalità con cui il disturbo si esprime (patoplasticità);
• Spettro: in questo caso i disturbi dell’Asse I e dell’Asse II non sono distinti fra loro, ma si
dispongono lungo un gradiente o continuum, lo “spettro” appunto, che si estende dai tratti
subclinici fino alla psicopatologia.
Nel campo delle psicosi, in particolare, dei quattro modelli descritti la ricerca psichiatrica si
sta progressivamente orientando ad adottare in modo sempre più fermo e conclusivo i
concetti di “vulnerabilità”, intesa come diatesi ad ammalarsi di schizofrenia in risposta a
stimoli endogeni ed esogeni multipli o concomitanti, e di “spettro”, prevedendo peraltro
una loro stretta connessione. Tali direzioni sono guidate dalle recenti osservazioni che
manifesti tratti di personalità siano sottesi da sistemi genetici e neurocomportamentali che
fungono anche da fondamento endofenotipico, sottosoglia, dei sintomi psicopatologici
(Gottesman & Gould, 2003).
Segue una breve revisione dei principali orientamenti relativi alla questione del nucleo
elementare delle psicosi e del suo rapporto con la dimensione personologica soggettiva che
hanno condotto, nel tempo, alla moderna teorizzazione dei concetti indicati.
1.1
L’INDIPENDENZA TRA PSICOSI E PERSONALITÀ: GLI ORIENTAMENTI CLAS SICI
Nella sua dissertazione sugli stadi che scandiscono l’esordio psicotico, Magnan (Magnan,
1998) riconosce il fenomeno elementare o primum movens dell’esperienza psicotica
6
(ovvero il suo momento causale) nel “periodo di incubazione”, corrispondente al “primo
tempo” e caratterizzato da uno stato di «indefinito malessere, crescente inquietudine,
supposizioni, idee vaghe di persecuzione». In questa descrizione, tale condizione di
malessere indefinito, sia psichico sia somatico, consiste in sfumati sintomi negativi ed è
cronologicamente precedente, e quindi primaria su un piano eziopatogenetico, rispetto ai
susseguenti sintomi positivi quali «illusioni e interpretazioni deliranti» ed «allucinazioni
dell’udito».
Agli inizi del Novecento, anche de Clérambault (de Clérambault, 1920), coniando la celebre
nozione di “automatismo mentale”, riconduce il primum movens delle psicosi a questa fase
iniziale fenomenicamente attenuata, primaria ed antecedente rispetto ai successivi sintomi
produttivi.
Il “piccolo automatismo mentale” è un’alterazione priva di legami con la soggettività e
quindi del tutto neutra ed impersonale. La sua natura anideica e anaffettiva spiega la sua
corrispondenza con sintomi quali vuoto di pensiero, perplessità, giochi di parole,
estraneità. La sua insorgenza automatica, ovvero meccanica, improvvisa ed inaspettata per
il soggetto, coincide con il momento d’innesco psicotico, precedendo temporalmente lo
stadio del “grande automatismo mentale”, quest’ultimo articolato in fenomeni ideoverbali, sensoriali e psicomotori. In altri termini, solo in un secondo momento, anche se
rapidamente, il piccolo automatismo può evolvere in sintomi ben più conclamati come le
allucinazioni, seguite a loro volta, quale ulteriore stadio, dai deliri.
Poiché il piccolo automatismo appare identico in tutti i soggetti, de Clérambault, che è stato
definito “l’organicista metaforico”, ne teorizza l’origine in un fondamento organico
(Alessandrini & Di Giannantonio, 2005). L’Autore sostiene infatti che «l’organizzazione
automatica è un risultato naturale della costituzione cerebrale» (Garrabé & Alessandrini,
2001), un meccanismo identico in tutti i soggetti, declinato solo secondariamente nel
piccolo automatismo, seguito a sua volta dal grande automatismo. Il delirio è soltanto
un’ulteriore reazione, configurandosi come l’unica tappa, derivata e finale, in cui fa la sua
comparsa la soggettività e la personalità del paziente. Egli scrive: «Si può dire che nel
momento in cui compare il delirio la psicosi è già vecchia. Il Delirio è semplicemente una
Sovrastruttura» (de Clérambault, 1920).
7
Un analogo approccio ricompare in Bleuler (Bleuler, 1985), per il quale le psicosi, nel suo
caso in particolare quelle schizofreniche, sono riconducibili ad una “malattia cerebrale”. Il
primum movens conferma la sua natura impersonale ed omogenea per tutti i soggetti,
inevitabilmente identificabile con un disturbo organico.
In modo un po’ ambiguo ed apparentemente contraddittorio però, come si vedrà
particolarmente nel concetto di “schizofrenia latente”, con la teoresi bleuleriana iniziano
ad emergere anche contenuti relativi ad un’origine psicogena, soggettiva, che sembrano
caratterizzare specificatamente proprio le fasi che precedono la patologia conclamata.
Bleuler, infatti, mentre da un lato fa derivare da un’alterazione cerebrale i sintomi da lui
denominati primari, dall’altro, influenzato evidentemente dal suo allievo Jung, attribuisce
a cause psicologiche, i “complessi a tonalità affettiva”, i sintomi che classifica come
secondari e accessori.
Come già sottolineato, il problema dei complessi rapporti tra psicosi e personalità fu poi
affrontato in maniera organica da Jaspers nella sua Psicopatologia Generale (Jaspers,
1913). Secondo il suo pensiero la personalità può modificarsi nel corso della vita in base a
sole quattro diverse modalità:
1) in relazione all’età ed alle modificazioni biologiche del ciclo vitale;
2) in reazione ad eventi esterni di vita, siano essi a carattere soggettivo (lutto) o collettivo, quali le
modificazioni socio-culturali (moda, costume);
3) in risposta a cambiamenti del “fondo” biologico individuale (malattie);
4) in conseguenza di alterazioni create da un ‘processo’ interno sconosciuto e che scatenano
fenomeni psicopatologici del tutto nuovi rispetto alla precedente personalità del soggetto. Un
processo con caratteristiche di acutezza prende il nome di “poussèe” o “spinta” (schaub).
Le modificazioni di questo ultimo tipo non sono derivabili in alcun modo dalla personalità
premorbosa: il processo infatti interrompe bruscamente la continuità esistenziale
(Schneider, 1987).
Jaspers propone dunque la non derivabilità (e quindi l’incomprensibilità) dei sintomi
schizofrenici proprio come indice inequivocabile della natura processuale della malattia:
8
«Quando nel corso di una vita che si è sviluppata naturalmente fino a quel momento,
insorge qualcosa di completamente nuovo (…) permanente, parliamo di processo».
Viene proposta dunque una visione dei disturbi caratteriali come traduzione, su un piano
personologico, del processo morboso di base. Pertanto essi possono essere considerati
come sintomi analoghi a quelli più propriamente clinici.
Con la nozione di processo, Jaspers riconferma e per certi versi sancisce l’impossibilità di
stabilire una relazione comprensibile tra personalità pre-psicotica e malattia conclamata.
Tale prospettiva viene ulteriormente drammatizzata in seguito al contributo di Schneider,
che nel 1946 ottenne la cattedra di psichiatria ad Heidelberg. Per l’Autore, la psichiatria
deve restare ancorata alla clinica abbandonando qualsiasi posizione filosofica e
l’osservazione del clinico deve concentrarsi esclusivamente sulla patologia, diffidando di
tutte le riflessioni sulla cosiddetta “normalità”. In questo senso, il suo maggiore contributo
teorico, i cosiddetti sintomi di primo rango (first rank symptoms) (Schneider, 1987), non
vengono tanto concepiti come quelli più elementari o nucleari della schizofrenia, ma quelli
che ne permettono una diagnosi più affidabile. La prospettiva di Schneider è dunque
estremamente clinica, trasversale, tesa a delineare un confine netto tra normalità e
patologia.
Le forme sfumate, in assenza di sintomi di primo rango produttivi, non vengono considerate
schizofreniche. La drasticità dell’Autore riguarda anche la radicale separazione tra disturbo
di personalità (che per lui è solo una “variante abnorme dell’essere psichico”) e schizofrenia
p.d. (intesa invece come la traduzione clinica di un’alterazione biologica ancora
sconosciuta). Nella sua concezione anche le cosiddette “personalità schizotipiche”,
nonostante nella sua stessa descrizione ricapitolino evidentemente l’area della
paucisintomatica schizofrenica, devono comunque tenersi ben distinte dalla psicosi
schizofrenica. Poiché l’idea di un continuum sorge spontanea dalla stessa descrizione di
Schneider, è evidente che la sua cesura drastica sia più ideologica che francamente
empirica (Lorenzi & Pazzagli, 2006).
In tempi più moderni, secondo la teoria dei sintomi di base, che appartiene alla tradizione
psichiatrica della scuola di Heidelberg (Huber & Gross, 1995; Janzarik, Dening, & Dening,
9
1992; Stanghellini, 1992), l’orientamento della ricerca psichiatrica torna a rivolgersi
nuovamente alla ricerca del nucleo elementare della patologia psicotica. Con
concettualizzazioni sovrapponibili a quelle del filone teorico originario, anche qui il primum
movens delle psicosi, prevedendo una base biologica, precisamente neurofisiologica, è
ricondotto ad un meccanismo sempre identico e ricorrente in tutti i pazienti e dunque
scollegato dalla dimensione personologica.
I sintomi di base vengono concepiti come l’espressione del «livello più sfumato, minimale,
della sindrome negativa che insorge precocemente nel decorso della malattia» (Maggini,
1999). Essi sono esperienze elementari anomale e disturbanti, prevalentemente di natura
cognitiva ed autopercettiva, rilevabili soprattutto nelle fasi prodromiche della schizofrenia,
dove costituiscono le fondamenta dei disturbi di depersonalizzazione e derealizzazione
(Gross, Huber, & Klosterkötter, 1998; Klosterkötter, 1999).
I sintomi di base rappresentano la manifestazione fenomenica di un disturbo fondamentale
che colpisce la processazione delle informazioni e che riconosce il suo movente organicocerebrale in una disfunzione neurotrasmettitoriale del sistema limbico.
Proprio in quanto sottesi da alterazioni di carattere neurofisiologico, i sintomi di base
possiedono una supposta natura primaria e vengono considerati alla stregua di markers
oggettivi, presenti (in maniera fluttuante) non solo in fase pre-psicotica, sotto forma di
“sindromi d’avamposto” e di “prodromi”, ma anche nelle fasi intra-psicotica e postpsicotica, come “stadi di base”.
Da ciò consegue che i sintomi di base siano dichiaratamente aspecifici, essendo presenti
non solo in tutti i soggetti che poi svilupperanno disturbi psicotici compresi quelli su base
organica (Gross, 1989), ma anche in soggetti che non la svilupperanno, o ancora in soggetti
che evolveranno verso altri esiti psicopatologici (McGlashan, 1998).
Allorché le condizioni d’innesco emotivo-situazionali superino la parziale incapacità del
paziente a elaborare le informazioni, i sintomi di base evolvono e si intensificano in sintomi
corrispondenti a quelli di primo rango di Schneider.
10
Nella fase pre-psicotica, tuttavia, essi emergono in presenza di conservate capacità di
adattamento e di compenso, che sono invece soggettive (Gross & Huber, 1996).
In altre parole, la personalità entra in gioco solo secondariamente declinando la specifica
reazione di coping ad un’alterazione organica di fondo.
Le prospettive fin qui esposte convergono nell’escludere ogni ipotesi dimensionalistica del
problema del rapporto tra personalità e psicosi e nel non permettere un pensiero sinottico
del quadro morboso (Lorenzi & Pazzagli, 2006).
Pur ammettendo la possibilità che una data personalità possa predisporre alla nascita di un
disturbo schizofrenico, gli orientamenti descritti sottolineano decisamente come
nell’evoluzione dallo stato premorboso alla psicosi conclamata vi debba essere un “salto”,
più che un “passaggio”: affinché si manifestino i sintomi clinici deve comunque aggiungersi
un quid novum.
Secondo contrapposte prospettive, si vedrà in seguito, è possibile che il fenomeno nucleare
originario di una psicosi non risieda in un meccanismo oggettivo, impersonale ed
invariante, ma tragga la sua genesi, che si potrebbe definire chiaramente psicogena, da un
contenuto soggettivo, diverso da persona a persona.
Da questo punto di vista, «il mancato rilievo della potenziale specificità soggettiva dei
sintomi di base potrebbe condurre all’impossibilità di coglierne il senso più profondo»
(Alessandrini & Di Giannantonio, 2005), precludendo l’identificazione dell’effettivo rischio
individuale – non semplicemente statistico – di una evoluzione psicotica.
La soggettività, dunque, non farebbe la sua comparsa solo nel modulare le risposte di
coping ad un disturbo neurologico di base, ma costituirebbe la radice stessa della patologia,
ed il suo elemento caratterizzante (Stefanis et al., 2002).
1.2
LA QUESTIONE DELLA C ONTINUITÀ TRA PERSON ALITÀ E PSICOSI: I TEORICI DELLO
SVILUPPO SCHIZOFRENI CO E LA SOGGETTIVITÀ DEL FENOMENO ELEMENTARE
Nel concetto di “processo” psicotico è insito un modello di discontinuità che appare
diametralmente opposto a quello di stile di personalità e sue varianti abnormi.
11
Contro la drasticità di questa separazione fra personalità e psicosi, si sono distinte posizioni
teoriche partite da due diverse direzioni: 1) sullo sfondo di una lettura più organicista,
alcune hanno considerato i disturbi di personalità come l’organizzazione di sindromi a
livello sub-clinico, oppure, 2) in base ad una visione più antropologica e psicodinamica, altre
hanno ricercato dei fattori di continuità delineando un possibile percorso tra personalità e
psicosi (Ballerini, 2010).
Nei primi casi, il focus è più concentrato sulla lettura dei sintomi di una psicosi come
un’esasperazione, una distorsione o un eccesso di un temperamento premorboso,
presumendo quindi una similarità di base fra la personalità e la sintomatologia del disturbo
psicotico. Negli altri casi l’attenzione si sposta più sull’interazione, ora eclatante ora
sfumata, tra “struttura” e “processo”, considerato quest’ultimo a genesi psicogena o
reattiva.
In entrambi i casi, l’interesse di queste linee di pensiero converge nel tentativo di «(…)
spiegare e comprendere i sintomi psicotici retrodatandone la matrice in un certo tipo di
personalità» (Minkowski, 1927), e dunque tendendo a cogliere la globalità dell’individuo, il
suo modello unificante di funzionamento strutturale al di là della frattura fra personalità e
sintomo.
Ordinandole seguendo un criterio puramente storico, nei paragrafi successivi verrà
affrontata dapprima la posizione organicista, ancorata al principio dell’oggettività del
fenomeno elementare, quindi quella più antropologica, orientata a considerare la
personalità premorbosa non più come una condizione sottosoglia della psicosi ma come un
fattore dinamico in grado di generarla.
1.3
CONFIGURAZIONI ABNOR MI DELLA PERSONALI TÀ COME SINDROMI PSI COTICHE
SUBCLINICHE: L’APPROCCIO ORGANICISTA
Una lunga tradizione di ricerca sugli indicatori della personalità premorbosa ha supportato
la nozione che esistono inequivocabilmente differenze tra gli individui con aumentata
suscettibilità alla schizofrenia a confronto con coloro privi di questa predisposizione.
12
Già nel 1860 Morel scriveva: «La follia non è che l’esagerazione del carattere abituale»
(Morel, 1860). Egli aveva riconosciuto in molti “stati nevrotici” le manifestazioni del
“periodo di incubazione della follia”, ed aveva descritto le predisposizioni temperamentali
alla malattia mentale puntualizzando che, apparentemente, molte persone trascorrano la
vita intera in tali condizioni di vulnerabilità, senza tuttavia mai manifestare psicosi.
Kahlbaum, nel 1890 (Kahlbaum, 1890), descrisse una forma sfumata di ebefrenia, definita
“eboidofrenia”, che si manifestava principalmente con semplici anomalie del carattere che
includevano disturbi della condotta ed alterazione dei sentimenti sociali.
Kraepelin notò come i sintomi apparissero “aggregare” le famiglie, poiché i familiari dei
soggetti con disturbo schizofrenico esibivano una fenomenologia simile, ed un certo
numero di anomalie, compresa una personalità eccentrica, pur non essendo francamente
psicotici.
Bleuler evidenziò che gli individui che sviluppano la schizofrenia manifestano bizzarrie nella
personalità fin dall’infanzia e tendono a ritirarsi e ad isolarsi dagli altri. Egli, riprendendo il
concetto di "schizoidia" introdotto in letteratura da Binswanger per etichettare l’assetto
personologico premorboso dei soggetti con dementia praecox e le anomalie psicopatiche
rilevate nei loro familiari, riutilizzò il termine per esprimere «(…) un modo di essere psichico
che compare aumentato in maniera patologica nella schizofrenia e nel suo stato intermedio
nelle persone psicopatiche, dette schizoidi», introducendo così il concetto di personalità
schizoide come comune substrato costituzionale
ed inaugurando, per molti
inconsapevolmente, la stagione dello “spettro schizofrenico” (Pintus & Maggini, 1998).
Nello schizoide, secondo l’Autore, viene meno il corretto equilibrio tra i due principi vitali
fondamentali dell’esistenza umana: la "sintonia" (ovvero la capacità di vibrare all’unisono
con l’ambiente) e la "schizoidia" (ossia la tendenza a sottrarsi all’influenza affettiva della
realtà per favorire l’affermazione della dimensione personale). Il prevalere della
componente schizoide porta al distacco dalla realtà ed al ripiegamento autistico su se stessi
e rende l’individuo incapace di affermare la propria dimensione personale inserendosi
sintonicamente nel succedersi degli eventi e modulando il proprio comportamento in
13
armonia al variare delle situazioni ambientali (Bleuler, 1929; Bleuler, Cancrini, Sciacchitano,
& Vennemann, 1985).
Bleuler sottolineò che in alcuni casi può verificarsi una transizione insensibile da una
personalità premorbosa di tipo schizoide alla forma morbosa schizofrenica nella sua
variante simplex, il cui esordio resta spesso inavvertito. Nella concezione bleuleriana la
“schizofrenia simplex”, uno dei sottotipi di schizofrenia da lui sistematizzati, è la forma più
nucleare della schizofrenia, fatta solo di sintomi fondamentali e con contemporanea e
pressoché assoluta assenza di sintomi accessori , questi ultimi essendo «(…) aspecifici
perché presenti anche in altre patologie mentali e meno importanti per la diagnosi della
schizofrenia, non riscontrandosi, infatti, nelle sue forme più lievi e latenti; (…) essi, inoltre,
possono mancare per un certo periodo di tempo o persino per tutto il decorso della
malattia». Il quadro clinico sintomatologico della variante semplice, con la sua tipica
coartazione della vita affettiva e sociale, pervade dunque immutato tendenzialmente tutto
il decorso del disturbo. Poiché nella pratica ambulatoriale, la varietà simplex risultava
essere un aggravamento quantitativo di un’anomalia, qualitativamente identica, già
presente nei fratelli, nelle sorelle e nei genitori (per i quali spesso si richiedeva un consulto),
Bleuler ne pone con acutezza in rilievo gli aspetti eredo-costituzionali.
Sulla base del concetto di “schizoidia”, all’entità nosografica della “schizofrenia simplex”,
Bleuler affianca quella della “schizofrenia latente”, che definisce proprio in rapporto alle
forme semplici. Mentre nella forma simplex i sintomi fondamentali sarebbero presenti fin
dall’inizio, seppure talvolta difficilmente diagnosticabili, in quella latente la diagnosi
sarebbe possibile solo a posteriori, quando la patologia diviene conclamata, poiché i
pazienti affetti in realtà «(…) passano per nevrotici, degenerati». Ciò rende l’orientamento
diagnostico ancor più difficile, poiché solo alla luce di un franco esordio psicotico si
chiarirebbero i sintomi del passato.
Secondo Bleuler tutte le psicosi schizofreniche presentano una fase di latenza. Tale fase si
potrebbe manifestare all’inizio con sintomi non psicotici ma nevrotici (Bleuler indica la
iperpuntualità, l’irritabilità, la capricciosità…) o caratteriali (la stramberia, il romitaggio, la
micro delinquenza, l’irresponsabilità…). La possibilità del viraggio della fase latente verso
14
una forma conclamata può arrivare reattivamente ad eventi di vita oppure non verificarsi
mai, lasciando le schizofrenie latenti nella loro forma “pura”, schizoide.
Il concetto di schizofrenia latente ha avuto sviluppi molto fecondi che vanno al di là della
descrizione dell’Autore. Nonostante le intuizioni bleuleriane di schizoidia e soprattutto di
schizofrenia latente abbiano avuto anche esiti concretamente negativi, quali l’estrema
soggettivizzazione della diagnosi con un suo conseguente abuso quantitativo, foriero di una
vera e propria “deriva nosografica”, nel dibattito post bleuleriano esse hanno
indiscutibilmente avuto il grande merito di ricondurre l’attenzione clinica sulle possibili
declinazioni caratteropatiche della psicosi schizofrenica, cioè su tutto quello che,
nell’evoluzione della patologia schizofrenica, precede, concomita e segue la manifestazione
sintomatologica eclatante.
Con il pensiero di Bleuler, e come si è visto sopra, con quello di Jaspers, tuttavia, la
psicopatologia resta ancorata ad una visione di disturbi di personalità come traduzione,
nell’ambito temperamentale, di un processo morboso di base che affonda chiaramente le
sue radici nel somatico. Solo successivamente, come si vedrà nel prossimo paragrafo, il
pensiero psichiatrico si orienterà a considerare più chiaramente la derivabilità
psicogenetica (e la comprensibilità) dei fenomeni psicotici.
1.4
LA VISIONE ANTROPOLO GICA E PSICODINAMICA DEL CONTINUUM PSICOSIPERSONALITÀ
Minkowski fu allievo di Bleuler e, dopo di lui, responsabile di un contributo fondamentale
alla ricerca della essenza della schizofrenia ma, più del suo maestro, orientato a cogliere le
radici di tale essenza nell’unità strutturale dell’individuo. Il concetto di “disturbo
generatore” (trouble generateur) (Minkowski, 1927; Stanghellini, Ambrosini, Ciglia, &
Fusilli, 2009) nasce proprio dalla necessità di individuare un “sintomo più profondo”
rispetto ai “sintomi di superficie” sui quali si basava la nosografia. Ne Il tempo vissuto
(Minkowski, 1971) Minkowski esprime la necessità di pensare alla sindrome
psicopatologica in termini di unità organizzata che funge da cardine ordinatore di tutti i
sintomi. Il disturbo generatore, inteso come disturbo elementare che si rapporta alla
personalità intera è un costrutto generatore di senso che non può essere ricercato tra i
15
sintomi clinici ordinari in quanto questi non sono costanti. Esso risiede su un piano più
basico: «Il disturbo generatore corrisponde, sul piano psicologico, alla base
anatomofisiologica delle sindromi somatiche. Tuttavia non avremo più a che fare qui con
delle funzioni, ma con la personalità vivente, una e indivisibile». Per far questo, secondo
l’Autore, bisogna «penetrare al di là degli elementi ideici e anche dei fattori emozionali di
una sindrome fino alla struttura intima della personalità morbosa che serve da intelaiatura
e agli uni e agli altri» (Minkowski, 1971). Una sindrome psicopatologica, in tal senso, non è
meramente un’associazione di sintomi, ma «il modo in cui la personalità è situata in
rapporto al tempo e allo spazio vissuti» (Stanghellini & Ambrosini, 2012).
Pur essendo il disturbo generatore talora un concetto piuttosto ambiguo nella trattazione
minkowskiana, è innegabile come la psicopatologia, soprattutto la scuola fenomenologica,
riprendendo e valorizzando tale costrutto si sia orientata a considerare la vulnerabilità
schizofrenica non più come “stato subclinico” ma come “fattore dinamico”, dotato di una
propria spinta propulsiva che può arrestarsi in tratti o disturbi di personalità o sfociare in
conclamate sindromi psicotiche.
Su tale prospettiva si inserisce anche il percorso della teorizzazione delle cosiddette
“schizofrenie borderline”, in cui certi tratti nevrotici sembrerebbero meglio inquadrabili
supponendo una loro secondarietà rispetto ad un ‘nucleo psicotico’. Tali assunti , già
evidenti nel concetto di “nevrosi borderline” di Clark (Clark, 1919) ebbero fecondi sviluppi
in ambito soprattutto psicoanalitico e proseliti fino a tempi abbastanza recenti. Il percorso
teorico in ambito psicodinamico, passando per le “paratassie personologiche” di Moore
(Moore, 1921) e per la “schizofrenia incipiente” di Glover (Glover, 1932), (riferendosi
entrambi i termini a manifestazioni nevrotiche che nascondono una patologia francamente
schizofrenica, seppur attenuata), trova il suo compimento nel concetto di “personalità
come se” (Deutsch, 1942), di “psicosi latente” (Federn, 1947) e, soprattutto, di “forme
pseudonevrotiche di schizofrenia” le cui descrizioni, ad opera di Hoch e Polatin, presumono
esplicitamente l’insorgere della schizofrenia come sviluppo da una personalità preesistente
(Hoch & Polatin, 1949).
I pazienti affetti da tali sindromi presenterebbero in modo apparentemente prevalente
sintomi ansiosi, che maschererebbero però un disturbo psicotico latente (O'Connor,
16
Nelson, Walterfang, Velakoulis, & Thompson, 2009). La diagnosi di schizofrenia
pseudonevrotica sarebbe confermata dalla compresenza di questi sintomi accessori (ansia
intensa che permea qualsiasi attività del soggetto, disturbi del comportamento e disturbi
“caratteriali”) e di sintomi principali di carattere psicotico (disturbi associativi e della forma
e contenuto del pensiero, in particolare pensiero dereistico; disregolazione quantitativa e
qualitativa dell’emotività con reazioni emotive improprie; ambivalenza dell’affettività e
dell’intenzionalità; tendenza alla chiusura autistica; disturbi sensomotori e del sistema
autonomo). Uno studio di follow up di 10 anni pubblicato nel 1962 mostrò che il 20% circa
dei pazienti con tale sintomi -tra i quali oggi collocheremo il gruppo dei cosiddetti Ultra
High Risk (UHR) per la psicosi (Fiori Nastro et al., 2012; Yung et al., 1996)- evolvevano verso
una schizofrenia convenzionale (Hoch, Cattell, Strahl, & Pennes, 1962). Questi sintomi
pseudonevrotici, situandosi proprio sulla linea di confine tra psicosi e gravi nevrosi, sono
stati inquadrati pertanto come sinonimi di “stati borderline” (da non confondersi, come è
noto, con l’odierno Disturbo Borderline di Personalità, avendo il concetto di “borderline”
poi perso, nella sua evoluzione, il suo significato originale).
In questo filone di pensiero, che coniuga aperture di tipo clinico nosografico con un fondo
teorico psicodinamico, si colloca successivamente l’elaborazione concettuale del
cosiddetto “carattere psicotico” di Frosch (Frosch, 1964), nel quale la patologia
schizofrenica si tradurrebbe direttamente in tratti del carattere, senza la comparsa di
franchi sintomi psicotici. In queste forme “bianche” o paucisintomatiche le saltuarie acuzie
psicotiche prenderebbero la configurazione delle “bouffèes delirantes allucinatoires”.
A sottolineare l’importanza dello sfondo soggettivo nel sottendere e plasmare i sintomi
psicotici, sempre in ambito psicodinamico, è stata addirittura proposta la nozione di
“disturbo schizofrenico di personalità” (Grotstein, 1990).
Con questo termine Grotstein considera la vulnerabilità psicotica connessa ad una
particolare dotazione genetica che, rifacendosi a Rado (1953), chiama "genotipo".
Esperienze infantili di "catastrofe psichica", innescandosi su tale predisposizione,
determinano il disturbo di personalità, definito anche “schizofrenia non psicotica”, termine
mutuato da Bion (Bion, 1957), che si differenzia dalla malattia manifesta, essendo una
dimensione personologica caratterizzata da dinamiche intrapsichiche e interpersonali
17
peculiari derivanti da un'attitudine deficitaria alle relazioni interpersonali con regolazione
abnorme dell'affettività e grave intolleranza a perdite oggettuali e frustrazioni.
Mentre dalla tradizione psicodinamica nasceva e si sviluppava questa atmosfera per la
quale molti disturbi mentali, non più solo di tipo nevrotico ma anche di tipo psicotico,
potevano essere causati da fattori psicologici e non meramente organici, parallelamente
nell’Europa del Nord fu ripreso e approfondito il concetto di “psicogeno”, termine già
utilizzato per la prima volta dallo psichiatra tedesco Sommer nel suo manuale di psichiatria
del 1894 (Sommer, 1894) per definire alcuni meccanismi mentali che fin a quel momento
erano comunque grossolanamente ricondotti al termine “isterico”.
La tradizione scandinava delle psicosi psicogene o reattive e in particolar modo la
teorizzazione di Wimmer, ripresa poi successivamente da Strömgren e Retterstøl, prestava
particolare attenzione ai fattori psicologici nella genesi delle psicosi deliranti.
La prima monografia sulle psicosi psicogene intitolata Forme psicogene di malattie mentali
fu scritta nel 1913 da Wimmer, professore di psichiatria all’Università di Copenaghen dal
1921 al 1937, e pubblicata per la prima volta in danese nel 1916 (Castagnini, 2010; McCabe
& Strömgren, 1975; Wimmer, 1916). Il suo lavoro rappresentò la prima globale indagine sul
campo, riscuotendo notevole successo al punto da distinguersi come uno dei testi classici
della psichiatria scandinava, ma, per ragioni linguistiche, è rimasto a lungo sconosciuto nel
resto dell’Europa, essendo stato tradotto in inglese solo nel 2003 da Schioldann. I
contributi della psichiatria tedesca e francese, come abbiamo visto, negli anni precedenti
vertevano su tecniche puramente descrittive mentre, per Wimmer, doveva essere prestata
più attenzione alle dinamiche dei meccanismi psicopatologici. In questo senso, egli
sottolineò l’importanza del contributo di Freud alla psichiatria.
Nella sua presentazione Wimmer afferma che le psicosi psicogene sono «varie psicosi,
clinicamente indipendenti, la cui principale caratteristica è quella di essere causate – in
genere su un terreno predisposto – da fattori mentali o traumi emotivi (“mental traumata”),
nel senso che questi agenti determinano l’insorgenza della psicosi, il suo decorso
(remissioni, esacerbazioni) e spesso anche la sua fine. Inoltre la forma ed il contenuto della
18
psicosi stessa riflettono i fattori mentali precipitanti in modo significativo, più o meno
direttamente e comprensibilmente» (Wimmer, 1916).
Le componenti basilari delle psicosi psicogene sono dunque: un adeguato trauma mentale;
una stretta correlazione temporale tra il trauma e l’insorgere della psicosi; la
determinazione, da parte del trauma, del contenuto della psicosi e una relazione tra il corso
della psicosi e la situazione traumatica. Sul piano nosografico l’Autore si riferisce a due
raggruppamenti di patologie: le sindromi affettive (che comprendono depressione
psicogena, eccitazione psicogena e stati stuporosi) e reazioni paranoidi (di tipo
prevalentemente persecutorio o espansivo), indotte tutte da specifici “traumi emotivi”
(Castagnini, 2010). In tali quadri si sottintende comunque sempre la presenza di una
specifica fragilità individuale predisponente. Per Wimmer il termine “psicogeno”
descriveva idealmente questi disturbi, perché si riferisce sia al contenuto sia alla carica
emotiva del trauma, in modo sovrapponibile alla nozione di “ideogenia” usata da Charcot
per riferirsi alla psicogenesi dei sintomi isterici a partire da una determinata idea o
rappresentazione mentale. L’opera di Wimmer costituì una rottura epistemologica nel
dibattito post kraepeliniano contrapponendosi al “sacro” criterio di uniformità (di quadro
clinico, decorso ed esito): si proponeva infatti una categoria variegata di disturbi psicotici
reattivi, connessi a fattori emozionali e interpersonali, e che non necessariamente
culminavano nell’indebolimento mentale e nel deterioramento cognitivo, considerato
allora come comune ed inesorabile esito fatale delle psicosi schizofreniche.
Un ulteriore approfondimento della caratteristiche ipotizzate come tipiche della
personalità pre-psicotica fu successivamente opera di Muncie che, nel 1939, identifica
quattro stadi attraverso i quali si snoderebbe l’evoluzione degli “stati paranoidi”, in ognuno
dei quali un individuo potrebbe rimanere per tutta la vita o attraverso il quale potrebbe
evolvere, in specifiche circostanze stressanti, allo stadio successivo:
I.
«Una struttura rigida della personalità, con incapacità di scendere a compromessi, e con
tendenza alla sfiducia negli altri e alla ruminazione.
II.
La comparsa di idee all'interno del paziente che lo illuminano come se fossero rivelazione, quali
gelosie, desideri di vendetta, forti ipocondrie, sospettosità, ecc.
19
III.
Una continua elaborazione di queste idee da parte del paziente, con una chiusura nei confronti
del mondo esterno che viene costantemente frainteso.
IV.
Una sistematizzazione di queste idee in modo coerente e logico, e a volte in modo complesso ed
esteso in diverse aree della vita sociale, accompagnata da un riesame e una revisione del
passato con falsificazione retrospettiva» (Muncie, 1939).
Il paziente, raggiunto lo stadio 3, si può considerare affetto da uno "stato paranoide",
altrimenti, a detta dell’Autore, presenta solo una "personalità paranoide" (Kendler &
Gruenberg, 1982).
Anche Meyer con la cosiddetta “Scuola psicobiologica americana di psichiatria”, pone
l’attenzione sull’influenza di fattori psicologici nell’eziopatogenesi della schizofrenia,
convinto che il paziente dovesse essere studiato longitudinalmente in tutto il corso della
sua vita e che i suoi sintomi si potessero tutti spiegare inserendoli nel passato personale
inteso sia in senso biologico, che sociale che psicologico. Alla base della malattia
schizofrenica esisterebbe infatti una reazione soggettiva agli eventi, le cui variabili sono
date dalla costituzione individuale (psico-biologica) e dal contesto socio ambientale
(Meyer, 1952). Meyer ipotizzò che la dementia praecox altro non fosse che il risultato
dell’accumularsi di alcune abitudini patologiche, chiamate “reazioni sostitutive”, poste in
atto da soggetti incapaci di affrontare i problemi e le difficoltà della vita e pertanto esposti
ad un insuccesso dopo l’altro. Inizialmente tali abitudini apparirebbero come banali
strategie di evitamento o come espedienti innocui, come il sogno ad occhi aperti, la
diminuzione degli interessi e la ruminazione (Lorenzi & Pazzagli, 2006). In seguito però tali
comportamenti assumerebbero tratti rigidi, incontrollabili e francamente patologici,
sfociando in allucinazioni, blocchi, deliri. Nella teoria di Meyer tali sintomi sarebbero
comprensibili e derivabili poiché riconducibili a tentativi (ovviamente falliti) di un efficace
adattamento a difficoltà concrete e reali. La dementia praecox sarebbe dunque l’evoluzione
finale dovuta all’incapacità di un adattamento costruttivo e innocuo. Meyer coniò a tal
proposito il nuovo termine di parergasia (incongruenza di comportamento), che però non
incontrò i favori dei contemporanei e rimase limitata alla sua Scuola. Il pensiero di Meyer
appare coniugare le idee di psicoreattività e psicogenesi sia con le teorie di derivazione
psicodinamica (Freud, Jung ma anche Piaget), sia con una visione bleuleriana della
patologia schizofrenica, rappresentando il primo tentativo della psichiatria americana di
20
elaborare una visione propria della malattia mentale con aspetti di originalità rispetto alle
concezioni europee.
Nell’approfondimento del problema del rapporto di continuità tra schizofrenia e
personalità, un discorso a parte merita il contributo di Kretchmer, poiché dalla posizione
teorica di questo Autore si è poi sviluppata una linea di pensiero a cui la presente
trattazione si ispira in modo particolare.
1.4.1
ERNST KRETSCHMER: LE PSICOSI COMPRENSI BILI ED IL CARATTERE
Uno dei più rivoluzionari contributi nella ricerca di una continuità tra personalità e
schizofrenia verrà dato da Kretschmer, a cui possiamo attribuire la prima vera sfida alla
dicotomia comprensibile-incomprensibile della lezione jaspersiana e di tutta la psichiatria
organicista, fino ad allora devota al celebre monito di Griesinger per cui
«Geisteskrankheiten sind Gehirnkrankheiten» (le malattie della mente sono malattie del
cervello).
La sua complessa teoresi si polarizza su due tematiche cruciali del pensiero psichiatrico,
cogliendone peraltro dei nessi:
1) La valorizzazione del carattere, inteso come una realtà psichica in rapporto dinamico tra realtà
esterna (gli eventi di vita) ed interna (il fondo temperamentale biologicamente determinato)
della persona. Considerato come intermediario modulatore di questo rapporto circolare tra
biologia ed ambiente, il carattere è inquadrato come uno stile personale predeterminato di
interpretazione e di reazione agli avvenimenti. In questo senso il concetto di endon biologico
jaspersiano sembra finalmente conciliarsi con un forte recupero del tema della reattività e,
quindi, della comprensibilità (Lorenzi & Pazzagli, 2006);
2) La ricerca, che sembra derivare da Bleuler, di un nucleo “eidetico”, di un essenza della patologia
schizofrenica.
L’Autore può essere considerato senza esagerazioni il fondatore del paradigma bio-psicosociale, in quanto propone un modello incentrato sull’interazione tra aspetti
temperamentali, personologici e sociali, teorizzando un potenziale percorso patogenetico
che, in determinati ambiti costituzionali, da una specifica predisposizione (la “schizotimia”)
21
fa derivare, secondo gradienti patologici crescenti, dapprima la “schizoidia”, intesa come
stato di confine tra il sano e il morboso, connotata da una disposizione autistica e da una
struttura affettiva caratterizzata dalla coesistenza di anestesia e iperestesia emotiva, e
successivamente la “schizofrenia” conclamata.
Nella sua opera migliore, Körperbau und Charakter (Kretschmer, 1921), gli individui
vengono prima classificati in base alla loro costituzione fisica, quindi i morfotipi ottenuti
sono studiati in relazione alla schizofrenia ed alla depressione maniacale.
Forte del supporto empirico dell’osservazione di 400 pazienti, sostiene che il tipo picnico è
correlato con la malattia maniaco-depressiva, l’astenico con la schizofrenia ed il tipo
atletico corrisponde a una sorta di stato di equilibrio.
Sviluppa quindi le nozioni di schizotimia/schizoidia (e per i disturbi affettivi di
ciclotimia/cicloidia) e sostiene che nella sequenza schizotimico (normale)-schizoide
(patologico)-schizofrenico (gravemente patologico), esistono solo variazioni quantitative,
di intensità. Per lui, c’è qualcosa di comune, di somigliante, di diverso solo per gradi, fra
carattere e psicosi: «fra malato e sano esistono tutti i passaggi e tutte le sfumature che si
possono immaginare».
Come si vede, senza abbandonare la dicotomia tra schizofrenia e psicosi maniaco
depressiva, ma addirittura sostenendo che le due entità necessitino per il loro sviluppo di
tipologie somatiche specifiche, Kretschmer introduce un concetto fondamentale, ovvero
quello di un continuum tra normalità e patologia: «Psicologicamente parlando, non siamo
in grado di separare ciò che è schizoide per antonomasia dal pre-psicotico, dallo psicotico,
dal post-psicotico, e dal non-psicotico. Possiamo solo ottenere la giusta idea dell’insieme,
quando vediamo tutti questi aspetti confusi insieme».
L'idea dello spettro continuo (di un potenziale) schizofrenico che, da gradienti normali, o
schizotimici, si sposterebbe poi lungo sequenze variabili e zigzaganti verso gradienti di
schizofrenicità scompensata e radicalmente psicotica, implica in qualche modo la
comprensibilità di alcune psicosi deliranti, generate dall'intersezione di una predisposizione
caratteriale, di un particolare ambiente sociale, e di una causalità psicologica scatenante. E
l'idea, che permane tuttora negli psichiatri di lingua tedesca, della possibilità di una
22
schizofrenia reattiva e quindi comprensibile, presente in una percentuale non trascurabile
di pazienti.
E 'questa elaborazione teorica inaugurata da Kretschmer che ha dato alla luce l'approccio
dimensionale, finalizzato a misurare le differenze quantitative di uno specifico substrato,
qualificandone i sintomi per diversi gradi di intensità. Con Kretschmer l'approccio
dimensionale ha iniziato il lento ma continuo processo d’integrazione con un approccio
categoriale che si era già da allora rivelato insufficiente nell’individuazione dei dettagli e
della complessità della malattia mentale.
Oggi, il modello dimensionale è utilizzato per definire lo spettro schizofrenico, lo spettro
dei disturbi affettivi e lo spettro ossessivo-compulsivo. Ciò che a noi appare ovvio è il
prodotto di una riflessione su «quanta strada le categorie mediche abbiano dovuto
percorrere per assumere questa prospettiva, cioè per pensare la malattia come un’entità
complessa e coerente, che sta dietro a una molteplicità eterogenea di sintomi come una
causa unitaria si nasconde e si esprime in luoghi e modi differenti» (Leoni, 2008).
Kretschmer trova correlazioni non solo tra tipi di struttura corporea e tra i tipi di carattere,
ma anche tra le prestazioni psicologiche e le funzioni fisiologiche, la predisposizione alle
malattie somatiche e addirittura le reazioni ai farmaci. Tale edificio trova il suo
coronamento nella scoperta della corrispondenza di tutti questi reperti sul piano ereditario.
La struttura del corpo, il carattere, le psicosi, le disposizioni somatiche per le malattie «sono
solo parti dell’effetto fenotipico dell’intera massa ereditaria». Kretschmer suppone che un
«intero genotipo stia alla base» di tutto il quadro ramificato delle manifestazioni.
Le psicosi, la personalità generale del paziente, l’individualità dei parenti, hanno un
fondamento comune: «Tutto questo deriva da una sola colata. Ciò che prorompe
catastroficamente nelle crisi saltuarie e nei capricci subitanei dei nostri pazienti catatonici
come delirio di persecuzione, come un sistema assurdo, come un inceppamento disperato,
come una rigidità pietrificata, come un autismo ostile, come negativismo e mutismo, questo
stesso elemento è presente come uno Spirito familiare, con intensità diversa e con varianti
sane e psicopatiche» (Kretschmer, 1918).
23
L’Autore ricerca una legge biologica, un fattore centrale, dalla cui origine si potrebbe
comprendere tutto in modo unitario, il somatico e lo psichico, il sano e il morboso, ovvero
la “costituzione generale dell’uomo”, la cui natura si manifesterebbe fin nelle qualità più
sublimi del carattere ed in ogni funzione del corpo. Ciò è particolarmente evidente nella
sua accezione di personalità prepsicotica, o schizoide. Questa sarebbe caratterizzata da una
tendenza ad una maggiore proporzione “disestesica” (senza sintonia con la realtà), rispetto
a quella “diatesica” o “sintonica”, che risulta invece prevalente nei caratteri non prepsicotici.
Questo doppio movimento era già stato intravisto da Bleuler: sintonia è il principio della
vibrazione all’unisono con il mondo, dello slancio estrospettivo ed espositivo dell’io;
schizoidia il contromovimento di retrazione introspettiva da (e di) questa vibrazione.
Nello schizoide di Kretschmer, la proporzione disestesica è rappresentata da due tendenze
antinomiche che agiscono in modo inconciliabile: l’iperestesia (massima e dolorosa
risonanza interna con la realtà esterna) e l’anestesia affettiva (indifferenza nei confronti
della realtà fino al distacco e all’apatia). Kretschmer scrive: «Ci sono casi in cui l'autismo è
prevalentemente un sintomo di ipersensibilità. Tali schizoidi ipereccitabili sentono tutti i duri,
forti colori e le tonalità della vita quotidiana (…) come striduli, brutti, e non amorevoli, anche
per il fatto di essere psichicamente dolorosi. Il loro autismo consiste in una dolorosa
contrazione del sé in se stesso. Essi cercano, per quanto possibile, di evitare e di affievolire
tutti gli stimoli dall'esterno; chiudono le persiane delle loro case, al fine di condurre una vita
di sogno, fantastica, povera di fatti e ricca di pensiero». Lo schizoide è freddo ed
ipersensibile simultaneamente e questa anomala affettività si ripercuote su tutte le altre
attività psichiche, sul comportamento e sulle relazioni, improntate all’imprevedibilità e alla
stravaganza: «Ha la chiave del temperamento schizoide, solo colui che ha chiaramente
riconosciuto che la maggior parte degli schizoidi non sono ipersensibili oppure freddi, ma
che essi sono ipersensibili e freddi allo stesso tempo, e, anzi, in miscele relazionali del tutto
diverse».
Dalla prevalenza della proporzione disestesica dipende quindi la modalità di reazione
all’ambiente e, in particolare, sia il pericolo di ammalarsi (rischio patogenetico) sia le
modalità espressive della malattia (rischio patoplastico). In questa disestesia col mondo, in
24
questa distonia schizoide che è l’espressione massima della difficoltà d’interazione con la
realtà, Kretschmer rintraccia il nucleo dell’essere schizofrenico, il suo vero disturbo di base.
Nella schizoidia starebbe l’eidos della schizofrenia (Lorenzi & Pazzagli, 2006).
Già nella sua precedente monografia Der sensitive Beziehungswahn (1918), l’opera minore
in cui Kretschmer teorizza l’applicazione della psicoterapia ai disturbi deliranti «fino al
confine con le psicosi schizofreniche», si presumono le basi di questo passaggio fatto di
continui rimandi tra fondo temperamentale, stile di esistenza connotato da gravi turbe
caratterologiche e manifestazioni cliniche franche.
Da sempre attratto da tutto ciò che è la "parte sommersa dell’iceberg", che considera la
componente fondamentale della psicopatologia, in questo saggio Kretschmer impone il
delirio di rapporto sensitivo come prototipo del delirio comprensibile (Ballerini & Rossi
Monti, 1990).
Nella ricerca della causa del delirio, Kretschmer allude a un ordine spezzato nel rapporto
tra io e mondo, che spiega l’autoreferenzialità dell’esperienza delirante. Si apre così la
questione del rapporto tra delirio e persona delirante e della sua derivabilità psicogenetica:
il delirante, dirà l’Autore, vive in una diversa comunicazione con il mondo. Poiché non esiste
io senza mondo, non esiste delirio senza relazione (Trizzino, 2014). Il delirio, cioè, «ha
carattere di rapporto, poiché vissuto dal soggetto come l’esperienza cruciale al centro del
rapporto con una persona o con un gruppo» (Di Petta, 2009).
Secondo il noto tripode kretschmeriano, il delirio insorge a seguito del peculiare incontro
tra 1) una struttura di personalità definita “sensitiva”, caratterizzata da specifiche zone di
fragilità, 2) un avvenimento o “evento chiave” (erlebnis) dotato di preciso valore patogeno
perché incisivo proprio su quei loci minoris resistentia della personalità e 3) ambiente.
Il carattere sensitivo è definito come la contrapposizione di un elemento temperamentale
astenico (caratterizzato da sentimenti di inferiorità, d’insufficienza, di debolezza, di
soggezione, con tendenza a sottovalutarsi, all’arrendevolezza, all’incertezza e, soprattutto,
alla mortificazione morale e alla vergogna) con un pungolo, una spina stenica (sentimento
di superiorità, di forza, con tendenza alla sopravvalutazione di sé, fino all’aggressività ed
alla rabbia). Una disposizione temperamentale di tipo sensitivo, se esposta a situazioni
25
sociali umilianti, sviluppa esperienze di ordine psicotico all'interno delle quali si può
cogliere una comprensibilità centrata sull'organizzatore psicopatologico “vulnerabilità alla
vergogna”. Il vissuto di vergogna è «il filo conduttore dell’interpretazione del delirio
sensitivo» (Ballerini & Rossi Monti, 1990).
Su questo terreno di base, l’erlebnis, «per il suo significato affettivo emotivo assume un
valore psicodinamico e determina una reazione» (Sarteschi & Maggini, 1996). L’evento
chiave, sia esso realmente vissuto o semplicemente rappresentato, è in genere
obiettivamente modesto, ma dotato di un particolare significato emozionale tale da
incidere specificatamente su zone particolarmente fragili della personalità ed assumere un
preciso valore patogeno, aprendosi un varco nell’immagine di sé del paziente, entrando in
risonanza con aspetti da cui sembra dipendere l’autostima e generando una reazione
psicogena (intesa come risposta abnorme per intensità, durata o espressione clinica
rispetto all’evento): «affilato come un rasoio, l’evento chiave va a toccare proprio il punto
debole, rafforzando ed inasprendo i conflitti interiori» (Schneider, 1958). L’evento chiave
apre la serratura del carattere. Dopo l’evento, tutta la storia personale del paziente sembra
restarvi ancorata e sospesa. Sintomatologicamente, il delirio di rapporto sensitivo appare
in forma acuta caratterizzato da quadri paranoidi in cui spiccano le tematiche di riferimento
e di nocumento (soprattutto relativi all’offesa di beni spirituali quali la reputazione, la
rispettabilità, la giustizia).
Come si vede, in tutto il pensiero di Kretschmer, in modo mirabile sia per gli aspetti intuitivi,
sia per la raffinata sintesi, sia per l’eleganza narrativa, si rintraccia il fondamento di una
vera e propria rivoluzione copernicana nella storia della psicopatologia: a dettare lo
sviluppo e le caratteristiche della sindrome psicotica conclamata sarebbe la costituzione
formale, fondata biologicamente e con caratteristiche ereditarie, della personalità
preesistente. I segni psicopatologici apparirebbero quindi come «dispiegamento di alcuni
tratti temperamentali preesistenti, un’ampliazione del modo di essere originario del
soggetto tanto che sarebbe possibile dimostrare un continuum comprensibile di motivazioni
tra la condizione basale di partenza e la sindrome morbosa» (Ballerini & Rossi Monti, 1990).
26
1.5
EVOLUZIONE NOSOGRAFICA DEI DIST URBI DI PERSONALITÀ CORRELATI ALLE PSICOSI
Il modello del continuum tra definiti disturbi di personalità e schizofrenia ha trovato
supporto negli studi familiari.
Le evidenze provenienti dagli studi di Kety sul registro danese delle adozioni (Kety,
Rosenthal, Wender, & Schulsinger, 1968; Kety, Rosenthal, Wender, & Schulsinger, 1971)
avevano
ben
rilevato
come
certe
caratteristiche
afferenti
all’ambito
della
paucisintomaticità schizofrenica fossero molto frequenti anche tra i consanguinei di
pazienti schizofrenici, mentre non si mostrassero tra i conviventi. In particolare, nei
familiari dei pazienti affetti da schizofrenia era stata evidenziata una sintomatologia
rappresentata non solo da anomalie cognitive (sospettosità, pensiero magico) e percettive
ma anche da disturbi della sfera emotiva (introversione, ansia sociale, impulsività) e
comportamentale (bizzarrie e ritiro sociale). In altre parole, da un punto di vista clinicosintomatologico, le personalità dei consanguinei di primo grado sembravano riproporre,
seppure in forma quantitativamente più sfumata, tutto ciò che è nucleare alla patologia
schizofrenica.
Queste osservazioni introdussero nella letteratura psichiatrica il concetto di “spettro
schizofrenico”, al cui interno sono state collocate non solo le forme acuta e cronica della
malattia conclamata, ma anche tutte le sue declinazioni subcliniche, caratteropatiche e
nevrotiche (schizofrenia latente, pseudonevrotica, ambulatoriale, personalità schizoide),
che nel loro insieme furono fatte confluire nella “schizofrenia borderline”, nozione
psicopatologico-genealogica correlata alla schizofrenia (Kety, 1985; Maggini & Pintus,
1986).
La categoria nosografica del borderline, nata dal rilievo, molto antico, di anomalie
caratteriali che stanno ai “bordi” della patologia schizofrenica ma anche in stretta
connessione con il nucleo della schizofrenia, collocandosi sul piano fenomenico nella “terra
di nessuno” tra le nevrosi e le psicosi, veniva fino ad allora utilizzata, soprattutto in un’ottica
psicodinamica, per connotare due aree sindromiche apparentemente non proprio
sovrapponibili (Migone, 1999):
27
1) Una prima area caratterizzata da pazienti che spesso confondevano il clinico, non facilmente
etichettabili nosograficamente ma con sintomi non chiaramente psicotici, che mostravano una
refrattarietà al trattamento psicoanalitico, il quale addirittura in alcuni casi poteva rivelarsi
controproducente e “slatentizzante” una sintomatologia acuta.
2) Una seconda area composta da disturbi collegati fin dall’inizio con la schizofrenia. In questo
gruppo rientravano i pazienti che, sebbene non propriamente diagnosticabili come
schizofrenici, avevano avuto una sintomatologia psicotica acuta eclatante e che poi ne erano
usciti pur continuando a manifestare sintomi, vissuti e comportamenti clinicamente rilevanti.
Sulla base di questa ripartizione grossolana e a tratti confusiva, che portava ad utilizzare la
categoria di borderline come un grande “scatolone” in cui lasciar confluire tutti i pazienti
non facilmente diagnosticabili, con l’avvento del DSM-III (APA, 1980), la necessità di una
più chiara categorizzazione ha portato alla bipartizione della schizofrenia borderline in due
entità nosografiche: il Disturbo Borderline di Personalità, inizialmente delineato senza
includere la componente psicotica, ma ancora molto vicino alle descrizioni di Hoch e Polatin
di schizofrenia pseudonevrotica (Hoch & Polatin, 1949; Rieder, 1979) ed il Disturbo
Schizotipico di Personalità, i cui criteri diagnostici dimostravano al contrario un’elevata
sensibilità nell’individuare, in studi familiari retrospettivi su campioni estratti dagli studi
danesi, i consanguinei dei pazienti schizofrenici (Gunderson, Siever, & Spaulding, 1983;
Kendler & Gruenberg, 1984; Kendler, Gruenberg, & Strauss, 1981).
Tutte le forme fenomenicamente meno gravi e non psicotiche, che si confondono con
aspetti abnormi della personalità, trovano dunque la loro comune origine nel concetto preDSM-III di “borderline” e subiscono un ulteriore drastico rimaneggiamento nella loro nuova
collocazione nosografica nell’ambito dell’Asse II. Nella sistematizzazione del DSM-III, infatti,
il Disturbo Schizotipico di Personalità ha accolto anche alcune personalità schizoidi che non
trovavano più posto nel ridimensionato Disturbo Schizoide di Personalità, ridotto, nel
manuale, ad una categoria «anemica» e «descrittivamente pallida» (Akhtar, 1987; Maggini
& Pintus, 1998). Il rimodellamento (o meglio ridimensionamento) della ben più ampia
nozione kretschmeriana di schizoidia è stato ricondotto ad una rilettura impropria dei suoi
scritti ad opera di Millon (Millon, 1981), esitata nella scissione della proporzione
psicoestesica nelle sue componenti costitutive (anestesia e iperestesia emotiva) che non
sono più, come voleva l’Autore tedesco, “fuse insieme”, ma separate nelle caratteristiche
28
fondanti di due distinti disturbi di personalità, rispettivamente del Disturbo Schizoide e del
Disturbo Evitante di Personalità.
La classica configurazione fenomenica della personalità schizoide è stata quindi
frammentata nel DSM-III in tre distinti Disturbi di Personalità (Schizoide, Evitante e
Schizotipico). Inoltre, in nome di un’impostazione dichiaratamente ateoretica e puramente
descrittiva, e sulla base di alcune affinità fenomeniche (soprattutto la stranezza e
l’eccentricità), ai Disturbi Schizotipico e Schizoide il DSM ha affiancato anche il Disturbo
Paranoide di Personalità, derivandolo dalle descrizioni del carattere sensitivo di Kretschmer
e riunendo i tre disturbi all’interno dello spettro schizofrenico nel Cluster A (Maggini &
Pintus, 1998).
Questa impostazione, rimasta praticamente immodificata anche nelle successive revisioni
dei DSM, suggerisce come il pensiero psichiatrico sia giunto, dopo un secolo di riflessioni, a
far propria l’esistenza di una continuità in termini “spettro” sotteso non solo da una
prospettiva fenomenica ma anche da un unificante substrato genetico-biologico. In questo
spettro, alla schizofrenia si affiancano il Disturbo Schizotipico e il Disturbo Schizoide e, in
modo più controverso, il Disturbo Paranoide di Personalità (a scopo sinottico la Tabella 1.1
mostra la classificazione dei Disturbi di Personalità nelle diverse versioni del DSM).
La breve sintesi storica ora esposta, tuttavia, mette in evidenza anche due importanti limiti
nosografici, dovuti all’approccio necessariamente categoriale dell’attuale sistema
classificativo: 1) viene mantenuta la schneideriana contrapposizione “malattia-psicopatia”
(disturbi di Asse I - disturbi di Asse II) e 2) resta ambigua la collocazione dei fenomeni
psicopatologici espressione di una suscettibilità psicotica che possono essere individuati
clinicamente anche in disturbi di personalità diversi da quelli inclusi nel Cluster A.
Relativamente al primo punto, nel DSM-5 (APA, 2013) la questione è stata apparentemente
risolta con la soppressione del sistema multiassiale, ma nella sostanza semplicemente
rimandata ad un futuro prossimo, con l’introduzione di una doppia classificazione dei
disturbi di personalità: accanto ad un sistema categoriale del tutto identico a quello
precedente (con il mantenimento delle stesse categorie diagnostiche e degli stessi criteri
del passato) è stato incluso nella sezione III (“Proposte di nuovi modelli e strumenti di
29
valutazione”), un Modello alternativo del DSM-5 per i Disturbi di Personalità secondo un
approccio ibrido dimensionale-categoriale.
Per quanto concerne il secondo punto, appare macroscopicamente insufficiente, dal punto
di vista fenomenico, che la nosografia non ammetta elementi personologici di tipo evitante
tra i tratti premorbosi di predisposizione alla schizofrenia. Anche la scorporazione del
Disturbo Borderline dallo spettro schizofrenico, pur sembrando fondata in base alla
maggioranza delle espressioni clinico-sintomatologiche, lascia tuttavia irrisolta la questione
relativa alla natura dell’esperienza psicotica nel paziente borderline.
Si è già discusso di come molte evidenze di letteratura abbiano infatti definitivamente
dimostrato il coinvolgimento di diversi disturbi di personalità, se non nella patogenesi,
sicuramente nella modulazione patoplastica delle modalità espressive dei fenomeni
psicotici (Cuesta, Peralta, & Caro, 1999; Moore et al., 2012; Peralta, Cuesta, & de Leon,
1991; Schroeder et al., 2012; Skokou & Gourzis, 2014). In questo ambito, studi che si sono
concentrati sulle caratteristiche della personalità premorbosa al primo episodio psicotico,
hanno rilevato il coinvolgimento anche di dimensioni e tratti ulteriori rispetto a quelli
tipicamente compresi nel Cluster A. Tra gli altri in particolare, lo studio di Cuesta e coll.
(Cuesta, Gil, Artamendi, Serrano, & Peralta, 2002), esaminando le correlazioni tra
dimensioni psicopatologiche all’esordio psicotico valutate con la Positive and Negative
Syndrome Scale (PANSS) (Kay, Flszbein, & Opfer, 1987) e dimensioni personologiche
premorbose valutate con la Personality Assessment Schedule (PAS) (Tyrer, 2000), ha
rilevato che la dimensione psicopatologica negativa è in forte associazione non solo, come
atteso, con le dimensioni di personalità schizotipica e schizoide, ma anche con quella
dipendente; altre correlazioni rilevanti sono state riscontrate tra le dimensioni
psicopatologiche di ostilità e sospettosità e le dimensioni personologiche dipendente e
sociopatica. Più recentemente, il lavoro di Schultze-Lutter e coll. (Schultze-Lutter,
Klosterkotter, Michel, Winkler, & Ruhrmann, 2012) ha riscontrato, tramite la
somministrazione di uno strumento self-report (Woschnik & Herpertz, 1994), un’elevata
frequenza di disturbi di personalità (46%) in un campione di 100 soggetti suddivisi in due
sottogruppi, ovvero a rischio di transizione psicotica (n=50) e senza transizione psicotica
(n=50). Inaspettatamente, a confronto con i Disturbi di Personalità del Cluster B (31%) e del
30
Cluster C (23%), i Disturbi di Personalità del Cluster A risultavano essere i meno frequenti
(14%) ed in particolare il Disturbo Schizotipico appariva il meno rappresentato (7%) e non
predittivo di transizione psicotica. Come anche ribadito dallo stesso gruppo di lavoro con
attualissime nuove acquisizioni (Schultze-Lutter, Klosterkotter, Nikolaides, & Ruhrmann,
2015), nell’ambito della ricerca sulla prevenzione delle psicosi, dunque, i fattori e le
dimensioni personologiche dovrebbero essere considerati e valutati in un’ottica più ampia
rispetto a quella canonicamente focalizzata sul Cluster A e sulla schizotipia, non solo (e non
tanto) per il loro valore nel facilitare l’early detection quanto, soprattutto, per la loro
importanza nell’orientare gli approcci di early intervention.
Per l’indagine dei rapporti tra disturbi di personalità e psicosi che il presente lavoro si
propone, verranno ora prese in esame più nel dettaglio le singole aree personologiche
storicamente e fenomenicamente correlate alla psicosi, partendo dall’origine del costrutto
diagnostico ed esaminandone le connessioni patogenetiche e cliniche con le psicosi alla
luce delle recenti acquisizioni della ricerca.
31
DSM-I
DSM-II
TIPI PERSONOLOGICI
PATTERN
MALADATTIVO DI
COMPORTAMENTI
Inadeguato
Paranoide
Inadeguato
Paranoide
Ciclotimico
Schizoide
Ciclotimico
Schizoide
DSM-III
DSM-IV
DSM-III-R
DSM-IV-TR
CLUSTER A
CLUSTER A
Paranoide
Paranoide
Ciclotimico**
Schizoide
Schizotipico
Ciclotimico**
Schizoide
Schizotipico
CLUSTER B
CLUSTER B
Isterico
Istrionico
Istrionico
Reazione Antisociale
Antisociale
Antisociale
Antisociale
Reazione Dissociale
Dissociale (esplosivo)
Esplosivo
Intermittente**
Deviazioni Sessuali**
Disturbo da Uso di
Sostanze**
Esplosivo
Intermittente**
Parafilie**
Disturbo da Uso di
Sostanze**
Borderline
Narcisistico
Borderline
Narcisistico
CLUSTER C
CLUSTER C
Emotivamente instabile
DIST. SOCIOPATICO
Perversioni sessuali
Dipendenza da sostanze
Astenico
DISTURBI DI TRATTO
Passivo-Aggressivo
Aggressivo
Dipendente
Compulsivo
Passivo-Aggressivo
Passivo-Aggressivo
Ossessivo-Compulsivo
Dipendente
Compulsivo
Evitante
Dipendente
Ossessivo-Compulsivo
Evitante
SEZ. V
APPENDICE:
APPENDICE:
DIST. PERSONALITA’
Autofrustrante
Passivo-Aggressivo*
E ALTRI NON PSICOTICI
Sadico
Depressivo
* Inserito in Appendice
** Inserito in Asse I
Tabella 1.1 Classificazione dei Disturbi di Personalità all’interno delle diverse versioni del DSM (1952-2000)
(Madeddu & Di Pierro, 2014)
32
1.6
LE PERSONALITÀ SCHIZ OTIPICHE E LO SPETTRO SCHIZOFRENICO
La ricerca sulla schizotipia coincide con quella volta alla delineazione dei confini genetici e
fenomenici dello spettro schizofrenico. Fra i Disturbi di Personalità del Cluster A, infatti, il
Disturbo Schizotipico spicca tra gli altri per essere stato maggiormente oggetto di
attenzione da parte dei lavori scientifici, che tuttavia si sono concentrati più sulla
definizione dei suoi rapporti con la schizofrenia che non sull’entità clinico-diagnostica di
Disturbo di Personalità in quanto tale.
La stessa accezione storica del termine schizotipico, proposto originariamente da Rado
(Rado, 1953) per indicare l’espressione fenotipica di un genotipo schizofrenico, rimanda a
forme morbose paucisintomatiche di schizofrenia.
Già Schneider (Schneider, 1933, 1958) aveva ricondotto l’area della paucisintomaticità
schizofrenica all’organizzazione schizotipica della personalità. Egli, nella consueta ottica
empirica che caratterizza il suo stile, ne indica anche i sintomi necessari per fare diagnosi:
pensiero magico, idee di riferimento più o meno sfumate, linguaggio bizzarro,
comportamento eccentrico, esperienze percettive inusuali, relazioni interpersonali
inadeguate, sospettosità ed ideazione paranoide. Come già precedentemente ricordato
tuttavia, nell’inquadramento schneideriano, questi correlati personologici della patologia
schizofrenica sono tenuti ben distinti dalla schizofrenia p.d., nonostante l’idea di spettro
sorga spontaneamente già dalla loro stessa descrizione.
Successivamente, Meehl (Meehl, 1962; Meehl, 1989) aveva suggerito il termine
“schizotassia” per indicare il “difetto integrativo neuronale” geneticamente determinato,
e quindi ereditario, che predispone alla schizofrenia, ovvero il requisito necessario per lo
sviluppo della patologia coincidente con la condizione di vulnerabilità genetica. La
schizotipia, in questo modello patogenetico, è l’organizzazione personologica,
caratterizzata da peculiari tratti costituzionali quali anedonia, ambivalenza, asocialità e
distorsioni cognitive, che si sviluppa nel soggetto schizotassico in seguito all’interazione con
sfavorevoli circostanze ambientali. La schizotipia, che è in questo senso la manifestazione
fenotipica della vulnerabilità genetica, in alcuni individui può quindi evolvere in schizofrenia
33
conclamata. Ciò avviene in base alla pressione degli eventi ambientali stressanti nonché a
quella genetica dei cosiddetti “potenziatori poligenici”, fattori aspecifici che, data la
presenza dello “schizogene” e della schizotipia, aumentano la possibilità di uno scompenso
psicotico
(ne sono esempi alcune dimensioni di personalità): «tutti gli schizotassici
divengono schizotipici nella loro organizzazione di personalità, ma molti restano
compensati; solo una minoranza, per insufficienze costituzionali e sottoposta all’influenza
di madri schizofrenogene, è spinta poi verso la schizofrenia clinica».
Dopo Meehl, il termine schizotipico è stato poi riproposto da Spitzer (Spitzer, Endicott, &
Gibbon, 1979) per indicare quel sottotipo di personalità borderline riferito alle varietà
attenuate e non psicotiche di schizofrenia e fondato sulle definizioni di schizofrenia latente
(Bleuler, 1985) e pseudonevrotica (Hoch & Polatin, 1949).
Da questo schema di riferimento, nonché dall’idea di personalità schizotipica come indicata
da Schneider (Schneider, 1958), sono stati derivati, nella loro formulazione definitiva, i
criteri diagnostici del DSM-III per il Disturbo Schizotipico. Tutte le successive revisioni del
Manuale Statistico-Diagnostico si sono allineate su questi criteri ed al paradigma
diagnostico di questo disturbo sono stati apportati solo modesti cambiamenti.
Pur essendo stato collocato, dalla sua origine fino alla classificazione del DSM-IV-TR (APA,
2000), insieme agli altri Disturbi di Personalità su un asse distinto rispetto ai Disturbi
Psicotici, la sua relazione stretta con la schizofrenia è sempre stata così documentata da
suggerire l’opportunità di collocarlo tra i disturbi di Asse I, così come già accaduto per le
forme attenuate dei Disturbi dell’Umore. Infatti, già nel DSM-IV (APA, 1994) viene indicato
come esempio di disturbo di personalità che può avere «una relazione a tipo spettro con
particolari condizioni di Asse I». L’avvento del DSM-5, con l’abolizione del sistema
multiassiale, ha eliminato drasticamente la riproposizione del problema. Da sottolineare,
tuttavia, come nell’ICD-10 (WHO, 1992) il termine “schizotipico” sia utilizzato come
sinonimo di “schizofrenia latente” e identifichi una sindrome inclusa nella Sezione dei
Disturbi Schizofrenici, così come era avvenuto nell’ICD-9 (WHO, 1978) per la “schizofrenia
borderline”(Maggini & Pintus, 1998). Ciò rappresenta un’importante segnale di come nella
cultura psichiatrica europea, più che in quella americana, abbia prevalso la tendenza a
considerare il Disturbo Schizotipico come una forma “lieve” di schizofrenia, per le sue simili
34
ma attenuate anomalie genetiche, fenomenologiche, cognitive, neurochimiche,
neuroanatomiche e neurofunzionali (Balaratnasingam & Janca, 2015; Fervaha &
Remington, 2013; Lenzenweger, 2015; Picchioni et al., 2010; Snitz, Macdonald, & Carter,
2006).
Questa stretta relazione tra schizotipia e schizofrenia è stata pertanto studiata negli anni
attraverso diversi metodi d’indagine. Successivamente alle menzionate ricerche
retrospettive su campioni tratti dagli “studi danesi sull’adozione” (Gunderson et al., 1983;
Kendler & Gruenberg, 1984), da ulteriori studi familiari genetico-epidemiologici, sui gemelli
e sulle adozioni, sono emersi dati significativi, che documentano l’aggregazione familiare
di schizotipia e schizofrenia riconfermando la loro correlazione come manifestazioni
fenotipiche diverse della stessa vulnerabilità genetica (Asarnow et al., 2001; Battaglia,
Bernardeschi, Franchini, Bellodi, & Smeraldi, 1995; Kendler et al., 1993; Kendler, McGuire,
Gruenberg, & Walsh, 1995; Kety, 1985; Siever et al., 1990; Thaker, Adami, Moran, Lahti, &
Cassady, 1993; Torgersen, Onstad, Skre, Edvardsen, & Kringlen, 1993).
Anche più recentemente, altri studi hanno ribadito la presenza, nei parenti dei pazienti
affetti da schizofrenia, di alti livelli di tratti schizotipici: l’incidenza stimata del Disturbo
Schizotipico nei familiari è pari a 4,2%-14,6% (Pogue-Geile, 2003) rispetto al 2-3% della
popolazione generale (Raine, 2006). I dati dal New York High Risk Project hanno dimostrato
che dal 16 al 20% dei discendenti di pazienti schizofrenici sviluppa un Disturbo di
Personalità del Cluster A, in particolare quello Schizotipico (Erlenmeyer-Kimling et al.,
1995).
I tratti schizotipici nei familiari, pur mantenendo le proprie caratteristiche fenomeniche
stabili nel tempo, devono comunque essere considerati fattori di rischio per la transizione
psicotica (Kremen, Faraone, Toomey, Seidman, & Tsuang, 1998; Lien et al., 2010; Seeber &
Cadenhead, 2005; Torgersen et al., 2000; Torti et al., 2013; Vollema, Sitskoorn, Appels, &
Kahn, 2002). Gli studi di follow up infatti si sono allineati con quelli familiari, evidenziando
come una percentuale non indifferente di schizotipici possa andare incontro ad una psicosi
schizofrenica (Fenton & McGlashan, 1989; Miller et al., 2002; Salokangas et al., 2013; Shah
et al., 2012): in letteratura i tassi di conversione del Disturbo Schizotipico in psicosi variano,
a seconda delle casistiche e delle terapie psicofarmacologiche e/o psicoterapeutiche, dall’8
35
al 33% (Nordentoft et al., 2006). Tra gli altri, uno studio prospettico recente dell’ European
Prediction of Psychosis Study (EPOS) (Salokangas et al., 2013), evidenziando i risultati di un
follow-up di 18 mesi su 245 pazienti considerati a alto rischio di psicosi, ha dimostrato che
i tratti schizotipici valutati con lo Schizotypal Personality Questionnaire (SPQ) (Raine, 1991)
sono altamente predittivi di transizione verso la psicosi. In particolare, le sottoscale “idee
di riferimento” e “mancanza di amici stretti” risultavano predittive del 31% delle transizioni,
a fronte di un’incidenza di esordio psicotico del 15,2% nel campione totale.
Oltre a studi genetico-epidemiologici anche quelli di tipo dimensionale, fattoriale,
neurofisiologico e neuropsicologico hanno indagato la schizotipia nella stessa, assodata
prospettiva di forte collegamento con la sindrome schizofrenica.
Secondo Raine e coll. (Raine et al., 1994), la schizotipia presenta una struttura
tridimensionale che appare sovrapponibile a quella della sintomatologia positiva, negativa
e disorganizzata della schizofrenia, riproposta poi in lavori successivi (Nelson, Seal, Pantelis,
& Phillips, 2013). Una revisione della letteratura del 2011 (Tarbox & Pogue-Geile, 2011)
concettualizzando la schizofrenia come costituita da questi tre domini ed al fine di
identificare quelli più strettamente correlati all’impairment, ha analizzato campioni di
pazienti schizofrenici e dei loro familiari di primo grado, riscontrando in questi ultimi sia
deficit interpersonali-sociali sia sintomi di disorganizzazione (soprattutto disturbi
dell’eloquio) mentre erano meno rappresentati i sintomi cognitivo-percettivi.
Uno studio di assessment della personalità tramite il Temperament and Character
Inventory (TCI) (Cloninger, Przybeck, & Svrakic, 1994) ha rilevato dimensioni
personologiche simili tra i pazienti schizofrenici ed i loro familiari schizotipici (in particolare,
alti “evitamento del danno”, “nevroticismo” e “autotrascendenza” e ridotte
“estroversione” e “tolleranza alla frustrazione”) (Bora & Veznedaroglu, 2007).
In un’altra prospettiva, è stato proposto un modello di schizotipia a 4 fattori
(“psicoticismo”, “comportamento eccentrico”, “ritiro sociale”, “disregolazione emotiva”)
(Miller et al., 2002). Nel 2012, uno studio sulla validità del costrutto del Disturbo
Schizotipico su un vasto campione, riscontrando una sua forte correlazione con i fattori
36
“eccentricità” e “anomalie cognitivo-percettive”, ne ha raccomandato il mantenimento
anche nel DSM-5 (Hummelen, Pedersen, & Karterud, 2012).
Infine, anche negli studi neurobiologici e neuropsicologici, la schizotipia e la schizofrenia
hanno evidenziato simili markers endofenotipici, deficit in tasks cognitivi e anomalie della
struttura cerebrale (Cadenhead, 2002; Ettinger, Meyhofer, Steffens, Wagner, &
Koutsouleris, 2014).
Nel loro insieme questi dati, relativi sia agli aspetti genetici-familiari sia ai correlati biologici
e personologici, si sono mostrati probanti per la concezione di spettro schizofrenico non
solo in un’accezione restrittiva e confinata al solo Disturbo Schizotipico (Maier,
Lichtermann, Minges, & Heun, 1994), ma anche in una più comprensiva che includerebbe
anche i Disturbi Schizoide e Paranoide (Baron et al., 1985; Kendler, Masterson, & Davis,
1985; Kendler et al., 1993; Siever & Kendler, 1987).
A causa della loro elevata comorbilità intra-cluster, per la verità da attribuirsi alla scarsa
specificità dei criteri diagnostici (Bernstein, Useda, & Siever, 1993; Kalus, Bernstein, &
Siever, 1993), è stato infatti suggerito di includere tutti e tre i disturbi in una categoria più
comprensiva, definita “schizotipica” (Siever et al., 1990) o, in alternativa, “schizoide” per la
più lunga tradizione del termine (Maggini & Pintus, 1998; Tyrer & Ferguson, 1987).
Contrariamente alla preminenza assunta dal Disturbo Schizotipico, ed in modo paradossale
rispetto all’importanza che aveva avuto nel dibattito psichiatrico della prima metà del
secolo scorso (soprattutto ad opera di Bleuler e Kretschmer), il Disturbo Schizoide è stato
quello, tra i Disturbi del Cluster A, a ricevere meno attenzioni da parte degli studi scientifici.
Questa perdita della sua storica autorità è da attribuire all’incostante rilievo in ambito
clinico di tratti schizoidi nella personalità prepsicotica degli schizofrenici (Akhtar, 1987;
Baron et al., 1985; Maier et al., 1994), che lo ha condotto ad una profonda revisione con
l’avvento del DSM-III, dalla quale il disturbo è uscito spogliato non solo della componente
affettiva che, come già menzionato, è stata inserita nel Disturbo Evitante, ma anche di
quella cognitivo-percettiva considerata propria solo del Disturbo Schizotipico. Con questa
semplificazione descrittiva, la sua prevalenza nella popolazione generale e nei familiari di
schizofrenici è divenuta così ancora più infrequente (Fulton & Winokur, 1993; Trull,
37
Widiger, & Frances, 1987). I limiti categoriali che lo contraddistinguono appaiono inoltre
spesso troppo sfumati ed ambigui. Molti soggetti diagnosticabili come schizoidi perché a
primo acchito apparentemente apatici ed indifferenti, si presentano sotto la superficie
fortemente ansiosi ed ambivalenti, tanto da ricordare gli evitanti, oppure, affiancano
all’indifferenza una certa bizzarria dell’eloquio e del comportamento che li avvicina di più
agli schizotipici. Negli studi meno recenti, questi elementi di ridotta riscontrabilità e
riconoscibilità del Disturbo Schizoide (ad oggi peraltro controversi) restavano comunque
associati alla sua correlazione con esito e decorso più sfavorevoli della patologia
schizofrenica (Siever & Kendler, 1987). Ciò in passato ha portato alcuni autori a considerare
il Disturbo Schizoide come una semplice variabile peggiorativa di altri fattori di vulnerabilità
schizofrenica (Klosterkötter, 1988). D’altra parte, è sempre stata evidenziata anche
l’importante osservazione che, delle tre dimensioni psicopatologiche della schizotipia, la
negativa è quella che maggiormente appare correlata con la schizofrenia (Kwapil, Gross,
Silvia, & Barrantes-Vidal, 2013; Torgersen et al., 1993), in accordo anche con alcune
prospettive per cui la sindrome negativa costituirebbe la sintomatologia nucleare dello
spettro schizofrenico (Siever, Kalus, & Keefe, 1993). In funzione della sintomatologia
negativa che lo contraddistingue, è apparso opportuno il mantenimento del Disturbo
Schizoide all’interno dello spettro schizofrenico. Ad oggi la ricerca ha confermato
pienamente la titolarità di questa sua inclusione, attribuendo al Disturbo Schizoide
addirittura un potere predittivo di transizione psicotica maggiore del Disturbo Schizotipico,
poiché più indicativo dei deficit sociali premorbosi gravi e persistenti specificatamente
riscontrati nei soggetti ad alto rischio di conversione (Schultze-Lutter et al., 2012).
Per quanto riguarda il Disturbo Paranoide invece, la ricerca ha espresso dubbi più profondi
circa la fondatezza della sua inclusione nello spettro schizofrenico: i risultati delle indagini
appaiono per lo meno francamente controversi (Birkeland, 2013; Gunderson et al., 1983;
Kendler et al., 1985; Kendler et al., 1993), talora propendendo in modo molto forte per una
sua più specifica appartenenza ad un altro spettro, quello delirante (de Portugal et al., 2013;
Winokur, 1985). D’altra parte, tra i parenti di primo grado dei pazienti con Disturbo
Delirante si è registrata una frequenza significativamente alta di Disturbo Paranoide di
38
Personalità, ma non di schizofrenia, come si osserva invece tra i familiari dei soggetti
schizofrenici (Kendler & Gruenberg, 1982).
Se ad alcuni autori, soprattutto del recente passato, il Disturbo Paranoide è parso incluso
nello spettro schizofrenico non a pieno titolo, al contrario il Disturbo Evitante sembra
esserne stato escluso ingiustamente, in quanto appare decisamente plausibile l’ipotesi che
la personalità schizoide e quella evitante siano manifestazioni di diversa gravità di una
stessa condizione personologica (con la personalità schizoide che rappresenterebbe la
variante più grave) (Livesley, West, & Tanney, 1985; Triebwasser, Chemerinski, Roussos, &
Siever, 2012).
Tale argomento merita un approfondimento, che verrà esposto nel paragrafo successivo.
1.6.1
DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITÀ E PSICOSI
La visione di Kretschmer in base alla quale gli schizoidi sarebbero connotati dalla
coesistenza, in diversa proporzione, delle due componenti dimensionali iperestesica ed
anestesica è stata già precedentemente discussa.
Secondo Millon (Millon, 1969), l’evitamento delle situazioni sociali che contraddistingue gli
schizoidi, da lui definito asocial pattern, renderebbe solo superficialmente ed
apparentemente omogenea questa categoria clinico-nosografica, poiché nella sua visione
in realtà la maggioranza degli schizoidi può essere distinta in due sottogruppi a seconda
della determinante originaria di questo pattern di comportamento.
Nel caso del sottogruppo “iperestesico”, i cui membri sono poi stati etichettati nel DSM-III
come “evitanti”, l’iperreattività affettiva, la timidezza e, soprattutto, la particolare
sensibilità al rifiuto, alla disapprovazione ed in generale al giudizio altrui causerebbero il
ritiro sociale, vissuto come doloroso ed egodistonico perché comunque sempre
accompagnato da un forte desiderio relazionale.
Nel caso del sottogruppo “anestesico”, i cui membri nel DSM-III hanno mantenuto
l’etichetta di “schizoidi”, la causa dell’asocial pattern starebbe invece nel mancato
desiderio di rapporti sociali, dovuto ad un primario difetto emozionale che li renderebbe
39
chiusi, insensibili, anaffettivi ed anedonici. Com’è noto, alla teoria del “conflitto” che
caratterizza la fenomenica dell’evitante, Millon contrappone la teoria del “deficit” che
invece spiegherebbe quella dello schizoide.
Questa scissione tra Disturbo Schizoide e Disturbo Evitante è apparsa tuttavia artificiosa a
diversi autori (Livesley et al., 1985; Overholser, 1989). In questo senso appare forzato
presupporre la totale assenza di desiderio di contatto umano e di rapporti intimi nel
paziente schizoide, quando addirittura nel paziente schizofrenico (nel quale il ritiro emotivo
e sociale psicotico raggiungerebbe i massimi livelli) il rapporto simbiotico talora descritto
con la madre suggerisce la non totale indifferenza e disinteresse alla presenza ed esistenza
dell’altro da sé (per quanto vi possa essere consapevolezza dell’esistenza dell’“altro” nel
rapporto di simbiosi).
Anche la persecutorietà e la pericolosità di cui spesso si tinge l’ambiente esterno nella
visione dello schizofrenico conducono ad ipotizzare che, in tempi remoti nella crescita
infantile dello schizoide, la ferma decisione di sospendere ogni rapporto con l’ambiente
esterno possa essere stata dovuta ad una percezione vaga, ma agghiacciante, di una
minaccia per la propria integrità. A tal riguardo Arieti scrive: «Tra le cause psicologiche della
schizofrenia dobbiamo includere anche il modo in cui il bambino ha sentito il proprio
ambiente. È probabile che una sensibilità eccessiva o una predisposizione biologica
particolare lo abbiano fatto reagire in modo troppo violento ad alcuni stimoli, specie a quelli
spiacevoli (…); il tipo di personalità schizoide è quello di una persona che, come risultato di
esperienze precedenti, si aspetta automaticamente rapporti con gli altri indirizzati in senso
negativo, e che diventa appartata, distaccata, con reazioni emotive minori rispetto alla
media delle persone, meno interessata e meno coinvolta. Tuttavia nel suo intimo il paziente
rimane estremamente sensibile, ma ha imparato ad evitare l'ansia e la rabbia in due modi:
rendendosi il meno appariscente possibile, mettendo tra sé e le situazioni che tendono a
suscitare in lui tali reazioni una distanza fisica, e reprimendo le emozioni. La distanza fisica
viene mantenuta evitando rapporti con le altre persone o trattenendosi da quelle azioni che
possono dispiacere agli altri» (Arieti, 1981).
Questa estrema sensibilità, questa immagine del ritiro sociale psicotico come difesa di una
ferita o di una esperita fragilità in effetti emergeva già in Bleuler (Bleuler, 1912) quando,
40
nell’ipotizzare le possibili cause nel negativismo tipico dei pazienti appartenenti allo spettro
schizofrenico, l’Autore elencava i seguenti fenomeni:
1) Ritiro autistico del paziente nelle sue fantasie, che rende ogni influenza esterna un’intollerabile
interruzione
2) L’esistenza di una ferita che deve essere protetta dal contatto
3) Il fraintendimento circa l’ambiente esterno ed i suoi scopi
4) Modo di relazionarsi ostile verso l’esterno
5) La patologica irritabilità dello psicotico
6) La pressione dovuta al pensiero e la difficoltà nell’agire e nel pensare, che rendono ogni
reazione dolorosa.
Il punto b dell’elenco di Bleuler fa esplicitamente riferimento ad una ferita, come il locus
minoris resistentiae di cui parlava Kretschmer a proposito dei suoi sensitivi, una zona di
particolare fragilità, la cui difesa diviene vitale per la propria sopravvivenza.
Un ulteriore sostegno a queste considerazioni viene tra l’altro dall’osservazione di pazienti
schizoidi che “si convertono” ad un’organizzazione di personalità più evidentemente
evitante nel momento in cui, per esempio con l’instaurarsi di una relazione terapeutica, si
verifica un insight circa le motivazioni profonde del loro comportamento asociale (Livesley
& West, 1986; Overholser, 1989).
Sulla base di queste osservazioni è stato ipotizzato che la personalità schizoide e quella
evitante altro non siano che una sola entità clinica caratterizzata da un continuum di diversi
gradi di gravità sintomatologica (Triebwasser et al., 2012).
La ricerca ha spesso suggerito l’inclusione del Disturbo Evitante nel gruppo dei disturbi di
personalità correlati alla schizofrenia. Per esempio, uno studio del 2000 (Rodriguez Solano
& Gonzalez De Chavez, 2000) ha riscontrato che l’85% di un campione di soggetti
schizofrenici aveva un disturbo di personalità premorboso. Tra questi il Disturbo Evitante
era il più rappresentato (32,5%), a confronto di Schizoide (27,5%), Paranoide (20%),
Dipendente (20%) e Schizotipico (12,5%).
Un altro studio successivo (Keshavan et al., 2005) ha confrontato le dimensioni della
personalità premorbosa di pazienti al primo episodio di schizofrenia con quelle di pazienti
41
al primo episodio di psicosi non schizofrenica e con quelle di soggetti di controllo sani.
I punteggi per le dimensioni del Cluster A e del Cluster C -in particolare del Disturbo
Evitante- , oltre ad essere significativamente intercorrelati tra loro, risultavano più alti per
i pazienti schizofrenici, mentre i punteggi per le dimensioni del Cluster B erano maggiori
per i pazienti con psicosi non schizofrenica.
In aggiunta, Fogelson e coll. (Fogelson et al., 2007) nell’ambito dell’UCLA Family Study
hanno mostrato una significativa evidenza di associazione tra personalità evitante e
vulnerabilità alla schizofrenia, associazione che sussiste anche dopo avere eliminato
l’influenza statistica dei Disturbi Paranoide e Schizotipico. Lo stesso gruppo di ricerca ha
inoltre evidenziato come la presenza di un Disturbo Evitante nei familiari di schizofrenici sia
associata peggiori performances neurocognitive (Fogelson et al., 2010).
Anche più recentemente, autorevoli evidenze dalla letteratura hanno supportato
fortemente l’inclusione del Disturbo Evitante tra le personalità correlate allo spettro
schizofrenico (Bolinskey & Gottesman, 2010; Bolinskey et al., 2015), auspicandone dunque
l’introduzione a pieno titolo tra i markers di vulnerabilità alla schizofrenia.
1.7
DALLA SCHIZOFRENIA BORDERLINE AL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
Storicamente, la categoria nosografica del “borderline” è stata impiegata in origine per
raccogliere quei pazienti che non rispondevano né alle psicoterapie né agli psicofarmaci. Si
trattava di soggetti che si collocavano in una posizione singolare, intermedia, rispetto alla
tradizionale dicotomia “nevrosi/psicosi” (Bellino, Rinaldi, Brunetti, Cremasco, & Bogetto,
2013).
Già Rosse nel 1890 (Dalle Luche, 2013; Rosse, 1890) aveva definito la borderline insanity
come la condizione di coloro che abitavano una “terra di confine” tra sanità mentale e follia,
ovvero che presentavano una forma attenuata di psicosi. Tale status, con diverse sfumature
concettuali comunque riferibili ad un insieme di manifestazioni nevrotiche che nascondono
una patologia francamente schizofrenica, come già ricordato fu successivamente indicato
con una varietà di termini,
quali “nevrosi borderline” (Clark, 1919), “paratassie
personologiche” (Moore, 1921), “schizofrenia incipiente” (Glover, 1932), “schizofrenia
42
atipica” (Kasanin, 1933), “schizofrenia ambulatoriale” (Zilboorg, 1941), “personalità come
se” (Deutsch, 1942), “psicosi latente” (Federn, 1947) e, soprattutto, “forme
pseudonevrotiche di schizofrenia” le cui descrizioni, ad opera di Hoch e Polatin, presumono
che le manifestazioni sintomatologiche di pansessualità, pan-nevrosi e pan-ansietà
preludano l’insorgere della schizofrenia come sviluppo da una personalità preesistente
(Hoch & Polatin, 1949).
Il percorso teorico delle forme “borderline”, particolarmente fecondo in ambito
psicodinamico, pose l’accento sulla capacità di transfert, identificando come borderline
quei pazienti ancora non diagnosticabili come chiaramente schizofrenici, per via della lieve
o assente compromissione del funzionamento, ma al contempo troppo disturbati per
instaurare una valida reazione transferale e quindi per essere trattati con il metodo
psicoanalitico (Bellino et al., 2013).
A Stern (Stern, 1938) si deve una delle prime descrizioni di paziente borderline: trattasi di
un soggetto ipersensibile, con la tendenza ad alternare idealizzazione e svalutazione
soprattutto nei confronti del terapeuta, con contradditorie rappresentazioni di sé (ora
grandiose, ora insignificanti), con una propensione ad usare meccanismi di difesa primitivi
ed in particolare, meccanismi proiettivi che a volte possono sconfinare negli spunti
deliranti.
Knight (Knight, 1953) invece sottolineò come questi pazienti nascondessero, dietro un
apparente funzionamento tipicamente nevrotico, una "regressione" e una severa debolezza
dell'Io; sebbene fosse incline a vederli come all'ombra della schizofrenia, Knight però li
concepì come una entità nosografica abbastanza autonoma.
Questa categoria diagnostica in cui facilmente potevano confluire pazienti atipici e
controversi, con le ricerche di Grinker (Grinker, Werble, & Drye, 1968) subì una vera e
propria sistematizzazione, fondata sul rilievo di criteri obiettivabili (disturbi dell’identità,
bassa autostima, difese primitive -negazione e proiezione-, ipersensibilità alle critiche,
paura ed inadeguatezza nei rapporti intimi, rabbia e sospettosità) e sulla individuazione di
4 sottotipi in base alla sintomatologia prevalente:
43
1) Pazienti al “bordo della psicosi”, con disturbi del comportamento e compromissione dell’esame
di realtà;
2) Borderline “nucleari”, con tendenza alla diffusione dell’identità ed agli acting out;
3) Pazienti con “personalità come se”, con prevalente anaffettività;
4) Pazienti al “bordo della nevrosi”, con sintomi narcisistici e depressivi anaclitici predominanti.
Questa quadripartizione ebbe il merito di sistematizzare lo sfocato continuum tra psicosi e
nevrosi (Lorenzi & Pazzagli, 2006).
Contemporaneo di Grinker, Kernberg (Kernberg, 1967) fu il primo Autore ad affermare
l’esistenza di un’autonomia tra le due entità di psicosi e nevrosi, coniando la sua celebre
nozione di “organizzazione borderline di personalità” che prevedeva dei criteri non di tipo
descrittivo ma psicodinamico e che non identificava strettamente il Disturbo Borderline di
Personalità conosciuto oggi, quanto piuttosto tutti i gravi disturbi della personalità,
compreso quello schizotipico. I criteri diagnostici contemplati erano:
1) Presenza di diffusione di identità, debolezza dell’Io e relazioni oggettuali problematiche ed
inadeguate;
2) Esame di realtà conservato o comunque solo temporaneamente compromesso;
3) Ricorso a difese primitive (negazione, scissione, identificazione proiettiva etc.) e scivolamento
verso processi di pensiero primario.
I tre principali criteri diagnostici (identità, esame di realtà, difese) servivano anche a
definire le strutture nevrotiche e psicotiche: rispettivamente, nelle nevrosi vi sarebbero
identità integrata, presenza di esame di realtà, e difese mature (rimozione, formazione
reattiva, isolamento, razionalizzazione, intellettualizzazione, ecc.), mentre nelle psicosi
identità diffusa, assenza di esame di realtà, e difese primitive. In linea generale, si trattava
di un impianto teorico che riconduceva alla conservazione della critica di realtà la principale
differenza tra pazienti con organizzazione borderline di personalità e pazienti psicotici e
che, pur presentando degli indubbi vantaggi nell’ambito della diagnosi psicodinamica
all’interno di un rapporto psicoterapeutico, si presentava tuttavia estremamente
inferenziale e quindi meno attendibile rispetto ad altri sistemi integralmente descrittivi
(Lorenzi & Pazzagli, 2006).
44
Qualche anno dopo, nel 1975, osservando invece un approccio puramente descrittivo,
venne formulata l’“Intervista Diagnostica per i Borderline” (Diagnostic Interview for
Borderlines) (Gunderson & Siever, 1975), che contribuì a definire quei criteri diagnostici
(impulsività, gesti suicidari manipolatori, brevi o lievi episodi psicotici, buona
socializzazione ma basso rendimento lavorativo, disturbo nelle relazioni intime) in buona
sostanza ricapitolati da Spitzer e dalla sua Task Force con la stesura del DSM-III (APA, 1980;
Spitzer, Endicott, & Williams, 1979).
La Task Force isolò dal coacervo delle sindromi borderline due diverse diagnosi: la
“borderline schizotipica” (vicina alla psicosi schizofrenica) che nel DSM-III e seguenti
divenne poi il Disturbo Schizotipico di Personalità, e la “borderline instabile” (vicina alle
descrizioni di Kernberg e Gunderson) che originò poi il Disturbo Borderline di Personalità
p.d..
Solo con il suo inserimento nel DSM-III il termine borderline è dunque passato ufficialmente
dal definire un’organizzazione intrapsichica all’indicare una categoria diagnostica ben
precisa. Gli iniziali 8 criteri diagnostici, tuttavia, non comprendevano ancora la
sintomatologia simil-psicotica attualmente prevista. E’ con l’avvento del DSM-IV (APA,
1994) che il disturbo venne nuovamente riavvicinato al gruppo delle psicosi, in seguito
all’introduzione del nono criterio “transitoria ideazione paranoide o gravi sintomi
dissociativi, legati allo stress”, aggiunto necessariamente in seguito al rilievo dell’elevata
frequenza di tali manifestazioni. Studi condotti negli anni ’90 (Miller, Abrams, Dulit, & Fyer,
1993; Zanarini, Gunderson, & Frankenburg, 1990) hanno infatti riportato sintomi
dissociativi e idee paranoidi nel 75% dei pazienti, mentre una percentuale variabile tra il 9
ed il 30% sviluppava anche severi sintomi cognitivo-percettivi, comprese le allucinazioni
uditive. Una recente review della letteratura ha analizzato gli studi dell’ultimo ventennio
evidenziando un tasso di sintomi psicotici che raggiunge il 50% dei pazienti (Schroeder,
Fisher, & Schafer, 2013). Nei lavori meno recenti tra quelli esaminati, i vissuti psicotici del
paziente borderline erano considerati fenomenologicamente differenti da quelli propri
della schizofrenia e del disturbo bipolare, a causa della loro natura “transitoria” e
circoscritta e per la loro frequente correlazione con un disturbo affettivo concomitante o
con l’abuso di sostanze (Pope, Jonas, Hudson, Cohen, & Tohen, 1985). Studi più recenti
45
(Barnow et al., 2010; Slotema et al., 2012; Yee, Korner, McSwiggan, Meares, & Stevenson,
2005) non hanno confermato queste acquisizioni, sottolineando l’eterogeneità e la
cronicità delle manifestazioni psicotiche, in particolare delle dispercezioni uditive (il cui
esordio può anche essere infantile). In particolare, lo studio più ampio sui fenomeni
allucinatori nei pazienti borderline (Slotema et al., 2012), rilevandone la grave natura
invalidante sul funzionamento, ha rimarcato l’assenza di significative difformità rispetto
alle dispercezioni esperite dagli schizofrenici.
Moritz e coll. (Moritz et al., 2011) hanno inoltre sottolineato come i soggetti borderline
condividano con quelli schizofrenici alcuni bias cognitivi, tra cui lo stile attributivo
unilaterale di tipo paranoide, nello specifico il ricorso ad inferenze monocausali e la
tendenza al jumping to conclusion e all’autoreferenzialità.
Considerate queste aree di sovrapposizione sia fenomeniche sia cognitive, si comprende
come la differenza tra l’esperienza psicotica del paziente borderline e quella del paziente
schizofrenico resti attualmente ancora poco chiara.
Appare anche oggi evidente come la categoria del borderline sfugga al tentativo di
consolidare dei confini diagnostici netti tra i tradizionali concetti di nevrosi e psicosi,
lasciando emergere invece evidenze che si contrappongono ad ogni definizione
tassonomica e ad ogni assunzione categoriale (Kelleher & Cannon, 2014). Ciò continua a
rappresentare una interessante sfida per i sistemi classificatori diagnostici odierni, così
come per i clinici ed i ricercatori.
Per alcuni autori, la tonalità affettiva e la risonanza emotiva delle manifestazioni della
psicosi borderline, con il carico di angoscia che ne consegue, costituirebbero la principale
diversità rispetto alla psicosi schizofrenica (Hepworth, Ashcroft, & Kingdon, 2013; Kingdon
et al., 2010; Yee et al., 2005).
Per altri autori la differenza sta invece nel mantenimento, seppure parziale, dell’insight nei
pazienti borderline, dove invece nei soggetti schizofrenici viene dichiaratamente perso ogni
possibile riferimento ai contenuti di realtà (Adams & Sanders, 2011; Frosch, 1964).
46
Il Disturbo Borderline di Personalità ha inoltre una maggior reattività psicotica agli stress
ordinari rispetto ai disturbi psicotici, sebbene essa sia mediata dalla stessa disregolazione
neuronale. Alcuni studi hanno infatti avvalorato per il Disturbo Borderline un’eziologia
basata sulla gestione disfunzionale degli stress quotidiani (Glaser, Van Os, Thewissen, &
Myin-Germeys, 2010; Myin-Germeys, Marcelis, Krabbendam, Delespaul, & van Os, 2005).
Un’esperienza traumatica infantile, soprattutto se ripetuta, incidendo profondamente sulla
personalità, crea una vulnerabilità psicotica connessa a questa sensibilizzazione allo stress
(Barnow et al., 2010; Collip, Myin-Germeys, & Van Os, 2008), a sua volta corrispondente
sul piano neurofisiopatologico sia ad un’iperattivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene,
sia della risposta del sistema dopaminergico agli stimoli stressogeni banali (Corcoran et al.,
2003; Laruelle & Abi-Dargham, 1999), come avviene in tutti i disturbi psicotici in genere
(Laruelle, 2000).
Relativamente all’aspetto eredo-familiare, invece, non essendo stata rintracciata
un’aggregazione familiare tra Disturbo Borderline e psicosi schizofreniche (almeno in studi
che hanno utilizzato criteri DSM-IV), ad oggi non esistono prove scientifiche certe di una
possibile base genetica comune (Zanarini, Barison, Frankenburg, Reich, & Hudson, 2009).
Al contrario, la comorbilità tra Disturbi Schizotipico e Borderline appare essere
significativamente correlata all’elevata frequenza di psicosi tra i familiari (White,
Gunderson, Zanarini, & Hudson, 2003).
Anche la comorbilità tra tratti personologici di tipo borderline e psicosi schizofreniche è
stata oggetto di attenzione da parte della ricerca. In un recentissimo studio (Ryan, Graham,
Nelson, & Yung, 2015) fino ad un quarto (25,2%) dei 180 giovani pazienti Ultra High Risk
(UHR) (Yung et al., 1996) esaminati presentavano tratti di personalità borderline. In questi,
i sintomi psicotici attenuati non differivano da quelli presentati dagli altri pazienti UHR
esenti da aspetti borderline e non erano limitati all’ideazione paranoide, confermando
nuovamente l’ipotesi che il Disturbo Borderline di Personalità possa includere un range di
sintomi psicotici più ampio di quello tradizionalmente ritenuto.
Se da un lato aspetti borderline presentano un valore predittivo per imminente transizione
psicotica ancora molto controverso (Thompson et al., 2012), dall’altro è ormai chiaro che
essi possono avere un ruolo patoplastico rilevante nella sintomatologia psicotica
47
conclamata. La presenza di elevati livelli di tratti borderline è stata riscontrata negli
schizofrenici come fortemente correlata a sintomi di maggiore disagio emotivo (Wickett et
al., 2006) ed a comportamenti impulsivi ed aggressivi (Volavka, 2014).
La maggioranza delle indagini si è focalizzata sul riscontro e sugli effetti della comorbilità,
nelle psicosi schizofreniche, più che del singolo Disturbo Borderline di Personalità, dei
Disturbi di Cluster B in generale. Alcune evidenze suggeriscono che da un quarto ad un
terzo degli individui affetti da schizofrenia presentano in comorbilità un Disturbo del
Cluster B, ovvero un tasso di prevalenza considerevole se rapportato a quello della
popolazione generale (1,5%) (Lysaker, Wickett, Lancaster, & Davis, 2004; Wickett et al.,
2006). Nei pazienti schizofrenici, la presenza di aspetti personologici di Cluster B si associa
a peggiori outcomes e in particolare a livelli più elevati di comportamenti suicidari e violenti,
di uso di sostanze, di deficit neurocognitivi e di sintomi positivi, di conseguenza
condizionando negativamente il trattamento (Bahorik & Eack, 2010; Kingdon et al., 2010;
Lysaker & Taylor, 2007; Lysaker, Wilt, Plascak-Hallberg, Brenner, & Clements, 2003; Moore
et al., 2012).
48
2
ANALISI DEGLI ATTUALI STRUMENTI DIAGNOSTICI DIMENSIONALI PER LA
VALUTAZIONE DELLA PERSONALITÀ
Nell’ambito della ricerca sul complesso rapporto tra personalità e psicosi schizofreniche,
l’impiego degli strumenti per la diagnosi della personalità si è concentrato su almeno tre
aree d’investigazione:
1) l’analisi delle connessioni tra tratti premorbosi e caratteristiche essenziali della malattia
avanzata;
2) l’individuazione di tratti specifici nei soggetti a rischio, al fine di intervenire con una prevenzione
mirata;
3) l’identificazione di manifestazioni più sottili del genotipo schizofrenico, in virtù del dato ormai
consolidato che alcuni tratti sono presenti tanto negli schizofrenici quanto nei loro familiari non
psicotici (Gaddini, 1989).
Queste direttive della ricerca hanno portato le indagini a convergere sull’individuazione
precoce di markers personologici di vulnerabilità psicotica, generalmente restringendo il
campo d’indagine a quei disturbi di personalità più strettamente correlati allo spettro
schizofrenico, quali quelli afferenti al Cluster A. E’ noto infatti come studi su popolazioni
ad alto rischio (high risk study) ed indagini su famiglie, gemelli, adozioni (Kendler et al.,
1981; Kendler et al., 1995; McGorry, Yung, & Phillips, 2003; Miller et al., 2002) abbiano
individuato in questo Cluster le caratteristiche di personalità rappresentative di una
suscettibilità alla transizione psicotica. Dato il loro costante riscontro nei familiari non
affetti di pazienti schizofrenici, inoltre, gli indicatori per alcuni tratti personologici correlati
alla schizofrenia, valutati da strumenti come il Minnesota Multiphasic Personality Inventory
(MMPI) (Hathaway & McKinley, 1989), sono considerati attualmente veri e propri indici
endofenotipici di predisposizione genetica alla schizofrenia. Di conseguenza, la
vulnerabilità alla psicosi, e più specificatamente le personalità pre-psicotiche e la
schizotipia, ad oggi sono concetti eterogenei che possono essere misurati con un’ampia
varietà di strumenti come, tra gli altri, le psychosis proneness scales positive e negative
sviluppate dal team di ricerca dell’Università del Wisconsin (Chapman, Chapman, & Raulin,
1976, 1978), la Schizophrenia Proneness Scale of the MMPI-2 (SzP) (Bolinskey, Gottesman,
& Nichols, 2003) e lo Schizotypal Personality Questionnaire (SPQ) (Raine, 1991), i quali
49
mostrano in modo evidente la ricchezza fenomenologica di questo campo di ricerca
(Gooding, Tallent, & Matts, 2005, 2007).
A questo riguardo, una prima, necessaria, considerazione è che, a fronte del riscontro di un
elevato tasso di comorbilità tra disturbi di Asse I ed Asse II, numerose evidenze scientifiche
hanno anche mostrato che la presentazione, il decorso e il trattamento dei disturbi psicotici
risentono considerevolmente dell’influenza dello stile personologico premorboso
considerato in toto (Schultze-Lutter et al., 2012; Widiger, 2011), rendendo dunque
auspicabile, nelle future indagini anche familiari, ampliare il campo di osservazione oltre i
confini concettuali dei soli Disturbi del Cluster A. In ambito familiare, peraltro, non
ricorrono esclusivamente gli aspetti della personalità tipicamente ascrivibili allo spettro
schizofrenico, poiché si esprimono attraverso un parziale controllo genetico anche
numerosi altri tratti; un esempio è l’evidenza dell’ereditabilità per le scale standard MMPI,
stimata tra 0.26 e 0.61 (media = 43.4) (DiLalla, Carey, Gottesman, & Bouchard, 1996). Si è
già discusso di come la personalità evitante possa a pieno titolo rientrare nei disturbi di
personalità correlati allo spettro schizofrenico (Fogelson et al., 2007) e del frequente
riscontro di aspetti personologici di Cluster B sia in schizofrenici sia in soggetti a rischio di
transizione psicotica (Bahorik & Eack, 2010; Moore et al., 2012; Ryan et al., 2015). Da ciò
consegue, anche nell’ambito dello studio di queste popolazioni di individui affetti da psicosi
o a rischio, l’utilità dell’impiego di strumenti per l’assessment della personalità che ne
valutino i tratti nel modo più ampio possibile.
Un’altra importante riflessione è che nell’ambito della ricerca sulla psicopatologia della
personalità, l’approccio dimensionale è stato descritto come particolarmente indicato per
le diagnosi di Asse II, in quanto più solido empiricamente e più adeguato clinicamente (Trull
& Durrett, 2005). Nelle sue successive edizioni, il DSM ha minimizzato il ruolo dell’inferenza
clinica ed ha ridotto la diagnosi della personalità ad un esercizio puramente tecnico di
sistematizzazione di segni e sintomi (Shedler & Westen, 2007). Nel tempo, però, si è anche
fatta sempre più strada l’ipotesi secondo cui i disturbi di personalità potrebbero essere
concettualizzati come varianti maladattive e/o estreme di tratti di personalità non
patologici (Widiger, 2011). Diverse ricerche (Samuel & Widiger, 2008; Widiger & Trull,
2007), infatti, hanno dimostrato una stretta relazione tra i Disturbi di Personalità inclusi nel
50
DSM-IV-TR e il Five Factor Model (FFM) (Costa & McCrae, 1990) (vedi in seguito). In questo
senso, la proposizione del nuovo sistema classificatorio ibrido dei Disturbi di Personalità
contemplato dal DSM-5, rappresenta un incentivo all’utilizzo, del tutto innovativo, di un
approccio diagnostico dimensionale che affianchi e completi quello categoriale (Widiger,
2015).
L'approccio categoriale, anche se utile per la sua praticità e necessario a fini di
concettualizzazione e comunicazione per creare un linguaggio comune col quale connotare
certi quadri patologici di personalità, presenta grossi problemi di validità (Migone, 1995;
Trull & Durrett, 2005). Ciò è dovuto in primis perché nella realtà non esistono confini ben
definiti tra i diversi disturbi, che quasi sempre si distribuiscono in un continuum lasciando
spesso scivolare le diagnosi le une nelle altre lungo dimensioni psicopatologiche (Migone,
2009). Questo spiega da una parte l’eccessiva comorbilità delle diagnosi di personalità
categoriali, dall’altra il frequentissimo ricorso, poco utile e informativo, alle diagnosi
residue o "non altrimenti specificate" (NAS) per colmare gli “spazi vuoti” rimanenti tra una
diagnosi categoriale e l’altra. Il Disturbo di Personalità più comunemente diagnosticato,
non a caso, è proprio il “Non Altrimenti Specificato” (NAS) (Manna, 2012). Anche la
distinzione fra tratti di personalità in un range di normalità e Disturbo di Personalità appare
in gran parte arbitraria. Infine, le diagnosi di Disturbo di Personalità, contraddicendo le loro
premesse teoriche, non sembrano essere molto stabili nel periodo medio-lungo
(McGlashan et al., 2005). Risultati come questi suggeriscono che i disturbi di personalità
possono non rappresentare distinte entità diagnostiche classificabili solo categorialmente.
In contrapposizione all’approccio categoriale, i modelli dimensionali di personalità,
sviluppati a partire dalle dimensioni biologiche di temperamento (Cloninger et al., 1994) e
dall’analisi fattoriale su set completi di tratti (Strack & Millon, 2007), offrono alcuni
vantaggi. Innanzitutto, non escludono la diagnosi categoriale ma anzi vi si affiancano, dato
che la diagnosi dimensionale può essere tradotta in termini categoriali tramite punti di cutoff (soglia). Inoltre, limitano l’eccessiva comorbilità tra i disturbi, e anzi spiegano quella
individuata dall’approccio categoriale, mostrando la presenza di dimensioni latenti di
personalità ed il loro ruolo svolto nell’eterogeneità dei sintomi (Migone, 2009). Le
dimensioni, in altre parole, conservano importanti informazioni sui tratti sottosoglia e sui
51
sintomi che ne possono emergere (Trull & Durrett, 2005). Esse descrivono meglio
l'individuo e si prestano quindi anche a valutazioni nell’ambito, per esempio,
dell’impostazione personalizzata del trattamento, mentre la logica categoriale è più
generica perché mette nella stessa categoria diagnostica quadri molti diversi tra loro.
Infine, le diagnosi dimensionali, fondandosi più sui tratti di personalità che sui tratti
sintomatici, appaiono dotate di maggiore stabilità nel tempo (McGlashan et al., 2005).
Appare doveroso tuttavia anche sottolineare i difetti dell’approccio dimensionale, che lo
rendono ancora poco fruibile fuori dall'ambito della ricerca accademica se utilizzato in
modo esclusivo e non accompagnato anche da un sistema categoriale. La principale
difficoltà risiede nell’eccessiva eterogeneità dei modelli dimensionali, dovuta ai differenti
linguaggi utilizzati ed alla loro complessità, che li rende anche difficilmente paragonabili tra
loro. Altro aspetto svantaggioso, è che spesso le dimensioni sono utilizzate in ricerche che
hanno lo scopo di validare o invalidare disturbi di personalità diagnosticati con una logica
categoriale, il che è problematico sia perché i due approcci possono e devono essere
considerati alternativi, non mutualmente escludentisi, sia perché le diagnosi categoriali
non sono valide (ovvero non hanno validità di costrutto), ma solamente attendibili
(Migone, 2009).
Segue una breve rassegna della modellistica dimensionale per i disturbi di personalità così
come oggi si è andata perfezionando nella ricerca del settore.
2.1
16 PERSONALITY FACTORS QUESTIONNAIRE (16-PF)
Il 16-PF è un test psicometrico ideato da R.B. Cattell nel 1949 (Cattell, Eber, & Tatsuoka,
1970) che misura i tratti di personalità utilizzando una struttura a 16 dimensioni (o fattori)
studiata ed evidenziata attraverso l’analisi fattoriale.
Il questionario è composto da 185 item e presenta, per ciascuno di essi, tre modalità di
risposta: “affermazione positiva”, “affermazione negativa” ed “incertezza”. Solo gli item del
fattore B, Intelligenza, che misurano le capacità logiche, contengono tre risposte verosimili
di cui una solamente è quella esatta.
52
Le 16 dimensioni descritte da Cattel sono bipolari e relativamente indipendenti tra loro:
A = Schizotimia - Ciclotimia (espansività)
B = Bassa attitudine generale - Intelligenza (ragionamento)
C = Instabilità generale - Forza dell’Io (stabilità emozionale)
E = Sottomissione - Dominanza (dominanza)
F = Desurgenza - Surgenza (vivacità)
G = Debolezza di carattere - Forza Super-Io (coscienziosità)
H = Inibizione schizotimica - Intraprendenza ciclotimica (audacia sociale)
I = Rudezza - Delicatezza (sensibilità)
L = Libertà da tensioni paranoiche - Tendenza paranoica (vigilanza)
M = Atteggiamento pratico - Indifferenza alle convenzioni sociali (astrattezza)
N = Ingenua semplicità - Sofisticazione (prudenza)
O = Libertà da ansia - Insicurezza ansiosa (apprensività)
Q1 = Conservatorismo - Radicalismo (apertura al cambiamento)
Q2 = Dipendenza dal gruppo - Autosufficienza (fiducia in sé)
Q3 = Mancanza di stabilità di carattere - Forza di volontà (perfezionismo)
Q4 = Distensione - Ansia somatica (tensione)
Oltre a questi 16 fattori di primo ordine, il 16-PF può essere utilizzato per misurare alcuni
tratti più ampi e generici, definiti “fattori globali”, valutabili raggruppando i 16 tratti di
personalità di primo ordine: “Estroversione”, “Ansietà”, “Durezza”, “Indipendenza”,
“Autocontrollo”.
A queste scale, descrittive della personalità di ogni singolo paziente, si aggiungono poi tre
indici che valutano lo stile di risposta al test:
•
IM, Management dell’Immagine (scala di desiderabilità sociale o Motivational Distorsion)
•
INF, Infrequenza (stabilisce se il soggetto ha risposto ad un elevato numero di item in modo
marcatamente differente rispetto alla maggior parte delle persone)
•
ACQ, Acquiescenza (misura la tendenza a rispondere affermativamente ad un item senza tenere
in considerazione il suo contenuto).
La correzione del test può essere eseguita manualmente oppure attraverso un software
specifico. Dalle risposte al test è possibile ottenere un profilo narrativo del soggetto, che
comprende sia informazioni sui 16 fattori primari e sui cinque fattori globali, sia la
53
rappresentazione di alcune ulteriori dimensioni quali l’Autostima, l’Adattamento, le Abilità
Sociali, la Leadership e la Creatività.
E’ attualmente disponibile anche in Italia la quinta revisione del test, aggiornata nel
linguaggio e nel campione normativo (Cattell et al., 2000).
2.2
EYSENCK PERSONALITY QUESTIONNAIRE (EPQ)
Uno dei modelli dimensionali storicamente più noti è quello di Eysenck (Eysenck & Eysenck,
1975), basato primariamente sugli aspetti della personalità fondati sulla fisiologia e sulla
genetica, ovvero sul tradizionale concetto di “temperamento”.
Egli concettualizzò la personalità come costituita da tre dimensioni temperamentali
indipendenti e biologicamente determinate, misurabili con lo strumento chiamato Eysenck
Personality Questionnaire (EPQ):
1) (E) Estroversione/Introversione. Le persone con un alto grado di estroversione sono socievoli,
loquaci, dinamiche, vivaci. Poiché presentano una bassa attivazione corticale, sono
continuamente alla ricerca di stimoli esterni ed interpersonali per massimizzare le proprie
prestazioni. Gli introversi mostrano un comportamento opposto ed hanno bisogno di un livello
minore di stimolazione esterna per ottimizzare le proprie performances.
2) (N) Nevroticismo/ Stabilità. Il nevroticismo è caratterizzato da tendenza al turbamento
emozionale con elevati livelli di ansia e di depressione anche in presenza di stimoli negativi
minori. Dal punto di vista biologico appare contraddistinto da un’alta attivazione limbica. La
stabilità emotiva, al contrario, si contraddistingue per l’esperienza di affetti negativi solo in
seguito a stressors maggiori.
3) (P) Psicoticismo. E’ una dimensione, aggiunta successivamente, associata ad anomalie nel
coinvolgimento nei rapporti interpersonali; la denominazione è impropria, in quanto non
collegata al concetto di psicosi, quanto piuttosto ad una tendenza all’impulsività, alla rabbia ed
all’ostilità. E’ connessa ad un’elevata suscettibilità ormonale.
I primi due di questi fattori o assi (la estroversione e il nevroticismo) definiscono 4
quadranti che ricreano, secondo Eysenck, i quattro "umori" individuati da Galeno nel II
secolo dopo Cristo (sanguigno: estroverso stabile; collerico: estroverso instabile;
flemmatico: introverso stabile; melanconico: introverso instabile). In base al Modello PEN
54
(Psicoticismo-Estroversione-Nevroticismo) della teoria della Personalità di Eysenck, un
grado patologico di queste tre dimensioni corrisponde approssimativamente ai tre Cluster
dei Disturbi di Personalità del DSM: un'alta introversione contraddistinguerebbe i Disturbi
del Cluster A; un alto psicoticismo sarebbe tipico del Cluster B; un elevato nevroticismo
caratterizzerebbe il Cluster C.
Le scale sono costruite fattorialmente e non in base alla validità di contenuto o criteriale.
Nella versione originale è presente anche la scala Lie per controllare il tentativo dei soggetti
di fornire risposte “socialmente desiderabili”. EPQ ed EPQ-R sono le forme oggi più
utilizzate. Si compongono di 90 item (100 nella forma revised) approssimativamente ben
distribuiti nelle scale P, E, N, e Lie (circa 25 per scala). Gli item del test hanno un formato di
risposta dicotomica (Sì / No).
In Italia è disponibile la versione adattata del EPQ del 1975, composta da 69 item e mutilata
della scala Lie. E’ chiamata Adult Eysenck Personality Inventory (AEPI) (Eysenck & Eysenck,
1990).
2.3
FIVE-FACTOR MODEL (FFM)
Il Five-Factor Model (FFM) o Big Five, è un modello a cinque fattori formulato da Costa &
McCrae (Costa & McCrae, 1990). Le cinque dimensioni fondamentali per la descrizione e
la valutazione della personalità si pongono come:
•
livello di analisi più specifico rispetto ai modelli che fanno riferimento a poche dimensioni
estremamente generali (EPQ di Eysenck);
•
livello di analisi più generale rispetto ai modelli che prevedono un maggior numero di
dimensioni di portata più specifica, ma di minor generalizzabilità (16-PF di Cattell).
Ciascuna delle cinque dimensioni è suddivisa in varie sottodimensioni o facets (facce,
sfaccettature), per un totale ben 25 sottodimensioni:
1) Nevroticismo (Neuroticism): Tendenza all'ansia (Anxiousness), Ostilità rabbiosa (Angry hostility),
Tendenza alla depressione (Depressiveness), Ansietà sociale (Self-consciousness), Impulsività
(Impulsiveness), Vulnerabilità (Vulnerability);
55
2) Estroversione (Extraversion): Calore emotivo (Warmth), Istinto gregario (Gregariousness),
Assertività (Assertiveness), Attività (Activity), Ricerca di eccitazione (Excitement seeking),
Emozionalità positiva (Positive emotion);
3) Gradevolezza (Agreableness): Fiducia (Trust), Schiettezza (Straightforwardness), Altruismo
(Altruism), Acquiescenza (Compliance), Modestia (Modesty), Empatia (Tendermindedness);
4) Coscienziosità (Conscientiousness): Competenza (Competence), Ordine (Order), Senso del
dovere (Dutifulness), Impegno per il risultato (Achievement striving), Autodisciplina (Selfdiscipline), Riflessività (Deliberation);
5) Apertura mentale (Openness): Fantasia (Fantasy), Senso estetico (Aesthetics), Apertura alle
emozioni (Feelings), Apertura all'esperienza (Actions), Consapevolezza (Consciousness),
Curiosità intellettuale (Ideas), Rispetto per i valori (Values).
I primi due fattori (Nevroticismo ed Estroversione) derivano da quelli di Eysenck. La
Gradevolezza e la Coscienziosità provengono da una distinzione operata all'interno del
terzo fattore individuato da Eysenck (Psicoticismo): rispettivamente, la Gradevolezza indica
la presenza di calore emotivo contrapposto a freddezza, e la Coscienziosità indica
autocontrollo contrapposto a impulsività. La Apertura è stata introdotta più tardi, e indica
la capacità immaginativa contrapposta all’inibizione. Nel FFM, inoltre, si ritiene che solo la
Gradevolezza derivi da influenze ambientali, mentre gli altri quattro fattori avrebbero una
forte componente ereditaria, cioè sarebbero temperamentali. Questi fattori emergono
nell’ambito della tradizione fattorialista, ma sono stati anche rintracciati in diversi ceppi
linguistici utilizzando l’approccio lessicografico. La tradizione lessicografica afferma che le
differenze individuali più salienti e socialmente rilevanti vengono codificate nel linguaggio
quotidiano; il “lessico della personalità” si organizza cioè in queste cinque dimensioni.
Per misurare i Big Five Costa & McCrae (1992) hanno messo a punto un questionario
intitolato NEO-PI-R (Nevroticism, Extraversion, Psychoticism Personality Inventory Revised)
composto da 240 item. I sei specifici tratti o facets di ciascuno dei cinque fattori sono
misurati da scale di 8 item. Gli item prevedono una risposta su una scala Likert a 5 punti
che varia da “fortemente in disaccordo” a “fortemente d’accordo”. Le scale sono bilanciate
per controllare anche gli affetti dell’acquiescenza.
In Italia è disponibile la versione adattata del NEO-PI-R tradotta da Caprara e Barbanelli
(Caprara, Barbaranelli, & Comrey, 1995).
56
2.4
TEMPERAMENT AND CHARACTER INVENTORY (TCI)
Un altro importante modello di studio dimensionale della personalità è il Temperament and
Character Inventory (TCI) (Cloninger et al., 1994) distinto in due domini di base, il
Temperamento (comprensivo di tratti innati, fondati biologicamente, con 4 dimensioni
contenenti 4 sottodimensioni ciascuna, per un totale di 16 sottodimensioni) e il Carattere
(acquisito socio-culturalmente, con 3 dimensioni che includono un totale di 13
sottodimensioni):
1) Temperamento:
a. Ricerca della novità (novelty seeking [ns]): eccitabilità esplorativa (exploratory
excitability), impulsività (impulsiveness), eccesso e sperpero (extravagance),
sregolatezza (disorderliness);
b. Evitamento del danno (harm avoidance [ha]): ansia anticipatoria (anticipatory worry),
paura dell'incertezza (fear of uncertainty), timidezza (shyness), affaticabilità
(fatigability);
c.
Dipendenza
dalla
ricompensa
(reward
dependance
[rd]):
sentimentalità
(sentimentality), apertura all'esperienza (openness to experience), attaccamento
(attachment), dipendenza (dependence);
d. Persistenza (persistence [p]): desideroso di impegnarsi (eagerness of effort), temprato
dal lavoro (work hardened), ambizioso (ambitious), perfezionista (perfectionist).
2) Carattere:
a. Autodirezionalità (self-directedness [sd]): responsabilità (responsibility), propositività
(purposefullness), ricchezza di risorse (resourcefullness), accettazione di sé (selfacceptance), abitudini connaturate (enlightened second nature);
b. Cooperatività (cooperativeness [c]), accettazione sociale (social acceptance), empatia
(empathy), altruismo (helpfulness), compassione (compassion), onestà morale (pureheartedness);
c.
Autotrascendenza (self-trascendence [st]): dimenticanza di sé (self-forgetfulness),
identificazione transpersonale (trans-identitification), accettazione spirituale (spiritual
acceptance).
57
Inizialmente Cloninger aveva proposto solo le prime tre dimensioni del temperamento (ns,
ha, rd), ipotizzando che a ciascuna di esse corrispondesse uno dei principali sistemi
neurotrasmettitoriali (rispettivamente la dopamina, la serotonina e l’adrenalina). In seguito
aggiunse una quarta dimensione temperamentale (p). Le quattro dimensioni del
temperamento verrebbero ereditate in modo indipendente e sono distribuite nella
popolazione normale. Le tre dimensioni del carattere (sd, c, st) sarebbero invece
scarsamente ereditabili, ma sarebbero dipendenti dall'apprendimento sociale, dai valori
acquisiti e dai processi cognitivi superiori.
Il TCI è composto da 240 item a risposta dicotomica (vero-falso). Di questi, 116 esplorano i
4 tratti temperamentali (ns, ha, rd, p), 119 valutano i 3 tratti del carattere (sd, c, st) e 5 sono
indicatori della presenza di Disturbo di Personalità. La somma degli item segnati come
"vero" fornisce il punteggio grezzo delle sette scale; i punteggi grezzi vengono trasformati
in punteggi standardizzati T che, riportati su di un grafico, forniscono un profilo di
personalità del soggetto. I Disturbi di Personalità si caratterizzano per bassi punteggi di
“autodirettività” e “cooperatività”.
La presenza di alterazioni funzionali delle dimensioni temperamentali condiziona il
determinarsi di uno specifico tipo di disturbo. I Cluster in cui solitamente sono raggruppati
i Disturbi di Personalità del DSM presentano specifici aspetti temperamentali. I soggetti con
Disturbi di Personalità di Cluster A presentano una bassa “dipendenza dalla ricompensa”
quelli con Disturbi di Cluster B un’alta “ricerca di novità” e, quelli con Disturbi di Cluster C
un alto “evitamento del danno”. Nel 1999 Cloninger ha costruito una Revisione, il TCI-R,
tradotta in diverse lingue e disponibile anche in italiano (Fossati et al., 2007).
2.5
MILLON CLINICAL MULT IAXIAL INVENTORY-III (MCMI-III)
Il questionario clinico multiassiale di Millon (MCMI, Millon Clinical Multiaxial Inventory)
(Millon, 1983; Millon, Millon, Davis, & Grossman, 2009) è un test strutturato di personalità
il cui scopo è delineare un profilo personologico attraverso un sistema di variabili e scale
fondato su una specifica teoria della personalità e disegnato in base ai criteri del DSM-IV. I
dati e punteggi di trasformazione sono basati interamente su campioni clinici; richiede poco
58
tempo per la somministrazione, ed è pensato per ottenere il massimo dell'informazione
con il minimo sforzo del paziente.
Millon estrapola e classifica dalla sua peculiare teoria sullo sviluppo della personalità 11
disturbi di personalità e 3 disturbi gravi di personalità. La differenziazione tra disturbi e
disturbi gravi della personalità verte sul grado di integrazione e funzionamento del
soggetto,
sul
giudizio
di
realtà,
sulle
capacità
sociali
ed
sul
grado
di
introversione/estroversione nei confronti dell’ambiente esterno.
Dal punto di vista strutturale è un questionario a 175 item (a doppia possibilità di risposta
"vero"/"falso"), composto da 24 scale e 4 indici di correzione:
1) 11 scale di stili di personalità: (1) Schizoide, (2A) Evitante, (2B) Depressiva, (3) Dipendente, (4)
Istrionica, (5) Narcisistica, (6A) Antisociale, (6B) Sadica-Aggressiva, (7) Ossessivo Compulsiva,
(8A) Negativistica/Passivo-Aggressiva, (8B) Masochistica;
2) 3 scale dei disturbi gravi di personalità: (S) Schizotipica, (C) Borderline, (P) Paranoide;
3) 7 scale di sindromi cliniche: A) Ansia, (S) Somatizzazione, (N) Bipolare, (D) Distimia, (B)
Dipendenza da alcol, (T) Dipendenza da droghe, (R) Disturbo Post-Traumatico da Stress;
4) 3 sindromi cliniche gravi: (SS) Disturbo del pensiero, (CC)Depressione Maggiore, (PP) Disturbo
Delirante;
5) 4 scale di correzione: (X) Apertura, (Y) Indice di Desiderabilità sociale, (Z) Indice di
Autosvalutazione, (V) Indice di Validità.
I punteggi grezzi vengono ottenuti contando gli item della scala segnati come positivi (gli
item che hanno maggior valore per l’entità clinica in questione sono detti prototipici ed
hanno valore 2, mentre gli altri valgono 1; tali punteggi vengono poi convertiti in punteggi
standard BR (Base Rate) attraverso le apposite scale di correzione, la cui distribuzione
riflette la prevalenza del disturbo nella popolazione e che, quindi, rendono superfluo il
confronto con il gruppo normativo. Infatti, il BR indica la probabilità che un soggetto ha di
possedere la caratteristica misurata in modo peculiare e non per come appare nella
popolazione generale.
Attualmente in Italia risulta meno conosciuto che in altri Paesi dove, grazie alla sua
maneggevolezza e praticità (più breve del MMPI, sebbene altrettanto valido) sta
assumendo un ruolo di sempre maggiore rilievo (attualmente, per il numero di
59
pubblicazioni nelle quali è utilizzato, segue solo il MMPI ed il test di Rorschach). La versione
italiana del MCMI-III è stata pubblicata nel 2008 (Zennaro, Ferracuti, Lang, & Sanavio,
2008).
2.6
SHEDLER-WESTEN ASSESSMENT PR OCEDURE-200 (SWAP-200)
Un altro modello dimensionale formulato più recentemente, ma che si è subito imposto
all’attenzione dei ricercatori a livello internazionale, è la Shedler-Westen Assessment
Procedure-200 (SWAP-200) (Westen & Shedler, 1999a).
Questa scala di valutazione della personalità è un test psicologico unico nel suo genere,
designato sia per l’assessment della personalità sia per la formulazione di casi clinici
(Shedler & Westen, 2007; Westen & Shedler, 1999b; Wood, Garb, Nezworski, & Koren,
2007). La SWAP-200 è in grado di dare una grande quantità di informazioni clinicamente
rilevanti sul singolo caso relativamente a 11 Disturbi di Personalità e 12 fattori di
funzionamento della personalità; essendo inoltre molto sensibile al cambiamento, trova un
importante impiego anche in psicoterapia perché può facilmente valutare l’evoluzione del
trattamento (Lingiardi, Shedler, & Gazzillo, 2006).
E’ uno strumento che si avvale dell’eterovalutazione nella rilevazione dei profili di
personalità. I punteggi sono assegnati da un intervistatore clinico esperto, che si basa sulle
proprie osservazioni e sulla conoscenza e comprensione del paziente. In altre parole, la
SWAP-200 non presume che i soggetti siano in grado di auto-denunciare i loro tratti di
personalità disadattativi. Piuttosto, si assume che sia un intervistatore competente ad
individuarli, tramite un colloquio clinico sistematico o tramite la conoscenza longitudinale
del paziente nel corso del trattamento; ciò garantisce una valutazione oggettiva sistematica
del paziente, attraverso uno strumento diagnostico che comprende sia le sindromi cliniche
sia il profilo della funzionalità globale del paziente nel suo contesto di vita (Westen &
Muderrisoglu, 2003).
La procedura, molto maneggevole grazie al software computerizzato, si presta a tipologie
di diagnosi sia categoriali (fornendo i punteggi PD [Personality Disorders]) secondo l’asse II
del DSM-IV, sia dimensionali (tramite i punteggi Q [Q sort]) sulla base di una nuova
60
classificazione degli stili di personalità derivata da studi empirici condotti tramite
l'applicazione della stessa SWAP-200 a pazienti reali.
La SWAP-200 si basa sulla tecnica di ordinamento del Q-sort (Block, 1978; Stephenson,
1953), metodologia statistica che utilizza un set di 200 item descrittivi (Q-set) e che
costringe il valutatore a una distribuzione fissa degli item in otto categorie descrittive (pile)
a numerosità fissa. A ciascun item viene assegnata un categoria in base alla sua rilevanza
nel comportamento del soggetto: alla prima categoria (valore “0”) sono assegnate le
affermazioni che il clinico ritiene irrilevanti o inapplicabili al soggetto; all’ultima (Valore “7)
sono assegnate le affermazioni altamente descrittive del paziente. Andando da 0 a 7 la
distribuzione fissa è 100, 22, 18, 16, 14, 12, 10, 8.
Il computer calcola i punteggi della SWAP-200 e standardizza in "punti T" (media 50,
varianza 10) la correlazione tra il profilo emerso dalla SWAP-200 e i seguenti due prototipi:
•
i prototipi SWAP di pazienti ideali con Disturbi di Personalità nell'Asse II del DSM-IV, generando
la diagnosi categoriale in fattori PD. La correlazione (grado di somiglianza) tra descrizione del
soggetto e prototipo DSM viene standardizzata in punti T (cut off: T = 60; 55 < T< 60);
•
i prototipi di stili di personalità derivati dalla nuova tassonomia di Disturbi di Personalità
elaborata empiricamente attraverso la stessa SWAP-200 applicata a 496 pazienti reali,
generando la diagnosi dimensionale in fattori Q. Anche in questo caso, il programma SWAP
calcola il grado di somiglianza tra il profilo del soggetto e i diversi prototipi, e lo standardizza in
punti T.
Per la diagnosi in fattori PD, si parla di Disturbo di Personalità quando i punti T superano il
valore di 60, cioè una deviazione standard più della media; se i punti T sono tra 55 e 60 si
parla di "forti tratti" di Disturbo di Personalità (da qui è evidente la possibilità di diagnosi
sia categoriale che dimensionale). I punti T non vengono paragonati solo ai prototipi di tutti
i disturbi dell'Asse II, ma anche a un fattore di "Alto Funzionamento", cioè al profilo SWAP
del prototipo di un paziente ideale sano. Va sottolineato che questo fattore di "Alto
Funzionamento" è diverso dalla Global Assessment of Functioning (GAF), cioè dall'Asse V
del DSM-IV, perché misura anche aspetti psicologici sofisticati, non solo il funzionamento
sociale.
61
Uno degli aspetti interessanti della SWAP-200 è che permette di colmare il gap tra diagnosi
psichiatrica o psicologica descrittiva e formulazione clinica e psicodinamica del caso:
componendo in forma narrativa il testo degli item che hanno ricevuto i tre punteggi più alti
(5, 6 e 7), e integrandoli con altre informazioni sul caso, si può facilmente arrivare (in modo
per così dire "scientifico", cioè replicabile) a una formulazione narrativa del caso
contemporaneamente alla valutazione diagnostica.
Per quanto riguarda le proprietà psicometriche, l’affidabilità e la validità dei punteggi
derivati dalla SWAP-200 sono state dimostrate in diversi studi, tramite l’analisi fattoriale
(Cogan & Porcerelli, 2012; Loffler-Stastka et al., 2007; Mullins-Sweatt & Widiger, 2008;
Smith, Hilsenroth, & Bornstein, 2009; Westen & Muderrisoglu, 2006).
La SWAP-200 è stata tradotta in diverse lingue, tra cui l’italiano (Gazzillo, 2006; Westen,
Shedler, Lingiardi, & Gazzillo, 2003).
Essendo lo strumento prescelto per il presente studio, per un ulteriore approfondimento
delle sue caratteristiche e della procedura di somministrazione si rimanda alla sezione
“Materiale e Metodi” di questa trattazione.
2.7
ALTRI MODELLI DIMENSIONALI
La sintetica esposizione dei modelli dimensionali appena presentata suggerisce le loro
eterogeneità e varietà. Di fronte a tale complessità, non potendo fornirne né un elenco
esaustivo, né un’analisi dettagliata, appare tuttavia doveroso citare a scopo puramente
indicativo ed in modo necessariamente stringato anche i seguenti strumenti:
•
Schedule for Nonadaptive and Adaptive Personality (SNAP) (Clark, 1993) (modello a 12
dimensioni);
•
Dimensional Assessment of Personality Pathology – Basic Questionnaire (DAPP-BQ) (Livesley &
Jackson, 2001) (modello a 18 dimensioni);
•
Inter-Personal Circumplex (IPC) (Wiggins & Broughton, 1985) derivato dal modello
"circomplesso" (o quadrante) di Leary (1957);
•
Structural Analysis of Social Behavior (SASB) (Benjamin, Rothweiler, & Critchfield, 2006), come
il precedente ad impronta “interpersonale”;
62
•
Emotionality, Activity, Sociability (EAS) (Buss & Plomin, 1986) ad impronta temperamentale,
applicabile ai bambini;
•
Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) (Hathaway & McKinley, 1957),
celeberrimo, la cui definizione di test di “personalità” è però una dimostrazione della
sovrapposizione di concetti che appartengono al campo clinico e di altri relativi alla personalità
e alla sua patologia (solo 2 delle sue 9 scale –(4) deviazione psicopatica e (5)
mascolinità/femminilità- valutano realmente dei costrutti simili ad attributi o tratti di
personalità;
•
Test for AxiaL Evaluation and Interview for Clinical, Personnel, and Guidance Applications, 400A (Taleia 400 A) (Boncori, 2007) composto da 18 scale cliniche e 3 di validità, che quantifica,
come il precedente, in realtà sia le sindromi cliniche sia i Disturbi di Personalità.
Sono stati fatti dei tentativi per rapportare tra loro tutti i modelli dimensionali, con la
finalità di rintracciare dimensioni comuni o più generali. In entrambi i primi due modelli, ad
esempio, sia i 12 fattori della SNAP sia i 18 del DAPP-BQ risultano essere sottodimensioni
delle seguenti 4 scale: “Sregolazione emotiva”, “Dissocialità”, “Inibizione”, “Compulsività”.
Widiger e coll. (Widiger, Sirovatka, Regier, & Simonsen, 2007) propongono un modello di
valutazione dimensionale della personalità che integra 18 modelli di valutazione
dimensionale, già esistenti, in un unico modello a 4 livelli:
1) 2 fattori (internalizzante ed esternalizzante);
2) 4 domini del funzionamento della personalità (Estroversione vs Introversione; Disponibilità vs
Antagonismo; Stabilità emotiva vs Instabilità emotiva; Controllo vs Impulsività);
3) i sotto-fattori compresi nelle dimensioni del livello precedente;
4) i tratti più vicini ai comportamenti manifesti, cioè quelli più simili agli attuali criteri del DSM.
Secondo Krueger & Tackett (Krueger & Tackett, 2003), tutte le dimensioni della personalità
potrebbero trovare un livello di generalizzazione ancora superiore, massimo, caratterizzato
dalla polarità “Internalizzazione” (depressione, ansia ecc.) vs “Esternalizzazione” (uso di
sostanze, comportamento antisociale, ecc.).
2.8
LIMITI DEI TEST SELF-REPORT DI VALUTAZIONE DELLA PERSONALITÀ
Da quanto riportato risulta evidente che la maggioranza degli strumenti psicometrici
utilizzati per porre diagnosi di Disturbo di Personalità si basino su questionari
63
autosomministrati, con possibilità di risposta dicotomica sì/no o talora secondo scala Likert.
La metodologia self-report si è mostrata nel corso degli anni oggetto di numerose critiche
da parte di ricercatori e clinici, in quanto palesava diversi punti di fragilità, ipoteticamente
responsabili di misdiagnosi e di minore accuratezza diagnostica (Bradley, Hilsenroth,
Guarnaccia, & Westen, 2007; Kendler, Thacker, & Walsh, 1996). A proposito della
schizotipia, per esempio, le misure self-report, con poche eccezioni, si sono mostrate meno
efficaci delle interviste nel distinguere i familiari di pazienti schizofrenici dai controlli sani.
La prima critica da muovere potrebbe essere quella relativa al carattere esplicito delle
domande degli strumenti self-report. La possibilità di rispondere in modo totalmente
congruo ed oggettivo a tali domande presupporrebbe una notevole somiglianza tra visioni
consce ed inconsce del sé ed una notevole capacità introspettiva e consapevolezza dei tratti
della propria personalità. Inoltre bisognerebbe ipotizzare una notevole somiglianza tra le
rappresentazioni che si attivano quando si chiede di descrivere aspetti espliciti del sé e
quelle che si attivano nella vita quotidiana e che normalmente guidano comportamenti,
sentimenti e pensieri (e sono dunque quelle maggiormente descrittive della personalità del
soggetto). In tale senso è utile ricordare che la mancanza di insight e di comprensione di sé
è tipica proprio di alcuni disturbi di personalità, e potrebbe essere in grado di inficiare le
capacità diagnostiche molto più di quanto potrebbe accadere nell’utilizzo di questionari
autosomministrati nelle diagnosi di Asse I. L’atteggiamento difensivo nel rispondere alle
domande self-report, tendente alla negazione della patologia o del tratto disfunzionale può
produrre bias diagnostici che non possono non essere considerati (Katsanis, Iacono, &
Beiser, 1990; Torti et al., 2013).
Inoltre, la metodica dei questionari autosomministrati elimina la valutazione che nella
pratica psichiatrica risulta la più importante nell’effettuare una diagnosi, quella del giudizio
clinico. Nella pratica quotidiana difatti l’onere della diagnosi è quasi totalmente affidato
all’osservazione stessa del paziente e dei suoi comportamenti nella stanza di visita, e
all’ascolto dei suoi racconti di storie di vita da cui emergono le modalità tipiche di relazione
e di visione di sé, la ripetitività di alcuni pattern e la egosintonia o egodistonia di alcuni
peculiari tratti. Affidare in toto all’occhio del paziente la valutazione di sé e della propria
personalità equivale a rinunciare ad una parte importante del normale processo
64
diagnostico e a creare una notevole divergenza tra la diagnosi in ambito clinico e quella in
ambito di ricerca. In sintesi, se l'assessment della personalità si basa su un'autovalutazione,
non può essere una misura oggettiva.
Nel caso dei questionari a risposta dicotomica, infine, è necessario muovere alcune
osservazioni sulla forma con la quale sono pensate le risposte, ovvero la formulazione sì/no.
Per quanto riguarda i tratti di personalità difatti è quasi sempre totalmente impossibile, e
comunque poco utile, stabilire la sola presenza/assenza di una determinata caratteristica.
Ciò che contraddistingue la funzionalità dalla patologia, rispetto alla personalità, è la
rigidità con cui alcuni tratti sono espressi, nonché la pervasività e la persistenza con cui
vengono manifestati nella quotidianità della vita del soggetto. In questo senso sarebbe più
utile un approccio che tenga conto della possibilità di modulare, lungo una scala di intensità
crescente la presenza e la relativa importanza di ogni tratto indagato. Ciò risulterebbe più
coerente con un approccio di tipo dimensionale della diagnosi, tratteggiando le
caratteristiche e le peculiarità di ogni singolo individuo, e non solo il suo etichettamento
dentro o fuori una certa categoria diagnostica secondo criteri alle volte puramente
arbitrari.
Per tali motivi nel nostro studio abbiamo proposto la SWAP-200 come strumento per la
diagnosi e la valutazione della personalità nella nostra popolazione di soggetti studiati. La
nostra ipotesi è che essa possa fornire un valido ausilio ed una integrazione agli attuali test
valutativi, per una sempre maggiore comprensione della psicopatologia della schizofrenia
e dei disturbi ad essa associati e per una ancor più valida strutturazione di un percorso di
prevenzione e di cura.
65
3
OBIETTIVI DELLO STUDIO
Il rilievo di elevati tassi di comorbilità tra disturbi di personalità e psicosi e la presenza di
pattern di personalità specifici nei familiari dei pazienti con schizofrenia ci hanno mostrato
la necessità di approfondire lo studio delle aree personologiche ricorrenti sia nei soggetti
affetti da psicosi sia in quelli a rischio di transizione. Di queste aree della personalità
sarebbe estremamente utile definire, attraverso parametri psicometrici, non solo la
capacità patogenetica di preludere e scatenare una psicosi, ma anche di modularne le
manifestazioni con un effetto patoplastico.
Per tali motivi, abbiamo anche assistito ad un fiorire del dibattito della ricerca sull’effettiva
abilità degli attuali strumenti psicometrici nell’identificare e valutare gli aspetti
personologici nell’ambito delle psicosi. Nella maggioranza dei casi, la valutazione della
personalità si basa su strumenti self-report. La metodica dei questionari autosomministrati,
tuttavia, ha il grande limite di eliminare il ruolo del giudizio clinico.
Il presente lavoro si inserisce nell’ambito degli studi della personalità dei familiari non
psicotici di pazienti schizofrenici proponendo una prospettiva d’indagine alternativa:
l’esplorazione della personalità non si è svolta infatti tramite la somministrazione di
strumenti self-report ma attraverso l’osservazione diretta da parte di clinici esperti.
L’obiettivo generale della ricerca è l’assessment della personalità in una prospettiva sia
categoriale sia dimensionale in un ampio campione di pazienti schizofrenici, dei loro
familiari di primo grado ed in soggetti di controllo sani utilizzando un metodo di
eterovalutazione tramite la Shedler-Westen Assessment Procedure-200 (SWAP-200)
(Westen & Shedler, 1999a).
Gli obiettivi specifici sono:
1) Valutare i tratti di personalità correlati allo spettro schizofrenico, ovvero legati al Cluster A, nei
familiari non psicotici dei pazienti inclusi. In particolare, avendo come target il continuum di
vulnerabilità sotto la soglia della psicosi, valutare se nei familiari i punteggi medi delle scale
relative a questi tratti abbiano valori intermedi tra quelli ottenuti dai pazienti e quelli ottenuti
66
dai controlli sani (inferiori ai punteggi dei pazienti ma superiori a quelli dei controlli) e se le
differenze osservate abbiano una significatività statistica;
2) Valutare la prevalenza nei tre gruppi allo studio degli altri tratti personologici afferenti al Cluster
B e C al fine di approfondire quanto riportato in letteratura, a volte con dati ancora preliminari,
soprattutto circa la distribuzione del Disturbo Evitante e del Disturbo Borderline di Personalità
nei soggetti con schizofrenia conclamata e in quelli a rischio, a confronto con la popolazione
generale.
67
4
MATERIALI E METODI
Lo studio si è svolto presso il D.A.I. di Neurologia e Psichiatria del Policlinico Umberto I di
Roma durante un periodo che va dal 2009 al 2014 e fa parte del Progetto di Ricerca sugli
Endofenotipi attualmente in corso presso il nostro Dipartimento.
Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico per la Ricerca Medica del Policlinico
Umberto I con n° di riferimento 2333/09.02.2012; prot. 104/12.
4.1
DISEGNO SPERIMENTALE
Sono stati reclutati consecutivamente tutti i pazienti schizofrenici, di età compresa dai 18
ai 65 anni, afferenti all’ “Ambulatorio dell’Area delle Psicosi” sito presso il Policlinico
Umberto I, che hanno accettato di partecipare al Progetto di Ricerca sugli Endofenotipi.
Tutti i pazienti al momento del reclutamento assumevano regolare trattamento
psicofarmacologico (generalmente con antipsicotici di seconda generazione) e si
presentavano in una fase di relativo compenso clinico, con sintomi produttivi minimi o
assenti. Il loro funzionamento sociale ed interpersonale, al momento dello studio, risultava
sufficientemente preservato da consentire un’efficace interazione con i clinici.
Per quanto riguarda il reclutamento dei familiari, per garantire una migliore disponibilità
all’effettuazione di tutte le valutazioni necessarie, sono stati selezionati i genitori ed i
fratelli che figuravano tra i caregivers dei pazienti. I controlli sani sono stati reclutati tra
soggetti volontari.
Contestualmente all’inserimento nel protocollo, dopo aver ricevuto una completa
descrizione del progetto, tutti i partecipanti hanno firmato un apposito consenso
informato.
Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad interviste da tre psichiatri ed uno psicologo clinico.
Per i familiari ed i controlli la raccolta dei dati socio-demografici (età, sesso, scolarità, stato
civile) è stata effettuata tramite un’intervista all’ingresso; nel caso dei pazienti tali dati sono
stati desunti dalla consultazione delle cartelle cliniche.
68
Ad eccezione della variabile “età” per i genitori, i gruppi dei pazienti e dei familiari non
differivano per le altre variabili socio-demografiche con il gruppo dei controlli sani. Un
criterio di esclusione in tutti e tre i gruppi è stata la presenza di disturbi neurologici o
dipendenza da alcool e sostanze in atto.
Nel gruppo dei pazienti le diagnosi sono state poste in accordo ai criteri DSM-IV-TR e
confermate mediante somministrazione di SCID-I/P (Patient Edition) (First, Spitzer, Gibbon,
& Williams, 1997). I familiari ed i controlli sono stati sottoposti ad uno screening tramite
SCID-I/NP (Non-Patient Edition) (First, Spitzer, Gibbon, & Williams, 2002) per escludere la
presenza di disturbi psicotici o altri disturbi gravi in asse I.
All’apertura dello studio, tutti i valutatori, con almeno tre anni di esperienza clinica dopo la
specializzazione, hanno effettuato un training per l’applicazione della procedura di
valutazione con la SWAP-200. L’analisi dell’inter-rater-reliability è stata effettuata
sottoponendo 10 pazienti conosciuti da tutti i valutatori alla procedura SWAP-200, e i
risultati analizzati attraverso una correlazione bivariata, ottenendo un buon indice di
concordanza tra valutatori (r = 0.79).
Successivamente, a tutti i partecipanti allo studio è stata somministrata la SWAP-200. In
particolare i familiari ed i controlli sono stati sottoposti ad almeno tre interviste, della
durata di due ore ciascuna; i pazienti, tutti assistiti da almeno due anni, sono stati valutati
invece tramite un colloquio approfondito con i rispettivi psichiatri curanti. In queste
interviste, come nella pratica clinica tipica, i valutatori raccolgono le informazioni principali
sia dal narrato personale dei soggetti sulla loro vita quotidiana sia dal comportamento
osservato nell’interazione con lo stesso intervistatore. In particolare, l'indagine si concentra
sui sintomi, sulla storia scolastica e lavorativa, sulle relazioni e su esempi di esperienze
emotivamente significative. Sulla base di questi dati, i clinici valutano i soggetti nella visione
che hanno di sé e degli altri e nel loro modo di pensare, di provare emozioni, di regolare gli
impulsi e di comportarsi nell’ambito delle relazioni significative. Quindi assegnano
coerentemente i punteggi agli item corrispondenti. Da ciò si desume che la profonda
conoscenza del soggetto richiesta dalla SWAP-200 consente all’intervistatore di rilevare
subito la presenza di psicopatologia, rendendo impossibile l’esecuzione del colloquio in
69
cieco. Per questo motivo, nel presente progetto come in precedenti lavori con il metodo
SWAP-200, è stata eseguita una procedura di studio in aperto (open label study).
4.2
POPOLAZIONE
La popolazione complessiva dei partecipanti allo studio è composta da 190 soggetti (94
maschi e 96 femmine), suddivisi nei seguenti gruppi:
•
65 pazienti con diagnosi di schizofrenia (35 maschi, 30 femmine, intervallo di età: 18-54 anni);
•
60 familiari di primo grado di questi pazienti dei quali 30 genitori (15 maschi, 15 femmine;
intervallo di età: 46-78 anni) e 30 tra fratelli e sorelle (17 maschi, 13 femmine; intervallo di età:
18-56 anni);
•
65 soggetti sani di controllo (27 maschi, 38 femmine; intervallo di età: 18-59 anni).
Le loro caratteristiche vengono presentate nella sezione dei Risultati.
4.3
STRUMENTI UTILIZZATI E VALUTAZIONI
Per il presente studio sono stati utilizzati gli strumenti psicometrici Shedler-Westen
Assessment Procedure (SWAP-200) e Structured Clinical Interview for DSM-IV Axis I
Disorders (SCID-I), di seguito descritti.
4.3.1
LA SHEDLER-WESTEN ASSESSMENT PR OCEDURE – 200 (SWAP-200)
La SWAP-200 nasce come tentativo di integrare in un test psicodiagnostico unico la
prospettiva clinica con quella della ricerca, combinando la ricchezza del giudizio clinico ed
il rigore empirico necessario per utilizzare i dati ottenuti in studi scientifici (Westen et al.,
2003).
La particolare strutturazione della scala permette di fornire dettagliate descrizioni della
personalità, delineando le caratteristiche cliniche e gli stili di personalità secondo dei
continuum e non con la visione dicotomica presente/assente della maggioranza degli
strumenti psicometrici designati a questo tipo di valutazione. La SWAP-200 permette di
effettuare sia diagnosi categoriali, seguendo la nosografia DSM, sia diagnosi dimensionali
in base alla classificazione empiricamente derivata e proposta da Westen e Shedler (più
70
avanti descritta). La descrizione che emerge è una valutazione della funzionalità
dell’individuo a livello cognitivo, affettivo, motivazionale e comportamentale, e di come
varia tale funzionalità a seconda delle circostanze esterne, discriminando tra le aree
patologiche e quelle di buon funzionamento.
Con la SWAP-200 è possibile dare una valutazione oggettiva e condivisibile anche di quel
60% dei pazienti che, pur essendo trattati nella pratica clinica per pattern disadattativi di
personalità, non raggiungono i criteri di nessuna diagnosi categoriale di Asse II (Westen &
Arkowitz-Westen, 1998). Nel caso infatti di quadri sfumati e non chiaramente inquadrabili
nell’ambito di un singolo disturbo di personalità, poiché non si basa sulla presenza/assenza
di determinate caratteristiche, ma sulle loro intensità e rigidità, permette di delineare una
descrizione dei tratti patologici, delle aree disfunzionali e delle circostanze che le attivano
causando stress.
Per descrivere il metodo di valutazione della SWAP-200 è necessaria una spiegazione della
procedura alla quale fa riferimento, quella del Q-sort (Stephenson, 1953). Un Q-sort è un
insieme di affermazioni che descrivono (nel caso della valutazione psicometrica) aspetti
diversi del funzionamento psicologico. Ogni affermazione, o item, può descrivere un
soggetto molto bene, solo in parte o per nulla. Colui che somministra la scala (sia clinico sia
ricercatore) ordina le schede in un numero prestabilito di categorie (o “pile”). Nella prima
categoria, contrassegnata dal numero 0, vengono poste le affermazioni che non
rispecchiano in alcun modo le caratteristiche del soggetto esaminato; si prosegue poi in
ordine progressivo nelle diverse pile, fino a posizionare nell’ultima pila le affermazioni che
descrivono nel miglior modo il soggetto in esame. Il metodo Q-sort è strutturato in modo
tale che i clinici debbano assegnare ad ogni categoria un numero di item prefissato. Con i
dati Q-sort è possibile creare delle descrizioni composite, cioè combinare ad esempio le
descrizioni di molti clinici esperti di un ipotetico paziente con Disturbo Narcisistico della
Personalità, fare una media dei valori attribuiti da ognuno ad ogni singolo item e creare
così una descrizione composita del paziente narcisistico prototipico. In tale modo gli Autori
della SWAP-200 hanno identificato i prototipi di tutti i dieci Disturbi di Personalità descritti
dal DSM-IV, più i quattro riportati nelle appendici o nelle precedenti versioni del DSM
71
(Disturbi di Personalità Depressivo, Passivo-Aggressivo, Sadico ed Auto-frustrante [selfdefeating]) e quello del paziente prototipico con personalità sana, ad alto funzionamento.
La SWAP-200 è costituita da 200 item, scritti con terminologia chiara, condivisibile e priva
di ambiguità al fine di essere intese allo stesso modo da qualsiasi valutatore. Si tratta di 200
frasi descrittive dei vari aspetti del funzionamento psicologico degli individui (comprensive
delle risorse individuali e delle aree sane) con un linguaggio non gergale e non indirizzato
teoricamente e dunque comprensibile a tutti i clinici, indipendentemente dal loro
orientamento. L’insieme degli item comprende costrutti dai criteri dell’asse II, da alcuni
criteri dell’asse I che potrebbero sottendere un disturbo della personalità, dalla letteratura
degli ultimi cinquant’anni sui disturbi di personalità (ad esempio gli scritti di Kernberg e
Kohut), dalle ricerche sui meccanismi di difesa e sul coping, dalle ricerche sulle
problematiche interpersonali dei pazienti affetti da tali disturbi, e infine da ricerche sui
tratti della personalità normale e sulla salute psicologica (per l’elenco completo degli item
di cui si compone la SWAP-200 si rimanda all’Allegato A).
Il clinico o il ricercatore, dopo almeno 3 colloqui condotti con l’esaminato, ha il compito di
distribuire i 200 item in otto pile (col computer, non manualmente) in ciascuna delle quali
dovrà posizionare un numero di item prefissato secondo una scala da 0 a 7 (da "per niente
descrittivo" a "moltissimo") (Figura 4.1). La distribuzione non libera ma forzata, cioè fissa,
degli item, ha anche lo scopo di ovviare al bias di molti clinici di collocare gli item, senza
riflettere a sufficienza, spesso agli estremi del continuum.
Figura 4.1 Distribuzione degli
item della SWAP-200 nelle 8
pile.
Le
contengono
pile
gli
più
scure
item
più
descrittivi per la formulazione
del caso. Alla pila con valore 0
sono
assegnate
affermazioni
tutte
le
giudicate
irrilevanti o inapplicabili al soggetto; nelle pile 1, 2, 3 e 4 sono posti gli item ritenuti da minimamente a
moderatamente corrispondenti alla psicologia del soggetto, e così via progressivamente fino a inserire
nell’ultima pila quelli che meglio descrivono le caratteristiche del paziente.
72
Una volta distribuiti tutti gli item, il software effettua il confronto tra le caratteristiche del
soggetto in esame e quelle del paziente prototipico, eseguendo un’analisi statistica della
somiglianza tra i due profili descrittivi e categorizzando questa somiglianza in termini di:
assenza di disturbo, presenza di poche o molte caratteristiche del disturbo o presenza
conclamata del disturbo. Il grado di somiglianza tra il paziente esaminato ed il paziente
prototipico è misurato da un coefficiente di correlazione. Il programma SWAP-200 elabora
un distinto coefficiente di correlazione per ogni disturbo di personalità di Asse II,
denominato “fattore-PD”.
Per facilitare la comprensione dei risultati i coefficienti di correlazione sono trasformati in
punteggi T e rappresentati su di un grafico, somigliante a quello di un profilo MMPI, nel
quale ogni punto indica la somiglianza tra il paziente ed il prototipo diagnostico (Figura 4.2).
I punteggi T hanno media di 50 e deviazione standard di 10, per cui il paziente medio avrà
50 per ogni Disturbo della Personalità; più il punteggio T supera 50 più il paziente somiglia
al prototipo diagnostico. Un punteggio T di 60, indicando che il punteggio di Disturbo di
Personalità è di una deviazione standard sopra la media, è inteso come cut-off appropriato
per fare diagnosi categoriale di Disturbo di Personalità di Asse II. Quando il punteggio è
invece compreso tra 55 e 60 si può parlare di “forti tratti”. Se un paziente presenta un
punteggio maggiore di 60 per più di un disturbo, ma uno di questi punteggi è molto più alto
degli altri, questo sarà considerato la diagnosi primaria. Inoltre il punteggio T relativo
all’alto funzionamento darà una valutazione quantitativa della capacità del soggetto di
funzionare nelle normali circostanze della vita. Ai pazienti con un punteggio di “Alto
Funzionamento” superiore a 60 non è attribuito alcun Disturbo della Personalità.
73
Figura 4.2 Esempio di profilo di personalità con SWAP-200 di un paziente con Disturbo di Personalità
Narcisistico (sia secondo la diagnosi categoriale DSM in base ai punteggi PD-T sia secondo la diagnosi
dimensionale con i punteggi Q-T [entrambi >60]).
I due fattori-PD che si correlano maggiormente col fattore di Alto Funzionamento, cioè i
due Disturbi di Personalità che nel nostro mondo occidentale risultano meglio adattati e
più "funzionali" alla società, sono risultati essere quello Ossessivo e quello Narcisistico. Lo
studio dei fattori-PD ha anche mostrato che alcuni Disturbi di Personalità del DSM-IV non
sono facilmente distinguibili, ad esempio quello Sadico, Antisociale e Narcisistico risultano
molto vicini, e ancor più sovrapponibili sono i Disturbi Schizoide, Schizotipico ed Evitante
(e quest'ultimo, a sua volta, era molto sovrapponibile a quelli Dipendente, Depressivo e
Auto-frustrante).
La SWAP-200 possiede una notevole validità convergente, ossia un’elevata correlazione tra
le descrizioni composite di pazienti reali con un dato Disturbo di Personalità ed il loro
prototipo diagnostico, ed un’altrettanta elevata validità discriminante, ossia la capacità di
discriminare tra le diverse diagnosi, fornendo correlazioni basse tra la descrizione del
paziente suddetto con i prototipi degli altri Disturbi di Personalità. Si è osservata, inoltre,
una relazione statisticamente significativa tra le correlazioni con il prototipo ad Alto
74
Funzionamento e la valutazione fatta da clinici del funzionamento tramite la Valutazione
Globale del Funzionamento (VGF), ed una elevata validità convergente e discriminante tra
i punteggi dei Disturbi di Personalità SWAP-200 e la valutazione dei clinici del grado in cui i
pazienti soddisfano i criteri diagnostici dei vari Disturbi di Personalità (Westen & Shedler,
1999a, 1999b).
Westen e Shedler hanno provato anche a utilizzare la SWAP-200 su 496 pazienti reali che
avevano ricevuto una diagnosi di Asse II, e hanno così proposto un sistema alternativo di
classificazione dei disturbi di personalità, basato su questi rilevamenti empirici, che
descrive le patologie della personalità così come si mostrerebbero in natura. L’insieme di
procedure statistiche utilizzato per identificare i raggruppamenti per come si presentano
in natura (e nel caso della valutazione della personalità i raggruppamenti di pazienti che
condividono caratteristiche psicologiche importanti) è conosciuto come “analisi-Q”. Prima
della proposta dei due Autori tale analisi era usata in zoologia per la classificazione delle
specie animali e nello studio nella personalità umana normale, ma mai nello studio dei
disturbi della personalità.
Tramite l’analisi-Q, che è una variante dell'analisi fattoriale in quanto raggruppa non degli
item simili tra loro ma dei casi clinici caratterizzati da punteggi simili nelle stesse variabili1,
i due autori hanno estratto 11 “fattori-Q” dalle loro 496 SWAP-200, ovvero 11 Cluster di
soggetti simili tra loro e diversi da quelli che appartengono agli altri Cluster.
1
Il procedimento dell’analisi-Q è simile a quello dell’analisi fattoriale, utilizzata nei casi in cui l’insieme dei
dati contiene molte variabili che sembrano misure ridondanti di poche dimensioni sottostanti. L’analisi
fattoriale identifica gruppi di variabili molto simili e quindi altamente correlate tra loro ma non correlate a
variabili di altri gruppi. Il ricercatore, una volta assodato quali siano le variabili associate tra loro, può scoprire
qual è il fattore sottostante che esse vanno a misurare (ad esempio da un gruppo contenente variabili come
“è spesso triste”, “piange frequentemente” ed “ha pensieri di morte” si può facilmente concludere che le
variabili misurino il fattore sottostante “depressione”). Nell’analisi-Q la procedura è quella di una comune
analisi fattoriale, con la sola differenza che non individua gruppi di variabili ma di persone, che hanno in
comune importanti caratteristiche psicologiche e che si differenziano dalle persone degli altri gruppi.
75
I fattori-Q dunque rappresentano 11 categorie diagnostiche empiricamente derivate,
potremmo dire 11 “Disturbi di Personalità Q” alternativi alla classificazione DSM, che
massimizzano le differenze e minimizzano le comorbilità e che tengono conto di un’ampia
varietà di caratteristiche cliniche, di diverse aree del funzionamento e di pattern
caratteristici di pensiero, emozione, comportamento e motivazione. Le diagnosi con i
fattori-Q, andando ad evidenziare anche le risorse e le aree funzionali del soggetto
indagato, più che fornire una connotazione patologizzante mirano piuttosto a descrivere lo
“stile di personalità” (che diviene francamente patologico solo quando i punteggi dell’Alto
Funzionamento sono inferiori a 60 e si raggiunge un picco superiore a 60 in almeno un
fattore-Q).
I fattori-Q inizialmente estrapolati dall’analisi-Q nel 1999 erano 7. Il primo, definito
"disforico", comprendeva il 20% del campione, per cui questo primo fattore è stato
ulteriormente scomposto con un’analisi-Q di secondo ordine e diviso in 5 sottofattori con
buona coerenza clinica, arrivando al totale definitivo di 11 fattori-Q. Ciò che sembra
diversificare tra loro i pazienti appartenenti al gruppo disforico sono le condizioni in grado
di attivare la disforia ed i tentativi che si compiono per cercare di regolarla (come evitare
persone e situazioni, o aggrapparsi disperatamene agli altri, o reagire con rabbia verso le
persone da cui si sentono frustrati).
Prima di procedere con la descrizione dei singoli fattori-Q risulta interessante - soprattutto
dato lo scopo della nostra ricerca - evidenziare ulteriori dati rilevati dall’analisi dei fattoriQ:
1) È emerso un unico fattore-Q schizoide, che include molti pazienti diagnosticati come schizoidi
e schizotipici ed un sottogruppo di pazienti diagnosticati come evitanti. Ciò concorda con
quanto finora ipotizzato circa la notevole associazione tra il Disturbo Schizoide e Schizotipico,
dovuta forse alla comune origine genetica del disturbo, e alla supposizione circa il possibile
legame con il Disturbo Evitante. Il fatto che non sia emersa alcuna personalità schizotipica fa
pensare che gli schizotipici del DSM-IV siano in realtà degli schizoidi con disturbo del pensiero,
quindi rientrabili nell'Asse I (scelta, come è noto, già fatta dall'ICD-10 che ha incluso la
personalità schizotipica nella schizofrenia).
2) Non è emersa alcuna personalità borderline, dato che i borderline del DSM-IV rientrano nel
fattore istrionico e nei due sottofattori disforici emotivamente disregolato e dipendente76
masochistico. In altre parole, si potrebbe dire che i borderline siano individui che fanno fatica a
regolare le proprie emozioni e si possono dividere in tre gruppi: quelli che vivono la
disregolazione delle loro emozioni in modo egodistonico (gli emotivamente disregolati), quelli
che vivono la disregolazione delle loro emozioni in modo egosintonico (gli istrionici), e quelli
che cercano di regolare le loro emozioni facendosi abusare dagli altri (i dipendentimasochistici).
3) Per quanto riguarda il fattore-Q narcisistico, esso riassume le tipologie di narcisisti sia
"grandiosi/maligni" sia "fragili", riproponendo le concettualizzazioni di vari autori che hanno
iscritto queste due categorie nei due poli (“inconsapevole” e “ipervigile”) di un continuum
basato sul tipo di stile di relazioni interpersonali (Gabbard, 2007).
Viene di seguito proposta una breve descrizione di ognuno degli 11 fattori-Q, con le relative
differenze con i Disturbi di Personalità descritti dal DSM-IV-TR (la lista completa degli item
attribuiti ad ogni singolo stile di personalità SWAP-200 – o fattore-Q – sono elencati
nell’Allegato B).
Fattore-Q disforico: caratterizzato da un’immagine di sé come inadeguato, inferiore o fallito, da una
tendenza a provare vergogna o imbarazzo e sentirsi depresso o abbattuto, accusarsi delle cose negative
che accadono, sentirsi in colpa, essere sensibile ai rifiuti e agli abbandoni, nonché a sentirsi bisognoso o
dipendente, debole e impotente, a ingraziarsi gli altri ed essere passivo e poco assertivo. E’ suddiviso
nei seguenti sottogruppi:
•
Disforico evitante: caratterizzato da item che indicano tendenza ad essere timido, riservato ed
a sentirsi inadeguato, a evitare le situazioni sociali perché teme imbarazzo o umiliazione, ad
essere socialmente goffo o inappropriato, inibito, coartato, passivo o poco assertivo, a non
avere relazioni o amicizie strette, a sentirsi privo di appartenenza, ad avere difficoltà nel
concedersi di provare forti emozioni piacevoli.
Le differenze rispetto al Disturbo Evitante descritto nel DSM includono una coscienza morale
estremamente rigida, la presenza di una limitata gamma di emozioni, di difficoltà
nell’espressione della rabbia e di elevate quote d’ansia.
•
Disforico (depressivo-nevrotico) ad alto funzionamento: caratterizzato da item che indicano
solidità e risorse psicologiche: è articolato, ha standard morali ed etici, è empatico ed apprezza
l’umorismo, è intuitivo, suscita la simpatia degli altri. Ovviamente accanto ad essi si collocano
item che indicano la disforia cronica: tende ad autoaccusarsi e a sentirsi in colpa, a sentirsi
infelice o abbattuto e a cercare relazioni nelle quali svolge il ruolo della persona che si prende
cura o salva gli altri.
77
Rispetto al suo analogo, inserito nelle appendici del DSM, lo stile disforico (depressivo) ad alto
funzionamento presenta, come lo stile ossessivo e quello narcisistico, la possibilità di un
discreto funzionamento psicologico.
•
Disforico con disregolazione emotiva: include al suo interno molti pazienti diagnosticati dal
DSM come borderline. Gli item caratteristici sono quelli che descrivono emozioni che
aumentano di intensità fino alla perdita di controllo, lotte frequenti con pensieri di morte e
suicidio, incapacità a calmarsi da solo quando si è angosciati, tendenza a sentire che la propria
vita non ha significato e tendenza a compiere frequenti gesti suicidari o a minacciarne
l’esecuzione (per quanto riguarda le differenza con il Disturbo Borderline del DSM si veda più
avanti quanto riportato circa il fattore-Q istrionico).
•
Disforico dipendente-masochista: rispetto alla categoria diagnostica del DSM sono pazienti che
appaiono più sofferenti e disturbati. Sono caratterizzati dalla tendenza a coinvolgersi e rimanere
in relazioni in cui subiscono abusi emotivi e fisici e a ingraziarsi gli altri, a farsi sottomettere, ad
attaccarsi agli altri in modo intenso e veloce, a essere suggestionabili o facilmente influenzabili,
ad attaccarsi o innamorarsi di persone non emotivamente disponibili, ad essere eccessivamente
bisognosi o dipendenti e a mostrare l’utilizzo di meccanismi di difesa quali scissione ed
idealizzazione e fenomeni quali la diffusione dell’identità, la difficoltà a regolare gli affetti e a
riconoscere ed esprimere la propria rabbia.
•
Disforico ostile (con esteriorizzazione dell’aggressività): descritto da item che indicano
tendenza a partecipare a lotte di potere, ad essere arrabbiato e ostile, ad accusare gli altri dei
propri fallimenti, a sentirsi incompreso, maltrattato o vittimizzato, ad avere conflitti con le
autorità, immaginando di doverle sottomettere, di doversi ribellare, di doverle sconfiggere, a
tenere il broncio ed esprimere la propria rabbia in modi indiretti e passivi. Tale fattore,
caratterizzato da notevoli quantità di rabbia ed aggressività, non trova corrispondenza in alcun
Disturbo di Personalità del DSM-IV.
Fattore-Q antisociale-psicopatico: caratterizzato da item che indicano tendenza ad essere disonesto, ad
approfittarsi degli altri ed avere un minimo investimento nei valori morali, a non provare alcun rimorso
per le ferite o il danno provocato ad altri, ad essere arrabbiato e ostile, ad agire in modo impulsivo senza
riguardo delle conseguenze, a manipolare le emozioni degli altri allo scopo di ottenere ciò che si
desidera, ad avere poca empatia, ad essere inaffidabile o irresponsabile, a manifestare comportamenti
criminali e non preoccuparsi per le conseguenze delle proprie azioni.
La descrizione SWAP-200 del Disturbo Antisociale differisce dalla diagnosi DSM in quanto contempla la
presenza di mancanza di empatia (fondamentale nella diagnosi clinica di Disturbo Antisociale), di
meccanismi di difesa primitivi quali proiezione ed esteriorizzazione, della tendenza alla manipolazione
dei sentimenti altrui e del sentimento narcisistico di invulnerabilità.
78
Fattore-Q schizoide: definito da affermazioni che delineano una tendenza a non avere amicizie o
relazioni intime, ad avere una gamma di emozioni limitata e ristretta, a non avere capacità sociali, ad
avere un modo di fare strano e peculiare, ad essere timido e riservato nelle situazioni sociali, ad essere
inibito e coartato, ad avere difficoltà a riconoscere desideri ed impulsi, ad avere difficoltà nel
comprendere il senso del comportamento altrui, ad essere incapace di descrivere le persone importanti
dando un’idea di che tipo di persone siano (cioè fornendo descrizioni bidimensionali e misere), ad avere
poco insight circa le proprie motivazioni ed i propri comportamenti, ad interpretare le cose in modo
troppo letterale senza poter apprezzare le metafore, le analogie o le sfumature.
In questo caso le differenze con il DSM sono fondamentali, in quanto il fattore-Q schizoide include al
suo interno pazienti diagnosticati dal DSM come schizotipici, schizoidi ed evitanti, tre diagnosi
universalmente riconosciute come difficili da distinguere. I risultati dell’analisi-Q in tale senso
ipotizzerebbero una mancanza di linee di confine nette tra le tre categorie. Inoltre è un dato di notevole
rilevanza la mancanza di una categoria schizotipica a sé stante. Gli Autori ipotizzano che tale assenza sia
dovuta al fatto che «la schizotipia non è un Disturbo della Personalità, definito da una specifica
costellazione di processi di personalità, ma è una sindrome clinica definita da un singolo tratto (disturbo
del pensiero di grado lieve) che sarebbe meglio diagnosticare nell’Asse I».
Fattore-Q paranoide: caratterizzato da item che indicano una tendenza a tenere il broncio, a sentirsi
incompreso, maltrattato o vittimizzato, ad esser pronto a pensare che gli altri vogliano approfittarsi di
lui e danneggiarlo, ad esprimere una rabbia intensa e sproporzionata rispetto alla situazione, a
coinvolgersi in scontri di potere, ad essere arrabbiato ed ostile, a vedere alcune persone come
totalmente “cattive” e a perdere la capacità di coglierne qualsiasi aspetto positivo, ad essere arrogante
e a reagire alle critiche con rabbia ed umiliazione.
Le differenze con il DSM per quanto riguarda tale disturbo sono la presenza di specifici meccanismi di
difesa quali la scissione dell’oggetto, l’esteriorizzazione, la proiezione e l’identificazione proiettiva.
Inoltre la diagnosi SWAP-200 sottolinea la presenza di aggressività, espressa in modo attivo e passivo,
del comportamento paranoide e della disregolazione emotiva che comporta interferenza tra le emozioni
ed i processi cognitivi.
Fattore-Q ossessivo: come il disforico ad alto funzionamento è caratterizzato da item che indicano
risorse e capacità adattive ed item indici di sofferenza psicologica. Più in particolare gli item associati a
questo fattore indicano tendenza ad essere coscienzioso e responsabile, ad essere articolato, ad avere
standard morali ed etici, ad essere capace di sfruttare i propri talenti, le proprie abilità e le proprie
energie in modo efficace e produttivo, ad amare le sfide, a vedersi come una persona logica e non
influenzata dalle emozioni, ad essere eccessivamente dedito al lavoro a scapito del tempo libero, ad
essere controllante, a saper trovare senso nel perseguire obiettivi e scopi a lungo termine, ad apprezzare
79
e saper rispondere all’umorismo, ad essere inibito ed avere difficoltà nel concedersi di esprimere
desideri o impulsi.
I pazienti ossessivi descritti dalla SWAP-200 risultano meno disturbati di quelli del DSM, ricordando di
più lo “stile ossessivo” di Shapiro (Shapiro & Reginelli, 1949). Pur essendo eccessivamente preoccupati
per le regole, esprimendo una gamma di emozioni limitata e ristretta, apparendo dunque freddi ed
emotivamente coartati, presentano una notevole presenza di risorse psicologiche e non appaiono
eccessivamente disfunzionali.
Fattore-Q istrionico: descritto da item che indicano tendenza ad essere eccessivamente bisognoso e
dipendente, a richiedere rassicurazioni ed approvazioni eccessive, a sviluppare attaccamento intenso e
veloce, ad attaccarsi o innamorarsi di persone emotivamente non disponibili, ad essere suggestionabile
o facilmente influenzabile, ad essere eccessivamente seduttivo e provocante dal punto di vista sessuale,
ad esprimere le emozioni in modo esagerato e teatrale, a fantasticare di trovare l’amore ideale e
perfetto, ad essere incapace di tranquillizzarsi da solo quando è angosciato, a cadere in spirali emotive
senza controllo e ad aver paura di essere rifiutato o abbandonato dalle persone emotivamente
significative.
La categoria diagnostica istrionica della SWAP-200 include pazienti etichettati dal DSM come istrionici
ed altri etichettati come borderline. Il Disturbo Borderline non appare in effetti come diagnosi a sé stante
nella classificazione SWAP-200, ma suddiviso tra il fattore istrionico e quello disforico con disregolazione
emotiva (e in misura molto minore al fattore dipendente-masochista), a seconda dell’egosintonia o
distonia con cui è vissuta l’intensità affettiva. Tali osservazioni appaiono in linea con quanto riportato
da altri Autori riguardo l’assenza di “un” Disturbo Borderline, ma della presenza di uno “spettro”
borderline o borderliness in comune a più quadri clinici. Inoltre il rispetto al suo analogo del DSM fattore
istrionico SWAP-200 presenta in più angoscia, paura dell’abbandono e dipendenza, e una marcata
tendenza a scegliere partner inappropriati e alla somatizzazione.
Fattore-Q narcisistico: include item che indicano la tendenza ad avere fantasie di successo illimitato,
potere, bellezza e talento, a sentirsi un privilegiato e a sentire di avere tutti i diritti, aspettandosi un
trattamento preferenziale, ad avere un senso esagerato della propria importanza, a trattare gli altri
come un pubblico che deve testimoniare la propria importanza e bellezza, a cercare di essere al centro
dell’attenzione, ad aspettarsi di essere perfetto, ad essere arrogante, sprezzante o superbo, a
fantasticare di trovare l’amore ideale e perfetto, a pensare che gli altri siano invidiosi di lui e a provare
invidia per le altre persone.
L’aggiunta che la SWAP-200 fa rispetto al DSM riguardo al narcisismo è la messa in evidenza degli aspetti
fragili e di sofferenza, quali la solitudine, la tendenza a sentirsi vuoti e falsi, a pensare che la propria vita
non abbia significato, a sentirsi degli outsider ed avere paura di coinvolgersi in relazioni d’amore a lungo
termine. Vengono riproposti inoltre alcuni meccanismi di difesa tipici, come la scissione dell’oggetto, la
80
percezione distorta del proprio corpo e la tendenza ad usare troppo l’aspetto fisico per catturare
l’attenzione altrui.
4.3.2
LA STRUCTURED CLINICAL INTERVIEW FOR DSM-IV AXIS I DISORDERS (SCID-I)
Nel 1984 Spitzer inizia il lavoro di ricerca che porterà alla costruzione della Structured
Clinical Interview for DSM-III (SCID-I). La revisione della scala per il DSM-III-R fu pubblicata
nel 1990, e quella per il DSM-IV nel 1997 per la versione clinica (SCID-I/CV) (First et al.,
1997) e nel 2002 per i non pazienti (SCID-I/NP) (First et al., 2002).
La SCID-I consta di diverse sezioni articolate tra loro:
•
una rassegna anamnestica, da compilare all’inizio dell’intervista, che raccoglie dati relativi alla
situazione attuale e permette di descrivere e contestualizzare l’episodio in atto ed i precedenti
episodi psicopatologici;
•
moduli autonomi, uno per ogni grande gruppo sintomatologico o classe diagnostica dell’Asse I
(episodi dell’umore, sintomi psicotici, disturbi psicotici, disturbi dell’umore, disturbo da uso di
sostanze psicoattive, disturbi d’ansia ed altri disturbi), da somministrare in sequenza o anche
separatamente tra loro, a seconda dell’interesse dell’esaminatore e di ciò che si sta ricercando;
•
un sommario diagnostico, dove il clinico riporta le diagnosi del DSM-IV dopo aver terminato la
somministrazione del test.
Per la maggior parte dei disturbi dell’Asse I sono inclusi ed elencati tutti i singoli criteri del
DSM. Per la somministrazione è necessario semplicemente valutare la presenza o l’assenza
dei criteri necessari alla diagnosi dei singoli disturbi.
La SCID-I è designata all'uso in ambito clinico per assicurare valutazioni standardizzate;
qualsiasi persona che abbia conseguito la licenza media inferiore può comprenderne il
linguaggio, e può essere utilizzata anche semplicemente come una checklist diagnostica,
utilizzando le informazioni già ottenute da altre fonti, come la cartella clinica o i colloqui
con i propri pazienti.
L’intervista si apre con una sezione di domande aperte che raccoglie informazioni relative
alla malattia in atto, alla condizione medica generale, al funzionamento sociale e generale
del paziente.
81
Successivamente, iniziando la compilazione dei moduli diagnostici, sono previste domande
che vanno formulate ad litteram, e che ripetono i singoli criteri del DSM per ogni disturbo,
ma che possono essere integrate con qualsiasi altra domanda da parte dell’intervistatore
al fine di ottenere dati aggiuntivi ed una maggiore chiarezza diagnostica.
Nell’ambito della ricerca, come nel nostro caso, la SCID-I viene spesso utilizzata per
selezionare una popolazione da studiare in termini di criteri di inclusione o esclusione dal
campione.
I vantaggi principali dello strumento sono quelli di formulare una diagnosi psichiatrica
secondo criteri definiti in modo rigido, rendendo alto il livello di accordo e di comprensione
tra i diversi esperti della salute mentale. Inoltre permette una valutazione diagnostica
completa affrontando l’intero spettro psicopatologico e indagando la presenza di
sofferenza psichica durante tutto il corso della vita.
4.4
ANALISI STATISTICA
Per l’analisi dei dati è stato utilizzato il programma SPSS per Windows, versione 19.0.
Per verificare le ipotesi di non differenza nei gruppi per età e istruzione sono state
effettuate due ANOVA con la variabile indipendente gruppo a quattro livelli e la variabile
età per la prima e scolarizzazione (in anni) la seconda.
Per verificare l’ipotesi che in almeno due gruppi i punteggi riferiti ai Disturbi di Personalità
al test SWAP-200 siano nel complesso significativamente diversi, è stato utilizzato un
disegno di analisi della varianza multivariato (MANOVA). Il disegno è costituito da una
variabile indipendente con quattro livelli, cioè il gruppo dei pazienti, i relativi fratelli, relativi
genitori e il gruppo dei soggetti di controllo, e 11 variabili dipendenti, cioè le scale PD dei
Disturbi di Personalità più quella relativa all’Alto Funzionamento del test SWAP-200. Il
disegno è stato ripetuto prendendo in considerazione la stessa variabile indipendente e le
12 scale dei punteggi Q relative ai Disturbi di Personalità presenti nel test SWAP-200.
L’analisi degli effetti è stata valutata attraverso le statistiche Lambda di Wilks, Traccia di
Pilai, Traccia di Hotelling e Radice di Roy; successivamente, sono stati indagati i risultati dei
confronti pianificati multivariati del gruppo pazienti vs gruppo genitori, vs gruppo fratelli vs
82
gruppo controllo; gruppo genitori vs gruppo fratelli e vs gruppo di controllo; gruppo fratelli
vs gruppo controllo, si è quindi proceduto all’esame degli effetti univariati degli stessi
confronti pianificati.
Per le analisi degli effetti multivariati, univariati e per i confronti pianificati, il livello di
significatività stabilito è p<0.05.
83
5
RISULTATI
5.1
DESCRIZIONE DEL CAMP IONE
Il campione consta di 190 soggetti, di cui 94 di sesso maschile (49,5%) e 96 di sesso
femminile (50,5%). Il campione è composto da:
•
65 pazienti schizofrenici (35 maschi, 30 femmine);
•
60 loro familiari di primo grado non affetti da psicosi distinti in 30 genitori (15 maschi, 15
femmine) e 30 fratelli e sorelle (17 maschi, 13 femmine);
•
65 controlli sani (27 maschi, 38 femmine).
Le caratteristiche socio-demografiche del campione sono di seguito riportate.
5.2
ANOVA ETÀ E SCOLARIZZAZIONE
L’ANOVA con i quattro livelli del gruppo per la variabile età è risultata significativa (F(3,
166)=38,43;
p<0.001): nei confronti multipli post hoc solo i genitori differiscono con gli altri
gruppi (Tabella 5.1 e Grafico 5.1).
Età
N
Media Deviazione
std.
Errore
Intervallo di confidenza 95% per Minimo Massimo
std.
la media
Limite
Limite
inferiore
superiore
Pazienti
65
35,13
9,673
1,219
32,69
37,56
18
54
Genitori
30
61,35
9,013
2,186
56,72
65,99
46
78
Fratelli
30
34,96
9,935
1,878
31,11
38,82
18
56
Controlli
65
33,21
10,336
1,313
30,58
35,83
18
59
Totale
190 37,02
12,778
,980
35,09
38,96
18
78
Tabella 5.1 Statistica descrittiva della variabile età
84
Grafico 5.1 Media delle età dei 4 gruppi del campione
L’ANOVA con i quattro livelli del gruppo e la variabile anni di scolarizzazione non è
risultata significativa (F(3, 166)=1,18; p=0.310): i quattro gruppi sono simili per grado di
istruzione (Tabella 5.2 e Grafico 5.2).
Scolarità
Intervallo di confidenza
N
Media
Deviazione
Errore
95% per la media
std.
std.
Limite
Limite
inferiore
superiore
Minimo
Massimo
Pazienti
65
13,78
2,780
,393
12,99
14,57
8
20
Genitori
30
14,33
2,309
1,333
8,60
20,07
13
17
Fratelli
30
14,35
2,576
,505
13,31
15,39
10
23
Controlli
65
15,37
3,207
,473
14,42
16,32
8
23
Totale
190
14,50
2,950
,264
13,97
15,02
8
23
Tabella 5.2 Statistica descrittiva della variabile scolarità
85
Grafico 5.2 Media delle scolarità dei 4 gruppi del campione
5.3
5.3.1
PROFILI DI PERSONALI TÀ: I PUNTEGGI PD
MANOVA GRUPPI PER LE SCALE PUNTI PD T DEL TEST SWAP-200
Prima dell’applicazione dei test multivariati sono state valutate le assunzioni di normalità
delle distribuzioni delle variabili indipendenti considerate nelle analisi: gli indici di
asimmetria (skewness) e curtosi (Kurtosis) risultano compresi tra 1 e -1 quindi, come
condiviso da molti autorevoli ricercatori, i valori di questo range indicano che la non
normalità non è fonte di gravi distorsioni (Muthen & Kaplan, 1992). Il test di Levene di
uguaglianza delle varianze dell’errore è risultato significativo per le variabili dipendenti
(Tabella 5.3).
86
F
df1
df2
Sig.
PD_T_Para
3,200
3
186
,025
PD_T_Sch
2,500
3
186
,061
PD_T_Szt
5,823
3
186
,001
PD_T_As
2,857
3
186
,038
PD_T_Bor
3,701
3
186
,013
PD_T_Ist
1,060
3
186
,367
PD_T_Nar
4,629
3
186
,004
PD_T_Evi
,666
3
186
,574
PD_T_Dip
1,329
3
186
,266
PD_T_Oss
,359
3
186
,782
PD_T_AF
5,652
3
186
,001
Tabella 5.3 Test di Levene di uguaglianza delle varianze dell'errore. Verifica l'ipotesi nulla per la quale la
varianza dell'errore della variabile dipendente è uguale tra i gruppi
La mancanza dell’assunzione di omogeneità della varianza, secondo importanti studiosi di
metodologia della ricerca (Kerlinger & Lee, 1973; Lindquist, 1953), che citano copiosa
letteratura al riguardo, è stata sopravvalutata e non inficia i risultati se la numerosità dei
gruppi posti a confronto è simile (Hays, 1973). Comunque, la disomogeneità tra varianze
indurrebbe a "gonfiare" la varianza intragruppo e «conseguentemente, un test F potrebbe
non essere significativo quando in realtà ci sono differenze significative fra le medie»
(Kerlinger & Lee, 1973) e quindi terremo presente questa possibile distorsione in fase
interpretativa.
Per la verifica dell’ipotesi di differenza tra i gruppi considerati nelle scale PD della SWAP200, effettuando l’analisi della varianza multivariata, risulta significativo l’effetto Gruppi
(Wilk’s Lambda(11,176)<0.001; p<0.001): da questo risultato si deduce che almeno due gruppi
sono differenti nei punteggi per i Disturbi della Personalità dei costrutti PD del test
psicometrico utilizzato.
Procedendo nell’analisi dei test univariati per gli effetti fra i soggetti, come si può osservare
dalla Tabella 5.4, risultano significative con p< 0.001, 6 scale su 11; la differenza maggiore,
87
considerando l’indice Eta quadro parziale, emerge per le scale Szt (0.726), relativa al
Disturbo Schizotipico e Sch (0.614), relativa al Disturbo Schizoide.
Variabile dipendente Somma quadrati Tipo III df Media quadrati F
Sig.
Eta quadro
parziale
PD_T_Para
6744,068
3
2248,023
43,117 ,000
,410
PD_T_Sch
14488,206
3
4829,402
98,794 ,000
,614
PD_T_Szt
23613,673
3
7871,224
164,220 ,000
,726
PD_T_As
273,581
3
91,194
PD_T_Bor
3537,200
3
1179,067
PD_T_Ist
237,465
3
PD_T_Nar
532,139
PD_T_Evi
2,938
,035
,045
32,384 ,000
,343
79,155
1,609
,189
,025
3
177,380
3,463
,017
,053
6017,182
3
2005,727
44,136 ,000
,416
PD_T_Dip
937,003
3
312,334
5,490
,001
,081
PD_T_Oss
225,464
3
75,155
1,592
,193
,025
Tabella 5.4 Test degli effetti tra i soggetti
5.3.2
CONFRONTI PIANIFICATI
Le statistiche descrittive del campione per i punteggi PD T sono riportate in Tabella 5.5. I
risultati dei confronti pianificati multivariati risultano significativi: pazienti vs genitori
Wilk’s Lambda(11,176)=0.424; p<0.001; pazienti vs fratelli Wilk’s Lambda(11,176)=0.424;
p<0.001; pazienti vs controlli Wilk’s Lambda(11,176)=0.239; p<0.001; genitori vs fratelli
Wilk’s Lambda(11,176)=0.793; p<0.001; genitori vs controlli Wilk’s Lambda(11,176)=0.560;
p<0.001e fratelli vs controlli Wilk’s Lambda(11,176)=0.855; p=0.003 (le tabelle riassuntive dei
confronti pianificati per i punteggi PD T sono in Appendice).
88
Gruppo
PD_T_Para
PD_T_Sch
PD_T_Szt
PD_T_As
PD_T_Bor
PD_T_Ist
PD_T_Nar
Media
Deviazione standard
Variabile
N
Pazienti
53,033846
7,2766497
65
Genitori
47,904333
9,0507960
30
Fratelli
42,743000
7,4919235
30
Controlli
39,086462
6,0018839
65
Totale
45,827579
9,3269877
190
Pazienti
58,398615
7,2016144
65
Genitori
45,795000
7,2619945
30
Fratelli
43,243000
8,7771899
30
Controlli
37,737692
5,6036154
65
Totale
46,947368
11,1698242
190
Pazienti
62,530000
7,3496762
65
Genitori
46,460000
7,1011451
30
Fratelli
42,976667
9,2078970
30
Controlli
36,190769
4,9003980
65
Totale
47,894474
13,1190791
190
Pazienti
47,103538
5,6303393
65
Genitori
47,375667
7,2173506
30
Fratelli
45,209667
4,8258860
30
Controlli
44,647385
4,9359388
65
Totale
46,007211
5,6567099
190
Pazienti
46,908308
6,1895975
65
Genitori
39,406667
5,7785957
30
Fratelli
37,481000
7,8165780
30
Controlli
37,447077
4,9685699
65
Totale
40,998579
7,3855645
190
Pazienti
47,634154
6,8347010
65
Genitori
48,089333
8,0493696
30
Fratelli
46,520000
7,6285363
30
Controlli
45,328923
6,3640895
65
Totale
46,741474
7,0470193
190
Pazienti
46,393692
6,8644878
65
Genitori
50,762667
10,0803681
30
Fratelli
47,039000
6,2869248
30
Controlli
45,866769
6,1486040
65
Totale
47,005158
7,2958908
190
Tabella 5.5 Statistiche descrittive del campione per i punti PD T
89
Gruppo
PD_T_Evi
PD_T_Dip
PD_T_Oss
PD_T_AF
Deviazione standard
Media
Variabile
N
Pazienti
52,728462
6,3334682
65
Genitori
42,331667
7,6154784
30
Fratelli
41,795333
6,8465459
30
Controlli
40,018308
6,6663853
65
Totale
45,012368
8,7498624
190
Pazienti
49,2393846
6,84316833
65
Genitori
45,9500000
8,79207637
30
Fratelli
45,0223333
7,80284815
30
Controlli
44,0715385
7,47584804
65
Totale
46,2862105
7,80661572
190
Pazienti
47,254615
6,5796754
65
Genitori
49,565000
7,4904568
30
Fratelli
47,541000
7,1333671
30
Controlli
46,263692
6,7368051
65
Totale
47,325632
6,9020107
190
Pazienti
46,918923
7,0425728
65
Genitori
56,992000
7,0596720
30
Fratelli
63,922000
8,2675954
30
Controlli
69,146615
5,0789594
65
Totale
58,798316
11,5634174
190
Tabella 5.5 (continua) Statistiche descrittive del campione per i punti PD T
a) Pazienti vs genitori
Approfondendo l’analisi dei risultati dei confronti pianificati univariati per le scale PD T del
test SWAP-200 per i gruppi pazienti vs genitori, risultano statisticamente significative le
differenze delle medie per le scale relative ai Disturbi di Personalità Paranoide (F(1,
186)=10,36
p< 0.002), Schizoide (F(1,
p<0.001), Borderline (F(1,
186)=66,70;
186)=,31,73;
p<0.001), Schizotipico (F(1,
p<0.001), Evitante (F(1,
186)=48,82;
186)=110,59;
p<0.001) con
medie maggiori nel gruppo dei pazienti; risulta significativa la differenza per il Disturbo di
Personalità Narcisistico (F(1, 186)=7,65; p=0.006) e la scala relativa all’Alto Funzionamento
(F(1, 186)=46,94; p<0.001) con media maggiore nei genitori.
90
b) Pazienti vs fratelli
In questo confronto risultano statisticamente significative le differenze delle medie per le
scale relative ai Disturbi di Personalità Paranoide (F(1, 186)=41,69; p<0.001), Schizoide (F(1,
186)=96,44;
p<0.001), Schizotipico (F(1,
186)=163,70;
p<0.001), Borderline (F(1,
186)=50,10;
p<0.001), Evitante (F(1, 186)=53,99; p<0.001), Dipendente (F(1, 186)=6,42; p=0.012) con medie
maggiori nel gruppo dei pazienti, e la scala per l’Alto Funzionamento (F(1, 186)=133,75;
p<0.001) con medie maggiori nel gruppo dei fratelli.
c) Pazienti vs controlli
Le differenze delle medie nelle scale PD T
per i Disturbi di Personalità risultate
statisticamente significative sono quelle relative ai Disturbi Paranoide (F(1,186)=121,26;
p<0.001), Schizoide (F(1,186)=283,80; p<0.001), Schizotipico (F(1,186)=470,41; p<0.001),
Antisociale (F(1,186)=6,32; p=0.013), Borderline (F(1,186)=79,90; p<0.001), Evitante
(F(1,186)=115,53; p<0.001), Dipendente (F(1,186)=15,26; p<0.001) con medie superiori nel
gruppo dei pazienti, e la scala relativa all’Alto Funzionamento (F(1,186)=361,90; p<0.001)
con medie superiori nel gruppo dei controlli.
d) Genitori vs fratelli
Risultano statisticamente significative le medie per tre scale PD T, due relative ai Disturbi
di Personalità, Paranoide (F(1,186)=7,66; p=0.006) e Narcisistico (F(1,186)=4,06; p=0.045) con
medie maggiori nel gruppo dei genitori, e una relativa all’Alto Funzionamento
(F(1,186)=16,24; p<0.001) con media maggiore nel gruppo dei fratelli.
e) Genitori vs controlli
Risultano statisticamente significative le medie per le scale PD T relative ai Disturbi di
Personalità Paranoide (F(1,186)=30,61; p<0.001), Schizoide (F(1,186)=27,26; p<0.001),
Schizotipico (F(1,186)=45,16; p<0.001), Antisociale (F(1,186)=4,92; p=0.028), Narcisistico
(F(1,186)=9,60; p=0.002), Ossessivo Compulsivo (F(1,186)=4,74; p=0.031) con medie più alte
nel gruppo dei genitori e la scala relativa all’Alto Funzionamento (F(1,186)=68,34; p<0.001),
con media più alta nel gruppo dei controlli.
91
f) Fratelli vs controlli
Risultano statisticamente significative le medie per le scale PD T relative ai Disturbi di
Personalità del Cluster A, Paranoide (F(1,186)=5,26; p=0.023), Schizoide (F(1,186)=12,73;
p<0.001), Schizotipico (F(1,186)=19,72; p<0.001) con medie superiori nel gruppo dei fratelli
e la scala relativa all’Alto Funzionamento (F(1,186)=12,63; p<0.001), con media superiore nel
gruppo di controllo.
Nei Grafici 5.3, 5.4, 5.5 sono riportati i confronti dei gruppi per i punteggi PD T suddivisi per
Cluster di Disturbi di Personalità.
Grafico 5.3 Confronti dei gruppi per i PD T del Cluster A
92
Grafico 5.4 Confronti dei gruppi per i PD T del Cluster B
Grafico 5.5 Confronti dei gruppi per i PD T del Cluster C e dell’Alto Funzionamento
93
5.4
PROFILI DI PERSONALI TÀ: I PUNTEGGI Q
5.4.1
MANOVA GRUPPI PER LE SCALE PUNTI Q DEL TE ST SWAP-200
Anche per la MANOVA delle scale di punti Q, prima dell’applicazione sono state valutate le
assunzioni di normalità delle distribuzioni delle variabili indipendenti considerate nelle
analisi: gli indici di asimmetria (skewness) e curtosi (Kurtosis) risultano compresi tra 1 e -1.
Il test di Levene di uguaglianza delle varianze dell’errore è risultato significativo per le
variabili dipendenti evidenziate in Tabella 5.6 (cfr. quanto già detto per i punti PD per
l’interpretazione).
F
df1
df2
Sig.
Q_T_Di
1,255
3
186
,291
Q_T_AS
2,534
3
186
,058
Q_T_Sc
6,754
3
186
,000
Q_T_Pa
2,278
3
186
,081
Q_T_Os
3,390
3
186
,019
Q_T_Is
,795
3
186
,498
Q_T_Na
3,431
3
186
,018
Q_T_Ev
1,482
3
186
,221
Q_T_DAF
5,207
3
186
,002
Q_T_DE
1,248
3
186
,294
Q_T_Dip
,819
3
186
,485
Q_T_Ost
,531
3
186
,661
Tabella 5.6 Test di Levene di uguaglianza delle varianze dell'errore. Verifica l'ipotesi nulla per la quale la
varianza dell'errore della variabile dipendente è uguale tra i gruppi
La verifica dell’ipotesi della differenza tra gruppi nelle scale Q del test SWAP-200 per i
punteggi ha dato un risultato significativo (Wilk’s Lambda(12,175) <0.001; p<0.001): almeno
due gruppi considerati nel profilo delle scale relative alle scale Q del test SWAP-200 sono
differenti. Considerando i risultati dei test univariati per gli effetti fra soggetti è emerso che
94
le differenze risultano significative per tutte le scale considerate tranne per QT Na, relativa
al Narcisismo e QT Ost, relativa al disturbo Disforico Ostile Esternalizzato.
5.4.2
CONFRONTI PIANIFICATI
Le statistiche descrittive del campione per i punteggi Q T sono riportate in Tabella 5.7. I
risultati dei confronti pianificati multivariati risultano significativi: pazienti vs genitori
Lambda(12,175)=0.414; p<0.001; pazienti vs fratelli Lambda(12,175)=0.413; p<0.001; pazienti
vs controlli Lambda(12,175)=0.227; p<0.001; genitori vs fratelli Lambda(12,175)=0.821;
p<0.001; genitori vs controlli Lambda(12,175)=0.587; p<0.001; fratelli vs controlli
Lambda(12,175)=0.813; p<0.001 (le tabelle riassuntive dei confronti pianificati per i punteggi
Q sono in Appendice).
95
Q_T_Di
Q_T_AS
Q_T_Sc
Q_T_Pa
Q_T_Os
Q_T_Is
Q_T_Na
Gruppo
Media
Deviazione standard Variabile
N
Pazienti
48,450615
6,7953766
65
Genitori
42,417667
8,4642509
30
Fratelli
42,418000
6,9039930
30
Controlli
43,860000
6,5308102
65
Totale
44,975053
7,4191703
190
Pazienti
47,149538
5,4624873
65
Genitori
46,061000
6,9150881
30
Fratelli
43,602000
4,9625691
30
Controlli
42,800308
4,7486426
65
Totale
44,929632
5,7090316
190
Pazienti
60,900769
7,9579012
65
Genitori
47,836333
6,7922250
30
Fratelli
44,489667
9,4984766
30
Controlli
37,768000
5,1087441
65
Totale
48,332895
12,0953275
190
Pazienti
50,296923
8,0950353
65
Genitori
48,298000
7,7363100
30
Fratelli
44,366000
6,4573148
30
Controlli
43,715231
6,1708577
65
Totale
46,793211
7,7097738
190
Pazienti
45,296154
7,2135791
65
Genitori
56,553000
6,8983857
30
Fratelli
60,789000
8,7805307
30
Controlli
63,475077
5,7979989
65
Totale
55,738895
10,5060040
190
Pazienti
47,245538
7,8888737
65
Genitori
49,922000
7,2054584
30
Fratelli
51,675000
7,5538712
30
Controlli
52,385538
6,1395674
65
Totale
50,125947
7,4536442
190
Pazienti
48,634308
9,5906642
65
Genitori
47,715333
12,1808130
30
Fratelli
47,754333
8,8341710
30
Controlli
46,464769
7,2353082
65
Totale
47,608053
9,1886716
190
Tabella 5.7 Statistiche descrittive dei punti QT
96
Q_T_Ev
Q_T_DAF
Q_T_DE
Q_T_Dip
Q_T_Ost
Gruppo
Media
Deviazione standard Variabile
N
Pazienti
55,325846
6,5837790
65
Genitori
45,765000
7,3703608
30
Fratelli
45,478000
6,8550361
30
Controlli
42,603385
5,7852364
65
Totale
47,908895
8,4749259
190
Pazienti
44,620462
7,4565494
65
Genitori
51,271333
7,5226150
30
Fratelli
57,068667
8,1856960
30
Controlli
63,560462
4,9887400
65
Totale
54,115579
10,5153926
190
Pazienti
50,585231
6,4036996
65
Genitori
39,121333
6,1345993
30
Fratelli
35,978667
7,6343113
30
Controlli
36,701692
6,2292239
65
Totale
41,719211
9,1508072
190
Pazienti
46,842769
7,7124247
65
Genitori
43,674667
6,5614899
30
Fratelli
44,641000
8,3005311
30
Controlli
43,522462
6,6876771
65
Totale
44,859000
7,3934185
190
Pazienti
47,035385
7,1620046
65
Genitori
47,311333
7,9948275
30
Fratelli
42,409333
6,3607601
30
Controlli
41,144154
7,0319449
65
Totale
44,333105
7,6245314
190
Tabella 5.7 (continua) Statistiche descrittive dei punti QT
a) Pazienti vs genitori
Nell’analisi dei risultati univariati del primo confronto pianificato si rilevano differenze
significative per le scale QT Di (F(1, 186)=15,19; p<0.001), QT Sc (F(1, 186)=67,33; p<0.001), QT
Ev (F(1, 186)=44,43; p<0.001), QT DE (F(1, 186)=63,60; p<0.001) con medie maggiori nel gruppo
dei pazienti; si rilevano inoltre differenze significative anche per le scale QT Os (F(1,
186)=53,18;
p<0.001), QT DAF (F(1, 186)=63,60; p<0.001) con medie maggiori nel gruppo dei
genitori.
97
b) Pazienti vs fratelli
Le scale QT per i Disturbi di Personalità risultate statisticamente significative sono QT Di
(F(1, 186)=15,19; p<0.001), QT As (F(1, 186)=8,81; p=0.003), QT Sc (F(1, 186)=116,25; p<0.001), QT
Pa (F(1, 186)=14,02; p<0.001), QT Ev (F(1, 186)=47,14; p<0.001), QT DE (F(1, 186)=103,24; p<0.001)
e QT Ost (F(1, 186)=8,62; p<0.001) con medie maggiori nel gruppo dei pazienti; le scale QT
Os (F(1,
186)=100,73;
p<0.001), QT DAF (F(1,
186)=67,72;
p<0.001) e QT Is (F(1,
186)=7,84;
p=0.006) risultano statisticamente significative con medie maggiori nel gruppo dei fratelli.
c) Pazienti vs controlli
Risultano statisticamente significative le medie per le scale QT Di (F(1, 186)=13,93; p<0.001),
QT As (F(1, 186)=20,97; p<0.001), QT Sc (F(1, 186)=334,26; p<0.001), QT Pa (F(1, 186)=27,35;
p<0.001), QT Ev (F(1, 186)=124,58; p<0.001), QT DE (F(1, 186)=147,69; p<0.001), QT Dip (F(1,
186)=6,72;
p=0.010), QT Ost (F(1, 186)=22,14; p<0.001) con medie maggiori nei pazienti; le
scale QT Os (F(1, 186)=219,59; p<0.001), QT DAF (F(1, 186)=248,24; p<0.001) e QT Is (F(1,
186)=16,71;
p<0.001) invece risultano statisticamente significative con medie maggiori nei
controlli.
d) Genitori vs fratelli
In questo confronto le medie delle scale QT per i Disturbi di Personalità risultate
statisticamente significative sono QT Pa (F(1,
186)=4,50;
p=0.035), QT Ost (F(1,
186)=7,07;
p=0.008) con medie maggiori nel gruppo dei pazienti; anche le scale QT Os (F(1, 186)=5,50;
p=0.020) e QT DAF (F(1, 186)=10,73; p=0.001) sono risultate statisticamente significative con
medie maggiori nei fratelli.
e) Genitori vs controlli
Risultano statisticamente significative le medie per le scale QT As (F(1, 186)=7,44; p=0.007),
QT Sc (F(1, 186)=39,99; p<0.001), QT Pa (F(1, 186)=8,37; p=0.004), QT Ev (F(1, 186)=4,86; p=0.029),
QT Ost (F(1, 186)=15,33; p<0.001) che appaiono maggiori nel gruppo dei genitori; risultano
altresì statisticamente significative anche le medie delle scale QT Os (F(1,
186)=20,11;
p<0.001) e QT DAF (F(1, 186)=66,00; p<0.001) che invece appaiono maggiori nel gruppo dei
controlli.
98
f) Fratelli vs controlli
In questo confronto risultano statisticamente significative le differenze delle medie per le
scale QT Sc (F(1, 186)=17,82; p<0.001), QT Ev (F(1, 186)=4,02; p=0.047) con medie maggiori nel
gruppo dei fratelli; QT DAF (F(1, 186)=18,42; p<0.001) con media maggiore nel gruppo di
controllo.
Nel Grafico 5.6 sono riportati i confronti dei gruppi per i punteggi PD T suddivisi per Cluster
di Disturbi di Personalità.
Grafico 5.6 Confronti dei punteggi QT dei quattro gruppi
99
6
DISCUSSIONE
In questo studio è stata utilizzata la Shedler-Westen Assessment Procedure (SWAP-200), in
alternativa ai tradizionali questionari self-report, per analizzare i profili di personalità in una
prospettiva sia categoriale sia dimensionale, in pazienti con diagnosi di Schizofrenia e nei
loro familiari di primo grado non affetti da psicosi.
Il lavoro attuale si configura come prosecuzione ed ampliamento di una nostra precedente
ricerca che aveva come scopo principale l’assessment della schizotipia tramite
eterovalutazione, e nella quale avevamo già confermato la presenza di correlazioni positive
e statisticamente significative tra SWAP-200 ed un altro strumento validatore esterno
autosomministrato (Torti et al., 2013).
I risultati della presente indagine hanno sia confermato alcuni dati presenti in letteratura
sia trovato reperti nuovi.
Per quanto riguarda la valutazione personologica categoriale, ottenuta tramite i punteggi
alle scale PD basati sulla classificazione DSM-IV dei Disturbi di Personalità, si sono
riscontrati i seguenti elementi:
•
Nelle scale per i Disturbi di Personalità del Cluster A, i familiari dei pazienti con
schizofrenia mostrano differenze significative a confronto con i controlli sani,
ottenendo punteggi maggiori per gli item che soddisfano i criteri per i Disturbi
Paranoide, Schizoide e Schizotipico.
Queste scale, considerate nei fratelli e nei genitori, hanno mostrato punteggi
intermedi rispetto agli altri due gruppi, ovvero differenze statisticamente
significative non solo con il gruppo dei pazienti, come atteso, ma anche con quello
dei controlli sani. Inoltre, i genitori hanno riportato punteggi significativamente
maggiori anche rispetto ai fratelli. Questo pattern di distribuzione dei punteggi è
confermato per gli item che soddisfano tutti e tre i Disturbi del Cluster A (Paranoide,
Schizoide, Schizotipico).
La significativa differenza tra i familiari ed i controlli rispetto alle scale PD T
Paranoide, Schizoide e Schizotipico ribadisce quanto già riportato in letteratura a
100
proposito della maggiore presenza di tratti schizotipici nei familiari di primo grado
dei pazienti schizofrenici rispetto alla popolazione generale (Nelson et al., 2013). I
dati documentano dunque l’aggregazione familiare di schizotipia e schizofrenia,
riconfermando la loro correlazione come manifestazioni fenotipiche diverse della
stessa vulnerabilità genetica, e confortano la stretta connessione di tale
vulnerabilità anche con gli altri due Disturbi inclusi nello spettro schizofrenico,
Paranoide e Schizoide.
•
Nelle scale per i Disturbi di Personalità del Cluster B, i pazienti schizofrenici mostrano
una differenza statisticamente significativa con gli altri gruppi allo studio ottenendo
punteggi maggiori per gli item che soddisfano i criteri del Disturbo Borderline di
Personalità.
Il dato della significativa presenza di tratti borderline nei pazienti, rispetto agli altri
gruppi, viene ricollegato all’ipotesi di una minore capacità da parte dei pazienti
schizofrenici di gestire le emozioni negative, controllare gli impulsi e di avere
un’immagine stabile di sé. Inoltre tale dato ripropone le questioni, attualmente
presenti in letteratura, circa la vera definizione del Disturbo Borderline, della sua
natura particolarmente sfuggente ad una stabile definizione categoriale e dello
sforzo ancora attuale di consolidare dei confini diagnostici netti tra i tradizionali
concetti di nevrosi e psicosi. La nostra osservazione si allinea alle evidenze della
letteratura sulla elevata comorbilità tra tratti personologici di tipo borderline e
psicosi schizofreniche, evidenze che peraltro attribuiscono ai tratti borderline un
riconosciuto e rilevante ruolo patoplastico nella sintomatologia psicotica
conclamata (Volavka, 2014; Wickett et al., 2006) se non addirittura un possibile
valore predittivo di transizione psicotica (Ryan et al., 2015).
•
Nelle stesse scale per i Disturbi di Personalità del Cluster B, inoltre, i genitori dei
pazienti schizofrenici mostrano una differenza significativa rispetto agli altri gruppi
allo studio presentando punteggi più alti per il Disturbo Narcisistico di Personalità.
Tale risultato, interessante per future ricerche, appare originale nell’attuale
letteratura e quindi ancora preliminare. Negli anni ’90, studi derivanti dagli
interventi psicoeducativi sulle famiglie degli schizofrenici avevano condotto al
rilievo di pattern di personalità narcisistici nelle madri dei pazienti (che venivano
101
distinte nelle tre tipologie “narcisiste”, “simbiotiche” e “dipendenti”) (Yoshimura,
1991). Sorprendentemente, tuttavia, tale ambito non ha ricevuto molti ulteriori
approfondimenti da parte della ricerca. Solo nel 2011, Moreno e coll. (Moreno
Samaniego et al., 2011) hanno riscontrato elevati punteggi alla dimensione
personologica del narcisismo nei familiari di pazienti schizofrenici, questa volta però
nei fratelli, evidenziandone anche la stretta correlazione con la schizotipia.
•
Nelle scale per i Disturbi di Personalità del Cluster C, i pazienti schizofrenici mostrano
una differenza statisticamente significativa con gli altri gruppi allo studio ottenendo
punteggi significativamente più alti agli item che soddisfano i criteri per il Disturbo
Evitante di Personalità.
Gli elevati livelli di tratti evitanti nei pazienti attestano la condivisione dell’asocial
pattern tra schizoide ed evitante e ripropongono l’artificiosità della scissione dei due
Disturbi di Personalità operata da Millon. In questo senso, questa osservazione
corrobora l’ipotesi che la personalità evitante e quella schizoide siano in realtà
un’unica entità clinica caratterizzata da un continuum di diversi gradi di gravità
sintomatologica (Triebwasser et al., 2012). I risultati ottenuti dallo studio del nostro
campione si uniformano alle recenti indicazioni della ricerca che ha spesso suggerito
l’inclusione del Disturbo Evitante tra le personalità correlate allo spettro
schizofrenico, in base al rilievo sia dei suoi elevati tassi in campioni di soggetti con
psicosi schizofrenica sia della sua frequente correlazione con i tre Disturbi del
Cluster A in popolazioni a rischio di transizione psicotica (Bolinskey & Gottesman,
2010; Bolinskey et al., 2015; Keshavan et al., 2005; Rodriguez Solano & Gonzalez De
Chavez, 2000). L’introduzione del Disturbo Evitante tra i markers di vulnerabilità alla
schizofrenia ha trovato inoltre un supporto ancora maggiore dall’evidenza che
l’associazione tra personalità evitante e vulnerabilità alla schizofrenia sussiste
anche dopo avere eliminato l’influenza statistica dei Disturbi Paranoide e
Schizotipico (Fogelson et al., 2007).
•
Nella scala per l’Alto Funzionamento, la distribuzione dei punteggi mostra un
pattern di differenze statisticamente significative tra tutti e quattro i gruppi allo
studio, con i punteggi dei familiari intermedi tra quelli dei controlli sani (più elevati)
102
e quelli dei pazienti (più bassi). Tra i familiari, i fratelli presentano in particolare una
differenza significativa di punteggi maggiori rispetto ai genitori.
Un ulteriore riscontro significativo nei profili PD T è quello di un alto funzionamento
nei controlli, compatibile con l’assenza di patologia in loro osservata,
significativamente maggiore rispetto ai pazienti ma, anche se in modo minore,
anche rispetto ai fratelli ed ai genitori dei pazienti. L’alto funzionamento dei
familiari, presente ma comunque deficitario rispetto a quello della popolazione
generale, conferma la presenza, ipotizzata chiaramente nella teorizzazione di
Meehl, di un vasto sottogruppo di individui con marcati tratti schizotipici che non
richiedono cure per i propri disagi in quanto clinicamente silenti e sufficientemente
funzionanti.
Partendo da tali dati si può ipotizzare che la prevalenza dei tratti schizotipici nella
popolazione generale possa essere sottovalutata dalle attuali metodiche di
rilevazione, principalmente fondate sull’analisi dei dati provenienti dai campioni di
pazienti afferenti a servizi sanitari psichiatrici per la presenza di sintomi e disagi
clinicamente evidenti. Il rilievo di una minore compromissione funzionale nei fratelli
rispetto ai genitori è un dato difficilmente interpretabile, se non alla luce di un
reperto occasionale o di fattori anagrafici.
Per quanto riguarda la valutazione dimensionale dei profili di personalità ottenuta tramite
i fattori-Q, basati su una alternativa classificazione empirica degli stili di personalità
derivata da studi condotti tramite l'applicazione della stessa SWAP-200 a pazienti reali,
emergono altri dati di rilevanza clinica.
•
La significativa differenza tra i pazienti e gli altri gruppi, e tra familiari e controlli
sani, per il fattore-Q schizoide (il cui costrutto include anche i pazienti diagnosticati
come schizotipici), conferma quanto già riportato nell’analisi dei profili PD T
riguardo la presenza di tratti schizotipici in familiari di primo grado di individui
schizofrenici.
•
I dati ottenuti dall’analisi dei punteggi PD T sono ribaditi anche per quanto riguarda
la differenza significativa tra i pazienti e gli altri gruppi nei punteggi del fattore-Q
103
evitante (e in misura minore del fattore-Q disforico da cui l’evitante è estrapolato).
Il fattore-Q evitante corrisponde alla personalità evitante secondo il DSM-IV. Data
la prospettiva dimensionale con cui sono stati strutturati i fattori-Q, con una
notevole attenzione rivolta non solo ai comportamenti osservabili, ma anche alle
dinamiche che ad essi sono sottese per la formulazione dei criteri di ogni stile di
personalità, questo dato conferma l’ipotesi di una comune dinamica sottostante il
ritiro sociale dello schizoide e quello dell’evitante.
•
La significativa differenza tra i pazienti e gli altri gruppi rispetto al fattore-Q
ossessivo è facilmente spiegabile con quanto già detto nella descrizione dei fattoriQ. Il fattore-Q ossessivo risulta infatti molto meno patologico, nelle sue
caratteristiche di base, rispetto al Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità
descritto nel DSM. Difatti la tendenza all’intellettualizzazione, l’attenzione per le
regole, la coscienziosità e la produttività descritte nel fattore-Q di personalità
ossessivo
risultano
caratteristiche
funzionali
all’interno
della
società,
condizionando in senso migliorativo l’adattamento e la produttività degli individui
che lo presentano.
•
Per quanto riguarda il fattore-Q disforico (depressivo-nevrotico) ad alto
funzionamento, si ricorda che esso è un costrutto caratterizzato da item che
indicano risorse psicologiche e stabilità, nonostante la concomitante presenza
anche di disforia cronica, ed appare quindi contraddistinto dalla possibilità, come lo
stile ossessivo, di un funzionamento psichico discreto. Ciò spiega il rilievo di un
pattern di distribuzione dei punteggi sovrapponibile a quello della scala PD per l’Alto
Funzionamento (nonché a quello appunto del fattore-Q ossessivo). In questo caso
la differenza significativa riscontrata appare in particolare tra i soggetti sani e gli
altri gruppi.
•
Le differenze statisticamente significative tra i pazienti e gli altri gruppi per due
sottogruppi del fattore-Q disforico, ovvero i fattori-Q disforico con disregolazione
emotiva e disforico dipendente-masochista ricapitolano quanto già discusso a
proposito della presenza di elevati tratti borderline nei soggetti schizofrenici, dal
momento che i borderline del DSM-IV rientrano in questi due sottofattori disforici.
Più precisamente, la maggioranza dei soggetti con diagnosi DSM di Disturbo
104
Borderline di Personalità corrisponde agli emotivamente disregolati, caratterizzati
dal vivere il proprio discontrollo emotivo-affettivo in modo egodistonico; una
minoranza dei borderline si riporta invece ai dipendenti-masochisti, che cercano di
regolare le proprie emozioni creando rapporti, talora masochistici, di dipendenza
con gli altri.
•
Anche per il fattore-Q paranoide si riconferma, come atteso, la presenza di una
differenza statisticamente significativa tra i pazienti ed il gruppo di controllo. Per
quanto riguarda i familiari, anche secondo una tassonomia diversa da quella delle
scale PD, si osserva comunque la presenza del consueto trend dei genitori a
riportare punteggi intermedi compresi tra quelli dei pazienti e quelli dei soggetti
sani, mostrando verso questi ultimi una differenza significativa. I fratelli invece si
assestano su punteggi più simili a quelli dei controlli. Quest’ultimo dato appare
coerente con il migliore funzionamento riscontrato nei fratelli rispetto ai genitori.
•
Le differenze significative per i fattori-Q antisociale e disforico ostile, entrambi
caratterizzati da notevoli quote di impulsività, rabbia ed aggressività, presentano
una ripartizione simile a quella appena descritta. Mentre pazienti e genitori
presentano punteggi maggiori e molto simili tra loro, i fratelli presentano punteggi
più bassi ad entrambe le scale e non differiscono significativamente dai controlli
sani. Anche questo dato nei fratelli, come il precedente, può spiegare la minore
compromissione del funzionamento psichico globale riscontrata in questo gruppo
rispetto agli altri familiari.
•
A scopo di completezza si segnala nell’ambito dell’analisi dei fattori Q anche la
presenza di una differenza statisticamente significativa dei pazienti che hanno
riportato punteggi minori rispetto agli altri gruppi per il fattore-Q istrionico. Tale
fattore è caratterizzato come per il Disturbo Istrionico di Personalità secondo il DSM
da iperespressività emotiva, teatralità e manipolatività, quindi comprensibilmente
meno rappresentato in pazienti con appiattimento affettivo e altri sintomi afferenti
alla dimensione negativa e deficitaria.
Come già nel nostro precedente lavoro (Torti et al., 2013), che risultava preliminare rispetto
alla presente indagine, viene evidenziata la possibilità di somministrare con efficacia la
105
SWAP-200 a pazienti schizofrenici. Ciò risulta di notevole interesse in quanto in letteratura,
a nostra conoscenza, tale metodica di osservazione non era ancora mai stata utilizzata su
questo peculiare gruppo diagnostico.
Nella valutazione personologica dimensionale, l’utilizzo di strumenti self-report
rappresenta la procedura standard (Huprich & Bornstein, 2007). Tuttavia, i questionari
autosomministrati sono in realtà raccomandati solo come analisi first-step, preliminare alle
interviste cliniche (Widiger & Samuel, 2005). Nonostante per l’assessment della personalità
non esista ancora un gold standard, infatti, il metodo basato su intervista è in generale
considerato più robusto ai fini della ricerca (Schultze-Lutter et al., 2012; Tyrer et al., 2007).
La possibilità di somministrare uno strumento eterovalutato per lo studio della personalità
e dei suoi disturbi appare infatti particolarmente vantaggioso, data la presenza di aspetti
impliciti e non accessibili alla coscienza e la caratteristica tipica della inconsapevolezza di
alcune dinamiche sottostanti tali disturbi. Bisogna infatti ricordare gli effetti di distorsione
dovuti alle difese psicologiche sui dati self-report, riportati in molteplici studi, soprattutto
quando i soggetti rispondono a domande che hanno implicazioni per la propria autostima
(Dozier & Kobak, 1992). E’ prevedibile inoltre immaginare che tali difese siano
particolarmente influenti e decisive nel caso di familiari di pazienti psicotici, dato il timore
verosimilmente presente in molti di questi soggetti di condividere alcuni aspetti di
patologia con il parente affetto. Da tale timore potrebbero scaturire un desiderio o una
necessità inconsapevoli di dimostrare la propria differenza dal familiare schizofrenico,
negando dunque l’esistenza di eventuali caratteristiche in comune o enfatizzando in modo
eccessivo la propria funzionalità ed il proprio benessere psichico.
Il limite principale dello studio è inerente alla selezione del campione. Per quanto riguarda
il reclutamento dei familiari, coloro che hanno accettato di partecipare alla ricerca si
configurano anche come caregivers dei pazienti. Di fatto, proprio in virtù della loro
motivazione a collaborare, potrebbero già essersi “auto-selezionati” a priori come i
familiari presumibilmente caratterizzati da tratti di personalità meno disfunzionali e
disadattativi tra quelli dei nostri pazienti. È abbastanza plausibile che i familiari più
schizotipici o meno funzionanti con molta minore probabilità accetterebbero l’ipotesi di
sottoporsi alla ricerca, proprio per la presenza di quei tratti di diffidenza, ritiro sociale e
106
paura del giudizio altrui che li accomunano con i fratelli malati. E’ pertanto possibile nella
descrizione del campione la sovrastima nei parenti di tratti di personalità tendenzialmente
associati ad un miglior funzionamento e alla presenza meno marcata di sintomi, rispetto
alle reali caratteristiche di tale gruppo qualora fosse stato selezionato in base al caso. Il bias
nell’ottenimento di un vero campione probabilistico appare tuttavia al momento
ineliminabile.
Un ulteriore limite risiede nella relativa esiguità dei gruppi dei familiari. Tale esiguità non è
certamente rinvenibile considerando la composizione del campione dei familiari in toto;
tuttavia aumentare la numerosità dei singoli sottogruppi di genitori e fratelli potrebbe
favorire, dal loro confronto, la conferma dell’attendibilità dei dati ottenuti nonché il rilievo
di nuove evidenze. Si consideri infatti che i familiari di primo grado di pazienti schizofrenici
differiscono tra loro per il rischio di sviluppare la schizofrenia (il rischio relativo è pari al 5%
nei genitori ed al 10% nei fratelli e nei figli) (Kendler et al., 1993) e che tale differenza può
certamente influenzare anche le dimensioni della personalità.
In ultima analisi, si ricorda come già nella fase preliminare dello studio i profili di personalità
ottenuti con la SWAP-200 siano stati confrontati con quelli di un altro strumento validatore
self-report. Le analisi delle correlazioni confermavano la reliability tra i due strumenti e
validavano le osservazioni dell’intervistatore clinico.
Per future ricerche, al fine di confrontare e ulteriormente convalidare i risultati ottenuti
con la SWAP-200, sarebbe tuttavia interessante ricorrere nuovamente e su campioni più
estesi ad altri strumenti valutativi self-report, sia categoriali sia dimensionali (p.e. SCID-II;
16-PF; MCMI-III).
107
7
CONCLUSIONI
Il presente studio offre un approfondimento della comprensione dei profili di personalità e
del funzionamento sia in pazienti schizofrenici sia nei loro familiari di primo grado. La
SWAP-200, il metodo diagnostico prescelto in alternativa ai tradizionali questionari
autosomministrati, ha permesso in queste peculiari categorie di soggetti un’esplorazione
della personalità in cui l’ottica categoriale si integra con la prospettiva dimensionale,
coerentemente alle più recenti direttive della ricerca.
Sulla base dei dati presentati possiamo asserire che la SWAP-200, al pari delle misure selfreport, è in grado di cogliere la maggiore presenza di tratti schizotipici nei familiari di primo
grado di pazienti schizofrenici. I risultati ottenuti appaiono inoltre concordi con i più recenti
dati di letteratura che sostengono anche la presenza di maggiori tratti borderline ed
evitanti nei pazienti schizofrenici rispetto alla popolazione generale.
La SWAP-200 ha inoltre permesso di rilevare la presenza di un pattern caratteristico per il
funzionamento psichico e socio-lavorativo, in particolare evidenziando per i gruppi dei
familiari una compromissione funzionale intermedia, ovvero compresa tra quella dei
pazienti e quella dei controlli sani. Sono state infine riscontrate nuove evidenze,
interessanti per futuri approfondimenti, come la presenza di tratti narcisistici marcati nei
genitori dei pazienti schizofrenici.
La letteratura ha già confermato l’affidabilità e la validità della SWAP-200 come predittore
di indicatori oggettivi di disfunzione della personalità (quali ad esempio tentativi di suicidio
e ricoveri psichiatrici) consentendo la raccolta di informazioni sia sugli aspetti evolutivi e
prognostici sia sulle conseguenze sul funzionamento globale (Loffler-Stastka et al., 2007;
Shedler & Westen, 2007). Alla luce dei risultati ottenuti, proponiamo l’utilizzo della SWAP200 come strumento diagnostico oggettivo per una valutazione complessiva del profilo
personologico non solo del paziente schizofrenico ma anche dell’individuo a rischio di
psicosi, come effettuato in questo studio sui familiari quali portatori di una vulnerabilità
genetica dovuta alla consanguineità.
108
8
8.1
APPENDICE
TABELLE RIASSUNTIVE DEI CONFRONTI PIANIFICATI PER I PUNTI PD T
Confronto Pazienti vs Genitori
Sorgente
Variabile
dipendente
PD_T_Para
PD_T_Sch
PD_T_Szt
PD_T_As
PD_T_Bor
PD_T_Ist
PD_T_Nar
PD_T_Evi
PD_T_Dip
PD_T_Oss
PD_T_AF
Somma
dei
quadrati
540,086
3260,628
5300,816
1,52
1155,111
4,253
391,805
2218,758
222,096
109,567
2082,741
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
F
quadrati
540,086 10,359
3260,628 66,702
5300,816 110,593
1,52
0,049
1155,111 31,726
4,253
0,086
391,805
7,648
2218,758 48,823
222,096
3,904
109,567
2,322
2082,741 46,941
Sig.
0,002
0
0
0,825
0
0,769
0,006
0
0,05
0,129
0
Eta
quadrato
parziale
0,053
0,264
0,373
0
0,146
0
0,039
0,208
0,021
0,012
0,202
Confronto Pazienti vs Fratelli
Sorgente
Variabile
dipendente
PD_T_Para
PD_T_Sch
PD_T_Szt
PD_T_As
PD_T_Bor
PD_T_Ist
PD_T_Nar
PD_T_Evi
PD_T_Dip
PD_T_Oss
PD_T_AF
Somma
dei
quadrati
2173,768
4714,744
7847,885
73,623
1824,258
25,48
8,548
2453,578
365,03
1,683
5934,253
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
F
quadrati
2173,768 41,693
4714,744 96,448
7847,885 163,733
73,623
2,372
1824,258 50,104
25,48
0,518
8,548
0,167
2453,578 53,991
365,03
6,417
1,683
0,036
5934,253 133,746
Sig.
0
0
0
0,125
0
0,473
0,683
0
0,012
0,85
0
Eta
quadrato
parziale
0,183
0,341
0,468
0,013
0,212
0,003
0,001
0,225
0,033
0
0,418
109
Confronto Pazienti vs Controlli
Sorgente
Variabile
dipendente
PD_T_Para
PD_T_Sch
PD_T_Szt
PD_T_As
PD_T_Bor
PD_T_Ist
PD_T_Nar
PD_T_Evi
PD_T_Dip
PD_T_Oss
PD_T_AF
Somma
dei
quadrati
2173,768
4714,744
7847,885
73,623
1824,258
25,48
8,548
2453,578
365,03
1,683
5934,253
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
F
quadrati
2173,768 41,693
4714,744 96,448
7847,885 163,733
73,623
2,372
1824,258 50,104
25,48
0,518
8,548
0,167
2453,578 53,991
365,03
6,417
1,683
0,036
5934,253 133,746
Sig.
0
0
0
0,125
0
0,473
0,683
0
0,012
0,85
0
Eta
quadrato
parziale
0,183
0,341
0,468
0,013
0,212
0,003
0,001
0,225
0,033
0
0,418
Confronto Genitori vs Fratelli
Sorgente
Variabile
dipendente
PD_T_Para
PD_T_Sch
PD_T_Szt
PD_T_As
PD_T_Bor
PD_T_Ist
PD_T_Nar
PD_T_Evi
PD_T_Dip
PD_T_Oss
PD_T_AF
Somma
dei
quadrati
6322,21
13873,4
22547,04
196,062
2909,234
172,708
9,024
5250,31
867,966
31,913
16057,29
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
quadrati
6322,21
13873,4
22547,04
196,062
2909,234
172,708
9,024
5250,31
867,966
31,913
16057,29
F
Sig.
121,261
283,804
470,406
6,316
79,904
3,511
0,176
115,532
15,257
0,676
361,897
0
0
0
0,013
0
0,063
0,675
0
0
0,412
0
Eta
quadrato
parziale
0,395
0,604
0,717
0,033
0,3
0,019
0,001
0,383
0,076
0,004
0,661
110
Confronto Genitori vs Controlli
Sorgente
Variabile
dipendente
PD_T_Para
PD_T_Sch
PD_T_Szt
PD_T_As
PD_T_Bor
PD_T_Ist
PD_T_Nar
PD_T_Evi
PD_T_Dip
PD_T_Oss
PD_T_AF
Somma
dei
quadrati
399,59
97,691
182,004
70,373
55,623
36,942
207,985
4,315
12,908
61,449
720,373
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
quadrati
399,59
97,691
182,004
70,373
55,623
36,942
207,985
4,315
12,908
61,449
720,373
F
Sig.
7,664
1,998
3,797
2,267
1,528
0,751
4,06
0,095
0,227
1,302
16,236
0,006
0,159
0,053
0,134
0,218
0,387
0,045
0,758
0,634
0,255
0
F
Sig.
30,612
27,26
45,162
4,922
2,165
3,18
9,604
2,417
1,273
4,74
68,345
0
0
0
0,028
0,143
0,076
0,002
0,122
0,261
0,031
0
Eta
quadrato
parziale
0,04
0,011
0,02
0,012
0,008
0,004
0,021
0,001
0,001
0,007
0,08
Confronto Fratelli vs Controlli
Sorgente
Variabile
dipendente
PD_T_Para
PD_T_Sch
PD_T_Szt
PD_T_As
PD_T_Bor
PD_T_Ist
PD_T_Nar
PD_T_Evi
PD_T_Dip
PD_T_Oss
PD_T_AF
Somma
dei
quadrati
1596,021
1332,573
2164,646
152,788
78,821
156,408
492,012
109,849
72,43
223,709
3032,449
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
quadrati
1596,021
1332,573
2164,646
152,788
78,821
156,408
492,012
109,849
72,43
223,709
3032,449
Eta
quadrato
parziale
0,141
0,128
0,195
0,026
0,012
0,017
0,049
0,013
0,007
0,025
0,269
111
8.2
TABELLE RIASSUNTIVE DEI CONFRONTI PIANIFICATI PER I PUNTI Q T
Confronto Pazienti vs Genitori
Sorgente
Variabile
dipendente
Q_T_Di
Q_T_AS
Q_T_Sc
Q_T_Pa
Q_T_Os
Q_T_Is
Q_T_Na
Q_T_Ev
Q_T_DAF
Q_T_DE
Q_T_Dip
Q_T_Ost
Somma
dei
quadrati
747,085
24,322
3503,421
82,017
2601,025
147,039
17,335
1876,306
907,963
2697,588
206,02
1,563
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
quadrati
747,085
24,322
3503,421
82,017
2601,025
147,039
17,335
1876,306
907,963
2697,588
206,02
1,563
F
Sig.
15,195
0,829
67,334
1,593
53,178
2,862
0,204
44,434
19,333
63,598
3,865
0,031
0
0,364
0
0,208
0
0,092
0,652
0
0
0
0,051
0,861
Eta
quadrato
parziale
0,076
0,004
0,266
0,008
0,222
0,015
0,001
0,193
0,094
0,255
0,02
0
Confronto Pazienti vs Fratelli
Sorgente
Variabile
dipendente
Q_T_Di
Q_T_AS
Q_T_Sc
Q_T_Pa
Q_T_Os
Q_T_Is
Q_T_Na
Q_T_Ev
Q_T_DAF
Q_T_DE
Q_T_Dip
Q_T_Ost
Somma
dei
quadrati
747,003
258,324
5528,235
722,031
4926,896
402,729
15,895
1990,644
3180,713
4379,325
99,507
439,27
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
F
quadrati
747,003 15,193
258,324
8,81
5528,235 106,25
722,031 14,025
4926,896 100,73
402,729
7,839
15,895
0,187
1990,644 47,141
3180,713 67,725
4379,325 103,246
99,507
1,867
439,27
8,624
Sig.
0
0,003
0
0
0
0,006
0,666
0
0
0
0,174
0,004
Eta
quadrato
parziale
0,076
0,045
0,364
0,07
0,351
0,04
0,001
0,202
0,267
0,357
0,01
0,044
112
Confronto Pazienti vs Controlli
Sorgente
Variabile
dipendente
Q_T_Di
Q_T_AS
Q_T_Sc
Q_T_Pa
Q_T_Os
Q_T_Is
Q_T_Na
Q_T_Ev
Q_T_DAF
Q_T_DE
Q_T_Dip
Q_T_Ost
Somma
dei
quadrati
684,897
614,764
17391,56
1407,857
10740,38
858,637
152,974
5260,483
11658,52
6264,461
358,294
1127,964
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
quadrati
684,897
614,764
17391,56
1407,857
10740,38
858,637
152,974
5260,483
11658,52
6264,461
358,294
1127,964
F
Sig.
13,93
20,966
334,257
27,346
219,586
16,713
1,8
124,576
248,239
147,69
6,721
22,144
0
0
0
0
0
0
0,181
0
0
0
0,01
0
F
Sig.
0
3,093
3,229
4,505
5,503
0,897
0
0,029
10,734
3,493
0,263
7,076
1
0,08
0,074
0,035
0,02
0,345
0,987
0,864
0,001
0,063
0,609
0,008
Eta
quadrato
parziale
0,07
0,101
0,642
0,128
0,541
0,082
0,01
0,401
0,572
0,443
0,035
0,106
Confronto Genitori vs Fratelli
Sorgente
Variabile
dipendente
Q_T_Di
Q_T_AS
Q_T_Sc
Q_T_Pa
Q_T_Os
Q_T_Is
Q_T_Na
Q_T_Ev
Q_T_DAF
Q_T_DE
Q_T_Dip
Q_T_Ost
Somma
dei
quadrati
0
90,7
168,003
231,909
269,155
46,095
0,023
1,236
504,136
148,145
14,007
360,444
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
quadrati
0
90,7
168,003
231,909
269,155
46,095
0,023
1,236
504,136
148,145
14,007
360,444
Eta
quadrato
parziale
0
0,016
0,017
0,024
0,029
0,005
0
0
0,055
0,018
0,001
0,037
113
Confronto Genitori vs Controlli
Sorgente
Variabile
dipendente
Q_T_Di
Q_T_AS
Q_T_Sc
Q_T_Pa
Q_T_Os
Q_T_Is
Q_T_Na
Q_T_Ev
Q_T_DAF
Q_T_DE
Q_T_Dip
Q_T_Ost
Somma
dei
quadrati
42,701
218,238
2080,78
431,089
983,521
124,575
32,101
205,177
3099,939
120,175
0,476
780,7
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
quadrati
42,701
218,238
2080,78
431,089
983,521
124,575
32,101
205,177
3099,939
120,175
0,476
780,7
F
Sig.
0,869
7,443
39,992
8,373
20,108
2,425
0,378
4,859
66,005
2,833
0,009
15,327
0,353
0,007
0
0,004
0
0,121
0,54
0,029
0
0,094
0,925
0
F
Sig.
0,868
0,45
17,824
0,169
3,028
0,202
0,402
4,017
18,419
0,253
0,482
0,645
0,353
0,503
0
0,682
0,084
0,654
0,527
0,047
0
0,616
0,489
0,423
Eta
quadrato
parziale
0,005
0,038
0,177
0,043
0,098
0,013
0,002
0,025
0,262
0,015
0
0,076
Confronto Fratelli vs Controlli
Sorgente
Variabile
dipendente
Q_T_Di
Q_T_AS
Q_T_Sc
Q_T_Pa
Q_T_Os
Q_T_Is
Q_T_Na
Q_T_Ev
Q_T_DAF
Q_T_DE
Q_T_Dip
Q_T_Ost
Somma
dei
quadrati
42,682
13,192
927,395
8,693
148,098
10,363
34,135
169,617
865,049
10,73
25,681
32,856
df
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Media
dei
quadrati
42,682
13,192
927,395
8,693
148,098
10,363
34,135
169,617
865,049
10,73
25,681
32,856
Eta
quadrato
parziale
0,005
0,002
0,087
0,001
0,016
0,001
0,002
0,021
0,09
0,001
0,003
0,003
114
9
ALLEGATO A
SWAP-200 (Shedler-Westen Assessment Procedure-200)
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
Tende a incolparsi o a sentirsi in colpa delle cose
negative che accadono.
Sa usare i suoi talenti, capacità ed energie in
modo efficace e produttivo.
Sfrutta gli altri; cerca di essere il/la numero uno;
dà pochissima importanza ai valori morali.
Si sente esageratamente importante.
Tende a essere emotivamente intrusivo/a; tende
a non rispettare i bisogni di autonomia degli altri,
la loro privacy ecc.
E tormentato/a da pensieri ossessivi ricorrenti
che vive come intrusivi e privi di significato.
Sembra in conflitto circa la propria identità
etnica o razziale (per esempio, sottovaluta e
rifiuta oppure sopravvaluta e si preoccupa per il
suo retaggio culturale).
Tende a partecipare a scontri di potere.
Tende a pensare che gli latri siano invidiosi di
lui/lei.
Sente che una o alcune delle persone per lui/lei
importanti hanno una capacità speciale e quasi
magica di capire i suoi pensieri e i suoi
sentimenti più intimi (per esempio, può
immaginare che l'intesa fra lui/lei e questa
persona sia così perfetta da rendere superflui i
normali sforzi di comunicazione).
Tende ad attaccarsi agli altri in modo intenso o
veloce; sviluppa sentimenti, aspettative ecc. che
non sono giustificati dal contesto o dalla storia
della relazione.
Tende a cadere in spirali emotive senza controllo
che conducono a estrema ansia, tristezza,
rabbia, eccitazione.
Tende a usare i propri problemi medici o
psicologici per non lavorare o per non assumersi
responsabilità
(sia
consciamente
sia
inconsciamente).
Tende a incolpare gli altri per i propri fallimenti
o difetti; tende a credere che i suoi problemi
siano causati da fattori esterni.
Non ha un'immagine stabile di chi sia o di chi
vorrebbe diventare (per esempio, gli
atteggiamenti, i valori, gli obiettivi o i sentimenti
relativi a se stesso/a sembrano instabili e
mutevoli).
Tende a essere arrabbiato/a o ostile (sia
consciamente sia inconsciamente).
Tende a ingraziarsi gli altri o a farsi sottomettere
(per esempio, può acconsentire a cose che non
condivide o fare cose che non vuole perché
spera, in questo modo, di guadagnare il
sostegno o l'approvazione altrui).
Quando si innamora romanticamente o è
sessualmente attratto da una persona, tende a
perdere interesse se questa contraccambia.
Ama le sfide; prova piacere nel realizzare le cose.
20.
21.
22.
23.
24.
25.
26.
27.
28.
29.
30.
31.
32.
33.
34.
35.
36.
Tende a essere disonesto; tende a mentire o a
ingannare le altre persone.
Tende a essere ostile verso le persone dell'altro
sesso, sia consciamente sia inconsciamente (per
esempio, può screditarle o mettersi in
competizione con loro).
Tende a sviluppare sintomi somatici in risposta a
stress o conflitti (per esempio, mal di testa, mal
di schiena, dolori addominali, asma ecc.).
Tende a coinvolgersi in situazioni romantiche o
sessuali "a tre" (per esempio, è più interessato/a
a partner che hanno già una relazione, che sono
corteggiati da qualcun altro, ecc.).
Tende a essere inaffidabile e irresponsabile (per
esempio, non soddisfa i propri obblighi
professionali o non onora i propri impegni
finanziari).
Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria
rabbia.
Tende a essere coinvolto/a o a rimanere in
relazioni in cui subisce abusi emotivi o fisici.
Ha attacchi di panico che durano da alcuni
minuti a alcune ore, accompagnati da forti
risposte fisiche (per esempio, accelerazione del
battito cardiaco, fiato corto, senso di
soffocamento, nausea e vertigini).
Tende a sviluppare preoccupazioni relative alla
sporcizia, alla pulizia, alla contaminazione ecc.
(per esempio, bere dal bicchiere di un'altra
persona, sedersi sull'asse di un bagno pubblico
ecc.).
Ha difficoltà nel comprendere il senso del
comportamento altrui; spesso fraintende,
interpreta in modo scorretto o è confuso/a dalle
azioni e dalle reazioni degli altri.
Tende a sentirsi apatico/a, affaticato/a e privo/a
di energia.
Tende a dimostrare una sprezzante noncuranza
verso i diritti, la proprietà o la sicurezza degli
altri.
Sa mantenere una relazione amorosa
caratterizzata da un'intimità autentica e dalla
capacità di prendersi cura dell'altra persona.
È inibito/a rispetto al raggiungimento di obiettivi
o in generale del successo (per esempio, le sue
aspirazioni o le realizzazioni tendono a essere al
di sotto delle sue potenzialità).
Tende a essere eccessivamente seduttivo/a o
provocante dal punto di vista sessuale sia
consciamente sia inconsciamente (per esempio,
può flirtare in modo inopportuno, essere
completamente assorbito/a dalle conquiste
sessuali, essere incline a "tenere sulla corda").
È tendenzialmente ansioso/a.
Tende a sentirsi impotente, debole o alla mercé
di forze che sono al di fuori del suo controllo.
115
37.
38.
39.
40.
41.
42.
43.
44.
45.
46.
47.
48.
49.
50.
51.
52.
53.
54.
55.
56.
57.
58.
59.
60.
61.
Trova significato nella sua appartenenza e nel
suo contributo a una comunità più ampia (per
esempio, organizzazioni di vario tipo, chiesa,
associazioni di quartiere).
Tende a sentire di non essere veramente se
stesso/a con gli altri; tende a sentirsi falso/a o
fraudolento/a.
Sembra trarre piacere o soddisfazione
comportandosi in modo sadico o aggressivo con
gli altri (sia consciamente sia inconsciamente).
Tende a comportarsi in modo illegale o
criminale.
Sembra incapace di descrivere le persone che
per lui/lei sono importanti riuscendo a
trasmettere l'idea di che tipo di persone siano;
le descrizioni di queste persone sono
bidimensionali e piuttosto misere.
Tende a provare invidia.
Cerca di avere potere o di esercitare la sua
influenza sugli altri (sia in modi benefici sia in
modi distruttivi).
La sua percezione della realtà può deteriorarsi
gravemente sotto stress (per esempio, può
diventare delirante).
Tende a idealizzare alcune persone in modi
irrealistici; le vede come “totalmente buone”,
fino a escludere la presenza anche dei difetti
umani più comuni.
Tende a essere suggestionabile o facilmente
influenzabile.
Non sa se è eterosessuale, omosessuale o
bisessuale.
Vuole essere al centro dell'attenzione.
Ha fantasie di successo illimitato, potere,
bellezza, talento, ingegno, ecc.
Tende a sentire che la sua vita non ha significato.
Tende a suscitare simpatia negli altri.
Ha poca empatia; sembra incapace di capire o
rispondere ai bisogni e ai sentimenti degli altri a
meno che non coincidano con i propri.
Tende a trattare gli altri come un pubblico che
deve testimoniare la sua importanza, il suo
ingegno, la sua bellezza ecc.
Tende a sentirsi inadeguato/a, inferiore o
fallito/a.
È capace di trovare significato e fonte di
soddisfazione nel guidare, educare o crescere le
altre persone.
Sembra provare poco piacere, soddisfazione o
godimento nelle attività quotidiane, o non ne
prova affatto.
Tende a sentirsi in colpa.
Ha poco o nessun interesse nell'avere
esperienze sessuali con altre persone.
E’ empatico/a, sensibile e responsivo/a verso i
bisogni e i sentimenti degli altri.
Tende a essere timido/a o riservato/a in
situazioni sociali.
Tende a disprezzare le qualità tradizionalmente
associate al proprio sesso mentre fa proprie
qualità tradizionalmente associate al sesso
opposto (per esempio, una donna che svaluta la
62.
63.
64.
65.
66.
67.
68.
69.
70.
71.
72.
73.
74.
75.
76.
77.
78.
79.
80.
capacità di prendersi cura degli altri e la
sensibilità emotiva mentre attribuisce molto
valore al successo e all'indipendenza).
Tende a essere preoccupato dal cibo, dalla dieta
e in generale dal mangiare.
Quando è necessario, sa essere assertivo/a in
modo efficace e appropriato.
II suo umore tende a mutare ciclicamente con
intervalli di settimane o mesi tra stati eccitati e
quelli depressivi (posizionare molto in alto
questo item implica un disturbo bipolare
dell'umore).
Cerca di dominare con la violenza o
l'intimidazione una persona per lui/lei
importante (per esempio, il coniuge, l'amante,
un membro della famiglia).
Si dedica al lavoro e alla produttività in maniera
eccessiva a scapito del tempo libero e delle
relazioni.
Tende a essere avaro/a e poco generoso/a (con
il denaro, le idee, le emozioni ecc.).
Apprezza e sa rispondere all'umorismo.
È incapace di buttar via gli oggetti anche quando
sono ormai consumati o privi di valore; tende ad
accumulare, collezionare o tenersi strette le sue
cose.
Fa ricorrenti abbuffate seguite da "purghe" (per
esempio, si provoca il vomito, abusa di lassativi,
digiuna ecc.); sono presenti episodi bulimici.
Tende a cercare il brivido, la novità, l'avventura
ecc.
Le sue percezioni sembrano superficiali,
generiche e impressionistiche; fatica a mettere a
fuoco dettagli specifici.
Tende a essere "catastrofico/a"; è portato/a a
vedere i problemi come disastrosi, impossibili da
risolvere ecc.
Esprime le proprie emozioni in modi esagerati e
teatrali.
Tende a pensare in termini concreti e a
interpretare le cose in modo troppo letterale;
non è molto capace di apprezzare le metafore,
le analogie o le sfumature.
Si comporta in modo da suscitare negli altri
sentimenti simili a quelli che lui/lei stesso/a sta
provando (per esempio, quando è arrabbiato/a,
agisce in un modo che provoca rabbia negli altri;
quando è ansioso/a, agisce in un modo che
induce ansia negli altri).
Tende a essere eccessivamente bisognoso/a o
dipendente;
richiede
rassicurazioni
o
approvazioni eccessive.
Tende a esprimere la propria aggressività in
modi passivi e indiretti (per esempio, può fare
errori, procrastinare, dimenticare, tenere il
muso ecc.).
Tende a vedere alcune persone come
“totalmente cattive” e perde la capacità di
percepire le loro qualità positive.
Tende a essere sessualmente possessivo/a e
geloso/a; tende a essere preoccupato/a
riguardo a infedeltà reali o immaginarie.
116
81.
Ri-esperisce o ri-vive più volte un evento
traumatico del passato (per esempio, ha ricordi
intrusivi o sogni ricorrenti dell'evento; è
scioccato o terrorizzato da eventi presenti che
assomigliano o simbolizzano il trauma passato).
82.
Riesce ad ascoltare una notizia minacciosa sul
piano emotivo (cioè un'informazione che mette
in discussione le credenze e percezioni di sé e
degli altri che per lui sono fondamentali) e sa
usarla e trarne beneficio.
83.
Le sue credenze e aspettative sembrano cliché o
stereotipi, come fossero uscite da un libro di
fiabe o da un film.
84.
Tende a essere competitivo/a (sia consciamente
sia inconsciamente).
85.
È consapevole dei suoi desideri omosessuali
(una collocazione moderata di questo item
implica bisessualità; una collocazione elevata
implica omosessualità).
86.
Tende a provare vergogna o a sentirsi
imbarazzato/a.
87.
È subito portato/a a pensare che gli altri vogliano
danneggiarlo/a o approfittarsi di lui/lei; tende a
cogliere intenzioni malevole nelle parole e nelle
azioni degli altri.
88.
Sembra non preoccuparsi abbastanza della
soddisfazione dei propri bisogni; sembra non
sentirsi in diritto di ottenere o chiedere ciò che
si merita.
89.
Sembra essere riuscito/a a scendere a patti con
esperienze dolorose del passato, avervi trovato
un significato ed essere cresciuto/a grazie anche
a queste esperienze.
90.
Tende a sentirsi vuoto/a o annoiato/a.
91.
Tende a essere autocritico/a; si pone standard
irrealisticamente elevati ed è intollerante anche
verso i propri umani difetti.
92.
Sa esprimersi in modo articolato; sa raccontarsi.
93.
Sembra che di come vanno le cose nel mondo ne
sappia meno di quanto ci si aspetterebbe da una
persona con la sua intelligenza, il suo
background ecc.; appare naif o “innocente”.
94.
Ha una vita sessuale attiva e soddisfacente.
95.
Si sente a proprio agio in situazioni sociali.
96.
Tende a suscitare negli altri antipatia e
animosità.
97.
Tende a usare troppo il proprio aspetto fisico per
attirare l'attenzione altrui ed essere notato/a.
98.
Tende ad aver paura di essere rifiutato/a o
abbandonato/a dalle persone che per lui/lei
sono emotivamente significative.
99.
Sembra che associ l'attività sessuale al pericolo
(per
esempio,
a
ferite,
punizioni,
contaminazione ecc.), sia consciamente sia
inconsciamente.
100. Tende a pensare in termini astratti e
intellettualizzati, anche su argomenti di rilievo
personale.
101. Di solito trova soddisfazione e motivo di felicità in
quel che fa.
102. Ha una fobia specifica (per esempio, serpenti,
ragni, cani, aeroplani, ascensori ecc.).
103.
Tende a reagire alle critiche con sentimenti di
rabbia e umiliazione.
104. Sembra non aver bisogno della compagnia e del
contatto umano; è proprio indifferente alla
presenza degli altri.
105. Tende a evitare di confidarsi con gli altri per paura
di essere tradito/a; si aspetta che le cose che
dice e fa siano poi usate contro di lui/lei.
106. Tende a esprimere affetti appropriati per qualità e
intensità alla situazione che sta vivendo.
107. Tende a esprimere in modo esagerato
caratteristiche o modi di fare tradizionalmente
associati al proprio sesso (per esempio, una
donna iperfemminile o un uomo ipervirile e
"macho").
108. Tende a limitare l'assunzione di cibo fino al
punto da diventare sottopeso e malnutrito/a.
109. Tende ad attuare comportamenti automutilanti
(per esempio, tagliarsi, bruciarsi ecc.).
110. Tende ad attaccarsi o a coinvolgersi
sentimentalmente con persone che non sono
emotivamente disponibili.
111. È capace di riconoscere punti di vista alternativi
anche quando si tratta di argomenti che
suscitano emozioni forti.
112. Tende a non preoccuparsi delle conseguenze
delle sue azioni; sembra che si senta immune o
invulnerabile.
113. Sembra non provare alcun rimorso per il danno
o il male causato ad altri.
114. Tende a essere critico/a con le altre persone.
115. Quando è arrabbiato/a tende a rompere le cose
o diventare fisicamente aggressivo/a.
116. Tende a vedere i suoi sentimenti e impulsi
inaccettabili negli altri e non in se stesso/a.
117. E incapace di calmarsi o tranquillizzarsi da solo/a
quando è stressato/a; ha bisogno di un’altra
persona che lo/la aiuti a regolare gli affetti.
118. Tende a considerare le esperienze sessuali
qualcosa di rivoltante o disgustoso.
119. Tende a essere inibito/a o coartato/a; non riesce
a concedersi di riconoscere o esprimere desideri
e impulsi.
120. Ha standard morali ed etici e si sforza di vivere
alla loro altezza.
121. E creativo/a; sa vedere le cose o affrontare i
problemi in modi originali.
122. La sua vita è organizzata in modo
tendenzialmente caotico o instabile (per
esempio, vive in condizioni precarie, transitorie,
mal definite; può non avere un telefono o un
indirizzo stabile).
123. Tende ad aderire rigidamente alla routine
giornaliera e si angoscia o si sente a disagio
quando subisce alterazioni.
124. Tende a evitare le situazioni sociali perché ha
paura di trovarsi in imbarazzo o umiliato/a.
125. II suo aspetto e i suoi modi di fare sembrano
strani o particolari (per esempio, la cura di sé,
l'igiene, la postura, il contatto visivo,
l'andamento dell'eloquio ecc. sembrano in
qualche modo strani o "fuori contatto").
117
126.
127.
128.
129.
130.
131.
132.
133.
134.
135.
136.
137.
138.
139.
140.
141.
142.
143.
144.
Sembra avere una gamma di emozioni limitata o
ristretta.
Tende a sentirsi incompreso/a, maltrattato/a o
vittimizzato/a.
Fantastica di trovare l'amore ideale e perfetto.
Tende ad avere conflitti relativi all'autorità (per
esempio, può sentire di doverla sottomettere,
vincere, sconfiggere, di doversi ribellare ecc.).
I suoi processi di ragionamento e le esperienze
percettive sembrano strani e peculiari (per
esempio, può fare inferenze arbitrarie; può
vedere messaggi nascosti o significati speciali in
eventi ordinari).
Difficilmente si concede la possibilità di provare
forti emozioni piacevoli (per esempio,
eccitazione, gioia, orgoglio).
Tende ad avere molte avventure sessuali; è
promiscuo/a.
Tende a essere arrogante, superbo/a e
sprezzante.
Tende ad agire in modo impulsivo, senza
considerare le conseguenze delle sue azioni.
Ha paure infondate di contrarre patologie
mediche; tende a interpretare banali malesseri o
dolori come sintomi di malattie; è
ipocondriaco/a.
Tende a essere superstizioso/a o a credere in
fenomeni magici e soprannaturali (per esempio,
astrologia, tarocchi, cristalli, percezioni
extrasensoriali, "aure" ecc.).
Mostra desideri o interessi omosessuali inconsci
(per esempio, è eccessivamente omofobo
oppure mostra segni di attrazione verso una
persona dello stesso sesso ma non ne riconosce
il significato).
Quando è sotto stress, tende a entrare in stati di
coscienza alterati o dissociati (per esempio, se
stesso/a o il mondo gli/le appaiono strani,
estranei o irreali).
Tende a tenere il broncio; può "legarsi al dito"
insulti e offese per molto tempo.
Ha una perversione sessuale o è feticista; prima
di provare gratificazioni sessuali deve costruire
situazioni dal copione rigido o molto strane e
particolari.
Si identifica in misura estrema con una “causa”
sociale e politica, al punto che tale
identificazione può sembrare eccessiva o
fanatica.
Tende a minacciare o tentare ripetutamente il
suicidio, sia in forma di "grido d'aiuto" sia come
tentativo di manipolare gli altri.
Tende a credere che una persona come lui/lei
possa essere apprezzato/a solo da, o possa
frequentare solo persone che hanno uno status
elevato, sono superiori o in qualche modo
"speciali".
Tende a vedersi come una persona logica e
razionale, non influenzata dalle emozioni;
preferisce operare come se le emozioni fossero
irrilevanti o prive di conseguenze.
145.
146.
147.
148.
149.
150.
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160.
161.
162.
163.
164.
165.
L'eloquio tende a essere circostanziato, vago,
sconnesso, pieni di digressioni ecc.
Tende a suscitare noia nelle altre persone (per
esempio, può parlare incessantemente, senza
partecipazione, o di argomenti del tutto
irrilevanti).
Tende ad abusare di alcolici.
Ha poco insight psicologico riguardo alle proprie
motivazioni, ai comportamenti ecc.; non riesce a
prendere in considerazione interpretazioni
alternative della propria esperienza.
Tende a considerarsi un/una emarginato/a o
un/una outsider; si sente privo/a di qualunque
appartenenza.
Tende a identificarsi in modo eccessivo con altre
persone che ammira; ha tendenza a diventare
un/una
ammiratore/trice
o
un/una
“discepolo/a”(per esempio, può assumerne gli
atteggiamenti, le credenze, i modi di fare ecc.).
Fa esperienza del passato come di una serie di
eventi privi di rapporti e connessioni reciproche;
ha difficoltà nel fornire un racconto coerente
della storia della sua vita.
Tende a rimuovere o "dimenticare" gli eventi
stressanti o a distorcere il ricordo di eventi
stressanti senza rendersene conto.
Le sue relazioni interpersonali tendono a essere
instabili e caotiche e cambiano rapidamente.
Tende a suscitare negli altri reazioni estreme e
sentimenti forti.
Tende a descrivere le esperienze in termini
generali; non vuole o non sa offrire dettagli
specifici.
Ha un'immagine del proprio corpo disturbata o
distorta, si trova poco attraente, grottesco/a,
disgustoso/a ecc.
Le emozioni forti tendono a farlo/a diventare
irrazionale; può mostrare un notevole declino
del proprio livello di funzionamento abituale.
Ha paura di coinvolgersi in relazioni d'amore a
lungo termine.
Tende a negare o a disconoscere i propri bisogni
di cure, conforto, intimità ecc. o a considerare
tali bisogni inaccettabili.
Non ha relazioni né amici stretti.
Tende a far abuso di droghe illecite.
Esprime sentimenti o credenze contraddittorie
senza essere disturbato/a dalla loro incoerenza;
sente relativamente poco il bisogno di conciliare
o risolvere le sue idee contraddittorie.
Sembra volersi "punire"; crea situazioni che
procurano infelicità o evita attivamente
occasioni di piacere e gratificazione.
Tende a credersi più virtuoso/a degli altri e a fare
il/la moralista.
Tende a distorcere desideri o sentimenti
inaccettabili trasformandoli nel loro opposto
(può esprimere preoccupazione o affetto
eccessivi mostrando al contempo segni di ostilità
che non riconosce; è disgustato/a dal tema della
sessualità, ma al tempo stesso mostra segni di
interesse o eccitazione ecc.).
118
166.
167.
168.
169.
170.
171.
172.
173.
174.
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176.
177.
178.
179.
180.
181.
182.
183.
Tende a oscillare tra un controllo troppo scarso
e un controllo eccessivo dei propri bisogni e dei
propri impulsi (cioè, bisogni e desideri sono
espressi in modo impulsivo e con una scarsa
considerazione delle loro conseguenze, oppure
sono negati senza che sia permesso loro alcun
tipo di espressione).
Ha bisogno degli altri e allo stesso tempo li
respinge (per esempio, chiede insistentemente
che qualcuno si occupi di lui/lei e stabilisca con
lui/lei un rapporto di intimità ma poi tende a
rifiutarlo quando gli/le viene offerto).
Lotta con veri e propri desideri suicidi.
Ha paura di diventare come uno dei suoi genitori
(o una delle sue figure genitoriali) per il/la quale
nutre forti sentimenti negativi; può fare di tutto
per evitare o rifiutare atteggiamenti o
comportamenti associati a quella persona.
Tende a essere oppositivo/a, caparbio/a o
"bastian contrario/a".
Ha paura della solitudine; fa di tutto per non
restare solo.
Ha una disfunzione sessuale specifica durante i
rapporti o mentre cerca di avere rapporti
sessuali (per esempio, inibizioni dell’orgasmo o
vaginismo nelle femmine, impotenza o
eiaculazione precoce nei maschi).
Tende a interessarsi eccessivamente ai dettagli
fino a perdere di vista ciò che è davvero
significativo in una data situazione.
Si aspetta di essere "perfetto/a" (per esempio,
nell'aspetto, in ciò che vuole realizzare, nelle
performance, ecc).
E
tendenzialmente
coscienzioso/a
e
responsabile.
Tende a confondere i propri pensieri, sentimenti
o tratti della propria personalità con quelli di
altre persone (per esempio, può usare le stesse
parole per descriversi e per descrivere un'altra
persona, credere di condividere con essa gli
stessi pensieri e sentimenti, trattare l’altra
persona come un’” estensione” di sé ecc.).
Cerca di convincere più volte gli altri del proprio
impegno a cambiare ma poi torna a comportarsi
in modo disadattivo; vuole convincere gli altri
che "questa volta è davvero diverso".
E’ angosciato/a dalla sensazione che qualcuno o
qualcosa sia stato irrimediabilmente perso (per
esempio, l’amore, la gioventù, la possibilità di
essere felice ecc.).
È tendenzialmente energico/a o espansivo/a.
Ha problemi nel prendere decisioni; tende a
essere indeciso/a o a tentennare di fronte alle
scelte.
Tende a scegliere partner sessuali o amorosi
inappropriati per età, status (per esempio,
sociale, economico, intellettuale) ecc.
Tende a voler controllare.
Ha intuito psicologico; riesce a capire in modo
piuttosto sofisticato se stesso/a e gli altri.
184.
185.
186.
187.
188.
189.
190.
191.
192.
193.
194.
195.
196.
197.
198.
199.
200.
Le sue affermazioni verbali sembrano
incongruenti con gli affetti o con i messaggi non
verbali a esse associati.
Tende a esprimere una rabbia intensa e
inappropriata, sproporzionata rispetto alla
situazione.
Fa fatica a rivolgere contemporaneamente
sentimenti di tenerezza e sentimenti sessuali
verso una stessa persona (per esempio, vede gli
altri come rispettabili e virtuosi oppure sensuali
ed eccitanti, ma non riesce ad attribuire queste
caratteristiche a una stessa persona).
Tende a sentirsi in colpa o a provare vergogna
per i propri interessi o attività sessuali (sia
consciamente sia inconsciamente).
La sua vita lavorativa tende a essere caotica o
instabile (per esempio, la sua organizzazione
lavorativa sembra sempre temporanea,
transitoria o mal definita).
Tende a sentirsi infelice, depresso/a o
abbattuto/a.
Sembra che si senta privilegiato/a e di avere tutti
i diritti; si aspetta un trattamento preferenziale.
Le sue emozioni tendono a cambiare
rapidamente e in modo imprevedibile.
Tende a essere eccessivamente preoccupato/a
per le regole, le procedure, l'ordine,
l'organizzazione, le programmazioni ecc.
Ha scarse capacità sociali; nelle situazioni sociali
tende a comportarsi in modo goffo e
inappropriato.
Tende a manipolare le emozioni degli altri per
ottenere ciò che vuole.
Tende a essere preoccupato/a dalla morte e dal
morire.
Riesce a trovare senso e soddisfazione nel
perseguire obiettivi e ambizioni a lungo termine.
Tende a cercare o a creare relazioni
interpersonali nelle quali ha il ruolo della
persona che si prende cura degli altri, li salva o li
protegge.
E’ verbalmente poco articolato/a; non riesce a
esprimersi bene con le parole.
Tende a essere passivo/a e poco assertivo/a.
Riesce a stringere amicizie intime e di lunga
durata caratterizzate da sostegno reciproco e
condivisone delle esperienze.
119
10 ALLEGATO B
Affermazioni SWAP che compongono i singoli prototipi degli stili di personalità SWAP
(le affermazioni sono elencate in ordine di importanza, cioè della rappresentatività per il costrutto analizzato)
STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Tende a sentirsi inadeguato/a, inferiore o
fallito/a.
Tende a sentirsi infelice, depresso/a o
abbattuto/a.
Tende a provare vergogna o a sentirsi
imbarazzato/a.
Tende a incolparsi o a sentirsi in colpa delle cose
negative che accadono.
Tende a sentirsi in colpa.
Tende ad aver paura di essere rifiutato/a o
abbandonato/a dalle persone che per lui/lei
sono emotivamente significative.
Tende a sentirsi impotente, debole o alla mercé
di forze che sono al di fuori del suo controllo.
Tende a essere eccessivamente bisognoso/a o
dipendente;
richiede
rassicurazioni
o
approvazioni eccessive.
Tende a ingraziarsi gli altri o a farsi sottomettere
(per esempio, può acconsentire a cose che non
condivide o fare cose che non vuole perché
spera, in questo modo, di guadagnare il
sostegno o l'approvazione altrui).
Tende a essere passivo/a e poco assertivo/a.
Tende a essere autocritico/a; si pone standard
irrealisticamente elevati ed è intollerante anche
verso i propri umani difetti.
Tende a considerarsi un/una emarginato/a o
un/una outsider; si sente privo/a di qualunque
appartenenza.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
23.
E tendenzialmente ansioso/a.
Tende a sentirsi apatico/a, affaticato/a e privo/a
di energia.
Tende a sentirsi vuoto/a o annoiato/a.
Sembra volersi "punire"; crea situazioni che
procurano infelicità o evita attivamente
occasioni di piacere e gratificazione.
Sembra provare poco piacere, soddisfazione o
godimento nelle attività quotidiane, o non ne
prova affatto.
Sembra non preoccuparsi abbastanza della
soddisfazione dei propri bisogni; sembra non
sentirsi in diritto di ottenere o chiedere ciò che
si merita.
E incapace di calmarsi o tranquillizzarsi da solo/a
quando è stressato/a; ha bisogno di un’altra
persona che lo/la aiuti a regolare gli affetti.
Non ha un'immagine stabile di chi sia o di chi
vorrebbe diventare (per esempio, gli
atteggiamenti, i valori, gli obiettivi o i sentimenti
relativi a se stesso/a sembrano instabili e
mutevoli).
Tende a sentire che la sua vita non ha significato.
Tende a evitare le situazioni sociali perché ha
paura di trovarsi in imbarazzo o umiliato/a.
Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria
rabbia.
STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO EVITANTE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Tende a essere timido/a o riservato/a in
situazioni sociali.
Tende a evitare le situazioni sociali perché ha
paura di trovarsi in imbarazzo o umiliato/a.
Ha scarse capacità sociali; nelle situazioni sociali
tende a comportarsi in modo goffo e
inappropriato.
Tende a essere inibito/a o coartato/a; non riesce
a concedersi di riconoscere o esprimere
desideri e impulsi.
Tende a essere passivo/a e poco assertivo/a.
Non ha relazioni né amici stretti.
Tende a considerarsi un/una emarginato/a o
un/una outsider; si sente privo/a di qualunque
appartenenza.
Difficilmente si concede la possibilità di provare
forti emozioni piacevoli (per esempio,
eccitazione, gioia, orgoglio).
Tende a sentirsi inadeguato/a, inferiore o
fallito/a.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
Tende a provare vergogna o a sentirsi
imbarazzato/a.
E inibito/a rispetto al raggiungimento di obiettivi
o in generale del successo (per esempio, le sue
aspirazioni o le realizzazioni tendono a essere al
di sotto delle sue potenzialità).
Sembra avere una gamma di emozioni limitata o
ristretta.
Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria
rabbia.
Sembra che di come vanno le cose nel mondo ne
sappia meno di quanto ci si aspetterebbe da una
persona con la sua intelligenza, il suo
background ecc.; appare naif o “innocente”.
Tende a essere autocritico/a; si pone standard
irrealisticamente elevati ed è intollerante anche
verso i propri umani difetti.
E tendenzialmente ansioso/a.
Tende a incolparsi o a sentirsi in colpa delle cose
negative che accadono.
120
18.
Sembra provare poco piacere, soddisfazione o
godimento nelle attività quotidiane, o non ne
prova affatto.
STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO DEPRESSIVO (NEVROTICO) AD ALTO FUNZIONAMENTO
1.
Sa esprimersi in modo articolato; sa raccontarsi.
2.
Ha standard morali ed etici e si sforza di vivere
alla loro altezza.
3.
E’ empatico/a, sensibile e responsivo/a verso i
bisogni e i sentimenti degli altri.
4.
Apprezza e sa rispondere all'umorismo.
5.
E
tendenzialmente
coscienzioso/a
e
responsabile.
6.
Ha intuito psicologico; riesce a capire in modo
piuttosto sofisticato se stesso/a e gli altri.
7.
Tende a suscitare simpatia negli altri.
8.
È capace di riconoscere punti di vista alternativi
anche quando si tratta di argomenti che
suscitano emozioni forti.
9.
Tende ad incolparsi o sentirsi responsabile delle
cose negative che accadono.
10.
Riesce ad ascoltare una notizia minacciosa sul
piano emotivo (cioè un’informazione che mette
in discussione le credenza e percezioni di sé e
degli altri che per lui/lei sono fondamentali) e sa
usarla e trarne beneficio.
11.
Tende a sentirsi in colpa.
12.
Sa mantenere una relazione amorosa
caratterizzata da un’intimità autentica e dalla
capacità di prendersi cura dell’altra persona.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
20.
21.
22.
È creativo/a; sa vedere le cose o affrontare i
problemi in modi originali.
Tende a cercare o a creare relazioni
interpersonali nelle quali ha il ruolo della
persona che si cura degli altri, li salva o li
protegge.
Riesce a stringere amicizie intime e di lunga
durata caratterizzate da sostegno reciproco e
condivisione delle esperienze.
Tende a sentirsi infelice, depresso/a o
abbattuto/a.
Ama le sfide; prova piacere nel realizzare le cose.
Sa usare i suoi talenti, capacità ed energie in
modo efficace e produttivo.
È capace di trovare significato e fonte di
soddisfazione nel guidare, educare o crescere
altre persone.
Tende ad aver paura di essere rifiutato/a o
abbandonato/a dalle persone che per lui/lei
sono emotivamente significative.
Tende ad essere autocritico/a; si pone standard
irrealisticamente elevati ed è intollerante anche
verso i propri umani difetti.
Tende a sentirsi apatico/a, affaticato/a e privo/a
di energia.
STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO CON DISREGOLAZIONE EMOTIVA
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
Tende a cadere in spirali emotive senza controllo
che conducono ad estrema ansia, tristezza,
rabbia, eccitazione ecc.
Lotta contro veri e propri desideri suicidi.
È incapace di calmarsi o confortarsi da solo/a
quando è stressato/a; ha bisogno di un’altra
persona che lo/la aiuti a regolare i suoi affetti.
Tende a sentire che la vita non ha significato.
Tende a minacciare o tentare ripetutamente il
suicidio, sia in forma di “grido di aiuto” sia come
tentativo di manipolare gli altri.
Tende a sentirsi infelice, depresso/a o
abbattuto/a.
Tende ad essere “catastrofico/a”: è portato a
vedere i problemi come disastrosi, impossibili da
risolvere ecc.
Le emozioni forti tendono a renderlo/a
irrazionale; può mostrare un notevole declino
del proprio livello di funzionamento abituale.
Tende a essere preoccupato/a dalla morte e dal
morire.
Tende a sentirsi vuoto/a o annoiato/a.
Sembra provare poca soddisfazione o
godimento nelle attività quotidiane o non ne
prova affatto.
12.
13.
14.
15.
16.
17.
18.
19.
Tende ad essere eccessivamente bisognoso/a o
dipendente;
richiede
rassicurazioni
o
approvazioni eccessive.
Ri-esperisce o rivive più volte un evento
traumatico del passato (per esempio, ha ricordi
intrusivi o sogni ricorrenti dell’evento; è
scioccato/a o terrorizzato/a da eventi presenti
che assomigliano o simbolizzano il trauma
passato).
Tende ad attuare comportamenti auto mutilanti
(per esempio, tagliarsi, bruciarsi, ecc.).
Tende ad essere arrabbiato/a o ostile (sia
consciamente sia inconsciamente)
Tende a considerarsi un emarginato/a o un/a
outsider; si sente privo/a di qualunque
appartenenza.
Tende a sentirsi incompreso/a, maltrattato/a o
vittimizzato/a.
Tende a sentirsi inadeguato/a, inferiore o
fallito/a.
Le sue emozioni tendono a cambiare
rapidamente ed in modo imprevedibile.
121
STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO DIPENDENTE-MASOCHISTA
1.
2.
3.
7.
8.
9.
10.
11.
14.
15.
18.
Tende ad essere coinvolto/a o a rimanere in
relazioni in cui subisce abusi emotivi o fisici.
Tende a ingraziarsi gli altri o a farsi sottomettere
(per esempio, può acconsentire a cose che non
condivide o fare cose che non vuole perché
spera, in questo modo, di guadagnare il
sostegno o l’approvazione altrui).
Tende ad attaccarsi agli altri in modo intenso o
veloce; sviluppa sentimenti, aspettative ecc. che
Fantastica di trovare l’amore ideale e perfetto.
Ha paura della solitudine; fa di tutto per non
restare solo/a.
Tende ad avere paura di essere rifiutato/a o
abbandonato/a dalle persone che per lui/lei
sono emotivamente significative.
Tende ad esprimere la propria aggressività in
modi passivi e indiretti (per esempio, può fare
errori, procrastinare, dimenticare, tenere il
muso ecc.).
Non ha un’immagine stabile di chi sia o di chi
vorrebbe diventare (per esempio, gli
Tende ad essere passivo/a o poco assertivo/a.
È incapace di calmarsi o tranquillizzarsi da solo/a
quando è stressato; ha bisogno di un’altra
persona che lo/la aiuti a regolare gli affetti.
4.
5.
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12.
13.
16.
17.
Cerca di convincere più volte gli altri del proprio
impegno a cambiare ma poi torna a comportarsi
non sono giustificati dal contesto o dalla storia
della relazione.
Tende ad essere suggestionabile o facilmente
influenzabile.
Tende ad attaccarsi o a coinvolgersi
sentimentalmente con persone che non sono
emotivamente disponibili.
Tende ad essere eccessivamente bisognoso/a o
dipendente;
richiede
rassicurazioni
o
approvazioni eccessive.
atteggiamenti, i valori, gli obiettivi o i sentimenti
relativi a se stesso/a possono essere instabili e
mutevoli).
Tende ad idealizzare alcune persone in modi
irrealistici; le vede come “totalmente buone”
fino ad escludere la presenza anche dei difetti
umani più comuni.
Ha problemi nel prendere decisioni; tende ad
essere indeciso/a o a tentennare di fronte alle
scelte.
Tende a scegliere partner sessuali o amorosi
inappropriati per età, status (per esempio,
sociale, economico, intellettuale) ecc.
Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria
rabbia.
in modo disadattivo; vuole convincere gli altri
che “stavolta è davvero diverso”.
STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO CON ESTERNALIZZAZIONE DELL’OSTILITA’
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Tende a partecipare a scontri di potere.
Tende ad essere arrabbiato/a o ostile (sia
consciamente sia inconsciamente).
Tende ad incolpare gli altri per i propri fallimenti
o difetti; tende a credere che i suoi problemi
siano causati da fattori esterni.
Tende a sentirsi incompreso/a, maltrattato/a o
vittimizzato/a.
Tende ad essere critico con le altre persone.
Tende ad avere conflitti relativi all’autorità (per
esempio, può sentire di doverla sottomettere,
vincere, sconfiggere, di doversi ribellare ecc.).
Tende a tenere il broncio; può “legarsi al dito”
insulti o offese per molto tempo.
Tende ad esprimere la propria aggressività in
modi passivi e indiretti (per esempio, può fare
errori, procrastinare, dimenticare, tenere il
muso ecc.).
Tende ad essere oppositivo, caparbio, “bastian
contrario”.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
È subito portato/a a pensare che gli altri vogliano
danneggiarlo/a o approfittarsi di lui/lei; tende a
cogliere intenzioni malevole nelle parole e nelle
azioni degli altri.
Tende a sentirsi impotente, debole o alla mercè
di forze che sono al di fuori del suo controllo.
Tende ad essere ostile verso le persone dell’altro
sesso, sia consciamente sia inconsciamente (per
esempio, può screditarle o mettersi in
competizione con loro, ecc.).
È inibito/a rispetto al raggiungimento di obiettivi
o in generale del successo; le sue aspirazioni o le
realizzazioni tendono ad essere al di sotto delle
sue potenzialità.
Tende a voler controllare.
Tende a reagire alle critiche con sentimenti di
rabbia ed umiliazione.
Tende a vedere i suoi sentimenti e impulsi
inaccettabili negli altri e non in se stesso/a.
STILE DI PERSONALITA’ ANTISOCIALE-PSICOPATICO
1.
2.
Tende ad essere disonesto/a; tende a mentire o
ingannare le altre persone.
Sfrutta gli altri; cerca di essere il/la numero uno;
dà pochissima importanza ai valori morali.
3.
4.
Sembra non provare alcun rimorso per il danno
o il male causato ad altri.
Tende ad essere arrabbiato/a od ostile (sia
consciamente sia inconsciamente).
122
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
Tende ad agire in modo impulsivo, senza
considerare le conseguenze delle sue azioni.
Tende a manipolare le emozioni degli altri per
ottenere ciò che vuole.
Tende ad essere inaffidabile ed irresponsabile
(per esempio, non soddisfa i propri obblighi
professionali o non onora i propri impegni
finanziari).
Tende a comportarsi in modo illegale o
criminale.
Ha poca empatia; sembra incapace di capire o
rispondere ai bisogni e ai sentimenti degli altri a
meno che non coincidano con i propri.
Tende a non preoccuparsi delle conseguenze
delle sue azioni; sembra che si senta immune o
invulnerabile.
Tende a dimostrare una sprezzante noncuranza
verso i diritti, la proprietà o la sicurezza degli
altri.
12.
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14.
15.
16.
17.
Tende ad abusare di alcolici.
Tende a incolpare gli altri per i propri fallimenti
o difetti; tende a credere che i suoi problemi
siano causati da fattori esterni.
Tende a partecipare a scontri di potere.
Sembra trarre piacere comportandosi in modo
sadico o aggressivo con gli altri (sia
consciamente sia inconsciamente).
Ha poco insight psicologico riguardo le proprie
motivazioni, ai comportamenti ecc.; non riesce a
prendere in considerazioni interpretazioni
alternative della propria esperienza.
Cerca di convincere più volte gli altri del proprio
impegno a cambiare ma poi torna a comportarsi
in modo disadattivo; vuole convincere gli altri
che “questa volta è davvero diverso”.
STILE DI PERSONALITA’ SCHIZOIDE
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Non ha relazioni né amici stretti.
Sembra avere una gamma di emozioni limitata o
ristretta.
Ha scarse capacità sociali; nelle situazioni sociali
tende a comportarsi in modo goffo ed
inappropriato.
Il suo aspetto e i suoi modi di fare sembrano
strani o particolari (per esempio, la cura di sé,
l’igiene, la postura, il contatto visivo,
l’andamento dell’eloquio ecc. sembrano in
qualche modo strani o “fuori contatto”).
Tende ad essere timido/a o riservato/a in
situazioni sociali.
Tende ad essere inibito/a o coartato/a; non
riesce a concedersi di riconoscere o esprimere
desideri e impulsi.
Ha difficoltà nel comprendere il senso del
comportamento altrui; spesso lo fraintende, lo
interpreta in modo scorretto o è confuso/a dalle
azioni o dalle reazioni degli altri.
Sembra incapace di descrivere le persone che
per lui/lei sono importanti riuscendo a
trasmettere l’idea di che tipo di persone siano;
le descrizioni di queste persone sono
bidimensionali e piuttosto misere.
Ha poco insight psicologico riguardo alle proprie
motivazioni, ai comportamenti ecc.; non riesce a
prendere in considerazione interpretazioni
alternative della propria esperienza.
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11.
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14.
15.
16.
17.
18.
19.
Tende a pensare in termini concreti e a
interpretare le cose in modo troppo letterale;
non è molto capace di apprezzare le metafore,
le analogie o le sfumature.
Sembra non aver bisogno della compagnie o del
contatto umano; è proprio indifferente alla
presenza degli altri.
La sua percezione della realtà può deteriorarsi
gravemente sotto stress (per esempio, può
diventare delirante).
Tende a evitare le situazioni sociali perché ha
paura di trovarsi in imbarazzo o umiliato/a.
I suoi processi di ragionamento o le esperienze
percettive sembrano strani e peculiari (per
esempio, può fare inferenze arbitrarie, può
vedere messaggi nascosti o significativi in eventi
ordinari).
Tende a suscitare noia nelle altre persone (per
esempio, può parlare incessantemente, senza
partecipazione, o di argomenti del tutto
irrilevanti).
Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria
rabbia.
Difficilmente si concede la possibilità di provare
forti emozioni piacevoli (per esempio,
eccitazione, gioia, orgoglio).
Tende ad essere passivo/a e poco assertivo/a.
Tende a considerarsi un/a emarginato/a o un/a
outsider, si sente privo/a di qualunque
appartenenza.
STILE DI PERSONALITA’ PARANOIDE
1.
2.
3.
Tende a tenere il broncio; può legarsi al dito
insulti e offese per molto tempo.
Tende a sentirsi incompreso/a, maltrattato/a o
vittimizzato/a.
È subito portato a pensare che gli altri vogliano
danneggiarlo o approfittarsi di lui/lei; tende a
4.
5.
6.
cogliere intenzioni malevole nelle parole o nelle
azioni degli altri.
Tende ad esprimere una rabbia intensa e
inappropriata, sproporzionata rispetto alla
situazione.
Tende ad essere critico/a con le altre persone.
Tende a partecipare a scontri di potere.
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16.
Tende ad essere arrabbiato/a od ostile (sia
consciamente sia inconsciamente).
Tende a vedere alcune persone come
“totalmente cattive” e perde la capacità di
percepire le loro qualità positive.
Tende a credersi più virtuoso/a degli altri e a fare
il /la moralista.
Tende a reagire alle critiche con sentimenti di
rabbia ed umiliazione.
Tende a incolpare gli altri per i propri fallimenti
o difetti; tende a credere che i suoi problemi
siano causati da fattori esterni.
Tende ad essere oppositivo/a, caparbio/a,
“bastian contrario/a”.
Tende a vedere i suoi sentimenti e impulsi
inaccettabili negli altri e non in se stesso.
Le emozioni forti tendono a farlo/a diventare
irrazionale; può mostrare un notevole declino
del proprio livello di funzionamento abituale.
Tende ad essere “catastrofico/a”; è portato a
vedere i problemi come disastrosi, impossibili da
risolvere ecc.
Tende a suscitare negli altri antipatia ed
animosità.
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21.
22.
23.
Tende a cadere in spirali emotive senza controllo
che conducono a estrema ansia, tristezza,
rabbia, agitazione, ecc.
Ha difficoltà nel comprendere il senso del
comportamento altrui; spesso lo fraintende, lo
interpreta in modo scorretto o è confuso/a dalle
azioni e dalle reazioni degli altri.
Tende a voler controllare.
Tende a suscitare negli altri reazioni estreme e
sentimenti forti.
Tende a evitare di confidarsi con gli altri per
paura di essere tradito/a; si aspetta che le cose
che dice e fa siano poi usate contro di lui/lei.
I suoi processi di ragionamento o le esperienze
percettive sembrano strani e peculiari (per
esempio, può fare inferenze arbitrarie; può
vedere messaggi nascosti o significati speciali in
eventi ordinari).
La sua percezione della realtà può deteriorarsi
gravemente sotto stress (per esempio, può
diventare delirante).
STILE DI PERSONALITA’ OSSESSIVO
1.
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5.
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8.
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12.
È
tendenzialmente
coscienzioso/a
e
responsabile.
Sa esprimersi in modo articolato; sa raccontarsi.
Ha standard morali ed etici e si sforza di vivere
alla loro altezza.
Sa usare i suoi talenti, capacità ed energie in
modo efficace e produttivo.
Ama le sfide, prova piacere nel realizzare le cose.
Tende a vedersi come una persona logica e
razionale, non influenzata dalle emozioni;
preferisce operare come se le emozioni fossero
irrilevanti o prive di conseguenze.
Si dedica al lavoro e alla produttività in maniera
eccessiva a scapito del tempo libero e delle
relazioni.
Tende a voler controllare.
Riesce a trovare senso e soddisfazione nel
perseguire obiettivi ed ambizioni a lungo
termine.
Apprezza e sa rispondere all’umorismo.
Tende ad essere inibito/a o coartato/a; non
riesce a concedersi di riconoscere o esprimere
desideri o impulsi.
Quando è necessario, sa essere assertivo/a in
modo efficace e appropriato.
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20.
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22.
Tende a pensare in termini astratti e
intellettualizzati, anche su argomenti di rilievo
personale.
Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria
rabbia.
Tende
ad
essere
competitivo/a
(sia
consciamente sia inconsciamente).
Si aspetta di essere “perfetto/a” (per esempio,
nell’aspetto, in ciò che vuole realizzare, nelle
performance ecc.).
Tende a suscitare simpatia negli altri.
Tende ad essere eccessivamente preoccupato/a
per le regole, le procedure, l’ordine,
l’organizzazione, la programmazione ecc.
È capace di riconoscere punti di vista alternativi
anche quando si tratta di argomenti che
suscitano emozioni forti.
Ha intuito psicologico; riesce a capire in modo
piuttosto sofisticato se stesso e gli altri.
Tende ad essere autocritico/a; si pone standard
irrealisticamente elevati ed è intollerante anche
verso i propri umani difetti.
Difficilmente si concede la possibilità di provare
forti emozioni piacevoli (per esempio,
eccitazione, gioia, orgoglio).
STILE DI PERSONALITA’ ISTRIONICO
1.
2.
Tende ad essere eccessivamente bisognoso/a o
dipendente;
richiede
rassicurazioni
o
approvazioni eccessive.
Tende ad attaccarsi agli altri in modo intenso o
veloce; sviluppa sentimenti, aspettative, ecc.
che non sono giustificati dal contesto o dalla
storia della relazione.
3.
4.
5.
Tende ad attaccarsi o a coinvolgersi
sentimentalmente con persone che non sono
emotivamente disponibili.
Tende ad essere suggestionabile o facilmente
influenzabile.
Tende ad essere eccessivamente seduttivo/a o
provocante dal punto di vista sessuale, sia
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6.
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12.
consciamente sia inconsciamente (per esempio,
può flirtare in modo inopportuno, essere
completamente assorbito/a dalle conquiste
sessuali, può essere incline a “tenere sulla
corda”).
Esprime le proprie emozioni in modi esagerati e
teatrali.
Fantastica di trovare l’amore ideale e perfetto.
È incapace di calmarsi o tranquillizzarsi da solo/a
quando è stressato/a; ha bisogno di un’altra
persona che lo/la aiuti a regolare gli affetti.
Tende a cadere in spirali emotive senza controllo
che conducono a estrema ansia, tristezza,
rabbia, eccitazione, ecc.
Tende ad avere paura di essere rifiutato/a o
abbandonato/a dalle persone che per lui/lei
sono emotivamente significative.
Tende a usare troppo il proprio aspetto fisico per
attirare l’attenzione altrui ed essere notato/a.
È tendenzialmente ansioso/a.
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20.
Tende a scegliere partner sessuali o amorosi
inappropriati per età, status (per esempio,
sociale, economico, intellettuale) ecc.
Tende a sviluppare sintomi somatici in risposta a
stress o conflitti (per esempio, mal di testa, mal
di schiena, dolori addominali, asma ecc.).
Le sue percezioni sembrano superficiali,
generiche, impressionistiche; fatica a mettere a
fuoco dettagli specifici.
Vuole essere al centro dell’attenzione.
Le sue emozioni tendono a cambiare
rapidamente, in modo imprevedibile.
Le emozioni forti tendono a farlo/a diventare
irrazionale; può mostrare un notevole declino
del proprio livello di funzionamento abituale.
Ha paura della solitudine; fa di tutto per non
restare solo/a.
Tende a essere coinvolto/a o rimanere in
relazioni in cui subisce abusi emotivi o fisici.
STILE DI PERSONALITA’ NARCISISTICO
1.
2.
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12.
13.
14.
15.
Ha fantasie di successo illimitato, potere,
bellezza, talento, ingegno, ecc.
Sembra che si sente privilegiato/a e di avere tutti
i diritti; si aspetta un trattamento preferenziale.
Si sente esageratamente importante.
Tende a trattare gli altri come un pubblico che
deve testimoniare la sua importanza, il suo
ingegno, la sua bellezza ecc.
Vuole essere al centro dell’attenzione.
Si aspetta di essere “perfetto/a” (per esempio,
nell’aspetto, in ciò che vuole realizzare, nelle
performance ecc.).
Tende ad essere arrogante, superbo e
sprezzante.
Fantastica di trovare l’amore ideale e perfetto.
Tende a pensare che gli altri siano invidiosi di
lui/lei.
Tende a provare invidia.
Tende
ad
essere
competitivo/a
(sia
consciamente sia inconsciamente).
Tende a credere che una persona come lui/lei
possa essere apprezzato solo da, o possa
frequentare solo persone che hanno uno status
elevato, sono superiori o in qualche modo
“speciali”.
Non ha relazioni né amici stretti.
Tende a sentire di non essere veramente se
stesso/a con gli altri; tende a sentirsi falso/a o
fraudolento/a.
Tende a usare troppo il proprio aspetto fisico per
attirare l’attenzione altrui ed essere notato.
PERSONALITA’ SANA AD ALTO FUNZIONAMENTO
1.
2.
3.
Apprezza e sa rispondere all’umorismo.
Sa usare i suoi talenti, le sue capacità e le sue
energie in modo efficace e produttivo.
È
tendenzialmente
coscienzioso/a
e
responsabile.
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4.
5.
Tende a sentire che la sua vita non ha significato.
Ha un’immagine del proprio corpo disturbata o
distorta, si trova poco attraente, grottesco/a,
disgustoso/a ecc.
Tende a sentirsi vuoto/a o annoiato/a.
Tende a reagire alle critiche con sentimenti di
rabbia ed umiliazione.
Ha paura di coinvolgersi in relazioni d’amore a
lungo termine.
Tende a considerarsi un emarginato/a o un/una
outsider, si sente privo di qualunque
appartenenza.
Ha poca empatia; sembra incapace di capire o
rispondere ai bisogni e ai sentimenti degli altri a
meno che non coincidano con i propri.
Cerca di avere potere o di esercitare la sua
influenza sugli altri (sia in modi benefici sia in
modi distruttivi).
Tende a idealizzare alcune persone in modi
irrealistici; le vede come “totalmente buone”,
fino a escludere la presenza anche dei difetti
umani più comuni.
Sente che una o alcune delle persone per lui/lei
importanti hanno una capacità speciale e quasi
magica di capire i suoi pensieri e i suoi
sentimenti più intimi (per esempio, può
immaginare che l’intesa fra lui/lei e questa
persona sia così perfetta da rendere superflui i
normali sforzi di comunicazione).
Trova significato nella sua appartenenza e nel
suo contributo ad una comunità più ampia (per
esempio, organizzazioni di vario tipo, chiesa,
associazioni di quartiere ecc.).
Riesce a stringere amicizie intime di lunga
durata, caratterizzate da sostegno reciproco e
condivisione delle esperienze.
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6.
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8.
9.
10.
11.
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13.
14.
Tende a esprimere affetti appropriati per qualità
e intensità alla situazione che sta vivendo.
Di solito trova soddisfazione e motivo di felicità
in quel che fa.
Ha intuito psicologico; riesce a capire in modo
piuttosto sofisticato se stesso/a e gli altri.
È creativo/a; sa vedere le cose o affrontare i
problemi in modi originali.
Ha standard morali ed etici e si sforza di vivere
alla loro altezza.
Sa mantenere una relazione amorosa
caratterizzata da un’intimità autentica e dalla
capacità di prendersi cura dell’altra persona.
Ama le sfide; prova piacere nel realizzare le cose.
È capace di trovare significato e fonte di
soddisfazione dell’educare o crescere le altre
persone.
Quando è necessario, sa essere assertivo/a in
modo efficace ed appropriato.
15.
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18.
19.
Riesce a trovare senso e soddisfazione nel
perseguire obiettivi ed ambizioni a lungo
termine.
È capace di riconoscere punti di vista alternativi
anche quando si tratta di argomenti che
suscitano emozioni forti.
Riesce ad ascoltare una notizia minacciosa sul
piano emotivo (cioè un’informazione che mette
in discussione le credenze e percezioni di sé e
degli altri che per lui/lei sono fondamentali), sa
usarla e trarne beneficio.
È empatico/a, sensibile e responsivo/a verso i
bisogni e i sentimenti degli altri.
Si sente a proprio agio in situazioni sociali.
126
11 BIBLIOGRAFIA
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