I FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA DOTTORATO DI RICERCA IN PSICHIATRIA Interventi Precoci nelle Psicosi Ciclo XXVI Esplorazione Dimensionale dei Disturbi di Personalità in pazienti schizofrenici e nei loro familiari di primo grado: una valutazione con la SWAP-200 Coordinatore Dottoranda Ch.mo Prof. Paolo Fiori Nastro Dott.ssa Maria Chiara Torti Tutors Ch.mo Prof. Massimo Biondi Dott. Fabio Di Fabio A. A. 2013-2014 «Tutto questo deriva da una sola colata. Ciò che prorompe catastroficamente nelle crisi saltuarie e nei capricci subitanei dei nostri pazienti catatonici come delirio di persecuzione, come un sistema assurdo, come un inceppamento disperato, come una rigidità pietrificata, come un autismo ostile, come negativismo e mutismo, questo stesso elemento è presente come uno Spirito familiare, con intensità diversa e con varianti sane e psicopatiche». (Kretschmer, 1918) Alle famiglie. INDICE RINGRAZIAMENTI 1 1 2 PSICOSI E PERSONALITÀ: CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE 1.1 L’INDIPENDENZA TRA PSICOSI E PERSONALITÀ: GLI ORIENTAMENTI CLASSICI 1.2 LA QUESTIONE DELLA CONTINUITÀ TRA PERSONALITÀ E PSICOSI: I TEORICI DELLO SVILUPPO SCHIZOFRENICO E LA SOGGETTIVITÀ DEL FENOMENO ELEMENTARE 1.3 6 11 CONFIGURAZIONI ABNORMI DELLA PERSONALITÀ COME SINDROMI PSICOTICHE SUBCLINICHE: L’APPROCCIO ORGANICISTA 12 1.4 15 LA VISIONE ANTROPOLOGICA E PSICODINAMICA DEL CONTINUUM PSICOSI-PERSONALITÀ 1.4.1 ERNST KRETSCHMER: LE PSICOSI COMPRENSIBILI ED IL CARATTERE 21 1.5 EVOLUZIONE NOSOGRAFICA DEI DISTURBI DI PERSONALITÀ CORRELATI ALLE PSICOSI 27 1.6 LE PERSONALITÀ SCHIZOTIPICHE E LO SPETTRO SCHIZOFRENICO 33 1.6.1 1.7 DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITÀ E PSICOSI DALLA SCHIZOFRENIA BORDERLINE AL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ 39 42 2 ANALISI DEGLI ATTUALI STRUMENTI DIAGNOSTICI DIMENSIONALI PER LA VALUTAZIONE DELLA PERSONALITÀ 49 2.1 16 PERSONALITY FACTORS QUESTIONNAIRE (16-PF) 52 2.2 EYSENCK PERSONALITY QUESTIONNAIRE (EPQ) 54 2.3 FIVE-FACTOR MODEL (FFM) 55 2.4 TEMPERAMENT AND CHARACTER INVENTORY (TCI) 57 2.5 MILLON CLINICAL MULTIAXIAL INVENTORY-III (MCMI-III) 58 2.6 SHEDLER-WESTEN ASSESSMENT PROCEDURE-200 (SWAP-200) 60 2.7 ALTRI MODELLI DIMENSIONALI 62 2.8 LIMITI DEI TEST SELF-REPORT DI VALUTAZIONE DELLA PERSONALITÀ 63 3 OBIETTIVI DELLO STUDIO 66 4 MATERIALI E METODI 68 4.1 DISEGNO SPERIMENTALE 68 4.2 POPOLAZIONE 70 4.3 STRUMENTI UTILIZZATI E VALUTAZIONI 70 4.3.1 LA SHEDLER-WESTEN ASSESSMENT PROCEDURE – 200 (SWAP-200) 70 4.3.2 4.4 5 LA STRUCTURED CLINICAL INTERVIEW FOR DSM-IV AXIS I DISORDERS (SCID-I) ANALISI STATISTICA RISULTATI 81 82 84 5.1 DESCRIZIONE DEL CAMPIONE 84 5.2 ANOVA ETÀ E SCOLARIZZAZIONE 84 5.3 PROFILI DI PERSONALITÀ: I PUNTEGGI PD 86 5.3.1 MANOVA GRUPPI PER LE SCALE PUNTI PD T DEL TEST SWAP-200 86 5.3.2 CONFRONTI PIANIFICATI 88 5.4 PROFILI DI PERSONALITÀ: I PUNTEGGI Q 94 5.4.1 MANOVA GRUPPI PER LE SCALE PUNTI Q DEL TEST SWAP-200 94 5.4.2 CONFRONTI PIANIFICATI 95 6 DISCUSSIONE 100 7 CONCLUSIONI 108 8 APPENDICE 109 8.1 TABELLE RIASSUNTIVE DEI CONFRONTI PIANIFICATI PER I PUNTI PD T 109 8.2 TABELLE RIASSUNTIVE DEI CONFRONTI PIANIFICATI PER I PUNTI Q T 112 9 ALLEGATO A 115 10 ALLEGATO B 120 11 BIBLIOGRAFIA 127 RINGRAZIAMENTI La tesi di Dottorato è un lavoro impegnativo, non tanto per la sua estensione nel tempo o per gli sforzi intellettuali che richiede, piuttosto perché è il frutto di un percorso nel quale si sceglie di mettersi personalmente in gioco. A conclusione di questo viaggio sento perciò il dovere ed il piacere di scrivere queste righe di ringraziamenti che da tanto tempo medito. Grazie al Prof. Biondi, per aver creduto in me e per avermi dato la possibilità di svolgere attività di ricerca e clinica nel D.A.I. di Neurologia e Psichiatria del Pol. Umberto I, e per avermi considerata da subito, e ormai da tempo, come “parte dello staff”, di una squadra di cui vado orgogliosa. Un ringraziamento particolare va al Dott. Di Fabio, con il quale la parola “tutor” ha acquisito un significato affettivo ed affettuoso che nel mio vocabolario personale resterà per sempre collegato a lui. Fabio ha respirato questa tesi con me, ideandola tanto tempo fa come progetto ambizioso ed affidandomela con piena fiducia. A lui sono anche riconoscente per avermi insegnato il coraggio ad assumermi delle responsabilità cliniche che forse, se non lo avessi conosciuto, come molti avrei aggirato e che ora mi hanno trasformato nella psichiatra che sono. Grazie al Prof. Fiori, per la disponibilità mostrata ad incontrarmi in ogni fase di questo cammino e, soprattutto, per le iniziative e l’impegno mostrato a noi dottorandi nel fare di questo Corso un iter formativo di alto livello, con offerte educative che non hanno temuto il confronto con i modelli internazionali a cui sempre noi italiani ci ispiriamo. Esprimo la mia gratitudine anche al Dott. Buzzanca, a cui attribuisco il merito del rigore scientifico che questo lavoro può vantare, e che non finirò mai di ringraziare per avermi insegnato ad integrare la statistica in uno studio sperimentale fin dal suo concepimento, senza più considerarla una expertise specifica riservata a pochi. Per me è poi una vera gioia ricordare le mie compagne di cammino: Sara, Camilla, Chiara e Vittoria. Ci siamo incontrate ad una tappa comune e abbiamo piacevolmente fatto parte della strada insieme, pur rimanendo ciascuna di noi diretta verso una destinazione diversa, personale. Di questa tratta insieme, che ci ha reso amiche più che colleghe, conserverò per sempre il ricordo, proprio come di un viaggio incancellabile da cui siamo uscite tutte un po’ trasformate. A martedì! Un pensiero speciale va poi alle famiglie, a cui questa tesi è intensamente dedicata. Grazie alle famiglie dei pazienti, per il loro offrirsi ai propri cari ed alla ricerca, e perché senza dubbio lavorare con loro è stata l’esperienza umana e professionale emotivamente più incisiva. Grazie alla “vecchia” famiglia, che mi ha cresciuta con affetti ed idee che mi sostengono ancora e sempre. Grazie alla “nuova” famiglia, a mio marito e soprattutto ai miei due piccoli fiori, perché con voi nella pancia e nel cuore ho intrapreso la strada e con voi a fianco la concludo. 1 1 PSICOSI E PERSONALITÀ: CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE Nel polideterminismo eziologico della psicosi schizofrenica, l’assenza di ipotesi patogenetiche certe e dimostrate è causa della difficoltà a raggiungere un criterio “definitivo e definitorio” univoco di questa patologia, che la colga cioè nel suo “nucleo essenziale”. Nel dibattito sia storico sia attuale, i modelli di definizione di questi disturbi appaiono continuamente modificabili sulla base di nuovi dati empirici, seppure via via più raffinati nel tempo. La molteplicità dei criteri valutativi che scaturiscono dalle osservazioni cliniche ha da sempre favorito un approccio tendenzialmente “ideologico”, in cui determinate definizioni sembrano ispirarsi, più che a dimostrazioni decisive, alla specifica tradizione e alle preferenze dei singoli gruppi di ricerca o delle Scuole di pensiero. In particolare, il problema tuttora irrisolto del movente iniziale, generatore della psicosi, ha suscitato un dilemma sul quale la psicopatologia si è da sempre interrogata. L’innesco psicotico è stato infatti individuato secondo una duplice prospettiva teorica: 1) causato da un meccanismo organico e quindi oggettivo e invariante, omogeneo per ogni paziente a prescindere dagli eventi di vita; i contenuti personali lo possono arricchire solo in un secondo momento, aggiungendosi a posteriori come reazione di adattamento o di coping e guidandone i successivi sviluppi; 2) costituito da un processo soggettivo, di tipo psichico, inscritto in un continuum personologico; esso appare quindi dotato ab initio di caratteristiche strettamente individuali, variabili ed eterogenee da persona a persona. A partire da queste due differenti posizioni concettuali, si sono sviluppate correnti di pensiero che hanno necessariamente investito la complessità dei rapporti che intercorrono tra configurazione della personalità e comparsa ed evoluzione delle psicosi, facendone un tema ricorrente nella storia della psichiatria. Coerentemente con la contrapposizione di prospettive descritta, fin dalle origini della psichiatria moderna l’osservazione clinica dei pazienti ha portato all’elaborazione di modelli interpretativi dicotomicamente distinti tra quelli che hanno fermamente sostenuto 2 la totale indipendenza tra personalità premorbosa e psicosi (Jaspers, 1913; Schneider, 1958) e quelli che le hanno al contrario considerate in rapporto di continuità (Bleuler, 1929; Kretschmer, 1934). In particolare, l’approccio alla psicopatologia delle psicosi ha assunto nel corso di un secolo una strutturazione ancora più radicalmente scissa secondo queste due direttive principali in seguito alle teorizzazioni di Jaspers relative alle nozioni di “processo” e “sviluppo”. Il processo si caratterizza come una “frattura” nel decorso di una vita, che conferisce a questa un carattere non unitario ed armonico, bensì diviso in due atti, in modo irreversibile ed inguaribile. Il processo insorge in un breve e ben definibile intervallo di tempo, in cui convergono anche i principali sintomi noti; mancano sia una causa scatenante sia una esperienza sufficientemente valida che possa permettere di inserire ciò che si osserva nel paziente nel campo del comprensibile e derivabile. Il processo è analogo, nel pensiero jaspersiano, alla malattia in senso medico, ed afferisce dunque al campo del somatico. Lo sviluppo di una personalità, invece, ha la sua causa in una singola disposizione intrinseca e realizza il suo corso senza fasi endogene evidenti e soprattutto senza fratture incomprensibili che mostrino, nel fluire di quella peculiare vita e storia, la presenza di un “prima” e di un “dopo”. Sono proprie di questo decorso vitale i disturbi funzionali comprensibili, che afferirebbero al campo dello psichico e sarebbero descrivibili sul piano clinico quali sindromi stabili o transitorie, in cui intervengono anche fattori psicogeni, e di fronte alle quali «il comprendere non subisce uno smacco, proponendosi come maggiorazioni, minorazioni o contaminazioni di modelli di funzionamento psicologico normale» (Sarteschi & Maggini, 1996). Nella prima prospettiva, la visione della schizofrenia è quella di una malattia organica insorgente in un individuo precedentemente sano, e in quanto tale parte di un processo ben definito e separato da tutta la vita psichica del soggetto precedente al momento dell’esordio psicotico. La psicosi è cioè un fenomeno primario che si abbatte e frattura il corso di un’esistenza fino a quel momento normale. D’altra parte, secondo le contrapposte teorie sull’eziologia della schizofrenia, si ammette l’ipotesi di uno sviluppo da una personalità preesistente, dotata di specifiche caratteristiche 3 e peculiarità, che in alcuni soggetti rimarrebbe tale per tutta la durata della vita, mentre in una minoranza evolverebbe, probabilmente anche per l’intervento di fattori ambientali, in schizofrenia conclamata. In questo senso, è nella personalità premorbosa che devono essere rintracciati quegli elementi psicologici di cui la psicosi non è altro che un’amplificazione. Da una simile dicotomia derivano considerazioni rilevanti non soltanto sul piano puramente concettuale, ma anche e soprattutto clinico, poiché dalla sua soluzione, ovvero dal prevalere di una determinata concezione eziologica e psicopatologica, origina la possibilità di comprendere in che cosa consista un esordio psicotico, da che cosa sia innescato e, conseguentemente, come si possa prevenire (Alessandrini & Di Giannantonio, 2005). È evidente, tuttavia, che le più interessanti linee di pensiero siano emerse proprio dalle zone di intersezione tra personalità e psicopatologia, a dispetto della loro storica separazione che si riflette peraltro ancora oggi nella consuetudine di attribuirle a due diverse aree di indagine -la prima più psicologica e la seconda di pertinenza psichiatrica- e nella tradizione nosografica di codificarle secondo due assi distinti. Attualmente, i diversi orientamenti ed indirizzi non possono che convergere sulla posizione di un’innegabile interdipendenza tra psicosi e disturbi di personalità: se da una parte si può ancora dibattere sull’eventuale presenza (e sulla direzione) del nesso causale che collega queste due aree psichiche, dall’altra non si può più negare l’idea che, in caso di comorbilità, esse non possono che influenzarsi vicendevolmente (Andersen & Bienvenu, 2011; Balaratnasingam & Janca, 2015; Berenbaum & Fujita, 1994; Schroeder, Naber, & Huber, 2014). E’ proprio per il rilievo, nella maggioranza degli studi, di elevati tassi di comorbilità tra disturbi di personalità e psicosi che il focus della ricerca ha progressivamente sempre più insistito su questa interdipendenza tra psicosi e personalità e, parallelamente, ha alimentato anche il crescente dibattito sull’abilità degli attuali strumenti psicometrici nell’identificare e valutare accuratamente gli aspetti personologici nell’ambito delle psicosi (Newton-Howes, Tyrer, North, & Yang, 2008). Una revisione sistematica della letteratura (Newton-Howes, Tyrer, North, et al., 2008) ha riportato una prevalenza dei disturbi di personalità nel 39,5% dei pazienti con diagnosi di 4 schizofrenia, simile a quella riscontrata in altre gravi patologie psichiatriche come i disturbi bipolari e le dipendenze da sostanze (40-60%) (Newton-Howes, Tyrer, North, et al., 2008; Schroeder et al., 2012). A confronto, solo il 6-13% della popolazione generale soddisfa i criteri lifetime per i disturbi di personalità (Huang et al., 2009; Paris, 2010). Nella suddetta revisione vengono anche considerate, però, le notevoli variazioni tra differenti studi (4,5100%), che presumibilmente riflettono le differenze metodologiche tra gli strumenti diagnostici selezionati e le diverse distribuzioni di queste diagnosi nei vari paesi. Il riscontro che gli individui con diagnosi di schizofrenia o di altri disturbi psicotici risultano affetti anche da almeno un disturbo di personalità in una proporzione circa tre volte superiore a quella dei soggetti senza patologie psicotiche è stato tuttavia confermato anche da McMillan e coll. (McMillan, Enns, Cox, & Sareen, 2009). Numerosi studi hanno anche rilevato l’associazione di questa comorbilità con outcomes peggiori (Berenbaum & Fujita, 1994; Lenzenweger, Lane, Loranger, & Kessler, 2007; Newton-Howes et al., 2010; Newton-Howes, Tyrer, Moore, & Nur, 2007). In particolare, la comorbilità dei disturbi di personalità con i disturbi psicotici è stata associata a un peggiore insight (Campos et al., 2011), maggior tasso di riospedalizzazioni (Fok, Stewart, Hayes, & Moran, 2014; Smith, Deutsch, Schwartz, & Terkelsen, 1993), aumento dei comportamenti violenti (Bo, Abu-Akel, Kongerslev, Haahr, & Simonsen, 2013; Moran et al., 2003), peggiore qualità di vita percepita (Buzzanca, Di Fabio, Boncori, & Biondi, 2010; Ritsner, Lisker, & Grinshpoon, 2014) e maggiore compromissione del funzionamento sociale (Jetha, Goldberg, & Schmidt, 2013; Moore, Green, & Carr, 2012; Newton-Howes, Tyrer, & Weaver, 2008; Ohi et al., 2012). I pazienti affetti da schizofrenia ed altre psicosi presentano inoltre alti livelli di comorbilità inter-cluster (Moore et al., 2012; Simonsen et al., 2008). Questo suggerisce la presenza di un effetto cumulativo dei tratti di personalità aberranti nelle psicosi e, allo stesso tempo, che una combinazione di dimensioni personologiche patologiche sia la norma piuttosto che l'eccezione tra le persone con schizofrenia. Gli studi di prevalenza e di comorbilità, come si vede, ribadiscono la necessità di definire paradigmi di interazione tra personalità e psicosi. 5 A tal proposito, Krueger e Tackett nel 2003 (Krueger & Tackett, 2003) hanno efficacemente sintetizzato i modelli avanzati che definiscono le relazioni tra Asse I ed Asse II in quattro categorie: • Predisposizione-Vulnerabilità: la presenza di un disturbo di Asse II, o comunque di un set specifico di tratti di personalità disfunzionali, aumenta la probabilità di sviluppare uno specifico disturbo di Asse I; • Complicazione-Cicatrice: rispetto alla prima categoria si propone una causalità inversa, per cui la presenza di un disturbo sull’Asse I può creare una “complicazione” o una “cicatrice” a livello della personalità; • Patoplasticità-Esacerbazione: i disturbi dell’Asse I e II, pur essendo indipendenti per eziologia ed insorgenza, possono influenzarsi reciprocamente, con un effetto sinergico (esacerbazione) o che modifica la modalità con cui il disturbo si esprime (patoplasticità); • Spettro: in questo caso i disturbi dell’Asse I e dell’Asse II non sono distinti fra loro, ma si dispongono lungo un gradiente o continuum, lo “spettro” appunto, che si estende dai tratti subclinici fino alla psicopatologia. Nel campo delle psicosi, in particolare, dei quattro modelli descritti la ricerca psichiatrica si sta progressivamente orientando ad adottare in modo sempre più fermo e conclusivo i concetti di “vulnerabilità”, intesa come diatesi ad ammalarsi di schizofrenia in risposta a stimoli endogeni ed esogeni multipli o concomitanti, e di “spettro”, prevedendo peraltro una loro stretta connessione. Tali direzioni sono guidate dalle recenti osservazioni che manifesti tratti di personalità siano sottesi da sistemi genetici e neurocomportamentali che fungono anche da fondamento endofenotipico, sottosoglia, dei sintomi psicopatologici (Gottesman & Gould, 2003). Segue una breve revisione dei principali orientamenti relativi alla questione del nucleo elementare delle psicosi e del suo rapporto con la dimensione personologica soggettiva che hanno condotto, nel tempo, alla moderna teorizzazione dei concetti indicati. 1.1 L’INDIPENDENZA TRA PSICOSI E PERSONALITÀ: GLI ORIENTAMENTI CLAS SICI Nella sua dissertazione sugli stadi che scandiscono l’esordio psicotico, Magnan (Magnan, 1998) riconosce il fenomeno elementare o primum movens dell’esperienza psicotica 6 (ovvero il suo momento causale) nel “periodo di incubazione”, corrispondente al “primo tempo” e caratterizzato da uno stato di «indefinito malessere, crescente inquietudine, supposizioni, idee vaghe di persecuzione». In questa descrizione, tale condizione di malessere indefinito, sia psichico sia somatico, consiste in sfumati sintomi negativi ed è cronologicamente precedente, e quindi primaria su un piano eziopatogenetico, rispetto ai susseguenti sintomi positivi quali «illusioni e interpretazioni deliranti» ed «allucinazioni dell’udito». Agli inizi del Novecento, anche de Clérambault (de Clérambault, 1920), coniando la celebre nozione di “automatismo mentale”, riconduce il primum movens delle psicosi a questa fase iniziale fenomenicamente attenuata, primaria ed antecedente rispetto ai successivi sintomi produttivi. Il “piccolo automatismo mentale” è un’alterazione priva di legami con la soggettività e quindi del tutto neutra ed impersonale. La sua natura anideica e anaffettiva spiega la sua corrispondenza con sintomi quali vuoto di pensiero, perplessità, giochi di parole, estraneità. La sua insorgenza automatica, ovvero meccanica, improvvisa ed inaspettata per il soggetto, coincide con il momento d’innesco psicotico, precedendo temporalmente lo stadio del “grande automatismo mentale”, quest’ultimo articolato in fenomeni ideoverbali, sensoriali e psicomotori. In altri termini, solo in un secondo momento, anche se rapidamente, il piccolo automatismo può evolvere in sintomi ben più conclamati come le allucinazioni, seguite a loro volta, quale ulteriore stadio, dai deliri. Poiché il piccolo automatismo appare identico in tutti i soggetti, de Clérambault, che è stato definito “l’organicista metaforico”, ne teorizza l’origine in un fondamento organico (Alessandrini & Di Giannantonio, 2005). L’Autore sostiene infatti che «l’organizzazione automatica è un risultato naturale della costituzione cerebrale» (Garrabé & Alessandrini, 2001), un meccanismo identico in tutti i soggetti, declinato solo secondariamente nel piccolo automatismo, seguito a sua volta dal grande automatismo. Il delirio è soltanto un’ulteriore reazione, configurandosi come l’unica tappa, derivata e finale, in cui fa la sua comparsa la soggettività e la personalità del paziente. Egli scrive: «Si può dire che nel momento in cui compare il delirio la psicosi è già vecchia. Il Delirio è semplicemente una Sovrastruttura» (de Clérambault, 1920). 7 Un analogo approccio ricompare in Bleuler (Bleuler, 1985), per il quale le psicosi, nel suo caso in particolare quelle schizofreniche, sono riconducibili ad una “malattia cerebrale”. Il primum movens conferma la sua natura impersonale ed omogenea per tutti i soggetti, inevitabilmente identificabile con un disturbo organico. In modo un po’ ambiguo ed apparentemente contraddittorio però, come si vedrà particolarmente nel concetto di “schizofrenia latente”, con la teoresi bleuleriana iniziano ad emergere anche contenuti relativi ad un’origine psicogena, soggettiva, che sembrano caratterizzare specificatamente proprio le fasi che precedono la patologia conclamata. Bleuler, infatti, mentre da un lato fa derivare da un’alterazione cerebrale i sintomi da lui denominati primari, dall’altro, influenzato evidentemente dal suo allievo Jung, attribuisce a cause psicologiche, i “complessi a tonalità affettiva”, i sintomi che classifica come secondari e accessori. Come già sottolineato, il problema dei complessi rapporti tra psicosi e personalità fu poi affrontato in maniera organica da Jaspers nella sua Psicopatologia Generale (Jaspers, 1913). Secondo il suo pensiero la personalità può modificarsi nel corso della vita in base a sole quattro diverse modalità: 1) in relazione all’età ed alle modificazioni biologiche del ciclo vitale; 2) in reazione ad eventi esterni di vita, siano essi a carattere soggettivo (lutto) o collettivo, quali le modificazioni socio-culturali (moda, costume); 3) in risposta a cambiamenti del “fondo” biologico individuale (malattie); 4) in conseguenza di alterazioni create da un ‘processo’ interno sconosciuto e che scatenano fenomeni psicopatologici del tutto nuovi rispetto alla precedente personalità del soggetto. Un processo con caratteristiche di acutezza prende il nome di “poussèe” o “spinta” (schaub). Le modificazioni di questo ultimo tipo non sono derivabili in alcun modo dalla personalità premorbosa: il processo infatti interrompe bruscamente la continuità esistenziale (Schneider, 1987). Jaspers propone dunque la non derivabilità (e quindi l’incomprensibilità) dei sintomi schizofrenici proprio come indice inequivocabile della natura processuale della malattia: 8 «Quando nel corso di una vita che si è sviluppata naturalmente fino a quel momento, insorge qualcosa di completamente nuovo (…) permanente, parliamo di processo». Viene proposta dunque una visione dei disturbi caratteriali come traduzione, su un piano personologico, del processo morboso di base. Pertanto essi possono essere considerati come sintomi analoghi a quelli più propriamente clinici. Con la nozione di processo, Jaspers riconferma e per certi versi sancisce l’impossibilità di stabilire una relazione comprensibile tra personalità pre-psicotica e malattia conclamata. Tale prospettiva viene ulteriormente drammatizzata in seguito al contributo di Schneider, che nel 1946 ottenne la cattedra di psichiatria ad Heidelberg. Per l’Autore, la psichiatria deve restare ancorata alla clinica abbandonando qualsiasi posizione filosofica e l’osservazione del clinico deve concentrarsi esclusivamente sulla patologia, diffidando di tutte le riflessioni sulla cosiddetta “normalità”. In questo senso, il suo maggiore contributo teorico, i cosiddetti sintomi di primo rango (first rank symptoms) (Schneider, 1987), non vengono tanto concepiti come quelli più elementari o nucleari della schizofrenia, ma quelli che ne permettono una diagnosi più affidabile. La prospettiva di Schneider è dunque estremamente clinica, trasversale, tesa a delineare un confine netto tra normalità e patologia. Le forme sfumate, in assenza di sintomi di primo rango produttivi, non vengono considerate schizofreniche. La drasticità dell’Autore riguarda anche la radicale separazione tra disturbo di personalità (che per lui è solo una “variante abnorme dell’essere psichico”) e schizofrenia p.d. (intesa invece come la traduzione clinica di un’alterazione biologica ancora sconosciuta). Nella sua concezione anche le cosiddette “personalità schizotipiche”, nonostante nella sua stessa descrizione ricapitolino evidentemente l’area della paucisintomatica schizofrenica, devono comunque tenersi ben distinte dalla psicosi schizofrenica. Poiché l’idea di un continuum sorge spontanea dalla stessa descrizione di Schneider, è evidente che la sua cesura drastica sia più ideologica che francamente empirica (Lorenzi & Pazzagli, 2006). In tempi più moderni, secondo la teoria dei sintomi di base, che appartiene alla tradizione psichiatrica della scuola di Heidelberg (Huber & Gross, 1995; Janzarik, Dening, & Dening, 9 1992; Stanghellini, 1992), l’orientamento della ricerca psichiatrica torna a rivolgersi nuovamente alla ricerca del nucleo elementare della patologia psicotica. Con concettualizzazioni sovrapponibili a quelle del filone teorico originario, anche qui il primum movens delle psicosi, prevedendo una base biologica, precisamente neurofisiologica, è ricondotto ad un meccanismo sempre identico e ricorrente in tutti i pazienti e dunque scollegato dalla dimensione personologica. I sintomi di base vengono concepiti come l’espressione del «livello più sfumato, minimale, della sindrome negativa che insorge precocemente nel decorso della malattia» (Maggini, 1999). Essi sono esperienze elementari anomale e disturbanti, prevalentemente di natura cognitiva ed autopercettiva, rilevabili soprattutto nelle fasi prodromiche della schizofrenia, dove costituiscono le fondamenta dei disturbi di depersonalizzazione e derealizzazione (Gross, Huber, & Klosterkötter, 1998; Klosterkötter, 1999). I sintomi di base rappresentano la manifestazione fenomenica di un disturbo fondamentale che colpisce la processazione delle informazioni e che riconosce il suo movente organicocerebrale in una disfunzione neurotrasmettitoriale del sistema limbico. Proprio in quanto sottesi da alterazioni di carattere neurofisiologico, i sintomi di base possiedono una supposta natura primaria e vengono considerati alla stregua di markers oggettivi, presenti (in maniera fluttuante) non solo in fase pre-psicotica, sotto forma di “sindromi d’avamposto” e di “prodromi”, ma anche nelle fasi intra-psicotica e postpsicotica, come “stadi di base”. Da ciò consegue che i sintomi di base siano dichiaratamente aspecifici, essendo presenti non solo in tutti i soggetti che poi svilupperanno disturbi psicotici compresi quelli su base organica (Gross, 1989), ma anche in soggetti che non la svilupperanno, o ancora in soggetti che evolveranno verso altri esiti psicopatologici (McGlashan, 1998). Allorché le condizioni d’innesco emotivo-situazionali superino la parziale incapacità del paziente a elaborare le informazioni, i sintomi di base evolvono e si intensificano in sintomi corrispondenti a quelli di primo rango di Schneider. 10 Nella fase pre-psicotica, tuttavia, essi emergono in presenza di conservate capacità di adattamento e di compenso, che sono invece soggettive (Gross & Huber, 1996). In altre parole, la personalità entra in gioco solo secondariamente declinando la specifica reazione di coping ad un’alterazione organica di fondo. Le prospettive fin qui esposte convergono nell’escludere ogni ipotesi dimensionalistica del problema del rapporto tra personalità e psicosi e nel non permettere un pensiero sinottico del quadro morboso (Lorenzi & Pazzagli, 2006). Pur ammettendo la possibilità che una data personalità possa predisporre alla nascita di un disturbo schizofrenico, gli orientamenti descritti sottolineano decisamente come nell’evoluzione dallo stato premorboso alla psicosi conclamata vi debba essere un “salto”, più che un “passaggio”: affinché si manifestino i sintomi clinici deve comunque aggiungersi un quid novum. Secondo contrapposte prospettive, si vedrà in seguito, è possibile che il fenomeno nucleare originario di una psicosi non risieda in un meccanismo oggettivo, impersonale ed invariante, ma tragga la sua genesi, che si potrebbe definire chiaramente psicogena, da un contenuto soggettivo, diverso da persona a persona. Da questo punto di vista, «il mancato rilievo della potenziale specificità soggettiva dei sintomi di base potrebbe condurre all’impossibilità di coglierne il senso più profondo» (Alessandrini & Di Giannantonio, 2005), precludendo l’identificazione dell’effettivo rischio individuale – non semplicemente statistico – di una evoluzione psicotica. La soggettività, dunque, non farebbe la sua comparsa solo nel modulare le risposte di coping ad un disturbo neurologico di base, ma costituirebbe la radice stessa della patologia, ed il suo elemento caratterizzante (Stefanis et al., 2002). 1.2 LA QUESTIONE DELLA C ONTINUITÀ TRA PERSON ALITÀ E PSICOSI: I TEORICI DELLO SVILUPPO SCHIZOFRENI CO E LA SOGGETTIVITÀ DEL FENOMENO ELEMENTARE Nel concetto di “processo” psicotico è insito un modello di discontinuità che appare diametralmente opposto a quello di stile di personalità e sue varianti abnormi. 11 Contro la drasticità di questa separazione fra personalità e psicosi, si sono distinte posizioni teoriche partite da due diverse direzioni: 1) sullo sfondo di una lettura più organicista, alcune hanno considerato i disturbi di personalità come l’organizzazione di sindromi a livello sub-clinico, oppure, 2) in base ad una visione più antropologica e psicodinamica, altre hanno ricercato dei fattori di continuità delineando un possibile percorso tra personalità e psicosi (Ballerini, 2010). Nei primi casi, il focus è più concentrato sulla lettura dei sintomi di una psicosi come un’esasperazione, una distorsione o un eccesso di un temperamento premorboso, presumendo quindi una similarità di base fra la personalità e la sintomatologia del disturbo psicotico. Negli altri casi l’attenzione si sposta più sull’interazione, ora eclatante ora sfumata, tra “struttura” e “processo”, considerato quest’ultimo a genesi psicogena o reattiva. In entrambi i casi, l’interesse di queste linee di pensiero converge nel tentativo di «(…) spiegare e comprendere i sintomi psicotici retrodatandone la matrice in un certo tipo di personalità» (Minkowski, 1927), e dunque tendendo a cogliere la globalità dell’individuo, il suo modello unificante di funzionamento strutturale al di là della frattura fra personalità e sintomo. Ordinandole seguendo un criterio puramente storico, nei paragrafi successivi verrà affrontata dapprima la posizione organicista, ancorata al principio dell’oggettività del fenomeno elementare, quindi quella più antropologica, orientata a considerare la personalità premorbosa non più come una condizione sottosoglia della psicosi ma come un fattore dinamico in grado di generarla. 1.3 CONFIGURAZIONI ABNOR MI DELLA PERSONALI TÀ COME SINDROMI PSI COTICHE SUBCLINICHE: L’APPROCCIO ORGANICISTA Una lunga tradizione di ricerca sugli indicatori della personalità premorbosa ha supportato la nozione che esistono inequivocabilmente differenze tra gli individui con aumentata suscettibilità alla schizofrenia a confronto con coloro privi di questa predisposizione. 12 Già nel 1860 Morel scriveva: «La follia non è che l’esagerazione del carattere abituale» (Morel, 1860). Egli aveva riconosciuto in molti “stati nevrotici” le manifestazioni del “periodo di incubazione della follia”, ed aveva descritto le predisposizioni temperamentali alla malattia mentale puntualizzando che, apparentemente, molte persone trascorrano la vita intera in tali condizioni di vulnerabilità, senza tuttavia mai manifestare psicosi. Kahlbaum, nel 1890 (Kahlbaum, 1890), descrisse una forma sfumata di ebefrenia, definita “eboidofrenia”, che si manifestava principalmente con semplici anomalie del carattere che includevano disturbi della condotta ed alterazione dei sentimenti sociali. Kraepelin notò come i sintomi apparissero “aggregare” le famiglie, poiché i familiari dei soggetti con disturbo schizofrenico esibivano una fenomenologia simile, ed un certo numero di anomalie, compresa una personalità eccentrica, pur non essendo francamente psicotici. Bleuler evidenziò che gli individui che sviluppano la schizofrenia manifestano bizzarrie nella personalità fin dall’infanzia e tendono a ritirarsi e ad isolarsi dagli altri. Egli, riprendendo il concetto di "schizoidia" introdotto in letteratura da Binswanger per etichettare l’assetto personologico premorboso dei soggetti con dementia praecox e le anomalie psicopatiche rilevate nei loro familiari, riutilizzò il termine per esprimere «(…) un modo di essere psichico che compare aumentato in maniera patologica nella schizofrenia e nel suo stato intermedio nelle persone psicopatiche, dette schizoidi», introducendo così il concetto di personalità schizoide come comune substrato costituzionale ed inaugurando, per molti inconsapevolmente, la stagione dello “spettro schizofrenico” (Pintus & Maggini, 1998). Nello schizoide, secondo l’Autore, viene meno il corretto equilibrio tra i due principi vitali fondamentali dell’esistenza umana: la "sintonia" (ovvero la capacità di vibrare all’unisono con l’ambiente) e la "schizoidia" (ossia la tendenza a sottrarsi all’influenza affettiva della realtà per favorire l’affermazione della dimensione personale). Il prevalere della componente schizoide porta al distacco dalla realtà ed al ripiegamento autistico su se stessi e rende l’individuo incapace di affermare la propria dimensione personale inserendosi sintonicamente nel succedersi degli eventi e modulando il proprio comportamento in 13 armonia al variare delle situazioni ambientali (Bleuler, 1929; Bleuler, Cancrini, Sciacchitano, & Vennemann, 1985). Bleuler sottolineò che in alcuni casi può verificarsi una transizione insensibile da una personalità premorbosa di tipo schizoide alla forma morbosa schizofrenica nella sua variante simplex, il cui esordio resta spesso inavvertito. Nella concezione bleuleriana la “schizofrenia simplex”, uno dei sottotipi di schizofrenia da lui sistematizzati, è la forma più nucleare della schizofrenia, fatta solo di sintomi fondamentali e con contemporanea e pressoché assoluta assenza di sintomi accessori , questi ultimi essendo «(…) aspecifici perché presenti anche in altre patologie mentali e meno importanti per la diagnosi della schizofrenia, non riscontrandosi, infatti, nelle sue forme più lievi e latenti; (…) essi, inoltre, possono mancare per un certo periodo di tempo o persino per tutto il decorso della malattia». Il quadro clinico sintomatologico della variante semplice, con la sua tipica coartazione della vita affettiva e sociale, pervade dunque immutato tendenzialmente tutto il decorso del disturbo. Poiché nella pratica ambulatoriale, la varietà simplex risultava essere un aggravamento quantitativo di un’anomalia, qualitativamente identica, già presente nei fratelli, nelle sorelle e nei genitori (per i quali spesso si richiedeva un consulto), Bleuler ne pone con acutezza in rilievo gli aspetti eredo-costituzionali. Sulla base del concetto di “schizoidia”, all’entità nosografica della “schizofrenia simplex”, Bleuler affianca quella della “schizofrenia latente”, che definisce proprio in rapporto alle forme semplici. Mentre nella forma simplex i sintomi fondamentali sarebbero presenti fin dall’inizio, seppure talvolta difficilmente diagnosticabili, in quella latente la diagnosi sarebbe possibile solo a posteriori, quando la patologia diviene conclamata, poiché i pazienti affetti in realtà «(…) passano per nevrotici, degenerati». Ciò rende l’orientamento diagnostico ancor più difficile, poiché solo alla luce di un franco esordio psicotico si chiarirebbero i sintomi del passato. Secondo Bleuler tutte le psicosi schizofreniche presentano una fase di latenza. Tale fase si potrebbe manifestare all’inizio con sintomi non psicotici ma nevrotici (Bleuler indica la iperpuntualità, l’irritabilità, la capricciosità…) o caratteriali (la stramberia, il romitaggio, la micro delinquenza, l’irresponsabilità…). La possibilità del viraggio della fase latente verso 14 una forma conclamata può arrivare reattivamente ad eventi di vita oppure non verificarsi mai, lasciando le schizofrenie latenti nella loro forma “pura”, schizoide. Il concetto di schizofrenia latente ha avuto sviluppi molto fecondi che vanno al di là della descrizione dell’Autore. Nonostante le intuizioni bleuleriane di schizoidia e soprattutto di schizofrenia latente abbiano avuto anche esiti concretamente negativi, quali l’estrema soggettivizzazione della diagnosi con un suo conseguente abuso quantitativo, foriero di una vera e propria “deriva nosografica”, nel dibattito post bleuleriano esse hanno indiscutibilmente avuto il grande merito di ricondurre l’attenzione clinica sulle possibili declinazioni caratteropatiche della psicosi schizofrenica, cioè su tutto quello che, nell’evoluzione della patologia schizofrenica, precede, concomita e segue la manifestazione sintomatologica eclatante. Con il pensiero di Bleuler, e come si è visto sopra, con quello di Jaspers, tuttavia, la psicopatologia resta ancorata ad una visione di disturbi di personalità come traduzione, nell’ambito temperamentale, di un processo morboso di base che affonda chiaramente le sue radici nel somatico. Solo successivamente, come si vedrà nel prossimo paragrafo, il pensiero psichiatrico si orienterà a considerare più chiaramente la derivabilità psicogenetica (e la comprensibilità) dei fenomeni psicotici. 1.4 LA VISIONE ANTROPOLO GICA E PSICODINAMICA DEL CONTINUUM PSICOSIPERSONALITÀ Minkowski fu allievo di Bleuler e, dopo di lui, responsabile di un contributo fondamentale alla ricerca della essenza della schizofrenia ma, più del suo maestro, orientato a cogliere le radici di tale essenza nell’unità strutturale dell’individuo. Il concetto di “disturbo generatore” (trouble generateur) (Minkowski, 1927; Stanghellini, Ambrosini, Ciglia, & Fusilli, 2009) nasce proprio dalla necessità di individuare un “sintomo più profondo” rispetto ai “sintomi di superficie” sui quali si basava la nosografia. Ne Il tempo vissuto (Minkowski, 1971) Minkowski esprime la necessità di pensare alla sindrome psicopatologica in termini di unità organizzata che funge da cardine ordinatore di tutti i sintomi. Il disturbo generatore, inteso come disturbo elementare che si rapporta alla personalità intera è un costrutto generatore di senso che non può essere ricercato tra i 15 sintomi clinici ordinari in quanto questi non sono costanti. Esso risiede su un piano più basico: «Il disturbo generatore corrisponde, sul piano psicologico, alla base anatomofisiologica delle sindromi somatiche. Tuttavia non avremo più a che fare qui con delle funzioni, ma con la personalità vivente, una e indivisibile». Per far questo, secondo l’Autore, bisogna «penetrare al di là degli elementi ideici e anche dei fattori emozionali di una sindrome fino alla struttura intima della personalità morbosa che serve da intelaiatura e agli uni e agli altri» (Minkowski, 1971). Una sindrome psicopatologica, in tal senso, non è meramente un’associazione di sintomi, ma «il modo in cui la personalità è situata in rapporto al tempo e allo spazio vissuti» (Stanghellini & Ambrosini, 2012). Pur essendo il disturbo generatore talora un concetto piuttosto ambiguo nella trattazione minkowskiana, è innegabile come la psicopatologia, soprattutto la scuola fenomenologica, riprendendo e valorizzando tale costrutto si sia orientata a considerare la vulnerabilità schizofrenica non più come “stato subclinico” ma come “fattore dinamico”, dotato di una propria spinta propulsiva che può arrestarsi in tratti o disturbi di personalità o sfociare in conclamate sindromi psicotiche. Su tale prospettiva si inserisce anche il percorso della teorizzazione delle cosiddette “schizofrenie borderline”, in cui certi tratti nevrotici sembrerebbero meglio inquadrabili supponendo una loro secondarietà rispetto ad un ‘nucleo psicotico’. Tali assunti , già evidenti nel concetto di “nevrosi borderline” di Clark (Clark, 1919) ebbero fecondi sviluppi in ambito soprattutto psicoanalitico e proseliti fino a tempi abbastanza recenti. Il percorso teorico in ambito psicodinamico, passando per le “paratassie personologiche” di Moore (Moore, 1921) e per la “schizofrenia incipiente” di Glover (Glover, 1932), (riferendosi entrambi i termini a manifestazioni nevrotiche che nascondono una patologia francamente schizofrenica, seppur attenuata), trova il suo compimento nel concetto di “personalità come se” (Deutsch, 1942), di “psicosi latente” (Federn, 1947) e, soprattutto, di “forme pseudonevrotiche di schizofrenia” le cui descrizioni, ad opera di Hoch e Polatin, presumono esplicitamente l’insorgere della schizofrenia come sviluppo da una personalità preesistente (Hoch & Polatin, 1949). I pazienti affetti da tali sindromi presenterebbero in modo apparentemente prevalente sintomi ansiosi, che maschererebbero però un disturbo psicotico latente (O'Connor, 16 Nelson, Walterfang, Velakoulis, & Thompson, 2009). La diagnosi di schizofrenia pseudonevrotica sarebbe confermata dalla compresenza di questi sintomi accessori (ansia intensa che permea qualsiasi attività del soggetto, disturbi del comportamento e disturbi “caratteriali”) e di sintomi principali di carattere psicotico (disturbi associativi e della forma e contenuto del pensiero, in particolare pensiero dereistico; disregolazione quantitativa e qualitativa dell’emotività con reazioni emotive improprie; ambivalenza dell’affettività e dell’intenzionalità; tendenza alla chiusura autistica; disturbi sensomotori e del sistema autonomo). Uno studio di follow up di 10 anni pubblicato nel 1962 mostrò che il 20% circa dei pazienti con tale sintomi -tra i quali oggi collocheremo il gruppo dei cosiddetti Ultra High Risk (UHR) per la psicosi (Fiori Nastro et al., 2012; Yung et al., 1996)- evolvevano verso una schizofrenia convenzionale (Hoch, Cattell, Strahl, & Pennes, 1962). Questi sintomi pseudonevrotici, situandosi proprio sulla linea di confine tra psicosi e gravi nevrosi, sono stati inquadrati pertanto come sinonimi di “stati borderline” (da non confondersi, come è noto, con l’odierno Disturbo Borderline di Personalità, avendo il concetto di “borderline” poi perso, nella sua evoluzione, il suo significato originale). In questo filone di pensiero, che coniuga aperture di tipo clinico nosografico con un fondo teorico psicodinamico, si colloca successivamente l’elaborazione concettuale del cosiddetto “carattere psicotico” di Frosch (Frosch, 1964), nel quale la patologia schizofrenica si tradurrebbe direttamente in tratti del carattere, senza la comparsa di franchi sintomi psicotici. In queste forme “bianche” o paucisintomatiche le saltuarie acuzie psicotiche prenderebbero la configurazione delle “bouffèes delirantes allucinatoires”. A sottolineare l’importanza dello sfondo soggettivo nel sottendere e plasmare i sintomi psicotici, sempre in ambito psicodinamico, è stata addirittura proposta la nozione di “disturbo schizofrenico di personalità” (Grotstein, 1990). Con questo termine Grotstein considera la vulnerabilità psicotica connessa ad una particolare dotazione genetica che, rifacendosi a Rado (1953), chiama "genotipo". Esperienze infantili di "catastrofe psichica", innescandosi su tale predisposizione, determinano il disturbo di personalità, definito anche “schizofrenia non psicotica”, termine mutuato da Bion (Bion, 1957), che si differenzia dalla malattia manifesta, essendo una dimensione personologica caratterizzata da dinamiche intrapsichiche e interpersonali 17 peculiari derivanti da un'attitudine deficitaria alle relazioni interpersonali con regolazione abnorme dell'affettività e grave intolleranza a perdite oggettuali e frustrazioni. Mentre dalla tradizione psicodinamica nasceva e si sviluppava questa atmosfera per la quale molti disturbi mentali, non più solo di tipo nevrotico ma anche di tipo psicotico, potevano essere causati da fattori psicologici e non meramente organici, parallelamente nell’Europa del Nord fu ripreso e approfondito il concetto di “psicogeno”, termine già utilizzato per la prima volta dallo psichiatra tedesco Sommer nel suo manuale di psichiatria del 1894 (Sommer, 1894) per definire alcuni meccanismi mentali che fin a quel momento erano comunque grossolanamente ricondotti al termine “isterico”. La tradizione scandinava delle psicosi psicogene o reattive e in particolar modo la teorizzazione di Wimmer, ripresa poi successivamente da Strömgren e Retterstøl, prestava particolare attenzione ai fattori psicologici nella genesi delle psicosi deliranti. La prima monografia sulle psicosi psicogene intitolata Forme psicogene di malattie mentali fu scritta nel 1913 da Wimmer, professore di psichiatria all’Università di Copenaghen dal 1921 al 1937, e pubblicata per la prima volta in danese nel 1916 (Castagnini, 2010; McCabe & Strömgren, 1975; Wimmer, 1916). Il suo lavoro rappresentò la prima globale indagine sul campo, riscuotendo notevole successo al punto da distinguersi come uno dei testi classici della psichiatria scandinava, ma, per ragioni linguistiche, è rimasto a lungo sconosciuto nel resto dell’Europa, essendo stato tradotto in inglese solo nel 2003 da Schioldann. I contributi della psichiatria tedesca e francese, come abbiamo visto, negli anni precedenti vertevano su tecniche puramente descrittive mentre, per Wimmer, doveva essere prestata più attenzione alle dinamiche dei meccanismi psicopatologici. In questo senso, egli sottolineò l’importanza del contributo di Freud alla psichiatria. Nella sua presentazione Wimmer afferma che le psicosi psicogene sono «varie psicosi, clinicamente indipendenti, la cui principale caratteristica è quella di essere causate – in genere su un terreno predisposto – da fattori mentali o traumi emotivi (“mental traumata”), nel senso che questi agenti determinano l’insorgenza della psicosi, il suo decorso (remissioni, esacerbazioni) e spesso anche la sua fine. Inoltre la forma ed il contenuto della 18 psicosi stessa riflettono i fattori mentali precipitanti in modo significativo, più o meno direttamente e comprensibilmente» (Wimmer, 1916). Le componenti basilari delle psicosi psicogene sono dunque: un adeguato trauma mentale; una stretta correlazione temporale tra il trauma e l’insorgere della psicosi; la determinazione, da parte del trauma, del contenuto della psicosi e una relazione tra il corso della psicosi e la situazione traumatica. Sul piano nosografico l’Autore si riferisce a due raggruppamenti di patologie: le sindromi affettive (che comprendono depressione psicogena, eccitazione psicogena e stati stuporosi) e reazioni paranoidi (di tipo prevalentemente persecutorio o espansivo), indotte tutte da specifici “traumi emotivi” (Castagnini, 2010). In tali quadri si sottintende comunque sempre la presenza di una specifica fragilità individuale predisponente. Per Wimmer il termine “psicogeno” descriveva idealmente questi disturbi, perché si riferisce sia al contenuto sia alla carica emotiva del trauma, in modo sovrapponibile alla nozione di “ideogenia” usata da Charcot per riferirsi alla psicogenesi dei sintomi isterici a partire da una determinata idea o rappresentazione mentale. L’opera di Wimmer costituì una rottura epistemologica nel dibattito post kraepeliniano contrapponendosi al “sacro” criterio di uniformità (di quadro clinico, decorso ed esito): si proponeva infatti una categoria variegata di disturbi psicotici reattivi, connessi a fattori emozionali e interpersonali, e che non necessariamente culminavano nell’indebolimento mentale e nel deterioramento cognitivo, considerato allora come comune ed inesorabile esito fatale delle psicosi schizofreniche. Un ulteriore approfondimento della caratteristiche ipotizzate come tipiche della personalità pre-psicotica fu successivamente opera di Muncie che, nel 1939, identifica quattro stadi attraverso i quali si snoderebbe l’evoluzione degli “stati paranoidi”, in ognuno dei quali un individuo potrebbe rimanere per tutta la vita o attraverso il quale potrebbe evolvere, in specifiche circostanze stressanti, allo stadio successivo: I. «Una struttura rigida della personalità, con incapacità di scendere a compromessi, e con tendenza alla sfiducia negli altri e alla ruminazione. II. La comparsa di idee all'interno del paziente che lo illuminano come se fossero rivelazione, quali gelosie, desideri di vendetta, forti ipocondrie, sospettosità, ecc. 19 III. Una continua elaborazione di queste idee da parte del paziente, con una chiusura nei confronti del mondo esterno che viene costantemente frainteso. IV. Una sistematizzazione di queste idee in modo coerente e logico, e a volte in modo complesso ed esteso in diverse aree della vita sociale, accompagnata da un riesame e una revisione del passato con falsificazione retrospettiva» (Muncie, 1939). Il paziente, raggiunto lo stadio 3, si può considerare affetto da uno "stato paranoide", altrimenti, a detta dell’Autore, presenta solo una "personalità paranoide" (Kendler & Gruenberg, 1982). Anche Meyer con la cosiddetta “Scuola psicobiologica americana di psichiatria”, pone l’attenzione sull’influenza di fattori psicologici nell’eziopatogenesi della schizofrenia, convinto che il paziente dovesse essere studiato longitudinalmente in tutto il corso della sua vita e che i suoi sintomi si potessero tutti spiegare inserendoli nel passato personale inteso sia in senso biologico, che sociale che psicologico. Alla base della malattia schizofrenica esisterebbe infatti una reazione soggettiva agli eventi, le cui variabili sono date dalla costituzione individuale (psico-biologica) e dal contesto socio ambientale (Meyer, 1952). Meyer ipotizzò che la dementia praecox altro non fosse che il risultato dell’accumularsi di alcune abitudini patologiche, chiamate “reazioni sostitutive”, poste in atto da soggetti incapaci di affrontare i problemi e le difficoltà della vita e pertanto esposti ad un insuccesso dopo l’altro. Inizialmente tali abitudini apparirebbero come banali strategie di evitamento o come espedienti innocui, come il sogno ad occhi aperti, la diminuzione degli interessi e la ruminazione (Lorenzi & Pazzagli, 2006). In seguito però tali comportamenti assumerebbero tratti rigidi, incontrollabili e francamente patologici, sfociando in allucinazioni, blocchi, deliri. Nella teoria di Meyer tali sintomi sarebbero comprensibili e derivabili poiché riconducibili a tentativi (ovviamente falliti) di un efficace adattamento a difficoltà concrete e reali. La dementia praecox sarebbe dunque l’evoluzione finale dovuta all’incapacità di un adattamento costruttivo e innocuo. Meyer coniò a tal proposito il nuovo termine di parergasia (incongruenza di comportamento), che però non incontrò i favori dei contemporanei e rimase limitata alla sua Scuola. Il pensiero di Meyer appare coniugare le idee di psicoreattività e psicogenesi sia con le teorie di derivazione psicodinamica (Freud, Jung ma anche Piaget), sia con una visione bleuleriana della patologia schizofrenica, rappresentando il primo tentativo della psichiatria americana di 20 elaborare una visione propria della malattia mentale con aspetti di originalità rispetto alle concezioni europee. Nell’approfondimento del problema del rapporto di continuità tra schizofrenia e personalità, un discorso a parte merita il contributo di Kretchmer, poiché dalla posizione teorica di questo Autore si è poi sviluppata una linea di pensiero a cui la presente trattazione si ispira in modo particolare. 1.4.1 ERNST KRETSCHMER: LE PSICOSI COMPRENSI BILI ED IL CARATTERE Uno dei più rivoluzionari contributi nella ricerca di una continuità tra personalità e schizofrenia verrà dato da Kretschmer, a cui possiamo attribuire la prima vera sfida alla dicotomia comprensibile-incomprensibile della lezione jaspersiana e di tutta la psichiatria organicista, fino ad allora devota al celebre monito di Griesinger per cui «Geisteskrankheiten sind Gehirnkrankheiten» (le malattie della mente sono malattie del cervello). La sua complessa teoresi si polarizza su due tematiche cruciali del pensiero psichiatrico, cogliendone peraltro dei nessi: 1) La valorizzazione del carattere, inteso come una realtà psichica in rapporto dinamico tra realtà esterna (gli eventi di vita) ed interna (il fondo temperamentale biologicamente determinato) della persona. Considerato come intermediario modulatore di questo rapporto circolare tra biologia ed ambiente, il carattere è inquadrato come uno stile personale predeterminato di interpretazione e di reazione agli avvenimenti. In questo senso il concetto di endon biologico jaspersiano sembra finalmente conciliarsi con un forte recupero del tema della reattività e, quindi, della comprensibilità (Lorenzi & Pazzagli, 2006); 2) La ricerca, che sembra derivare da Bleuler, di un nucleo “eidetico”, di un essenza della patologia schizofrenica. L’Autore può essere considerato senza esagerazioni il fondatore del paradigma bio-psicosociale, in quanto propone un modello incentrato sull’interazione tra aspetti temperamentali, personologici e sociali, teorizzando un potenziale percorso patogenetico che, in determinati ambiti costituzionali, da una specifica predisposizione (la “schizotimia”) 21 fa derivare, secondo gradienti patologici crescenti, dapprima la “schizoidia”, intesa come stato di confine tra il sano e il morboso, connotata da una disposizione autistica e da una struttura affettiva caratterizzata dalla coesistenza di anestesia e iperestesia emotiva, e successivamente la “schizofrenia” conclamata. Nella sua opera migliore, Körperbau und Charakter (Kretschmer, 1921), gli individui vengono prima classificati in base alla loro costituzione fisica, quindi i morfotipi ottenuti sono studiati in relazione alla schizofrenia ed alla depressione maniacale. Forte del supporto empirico dell’osservazione di 400 pazienti, sostiene che il tipo picnico è correlato con la malattia maniaco-depressiva, l’astenico con la schizofrenia ed il tipo atletico corrisponde a una sorta di stato di equilibrio. Sviluppa quindi le nozioni di schizotimia/schizoidia (e per i disturbi affettivi di ciclotimia/cicloidia) e sostiene che nella sequenza schizotimico (normale)-schizoide (patologico)-schizofrenico (gravemente patologico), esistono solo variazioni quantitative, di intensità. Per lui, c’è qualcosa di comune, di somigliante, di diverso solo per gradi, fra carattere e psicosi: «fra malato e sano esistono tutti i passaggi e tutte le sfumature che si possono immaginare». Come si vede, senza abbandonare la dicotomia tra schizofrenia e psicosi maniaco depressiva, ma addirittura sostenendo che le due entità necessitino per il loro sviluppo di tipologie somatiche specifiche, Kretschmer introduce un concetto fondamentale, ovvero quello di un continuum tra normalità e patologia: «Psicologicamente parlando, non siamo in grado di separare ciò che è schizoide per antonomasia dal pre-psicotico, dallo psicotico, dal post-psicotico, e dal non-psicotico. Possiamo solo ottenere la giusta idea dell’insieme, quando vediamo tutti questi aspetti confusi insieme». L'idea dello spettro continuo (di un potenziale) schizofrenico che, da gradienti normali, o schizotimici, si sposterebbe poi lungo sequenze variabili e zigzaganti verso gradienti di schizofrenicità scompensata e radicalmente psicotica, implica in qualche modo la comprensibilità di alcune psicosi deliranti, generate dall'intersezione di una predisposizione caratteriale, di un particolare ambiente sociale, e di una causalità psicologica scatenante. E l'idea, che permane tuttora negli psichiatri di lingua tedesca, della possibilità di una 22 schizofrenia reattiva e quindi comprensibile, presente in una percentuale non trascurabile di pazienti. E 'questa elaborazione teorica inaugurata da Kretschmer che ha dato alla luce l'approccio dimensionale, finalizzato a misurare le differenze quantitative di uno specifico substrato, qualificandone i sintomi per diversi gradi di intensità. Con Kretschmer l'approccio dimensionale ha iniziato il lento ma continuo processo d’integrazione con un approccio categoriale che si era già da allora rivelato insufficiente nell’individuazione dei dettagli e della complessità della malattia mentale. Oggi, il modello dimensionale è utilizzato per definire lo spettro schizofrenico, lo spettro dei disturbi affettivi e lo spettro ossessivo-compulsivo. Ciò che a noi appare ovvio è il prodotto di una riflessione su «quanta strada le categorie mediche abbiano dovuto percorrere per assumere questa prospettiva, cioè per pensare la malattia come un’entità complessa e coerente, che sta dietro a una molteplicità eterogenea di sintomi come una causa unitaria si nasconde e si esprime in luoghi e modi differenti» (Leoni, 2008). Kretschmer trova correlazioni non solo tra tipi di struttura corporea e tra i tipi di carattere, ma anche tra le prestazioni psicologiche e le funzioni fisiologiche, la predisposizione alle malattie somatiche e addirittura le reazioni ai farmaci. Tale edificio trova il suo coronamento nella scoperta della corrispondenza di tutti questi reperti sul piano ereditario. La struttura del corpo, il carattere, le psicosi, le disposizioni somatiche per le malattie «sono solo parti dell’effetto fenotipico dell’intera massa ereditaria». Kretschmer suppone che un «intero genotipo stia alla base» di tutto il quadro ramificato delle manifestazioni. Le psicosi, la personalità generale del paziente, l’individualità dei parenti, hanno un fondamento comune: «Tutto questo deriva da una sola colata. Ciò che prorompe catastroficamente nelle crisi saltuarie e nei capricci subitanei dei nostri pazienti catatonici come delirio di persecuzione, come un sistema assurdo, come un inceppamento disperato, come una rigidità pietrificata, come un autismo ostile, come negativismo e mutismo, questo stesso elemento è presente come uno Spirito familiare, con intensità diversa e con varianti sane e psicopatiche» (Kretschmer, 1918). 23 L’Autore ricerca una legge biologica, un fattore centrale, dalla cui origine si potrebbe comprendere tutto in modo unitario, il somatico e lo psichico, il sano e il morboso, ovvero la “costituzione generale dell’uomo”, la cui natura si manifesterebbe fin nelle qualità più sublimi del carattere ed in ogni funzione del corpo. Ciò è particolarmente evidente nella sua accezione di personalità prepsicotica, o schizoide. Questa sarebbe caratterizzata da una tendenza ad una maggiore proporzione “disestesica” (senza sintonia con la realtà), rispetto a quella “diatesica” o “sintonica”, che risulta invece prevalente nei caratteri non prepsicotici. Questo doppio movimento era già stato intravisto da Bleuler: sintonia è il principio della vibrazione all’unisono con il mondo, dello slancio estrospettivo ed espositivo dell’io; schizoidia il contromovimento di retrazione introspettiva da (e di) questa vibrazione. Nello schizoide di Kretschmer, la proporzione disestesica è rappresentata da due tendenze antinomiche che agiscono in modo inconciliabile: l’iperestesia (massima e dolorosa risonanza interna con la realtà esterna) e l’anestesia affettiva (indifferenza nei confronti della realtà fino al distacco e all’apatia). Kretschmer scrive: «Ci sono casi in cui l'autismo è prevalentemente un sintomo di ipersensibilità. Tali schizoidi ipereccitabili sentono tutti i duri, forti colori e le tonalità della vita quotidiana (…) come striduli, brutti, e non amorevoli, anche per il fatto di essere psichicamente dolorosi. Il loro autismo consiste in una dolorosa contrazione del sé in se stesso. Essi cercano, per quanto possibile, di evitare e di affievolire tutti gli stimoli dall'esterno; chiudono le persiane delle loro case, al fine di condurre una vita di sogno, fantastica, povera di fatti e ricca di pensiero». Lo schizoide è freddo ed ipersensibile simultaneamente e questa anomala affettività si ripercuote su tutte le altre attività psichiche, sul comportamento e sulle relazioni, improntate all’imprevedibilità e alla stravaganza: «Ha la chiave del temperamento schizoide, solo colui che ha chiaramente riconosciuto che la maggior parte degli schizoidi non sono ipersensibili oppure freddi, ma che essi sono ipersensibili e freddi allo stesso tempo, e, anzi, in miscele relazionali del tutto diverse». Dalla prevalenza della proporzione disestesica dipende quindi la modalità di reazione all’ambiente e, in particolare, sia il pericolo di ammalarsi (rischio patogenetico) sia le modalità espressive della malattia (rischio patoplastico). In questa disestesia col mondo, in 24 questa distonia schizoide che è l’espressione massima della difficoltà d’interazione con la realtà, Kretschmer rintraccia il nucleo dell’essere schizofrenico, il suo vero disturbo di base. Nella schizoidia starebbe l’eidos della schizofrenia (Lorenzi & Pazzagli, 2006). Già nella sua precedente monografia Der sensitive Beziehungswahn (1918), l’opera minore in cui Kretschmer teorizza l’applicazione della psicoterapia ai disturbi deliranti «fino al confine con le psicosi schizofreniche», si presumono le basi di questo passaggio fatto di continui rimandi tra fondo temperamentale, stile di esistenza connotato da gravi turbe caratterologiche e manifestazioni cliniche franche. Da sempre attratto da tutto ciò che è la "parte sommersa dell’iceberg", che considera la componente fondamentale della psicopatologia, in questo saggio Kretschmer impone il delirio di rapporto sensitivo come prototipo del delirio comprensibile (Ballerini & Rossi Monti, 1990). Nella ricerca della causa del delirio, Kretschmer allude a un ordine spezzato nel rapporto tra io e mondo, che spiega l’autoreferenzialità dell’esperienza delirante. Si apre così la questione del rapporto tra delirio e persona delirante e della sua derivabilità psicogenetica: il delirante, dirà l’Autore, vive in una diversa comunicazione con il mondo. Poiché non esiste io senza mondo, non esiste delirio senza relazione (Trizzino, 2014). Il delirio, cioè, «ha carattere di rapporto, poiché vissuto dal soggetto come l’esperienza cruciale al centro del rapporto con una persona o con un gruppo» (Di Petta, 2009). Secondo il noto tripode kretschmeriano, il delirio insorge a seguito del peculiare incontro tra 1) una struttura di personalità definita “sensitiva”, caratterizzata da specifiche zone di fragilità, 2) un avvenimento o “evento chiave” (erlebnis) dotato di preciso valore patogeno perché incisivo proprio su quei loci minoris resistentia della personalità e 3) ambiente. Il carattere sensitivo è definito come la contrapposizione di un elemento temperamentale astenico (caratterizzato da sentimenti di inferiorità, d’insufficienza, di debolezza, di soggezione, con tendenza a sottovalutarsi, all’arrendevolezza, all’incertezza e, soprattutto, alla mortificazione morale e alla vergogna) con un pungolo, una spina stenica (sentimento di superiorità, di forza, con tendenza alla sopravvalutazione di sé, fino all’aggressività ed alla rabbia). Una disposizione temperamentale di tipo sensitivo, se esposta a situazioni 25 sociali umilianti, sviluppa esperienze di ordine psicotico all'interno delle quali si può cogliere una comprensibilità centrata sull'organizzatore psicopatologico “vulnerabilità alla vergogna”. Il vissuto di vergogna è «il filo conduttore dell’interpretazione del delirio sensitivo» (Ballerini & Rossi Monti, 1990). Su questo terreno di base, l’erlebnis, «per il suo significato affettivo emotivo assume un valore psicodinamico e determina una reazione» (Sarteschi & Maggini, 1996). L’evento chiave, sia esso realmente vissuto o semplicemente rappresentato, è in genere obiettivamente modesto, ma dotato di un particolare significato emozionale tale da incidere specificatamente su zone particolarmente fragili della personalità ed assumere un preciso valore patogeno, aprendosi un varco nell’immagine di sé del paziente, entrando in risonanza con aspetti da cui sembra dipendere l’autostima e generando una reazione psicogena (intesa come risposta abnorme per intensità, durata o espressione clinica rispetto all’evento): «affilato come un rasoio, l’evento chiave va a toccare proprio il punto debole, rafforzando ed inasprendo i conflitti interiori» (Schneider, 1958). L’evento chiave apre la serratura del carattere. Dopo l’evento, tutta la storia personale del paziente sembra restarvi ancorata e sospesa. Sintomatologicamente, il delirio di rapporto sensitivo appare in forma acuta caratterizzato da quadri paranoidi in cui spiccano le tematiche di riferimento e di nocumento (soprattutto relativi all’offesa di beni spirituali quali la reputazione, la rispettabilità, la giustizia). Come si vede, in tutto il pensiero di Kretschmer, in modo mirabile sia per gli aspetti intuitivi, sia per la raffinata sintesi, sia per l’eleganza narrativa, si rintraccia il fondamento di una vera e propria rivoluzione copernicana nella storia della psicopatologia: a dettare lo sviluppo e le caratteristiche della sindrome psicotica conclamata sarebbe la costituzione formale, fondata biologicamente e con caratteristiche ereditarie, della personalità preesistente. I segni psicopatologici apparirebbero quindi come «dispiegamento di alcuni tratti temperamentali preesistenti, un’ampliazione del modo di essere originario del soggetto tanto che sarebbe possibile dimostrare un continuum comprensibile di motivazioni tra la condizione basale di partenza e la sindrome morbosa» (Ballerini & Rossi Monti, 1990). 26 1.5 EVOLUZIONE NOSOGRAFICA DEI DIST URBI DI PERSONALITÀ CORRELATI ALLE PSICOSI Il modello del continuum tra definiti disturbi di personalità e schizofrenia ha trovato supporto negli studi familiari. Le evidenze provenienti dagli studi di Kety sul registro danese delle adozioni (Kety, Rosenthal, Wender, & Schulsinger, 1968; Kety, Rosenthal, Wender, & Schulsinger, 1971) avevano ben rilevato come certe caratteristiche afferenti all’ambito della paucisintomaticità schizofrenica fossero molto frequenti anche tra i consanguinei di pazienti schizofrenici, mentre non si mostrassero tra i conviventi. In particolare, nei familiari dei pazienti affetti da schizofrenia era stata evidenziata una sintomatologia rappresentata non solo da anomalie cognitive (sospettosità, pensiero magico) e percettive ma anche da disturbi della sfera emotiva (introversione, ansia sociale, impulsività) e comportamentale (bizzarrie e ritiro sociale). In altre parole, da un punto di vista clinicosintomatologico, le personalità dei consanguinei di primo grado sembravano riproporre, seppure in forma quantitativamente più sfumata, tutto ciò che è nucleare alla patologia schizofrenica. Queste osservazioni introdussero nella letteratura psichiatrica il concetto di “spettro schizofrenico”, al cui interno sono state collocate non solo le forme acuta e cronica della malattia conclamata, ma anche tutte le sue declinazioni subcliniche, caratteropatiche e nevrotiche (schizofrenia latente, pseudonevrotica, ambulatoriale, personalità schizoide), che nel loro insieme furono fatte confluire nella “schizofrenia borderline”, nozione psicopatologico-genealogica correlata alla schizofrenia (Kety, 1985; Maggini & Pintus, 1986). La categoria nosografica del borderline, nata dal rilievo, molto antico, di anomalie caratteriali che stanno ai “bordi” della patologia schizofrenica ma anche in stretta connessione con il nucleo della schizofrenia, collocandosi sul piano fenomenico nella “terra di nessuno” tra le nevrosi e le psicosi, veniva fino ad allora utilizzata, soprattutto in un’ottica psicodinamica, per connotare due aree sindromiche apparentemente non proprio sovrapponibili (Migone, 1999): 27 1) Una prima area caratterizzata da pazienti che spesso confondevano il clinico, non facilmente etichettabili nosograficamente ma con sintomi non chiaramente psicotici, che mostravano una refrattarietà al trattamento psicoanalitico, il quale addirittura in alcuni casi poteva rivelarsi controproducente e “slatentizzante” una sintomatologia acuta. 2) Una seconda area composta da disturbi collegati fin dall’inizio con la schizofrenia. In questo gruppo rientravano i pazienti che, sebbene non propriamente diagnosticabili come schizofrenici, avevano avuto una sintomatologia psicotica acuta eclatante e che poi ne erano usciti pur continuando a manifestare sintomi, vissuti e comportamenti clinicamente rilevanti. Sulla base di questa ripartizione grossolana e a tratti confusiva, che portava ad utilizzare la categoria di borderline come un grande “scatolone” in cui lasciar confluire tutti i pazienti non facilmente diagnosticabili, con l’avvento del DSM-III (APA, 1980), la necessità di una più chiara categorizzazione ha portato alla bipartizione della schizofrenia borderline in due entità nosografiche: il Disturbo Borderline di Personalità, inizialmente delineato senza includere la componente psicotica, ma ancora molto vicino alle descrizioni di Hoch e Polatin di schizofrenia pseudonevrotica (Hoch & Polatin, 1949; Rieder, 1979) ed il Disturbo Schizotipico di Personalità, i cui criteri diagnostici dimostravano al contrario un’elevata sensibilità nell’individuare, in studi familiari retrospettivi su campioni estratti dagli studi danesi, i consanguinei dei pazienti schizofrenici (Gunderson, Siever, & Spaulding, 1983; Kendler & Gruenberg, 1984; Kendler, Gruenberg, & Strauss, 1981). Tutte le forme fenomenicamente meno gravi e non psicotiche, che si confondono con aspetti abnormi della personalità, trovano dunque la loro comune origine nel concetto preDSM-III di “borderline” e subiscono un ulteriore drastico rimaneggiamento nella loro nuova collocazione nosografica nell’ambito dell’Asse II. Nella sistematizzazione del DSM-III, infatti, il Disturbo Schizotipico di Personalità ha accolto anche alcune personalità schizoidi che non trovavano più posto nel ridimensionato Disturbo Schizoide di Personalità, ridotto, nel manuale, ad una categoria «anemica» e «descrittivamente pallida» (Akhtar, 1987; Maggini & Pintus, 1998). Il rimodellamento (o meglio ridimensionamento) della ben più ampia nozione kretschmeriana di schizoidia è stato ricondotto ad una rilettura impropria dei suoi scritti ad opera di Millon (Millon, 1981), esitata nella scissione della proporzione psicoestesica nelle sue componenti costitutive (anestesia e iperestesia emotiva) che non sono più, come voleva l’Autore tedesco, “fuse insieme”, ma separate nelle caratteristiche 28 fondanti di due distinti disturbi di personalità, rispettivamente del Disturbo Schizoide e del Disturbo Evitante di Personalità. La classica configurazione fenomenica della personalità schizoide è stata quindi frammentata nel DSM-III in tre distinti Disturbi di Personalità (Schizoide, Evitante e Schizotipico). Inoltre, in nome di un’impostazione dichiaratamente ateoretica e puramente descrittiva, e sulla base di alcune affinità fenomeniche (soprattutto la stranezza e l’eccentricità), ai Disturbi Schizotipico e Schizoide il DSM ha affiancato anche il Disturbo Paranoide di Personalità, derivandolo dalle descrizioni del carattere sensitivo di Kretschmer e riunendo i tre disturbi all’interno dello spettro schizofrenico nel Cluster A (Maggini & Pintus, 1998). Questa impostazione, rimasta praticamente immodificata anche nelle successive revisioni dei DSM, suggerisce come il pensiero psichiatrico sia giunto, dopo un secolo di riflessioni, a far propria l’esistenza di una continuità in termini “spettro” sotteso non solo da una prospettiva fenomenica ma anche da un unificante substrato genetico-biologico. In questo spettro, alla schizofrenia si affiancano il Disturbo Schizotipico e il Disturbo Schizoide e, in modo più controverso, il Disturbo Paranoide di Personalità (a scopo sinottico la Tabella 1.1 mostra la classificazione dei Disturbi di Personalità nelle diverse versioni del DSM). La breve sintesi storica ora esposta, tuttavia, mette in evidenza anche due importanti limiti nosografici, dovuti all’approccio necessariamente categoriale dell’attuale sistema classificativo: 1) viene mantenuta la schneideriana contrapposizione “malattia-psicopatia” (disturbi di Asse I - disturbi di Asse II) e 2) resta ambigua la collocazione dei fenomeni psicopatologici espressione di una suscettibilità psicotica che possono essere individuati clinicamente anche in disturbi di personalità diversi da quelli inclusi nel Cluster A. Relativamente al primo punto, nel DSM-5 (APA, 2013) la questione è stata apparentemente risolta con la soppressione del sistema multiassiale, ma nella sostanza semplicemente rimandata ad un futuro prossimo, con l’introduzione di una doppia classificazione dei disturbi di personalità: accanto ad un sistema categoriale del tutto identico a quello precedente (con il mantenimento delle stesse categorie diagnostiche e degli stessi criteri del passato) è stato incluso nella sezione III (“Proposte di nuovi modelli e strumenti di 29 valutazione”), un Modello alternativo del DSM-5 per i Disturbi di Personalità secondo un approccio ibrido dimensionale-categoriale. Per quanto concerne il secondo punto, appare macroscopicamente insufficiente, dal punto di vista fenomenico, che la nosografia non ammetta elementi personologici di tipo evitante tra i tratti premorbosi di predisposizione alla schizofrenia. Anche la scorporazione del Disturbo Borderline dallo spettro schizofrenico, pur sembrando fondata in base alla maggioranza delle espressioni clinico-sintomatologiche, lascia tuttavia irrisolta la questione relativa alla natura dell’esperienza psicotica nel paziente borderline. Si è già discusso di come molte evidenze di letteratura abbiano infatti definitivamente dimostrato il coinvolgimento di diversi disturbi di personalità, se non nella patogenesi, sicuramente nella modulazione patoplastica delle modalità espressive dei fenomeni psicotici (Cuesta, Peralta, & Caro, 1999; Moore et al., 2012; Peralta, Cuesta, & de Leon, 1991; Schroeder et al., 2012; Skokou & Gourzis, 2014). In questo ambito, studi che si sono concentrati sulle caratteristiche della personalità premorbosa al primo episodio psicotico, hanno rilevato il coinvolgimento anche di dimensioni e tratti ulteriori rispetto a quelli tipicamente compresi nel Cluster A. Tra gli altri in particolare, lo studio di Cuesta e coll. (Cuesta, Gil, Artamendi, Serrano, & Peralta, 2002), esaminando le correlazioni tra dimensioni psicopatologiche all’esordio psicotico valutate con la Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS) (Kay, Flszbein, & Opfer, 1987) e dimensioni personologiche premorbose valutate con la Personality Assessment Schedule (PAS) (Tyrer, 2000), ha rilevato che la dimensione psicopatologica negativa è in forte associazione non solo, come atteso, con le dimensioni di personalità schizotipica e schizoide, ma anche con quella dipendente; altre correlazioni rilevanti sono state riscontrate tra le dimensioni psicopatologiche di ostilità e sospettosità e le dimensioni personologiche dipendente e sociopatica. Più recentemente, il lavoro di Schultze-Lutter e coll. (Schultze-Lutter, Klosterkotter, Michel, Winkler, & Ruhrmann, 2012) ha riscontrato, tramite la somministrazione di uno strumento self-report (Woschnik & Herpertz, 1994), un’elevata frequenza di disturbi di personalità (46%) in un campione di 100 soggetti suddivisi in due sottogruppi, ovvero a rischio di transizione psicotica (n=50) e senza transizione psicotica (n=50). Inaspettatamente, a confronto con i Disturbi di Personalità del Cluster B (31%) e del 30 Cluster C (23%), i Disturbi di Personalità del Cluster A risultavano essere i meno frequenti (14%) ed in particolare il Disturbo Schizotipico appariva il meno rappresentato (7%) e non predittivo di transizione psicotica. Come anche ribadito dallo stesso gruppo di lavoro con attualissime nuove acquisizioni (Schultze-Lutter, Klosterkotter, Nikolaides, & Ruhrmann, 2015), nell’ambito della ricerca sulla prevenzione delle psicosi, dunque, i fattori e le dimensioni personologiche dovrebbero essere considerati e valutati in un’ottica più ampia rispetto a quella canonicamente focalizzata sul Cluster A e sulla schizotipia, non solo (e non tanto) per il loro valore nel facilitare l’early detection quanto, soprattutto, per la loro importanza nell’orientare gli approcci di early intervention. Per l’indagine dei rapporti tra disturbi di personalità e psicosi che il presente lavoro si propone, verranno ora prese in esame più nel dettaglio le singole aree personologiche storicamente e fenomenicamente correlate alla psicosi, partendo dall’origine del costrutto diagnostico ed esaminandone le connessioni patogenetiche e cliniche con le psicosi alla luce delle recenti acquisizioni della ricerca. 31 DSM-I DSM-II TIPI PERSONOLOGICI PATTERN MALADATTIVO DI COMPORTAMENTI Inadeguato Paranoide Inadeguato Paranoide Ciclotimico Schizoide Ciclotimico Schizoide DSM-III DSM-IV DSM-III-R DSM-IV-TR CLUSTER A CLUSTER A Paranoide Paranoide Ciclotimico** Schizoide Schizotipico Ciclotimico** Schizoide Schizotipico CLUSTER B CLUSTER B Isterico Istrionico Istrionico Reazione Antisociale Antisociale Antisociale Antisociale Reazione Dissociale Dissociale (esplosivo) Esplosivo Intermittente** Deviazioni Sessuali** Disturbo da Uso di Sostanze** Esplosivo Intermittente** Parafilie** Disturbo da Uso di Sostanze** Borderline Narcisistico Borderline Narcisistico CLUSTER C CLUSTER C Emotivamente instabile DIST. SOCIOPATICO Perversioni sessuali Dipendenza da sostanze Astenico DISTURBI DI TRATTO Passivo-Aggressivo Aggressivo Dipendente Compulsivo Passivo-Aggressivo Passivo-Aggressivo Ossessivo-Compulsivo Dipendente Compulsivo Evitante Dipendente Ossessivo-Compulsivo Evitante SEZ. V APPENDICE: APPENDICE: DIST. PERSONALITA’ Autofrustrante Passivo-Aggressivo* E ALTRI NON PSICOTICI Sadico Depressivo * Inserito in Appendice ** Inserito in Asse I Tabella 1.1 Classificazione dei Disturbi di Personalità all’interno delle diverse versioni del DSM (1952-2000) (Madeddu & Di Pierro, 2014) 32 1.6 LE PERSONALITÀ SCHIZ OTIPICHE E LO SPETTRO SCHIZOFRENICO La ricerca sulla schizotipia coincide con quella volta alla delineazione dei confini genetici e fenomenici dello spettro schizofrenico. Fra i Disturbi di Personalità del Cluster A, infatti, il Disturbo Schizotipico spicca tra gli altri per essere stato maggiormente oggetto di attenzione da parte dei lavori scientifici, che tuttavia si sono concentrati più sulla definizione dei suoi rapporti con la schizofrenia che non sull’entità clinico-diagnostica di Disturbo di Personalità in quanto tale. La stessa accezione storica del termine schizotipico, proposto originariamente da Rado (Rado, 1953) per indicare l’espressione fenotipica di un genotipo schizofrenico, rimanda a forme morbose paucisintomatiche di schizofrenia. Già Schneider (Schneider, 1933, 1958) aveva ricondotto l’area della paucisintomaticità schizofrenica all’organizzazione schizotipica della personalità. Egli, nella consueta ottica empirica che caratterizza il suo stile, ne indica anche i sintomi necessari per fare diagnosi: pensiero magico, idee di riferimento più o meno sfumate, linguaggio bizzarro, comportamento eccentrico, esperienze percettive inusuali, relazioni interpersonali inadeguate, sospettosità ed ideazione paranoide. Come già precedentemente ricordato tuttavia, nell’inquadramento schneideriano, questi correlati personologici della patologia schizofrenica sono tenuti ben distinti dalla schizofrenia p.d., nonostante l’idea di spettro sorga spontaneamente già dalla loro stessa descrizione. Successivamente, Meehl (Meehl, 1962; Meehl, 1989) aveva suggerito il termine “schizotassia” per indicare il “difetto integrativo neuronale” geneticamente determinato, e quindi ereditario, che predispone alla schizofrenia, ovvero il requisito necessario per lo sviluppo della patologia coincidente con la condizione di vulnerabilità genetica. La schizotipia, in questo modello patogenetico, è l’organizzazione personologica, caratterizzata da peculiari tratti costituzionali quali anedonia, ambivalenza, asocialità e distorsioni cognitive, che si sviluppa nel soggetto schizotassico in seguito all’interazione con sfavorevoli circostanze ambientali. La schizotipia, che è in questo senso la manifestazione fenotipica della vulnerabilità genetica, in alcuni individui può quindi evolvere in schizofrenia 33 conclamata. Ciò avviene in base alla pressione degli eventi ambientali stressanti nonché a quella genetica dei cosiddetti “potenziatori poligenici”, fattori aspecifici che, data la presenza dello “schizogene” e della schizotipia, aumentano la possibilità di uno scompenso psicotico (ne sono esempi alcune dimensioni di personalità): «tutti gli schizotassici divengono schizotipici nella loro organizzazione di personalità, ma molti restano compensati; solo una minoranza, per insufficienze costituzionali e sottoposta all’influenza di madri schizofrenogene, è spinta poi verso la schizofrenia clinica». Dopo Meehl, il termine schizotipico è stato poi riproposto da Spitzer (Spitzer, Endicott, & Gibbon, 1979) per indicare quel sottotipo di personalità borderline riferito alle varietà attenuate e non psicotiche di schizofrenia e fondato sulle definizioni di schizofrenia latente (Bleuler, 1985) e pseudonevrotica (Hoch & Polatin, 1949). Da questo schema di riferimento, nonché dall’idea di personalità schizotipica come indicata da Schneider (Schneider, 1958), sono stati derivati, nella loro formulazione definitiva, i criteri diagnostici del DSM-III per il Disturbo Schizotipico. Tutte le successive revisioni del Manuale Statistico-Diagnostico si sono allineate su questi criteri ed al paradigma diagnostico di questo disturbo sono stati apportati solo modesti cambiamenti. Pur essendo stato collocato, dalla sua origine fino alla classificazione del DSM-IV-TR (APA, 2000), insieme agli altri Disturbi di Personalità su un asse distinto rispetto ai Disturbi Psicotici, la sua relazione stretta con la schizofrenia è sempre stata così documentata da suggerire l’opportunità di collocarlo tra i disturbi di Asse I, così come già accaduto per le forme attenuate dei Disturbi dell’Umore. Infatti, già nel DSM-IV (APA, 1994) viene indicato come esempio di disturbo di personalità che può avere «una relazione a tipo spettro con particolari condizioni di Asse I». L’avvento del DSM-5, con l’abolizione del sistema multiassiale, ha eliminato drasticamente la riproposizione del problema. Da sottolineare, tuttavia, come nell’ICD-10 (WHO, 1992) il termine “schizotipico” sia utilizzato come sinonimo di “schizofrenia latente” e identifichi una sindrome inclusa nella Sezione dei Disturbi Schizofrenici, così come era avvenuto nell’ICD-9 (WHO, 1978) per la “schizofrenia borderline”(Maggini & Pintus, 1998). Ciò rappresenta un’importante segnale di come nella cultura psichiatrica europea, più che in quella americana, abbia prevalso la tendenza a considerare il Disturbo Schizotipico come una forma “lieve” di schizofrenia, per le sue simili 34 ma attenuate anomalie genetiche, fenomenologiche, cognitive, neurochimiche, neuroanatomiche e neurofunzionali (Balaratnasingam & Janca, 2015; Fervaha & Remington, 2013; Lenzenweger, 2015; Picchioni et al., 2010; Snitz, Macdonald, & Carter, 2006). Questa stretta relazione tra schizotipia e schizofrenia è stata pertanto studiata negli anni attraverso diversi metodi d’indagine. Successivamente alle menzionate ricerche retrospettive su campioni tratti dagli “studi danesi sull’adozione” (Gunderson et al., 1983; Kendler & Gruenberg, 1984), da ulteriori studi familiari genetico-epidemiologici, sui gemelli e sulle adozioni, sono emersi dati significativi, che documentano l’aggregazione familiare di schizotipia e schizofrenia riconfermando la loro correlazione come manifestazioni fenotipiche diverse della stessa vulnerabilità genetica (Asarnow et al., 2001; Battaglia, Bernardeschi, Franchini, Bellodi, & Smeraldi, 1995; Kendler et al., 1993; Kendler, McGuire, Gruenberg, & Walsh, 1995; Kety, 1985; Siever et al., 1990; Thaker, Adami, Moran, Lahti, & Cassady, 1993; Torgersen, Onstad, Skre, Edvardsen, & Kringlen, 1993). Anche più recentemente, altri studi hanno ribadito la presenza, nei parenti dei pazienti affetti da schizofrenia, di alti livelli di tratti schizotipici: l’incidenza stimata del Disturbo Schizotipico nei familiari è pari a 4,2%-14,6% (Pogue-Geile, 2003) rispetto al 2-3% della popolazione generale (Raine, 2006). I dati dal New York High Risk Project hanno dimostrato che dal 16 al 20% dei discendenti di pazienti schizofrenici sviluppa un Disturbo di Personalità del Cluster A, in particolare quello Schizotipico (Erlenmeyer-Kimling et al., 1995). I tratti schizotipici nei familiari, pur mantenendo le proprie caratteristiche fenomeniche stabili nel tempo, devono comunque essere considerati fattori di rischio per la transizione psicotica (Kremen, Faraone, Toomey, Seidman, & Tsuang, 1998; Lien et al., 2010; Seeber & Cadenhead, 2005; Torgersen et al., 2000; Torti et al., 2013; Vollema, Sitskoorn, Appels, & Kahn, 2002). Gli studi di follow up infatti si sono allineati con quelli familiari, evidenziando come una percentuale non indifferente di schizotipici possa andare incontro ad una psicosi schizofrenica (Fenton & McGlashan, 1989; Miller et al., 2002; Salokangas et al., 2013; Shah et al., 2012): in letteratura i tassi di conversione del Disturbo Schizotipico in psicosi variano, a seconda delle casistiche e delle terapie psicofarmacologiche e/o psicoterapeutiche, dall’8 35 al 33% (Nordentoft et al., 2006). Tra gli altri, uno studio prospettico recente dell’ European Prediction of Psychosis Study (EPOS) (Salokangas et al., 2013), evidenziando i risultati di un follow-up di 18 mesi su 245 pazienti considerati a alto rischio di psicosi, ha dimostrato che i tratti schizotipici valutati con lo Schizotypal Personality Questionnaire (SPQ) (Raine, 1991) sono altamente predittivi di transizione verso la psicosi. In particolare, le sottoscale “idee di riferimento” e “mancanza di amici stretti” risultavano predittive del 31% delle transizioni, a fronte di un’incidenza di esordio psicotico del 15,2% nel campione totale. Oltre a studi genetico-epidemiologici anche quelli di tipo dimensionale, fattoriale, neurofisiologico e neuropsicologico hanno indagato la schizotipia nella stessa, assodata prospettiva di forte collegamento con la sindrome schizofrenica. Secondo Raine e coll. (Raine et al., 1994), la schizotipia presenta una struttura tridimensionale che appare sovrapponibile a quella della sintomatologia positiva, negativa e disorganizzata della schizofrenia, riproposta poi in lavori successivi (Nelson, Seal, Pantelis, & Phillips, 2013). Una revisione della letteratura del 2011 (Tarbox & Pogue-Geile, 2011) concettualizzando la schizofrenia come costituita da questi tre domini ed al fine di identificare quelli più strettamente correlati all’impairment, ha analizzato campioni di pazienti schizofrenici e dei loro familiari di primo grado, riscontrando in questi ultimi sia deficit interpersonali-sociali sia sintomi di disorganizzazione (soprattutto disturbi dell’eloquio) mentre erano meno rappresentati i sintomi cognitivo-percettivi. Uno studio di assessment della personalità tramite il Temperament and Character Inventory (TCI) (Cloninger, Przybeck, & Svrakic, 1994) ha rilevato dimensioni personologiche simili tra i pazienti schizofrenici ed i loro familiari schizotipici (in particolare, alti “evitamento del danno”, “nevroticismo” e “autotrascendenza” e ridotte “estroversione” e “tolleranza alla frustrazione”) (Bora & Veznedaroglu, 2007). In un’altra prospettiva, è stato proposto un modello di schizotipia a 4 fattori (“psicoticismo”, “comportamento eccentrico”, “ritiro sociale”, “disregolazione emotiva”) (Miller et al., 2002). Nel 2012, uno studio sulla validità del costrutto del Disturbo Schizotipico su un vasto campione, riscontrando una sua forte correlazione con i fattori 36 “eccentricità” e “anomalie cognitivo-percettive”, ne ha raccomandato il mantenimento anche nel DSM-5 (Hummelen, Pedersen, & Karterud, 2012). Infine, anche negli studi neurobiologici e neuropsicologici, la schizotipia e la schizofrenia hanno evidenziato simili markers endofenotipici, deficit in tasks cognitivi e anomalie della struttura cerebrale (Cadenhead, 2002; Ettinger, Meyhofer, Steffens, Wagner, & Koutsouleris, 2014). Nel loro insieme questi dati, relativi sia agli aspetti genetici-familiari sia ai correlati biologici e personologici, si sono mostrati probanti per la concezione di spettro schizofrenico non solo in un’accezione restrittiva e confinata al solo Disturbo Schizotipico (Maier, Lichtermann, Minges, & Heun, 1994), ma anche in una più comprensiva che includerebbe anche i Disturbi Schizoide e Paranoide (Baron et al., 1985; Kendler, Masterson, & Davis, 1985; Kendler et al., 1993; Siever & Kendler, 1987). A causa della loro elevata comorbilità intra-cluster, per la verità da attribuirsi alla scarsa specificità dei criteri diagnostici (Bernstein, Useda, & Siever, 1993; Kalus, Bernstein, & Siever, 1993), è stato infatti suggerito di includere tutti e tre i disturbi in una categoria più comprensiva, definita “schizotipica” (Siever et al., 1990) o, in alternativa, “schizoide” per la più lunga tradizione del termine (Maggini & Pintus, 1998; Tyrer & Ferguson, 1987). Contrariamente alla preminenza assunta dal Disturbo Schizotipico, ed in modo paradossale rispetto all’importanza che aveva avuto nel dibattito psichiatrico della prima metà del secolo scorso (soprattutto ad opera di Bleuler e Kretschmer), il Disturbo Schizoide è stato quello, tra i Disturbi del Cluster A, a ricevere meno attenzioni da parte degli studi scientifici. Questa perdita della sua storica autorità è da attribuire all’incostante rilievo in ambito clinico di tratti schizoidi nella personalità prepsicotica degli schizofrenici (Akhtar, 1987; Baron et al., 1985; Maier et al., 1994), che lo ha condotto ad una profonda revisione con l’avvento del DSM-III, dalla quale il disturbo è uscito spogliato non solo della componente affettiva che, come già menzionato, è stata inserita nel Disturbo Evitante, ma anche di quella cognitivo-percettiva considerata propria solo del Disturbo Schizotipico. Con questa semplificazione descrittiva, la sua prevalenza nella popolazione generale e nei familiari di schizofrenici è divenuta così ancora più infrequente (Fulton & Winokur, 1993; Trull, 37 Widiger, & Frances, 1987). I limiti categoriali che lo contraddistinguono appaiono inoltre spesso troppo sfumati ed ambigui. Molti soggetti diagnosticabili come schizoidi perché a primo acchito apparentemente apatici ed indifferenti, si presentano sotto la superficie fortemente ansiosi ed ambivalenti, tanto da ricordare gli evitanti, oppure, affiancano all’indifferenza una certa bizzarria dell’eloquio e del comportamento che li avvicina di più agli schizotipici. Negli studi meno recenti, questi elementi di ridotta riscontrabilità e riconoscibilità del Disturbo Schizoide (ad oggi peraltro controversi) restavano comunque associati alla sua correlazione con esito e decorso più sfavorevoli della patologia schizofrenica (Siever & Kendler, 1987). Ciò in passato ha portato alcuni autori a considerare il Disturbo Schizoide come una semplice variabile peggiorativa di altri fattori di vulnerabilità schizofrenica (Klosterkötter, 1988). D’altra parte, è sempre stata evidenziata anche l’importante osservazione che, delle tre dimensioni psicopatologiche della schizotipia, la negativa è quella che maggiormente appare correlata con la schizofrenia (Kwapil, Gross, Silvia, & Barrantes-Vidal, 2013; Torgersen et al., 1993), in accordo anche con alcune prospettive per cui la sindrome negativa costituirebbe la sintomatologia nucleare dello spettro schizofrenico (Siever, Kalus, & Keefe, 1993). In funzione della sintomatologia negativa che lo contraddistingue, è apparso opportuno il mantenimento del Disturbo Schizoide all’interno dello spettro schizofrenico. Ad oggi la ricerca ha confermato pienamente la titolarità di questa sua inclusione, attribuendo al Disturbo Schizoide addirittura un potere predittivo di transizione psicotica maggiore del Disturbo Schizotipico, poiché più indicativo dei deficit sociali premorbosi gravi e persistenti specificatamente riscontrati nei soggetti ad alto rischio di conversione (Schultze-Lutter et al., 2012). Per quanto riguarda il Disturbo Paranoide invece, la ricerca ha espresso dubbi più profondi circa la fondatezza della sua inclusione nello spettro schizofrenico: i risultati delle indagini appaiono per lo meno francamente controversi (Birkeland, 2013; Gunderson et al., 1983; Kendler et al., 1985; Kendler et al., 1993), talora propendendo in modo molto forte per una sua più specifica appartenenza ad un altro spettro, quello delirante (de Portugal et al., 2013; Winokur, 1985). D’altra parte, tra i parenti di primo grado dei pazienti con Disturbo Delirante si è registrata una frequenza significativamente alta di Disturbo Paranoide di 38 Personalità, ma non di schizofrenia, come si osserva invece tra i familiari dei soggetti schizofrenici (Kendler & Gruenberg, 1982). Se ad alcuni autori, soprattutto del recente passato, il Disturbo Paranoide è parso incluso nello spettro schizofrenico non a pieno titolo, al contrario il Disturbo Evitante sembra esserne stato escluso ingiustamente, in quanto appare decisamente plausibile l’ipotesi che la personalità schizoide e quella evitante siano manifestazioni di diversa gravità di una stessa condizione personologica (con la personalità schizoide che rappresenterebbe la variante più grave) (Livesley, West, & Tanney, 1985; Triebwasser, Chemerinski, Roussos, & Siever, 2012). Tale argomento merita un approfondimento, che verrà esposto nel paragrafo successivo. 1.6.1 DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITÀ E PSICOSI La visione di Kretschmer in base alla quale gli schizoidi sarebbero connotati dalla coesistenza, in diversa proporzione, delle due componenti dimensionali iperestesica ed anestesica è stata già precedentemente discussa. Secondo Millon (Millon, 1969), l’evitamento delle situazioni sociali che contraddistingue gli schizoidi, da lui definito asocial pattern, renderebbe solo superficialmente ed apparentemente omogenea questa categoria clinico-nosografica, poiché nella sua visione in realtà la maggioranza degli schizoidi può essere distinta in due sottogruppi a seconda della determinante originaria di questo pattern di comportamento. Nel caso del sottogruppo “iperestesico”, i cui membri sono poi stati etichettati nel DSM-III come “evitanti”, l’iperreattività affettiva, la timidezza e, soprattutto, la particolare sensibilità al rifiuto, alla disapprovazione ed in generale al giudizio altrui causerebbero il ritiro sociale, vissuto come doloroso ed egodistonico perché comunque sempre accompagnato da un forte desiderio relazionale. Nel caso del sottogruppo “anestesico”, i cui membri nel DSM-III hanno mantenuto l’etichetta di “schizoidi”, la causa dell’asocial pattern starebbe invece nel mancato desiderio di rapporti sociali, dovuto ad un primario difetto emozionale che li renderebbe 39 chiusi, insensibili, anaffettivi ed anedonici. Com’è noto, alla teoria del “conflitto” che caratterizza la fenomenica dell’evitante, Millon contrappone la teoria del “deficit” che invece spiegherebbe quella dello schizoide. Questa scissione tra Disturbo Schizoide e Disturbo Evitante è apparsa tuttavia artificiosa a diversi autori (Livesley et al., 1985; Overholser, 1989). In questo senso appare forzato presupporre la totale assenza di desiderio di contatto umano e di rapporti intimi nel paziente schizoide, quando addirittura nel paziente schizofrenico (nel quale il ritiro emotivo e sociale psicotico raggiungerebbe i massimi livelli) il rapporto simbiotico talora descritto con la madre suggerisce la non totale indifferenza e disinteresse alla presenza ed esistenza dell’altro da sé (per quanto vi possa essere consapevolezza dell’esistenza dell’“altro” nel rapporto di simbiosi). Anche la persecutorietà e la pericolosità di cui spesso si tinge l’ambiente esterno nella visione dello schizofrenico conducono ad ipotizzare che, in tempi remoti nella crescita infantile dello schizoide, la ferma decisione di sospendere ogni rapporto con l’ambiente esterno possa essere stata dovuta ad una percezione vaga, ma agghiacciante, di una minaccia per la propria integrità. A tal riguardo Arieti scrive: «Tra le cause psicologiche della schizofrenia dobbiamo includere anche il modo in cui il bambino ha sentito il proprio ambiente. È probabile che una sensibilità eccessiva o una predisposizione biologica particolare lo abbiano fatto reagire in modo troppo violento ad alcuni stimoli, specie a quelli spiacevoli (…); il tipo di personalità schizoide è quello di una persona che, come risultato di esperienze precedenti, si aspetta automaticamente rapporti con gli altri indirizzati in senso negativo, e che diventa appartata, distaccata, con reazioni emotive minori rispetto alla media delle persone, meno interessata e meno coinvolta. Tuttavia nel suo intimo il paziente rimane estremamente sensibile, ma ha imparato ad evitare l'ansia e la rabbia in due modi: rendendosi il meno appariscente possibile, mettendo tra sé e le situazioni che tendono a suscitare in lui tali reazioni una distanza fisica, e reprimendo le emozioni. La distanza fisica viene mantenuta evitando rapporti con le altre persone o trattenendosi da quelle azioni che possono dispiacere agli altri» (Arieti, 1981). Questa estrema sensibilità, questa immagine del ritiro sociale psicotico come difesa di una ferita o di una esperita fragilità in effetti emergeva già in Bleuler (Bleuler, 1912) quando, 40 nell’ipotizzare le possibili cause nel negativismo tipico dei pazienti appartenenti allo spettro schizofrenico, l’Autore elencava i seguenti fenomeni: 1) Ritiro autistico del paziente nelle sue fantasie, che rende ogni influenza esterna un’intollerabile interruzione 2) L’esistenza di una ferita che deve essere protetta dal contatto 3) Il fraintendimento circa l’ambiente esterno ed i suoi scopi 4) Modo di relazionarsi ostile verso l’esterno 5) La patologica irritabilità dello psicotico 6) La pressione dovuta al pensiero e la difficoltà nell’agire e nel pensare, che rendono ogni reazione dolorosa. Il punto b dell’elenco di Bleuler fa esplicitamente riferimento ad una ferita, come il locus minoris resistentiae di cui parlava Kretschmer a proposito dei suoi sensitivi, una zona di particolare fragilità, la cui difesa diviene vitale per la propria sopravvivenza. Un ulteriore sostegno a queste considerazioni viene tra l’altro dall’osservazione di pazienti schizoidi che “si convertono” ad un’organizzazione di personalità più evidentemente evitante nel momento in cui, per esempio con l’instaurarsi di una relazione terapeutica, si verifica un insight circa le motivazioni profonde del loro comportamento asociale (Livesley & West, 1986; Overholser, 1989). Sulla base di queste osservazioni è stato ipotizzato che la personalità schizoide e quella evitante altro non siano che una sola entità clinica caratterizzata da un continuum di diversi gradi di gravità sintomatologica (Triebwasser et al., 2012). La ricerca ha spesso suggerito l’inclusione del Disturbo Evitante nel gruppo dei disturbi di personalità correlati alla schizofrenia. Per esempio, uno studio del 2000 (Rodriguez Solano & Gonzalez De Chavez, 2000) ha riscontrato che l’85% di un campione di soggetti schizofrenici aveva un disturbo di personalità premorboso. Tra questi il Disturbo Evitante era il più rappresentato (32,5%), a confronto di Schizoide (27,5%), Paranoide (20%), Dipendente (20%) e Schizotipico (12,5%). Un altro studio successivo (Keshavan et al., 2005) ha confrontato le dimensioni della personalità premorbosa di pazienti al primo episodio di schizofrenia con quelle di pazienti 41 al primo episodio di psicosi non schizofrenica e con quelle di soggetti di controllo sani. I punteggi per le dimensioni del Cluster A e del Cluster C -in particolare del Disturbo Evitante- , oltre ad essere significativamente intercorrelati tra loro, risultavano più alti per i pazienti schizofrenici, mentre i punteggi per le dimensioni del Cluster B erano maggiori per i pazienti con psicosi non schizofrenica. In aggiunta, Fogelson e coll. (Fogelson et al., 2007) nell’ambito dell’UCLA Family Study hanno mostrato una significativa evidenza di associazione tra personalità evitante e vulnerabilità alla schizofrenia, associazione che sussiste anche dopo avere eliminato l’influenza statistica dei Disturbi Paranoide e Schizotipico. Lo stesso gruppo di ricerca ha inoltre evidenziato come la presenza di un Disturbo Evitante nei familiari di schizofrenici sia associata peggiori performances neurocognitive (Fogelson et al., 2010). Anche più recentemente, autorevoli evidenze dalla letteratura hanno supportato fortemente l’inclusione del Disturbo Evitante tra le personalità correlate allo spettro schizofrenico (Bolinskey & Gottesman, 2010; Bolinskey et al., 2015), auspicandone dunque l’introduzione a pieno titolo tra i markers di vulnerabilità alla schizofrenia. 1.7 DALLA SCHIZOFRENIA BORDERLINE AL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ Storicamente, la categoria nosografica del “borderline” è stata impiegata in origine per raccogliere quei pazienti che non rispondevano né alle psicoterapie né agli psicofarmaci. Si trattava di soggetti che si collocavano in una posizione singolare, intermedia, rispetto alla tradizionale dicotomia “nevrosi/psicosi” (Bellino, Rinaldi, Brunetti, Cremasco, & Bogetto, 2013). Già Rosse nel 1890 (Dalle Luche, 2013; Rosse, 1890) aveva definito la borderline insanity come la condizione di coloro che abitavano una “terra di confine” tra sanità mentale e follia, ovvero che presentavano una forma attenuata di psicosi. Tale status, con diverse sfumature concettuali comunque riferibili ad un insieme di manifestazioni nevrotiche che nascondono una patologia francamente schizofrenica, come già ricordato fu successivamente indicato con una varietà di termini, quali “nevrosi borderline” (Clark, 1919), “paratassie personologiche” (Moore, 1921), “schizofrenia incipiente” (Glover, 1932), “schizofrenia 42 atipica” (Kasanin, 1933), “schizofrenia ambulatoriale” (Zilboorg, 1941), “personalità come se” (Deutsch, 1942), “psicosi latente” (Federn, 1947) e, soprattutto, “forme pseudonevrotiche di schizofrenia” le cui descrizioni, ad opera di Hoch e Polatin, presumono che le manifestazioni sintomatologiche di pansessualità, pan-nevrosi e pan-ansietà preludano l’insorgere della schizofrenia come sviluppo da una personalità preesistente (Hoch & Polatin, 1949). Il percorso teorico delle forme “borderline”, particolarmente fecondo in ambito psicodinamico, pose l’accento sulla capacità di transfert, identificando come borderline quei pazienti ancora non diagnosticabili come chiaramente schizofrenici, per via della lieve o assente compromissione del funzionamento, ma al contempo troppo disturbati per instaurare una valida reazione transferale e quindi per essere trattati con il metodo psicoanalitico (Bellino et al., 2013). A Stern (Stern, 1938) si deve una delle prime descrizioni di paziente borderline: trattasi di un soggetto ipersensibile, con la tendenza ad alternare idealizzazione e svalutazione soprattutto nei confronti del terapeuta, con contradditorie rappresentazioni di sé (ora grandiose, ora insignificanti), con una propensione ad usare meccanismi di difesa primitivi ed in particolare, meccanismi proiettivi che a volte possono sconfinare negli spunti deliranti. Knight (Knight, 1953) invece sottolineò come questi pazienti nascondessero, dietro un apparente funzionamento tipicamente nevrotico, una "regressione" e una severa debolezza dell'Io; sebbene fosse incline a vederli come all'ombra della schizofrenia, Knight però li concepì come una entità nosografica abbastanza autonoma. Questa categoria diagnostica in cui facilmente potevano confluire pazienti atipici e controversi, con le ricerche di Grinker (Grinker, Werble, & Drye, 1968) subì una vera e propria sistematizzazione, fondata sul rilievo di criteri obiettivabili (disturbi dell’identità, bassa autostima, difese primitive -negazione e proiezione-, ipersensibilità alle critiche, paura ed inadeguatezza nei rapporti intimi, rabbia e sospettosità) e sulla individuazione di 4 sottotipi in base alla sintomatologia prevalente: 43 1) Pazienti al “bordo della psicosi”, con disturbi del comportamento e compromissione dell’esame di realtà; 2) Borderline “nucleari”, con tendenza alla diffusione dell’identità ed agli acting out; 3) Pazienti con “personalità come se”, con prevalente anaffettività; 4) Pazienti al “bordo della nevrosi”, con sintomi narcisistici e depressivi anaclitici predominanti. Questa quadripartizione ebbe il merito di sistematizzare lo sfocato continuum tra psicosi e nevrosi (Lorenzi & Pazzagli, 2006). Contemporaneo di Grinker, Kernberg (Kernberg, 1967) fu il primo Autore ad affermare l’esistenza di un’autonomia tra le due entità di psicosi e nevrosi, coniando la sua celebre nozione di “organizzazione borderline di personalità” che prevedeva dei criteri non di tipo descrittivo ma psicodinamico e che non identificava strettamente il Disturbo Borderline di Personalità conosciuto oggi, quanto piuttosto tutti i gravi disturbi della personalità, compreso quello schizotipico. I criteri diagnostici contemplati erano: 1) Presenza di diffusione di identità, debolezza dell’Io e relazioni oggettuali problematiche ed inadeguate; 2) Esame di realtà conservato o comunque solo temporaneamente compromesso; 3) Ricorso a difese primitive (negazione, scissione, identificazione proiettiva etc.) e scivolamento verso processi di pensiero primario. I tre principali criteri diagnostici (identità, esame di realtà, difese) servivano anche a definire le strutture nevrotiche e psicotiche: rispettivamente, nelle nevrosi vi sarebbero identità integrata, presenza di esame di realtà, e difese mature (rimozione, formazione reattiva, isolamento, razionalizzazione, intellettualizzazione, ecc.), mentre nelle psicosi identità diffusa, assenza di esame di realtà, e difese primitive. In linea generale, si trattava di un impianto teorico che riconduceva alla conservazione della critica di realtà la principale differenza tra pazienti con organizzazione borderline di personalità e pazienti psicotici e che, pur presentando degli indubbi vantaggi nell’ambito della diagnosi psicodinamica all’interno di un rapporto psicoterapeutico, si presentava tuttavia estremamente inferenziale e quindi meno attendibile rispetto ad altri sistemi integralmente descrittivi (Lorenzi & Pazzagli, 2006). 44 Qualche anno dopo, nel 1975, osservando invece un approccio puramente descrittivo, venne formulata l’“Intervista Diagnostica per i Borderline” (Diagnostic Interview for Borderlines) (Gunderson & Siever, 1975), che contribuì a definire quei criteri diagnostici (impulsività, gesti suicidari manipolatori, brevi o lievi episodi psicotici, buona socializzazione ma basso rendimento lavorativo, disturbo nelle relazioni intime) in buona sostanza ricapitolati da Spitzer e dalla sua Task Force con la stesura del DSM-III (APA, 1980; Spitzer, Endicott, & Williams, 1979). La Task Force isolò dal coacervo delle sindromi borderline due diverse diagnosi: la “borderline schizotipica” (vicina alla psicosi schizofrenica) che nel DSM-III e seguenti divenne poi il Disturbo Schizotipico di Personalità, e la “borderline instabile” (vicina alle descrizioni di Kernberg e Gunderson) che originò poi il Disturbo Borderline di Personalità p.d.. Solo con il suo inserimento nel DSM-III il termine borderline è dunque passato ufficialmente dal definire un’organizzazione intrapsichica all’indicare una categoria diagnostica ben precisa. Gli iniziali 8 criteri diagnostici, tuttavia, non comprendevano ancora la sintomatologia simil-psicotica attualmente prevista. E’ con l’avvento del DSM-IV (APA, 1994) che il disturbo venne nuovamente riavvicinato al gruppo delle psicosi, in seguito all’introduzione del nono criterio “transitoria ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi, legati allo stress”, aggiunto necessariamente in seguito al rilievo dell’elevata frequenza di tali manifestazioni. Studi condotti negli anni ’90 (Miller, Abrams, Dulit, & Fyer, 1993; Zanarini, Gunderson, & Frankenburg, 1990) hanno infatti riportato sintomi dissociativi e idee paranoidi nel 75% dei pazienti, mentre una percentuale variabile tra il 9 ed il 30% sviluppava anche severi sintomi cognitivo-percettivi, comprese le allucinazioni uditive. Una recente review della letteratura ha analizzato gli studi dell’ultimo ventennio evidenziando un tasso di sintomi psicotici che raggiunge il 50% dei pazienti (Schroeder, Fisher, & Schafer, 2013). Nei lavori meno recenti tra quelli esaminati, i vissuti psicotici del paziente borderline erano considerati fenomenologicamente differenti da quelli propri della schizofrenia e del disturbo bipolare, a causa della loro natura “transitoria” e circoscritta e per la loro frequente correlazione con un disturbo affettivo concomitante o con l’abuso di sostanze (Pope, Jonas, Hudson, Cohen, & Tohen, 1985). Studi più recenti 45 (Barnow et al., 2010; Slotema et al., 2012; Yee, Korner, McSwiggan, Meares, & Stevenson, 2005) non hanno confermato queste acquisizioni, sottolineando l’eterogeneità e la cronicità delle manifestazioni psicotiche, in particolare delle dispercezioni uditive (il cui esordio può anche essere infantile). In particolare, lo studio più ampio sui fenomeni allucinatori nei pazienti borderline (Slotema et al., 2012), rilevandone la grave natura invalidante sul funzionamento, ha rimarcato l’assenza di significative difformità rispetto alle dispercezioni esperite dagli schizofrenici. Moritz e coll. (Moritz et al., 2011) hanno inoltre sottolineato come i soggetti borderline condividano con quelli schizofrenici alcuni bias cognitivi, tra cui lo stile attributivo unilaterale di tipo paranoide, nello specifico il ricorso ad inferenze monocausali e la tendenza al jumping to conclusion e all’autoreferenzialità. Considerate queste aree di sovrapposizione sia fenomeniche sia cognitive, si comprende come la differenza tra l’esperienza psicotica del paziente borderline e quella del paziente schizofrenico resti attualmente ancora poco chiara. Appare anche oggi evidente come la categoria del borderline sfugga al tentativo di consolidare dei confini diagnostici netti tra i tradizionali concetti di nevrosi e psicosi, lasciando emergere invece evidenze che si contrappongono ad ogni definizione tassonomica e ad ogni assunzione categoriale (Kelleher & Cannon, 2014). Ciò continua a rappresentare una interessante sfida per i sistemi classificatori diagnostici odierni, così come per i clinici ed i ricercatori. Per alcuni autori, la tonalità affettiva e la risonanza emotiva delle manifestazioni della psicosi borderline, con il carico di angoscia che ne consegue, costituirebbero la principale diversità rispetto alla psicosi schizofrenica (Hepworth, Ashcroft, & Kingdon, 2013; Kingdon et al., 2010; Yee et al., 2005). Per altri autori la differenza sta invece nel mantenimento, seppure parziale, dell’insight nei pazienti borderline, dove invece nei soggetti schizofrenici viene dichiaratamente perso ogni possibile riferimento ai contenuti di realtà (Adams & Sanders, 2011; Frosch, 1964). 46 Il Disturbo Borderline di Personalità ha inoltre una maggior reattività psicotica agli stress ordinari rispetto ai disturbi psicotici, sebbene essa sia mediata dalla stessa disregolazione neuronale. Alcuni studi hanno infatti avvalorato per il Disturbo Borderline un’eziologia basata sulla gestione disfunzionale degli stress quotidiani (Glaser, Van Os, Thewissen, & Myin-Germeys, 2010; Myin-Germeys, Marcelis, Krabbendam, Delespaul, & van Os, 2005). Un’esperienza traumatica infantile, soprattutto se ripetuta, incidendo profondamente sulla personalità, crea una vulnerabilità psicotica connessa a questa sensibilizzazione allo stress (Barnow et al., 2010; Collip, Myin-Germeys, & Van Os, 2008), a sua volta corrispondente sul piano neurofisiopatologico sia ad un’iperattivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, sia della risposta del sistema dopaminergico agli stimoli stressogeni banali (Corcoran et al., 2003; Laruelle & Abi-Dargham, 1999), come avviene in tutti i disturbi psicotici in genere (Laruelle, 2000). Relativamente all’aspetto eredo-familiare, invece, non essendo stata rintracciata un’aggregazione familiare tra Disturbo Borderline e psicosi schizofreniche (almeno in studi che hanno utilizzato criteri DSM-IV), ad oggi non esistono prove scientifiche certe di una possibile base genetica comune (Zanarini, Barison, Frankenburg, Reich, & Hudson, 2009). Al contrario, la comorbilità tra Disturbi Schizotipico e Borderline appare essere significativamente correlata all’elevata frequenza di psicosi tra i familiari (White, Gunderson, Zanarini, & Hudson, 2003). Anche la comorbilità tra tratti personologici di tipo borderline e psicosi schizofreniche è stata oggetto di attenzione da parte della ricerca. In un recentissimo studio (Ryan, Graham, Nelson, & Yung, 2015) fino ad un quarto (25,2%) dei 180 giovani pazienti Ultra High Risk (UHR) (Yung et al., 1996) esaminati presentavano tratti di personalità borderline. In questi, i sintomi psicotici attenuati non differivano da quelli presentati dagli altri pazienti UHR esenti da aspetti borderline e non erano limitati all’ideazione paranoide, confermando nuovamente l’ipotesi che il Disturbo Borderline di Personalità possa includere un range di sintomi psicotici più ampio di quello tradizionalmente ritenuto. Se da un lato aspetti borderline presentano un valore predittivo per imminente transizione psicotica ancora molto controverso (Thompson et al., 2012), dall’altro è ormai chiaro che essi possono avere un ruolo patoplastico rilevante nella sintomatologia psicotica 47 conclamata. La presenza di elevati livelli di tratti borderline è stata riscontrata negli schizofrenici come fortemente correlata a sintomi di maggiore disagio emotivo (Wickett et al., 2006) ed a comportamenti impulsivi ed aggressivi (Volavka, 2014). La maggioranza delle indagini si è focalizzata sul riscontro e sugli effetti della comorbilità, nelle psicosi schizofreniche, più che del singolo Disturbo Borderline di Personalità, dei Disturbi di Cluster B in generale. Alcune evidenze suggeriscono che da un quarto ad un terzo degli individui affetti da schizofrenia presentano in comorbilità un Disturbo del Cluster B, ovvero un tasso di prevalenza considerevole se rapportato a quello della popolazione generale (1,5%) (Lysaker, Wickett, Lancaster, & Davis, 2004; Wickett et al., 2006). Nei pazienti schizofrenici, la presenza di aspetti personologici di Cluster B si associa a peggiori outcomes e in particolare a livelli più elevati di comportamenti suicidari e violenti, di uso di sostanze, di deficit neurocognitivi e di sintomi positivi, di conseguenza condizionando negativamente il trattamento (Bahorik & Eack, 2010; Kingdon et al., 2010; Lysaker & Taylor, 2007; Lysaker, Wilt, Plascak-Hallberg, Brenner, & Clements, 2003; Moore et al., 2012). 48 2 ANALISI DEGLI ATTUALI STRUMENTI DIAGNOSTICI DIMENSIONALI PER LA VALUTAZIONE DELLA PERSONALITÀ Nell’ambito della ricerca sul complesso rapporto tra personalità e psicosi schizofreniche, l’impiego degli strumenti per la diagnosi della personalità si è concentrato su almeno tre aree d’investigazione: 1) l’analisi delle connessioni tra tratti premorbosi e caratteristiche essenziali della malattia avanzata; 2) l’individuazione di tratti specifici nei soggetti a rischio, al fine di intervenire con una prevenzione mirata; 3) l’identificazione di manifestazioni più sottili del genotipo schizofrenico, in virtù del dato ormai consolidato che alcuni tratti sono presenti tanto negli schizofrenici quanto nei loro familiari non psicotici (Gaddini, 1989). Queste direttive della ricerca hanno portato le indagini a convergere sull’individuazione precoce di markers personologici di vulnerabilità psicotica, generalmente restringendo il campo d’indagine a quei disturbi di personalità più strettamente correlati allo spettro schizofrenico, quali quelli afferenti al Cluster A. E’ noto infatti come studi su popolazioni ad alto rischio (high risk study) ed indagini su famiglie, gemelli, adozioni (Kendler et al., 1981; Kendler et al., 1995; McGorry, Yung, & Phillips, 2003; Miller et al., 2002) abbiano individuato in questo Cluster le caratteristiche di personalità rappresentative di una suscettibilità alla transizione psicotica. Dato il loro costante riscontro nei familiari non affetti di pazienti schizofrenici, inoltre, gli indicatori per alcuni tratti personologici correlati alla schizofrenia, valutati da strumenti come il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) (Hathaway & McKinley, 1989), sono considerati attualmente veri e propri indici endofenotipici di predisposizione genetica alla schizofrenia. Di conseguenza, la vulnerabilità alla psicosi, e più specificatamente le personalità pre-psicotiche e la schizotipia, ad oggi sono concetti eterogenei che possono essere misurati con un’ampia varietà di strumenti come, tra gli altri, le psychosis proneness scales positive e negative sviluppate dal team di ricerca dell’Università del Wisconsin (Chapman, Chapman, & Raulin, 1976, 1978), la Schizophrenia Proneness Scale of the MMPI-2 (SzP) (Bolinskey, Gottesman, & Nichols, 2003) e lo Schizotypal Personality Questionnaire (SPQ) (Raine, 1991), i quali 49 mostrano in modo evidente la ricchezza fenomenologica di questo campo di ricerca (Gooding, Tallent, & Matts, 2005, 2007). A questo riguardo, una prima, necessaria, considerazione è che, a fronte del riscontro di un elevato tasso di comorbilità tra disturbi di Asse I ed Asse II, numerose evidenze scientifiche hanno anche mostrato che la presentazione, il decorso e il trattamento dei disturbi psicotici risentono considerevolmente dell’influenza dello stile personologico premorboso considerato in toto (Schultze-Lutter et al., 2012; Widiger, 2011), rendendo dunque auspicabile, nelle future indagini anche familiari, ampliare il campo di osservazione oltre i confini concettuali dei soli Disturbi del Cluster A. In ambito familiare, peraltro, non ricorrono esclusivamente gli aspetti della personalità tipicamente ascrivibili allo spettro schizofrenico, poiché si esprimono attraverso un parziale controllo genetico anche numerosi altri tratti; un esempio è l’evidenza dell’ereditabilità per le scale standard MMPI, stimata tra 0.26 e 0.61 (media = 43.4) (DiLalla, Carey, Gottesman, & Bouchard, 1996). Si è già discusso di come la personalità evitante possa a pieno titolo rientrare nei disturbi di personalità correlati allo spettro schizofrenico (Fogelson et al., 2007) e del frequente riscontro di aspetti personologici di Cluster B sia in schizofrenici sia in soggetti a rischio di transizione psicotica (Bahorik & Eack, 2010; Moore et al., 2012; Ryan et al., 2015). Da ciò consegue, anche nell’ambito dello studio di queste popolazioni di individui affetti da psicosi o a rischio, l’utilità dell’impiego di strumenti per l’assessment della personalità che ne valutino i tratti nel modo più ampio possibile. Un’altra importante riflessione è che nell’ambito della ricerca sulla psicopatologia della personalità, l’approccio dimensionale è stato descritto come particolarmente indicato per le diagnosi di Asse II, in quanto più solido empiricamente e più adeguato clinicamente (Trull & Durrett, 2005). Nelle sue successive edizioni, il DSM ha minimizzato il ruolo dell’inferenza clinica ed ha ridotto la diagnosi della personalità ad un esercizio puramente tecnico di sistematizzazione di segni e sintomi (Shedler & Westen, 2007). Nel tempo, però, si è anche fatta sempre più strada l’ipotesi secondo cui i disturbi di personalità potrebbero essere concettualizzati come varianti maladattive e/o estreme di tratti di personalità non patologici (Widiger, 2011). Diverse ricerche (Samuel & Widiger, 2008; Widiger & Trull, 2007), infatti, hanno dimostrato una stretta relazione tra i Disturbi di Personalità inclusi nel 50 DSM-IV-TR e il Five Factor Model (FFM) (Costa & McCrae, 1990) (vedi in seguito). In questo senso, la proposizione del nuovo sistema classificatorio ibrido dei Disturbi di Personalità contemplato dal DSM-5, rappresenta un incentivo all’utilizzo, del tutto innovativo, di un approccio diagnostico dimensionale che affianchi e completi quello categoriale (Widiger, 2015). L'approccio categoriale, anche se utile per la sua praticità e necessario a fini di concettualizzazione e comunicazione per creare un linguaggio comune col quale connotare certi quadri patologici di personalità, presenta grossi problemi di validità (Migone, 1995; Trull & Durrett, 2005). Ciò è dovuto in primis perché nella realtà non esistono confini ben definiti tra i diversi disturbi, che quasi sempre si distribuiscono in un continuum lasciando spesso scivolare le diagnosi le une nelle altre lungo dimensioni psicopatologiche (Migone, 2009). Questo spiega da una parte l’eccessiva comorbilità delle diagnosi di personalità categoriali, dall’altra il frequentissimo ricorso, poco utile e informativo, alle diagnosi residue o "non altrimenti specificate" (NAS) per colmare gli “spazi vuoti” rimanenti tra una diagnosi categoriale e l’altra. Il Disturbo di Personalità più comunemente diagnosticato, non a caso, è proprio il “Non Altrimenti Specificato” (NAS) (Manna, 2012). Anche la distinzione fra tratti di personalità in un range di normalità e Disturbo di Personalità appare in gran parte arbitraria. Infine, le diagnosi di Disturbo di Personalità, contraddicendo le loro premesse teoriche, non sembrano essere molto stabili nel periodo medio-lungo (McGlashan et al., 2005). Risultati come questi suggeriscono che i disturbi di personalità possono non rappresentare distinte entità diagnostiche classificabili solo categorialmente. In contrapposizione all’approccio categoriale, i modelli dimensionali di personalità, sviluppati a partire dalle dimensioni biologiche di temperamento (Cloninger et al., 1994) e dall’analisi fattoriale su set completi di tratti (Strack & Millon, 2007), offrono alcuni vantaggi. Innanzitutto, non escludono la diagnosi categoriale ma anzi vi si affiancano, dato che la diagnosi dimensionale può essere tradotta in termini categoriali tramite punti di cutoff (soglia). Inoltre, limitano l’eccessiva comorbilità tra i disturbi, e anzi spiegano quella individuata dall’approccio categoriale, mostrando la presenza di dimensioni latenti di personalità ed il loro ruolo svolto nell’eterogeneità dei sintomi (Migone, 2009). Le dimensioni, in altre parole, conservano importanti informazioni sui tratti sottosoglia e sui 51 sintomi che ne possono emergere (Trull & Durrett, 2005). Esse descrivono meglio l'individuo e si prestano quindi anche a valutazioni nell’ambito, per esempio, dell’impostazione personalizzata del trattamento, mentre la logica categoriale è più generica perché mette nella stessa categoria diagnostica quadri molti diversi tra loro. Infine, le diagnosi dimensionali, fondandosi più sui tratti di personalità che sui tratti sintomatici, appaiono dotate di maggiore stabilità nel tempo (McGlashan et al., 2005). Appare doveroso tuttavia anche sottolineare i difetti dell’approccio dimensionale, che lo rendono ancora poco fruibile fuori dall'ambito della ricerca accademica se utilizzato in modo esclusivo e non accompagnato anche da un sistema categoriale. La principale difficoltà risiede nell’eccessiva eterogeneità dei modelli dimensionali, dovuta ai differenti linguaggi utilizzati ed alla loro complessità, che li rende anche difficilmente paragonabili tra loro. Altro aspetto svantaggioso, è che spesso le dimensioni sono utilizzate in ricerche che hanno lo scopo di validare o invalidare disturbi di personalità diagnosticati con una logica categoriale, il che è problematico sia perché i due approcci possono e devono essere considerati alternativi, non mutualmente escludentisi, sia perché le diagnosi categoriali non sono valide (ovvero non hanno validità di costrutto), ma solamente attendibili (Migone, 2009). Segue una breve rassegna della modellistica dimensionale per i disturbi di personalità così come oggi si è andata perfezionando nella ricerca del settore. 2.1 16 PERSONALITY FACTORS QUESTIONNAIRE (16-PF) Il 16-PF è un test psicometrico ideato da R.B. Cattell nel 1949 (Cattell, Eber, & Tatsuoka, 1970) che misura i tratti di personalità utilizzando una struttura a 16 dimensioni (o fattori) studiata ed evidenziata attraverso l’analisi fattoriale. Il questionario è composto da 185 item e presenta, per ciascuno di essi, tre modalità di risposta: “affermazione positiva”, “affermazione negativa” ed “incertezza”. Solo gli item del fattore B, Intelligenza, che misurano le capacità logiche, contengono tre risposte verosimili di cui una solamente è quella esatta. 52 Le 16 dimensioni descritte da Cattel sono bipolari e relativamente indipendenti tra loro: A = Schizotimia - Ciclotimia (espansività) B = Bassa attitudine generale - Intelligenza (ragionamento) C = Instabilità generale - Forza dell’Io (stabilità emozionale) E = Sottomissione - Dominanza (dominanza) F = Desurgenza - Surgenza (vivacità) G = Debolezza di carattere - Forza Super-Io (coscienziosità) H = Inibizione schizotimica - Intraprendenza ciclotimica (audacia sociale) I = Rudezza - Delicatezza (sensibilità) L = Libertà da tensioni paranoiche - Tendenza paranoica (vigilanza) M = Atteggiamento pratico - Indifferenza alle convenzioni sociali (astrattezza) N = Ingenua semplicità - Sofisticazione (prudenza) O = Libertà da ansia - Insicurezza ansiosa (apprensività) Q1 = Conservatorismo - Radicalismo (apertura al cambiamento) Q2 = Dipendenza dal gruppo - Autosufficienza (fiducia in sé) Q3 = Mancanza di stabilità di carattere - Forza di volontà (perfezionismo) Q4 = Distensione - Ansia somatica (tensione) Oltre a questi 16 fattori di primo ordine, il 16-PF può essere utilizzato per misurare alcuni tratti più ampi e generici, definiti “fattori globali”, valutabili raggruppando i 16 tratti di personalità di primo ordine: “Estroversione”, “Ansietà”, “Durezza”, “Indipendenza”, “Autocontrollo”. A queste scale, descrittive della personalità di ogni singolo paziente, si aggiungono poi tre indici che valutano lo stile di risposta al test: • IM, Management dell’Immagine (scala di desiderabilità sociale o Motivational Distorsion) • INF, Infrequenza (stabilisce se il soggetto ha risposto ad un elevato numero di item in modo marcatamente differente rispetto alla maggior parte delle persone) • ACQ, Acquiescenza (misura la tendenza a rispondere affermativamente ad un item senza tenere in considerazione il suo contenuto). La correzione del test può essere eseguita manualmente oppure attraverso un software specifico. Dalle risposte al test è possibile ottenere un profilo narrativo del soggetto, che comprende sia informazioni sui 16 fattori primari e sui cinque fattori globali, sia la 53 rappresentazione di alcune ulteriori dimensioni quali l’Autostima, l’Adattamento, le Abilità Sociali, la Leadership e la Creatività. E’ attualmente disponibile anche in Italia la quinta revisione del test, aggiornata nel linguaggio e nel campione normativo (Cattell et al., 2000). 2.2 EYSENCK PERSONALITY QUESTIONNAIRE (EPQ) Uno dei modelli dimensionali storicamente più noti è quello di Eysenck (Eysenck & Eysenck, 1975), basato primariamente sugli aspetti della personalità fondati sulla fisiologia e sulla genetica, ovvero sul tradizionale concetto di “temperamento”. Egli concettualizzò la personalità come costituita da tre dimensioni temperamentali indipendenti e biologicamente determinate, misurabili con lo strumento chiamato Eysenck Personality Questionnaire (EPQ): 1) (E) Estroversione/Introversione. Le persone con un alto grado di estroversione sono socievoli, loquaci, dinamiche, vivaci. Poiché presentano una bassa attivazione corticale, sono continuamente alla ricerca di stimoli esterni ed interpersonali per massimizzare le proprie prestazioni. Gli introversi mostrano un comportamento opposto ed hanno bisogno di un livello minore di stimolazione esterna per ottimizzare le proprie performances. 2) (N) Nevroticismo/ Stabilità. Il nevroticismo è caratterizzato da tendenza al turbamento emozionale con elevati livelli di ansia e di depressione anche in presenza di stimoli negativi minori. Dal punto di vista biologico appare contraddistinto da un’alta attivazione limbica. La stabilità emotiva, al contrario, si contraddistingue per l’esperienza di affetti negativi solo in seguito a stressors maggiori. 3) (P) Psicoticismo. E’ una dimensione, aggiunta successivamente, associata ad anomalie nel coinvolgimento nei rapporti interpersonali; la denominazione è impropria, in quanto non collegata al concetto di psicosi, quanto piuttosto ad una tendenza all’impulsività, alla rabbia ed all’ostilità. E’ connessa ad un’elevata suscettibilità ormonale. I primi due di questi fattori o assi (la estroversione e il nevroticismo) definiscono 4 quadranti che ricreano, secondo Eysenck, i quattro "umori" individuati da Galeno nel II secolo dopo Cristo (sanguigno: estroverso stabile; collerico: estroverso instabile; flemmatico: introverso stabile; melanconico: introverso instabile). In base al Modello PEN 54 (Psicoticismo-Estroversione-Nevroticismo) della teoria della Personalità di Eysenck, un grado patologico di queste tre dimensioni corrisponde approssimativamente ai tre Cluster dei Disturbi di Personalità del DSM: un'alta introversione contraddistinguerebbe i Disturbi del Cluster A; un alto psicoticismo sarebbe tipico del Cluster B; un elevato nevroticismo caratterizzerebbe il Cluster C. Le scale sono costruite fattorialmente e non in base alla validità di contenuto o criteriale. Nella versione originale è presente anche la scala Lie per controllare il tentativo dei soggetti di fornire risposte “socialmente desiderabili”. EPQ ed EPQ-R sono le forme oggi più utilizzate. Si compongono di 90 item (100 nella forma revised) approssimativamente ben distribuiti nelle scale P, E, N, e Lie (circa 25 per scala). Gli item del test hanno un formato di risposta dicotomica (Sì / No). In Italia è disponibile la versione adattata del EPQ del 1975, composta da 69 item e mutilata della scala Lie. E’ chiamata Adult Eysenck Personality Inventory (AEPI) (Eysenck & Eysenck, 1990). 2.3 FIVE-FACTOR MODEL (FFM) Il Five-Factor Model (FFM) o Big Five, è un modello a cinque fattori formulato da Costa & McCrae (Costa & McCrae, 1990). Le cinque dimensioni fondamentali per la descrizione e la valutazione della personalità si pongono come: • livello di analisi più specifico rispetto ai modelli che fanno riferimento a poche dimensioni estremamente generali (EPQ di Eysenck); • livello di analisi più generale rispetto ai modelli che prevedono un maggior numero di dimensioni di portata più specifica, ma di minor generalizzabilità (16-PF di Cattell). Ciascuna delle cinque dimensioni è suddivisa in varie sottodimensioni o facets (facce, sfaccettature), per un totale ben 25 sottodimensioni: 1) Nevroticismo (Neuroticism): Tendenza all'ansia (Anxiousness), Ostilità rabbiosa (Angry hostility), Tendenza alla depressione (Depressiveness), Ansietà sociale (Self-consciousness), Impulsività (Impulsiveness), Vulnerabilità (Vulnerability); 55 2) Estroversione (Extraversion): Calore emotivo (Warmth), Istinto gregario (Gregariousness), Assertività (Assertiveness), Attività (Activity), Ricerca di eccitazione (Excitement seeking), Emozionalità positiva (Positive emotion); 3) Gradevolezza (Agreableness): Fiducia (Trust), Schiettezza (Straightforwardness), Altruismo (Altruism), Acquiescenza (Compliance), Modestia (Modesty), Empatia (Tendermindedness); 4) Coscienziosità (Conscientiousness): Competenza (Competence), Ordine (Order), Senso del dovere (Dutifulness), Impegno per il risultato (Achievement striving), Autodisciplina (Selfdiscipline), Riflessività (Deliberation); 5) Apertura mentale (Openness): Fantasia (Fantasy), Senso estetico (Aesthetics), Apertura alle emozioni (Feelings), Apertura all'esperienza (Actions), Consapevolezza (Consciousness), Curiosità intellettuale (Ideas), Rispetto per i valori (Values). I primi due fattori (Nevroticismo ed Estroversione) derivano da quelli di Eysenck. La Gradevolezza e la Coscienziosità provengono da una distinzione operata all'interno del terzo fattore individuato da Eysenck (Psicoticismo): rispettivamente, la Gradevolezza indica la presenza di calore emotivo contrapposto a freddezza, e la Coscienziosità indica autocontrollo contrapposto a impulsività. La Apertura è stata introdotta più tardi, e indica la capacità immaginativa contrapposta all’inibizione. Nel FFM, inoltre, si ritiene che solo la Gradevolezza derivi da influenze ambientali, mentre gli altri quattro fattori avrebbero una forte componente ereditaria, cioè sarebbero temperamentali. Questi fattori emergono nell’ambito della tradizione fattorialista, ma sono stati anche rintracciati in diversi ceppi linguistici utilizzando l’approccio lessicografico. La tradizione lessicografica afferma che le differenze individuali più salienti e socialmente rilevanti vengono codificate nel linguaggio quotidiano; il “lessico della personalità” si organizza cioè in queste cinque dimensioni. Per misurare i Big Five Costa & McCrae (1992) hanno messo a punto un questionario intitolato NEO-PI-R (Nevroticism, Extraversion, Psychoticism Personality Inventory Revised) composto da 240 item. I sei specifici tratti o facets di ciascuno dei cinque fattori sono misurati da scale di 8 item. Gli item prevedono una risposta su una scala Likert a 5 punti che varia da “fortemente in disaccordo” a “fortemente d’accordo”. Le scale sono bilanciate per controllare anche gli affetti dell’acquiescenza. In Italia è disponibile la versione adattata del NEO-PI-R tradotta da Caprara e Barbanelli (Caprara, Barbaranelli, & Comrey, 1995). 56 2.4 TEMPERAMENT AND CHARACTER INVENTORY (TCI) Un altro importante modello di studio dimensionale della personalità è il Temperament and Character Inventory (TCI) (Cloninger et al., 1994) distinto in due domini di base, il Temperamento (comprensivo di tratti innati, fondati biologicamente, con 4 dimensioni contenenti 4 sottodimensioni ciascuna, per un totale di 16 sottodimensioni) e il Carattere (acquisito socio-culturalmente, con 3 dimensioni che includono un totale di 13 sottodimensioni): 1) Temperamento: a. Ricerca della novità (novelty seeking [ns]): eccitabilità esplorativa (exploratory excitability), impulsività (impulsiveness), eccesso e sperpero (extravagance), sregolatezza (disorderliness); b. Evitamento del danno (harm avoidance [ha]): ansia anticipatoria (anticipatory worry), paura dell'incertezza (fear of uncertainty), timidezza (shyness), affaticabilità (fatigability); c. Dipendenza dalla ricompensa (reward dependance [rd]): sentimentalità (sentimentality), apertura all'esperienza (openness to experience), attaccamento (attachment), dipendenza (dependence); d. Persistenza (persistence [p]): desideroso di impegnarsi (eagerness of effort), temprato dal lavoro (work hardened), ambizioso (ambitious), perfezionista (perfectionist). 2) Carattere: a. Autodirezionalità (self-directedness [sd]): responsabilità (responsibility), propositività (purposefullness), ricchezza di risorse (resourcefullness), accettazione di sé (selfacceptance), abitudini connaturate (enlightened second nature); b. Cooperatività (cooperativeness [c]), accettazione sociale (social acceptance), empatia (empathy), altruismo (helpfulness), compassione (compassion), onestà morale (pureheartedness); c. Autotrascendenza (self-trascendence [st]): dimenticanza di sé (self-forgetfulness), identificazione transpersonale (trans-identitification), accettazione spirituale (spiritual acceptance). 57 Inizialmente Cloninger aveva proposto solo le prime tre dimensioni del temperamento (ns, ha, rd), ipotizzando che a ciascuna di esse corrispondesse uno dei principali sistemi neurotrasmettitoriali (rispettivamente la dopamina, la serotonina e l’adrenalina). In seguito aggiunse una quarta dimensione temperamentale (p). Le quattro dimensioni del temperamento verrebbero ereditate in modo indipendente e sono distribuite nella popolazione normale. Le tre dimensioni del carattere (sd, c, st) sarebbero invece scarsamente ereditabili, ma sarebbero dipendenti dall'apprendimento sociale, dai valori acquisiti e dai processi cognitivi superiori. Il TCI è composto da 240 item a risposta dicotomica (vero-falso). Di questi, 116 esplorano i 4 tratti temperamentali (ns, ha, rd, p), 119 valutano i 3 tratti del carattere (sd, c, st) e 5 sono indicatori della presenza di Disturbo di Personalità. La somma degli item segnati come "vero" fornisce il punteggio grezzo delle sette scale; i punteggi grezzi vengono trasformati in punteggi standardizzati T che, riportati su di un grafico, forniscono un profilo di personalità del soggetto. I Disturbi di Personalità si caratterizzano per bassi punteggi di “autodirettività” e “cooperatività”. La presenza di alterazioni funzionali delle dimensioni temperamentali condiziona il determinarsi di uno specifico tipo di disturbo. I Cluster in cui solitamente sono raggruppati i Disturbi di Personalità del DSM presentano specifici aspetti temperamentali. I soggetti con Disturbi di Personalità di Cluster A presentano una bassa “dipendenza dalla ricompensa” quelli con Disturbi di Cluster B un’alta “ricerca di novità” e, quelli con Disturbi di Cluster C un alto “evitamento del danno”. Nel 1999 Cloninger ha costruito una Revisione, il TCI-R, tradotta in diverse lingue e disponibile anche in italiano (Fossati et al., 2007). 2.5 MILLON CLINICAL MULT IAXIAL INVENTORY-III (MCMI-III) Il questionario clinico multiassiale di Millon (MCMI, Millon Clinical Multiaxial Inventory) (Millon, 1983; Millon, Millon, Davis, & Grossman, 2009) è un test strutturato di personalità il cui scopo è delineare un profilo personologico attraverso un sistema di variabili e scale fondato su una specifica teoria della personalità e disegnato in base ai criteri del DSM-IV. I dati e punteggi di trasformazione sono basati interamente su campioni clinici; richiede poco 58 tempo per la somministrazione, ed è pensato per ottenere il massimo dell'informazione con il minimo sforzo del paziente. Millon estrapola e classifica dalla sua peculiare teoria sullo sviluppo della personalità 11 disturbi di personalità e 3 disturbi gravi di personalità. La differenziazione tra disturbi e disturbi gravi della personalità verte sul grado di integrazione e funzionamento del soggetto, sul giudizio di realtà, sulle capacità sociali ed sul grado di introversione/estroversione nei confronti dell’ambiente esterno. Dal punto di vista strutturale è un questionario a 175 item (a doppia possibilità di risposta "vero"/"falso"), composto da 24 scale e 4 indici di correzione: 1) 11 scale di stili di personalità: (1) Schizoide, (2A) Evitante, (2B) Depressiva, (3) Dipendente, (4) Istrionica, (5) Narcisistica, (6A) Antisociale, (6B) Sadica-Aggressiva, (7) Ossessivo Compulsiva, (8A) Negativistica/Passivo-Aggressiva, (8B) Masochistica; 2) 3 scale dei disturbi gravi di personalità: (S) Schizotipica, (C) Borderline, (P) Paranoide; 3) 7 scale di sindromi cliniche: A) Ansia, (S) Somatizzazione, (N) Bipolare, (D) Distimia, (B) Dipendenza da alcol, (T) Dipendenza da droghe, (R) Disturbo Post-Traumatico da Stress; 4) 3 sindromi cliniche gravi: (SS) Disturbo del pensiero, (CC)Depressione Maggiore, (PP) Disturbo Delirante; 5) 4 scale di correzione: (X) Apertura, (Y) Indice di Desiderabilità sociale, (Z) Indice di Autosvalutazione, (V) Indice di Validità. I punteggi grezzi vengono ottenuti contando gli item della scala segnati come positivi (gli item che hanno maggior valore per l’entità clinica in questione sono detti prototipici ed hanno valore 2, mentre gli altri valgono 1; tali punteggi vengono poi convertiti in punteggi standard BR (Base Rate) attraverso le apposite scale di correzione, la cui distribuzione riflette la prevalenza del disturbo nella popolazione e che, quindi, rendono superfluo il confronto con il gruppo normativo. Infatti, il BR indica la probabilità che un soggetto ha di possedere la caratteristica misurata in modo peculiare e non per come appare nella popolazione generale. Attualmente in Italia risulta meno conosciuto che in altri Paesi dove, grazie alla sua maneggevolezza e praticità (più breve del MMPI, sebbene altrettanto valido) sta assumendo un ruolo di sempre maggiore rilievo (attualmente, per il numero di 59 pubblicazioni nelle quali è utilizzato, segue solo il MMPI ed il test di Rorschach). La versione italiana del MCMI-III è stata pubblicata nel 2008 (Zennaro, Ferracuti, Lang, & Sanavio, 2008). 2.6 SHEDLER-WESTEN ASSESSMENT PR OCEDURE-200 (SWAP-200) Un altro modello dimensionale formulato più recentemente, ma che si è subito imposto all’attenzione dei ricercatori a livello internazionale, è la Shedler-Westen Assessment Procedure-200 (SWAP-200) (Westen & Shedler, 1999a). Questa scala di valutazione della personalità è un test psicologico unico nel suo genere, designato sia per l’assessment della personalità sia per la formulazione di casi clinici (Shedler & Westen, 2007; Westen & Shedler, 1999b; Wood, Garb, Nezworski, & Koren, 2007). La SWAP-200 è in grado di dare una grande quantità di informazioni clinicamente rilevanti sul singolo caso relativamente a 11 Disturbi di Personalità e 12 fattori di funzionamento della personalità; essendo inoltre molto sensibile al cambiamento, trova un importante impiego anche in psicoterapia perché può facilmente valutare l’evoluzione del trattamento (Lingiardi, Shedler, & Gazzillo, 2006). E’ uno strumento che si avvale dell’eterovalutazione nella rilevazione dei profili di personalità. I punteggi sono assegnati da un intervistatore clinico esperto, che si basa sulle proprie osservazioni e sulla conoscenza e comprensione del paziente. In altre parole, la SWAP-200 non presume che i soggetti siano in grado di auto-denunciare i loro tratti di personalità disadattativi. Piuttosto, si assume che sia un intervistatore competente ad individuarli, tramite un colloquio clinico sistematico o tramite la conoscenza longitudinale del paziente nel corso del trattamento; ciò garantisce una valutazione oggettiva sistematica del paziente, attraverso uno strumento diagnostico che comprende sia le sindromi cliniche sia il profilo della funzionalità globale del paziente nel suo contesto di vita (Westen & Muderrisoglu, 2003). La procedura, molto maneggevole grazie al software computerizzato, si presta a tipologie di diagnosi sia categoriali (fornendo i punteggi PD [Personality Disorders]) secondo l’asse II del DSM-IV, sia dimensionali (tramite i punteggi Q [Q sort]) sulla base di una nuova 60 classificazione degli stili di personalità derivata da studi empirici condotti tramite l'applicazione della stessa SWAP-200 a pazienti reali. La SWAP-200 si basa sulla tecnica di ordinamento del Q-sort (Block, 1978; Stephenson, 1953), metodologia statistica che utilizza un set di 200 item descrittivi (Q-set) e che costringe il valutatore a una distribuzione fissa degli item in otto categorie descrittive (pile) a numerosità fissa. A ciascun item viene assegnata un categoria in base alla sua rilevanza nel comportamento del soggetto: alla prima categoria (valore “0”) sono assegnate le affermazioni che il clinico ritiene irrilevanti o inapplicabili al soggetto; all’ultima (Valore “7) sono assegnate le affermazioni altamente descrittive del paziente. Andando da 0 a 7 la distribuzione fissa è 100, 22, 18, 16, 14, 12, 10, 8. Il computer calcola i punteggi della SWAP-200 e standardizza in "punti T" (media 50, varianza 10) la correlazione tra il profilo emerso dalla SWAP-200 e i seguenti due prototipi: • i prototipi SWAP di pazienti ideali con Disturbi di Personalità nell'Asse II del DSM-IV, generando la diagnosi categoriale in fattori PD. La correlazione (grado di somiglianza) tra descrizione del soggetto e prototipo DSM viene standardizzata in punti T (cut off: T = 60; 55 < T< 60); • i prototipi di stili di personalità derivati dalla nuova tassonomia di Disturbi di Personalità elaborata empiricamente attraverso la stessa SWAP-200 applicata a 496 pazienti reali, generando la diagnosi dimensionale in fattori Q. Anche in questo caso, il programma SWAP calcola il grado di somiglianza tra il profilo del soggetto e i diversi prototipi, e lo standardizza in punti T. Per la diagnosi in fattori PD, si parla di Disturbo di Personalità quando i punti T superano il valore di 60, cioè una deviazione standard più della media; se i punti T sono tra 55 e 60 si parla di "forti tratti" di Disturbo di Personalità (da qui è evidente la possibilità di diagnosi sia categoriale che dimensionale). I punti T non vengono paragonati solo ai prototipi di tutti i disturbi dell'Asse II, ma anche a un fattore di "Alto Funzionamento", cioè al profilo SWAP del prototipo di un paziente ideale sano. Va sottolineato che questo fattore di "Alto Funzionamento" è diverso dalla Global Assessment of Functioning (GAF), cioè dall'Asse V del DSM-IV, perché misura anche aspetti psicologici sofisticati, non solo il funzionamento sociale. 61 Uno degli aspetti interessanti della SWAP-200 è che permette di colmare il gap tra diagnosi psichiatrica o psicologica descrittiva e formulazione clinica e psicodinamica del caso: componendo in forma narrativa il testo degli item che hanno ricevuto i tre punteggi più alti (5, 6 e 7), e integrandoli con altre informazioni sul caso, si può facilmente arrivare (in modo per così dire "scientifico", cioè replicabile) a una formulazione narrativa del caso contemporaneamente alla valutazione diagnostica. Per quanto riguarda le proprietà psicometriche, l’affidabilità e la validità dei punteggi derivati dalla SWAP-200 sono state dimostrate in diversi studi, tramite l’analisi fattoriale (Cogan & Porcerelli, 2012; Loffler-Stastka et al., 2007; Mullins-Sweatt & Widiger, 2008; Smith, Hilsenroth, & Bornstein, 2009; Westen & Muderrisoglu, 2006). La SWAP-200 è stata tradotta in diverse lingue, tra cui l’italiano (Gazzillo, 2006; Westen, Shedler, Lingiardi, & Gazzillo, 2003). Essendo lo strumento prescelto per il presente studio, per un ulteriore approfondimento delle sue caratteristiche e della procedura di somministrazione si rimanda alla sezione “Materiale e Metodi” di questa trattazione. 2.7 ALTRI MODELLI DIMENSIONALI La sintetica esposizione dei modelli dimensionali appena presentata suggerisce le loro eterogeneità e varietà. Di fronte a tale complessità, non potendo fornirne né un elenco esaustivo, né un’analisi dettagliata, appare tuttavia doveroso citare a scopo puramente indicativo ed in modo necessariamente stringato anche i seguenti strumenti: • Schedule for Nonadaptive and Adaptive Personality (SNAP) (Clark, 1993) (modello a 12 dimensioni); • Dimensional Assessment of Personality Pathology – Basic Questionnaire (DAPP-BQ) (Livesley & Jackson, 2001) (modello a 18 dimensioni); • Inter-Personal Circumplex (IPC) (Wiggins & Broughton, 1985) derivato dal modello "circomplesso" (o quadrante) di Leary (1957); • Structural Analysis of Social Behavior (SASB) (Benjamin, Rothweiler, & Critchfield, 2006), come il precedente ad impronta “interpersonale”; 62 • Emotionality, Activity, Sociability (EAS) (Buss & Plomin, 1986) ad impronta temperamentale, applicabile ai bambini; • Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) (Hathaway & McKinley, 1957), celeberrimo, la cui definizione di test di “personalità” è però una dimostrazione della sovrapposizione di concetti che appartengono al campo clinico e di altri relativi alla personalità e alla sua patologia (solo 2 delle sue 9 scale –(4) deviazione psicopatica e (5) mascolinità/femminilità- valutano realmente dei costrutti simili ad attributi o tratti di personalità; • Test for AxiaL Evaluation and Interview for Clinical, Personnel, and Guidance Applications, 400A (Taleia 400 A) (Boncori, 2007) composto da 18 scale cliniche e 3 di validità, che quantifica, come il precedente, in realtà sia le sindromi cliniche sia i Disturbi di Personalità. Sono stati fatti dei tentativi per rapportare tra loro tutti i modelli dimensionali, con la finalità di rintracciare dimensioni comuni o più generali. In entrambi i primi due modelli, ad esempio, sia i 12 fattori della SNAP sia i 18 del DAPP-BQ risultano essere sottodimensioni delle seguenti 4 scale: “Sregolazione emotiva”, “Dissocialità”, “Inibizione”, “Compulsività”. Widiger e coll. (Widiger, Sirovatka, Regier, & Simonsen, 2007) propongono un modello di valutazione dimensionale della personalità che integra 18 modelli di valutazione dimensionale, già esistenti, in un unico modello a 4 livelli: 1) 2 fattori (internalizzante ed esternalizzante); 2) 4 domini del funzionamento della personalità (Estroversione vs Introversione; Disponibilità vs Antagonismo; Stabilità emotiva vs Instabilità emotiva; Controllo vs Impulsività); 3) i sotto-fattori compresi nelle dimensioni del livello precedente; 4) i tratti più vicini ai comportamenti manifesti, cioè quelli più simili agli attuali criteri del DSM. Secondo Krueger & Tackett (Krueger & Tackett, 2003), tutte le dimensioni della personalità potrebbero trovare un livello di generalizzazione ancora superiore, massimo, caratterizzato dalla polarità “Internalizzazione” (depressione, ansia ecc.) vs “Esternalizzazione” (uso di sostanze, comportamento antisociale, ecc.). 2.8 LIMITI DEI TEST SELF-REPORT DI VALUTAZIONE DELLA PERSONALITÀ Da quanto riportato risulta evidente che la maggioranza degli strumenti psicometrici utilizzati per porre diagnosi di Disturbo di Personalità si basino su questionari 63 autosomministrati, con possibilità di risposta dicotomica sì/no o talora secondo scala Likert. La metodologia self-report si è mostrata nel corso degli anni oggetto di numerose critiche da parte di ricercatori e clinici, in quanto palesava diversi punti di fragilità, ipoteticamente responsabili di misdiagnosi e di minore accuratezza diagnostica (Bradley, Hilsenroth, Guarnaccia, & Westen, 2007; Kendler, Thacker, & Walsh, 1996). A proposito della schizotipia, per esempio, le misure self-report, con poche eccezioni, si sono mostrate meno efficaci delle interviste nel distinguere i familiari di pazienti schizofrenici dai controlli sani. La prima critica da muovere potrebbe essere quella relativa al carattere esplicito delle domande degli strumenti self-report. La possibilità di rispondere in modo totalmente congruo ed oggettivo a tali domande presupporrebbe una notevole somiglianza tra visioni consce ed inconsce del sé ed una notevole capacità introspettiva e consapevolezza dei tratti della propria personalità. Inoltre bisognerebbe ipotizzare una notevole somiglianza tra le rappresentazioni che si attivano quando si chiede di descrivere aspetti espliciti del sé e quelle che si attivano nella vita quotidiana e che normalmente guidano comportamenti, sentimenti e pensieri (e sono dunque quelle maggiormente descrittive della personalità del soggetto). In tale senso è utile ricordare che la mancanza di insight e di comprensione di sé è tipica proprio di alcuni disturbi di personalità, e potrebbe essere in grado di inficiare le capacità diagnostiche molto più di quanto potrebbe accadere nell’utilizzo di questionari autosomministrati nelle diagnosi di Asse I. L’atteggiamento difensivo nel rispondere alle domande self-report, tendente alla negazione della patologia o del tratto disfunzionale può produrre bias diagnostici che non possono non essere considerati (Katsanis, Iacono, & Beiser, 1990; Torti et al., 2013). Inoltre, la metodica dei questionari autosomministrati elimina la valutazione che nella pratica psichiatrica risulta la più importante nell’effettuare una diagnosi, quella del giudizio clinico. Nella pratica quotidiana difatti l’onere della diagnosi è quasi totalmente affidato all’osservazione stessa del paziente e dei suoi comportamenti nella stanza di visita, e all’ascolto dei suoi racconti di storie di vita da cui emergono le modalità tipiche di relazione e di visione di sé, la ripetitività di alcuni pattern e la egosintonia o egodistonia di alcuni peculiari tratti. Affidare in toto all’occhio del paziente la valutazione di sé e della propria personalità equivale a rinunciare ad una parte importante del normale processo 64 diagnostico e a creare una notevole divergenza tra la diagnosi in ambito clinico e quella in ambito di ricerca. In sintesi, se l'assessment della personalità si basa su un'autovalutazione, non può essere una misura oggettiva. Nel caso dei questionari a risposta dicotomica, infine, è necessario muovere alcune osservazioni sulla forma con la quale sono pensate le risposte, ovvero la formulazione sì/no. Per quanto riguarda i tratti di personalità difatti è quasi sempre totalmente impossibile, e comunque poco utile, stabilire la sola presenza/assenza di una determinata caratteristica. Ciò che contraddistingue la funzionalità dalla patologia, rispetto alla personalità, è la rigidità con cui alcuni tratti sono espressi, nonché la pervasività e la persistenza con cui vengono manifestati nella quotidianità della vita del soggetto. In questo senso sarebbe più utile un approccio che tenga conto della possibilità di modulare, lungo una scala di intensità crescente la presenza e la relativa importanza di ogni tratto indagato. Ciò risulterebbe più coerente con un approccio di tipo dimensionale della diagnosi, tratteggiando le caratteristiche e le peculiarità di ogni singolo individuo, e non solo il suo etichettamento dentro o fuori una certa categoria diagnostica secondo criteri alle volte puramente arbitrari. Per tali motivi nel nostro studio abbiamo proposto la SWAP-200 come strumento per la diagnosi e la valutazione della personalità nella nostra popolazione di soggetti studiati. La nostra ipotesi è che essa possa fornire un valido ausilio ed una integrazione agli attuali test valutativi, per una sempre maggiore comprensione della psicopatologia della schizofrenia e dei disturbi ad essa associati e per una ancor più valida strutturazione di un percorso di prevenzione e di cura. 65 3 OBIETTIVI DELLO STUDIO Il rilievo di elevati tassi di comorbilità tra disturbi di personalità e psicosi e la presenza di pattern di personalità specifici nei familiari dei pazienti con schizofrenia ci hanno mostrato la necessità di approfondire lo studio delle aree personologiche ricorrenti sia nei soggetti affetti da psicosi sia in quelli a rischio di transizione. Di queste aree della personalità sarebbe estremamente utile definire, attraverso parametri psicometrici, non solo la capacità patogenetica di preludere e scatenare una psicosi, ma anche di modularne le manifestazioni con un effetto patoplastico. Per tali motivi, abbiamo anche assistito ad un fiorire del dibattito della ricerca sull’effettiva abilità degli attuali strumenti psicometrici nell’identificare e valutare gli aspetti personologici nell’ambito delle psicosi. Nella maggioranza dei casi, la valutazione della personalità si basa su strumenti self-report. La metodica dei questionari autosomministrati, tuttavia, ha il grande limite di eliminare il ruolo del giudizio clinico. Il presente lavoro si inserisce nell’ambito degli studi della personalità dei familiari non psicotici di pazienti schizofrenici proponendo una prospettiva d’indagine alternativa: l’esplorazione della personalità non si è svolta infatti tramite la somministrazione di strumenti self-report ma attraverso l’osservazione diretta da parte di clinici esperti. L’obiettivo generale della ricerca è l’assessment della personalità in una prospettiva sia categoriale sia dimensionale in un ampio campione di pazienti schizofrenici, dei loro familiari di primo grado ed in soggetti di controllo sani utilizzando un metodo di eterovalutazione tramite la Shedler-Westen Assessment Procedure-200 (SWAP-200) (Westen & Shedler, 1999a). Gli obiettivi specifici sono: 1) Valutare i tratti di personalità correlati allo spettro schizofrenico, ovvero legati al Cluster A, nei familiari non psicotici dei pazienti inclusi. In particolare, avendo come target il continuum di vulnerabilità sotto la soglia della psicosi, valutare se nei familiari i punteggi medi delle scale relative a questi tratti abbiano valori intermedi tra quelli ottenuti dai pazienti e quelli ottenuti 66 dai controlli sani (inferiori ai punteggi dei pazienti ma superiori a quelli dei controlli) e se le differenze osservate abbiano una significatività statistica; 2) Valutare la prevalenza nei tre gruppi allo studio degli altri tratti personologici afferenti al Cluster B e C al fine di approfondire quanto riportato in letteratura, a volte con dati ancora preliminari, soprattutto circa la distribuzione del Disturbo Evitante e del Disturbo Borderline di Personalità nei soggetti con schizofrenia conclamata e in quelli a rischio, a confronto con la popolazione generale. 67 4 MATERIALI E METODI Lo studio si è svolto presso il D.A.I. di Neurologia e Psichiatria del Policlinico Umberto I di Roma durante un periodo che va dal 2009 al 2014 e fa parte del Progetto di Ricerca sugli Endofenotipi attualmente in corso presso il nostro Dipartimento. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico per la Ricerca Medica del Policlinico Umberto I con n° di riferimento 2333/09.02.2012; prot. 104/12. 4.1 DISEGNO SPERIMENTALE Sono stati reclutati consecutivamente tutti i pazienti schizofrenici, di età compresa dai 18 ai 65 anni, afferenti all’ “Ambulatorio dell’Area delle Psicosi” sito presso il Policlinico Umberto I, che hanno accettato di partecipare al Progetto di Ricerca sugli Endofenotipi. Tutti i pazienti al momento del reclutamento assumevano regolare trattamento psicofarmacologico (generalmente con antipsicotici di seconda generazione) e si presentavano in una fase di relativo compenso clinico, con sintomi produttivi minimi o assenti. Il loro funzionamento sociale ed interpersonale, al momento dello studio, risultava sufficientemente preservato da consentire un’efficace interazione con i clinici. Per quanto riguarda il reclutamento dei familiari, per garantire una migliore disponibilità all’effettuazione di tutte le valutazioni necessarie, sono stati selezionati i genitori ed i fratelli che figuravano tra i caregivers dei pazienti. I controlli sani sono stati reclutati tra soggetti volontari. Contestualmente all’inserimento nel protocollo, dopo aver ricevuto una completa descrizione del progetto, tutti i partecipanti hanno firmato un apposito consenso informato. Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad interviste da tre psichiatri ed uno psicologo clinico. Per i familiari ed i controlli la raccolta dei dati socio-demografici (età, sesso, scolarità, stato civile) è stata effettuata tramite un’intervista all’ingresso; nel caso dei pazienti tali dati sono stati desunti dalla consultazione delle cartelle cliniche. 68 Ad eccezione della variabile “età” per i genitori, i gruppi dei pazienti e dei familiari non differivano per le altre variabili socio-demografiche con il gruppo dei controlli sani. Un criterio di esclusione in tutti e tre i gruppi è stata la presenza di disturbi neurologici o dipendenza da alcool e sostanze in atto. Nel gruppo dei pazienti le diagnosi sono state poste in accordo ai criteri DSM-IV-TR e confermate mediante somministrazione di SCID-I/P (Patient Edition) (First, Spitzer, Gibbon, & Williams, 1997). I familiari ed i controlli sono stati sottoposti ad uno screening tramite SCID-I/NP (Non-Patient Edition) (First, Spitzer, Gibbon, & Williams, 2002) per escludere la presenza di disturbi psicotici o altri disturbi gravi in asse I. All’apertura dello studio, tutti i valutatori, con almeno tre anni di esperienza clinica dopo la specializzazione, hanno effettuato un training per l’applicazione della procedura di valutazione con la SWAP-200. L’analisi dell’inter-rater-reliability è stata effettuata sottoponendo 10 pazienti conosciuti da tutti i valutatori alla procedura SWAP-200, e i risultati analizzati attraverso una correlazione bivariata, ottenendo un buon indice di concordanza tra valutatori (r = 0.79). Successivamente, a tutti i partecipanti allo studio è stata somministrata la SWAP-200. In particolare i familiari ed i controlli sono stati sottoposti ad almeno tre interviste, della durata di due ore ciascuna; i pazienti, tutti assistiti da almeno due anni, sono stati valutati invece tramite un colloquio approfondito con i rispettivi psichiatri curanti. In queste interviste, come nella pratica clinica tipica, i valutatori raccolgono le informazioni principali sia dal narrato personale dei soggetti sulla loro vita quotidiana sia dal comportamento osservato nell’interazione con lo stesso intervistatore. In particolare, l'indagine si concentra sui sintomi, sulla storia scolastica e lavorativa, sulle relazioni e su esempi di esperienze emotivamente significative. Sulla base di questi dati, i clinici valutano i soggetti nella visione che hanno di sé e degli altri e nel loro modo di pensare, di provare emozioni, di regolare gli impulsi e di comportarsi nell’ambito delle relazioni significative. Quindi assegnano coerentemente i punteggi agli item corrispondenti. Da ciò si desume che la profonda conoscenza del soggetto richiesta dalla SWAP-200 consente all’intervistatore di rilevare subito la presenza di psicopatologia, rendendo impossibile l’esecuzione del colloquio in 69 cieco. Per questo motivo, nel presente progetto come in precedenti lavori con il metodo SWAP-200, è stata eseguita una procedura di studio in aperto (open label study). 4.2 POPOLAZIONE La popolazione complessiva dei partecipanti allo studio è composta da 190 soggetti (94 maschi e 96 femmine), suddivisi nei seguenti gruppi: • 65 pazienti con diagnosi di schizofrenia (35 maschi, 30 femmine, intervallo di età: 18-54 anni); • 60 familiari di primo grado di questi pazienti dei quali 30 genitori (15 maschi, 15 femmine; intervallo di età: 46-78 anni) e 30 tra fratelli e sorelle (17 maschi, 13 femmine; intervallo di età: 18-56 anni); • 65 soggetti sani di controllo (27 maschi, 38 femmine; intervallo di età: 18-59 anni). Le loro caratteristiche vengono presentate nella sezione dei Risultati. 4.3 STRUMENTI UTILIZZATI E VALUTAZIONI Per il presente studio sono stati utilizzati gli strumenti psicometrici Shedler-Westen Assessment Procedure (SWAP-200) e Structured Clinical Interview for DSM-IV Axis I Disorders (SCID-I), di seguito descritti. 4.3.1 LA SHEDLER-WESTEN ASSESSMENT PR OCEDURE – 200 (SWAP-200) La SWAP-200 nasce come tentativo di integrare in un test psicodiagnostico unico la prospettiva clinica con quella della ricerca, combinando la ricchezza del giudizio clinico ed il rigore empirico necessario per utilizzare i dati ottenuti in studi scientifici (Westen et al., 2003). La particolare strutturazione della scala permette di fornire dettagliate descrizioni della personalità, delineando le caratteristiche cliniche e gli stili di personalità secondo dei continuum e non con la visione dicotomica presente/assente della maggioranza degli strumenti psicometrici designati a questo tipo di valutazione. La SWAP-200 permette di effettuare sia diagnosi categoriali, seguendo la nosografia DSM, sia diagnosi dimensionali in base alla classificazione empiricamente derivata e proposta da Westen e Shedler (più 70 avanti descritta). La descrizione che emerge è una valutazione della funzionalità dell’individuo a livello cognitivo, affettivo, motivazionale e comportamentale, e di come varia tale funzionalità a seconda delle circostanze esterne, discriminando tra le aree patologiche e quelle di buon funzionamento. Con la SWAP-200 è possibile dare una valutazione oggettiva e condivisibile anche di quel 60% dei pazienti che, pur essendo trattati nella pratica clinica per pattern disadattativi di personalità, non raggiungono i criteri di nessuna diagnosi categoriale di Asse II (Westen & Arkowitz-Westen, 1998). Nel caso infatti di quadri sfumati e non chiaramente inquadrabili nell’ambito di un singolo disturbo di personalità, poiché non si basa sulla presenza/assenza di determinate caratteristiche, ma sulle loro intensità e rigidità, permette di delineare una descrizione dei tratti patologici, delle aree disfunzionali e delle circostanze che le attivano causando stress. Per descrivere il metodo di valutazione della SWAP-200 è necessaria una spiegazione della procedura alla quale fa riferimento, quella del Q-sort (Stephenson, 1953). Un Q-sort è un insieme di affermazioni che descrivono (nel caso della valutazione psicometrica) aspetti diversi del funzionamento psicologico. Ogni affermazione, o item, può descrivere un soggetto molto bene, solo in parte o per nulla. Colui che somministra la scala (sia clinico sia ricercatore) ordina le schede in un numero prestabilito di categorie (o “pile”). Nella prima categoria, contrassegnata dal numero 0, vengono poste le affermazioni che non rispecchiano in alcun modo le caratteristiche del soggetto esaminato; si prosegue poi in ordine progressivo nelle diverse pile, fino a posizionare nell’ultima pila le affermazioni che descrivono nel miglior modo il soggetto in esame. Il metodo Q-sort è strutturato in modo tale che i clinici debbano assegnare ad ogni categoria un numero di item prefissato. Con i dati Q-sort è possibile creare delle descrizioni composite, cioè combinare ad esempio le descrizioni di molti clinici esperti di un ipotetico paziente con Disturbo Narcisistico della Personalità, fare una media dei valori attribuiti da ognuno ad ogni singolo item e creare così una descrizione composita del paziente narcisistico prototipico. In tale modo gli Autori della SWAP-200 hanno identificato i prototipi di tutti i dieci Disturbi di Personalità descritti dal DSM-IV, più i quattro riportati nelle appendici o nelle precedenti versioni del DSM 71 (Disturbi di Personalità Depressivo, Passivo-Aggressivo, Sadico ed Auto-frustrante [selfdefeating]) e quello del paziente prototipico con personalità sana, ad alto funzionamento. La SWAP-200 è costituita da 200 item, scritti con terminologia chiara, condivisibile e priva di ambiguità al fine di essere intese allo stesso modo da qualsiasi valutatore. Si tratta di 200 frasi descrittive dei vari aspetti del funzionamento psicologico degli individui (comprensive delle risorse individuali e delle aree sane) con un linguaggio non gergale e non indirizzato teoricamente e dunque comprensibile a tutti i clinici, indipendentemente dal loro orientamento. L’insieme degli item comprende costrutti dai criteri dell’asse II, da alcuni criteri dell’asse I che potrebbero sottendere un disturbo della personalità, dalla letteratura degli ultimi cinquant’anni sui disturbi di personalità (ad esempio gli scritti di Kernberg e Kohut), dalle ricerche sui meccanismi di difesa e sul coping, dalle ricerche sulle problematiche interpersonali dei pazienti affetti da tali disturbi, e infine da ricerche sui tratti della personalità normale e sulla salute psicologica (per l’elenco completo degli item di cui si compone la SWAP-200 si rimanda all’Allegato A). Il clinico o il ricercatore, dopo almeno 3 colloqui condotti con l’esaminato, ha il compito di distribuire i 200 item in otto pile (col computer, non manualmente) in ciascuna delle quali dovrà posizionare un numero di item prefissato secondo una scala da 0 a 7 (da "per niente descrittivo" a "moltissimo") (Figura 4.1). La distribuzione non libera ma forzata, cioè fissa, degli item, ha anche lo scopo di ovviare al bias di molti clinici di collocare gli item, senza riflettere a sufficienza, spesso agli estremi del continuum. Figura 4.1 Distribuzione degli item della SWAP-200 nelle 8 pile. Le contengono pile gli più scure item più descrittivi per la formulazione del caso. Alla pila con valore 0 sono assegnate affermazioni tutte le giudicate irrilevanti o inapplicabili al soggetto; nelle pile 1, 2, 3 e 4 sono posti gli item ritenuti da minimamente a moderatamente corrispondenti alla psicologia del soggetto, e così via progressivamente fino a inserire nell’ultima pila quelli che meglio descrivono le caratteristiche del paziente. 72 Una volta distribuiti tutti gli item, il software effettua il confronto tra le caratteristiche del soggetto in esame e quelle del paziente prototipico, eseguendo un’analisi statistica della somiglianza tra i due profili descrittivi e categorizzando questa somiglianza in termini di: assenza di disturbo, presenza di poche o molte caratteristiche del disturbo o presenza conclamata del disturbo. Il grado di somiglianza tra il paziente esaminato ed il paziente prototipico è misurato da un coefficiente di correlazione. Il programma SWAP-200 elabora un distinto coefficiente di correlazione per ogni disturbo di personalità di Asse II, denominato “fattore-PD”. Per facilitare la comprensione dei risultati i coefficienti di correlazione sono trasformati in punteggi T e rappresentati su di un grafico, somigliante a quello di un profilo MMPI, nel quale ogni punto indica la somiglianza tra il paziente ed il prototipo diagnostico (Figura 4.2). I punteggi T hanno media di 50 e deviazione standard di 10, per cui il paziente medio avrà 50 per ogni Disturbo della Personalità; più il punteggio T supera 50 più il paziente somiglia al prototipo diagnostico. Un punteggio T di 60, indicando che il punteggio di Disturbo di Personalità è di una deviazione standard sopra la media, è inteso come cut-off appropriato per fare diagnosi categoriale di Disturbo di Personalità di Asse II. Quando il punteggio è invece compreso tra 55 e 60 si può parlare di “forti tratti”. Se un paziente presenta un punteggio maggiore di 60 per più di un disturbo, ma uno di questi punteggi è molto più alto degli altri, questo sarà considerato la diagnosi primaria. Inoltre il punteggio T relativo all’alto funzionamento darà una valutazione quantitativa della capacità del soggetto di funzionare nelle normali circostanze della vita. Ai pazienti con un punteggio di “Alto Funzionamento” superiore a 60 non è attribuito alcun Disturbo della Personalità. 73 Figura 4.2 Esempio di profilo di personalità con SWAP-200 di un paziente con Disturbo di Personalità Narcisistico (sia secondo la diagnosi categoriale DSM in base ai punteggi PD-T sia secondo la diagnosi dimensionale con i punteggi Q-T [entrambi >60]). I due fattori-PD che si correlano maggiormente col fattore di Alto Funzionamento, cioè i due Disturbi di Personalità che nel nostro mondo occidentale risultano meglio adattati e più "funzionali" alla società, sono risultati essere quello Ossessivo e quello Narcisistico. Lo studio dei fattori-PD ha anche mostrato che alcuni Disturbi di Personalità del DSM-IV non sono facilmente distinguibili, ad esempio quello Sadico, Antisociale e Narcisistico risultano molto vicini, e ancor più sovrapponibili sono i Disturbi Schizoide, Schizotipico ed Evitante (e quest'ultimo, a sua volta, era molto sovrapponibile a quelli Dipendente, Depressivo e Auto-frustrante). La SWAP-200 possiede una notevole validità convergente, ossia un’elevata correlazione tra le descrizioni composite di pazienti reali con un dato Disturbo di Personalità ed il loro prototipo diagnostico, ed un’altrettanta elevata validità discriminante, ossia la capacità di discriminare tra le diverse diagnosi, fornendo correlazioni basse tra la descrizione del paziente suddetto con i prototipi degli altri Disturbi di Personalità. Si è osservata, inoltre, una relazione statisticamente significativa tra le correlazioni con il prototipo ad Alto 74 Funzionamento e la valutazione fatta da clinici del funzionamento tramite la Valutazione Globale del Funzionamento (VGF), ed una elevata validità convergente e discriminante tra i punteggi dei Disturbi di Personalità SWAP-200 e la valutazione dei clinici del grado in cui i pazienti soddisfano i criteri diagnostici dei vari Disturbi di Personalità (Westen & Shedler, 1999a, 1999b). Westen e Shedler hanno provato anche a utilizzare la SWAP-200 su 496 pazienti reali che avevano ricevuto una diagnosi di Asse II, e hanno così proposto un sistema alternativo di classificazione dei disturbi di personalità, basato su questi rilevamenti empirici, che descrive le patologie della personalità così come si mostrerebbero in natura. L’insieme di procedure statistiche utilizzato per identificare i raggruppamenti per come si presentano in natura (e nel caso della valutazione della personalità i raggruppamenti di pazienti che condividono caratteristiche psicologiche importanti) è conosciuto come “analisi-Q”. Prima della proposta dei due Autori tale analisi era usata in zoologia per la classificazione delle specie animali e nello studio nella personalità umana normale, ma mai nello studio dei disturbi della personalità. Tramite l’analisi-Q, che è una variante dell'analisi fattoriale in quanto raggruppa non degli item simili tra loro ma dei casi clinici caratterizzati da punteggi simili nelle stesse variabili1, i due autori hanno estratto 11 “fattori-Q” dalle loro 496 SWAP-200, ovvero 11 Cluster di soggetti simili tra loro e diversi da quelli che appartengono agli altri Cluster. 1 Il procedimento dell’analisi-Q è simile a quello dell’analisi fattoriale, utilizzata nei casi in cui l’insieme dei dati contiene molte variabili che sembrano misure ridondanti di poche dimensioni sottostanti. L’analisi fattoriale identifica gruppi di variabili molto simili e quindi altamente correlate tra loro ma non correlate a variabili di altri gruppi. Il ricercatore, una volta assodato quali siano le variabili associate tra loro, può scoprire qual è il fattore sottostante che esse vanno a misurare (ad esempio da un gruppo contenente variabili come “è spesso triste”, “piange frequentemente” ed “ha pensieri di morte” si può facilmente concludere che le variabili misurino il fattore sottostante “depressione”). Nell’analisi-Q la procedura è quella di una comune analisi fattoriale, con la sola differenza che non individua gruppi di variabili ma di persone, che hanno in comune importanti caratteristiche psicologiche e che si differenziano dalle persone degli altri gruppi. 75 I fattori-Q dunque rappresentano 11 categorie diagnostiche empiricamente derivate, potremmo dire 11 “Disturbi di Personalità Q” alternativi alla classificazione DSM, che massimizzano le differenze e minimizzano le comorbilità e che tengono conto di un’ampia varietà di caratteristiche cliniche, di diverse aree del funzionamento e di pattern caratteristici di pensiero, emozione, comportamento e motivazione. Le diagnosi con i fattori-Q, andando ad evidenziare anche le risorse e le aree funzionali del soggetto indagato, più che fornire una connotazione patologizzante mirano piuttosto a descrivere lo “stile di personalità” (che diviene francamente patologico solo quando i punteggi dell’Alto Funzionamento sono inferiori a 60 e si raggiunge un picco superiore a 60 in almeno un fattore-Q). I fattori-Q inizialmente estrapolati dall’analisi-Q nel 1999 erano 7. Il primo, definito "disforico", comprendeva il 20% del campione, per cui questo primo fattore è stato ulteriormente scomposto con un’analisi-Q di secondo ordine e diviso in 5 sottofattori con buona coerenza clinica, arrivando al totale definitivo di 11 fattori-Q. Ciò che sembra diversificare tra loro i pazienti appartenenti al gruppo disforico sono le condizioni in grado di attivare la disforia ed i tentativi che si compiono per cercare di regolarla (come evitare persone e situazioni, o aggrapparsi disperatamene agli altri, o reagire con rabbia verso le persone da cui si sentono frustrati). Prima di procedere con la descrizione dei singoli fattori-Q risulta interessante - soprattutto dato lo scopo della nostra ricerca - evidenziare ulteriori dati rilevati dall’analisi dei fattoriQ: 1) È emerso un unico fattore-Q schizoide, che include molti pazienti diagnosticati come schizoidi e schizotipici ed un sottogruppo di pazienti diagnosticati come evitanti. Ciò concorda con quanto finora ipotizzato circa la notevole associazione tra il Disturbo Schizoide e Schizotipico, dovuta forse alla comune origine genetica del disturbo, e alla supposizione circa il possibile legame con il Disturbo Evitante. Il fatto che non sia emersa alcuna personalità schizotipica fa pensare che gli schizotipici del DSM-IV siano in realtà degli schizoidi con disturbo del pensiero, quindi rientrabili nell'Asse I (scelta, come è noto, già fatta dall'ICD-10 che ha incluso la personalità schizotipica nella schizofrenia). 2) Non è emersa alcuna personalità borderline, dato che i borderline del DSM-IV rientrano nel fattore istrionico e nei due sottofattori disforici emotivamente disregolato e dipendente76 masochistico. In altre parole, si potrebbe dire che i borderline siano individui che fanno fatica a regolare le proprie emozioni e si possono dividere in tre gruppi: quelli che vivono la disregolazione delle loro emozioni in modo egodistonico (gli emotivamente disregolati), quelli che vivono la disregolazione delle loro emozioni in modo egosintonico (gli istrionici), e quelli che cercano di regolare le loro emozioni facendosi abusare dagli altri (i dipendentimasochistici). 3) Per quanto riguarda il fattore-Q narcisistico, esso riassume le tipologie di narcisisti sia "grandiosi/maligni" sia "fragili", riproponendo le concettualizzazioni di vari autori che hanno iscritto queste due categorie nei due poli (“inconsapevole” e “ipervigile”) di un continuum basato sul tipo di stile di relazioni interpersonali (Gabbard, 2007). Viene di seguito proposta una breve descrizione di ognuno degli 11 fattori-Q, con le relative differenze con i Disturbi di Personalità descritti dal DSM-IV-TR (la lista completa degli item attribuiti ad ogni singolo stile di personalità SWAP-200 – o fattore-Q – sono elencati nell’Allegato B). Fattore-Q disforico: caratterizzato da un’immagine di sé come inadeguato, inferiore o fallito, da una tendenza a provare vergogna o imbarazzo e sentirsi depresso o abbattuto, accusarsi delle cose negative che accadono, sentirsi in colpa, essere sensibile ai rifiuti e agli abbandoni, nonché a sentirsi bisognoso o dipendente, debole e impotente, a ingraziarsi gli altri ed essere passivo e poco assertivo. E’ suddiviso nei seguenti sottogruppi: • Disforico evitante: caratterizzato da item che indicano tendenza ad essere timido, riservato ed a sentirsi inadeguato, a evitare le situazioni sociali perché teme imbarazzo o umiliazione, ad essere socialmente goffo o inappropriato, inibito, coartato, passivo o poco assertivo, a non avere relazioni o amicizie strette, a sentirsi privo di appartenenza, ad avere difficoltà nel concedersi di provare forti emozioni piacevoli. Le differenze rispetto al Disturbo Evitante descritto nel DSM includono una coscienza morale estremamente rigida, la presenza di una limitata gamma di emozioni, di difficoltà nell’espressione della rabbia e di elevate quote d’ansia. • Disforico (depressivo-nevrotico) ad alto funzionamento: caratterizzato da item che indicano solidità e risorse psicologiche: è articolato, ha standard morali ed etici, è empatico ed apprezza l’umorismo, è intuitivo, suscita la simpatia degli altri. Ovviamente accanto ad essi si collocano item che indicano la disforia cronica: tende ad autoaccusarsi e a sentirsi in colpa, a sentirsi infelice o abbattuto e a cercare relazioni nelle quali svolge il ruolo della persona che si prende cura o salva gli altri. 77 Rispetto al suo analogo, inserito nelle appendici del DSM, lo stile disforico (depressivo) ad alto funzionamento presenta, come lo stile ossessivo e quello narcisistico, la possibilità di un discreto funzionamento psicologico. • Disforico con disregolazione emotiva: include al suo interno molti pazienti diagnosticati dal DSM come borderline. Gli item caratteristici sono quelli che descrivono emozioni che aumentano di intensità fino alla perdita di controllo, lotte frequenti con pensieri di morte e suicidio, incapacità a calmarsi da solo quando si è angosciati, tendenza a sentire che la propria vita non ha significato e tendenza a compiere frequenti gesti suicidari o a minacciarne l’esecuzione (per quanto riguarda le differenza con il Disturbo Borderline del DSM si veda più avanti quanto riportato circa il fattore-Q istrionico). • Disforico dipendente-masochista: rispetto alla categoria diagnostica del DSM sono pazienti che appaiono più sofferenti e disturbati. Sono caratterizzati dalla tendenza a coinvolgersi e rimanere in relazioni in cui subiscono abusi emotivi e fisici e a ingraziarsi gli altri, a farsi sottomettere, ad attaccarsi agli altri in modo intenso e veloce, a essere suggestionabili o facilmente influenzabili, ad attaccarsi o innamorarsi di persone non emotivamente disponibili, ad essere eccessivamente bisognosi o dipendenti e a mostrare l’utilizzo di meccanismi di difesa quali scissione ed idealizzazione e fenomeni quali la diffusione dell’identità, la difficoltà a regolare gli affetti e a riconoscere ed esprimere la propria rabbia. • Disforico ostile (con esteriorizzazione dell’aggressività): descritto da item che indicano tendenza a partecipare a lotte di potere, ad essere arrabbiato e ostile, ad accusare gli altri dei propri fallimenti, a sentirsi incompreso, maltrattato o vittimizzato, ad avere conflitti con le autorità, immaginando di doverle sottomettere, di doversi ribellare, di doverle sconfiggere, a tenere il broncio ed esprimere la propria rabbia in modi indiretti e passivi. Tale fattore, caratterizzato da notevoli quantità di rabbia ed aggressività, non trova corrispondenza in alcun Disturbo di Personalità del DSM-IV. Fattore-Q antisociale-psicopatico: caratterizzato da item che indicano tendenza ad essere disonesto, ad approfittarsi degli altri ed avere un minimo investimento nei valori morali, a non provare alcun rimorso per le ferite o il danno provocato ad altri, ad essere arrabbiato e ostile, ad agire in modo impulsivo senza riguardo delle conseguenze, a manipolare le emozioni degli altri allo scopo di ottenere ciò che si desidera, ad avere poca empatia, ad essere inaffidabile o irresponsabile, a manifestare comportamenti criminali e non preoccuparsi per le conseguenze delle proprie azioni. La descrizione SWAP-200 del Disturbo Antisociale differisce dalla diagnosi DSM in quanto contempla la presenza di mancanza di empatia (fondamentale nella diagnosi clinica di Disturbo Antisociale), di meccanismi di difesa primitivi quali proiezione ed esteriorizzazione, della tendenza alla manipolazione dei sentimenti altrui e del sentimento narcisistico di invulnerabilità. 78 Fattore-Q schizoide: definito da affermazioni che delineano una tendenza a non avere amicizie o relazioni intime, ad avere una gamma di emozioni limitata e ristretta, a non avere capacità sociali, ad avere un modo di fare strano e peculiare, ad essere timido e riservato nelle situazioni sociali, ad essere inibito e coartato, ad avere difficoltà a riconoscere desideri ed impulsi, ad avere difficoltà nel comprendere il senso del comportamento altrui, ad essere incapace di descrivere le persone importanti dando un’idea di che tipo di persone siano (cioè fornendo descrizioni bidimensionali e misere), ad avere poco insight circa le proprie motivazioni ed i propri comportamenti, ad interpretare le cose in modo troppo letterale senza poter apprezzare le metafore, le analogie o le sfumature. In questo caso le differenze con il DSM sono fondamentali, in quanto il fattore-Q schizoide include al suo interno pazienti diagnosticati dal DSM come schizotipici, schizoidi ed evitanti, tre diagnosi universalmente riconosciute come difficili da distinguere. I risultati dell’analisi-Q in tale senso ipotizzerebbero una mancanza di linee di confine nette tra le tre categorie. Inoltre è un dato di notevole rilevanza la mancanza di una categoria schizotipica a sé stante. Gli Autori ipotizzano che tale assenza sia dovuta al fatto che «la schizotipia non è un Disturbo della Personalità, definito da una specifica costellazione di processi di personalità, ma è una sindrome clinica definita da un singolo tratto (disturbo del pensiero di grado lieve) che sarebbe meglio diagnosticare nell’Asse I». Fattore-Q paranoide: caratterizzato da item che indicano una tendenza a tenere il broncio, a sentirsi incompreso, maltrattato o vittimizzato, ad esser pronto a pensare che gli altri vogliano approfittarsi di lui e danneggiarlo, ad esprimere una rabbia intensa e sproporzionata rispetto alla situazione, a coinvolgersi in scontri di potere, ad essere arrabbiato ed ostile, a vedere alcune persone come totalmente “cattive” e a perdere la capacità di coglierne qualsiasi aspetto positivo, ad essere arrogante e a reagire alle critiche con rabbia ed umiliazione. Le differenze con il DSM per quanto riguarda tale disturbo sono la presenza di specifici meccanismi di difesa quali la scissione dell’oggetto, l’esteriorizzazione, la proiezione e l’identificazione proiettiva. Inoltre la diagnosi SWAP-200 sottolinea la presenza di aggressività, espressa in modo attivo e passivo, del comportamento paranoide e della disregolazione emotiva che comporta interferenza tra le emozioni ed i processi cognitivi. Fattore-Q ossessivo: come il disforico ad alto funzionamento è caratterizzato da item che indicano risorse e capacità adattive ed item indici di sofferenza psicologica. Più in particolare gli item associati a questo fattore indicano tendenza ad essere coscienzioso e responsabile, ad essere articolato, ad avere standard morali ed etici, ad essere capace di sfruttare i propri talenti, le proprie abilità e le proprie energie in modo efficace e produttivo, ad amare le sfide, a vedersi come una persona logica e non influenzata dalle emozioni, ad essere eccessivamente dedito al lavoro a scapito del tempo libero, ad essere controllante, a saper trovare senso nel perseguire obiettivi e scopi a lungo termine, ad apprezzare 79 e saper rispondere all’umorismo, ad essere inibito ed avere difficoltà nel concedersi di esprimere desideri o impulsi. I pazienti ossessivi descritti dalla SWAP-200 risultano meno disturbati di quelli del DSM, ricordando di più lo “stile ossessivo” di Shapiro (Shapiro & Reginelli, 1949). Pur essendo eccessivamente preoccupati per le regole, esprimendo una gamma di emozioni limitata e ristretta, apparendo dunque freddi ed emotivamente coartati, presentano una notevole presenza di risorse psicologiche e non appaiono eccessivamente disfunzionali. Fattore-Q istrionico: descritto da item che indicano tendenza ad essere eccessivamente bisognoso e dipendente, a richiedere rassicurazioni ed approvazioni eccessive, a sviluppare attaccamento intenso e veloce, ad attaccarsi o innamorarsi di persone emotivamente non disponibili, ad essere suggestionabile o facilmente influenzabile, ad essere eccessivamente seduttivo e provocante dal punto di vista sessuale, ad esprimere le emozioni in modo esagerato e teatrale, a fantasticare di trovare l’amore ideale e perfetto, ad essere incapace di tranquillizzarsi da solo quando è angosciato, a cadere in spirali emotive senza controllo e ad aver paura di essere rifiutato o abbandonato dalle persone emotivamente significative. La categoria diagnostica istrionica della SWAP-200 include pazienti etichettati dal DSM come istrionici ed altri etichettati come borderline. Il Disturbo Borderline non appare in effetti come diagnosi a sé stante nella classificazione SWAP-200, ma suddiviso tra il fattore istrionico e quello disforico con disregolazione emotiva (e in misura molto minore al fattore dipendente-masochista), a seconda dell’egosintonia o distonia con cui è vissuta l’intensità affettiva. Tali osservazioni appaiono in linea con quanto riportato da altri Autori riguardo l’assenza di “un” Disturbo Borderline, ma della presenza di uno “spettro” borderline o borderliness in comune a più quadri clinici. Inoltre il rispetto al suo analogo del DSM fattore istrionico SWAP-200 presenta in più angoscia, paura dell’abbandono e dipendenza, e una marcata tendenza a scegliere partner inappropriati e alla somatizzazione. Fattore-Q narcisistico: include item che indicano la tendenza ad avere fantasie di successo illimitato, potere, bellezza e talento, a sentirsi un privilegiato e a sentire di avere tutti i diritti, aspettandosi un trattamento preferenziale, ad avere un senso esagerato della propria importanza, a trattare gli altri come un pubblico che deve testimoniare la propria importanza e bellezza, a cercare di essere al centro dell’attenzione, ad aspettarsi di essere perfetto, ad essere arrogante, sprezzante o superbo, a fantasticare di trovare l’amore ideale e perfetto, a pensare che gli altri siano invidiosi di lui e a provare invidia per le altre persone. L’aggiunta che la SWAP-200 fa rispetto al DSM riguardo al narcisismo è la messa in evidenza degli aspetti fragili e di sofferenza, quali la solitudine, la tendenza a sentirsi vuoti e falsi, a pensare che la propria vita non abbia significato, a sentirsi degli outsider ed avere paura di coinvolgersi in relazioni d’amore a lungo termine. Vengono riproposti inoltre alcuni meccanismi di difesa tipici, come la scissione dell’oggetto, la 80 percezione distorta del proprio corpo e la tendenza ad usare troppo l’aspetto fisico per catturare l’attenzione altrui. 4.3.2 LA STRUCTURED CLINICAL INTERVIEW FOR DSM-IV AXIS I DISORDERS (SCID-I) Nel 1984 Spitzer inizia il lavoro di ricerca che porterà alla costruzione della Structured Clinical Interview for DSM-III (SCID-I). La revisione della scala per il DSM-III-R fu pubblicata nel 1990, e quella per il DSM-IV nel 1997 per la versione clinica (SCID-I/CV) (First et al., 1997) e nel 2002 per i non pazienti (SCID-I/NP) (First et al., 2002). La SCID-I consta di diverse sezioni articolate tra loro: • una rassegna anamnestica, da compilare all’inizio dell’intervista, che raccoglie dati relativi alla situazione attuale e permette di descrivere e contestualizzare l’episodio in atto ed i precedenti episodi psicopatologici; • moduli autonomi, uno per ogni grande gruppo sintomatologico o classe diagnostica dell’Asse I (episodi dell’umore, sintomi psicotici, disturbi psicotici, disturbi dell’umore, disturbo da uso di sostanze psicoattive, disturbi d’ansia ed altri disturbi), da somministrare in sequenza o anche separatamente tra loro, a seconda dell’interesse dell’esaminatore e di ciò che si sta ricercando; • un sommario diagnostico, dove il clinico riporta le diagnosi del DSM-IV dopo aver terminato la somministrazione del test. Per la maggior parte dei disturbi dell’Asse I sono inclusi ed elencati tutti i singoli criteri del DSM. Per la somministrazione è necessario semplicemente valutare la presenza o l’assenza dei criteri necessari alla diagnosi dei singoli disturbi. La SCID-I è designata all'uso in ambito clinico per assicurare valutazioni standardizzate; qualsiasi persona che abbia conseguito la licenza media inferiore può comprenderne il linguaggio, e può essere utilizzata anche semplicemente come una checklist diagnostica, utilizzando le informazioni già ottenute da altre fonti, come la cartella clinica o i colloqui con i propri pazienti. L’intervista si apre con una sezione di domande aperte che raccoglie informazioni relative alla malattia in atto, alla condizione medica generale, al funzionamento sociale e generale del paziente. 81 Successivamente, iniziando la compilazione dei moduli diagnostici, sono previste domande che vanno formulate ad litteram, e che ripetono i singoli criteri del DSM per ogni disturbo, ma che possono essere integrate con qualsiasi altra domanda da parte dell’intervistatore al fine di ottenere dati aggiuntivi ed una maggiore chiarezza diagnostica. Nell’ambito della ricerca, come nel nostro caso, la SCID-I viene spesso utilizzata per selezionare una popolazione da studiare in termini di criteri di inclusione o esclusione dal campione. I vantaggi principali dello strumento sono quelli di formulare una diagnosi psichiatrica secondo criteri definiti in modo rigido, rendendo alto il livello di accordo e di comprensione tra i diversi esperti della salute mentale. Inoltre permette una valutazione diagnostica completa affrontando l’intero spettro psicopatologico e indagando la presenza di sofferenza psichica durante tutto il corso della vita. 4.4 ANALISI STATISTICA Per l’analisi dei dati è stato utilizzato il programma SPSS per Windows, versione 19.0. Per verificare le ipotesi di non differenza nei gruppi per età e istruzione sono state effettuate due ANOVA con la variabile indipendente gruppo a quattro livelli e la variabile età per la prima e scolarizzazione (in anni) la seconda. Per verificare l’ipotesi che in almeno due gruppi i punteggi riferiti ai Disturbi di Personalità al test SWAP-200 siano nel complesso significativamente diversi, è stato utilizzato un disegno di analisi della varianza multivariato (MANOVA). Il disegno è costituito da una variabile indipendente con quattro livelli, cioè il gruppo dei pazienti, i relativi fratelli, relativi genitori e il gruppo dei soggetti di controllo, e 11 variabili dipendenti, cioè le scale PD dei Disturbi di Personalità più quella relativa all’Alto Funzionamento del test SWAP-200. Il disegno è stato ripetuto prendendo in considerazione la stessa variabile indipendente e le 12 scale dei punteggi Q relative ai Disturbi di Personalità presenti nel test SWAP-200. L’analisi degli effetti è stata valutata attraverso le statistiche Lambda di Wilks, Traccia di Pilai, Traccia di Hotelling e Radice di Roy; successivamente, sono stati indagati i risultati dei confronti pianificati multivariati del gruppo pazienti vs gruppo genitori, vs gruppo fratelli vs 82 gruppo controllo; gruppo genitori vs gruppo fratelli e vs gruppo di controllo; gruppo fratelli vs gruppo controllo, si è quindi proceduto all’esame degli effetti univariati degli stessi confronti pianificati. Per le analisi degli effetti multivariati, univariati e per i confronti pianificati, il livello di significatività stabilito è p<0.05. 83 5 RISULTATI 5.1 DESCRIZIONE DEL CAMP IONE Il campione consta di 190 soggetti, di cui 94 di sesso maschile (49,5%) e 96 di sesso femminile (50,5%). Il campione è composto da: • 65 pazienti schizofrenici (35 maschi, 30 femmine); • 60 loro familiari di primo grado non affetti da psicosi distinti in 30 genitori (15 maschi, 15 femmine) e 30 fratelli e sorelle (17 maschi, 13 femmine); • 65 controlli sani (27 maschi, 38 femmine). Le caratteristiche socio-demografiche del campione sono di seguito riportate. 5.2 ANOVA ETÀ E SCOLARIZZAZIONE L’ANOVA con i quattro livelli del gruppo per la variabile età è risultata significativa (F(3, 166)=38,43; p<0.001): nei confronti multipli post hoc solo i genitori differiscono con gli altri gruppi (Tabella 5.1 e Grafico 5.1). Età N Media Deviazione std. Errore Intervallo di confidenza 95% per Minimo Massimo std. la media Limite Limite inferiore superiore Pazienti 65 35,13 9,673 1,219 32,69 37,56 18 54 Genitori 30 61,35 9,013 2,186 56,72 65,99 46 78 Fratelli 30 34,96 9,935 1,878 31,11 38,82 18 56 Controlli 65 33,21 10,336 1,313 30,58 35,83 18 59 Totale 190 37,02 12,778 ,980 35,09 38,96 18 78 Tabella 5.1 Statistica descrittiva della variabile età 84 Grafico 5.1 Media delle età dei 4 gruppi del campione L’ANOVA con i quattro livelli del gruppo e la variabile anni di scolarizzazione non è risultata significativa (F(3, 166)=1,18; p=0.310): i quattro gruppi sono simili per grado di istruzione (Tabella 5.2 e Grafico 5.2). Scolarità Intervallo di confidenza N Media Deviazione Errore 95% per la media std. std. Limite Limite inferiore superiore Minimo Massimo Pazienti 65 13,78 2,780 ,393 12,99 14,57 8 20 Genitori 30 14,33 2,309 1,333 8,60 20,07 13 17 Fratelli 30 14,35 2,576 ,505 13,31 15,39 10 23 Controlli 65 15,37 3,207 ,473 14,42 16,32 8 23 Totale 190 14,50 2,950 ,264 13,97 15,02 8 23 Tabella 5.2 Statistica descrittiva della variabile scolarità 85 Grafico 5.2 Media delle scolarità dei 4 gruppi del campione 5.3 5.3.1 PROFILI DI PERSONALI TÀ: I PUNTEGGI PD MANOVA GRUPPI PER LE SCALE PUNTI PD T DEL TEST SWAP-200 Prima dell’applicazione dei test multivariati sono state valutate le assunzioni di normalità delle distribuzioni delle variabili indipendenti considerate nelle analisi: gli indici di asimmetria (skewness) e curtosi (Kurtosis) risultano compresi tra 1 e -1 quindi, come condiviso da molti autorevoli ricercatori, i valori di questo range indicano che la non normalità non è fonte di gravi distorsioni (Muthen & Kaplan, 1992). Il test di Levene di uguaglianza delle varianze dell’errore è risultato significativo per le variabili dipendenti (Tabella 5.3). 86 F df1 df2 Sig. PD_T_Para 3,200 3 186 ,025 PD_T_Sch 2,500 3 186 ,061 PD_T_Szt 5,823 3 186 ,001 PD_T_As 2,857 3 186 ,038 PD_T_Bor 3,701 3 186 ,013 PD_T_Ist 1,060 3 186 ,367 PD_T_Nar 4,629 3 186 ,004 PD_T_Evi ,666 3 186 ,574 PD_T_Dip 1,329 3 186 ,266 PD_T_Oss ,359 3 186 ,782 PD_T_AF 5,652 3 186 ,001 Tabella 5.3 Test di Levene di uguaglianza delle varianze dell'errore. Verifica l'ipotesi nulla per la quale la varianza dell'errore della variabile dipendente è uguale tra i gruppi La mancanza dell’assunzione di omogeneità della varianza, secondo importanti studiosi di metodologia della ricerca (Kerlinger & Lee, 1973; Lindquist, 1953), che citano copiosa letteratura al riguardo, è stata sopravvalutata e non inficia i risultati se la numerosità dei gruppi posti a confronto è simile (Hays, 1973). Comunque, la disomogeneità tra varianze indurrebbe a "gonfiare" la varianza intragruppo e «conseguentemente, un test F potrebbe non essere significativo quando in realtà ci sono differenze significative fra le medie» (Kerlinger & Lee, 1973) e quindi terremo presente questa possibile distorsione in fase interpretativa. Per la verifica dell’ipotesi di differenza tra i gruppi considerati nelle scale PD della SWAP200, effettuando l’analisi della varianza multivariata, risulta significativo l’effetto Gruppi (Wilk’s Lambda(11,176)<0.001; p<0.001): da questo risultato si deduce che almeno due gruppi sono differenti nei punteggi per i Disturbi della Personalità dei costrutti PD del test psicometrico utilizzato. Procedendo nell’analisi dei test univariati per gli effetti fra i soggetti, come si può osservare dalla Tabella 5.4, risultano significative con p< 0.001, 6 scale su 11; la differenza maggiore, 87 considerando l’indice Eta quadro parziale, emerge per le scale Szt (0.726), relativa al Disturbo Schizotipico e Sch (0.614), relativa al Disturbo Schizoide. Variabile dipendente Somma quadrati Tipo III df Media quadrati F Sig. Eta quadro parziale PD_T_Para 6744,068 3 2248,023 43,117 ,000 ,410 PD_T_Sch 14488,206 3 4829,402 98,794 ,000 ,614 PD_T_Szt 23613,673 3 7871,224 164,220 ,000 ,726 PD_T_As 273,581 3 91,194 PD_T_Bor 3537,200 3 1179,067 PD_T_Ist 237,465 3 PD_T_Nar 532,139 PD_T_Evi 2,938 ,035 ,045 32,384 ,000 ,343 79,155 1,609 ,189 ,025 3 177,380 3,463 ,017 ,053 6017,182 3 2005,727 44,136 ,000 ,416 PD_T_Dip 937,003 3 312,334 5,490 ,001 ,081 PD_T_Oss 225,464 3 75,155 1,592 ,193 ,025 Tabella 5.4 Test degli effetti tra i soggetti 5.3.2 CONFRONTI PIANIFICATI Le statistiche descrittive del campione per i punteggi PD T sono riportate in Tabella 5.5. I risultati dei confronti pianificati multivariati risultano significativi: pazienti vs genitori Wilk’s Lambda(11,176)=0.424; p<0.001; pazienti vs fratelli Wilk’s Lambda(11,176)=0.424; p<0.001; pazienti vs controlli Wilk’s Lambda(11,176)=0.239; p<0.001; genitori vs fratelli Wilk’s Lambda(11,176)=0.793; p<0.001; genitori vs controlli Wilk’s Lambda(11,176)=0.560; p<0.001e fratelli vs controlli Wilk’s Lambda(11,176)=0.855; p=0.003 (le tabelle riassuntive dei confronti pianificati per i punteggi PD T sono in Appendice). 88 Gruppo PD_T_Para PD_T_Sch PD_T_Szt PD_T_As PD_T_Bor PD_T_Ist PD_T_Nar Media Deviazione standard Variabile N Pazienti 53,033846 7,2766497 65 Genitori 47,904333 9,0507960 30 Fratelli 42,743000 7,4919235 30 Controlli 39,086462 6,0018839 65 Totale 45,827579 9,3269877 190 Pazienti 58,398615 7,2016144 65 Genitori 45,795000 7,2619945 30 Fratelli 43,243000 8,7771899 30 Controlli 37,737692 5,6036154 65 Totale 46,947368 11,1698242 190 Pazienti 62,530000 7,3496762 65 Genitori 46,460000 7,1011451 30 Fratelli 42,976667 9,2078970 30 Controlli 36,190769 4,9003980 65 Totale 47,894474 13,1190791 190 Pazienti 47,103538 5,6303393 65 Genitori 47,375667 7,2173506 30 Fratelli 45,209667 4,8258860 30 Controlli 44,647385 4,9359388 65 Totale 46,007211 5,6567099 190 Pazienti 46,908308 6,1895975 65 Genitori 39,406667 5,7785957 30 Fratelli 37,481000 7,8165780 30 Controlli 37,447077 4,9685699 65 Totale 40,998579 7,3855645 190 Pazienti 47,634154 6,8347010 65 Genitori 48,089333 8,0493696 30 Fratelli 46,520000 7,6285363 30 Controlli 45,328923 6,3640895 65 Totale 46,741474 7,0470193 190 Pazienti 46,393692 6,8644878 65 Genitori 50,762667 10,0803681 30 Fratelli 47,039000 6,2869248 30 Controlli 45,866769 6,1486040 65 Totale 47,005158 7,2958908 190 Tabella 5.5 Statistiche descrittive del campione per i punti PD T 89 Gruppo PD_T_Evi PD_T_Dip PD_T_Oss PD_T_AF Deviazione standard Media Variabile N Pazienti 52,728462 6,3334682 65 Genitori 42,331667 7,6154784 30 Fratelli 41,795333 6,8465459 30 Controlli 40,018308 6,6663853 65 Totale 45,012368 8,7498624 190 Pazienti 49,2393846 6,84316833 65 Genitori 45,9500000 8,79207637 30 Fratelli 45,0223333 7,80284815 30 Controlli 44,0715385 7,47584804 65 Totale 46,2862105 7,80661572 190 Pazienti 47,254615 6,5796754 65 Genitori 49,565000 7,4904568 30 Fratelli 47,541000 7,1333671 30 Controlli 46,263692 6,7368051 65 Totale 47,325632 6,9020107 190 Pazienti 46,918923 7,0425728 65 Genitori 56,992000 7,0596720 30 Fratelli 63,922000 8,2675954 30 Controlli 69,146615 5,0789594 65 Totale 58,798316 11,5634174 190 Tabella 5.5 (continua) Statistiche descrittive del campione per i punti PD T a) Pazienti vs genitori Approfondendo l’analisi dei risultati dei confronti pianificati univariati per le scale PD T del test SWAP-200 per i gruppi pazienti vs genitori, risultano statisticamente significative le differenze delle medie per le scale relative ai Disturbi di Personalità Paranoide (F(1, 186)=10,36 p< 0.002), Schizoide (F(1, p<0.001), Borderline (F(1, 186)=66,70; 186)=,31,73; p<0.001), Schizotipico (F(1, p<0.001), Evitante (F(1, 186)=48,82; 186)=110,59; p<0.001) con medie maggiori nel gruppo dei pazienti; risulta significativa la differenza per il Disturbo di Personalità Narcisistico (F(1, 186)=7,65; p=0.006) e la scala relativa all’Alto Funzionamento (F(1, 186)=46,94; p<0.001) con media maggiore nei genitori. 90 b) Pazienti vs fratelli In questo confronto risultano statisticamente significative le differenze delle medie per le scale relative ai Disturbi di Personalità Paranoide (F(1, 186)=41,69; p<0.001), Schizoide (F(1, 186)=96,44; p<0.001), Schizotipico (F(1, 186)=163,70; p<0.001), Borderline (F(1, 186)=50,10; p<0.001), Evitante (F(1, 186)=53,99; p<0.001), Dipendente (F(1, 186)=6,42; p=0.012) con medie maggiori nel gruppo dei pazienti, e la scala per l’Alto Funzionamento (F(1, 186)=133,75; p<0.001) con medie maggiori nel gruppo dei fratelli. c) Pazienti vs controlli Le differenze delle medie nelle scale PD T per i Disturbi di Personalità risultate statisticamente significative sono quelle relative ai Disturbi Paranoide (F(1,186)=121,26; p<0.001), Schizoide (F(1,186)=283,80; p<0.001), Schizotipico (F(1,186)=470,41; p<0.001), Antisociale (F(1,186)=6,32; p=0.013), Borderline (F(1,186)=79,90; p<0.001), Evitante (F(1,186)=115,53; p<0.001), Dipendente (F(1,186)=15,26; p<0.001) con medie superiori nel gruppo dei pazienti, e la scala relativa all’Alto Funzionamento (F(1,186)=361,90; p<0.001) con medie superiori nel gruppo dei controlli. d) Genitori vs fratelli Risultano statisticamente significative le medie per tre scale PD T, due relative ai Disturbi di Personalità, Paranoide (F(1,186)=7,66; p=0.006) e Narcisistico (F(1,186)=4,06; p=0.045) con medie maggiori nel gruppo dei genitori, e una relativa all’Alto Funzionamento (F(1,186)=16,24; p<0.001) con media maggiore nel gruppo dei fratelli. e) Genitori vs controlli Risultano statisticamente significative le medie per le scale PD T relative ai Disturbi di Personalità Paranoide (F(1,186)=30,61; p<0.001), Schizoide (F(1,186)=27,26; p<0.001), Schizotipico (F(1,186)=45,16; p<0.001), Antisociale (F(1,186)=4,92; p=0.028), Narcisistico (F(1,186)=9,60; p=0.002), Ossessivo Compulsivo (F(1,186)=4,74; p=0.031) con medie più alte nel gruppo dei genitori e la scala relativa all’Alto Funzionamento (F(1,186)=68,34; p<0.001), con media più alta nel gruppo dei controlli. 91 f) Fratelli vs controlli Risultano statisticamente significative le medie per le scale PD T relative ai Disturbi di Personalità del Cluster A, Paranoide (F(1,186)=5,26; p=0.023), Schizoide (F(1,186)=12,73; p<0.001), Schizotipico (F(1,186)=19,72; p<0.001) con medie superiori nel gruppo dei fratelli e la scala relativa all’Alto Funzionamento (F(1,186)=12,63; p<0.001), con media superiore nel gruppo di controllo. Nei Grafici 5.3, 5.4, 5.5 sono riportati i confronti dei gruppi per i punteggi PD T suddivisi per Cluster di Disturbi di Personalità. Grafico 5.3 Confronti dei gruppi per i PD T del Cluster A 92 Grafico 5.4 Confronti dei gruppi per i PD T del Cluster B Grafico 5.5 Confronti dei gruppi per i PD T del Cluster C e dell’Alto Funzionamento 93 5.4 PROFILI DI PERSONALI TÀ: I PUNTEGGI Q 5.4.1 MANOVA GRUPPI PER LE SCALE PUNTI Q DEL TE ST SWAP-200 Anche per la MANOVA delle scale di punti Q, prima dell’applicazione sono state valutate le assunzioni di normalità delle distribuzioni delle variabili indipendenti considerate nelle analisi: gli indici di asimmetria (skewness) e curtosi (Kurtosis) risultano compresi tra 1 e -1. Il test di Levene di uguaglianza delle varianze dell’errore è risultato significativo per le variabili dipendenti evidenziate in Tabella 5.6 (cfr. quanto già detto per i punti PD per l’interpretazione). F df1 df2 Sig. Q_T_Di 1,255 3 186 ,291 Q_T_AS 2,534 3 186 ,058 Q_T_Sc 6,754 3 186 ,000 Q_T_Pa 2,278 3 186 ,081 Q_T_Os 3,390 3 186 ,019 Q_T_Is ,795 3 186 ,498 Q_T_Na 3,431 3 186 ,018 Q_T_Ev 1,482 3 186 ,221 Q_T_DAF 5,207 3 186 ,002 Q_T_DE 1,248 3 186 ,294 Q_T_Dip ,819 3 186 ,485 Q_T_Ost ,531 3 186 ,661 Tabella 5.6 Test di Levene di uguaglianza delle varianze dell'errore. Verifica l'ipotesi nulla per la quale la varianza dell'errore della variabile dipendente è uguale tra i gruppi La verifica dell’ipotesi della differenza tra gruppi nelle scale Q del test SWAP-200 per i punteggi ha dato un risultato significativo (Wilk’s Lambda(12,175) <0.001; p<0.001): almeno due gruppi considerati nel profilo delle scale relative alle scale Q del test SWAP-200 sono differenti. Considerando i risultati dei test univariati per gli effetti fra soggetti è emerso che 94 le differenze risultano significative per tutte le scale considerate tranne per QT Na, relativa al Narcisismo e QT Ost, relativa al disturbo Disforico Ostile Esternalizzato. 5.4.2 CONFRONTI PIANIFICATI Le statistiche descrittive del campione per i punteggi Q T sono riportate in Tabella 5.7. I risultati dei confronti pianificati multivariati risultano significativi: pazienti vs genitori Lambda(12,175)=0.414; p<0.001; pazienti vs fratelli Lambda(12,175)=0.413; p<0.001; pazienti vs controlli Lambda(12,175)=0.227; p<0.001; genitori vs fratelli Lambda(12,175)=0.821; p<0.001; genitori vs controlli Lambda(12,175)=0.587; p<0.001; fratelli vs controlli Lambda(12,175)=0.813; p<0.001 (le tabelle riassuntive dei confronti pianificati per i punteggi Q sono in Appendice). 95 Q_T_Di Q_T_AS Q_T_Sc Q_T_Pa Q_T_Os Q_T_Is Q_T_Na Gruppo Media Deviazione standard Variabile N Pazienti 48,450615 6,7953766 65 Genitori 42,417667 8,4642509 30 Fratelli 42,418000 6,9039930 30 Controlli 43,860000 6,5308102 65 Totale 44,975053 7,4191703 190 Pazienti 47,149538 5,4624873 65 Genitori 46,061000 6,9150881 30 Fratelli 43,602000 4,9625691 30 Controlli 42,800308 4,7486426 65 Totale 44,929632 5,7090316 190 Pazienti 60,900769 7,9579012 65 Genitori 47,836333 6,7922250 30 Fratelli 44,489667 9,4984766 30 Controlli 37,768000 5,1087441 65 Totale 48,332895 12,0953275 190 Pazienti 50,296923 8,0950353 65 Genitori 48,298000 7,7363100 30 Fratelli 44,366000 6,4573148 30 Controlli 43,715231 6,1708577 65 Totale 46,793211 7,7097738 190 Pazienti 45,296154 7,2135791 65 Genitori 56,553000 6,8983857 30 Fratelli 60,789000 8,7805307 30 Controlli 63,475077 5,7979989 65 Totale 55,738895 10,5060040 190 Pazienti 47,245538 7,8888737 65 Genitori 49,922000 7,2054584 30 Fratelli 51,675000 7,5538712 30 Controlli 52,385538 6,1395674 65 Totale 50,125947 7,4536442 190 Pazienti 48,634308 9,5906642 65 Genitori 47,715333 12,1808130 30 Fratelli 47,754333 8,8341710 30 Controlli 46,464769 7,2353082 65 Totale 47,608053 9,1886716 190 Tabella 5.7 Statistiche descrittive dei punti QT 96 Q_T_Ev Q_T_DAF Q_T_DE Q_T_Dip Q_T_Ost Gruppo Media Deviazione standard Variabile N Pazienti 55,325846 6,5837790 65 Genitori 45,765000 7,3703608 30 Fratelli 45,478000 6,8550361 30 Controlli 42,603385 5,7852364 65 Totale 47,908895 8,4749259 190 Pazienti 44,620462 7,4565494 65 Genitori 51,271333 7,5226150 30 Fratelli 57,068667 8,1856960 30 Controlli 63,560462 4,9887400 65 Totale 54,115579 10,5153926 190 Pazienti 50,585231 6,4036996 65 Genitori 39,121333 6,1345993 30 Fratelli 35,978667 7,6343113 30 Controlli 36,701692 6,2292239 65 Totale 41,719211 9,1508072 190 Pazienti 46,842769 7,7124247 65 Genitori 43,674667 6,5614899 30 Fratelli 44,641000 8,3005311 30 Controlli 43,522462 6,6876771 65 Totale 44,859000 7,3934185 190 Pazienti 47,035385 7,1620046 65 Genitori 47,311333 7,9948275 30 Fratelli 42,409333 6,3607601 30 Controlli 41,144154 7,0319449 65 Totale 44,333105 7,6245314 190 Tabella 5.7 (continua) Statistiche descrittive dei punti QT a) Pazienti vs genitori Nell’analisi dei risultati univariati del primo confronto pianificato si rilevano differenze significative per le scale QT Di (F(1, 186)=15,19; p<0.001), QT Sc (F(1, 186)=67,33; p<0.001), QT Ev (F(1, 186)=44,43; p<0.001), QT DE (F(1, 186)=63,60; p<0.001) con medie maggiori nel gruppo dei pazienti; si rilevano inoltre differenze significative anche per le scale QT Os (F(1, 186)=53,18; p<0.001), QT DAF (F(1, 186)=63,60; p<0.001) con medie maggiori nel gruppo dei genitori. 97 b) Pazienti vs fratelli Le scale QT per i Disturbi di Personalità risultate statisticamente significative sono QT Di (F(1, 186)=15,19; p<0.001), QT As (F(1, 186)=8,81; p=0.003), QT Sc (F(1, 186)=116,25; p<0.001), QT Pa (F(1, 186)=14,02; p<0.001), QT Ev (F(1, 186)=47,14; p<0.001), QT DE (F(1, 186)=103,24; p<0.001) e QT Ost (F(1, 186)=8,62; p<0.001) con medie maggiori nel gruppo dei pazienti; le scale QT Os (F(1, 186)=100,73; p<0.001), QT DAF (F(1, 186)=67,72; p<0.001) e QT Is (F(1, 186)=7,84; p=0.006) risultano statisticamente significative con medie maggiori nel gruppo dei fratelli. c) Pazienti vs controlli Risultano statisticamente significative le medie per le scale QT Di (F(1, 186)=13,93; p<0.001), QT As (F(1, 186)=20,97; p<0.001), QT Sc (F(1, 186)=334,26; p<0.001), QT Pa (F(1, 186)=27,35; p<0.001), QT Ev (F(1, 186)=124,58; p<0.001), QT DE (F(1, 186)=147,69; p<0.001), QT Dip (F(1, 186)=6,72; p=0.010), QT Ost (F(1, 186)=22,14; p<0.001) con medie maggiori nei pazienti; le scale QT Os (F(1, 186)=219,59; p<0.001), QT DAF (F(1, 186)=248,24; p<0.001) e QT Is (F(1, 186)=16,71; p<0.001) invece risultano statisticamente significative con medie maggiori nei controlli. d) Genitori vs fratelli In questo confronto le medie delle scale QT per i Disturbi di Personalità risultate statisticamente significative sono QT Pa (F(1, 186)=4,50; p=0.035), QT Ost (F(1, 186)=7,07; p=0.008) con medie maggiori nel gruppo dei pazienti; anche le scale QT Os (F(1, 186)=5,50; p=0.020) e QT DAF (F(1, 186)=10,73; p=0.001) sono risultate statisticamente significative con medie maggiori nei fratelli. e) Genitori vs controlli Risultano statisticamente significative le medie per le scale QT As (F(1, 186)=7,44; p=0.007), QT Sc (F(1, 186)=39,99; p<0.001), QT Pa (F(1, 186)=8,37; p=0.004), QT Ev (F(1, 186)=4,86; p=0.029), QT Ost (F(1, 186)=15,33; p<0.001) che appaiono maggiori nel gruppo dei genitori; risultano altresì statisticamente significative anche le medie delle scale QT Os (F(1, 186)=20,11; p<0.001) e QT DAF (F(1, 186)=66,00; p<0.001) che invece appaiono maggiori nel gruppo dei controlli. 98 f) Fratelli vs controlli In questo confronto risultano statisticamente significative le differenze delle medie per le scale QT Sc (F(1, 186)=17,82; p<0.001), QT Ev (F(1, 186)=4,02; p=0.047) con medie maggiori nel gruppo dei fratelli; QT DAF (F(1, 186)=18,42; p<0.001) con media maggiore nel gruppo di controllo. Nel Grafico 5.6 sono riportati i confronti dei gruppi per i punteggi PD T suddivisi per Cluster di Disturbi di Personalità. Grafico 5.6 Confronti dei punteggi QT dei quattro gruppi 99 6 DISCUSSIONE In questo studio è stata utilizzata la Shedler-Westen Assessment Procedure (SWAP-200), in alternativa ai tradizionali questionari self-report, per analizzare i profili di personalità in una prospettiva sia categoriale sia dimensionale, in pazienti con diagnosi di Schizofrenia e nei loro familiari di primo grado non affetti da psicosi. Il lavoro attuale si configura come prosecuzione ed ampliamento di una nostra precedente ricerca che aveva come scopo principale l’assessment della schizotipia tramite eterovalutazione, e nella quale avevamo già confermato la presenza di correlazioni positive e statisticamente significative tra SWAP-200 ed un altro strumento validatore esterno autosomministrato (Torti et al., 2013). I risultati della presente indagine hanno sia confermato alcuni dati presenti in letteratura sia trovato reperti nuovi. Per quanto riguarda la valutazione personologica categoriale, ottenuta tramite i punteggi alle scale PD basati sulla classificazione DSM-IV dei Disturbi di Personalità, si sono riscontrati i seguenti elementi: • Nelle scale per i Disturbi di Personalità del Cluster A, i familiari dei pazienti con schizofrenia mostrano differenze significative a confronto con i controlli sani, ottenendo punteggi maggiori per gli item che soddisfano i criteri per i Disturbi Paranoide, Schizoide e Schizotipico. Queste scale, considerate nei fratelli e nei genitori, hanno mostrato punteggi intermedi rispetto agli altri due gruppi, ovvero differenze statisticamente significative non solo con il gruppo dei pazienti, come atteso, ma anche con quello dei controlli sani. Inoltre, i genitori hanno riportato punteggi significativamente maggiori anche rispetto ai fratelli. Questo pattern di distribuzione dei punteggi è confermato per gli item che soddisfano tutti e tre i Disturbi del Cluster A (Paranoide, Schizoide, Schizotipico). La significativa differenza tra i familiari ed i controlli rispetto alle scale PD T Paranoide, Schizoide e Schizotipico ribadisce quanto già riportato in letteratura a 100 proposito della maggiore presenza di tratti schizotipici nei familiari di primo grado dei pazienti schizofrenici rispetto alla popolazione generale (Nelson et al., 2013). I dati documentano dunque l’aggregazione familiare di schizotipia e schizofrenia, riconfermando la loro correlazione come manifestazioni fenotipiche diverse della stessa vulnerabilità genetica, e confortano la stretta connessione di tale vulnerabilità anche con gli altri due Disturbi inclusi nello spettro schizofrenico, Paranoide e Schizoide. • Nelle scale per i Disturbi di Personalità del Cluster B, i pazienti schizofrenici mostrano una differenza statisticamente significativa con gli altri gruppi allo studio ottenendo punteggi maggiori per gli item che soddisfano i criteri del Disturbo Borderline di Personalità. Il dato della significativa presenza di tratti borderline nei pazienti, rispetto agli altri gruppi, viene ricollegato all’ipotesi di una minore capacità da parte dei pazienti schizofrenici di gestire le emozioni negative, controllare gli impulsi e di avere un’immagine stabile di sé. Inoltre tale dato ripropone le questioni, attualmente presenti in letteratura, circa la vera definizione del Disturbo Borderline, della sua natura particolarmente sfuggente ad una stabile definizione categoriale e dello sforzo ancora attuale di consolidare dei confini diagnostici netti tra i tradizionali concetti di nevrosi e psicosi. La nostra osservazione si allinea alle evidenze della letteratura sulla elevata comorbilità tra tratti personologici di tipo borderline e psicosi schizofreniche, evidenze che peraltro attribuiscono ai tratti borderline un riconosciuto e rilevante ruolo patoplastico nella sintomatologia psicotica conclamata (Volavka, 2014; Wickett et al., 2006) se non addirittura un possibile valore predittivo di transizione psicotica (Ryan et al., 2015). • Nelle stesse scale per i Disturbi di Personalità del Cluster B, inoltre, i genitori dei pazienti schizofrenici mostrano una differenza significativa rispetto agli altri gruppi allo studio presentando punteggi più alti per il Disturbo Narcisistico di Personalità. Tale risultato, interessante per future ricerche, appare originale nell’attuale letteratura e quindi ancora preliminare. Negli anni ’90, studi derivanti dagli interventi psicoeducativi sulle famiglie degli schizofrenici avevano condotto al rilievo di pattern di personalità narcisistici nelle madri dei pazienti (che venivano 101 distinte nelle tre tipologie “narcisiste”, “simbiotiche” e “dipendenti”) (Yoshimura, 1991). Sorprendentemente, tuttavia, tale ambito non ha ricevuto molti ulteriori approfondimenti da parte della ricerca. Solo nel 2011, Moreno e coll. (Moreno Samaniego et al., 2011) hanno riscontrato elevati punteggi alla dimensione personologica del narcisismo nei familiari di pazienti schizofrenici, questa volta però nei fratelli, evidenziandone anche la stretta correlazione con la schizotipia. • Nelle scale per i Disturbi di Personalità del Cluster C, i pazienti schizofrenici mostrano una differenza statisticamente significativa con gli altri gruppi allo studio ottenendo punteggi significativamente più alti agli item che soddisfano i criteri per il Disturbo Evitante di Personalità. Gli elevati livelli di tratti evitanti nei pazienti attestano la condivisione dell’asocial pattern tra schizoide ed evitante e ripropongono l’artificiosità della scissione dei due Disturbi di Personalità operata da Millon. In questo senso, questa osservazione corrobora l’ipotesi che la personalità evitante e quella schizoide siano in realtà un’unica entità clinica caratterizzata da un continuum di diversi gradi di gravità sintomatologica (Triebwasser et al., 2012). I risultati ottenuti dallo studio del nostro campione si uniformano alle recenti indicazioni della ricerca che ha spesso suggerito l’inclusione del Disturbo Evitante tra le personalità correlate allo spettro schizofrenico, in base al rilievo sia dei suoi elevati tassi in campioni di soggetti con psicosi schizofrenica sia della sua frequente correlazione con i tre Disturbi del Cluster A in popolazioni a rischio di transizione psicotica (Bolinskey & Gottesman, 2010; Bolinskey et al., 2015; Keshavan et al., 2005; Rodriguez Solano & Gonzalez De Chavez, 2000). L’introduzione del Disturbo Evitante tra i markers di vulnerabilità alla schizofrenia ha trovato inoltre un supporto ancora maggiore dall’evidenza che l’associazione tra personalità evitante e vulnerabilità alla schizofrenia sussiste anche dopo avere eliminato l’influenza statistica dei Disturbi Paranoide e Schizotipico (Fogelson et al., 2007). • Nella scala per l’Alto Funzionamento, la distribuzione dei punteggi mostra un pattern di differenze statisticamente significative tra tutti e quattro i gruppi allo studio, con i punteggi dei familiari intermedi tra quelli dei controlli sani (più elevati) 102 e quelli dei pazienti (più bassi). Tra i familiari, i fratelli presentano in particolare una differenza significativa di punteggi maggiori rispetto ai genitori. Un ulteriore riscontro significativo nei profili PD T è quello di un alto funzionamento nei controlli, compatibile con l’assenza di patologia in loro osservata, significativamente maggiore rispetto ai pazienti ma, anche se in modo minore, anche rispetto ai fratelli ed ai genitori dei pazienti. L’alto funzionamento dei familiari, presente ma comunque deficitario rispetto a quello della popolazione generale, conferma la presenza, ipotizzata chiaramente nella teorizzazione di Meehl, di un vasto sottogruppo di individui con marcati tratti schizotipici che non richiedono cure per i propri disagi in quanto clinicamente silenti e sufficientemente funzionanti. Partendo da tali dati si può ipotizzare che la prevalenza dei tratti schizotipici nella popolazione generale possa essere sottovalutata dalle attuali metodiche di rilevazione, principalmente fondate sull’analisi dei dati provenienti dai campioni di pazienti afferenti a servizi sanitari psichiatrici per la presenza di sintomi e disagi clinicamente evidenti. Il rilievo di una minore compromissione funzionale nei fratelli rispetto ai genitori è un dato difficilmente interpretabile, se non alla luce di un reperto occasionale o di fattori anagrafici. Per quanto riguarda la valutazione dimensionale dei profili di personalità ottenuta tramite i fattori-Q, basati su una alternativa classificazione empirica degli stili di personalità derivata da studi condotti tramite l'applicazione della stessa SWAP-200 a pazienti reali, emergono altri dati di rilevanza clinica. • La significativa differenza tra i pazienti e gli altri gruppi, e tra familiari e controlli sani, per il fattore-Q schizoide (il cui costrutto include anche i pazienti diagnosticati come schizotipici), conferma quanto già riportato nell’analisi dei profili PD T riguardo la presenza di tratti schizotipici in familiari di primo grado di individui schizofrenici. • I dati ottenuti dall’analisi dei punteggi PD T sono ribaditi anche per quanto riguarda la differenza significativa tra i pazienti e gli altri gruppi nei punteggi del fattore-Q 103 evitante (e in misura minore del fattore-Q disforico da cui l’evitante è estrapolato). Il fattore-Q evitante corrisponde alla personalità evitante secondo il DSM-IV. Data la prospettiva dimensionale con cui sono stati strutturati i fattori-Q, con una notevole attenzione rivolta non solo ai comportamenti osservabili, ma anche alle dinamiche che ad essi sono sottese per la formulazione dei criteri di ogni stile di personalità, questo dato conferma l’ipotesi di una comune dinamica sottostante il ritiro sociale dello schizoide e quello dell’evitante. • La significativa differenza tra i pazienti e gli altri gruppi rispetto al fattore-Q ossessivo è facilmente spiegabile con quanto già detto nella descrizione dei fattoriQ. Il fattore-Q ossessivo risulta infatti molto meno patologico, nelle sue caratteristiche di base, rispetto al Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità descritto nel DSM. Difatti la tendenza all’intellettualizzazione, l’attenzione per le regole, la coscienziosità e la produttività descritte nel fattore-Q di personalità ossessivo risultano caratteristiche funzionali all’interno della società, condizionando in senso migliorativo l’adattamento e la produttività degli individui che lo presentano. • Per quanto riguarda il fattore-Q disforico (depressivo-nevrotico) ad alto funzionamento, si ricorda che esso è un costrutto caratterizzato da item che indicano risorse psicologiche e stabilità, nonostante la concomitante presenza anche di disforia cronica, ed appare quindi contraddistinto dalla possibilità, come lo stile ossessivo, di un funzionamento psichico discreto. Ciò spiega il rilievo di un pattern di distribuzione dei punteggi sovrapponibile a quello della scala PD per l’Alto Funzionamento (nonché a quello appunto del fattore-Q ossessivo). In questo caso la differenza significativa riscontrata appare in particolare tra i soggetti sani e gli altri gruppi. • Le differenze statisticamente significative tra i pazienti e gli altri gruppi per due sottogruppi del fattore-Q disforico, ovvero i fattori-Q disforico con disregolazione emotiva e disforico dipendente-masochista ricapitolano quanto già discusso a proposito della presenza di elevati tratti borderline nei soggetti schizofrenici, dal momento che i borderline del DSM-IV rientrano in questi due sottofattori disforici. Più precisamente, la maggioranza dei soggetti con diagnosi DSM di Disturbo 104 Borderline di Personalità corrisponde agli emotivamente disregolati, caratterizzati dal vivere il proprio discontrollo emotivo-affettivo in modo egodistonico; una minoranza dei borderline si riporta invece ai dipendenti-masochisti, che cercano di regolare le proprie emozioni creando rapporti, talora masochistici, di dipendenza con gli altri. • Anche per il fattore-Q paranoide si riconferma, come atteso, la presenza di una differenza statisticamente significativa tra i pazienti ed il gruppo di controllo. Per quanto riguarda i familiari, anche secondo una tassonomia diversa da quella delle scale PD, si osserva comunque la presenza del consueto trend dei genitori a riportare punteggi intermedi compresi tra quelli dei pazienti e quelli dei soggetti sani, mostrando verso questi ultimi una differenza significativa. I fratelli invece si assestano su punteggi più simili a quelli dei controlli. Quest’ultimo dato appare coerente con il migliore funzionamento riscontrato nei fratelli rispetto ai genitori. • Le differenze significative per i fattori-Q antisociale e disforico ostile, entrambi caratterizzati da notevoli quote di impulsività, rabbia ed aggressività, presentano una ripartizione simile a quella appena descritta. Mentre pazienti e genitori presentano punteggi maggiori e molto simili tra loro, i fratelli presentano punteggi più bassi ad entrambe le scale e non differiscono significativamente dai controlli sani. Anche questo dato nei fratelli, come il precedente, può spiegare la minore compromissione del funzionamento psichico globale riscontrata in questo gruppo rispetto agli altri familiari. • A scopo di completezza si segnala nell’ambito dell’analisi dei fattori Q anche la presenza di una differenza statisticamente significativa dei pazienti che hanno riportato punteggi minori rispetto agli altri gruppi per il fattore-Q istrionico. Tale fattore è caratterizzato come per il Disturbo Istrionico di Personalità secondo il DSM da iperespressività emotiva, teatralità e manipolatività, quindi comprensibilmente meno rappresentato in pazienti con appiattimento affettivo e altri sintomi afferenti alla dimensione negativa e deficitaria. Come già nel nostro precedente lavoro (Torti et al., 2013), che risultava preliminare rispetto alla presente indagine, viene evidenziata la possibilità di somministrare con efficacia la 105 SWAP-200 a pazienti schizofrenici. Ciò risulta di notevole interesse in quanto in letteratura, a nostra conoscenza, tale metodica di osservazione non era ancora mai stata utilizzata su questo peculiare gruppo diagnostico. Nella valutazione personologica dimensionale, l’utilizzo di strumenti self-report rappresenta la procedura standard (Huprich & Bornstein, 2007). Tuttavia, i questionari autosomministrati sono in realtà raccomandati solo come analisi first-step, preliminare alle interviste cliniche (Widiger & Samuel, 2005). Nonostante per l’assessment della personalità non esista ancora un gold standard, infatti, il metodo basato su intervista è in generale considerato più robusto ai fini della ricerca (Schultze-Lutter et al., 2012; Tyrer et al., 2007). La possibilità di somministrare uno strumento eterovalutato per lo studio della personalità e dei suoi disturbi appare infatti particolarmente vantaggioso, data la presenza di aspetti impliciti e non accessibili alla coscienza e la caratteristica tipica della inconsapevolezza di alcune dinamiche sottostanti tali disturbi. Bisogna infatti ricordare gli effetti di distorsione dovuti alle difese psicologiche sui dati self-report, riportati in molteplici studi, soprattutto quando i soggetti rispondono a domande che hanno implicazioni per la propria autostima (Dozier & Kobak, 1992). E’ prevedibile inoltre immaginare che tali difese siano particolarmente influenti e decisive nel caso di familiari di pazienti psicotici, dato il timore verosimilmente presente in molti di questi soggetti di condividere alcuni aspetti di patologia con il parente affetto. Da tale timore potrebbero scaturire un desiderio o una necessità inconsapevoli di dimostrare la propria differenza dal familiare schizofrenico, negando dunque l’esistenza di eventuali caratteristiche in comune o enfatizzando in modo eccessivo la propria funzionalità ed il proprio benessere psichico. Il limite principale dello studio è inerente alla selezione del campione. Per quanto riguarda il reclutamento dei familiari, coloro che hanno accettato di partecipare alla ricerca si configurano anche come caregivers dei pazienti. Di fatto, proprio in virtù della loro motivazione a collaborare, potrebbero già essersi “auto-selezionati” a priori come i familiari presumibilmente caratterizzati da tratti di personalità meno disfunzionali e disadattativi tra quelli dei nostri pazienti. È abbastanza plausibile che i familiari più schizotipici o meno funzionanti con molta minore probabilità accetterebbero l’ipotesi di sottoporsi alla ricerca, proprio per la presenza di quei tratti di diffidenza, ritiro sociale e 106 paura del giudizio altrui che li accomunano con i fratelli malati. E’ pertanto possibile nella descrizione del campione la sovrastima nei parenti di tratti di personalità tendenzialmente associati ad un miglior funzionamento e alla presenza meno marcata di sintomi, rispetto alle reali caratteristiche di tale gruppo qualora fosse stato selezionato in base al caso. Il bias nell’ottenimento di un vero campione probabilistico appare tuttavia al momento ineliminabile. Un ulteriore limite risiede nella relativa esiguità dei gruppi dei familiari. Tale esiguità non è certamente rinvenibile considerando la composizione del campione dei familiari in toto; tuttavia aumentare la numerosità dei singoli sottogruppi di genitori e fratelli potrebbe favorire, dal loro confronto, la conferma dell’attendibilità dei dati ottenuti nonché il rilievo di nuove evidenze. Si consideri infatti che i familiari di primo grado di pazienti schizofrenici differiscono tra loro per il rischio di sviluppare la schizofrenia (il rischio relativo è pari al 5% nei genitori ed al 10% nei fratelli e nei figli) (Kendler et al., 1993) e che tale differenza può certamente influenzare anche le dimensioni della personalità. In ultima analisi, si ricorda come già nella fase preliminare dello studio i profili di personalità ottenuti con la SWAP-200 siano stati confrontati con quelli di un altro strumento validatore self-report. Le analisi delle correlazioni confermavano la reliability tra i due strumenti e validavano le osservazioni dell’intervistatore clinico. Per future ricerche, al fine di confrontare e ulteriormente convalidare i risultati ottenuti con la SWAP-200, sarebbe tuttavia interessante ricorrere nuovamente e su campioni più estesi ad altri strumenti valutativi self-report, sia categoriali sia dimensionali (p.e. SCID-II; 16-PF; MCMI-III). 107 7 CONCLUSIONI Il presente studio offre un approfondimento della comprensione dei profili di personalità e del funzionamento sia in pazienti schizofrenici sia nei loro familiari di primo grado. La SWAP-200, il metodo diagnostico prescelto in alternativa ai tradizionali questionari autosomministrati, ha permesso in queste peculiari categorie di soggetti un’esplorazione della personalità in cui l’ottica categoriale si integra con la prospettiva dimensionale, coerentemente alle più recenti direttive della ricerca. Sulla base dei dati presentati possiamo asserire che la SWAP-200, al pari delle misure selfreport, è in grado di cogliere la maggiore presenza di tratti schizotipici nei familiari di primo grado di pazienti schizofrenici. I risultati ottenuti appaiono inoltre concordi con i più recenti dati di letteratura che sostengono anche la presenza di maggiori tratti borderline ed evitanti nei pazienti schizofrenici rispetto alla popolazione generale. La SWAP-200 ha inoltre permesso di rilevare la presenza di un pattern caratteristico per il funzionamento psichico e socio-lavorativo, in particolare evidenziando per i gruppi dei familiari una compromissione funzionale intermedia, ovvero compresa tra quella dei pazienti e quella dei controlli sani. Sono state infine riscontrate nuove evidenze, interessanti per futuri approfondimenti, come la presenza di tratti narcisistici marcati nei genitori dei pazienti schizofrenici. La letteratura ha già confermato l’affidabilità e la validità della SWAP-200 come predittore di indicatori oggettivi di disfunzione della personalità (quali ad esempio tentativi di suicidio e ricoveri psichiatrici) consentendo la raccolta di informazioni sia sugli aspetti evolutivi e prognostici sia sulle conseguenze sul funzionamento globale (Loffler-Stastka et al., 2007; Shedler & Westen, 2007). Alla luce dei risultati ottenuti, proponiamo l’utilizzo della SWAP200 come strumento diagnostico oggettivo per una valutazione complessiva del profilo personologico non solo del paziente schizofrenico ma anche dell’individuo a rischio di psicosi, come effettuato in questo studio sui familiari quali portatori di una vulnerabilità genetica dovuta alla consanguineità. 108 8 8.1 APPENDICE TABELLE RIASSUNTIVE DEI CONFRONTI PIANIFICATI PER I PUNTI PD T Confronto Pazienti vs Genitori Sorgente Variabile dipendente PD_T_Para PD_T_Sch PD_T_Szt PD_T_As PD_T_Bor PD_T_Ist PD_T_Nar PD_T_Evi PD_T_Dip PD_T_Oss PD_T_AF Somma dei quadrati 540,086 3260,628 5300,816 1,52 1155,111 4,253 391,805 2218,758 222,096 109,567 2082,741 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei F quadrati 540,086 10,359 3260,628 66,702 5300,816 110,593 1,52 0,049 1155,111 31,726 4,253 0,086 391,805 7,648 2218,758 48,823 222,096 3,904 109,567 2,322 2082,741 46,941 Sig. 0,002 0 0 0,825 0 0,769 0,006 0 0,05 0,129 0 Eta quadrato parziale 0,053 0,264 0,373 0 0,146 0 0,039 0,208 0,021 0,012 0,202 Confronto Pazienti vs Fratelli Sorgente Variabile dipendente PD_T_Para PD_T_Sch PD_T_Szt PD_T_As PD_T_Bor PD_T_Ist PD_T_Nar PD_T_Evi PD_T_Dip PD_T_Oss PD_T_AF Somma dei quadrati 2173,768 4714,744 7847,885 73,623 1824,258 25,48 8,548 2453,578 365,03 1,683 5934,253 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei F quadrati 2173,768 41,693 4714,744 96,448 7847,885 163,733 73,623 2,372 1824,258 50,104 25,48 0,518 8,548 0,167 2453,578 53,991 365,03 6,417 1,683 0,036 5934,253 133,746 Sig. 0 0 0 0,125 0 0,473 0,683 0 0,012 0,85 0 Eta quadrato parziale 0,183 0,341 0,468 0,013 0,212 0,003 0,001 0,225 0,033 0 0,418 109 Confronto Pazienti vs Controlli Sorgente Variabile dipendente PD_T_Para PD_T_Sch PD_T_Szt PD_T_As PD_T_Bor PD_T_Ist PD_T_Nar PD_T_Evi PD_T_Dip PD_T_Oss PD_T_AF Somma dei quadrati 2173,768 4714,744 7847,885 73,623 1824,258 25,48 8,548 2453,578 365,03 1,683 5934,253 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei F quadrati 2173,768 41,693 4714,744 96,448 7847,885 163,733 73,623 2,372 1824,258 50,104 25,48 0,518 8,548 0,167 2453,578 53,991 365,03 6,417 1,683 0,036 5934,253 133,746 Sig. 0 0 0 0,125 0 0,473 0,683 0 0,012 0,85 0 Eta quadrato parziale 0,183 0,341 0,468 0,013 0,212 0,003 0,001 0,225 0,033 0 0,418 Confronto Genitori vs Fratelli Sorgente Variabile dipendente PD_T_Para PD_T_Sch PD_T_Szt PD_T_As PD_T_Bor PD_T_Ist PD_T_Nar PD_T_Evi PD_T_Dip PD_T_Oss PD_T_AF Somma dei quadrati 6322,21 13873,4 22547,04 196,062 2909,234 172,708 9,024 5250,31 867,966 31,913 16057,29 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei quadrati 6322,21 13873,4 22547,04 196,062 2909,234 172,708 9,024 5250,31 867,966 31,913 16057,29 F Sig. 121,261 283,804 470,406 6,316 79,904 3,511 0,176 115,532 15,257 0,676 361,897 0 0 0 0,013 0 0,063 0,675 0 0 0,412 0 Eta quadrato parziale 0,395 0,604 0,717 0,033 0,3 0,019 0,001 0,383 0,076 0,004 0,661 110 Confronto Genitori vs Controlli Sorgente Variabile dipendente PD_T_Para PD_T_Sch PD_T_Szt PD_T_As PD_T_Bor PD_T_Ist PD_T_Nar PD_T_Evi PD_T_Dip PD_T_Oss PD_T_AF Somma dei quadrati 399,59 97,691 182,004 70,373 55,623 36,942 207,985 4,315 12,908 61,449 720,373 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei quadrati 399,59 97,691 182,004 70,373 55,623 36,942 207,985 4,315 12,908 61,449 720,373 F Sig. 7,664 1,998 3,797 2,267 1,528 0,751 4,06 0,095 0,227 1,302 16,236 0,006 0,159 0,053 0,134 0,218 0,387 0,045 0,758 0,634 0,255 0 F Sig. 30,612 27,26 45,162 4,922 2,165 3,18 9,604 2,417 1,273 4,74 68,345 0 0 0 0,028 0,143 0,076 0,002 0,122 0,261 0,031 0 Eta quadrato parziale 0,04 0,011 0,02 0,012 0,008 0,004 0,021 0,001 0,001 0,007 0,08 Confronto Fratelli vs Controlli Sorgente Variabile dipendente PD_T_Para PD_T_Sch PD_T_Szt PD_T_As PD_T_Bor PD_T_Ist PD_T_Nar PD_T_Evi PD_T_Dip PD_T_Oss PD_T_AF Somma dei quadrati 1596,021 1332,573 2164,646 152,788 78,821 156,408 492,012 109,849 72,43 223,709 3032,449 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei quadrati 1596,021 1332,573 2164,646 152,788 78,821 156,408 492,012 109,849 72,43 223,709 3032,449 Eta quadrato parziale 0,141 0,128 0,195 0,026 0,012 0,017 0,049 0,013 0,007 0,025 0,269 111 8.2 TABELLE RIASSUNTIVE DEI CONFRONTI PIANIFICATI PER I PUNTI Q T Confronto Pazienti vs Genitori Sorgente Variabile dipendente Q_T_Di Q_T_AS Q_T_Sc Q_T_Pa Q_T_Os Q_T_Is Q_T_Na Q_T_Ev Q_T_DAF Q_T_DE Q_T_Dip Q_T_Ost Somma dei quadrati 747,085 24,322 3503,421 82,017 2601,025 147,039 17,335 1876,306 907,963 2697,588 206,02 1,563 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei quadrati 747,085 24,322 3503,421 82,017 2601,025 147,039 17,335 1876,306 907,963 2697,588 206,02 1,563 F Sig. 15,195 0,829 67,334 1,593 53,178 2,862 0,204 44,434 19,333 63,598 3,865 0,031 0 0,364 0 0,208 0 0,092 0,652 0 0 0 0,051 0,861 Eta quadrato parziale 0,076 0,004 0,266 0,008 0,222 0,015 0,001 0,193 0,094 0,255 0,02 0 Confronto Pazienti vs Fratelli Sorgente Variabile dipendente Q_T_Di Q_T_AS Q_T_Sc Q_T_Pa Q_T_Os Q_T_Is Q_T_Na Q_T_Ev Q_T_DAF Q_T_DE Q_T_Dip Q_T_Ost Somma dei quadrati 747,003 258,324 5528,235 722,031 4926,896 402,729 15,895 1990,644 3180,713 4379,325 99,507 439,27 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei F quadrati 747,003 15,193 258,324 8,81 5528,235 106,25 722,031 14,025 4926,896 100,73 402,729 7,839 15,895 0,187 1990,644 47,141 3180,713 67,725 4379,325 103,246 99,507 1,867 439,27 8,624 Sig. 0 0,003 0 0 0 0,006 0,666 0 0 0 0,174 0,004 Eta quadrato parziale 0,076 0,045 0,364 0,07 0,351 0,04 0,001 0,202 0,267 0,357 0,01 0,044 112 Confronto Pazienti vs Controlli Sorgente Variabile dipendente Q_T_Di Q_T_AS Q_T_Sc Q_T_Pa Q_T_Os Q_T_Is Q_T_Na Q_T_Ev Q_T_DAF Q_T_DE Q_T_Dip Q_T_Ost Somma dei quadrati 684,897 614,764 17391,56 1407,857 10740,38 858,637 152,974 5260,483 11658,52 6264,461 358,294 1127,964 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei quadrati 684,897 614,764 17391,56 1407,857 10740,38 858,637 152,974 5260,483 11658,52 6264,461 358,294 1127,964 F Sig. 13,93 20,966 334,257 27,346 219,586 16,713 1,8 124,576 248,239 147,69 6,721 22,144 0 0 0 0 0 0 0,181 0 0 0 0,01 0 F Sig. 0 3,093 3,229 4,505 5,503 0,897 0 0,029 10,734 3,493 0,263 7,076 1 0,08 0,074 0,035 0,02 0,345 0,987 0,864 0,001 0,063 0,609 0,008 Eta quadrato parziale 0,07 0,101 0,642 0,128 0,541 0,082 0,01 0,401 0,572 0,443 0,035 0,106 Confronto Genitori vs Fratelli Sorgente Variabile dipendente Q_T_Di Q_T_AS Q_T_Sc Q_T_Pa Q_T_Os Q_T_Is Q_T_Na Q_T_Ev Q_T_DAF Q_T_DE Q_T_Dip Q_T_Ost Somma dei quadrati 0 90,7 168,003 231,909 269,155 46,095 0,023 1,236 504,136 148,145 14,007 360,444 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei quadrati 0 90,7 168,003 231,909 269,155 46,095 0,023 1,236 504,136 148,145 14,007 360,444 Eta quadrato parziale 0 0,016 0,017 0,024 0,029 0,005 0 0 0,055 0,018 0,001 0,037 113 Confronto Genitori vs Controlli Sorgente Variabile dipendente Q_T_Di Q_T_AS Q_T_Sc Q_T_Pa Q_T_Os Q_T_Is Q_T_Na Q_T_Ev Q_T_DAF Q_T_DE Q_T_Dip Q_T_Ost Somma dei quadrati 42,701 218,238 2080,78 431,089 983,521 124,575 32,101 205,177 3099,939 120,175 0,476 780,7 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei quadrati 42,701 218,238 2080,78 431,089 983,521 124,575 32,101 205,177 3099,939 120,175 0,476 780,7 F Sig. 0,869 7,443 39,992 8,373 20,108 2,425 0,378 4,859 66,005 2,833 0,009 15,327 0,353 0,007 0 0,004 0 0,121 0,54 0,029 0 0,094 0,925 0 F Sig. 0,868 0,45 17,824 0,169 3,028 0,202 0,402 4,017 18,419 0,253 0,482 0,645 0,353 0,503 0 0,682 0,084 0,654 0,527 0,047 0 0,616 0,489 0,423 Eta quadrato parziale 0,005 0,038 0,177 0,043 0,098 0,013 0,002 0,025 0,262 0,015 0 0,076 Confronto Fratelli vs Controlli Sorgente Variabile dipendente Q_T_Di Q_T_AS Q_T_Sc Q_T_Pa Q_T_Os Q_T_Is Q_T_Na Q_T_Ev Q_T_DAF Q_T_DE Q_T_Dip Q_T_Ost Somma dei quadrati 42,682 13,192 927,395 8,693 148,098 10,363 34,135 169,617 865,049 10,73 25,681 32,856 df 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 Media dei quadrati 42,682 13,192 927,395 8,693 148,098 10,363 34,135 169,617 865,049 10,73 25,681 32,856 Eta quadrato parziale 0,005 0,002 0,087 0,001 0,016 0,001 0,002 0,021 0,09 0,001 0,003 0,003 114 9 ALLEGATO A SWAP-200 (Shedler-Westen Assessment Procedure-200) 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. Tende a incolparsi o a sentirsi in colpa delle cose negative che accadono. Sa usare i suoi talenti, capacità ed energie in modo efficace e produttivo. Sfrutta gli altri; cerca di essere il/la numero uno; dà pochissima importanza ai valori morali. Si sente esageratamente importante. Tende a essere emotivamente intrusivo/a; tende a non rispettare i bisogni di autonomia degli altri, la loro privacy ecc. E tormentato/a da pensieri ossessivi ricorrenti che vive come intrusivi e privi di significato. Sembra in conflitto circa la propria identità etnica o razziale (per esempio, sottovaluta e rifiuta oppure sopravvaluta e si preoccupa per il suo retaggio culturale). Tende a partecipare a scontri di potere. Tende a pensare che gli latri siano invidiosi di lui/lei. Sente che una o alcune delle persone per lui/lei importanti hanno una capacità speciale e quasi magica di capire i suoi pensieri e i suoi sentimenti più intimi (per esempio, può immaginare che l'intesa fra lui/lei e questa persona sia così perfetta da rendere superflui i normali sforzi di comunicazione). Tende ad attaccarsi agli altri in modo intenso o veloce; sviluppa sentimenti, aspettative ecc. che non sono giustificati dal contesto o dalla storia della relazione. Tende a cadere in spirali emotive senza controllo che conducono a estrema ansia, tristezza, rabbia, eccitazione. Tende a usare i propri problemi medici o psicologici per non lavorare o per non assumersi responsabilità (sia consciamente sia inconsciamente). Tende a incolpare gli altri per i propri fallimenti o difetti; tende a credere che i suoi problemi siano causati da fattori esterni. Non ha un'immagine stabile di chi sia o di chi vorrebbe diventare (per esempio, gli atteggiamenti, i valori, gli obiettivi o i sentimenti relativi a se stesso/a sembrano instabili e mutevoli). Tende a essere arrabbiato/a o ostile (sia consciamente sia inconsciamente). Tende a ingraziarsi gli altri o a farsi sottomettere (per esempio, può acconsentire a cose che non condivide o fare cose che non vuole perché spera, in questo modo, di guadagnare il sostegno o l'approvazione altrui). Quando si innamora romanticamente o è sessualmente attratto da una persona, tende a perdere interesse se questa contraccambia. Ama le sfide; prova piacere nel realizzare le cose. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. Tende a essere disonesto; tende a mentire o a ingannare le altre persone. Tende a essere ostile verso le persone dell'altro sesso, sia consciamente sia inconsciamente (per esempio, può screditarle o mettersi in competizione con loro). Tende a sviluppare sintomi somatici in risposta a stress o conflitti (per esempio, mal di testa, mal di schiena, dolori addominali, asma ecc.). Tende a coinvolgersi in situazioni romantiche o sessuali "a tre" (per esempio, è più interessato/a a partner che hanno già una relazione, che sono corteggiati da qualcun altro, ecc.). Tende a essere inaffidabile e irresponsabile (per esempio, non soddisfa i propri obblighi professionali o non onora i propri impegni finanziari). Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria rabbia. Tende a essere coinvolto/a o a rimanere in relazioni in cui subisce abusi emotivi o fisici. Ha attacchi di panico che durano da alcuni minuti a alcune ore, accompagnati da forti risposte fisiche (per esempio, accelerazione del battito cardiaco, fiato corto, senso di soffocamento, nausea e vertigini). Tende a sviluppare preoccupazioni relative alla sporcizia, alla pulizia, alla contaminazione ecc. (per esempio, bere dal bicchiere di un'altra persona, sedersi sull'asse di un bagno pubblico ecc.). Ha difficoltà nel comprendere il senso del comportamento altrui; spesso fraintende, interpreta in modo scorretto o è confuso/a dalle azioni e dalle reazioni degli altri. Tende a sentirsi apatico/a, affaticato/a e privo/a di energia. Tende a dimostrare una sprezzante noncuranza verso i diritti, la proprietà o la sicurezza degli altri. Sa mantenere una relazione amorosa caratterizzata da un'intimità autentica e dalla capacità di prendersi cura dell'altra persona. È inibito/a rispetto al raggiungimento di obiettivi o in generale del successo (per esempio, le sue aspirazioni o le realizzazioni tendono a essere al di sotto delle sue potenzialità). Tende a essere eccessivamente seduttivo/a o provocante dal punto di vista sessuale sia consciamente sia inconsciamente (per esempio, può flirtare in modo inopportuno, essere completamente assorbito/a dalle conquiste sessuali, essere incline a "tenere sulla corda"). È tendenzialmente ansioso/a. Tende a sentirsi impotente, debole o alla mercé di forze che sono al di fuori del suo controllo. 115 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. Trova significato nella sua appartenenza e nel suo contributo a una comunità più ampia (per esempio, organizzazioni di vario tipo, chiesa, associazioni di quartiere). Tende a sentire di non essere veramente se stesso/a con gli altri; tende a sentirsi falso/a o fraudolento/a. Sembra trarre piacere o soddisfazione comportandosi in modo sadico o aggressivo con gli altri (sia consciamente sia inconsciamente). Tende a comportarsi in modo illegale o criminale. Sembra incapace di descrivere le persone che per lui/lei sono importanti riuscendo a trasmettere l'idea di che tipo di persone siano; le descrizioni di queste persone sono bidimensionali e piuttosto misere. Tende a provare invidia. Cerca di avere potere o di esercitare la sua influenza sugli altri (sia in modi benefici sia in modi distruttivi). La sua percezione della realtà può deteriorarsi gravemente sotto stress (per esempio, può diventare delirante). Tende a idealizzare alcune persone in modi irrealistici; le vede come “totalmente buone”, fino a escludere la presenza anche dei difetti umani più comuni. Tende a essere suggestionabile o facilmente influenzabile. Non sa se è eterosessuale, omosessuale o bisessuale. Vuole essere al centro dell'attenzione. Ha fantasie di successo illimitato, potere, bellezza, talento, ingegno, ecc. Tende a sentire che la sua vita non ha significato. Tende a suscitare simpatia negli altri. Ha poca empatia; sembra incapace di capire o rispondere ai bisogni e ai sentimenti degli altri a meno che non coincidano con i propri. Tende a trattare gli altri come un pubblico che deve testimoniare la sua importanza, il suo ingegno, la sua bellezza ecc. Tende a sentirsi inadeguato/a, inferiore o fallito/a. È capace di trovare significato e fonte di soddisfazione nel guidare, educare o crescere le altre persone. Sembra provare poco piacere, soddisfazione o godimento nelle attività quotidiane, o non ne prova affatto. Tende a sentirsi in colpa. Ha poco o nessun interesse nell'avere esperienze sessuali con altre persone. E’ empatico/a, sensibile e responsivo/a verso i bisogni e i sentimenti degli altri. Tende a essere timido/a o riservato/a in situazioni sociali. Tende a disprezzare le qualità tradizionalmente associate al proprio sesso mentre fa proprie qualità tradizionalmente associate al sesso opposto (per esempio, una donna che svaluta la 62. 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. 75. 76. 77. 78. 79. 80. capacità di prendersi cura degli altri e la sensibilità emotiva mentre attribuisce molto valore al successo e all'indipendenza). Tende a essere preoccupato dal cibo, dalla dieta e in generale dal mangiare. Quando è necessario, sa essere assertivo/a in modo efficace e appropriato. II suo umore tende a mutare ciclicamente con intervalli di settimane o mesi tra stati eccitati e quelli depressivi (posizionare molto in alto questo item implica un disturbo bipolare dell'umore). Cerca di dominare con la violenza o l'intimidazione una persona per lui/lei importante (per esempio, il coniuge, l'amante, un membro della famiglia). Si dedica al lavoro e alla produttività in maniera eccessiva a scapito del tempo libero e delle relazioni. Tende a essere avaro/a e poco generoso/a (con il denaro, le idee, le emozioni ecc.). Apprezza e sa rispondere all'umorismo. È incapace di buttar via gli oggetti anche quando sono ormai consumati o privi di valore; tende ad accumulare, collezionare o tenersi strette le sue cose. Fa ricorrenti abbuffate seguite da "purghe" (per esempio, si provoca il vomito, abusa di lassativi, digiuna ecc.); sono presenti episodi bulimici. Tende a cercare il brivido, la novità, l'avventura ecc. Le sue percezioni sembrano superficiali, generiche e impressionistiche; fatica a mettere a fuoco dettagli specifici. Tende a essere "catastrofico/a"; è portato/a a vedere i problemi come disastrosi, impossibili da risolvere ecc. Esprime le proprie emozioni in modi esagerati e teatrali. Tende a pensare in termini concreti e a interpretare le cose in modo troppo letterale; non è molto capace di apprezzare le metafore, le analogie o le sfumature. Si comporta in modo da suscitare negli altri sentimenti simili a quelli che lui/lei stesso/a sta provando (per esempio, quando è arrabbiato/a, agisce in un modo che provoca rabbia negli altri; quando è ansioso/a, agisce in un modo che induce ansia negli altri). Tende a essere eccessivamente bisognoso/a o dipendente; richiede rassicurazioni o approvazioni eccessive. Tende a esprimere la propria aggressività in modi passivi e indiretti (per esempio, può fare errori, procrastinare, dimenticare, tenere il muso ecc.). Tende a vedere alcune persone come “totalmente cattive” e perde la capacità di percepire le loro qualità positive. Tende a essere sessualmente possessivo/a e geloso/a; tende a essere preoccupato/a riguardo a infedeltà reali o immaginarie. 116 81. Ri-esperisce o ri-vive più volte un evento traumatico del passato (per esempio, ha ricordi intrusivi o sogni ricorrenti dell'evento; è scioccato o terrorizzato da eventi presenti che assomigliano o simbolizzano il trauma passato). 82. Riesce ad ascoltare una notizia minacciosa sul piano emotivo (cioè un'informazione che mette in discussione le credenze e percezioni di sé e degli altri che per lui sono fondamentali) e sa usarla e trarne beneficio. 83. Le sue credenze e aspettative sembrano cliché o stereotipi, come fossero uscite da un libro di fiabe o da un film. 84. Tende a essere competitivo/a (sia consciamente sia inconsciamente). 85. È consapevole dei suoi desideri omosessuali (una collocazione moderata di questo item implica bisessualità; una collocazione elevata implica omosessualità). 86. Tende a provare vergogna o a sentirsi imbarazzato/a. 87. È subito portato/a a pensare che gli altri vogliano danneggiarlo/a o approfittarsi di lui/lei; tende a cogliere intenzioni malevole nelle parole e nelle azioni degli altri. 88. Sembra non preoccuparsi abbastanza della soddisfazione dei propri bisogni; sembra non sentirsi in diritto di ottenere o chiedere ciò che si merita. 89. Sembra essere riuscito/a a scendere a patti con esperienze dolorose del passato, avervi trovato un significato ed essere cresciuto/a grazie anche a queste esperienze. 90. Tende a sentirsi vuoto/a o annoiato/a. 91. Tende a essere autocritico/a; si pone standard irrealisticamente elevati ed è intollerante anche verso i propri umani difetti. 92. Sa esprimersi in modo articolato; sa raccontarsi. 93. Sembra che di come vanno le cose nel mondo ne sappia meno di quanto ci si aspetterebbe da una persona con la sua intelligenza, il suo background ecc.; appare naif o “innocente”. 94. Ha una vita sessuale attiva e soddisfacente. 95. Si sente a proprio agio in situazioni sociali. 96. Tende a suscitare negli altri antipatia e animosità. 97. Tende a usare troppo il proprio aspetto fisico per attirare l'attenzione altrui ed essere notato/a. 98. Tende ad aver paura di essere rifiutato/a o abbandonato/a dalle persone che per lui/lei sono emotivamente significative. 99. Sembra che associ l'attività sessuale al pericolo (per esempio, a ferite, punizioni, contaminazione ecc.), sia consciamente sia inconsciamente. 100. Tende a pensare in termini astratti e intellettualizzati, anche su argomenti di rilievo personale. 101. Di solito trova soddisfazione e motivo di felicità in quel che fa. 102. Ha una fobia specifica (per esempio, serpenti, ragni, cani, aeroplani, ascensori ecc.). 103. Tende a reagire alle critiche con sentimenti di rabbia e umiliazione. 104. Sembra non aver bisogno della compagnia e del contatto umano; è proprio indifferente alla presenza degli altri. 105. Tende a evitare di confidarsi con gli altri per paura di essere tradito/a; si aspetta che le cose che dice e fa siano poi usate contro di lui/lei. 106. Tende a esprimere affetti appropriati per qualità e intensità alla situazione che sta vivendo. 107. Tende a esprimere in modo esagerato caratteristiche o modi di fare tradizionalmente associati al proprio sesso (per esempio, una donna iperfemminile o un uomo ipervirile e "macho"). 108. Tende a limitare l'assunzione di cibo fino al punto da diventare sottopeso e malnutrito/a. 109. Tende ad attuare comportamenti automutilanti (per esempio, tagliarsi, bruciarsi ecc.). 110. Tende ad attaccarsi o a coinvolgersi sentimentalmente con persone che non sono emotivamente disponibili. 111. È capace di riconoscere punti di vista alternativi anche quando si tratta di argomenti che suscitano emozioni forti. 112. Tende a non preoccuparsi delle conseguenze delle sue azioni; sembra che si senta immune o invulnerabile. 113. Sembra non provare alcun rimorso per il danno o il male causato ad altri. 114. Tende a essere critico/a con le altre persone. 115. Quando è arrabbiato/a tende a rompere le cose o diventare fisicamente aggressivo/a. 116. Tende a vedere i suoi sentimenti e impulsi inaccettabili negli altri e non in se stesso/a. 117. E incapace di calmarsi o tranquillizzarsi da solo/a quando è stressato/a; ha bisogno di un’altra persona che lo/la aiuti a regolare gli affetti. 118. Tende a considerare le esperienze sessuali qualcosa di rivoltante o disgustoso. 119. Tende a essere inibito/a o coartato/a; non riesce a concedersi di riconoscere o esprimere desideri e impulsi. 120. Ha standard morali ed etici e si sforza di vivere alla loro altezza. 121. E creativo/a; sa vedere le cose o affrontare i problemi in modi originali. 122. La sua vita è organizzata in modo tendenzialmente caotico o instabile (per esempio, vive in condizioni precarie, transitorie, mal definite; può non avere un telefono o un indirizzo stabile). 123. Tende ad aderire rigidamente alla routine giornaliera e si angoscia o si sente a disagio quando subisce alterazioni. 124. Tende a evitare le situazioni sociali perché ha paura di trovarsi in imbarazzo o umiliato/a. 125. II suo aspetto e i suoi modi di fare sembrano strani o particolari (per esempio, la cura di sé, l'igiene, la postura, il contatto visivo, l'andamento dell'eloquio ecc. sembrano in qualche modo strani o "fuori contatto"). 117 126. 127. 128. 129. 130. 131. 132. 133. 134. 135. 136. 137. 138. 139. 140. 141. 142. 143. 144. Sembra avere una gamma di emozioni limitata o ristretta. Tende a sentirsi incompreso/a, maltrattato/a o vittimizzato/a. Fantastica di trovare l'amore ideale e perfetto. Tende ad avere conflitti relativi all'autorità (per esempio, può sentire di doverla sottomettere, vincere, sconfiggere, di doversi ribellare ecc.). I suoi processi di ragionamento e le esperienze percettive sembrano strani e peculiari (per esempio, può fare inferenze arbitrarie; può vedere messaggi nascosti o significati speciali in eventi ordinari). Difficilmente si concede la possibilità di provare forti emozioni piacevoli (per esempio, eccitazione, gioia, orgoglio). Tende ad avere molte avventure sessuali; è promiscuo/a. Tende a essere arrogante, superbo/a e sprezzante. Tende ad agire in modo impulsivo, senza considerare le conseguenze delle sue azioni. Ha paure infondate di contrarre patologie mediche; tende a interpretare banali malesseri o dolori come sintomi di malattie; è ipocondriaco/a. Tende a essere superstizioso/a o a credere in fenomeni magici e soprannaturali (per esempio, astrologia, tarocchi, cristalli, percezioni extrasensoriali, "aure" ecc.). Mostra desideri o interessi omosessuali inconsci (per esempio, è eccessivamente omofobo oppure mostra segni di attrazione verso una persona dello stesso sesso ma non ne riconosce il significato). Quando è sotto stress, tende a entrare in stati di coscienza alterati o dissociati (per esempio, se stesso/a o il mondo gli/le appaiono strani, estranei o irreali). Tende a tenere il broncio; può "legarsi al dito" insulti e offese per molto tempo. Ha una perversione sessuale o è feticista; prima di provare gratificazioni sessuali deve costruire situazioni dal copione rigido o molto strane e particolari. Si identifica in misura estrema con una “causa” sociale e politica, al punto che tale identificazione può sembrare eccessiva o fanatica. Tende a minacciare o tentare ripetutamente il suicidio, sia in forma di "grido d'aiuto" sia come tentativo di manipolare gli altri. Tende a credere che una persona come lui/lei possa essere apprezzato/a solo da, o possa frequentare solo persone che hanno uno status elevato, sono superiori o in qualche modo "speciali". Tende a vedersi come una persona logica e razionale, non influenzata dalle emozioni; preferisce operare come se le emozioni fossero irrilevanti o prive di conseguenze. 145. 146. 147. 148. 149. 150. 151. 152. 153. 154. 155. 156. 157. 158. 159. 160. 161. 162. 163. 164. 165. L'eloquio tende a essere circostanziato, vago, sconnesso, pieni di digressioni ecc. Tende a suscitare noia nelle altre persone (per esempio, può parlare incessantemente, senza partecipazione, o di argomenti del tutto irrilevanti). Tende ad abusare di alcolici. Ha poco insight psicologico riguardo alle proprie motivazioni, ai comportamenti ecc.; non riesce a prendere in considerazione interpretazioni alternative della propria esperienza. Tende a considerarsi un/una emarginato/a o un/una outsider; si sente privo/a di qualunque appartenenza. Tende a identificarsi in modo eccessivo con altre persone che ammira; ha tendenza a diventare un/una ammiratore/trice o un/una “discepolo/a”(per esempio, può assumerne gli atteggiamenti, le credenze, i modi di fare ecc.). Fa esperienza del passato come di una serie di eventi privi di rapporti e connessioni reciproche; ha difficoltà nel fornire un racconto coerente della storia della sua vita. Tende a rimuovere o "dimenticare" gli eventi stressanti o a distorcere il ricordo di eventi stressanti senza rendersene conto. Le sue relazioni interpersonali tendono a essere instabili e caotiche e cambiano rapidamente. Tende a suscitare negli altri reazioni estreme e sentimenti forti. Tende a descrivere le esperienze in termini generali; non vuole o non sa offrire dettagli specifici. Ha un'immagine del proprio corpo disturbata o distorta, si trova poco attraente, grottesco/a, disgustoso/a ecc. Le emozioni forti tendono a farlo/a diventare irrazionale; può mostrare un notevole declino del proprio livello di funzionamento abituale. Ha paura di coinvolgersi in relazioni d'amore a lungo termine. Tende a negare o a disconoscere i propri bisogni di cure, conforto, intimità ecc. o a considerare tali bisogni inaccettabili. Non ha relazioni né amici stretti. Tende a far abuso di droghe illecite. Esprime sentimenti o credenze contraddittorie senza essere disturbato/a dalla loro incoerenza; sente relativamente poco il bisogno di conciliare o risolvere le sue idee contraddittorie. Sembra volersi "punire"; crea situazioni che procurano infelicità o evita attivamente occasioni di piacere e gratificazione. Tende a credersi più virtuoso/a degli altri e a fare il/la moralista. Tende a distorcere desideri o sentimenti inaccettabili trasformandoli nel loro opposto (può esprimere preoccupazione o affetto eccessivi mostrando al contempo segni di ostilità che non riconosce; è disgustato/a dal tema della sessualità, ma al tempo stesso mostra segni di interesse o eccitazione ecc.). 118 166. 167. 168. 169. 170. 171. 172. 173. 174. 175. 176. 177. 178. 179. 180. 181. 182. 183. Tende a oscillare tra un controllo troppo scarso e un controllo eccessivo dei propri bisogni e dei propri impulsi (cioè, bisogni e desideri sono espressi in modo impulsivo e con una scarsa considerazione delle loro conseguenze, oppure sono negati senza che sia permesso loro alcun tipo di espressione). Ha bisogno degli altri e allo stesso tempo li respinge (per esempio, chiede insistentemente che qualcuno si occupi di lui/lei e stabilisca con lui/lei un rapporto di intimità ma poi tende a rifiutarlo quando gli/le viene offerto). Lotta con veri e propri desideri suicidi. Ha paura di diventare come uno dei suoi genitori (o una delle sue figure genitoriali) per il/la quale nutre forti sentimenti negativi; può fare di tutto per evitare o rifiutare atteggiamenti o comportamenti associati a quella persona. Tende a essere oppositivo/a, caparbio/a o "bastian contrario/a". Ha paura della solitudine; fa di tutto per non restare solo. Ha una disfunzione sessuale specifica durante i rapporti o mentre cerca di avere rapporti sessuali (per esempio, inibizioni dell’orgasmo o vaginismo nelle femmine, impotenza o eiaculazione precoce nei maschi). Tende a interessarsi eccessivamente ai dettagli fino a perdere di vista ciò che è davvero significativo in una data situazione. Si aspetta di essere "perfetto/a" (per esempio, nell'aspetto, in ciò che vuole realizzare, nelle performance, ecc). E tendenzialmente coscienzioso/a e responsabile. Tende a confondere i propri pensieri, sentimenti o tratti della propria personalità con quelli di altre persone (per esempio, può usare le stesse parole per descriversi e per descrivere un'altra persona, credere di condividere con essa gli stessi pensieri e sentimenti, trattare l’altra persona come un’” estensione” di sé ecc.). Cerca di convincere più volte gli altri del proprio impegno a cambiare ma poi torna a comportarsi in modo disadattivo; vuole convincere gli altri che "questa volta è davvero diverso". E’ angosciato/a dalla sensazione che qualcuno o qualcosa sia stato irrimediabilmente perso (per esempio, l’amore, la gioventù, la possibilità di essere felice ecc.). È tendenzialmente energico/a o espansivo/a. Ha problemi nel prendere decisioni; tende a essere indeciso/a o a tentennare di fronte alle scelte. Tende a scegliere partner sessuali o amorosi inappropriati per età, status (per esempio, sociale, economico, intellettuale) ecc. Tende a voler controllare. Ha intuito psicologico; riesce a capire in modo piuttosto sofisticato se stesso/a e gli altri. 184. 185. 186. 187. 188. 189. 190. 191. 192. 193. 194. 195. 196. 197. 198. 199. 200. Le sue affermazioni verbali sembrano incongruenti con gli affetti o con i messaggi non verbali a esse associati. Tende a esprimere una rabbia intensa e inappropriata, sproporzionata rispetto alla situazione. Fa fatica a rivolgere contemporaneamente sentimenti di tenerezza e sentimenti sessuali verso una stessa persona (per esempio, vede gli altri come rispettabili e virtuosi oppure sensuali ed eccitanti, ma non riesce ad attribuire queste caratteristiche a una stessa persona). Tende a sentirsi in colpa o a provare vergogna per i propri interessi o attività sessuali (sia consciamente sia inconsciamente). La sua vita lavorativa tende a essere caotica o instabile (per esempio, la sua organizzazione lavorativa sembra sempre temporanea, transitoria o mal definita). Tende a sentirsi infelice, depresso/a o abbattuto/a. Sembra che si senta privilegiato/a e di avere tutti i diritti; si aspetta un trattamento preferenziale. Le sue emozioni tendono a cambiare rapidamente e in modo imprevedibile. Tende a essere eccessivamente preoccupato/a per le regole, le procedure, l'ordine, l'organizzazione, le programmazioni ecc. Ha scarse capacità sociali; nelle situazioni sociali tende a comportarsi in modo goffo e inappropriato. Tende a manipolare le emozioni degli altri per ottenere ciò che vuole. Tende a essere preoccupato/a dalla morte e dal morire. Riesce a trovare senso e soddisfazione nel perseguire obiettivi e ambizioni a lungo termine. Tende a cercare o a creare relazioni interpersonali nelle quali ha il ruolo della persona che si prende cura degli altri, li salva o li protegge. E’ verbalmente poco articolato/a; non riesce a esprimersi bene con le parole. Tende a essere passivo/a e poco assertivo/a. Riesce a stringere amicizie intime e di lunga durata caratterizzate da sostegno reciproco e condivisone delle esperienze. 119 10 ALLEGATO B Affermazioni SWAP che compongono i singoli prototipi degli stili di personalità SWAP (le affermazioni sono elencate in ordine di importanza, cioè della rappresentatività per il costrutto analizzato) STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. Tende a sentirsi inadeguato/a, inferiore o fallito/a. Tende a sentirsi infelice, depresso/a o abbattuto/a. Tende a provare vergogna o a sentirsi imbarazzato/a. Tende a incolparsi o a sentirsi in colpa delle cose negative che accadono. Tende a sentirsi in colpa. Tende ad aver paura di essere rifiutato/a o abbandonato/a dalle persone che per lui/lei sono emotivamente significative. Tende a sentirsi impotente, debole o alla mercé di forze che sono al di fuori del suo controllo. Tende a essere eccessivamente bisognoso/a o dipendente; richiede rassicurazioni o approvazioni eccessive. Tende a ingraziarsi gli altri o a farsi sottomettere (per esempio, può acconsentire a cose che non condivide o fare cose che non vuole perché spera, in questo modo, di guadagnare il sostegno o l'approvazione altrui). Tende a essere passivo/a e poco assertivo/a. Tende a essere autocritico/a; si pone standard irrealisticamente elevati ed è intollerante anche verso i propri umani difetti. Tende a considerarsi un/una emarginato/a o un/una outsider; si sente privo/a di qualunque appartenenza. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. E tendenzialmente ansioso/a. Tende a sentirsi apatico/a, affaticato/a e privo/a di energia. Tende a sentirsi vuoto/a o annoiato/a. Sembra volersi "punire"; crea situazioni che procurano infelicità o evita attivamente occasioni di piacere e gratificazione. Sembra provare poco piacere, soddisfazione o godimento nelle attività quotidiane, o non ne prova affatto. Sembra non preoccuparsi abbastanza della soddisfazione dei propri bisogni; sembra non sentirsi in diritto di ottenere o chiedere ciò che si merita. E incapace di calmarsi o tranquillizzarsi da solo/a quando è stressato/a; ha bisogno di un’altra persona che lo/la aiuti a regolare gli affetti. Non ha un'immagine stabile di chi sia o di chi vorrebbe diventare (per esempio, gli atteggiamenti, i valori, gli obiettivi o i sentimenti relativi a se stesso/a sembrano instabili e mutevoli). Tende a sentire che la sua vita non ha significato. Tende a evitare le situazioni sociali perché ha paura di trovarsi in imbarazzo o umiliato/a. Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria rabbia. STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO EVITANTE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Tende a essere timido/a o riservato/a in situazioni sociali. Tende a evitare le situazioni sociali perché ha paura di trovarsi in imbarazzo o umiliato/a. Ha scarse capacità sociali; nelle situazioni sociali tende a comportarsi in modo goffo e inappropriato. Tende a essere inibito/a o coartato/a; non riesce a concedersi di riconoscere o esprimere desideri e impulsi. Tende a essere passivo/a e poco assertivo/a. Non ha relazioni né amici stretti. Tende a considerarsi un/una emarginato/a o un/una outsider; si sente privo/a di qualunque appartenenza. Difficilmente si concede la possibilità di provare forti emozioni piacevoli (per esempio, eccitazione, gioia, orgoglio). Tende a sentirsi inadeguato/a, inferiore o fallito/a. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. Tende a provare vergogna o a sentirsi imbarazzato/a. E inibito/a rispetto al raggiungimento di obiettivi o in generale del successo (per esempio, le sue aspirazioni o le realizzazioni tendono a essere al di sotto delle sue potenzialità). Sembra avere una gamma di emozioni limitata o ristretta. Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria rabbia. Sembra che di come vanno le cose nel mondo ne sappia meno di quanto ci si aspetterebbe da una persona con la sua intelligenza, il suo background ecc.; appare naif o “innocente”. Tende a essere autocritico/a; si pone standard irrealisticamente elevati ed è intollerante anche verso i propri umani difetti. E tendenzialmente ansioso/a. Tende a incolparsi o a sentirsi in colpa delle cose negative che accadono. 120 18. Sembra provare poco piacere, soddisfazione o godimento nelle attività quotidiane, o non ne prova affatto. STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO DEPRESSIVO (NEVROTICO) AD ALTO FUNZIONAMENTO 1. Sa esprimersi in modo articolato; sa raccontarsi. 2. Ha standard morali ed etici e si sforza di vivere alla loro altezza. 3. E’ empatico/a, sensibile e responsivo/a verso i bisogni e i sentimenti degli altri. 4. Apprezza e sa rispondere all'umorismo. 5. E tendenzialmente coscienzioso/a e responsabile. 6. Ha intuito psicologico; riesce a capire in modo piuttosto sofisticato se stesso/a e gli altri. 7. Tende a suscitare simpatia negli altri. 8. È capace di riconoscere punti di vista alternativi anche quando si tratta di argomenti che suscitano emozioni forti. 9. Tende ad incolparsi o sentirsi responsabile delle cose negative che accadono. 10. Riesce ad ascoltare una notizia minacciosa sul piano emotivo (cioè un’informazione che mette in discussione le credenza e percezioni di sé e degli altri che per lui/lei sono fondamentali) e sa usarla e trarne beneficio. 11. Tende a sentirsi in colpa. 12. Sa mantenere una relazione amorosa caratterizzata da un’intimità autentica e dalla capacità di prendersi cura dell’altra persona. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. È creativo/a; sa vedere le cose o affrontare i problemi in modi originali. Tende a cercare o a creare relazioni interpersonali nelle quali ha il ruolo della persona che si cura degli altri, li salva o li protegge. Riesce a stringere amicizie intime e di lunga durata caratterizzate da sostegno reciproco e condivisione delle esperienze. Tende a sentirsi infelice, depresso/a o abbattuto/a. Ama le sfide; prova piacere nel realizzare le cose. Sa usare i suoi talenti, capacità ed energie in modo efficace e produttivo. È capace di trovare significato e fonte di soddisfazione nel guidare, educare o crescere altre persone. Tende ad aver paura di essere rifiutato/a o abbandonato/a dalle persone che per lui/lei sono emotivamente significative. Tende ad essere autocritico/a; si pone standard irrealisticamente elevati ed è intollerante anche verso i propri umani difetti. Tende a sentirsi apatico/a, affaticato/a e privo/a di energia. STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO CON DISREGOLAZIONE EMOTIVA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. Tende a cadere in spirali emotive senza controllo che conducono ad estrema ansia, tristezza, rabbia, eccitazione ecc. Lotta contro veri e propri desideri suicidi. È incapace di calmarsi o confortarsi da solo/a quando è stressato/a; ha bisogno di un’altra persona che lo/la aiuti a regolare i suoi affetti. Tende a sentire che la vita non ha significato. Tende a minacciare o tentare ripetutamente il suicidio, sia in forma di “grido di aiuto” sia come tentativo di manipolare gli altri. Tende a sentirsi infelice, depresso/a o abbattuto/a. Tende ad essere “catastrofico/a”: è portato a vedere i problemi come disastrosi, impossibili da risolvere ecc. Le emozioni forti tendono a renderlo/a irrazionale; può mostrare un notevole declino del proprio livello di funzionamento abituale. Tende a essere preoccupato/a dalla morte e dal morire. Tende a sentirsi vuoto/a o annoiato/a. Sembra provare poca soddisfazione o godimento nelle attività quotidiane o non ne prova affatto. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. Tende ad essere eccessivamente bisognoso/a o dipendente; richiede rassicurazioni o approvazioni eccessive. Ri-esperisce o rivive più volte un evento traumatico del passato (per esempio, ha ricordi intrusivi o sogni ricorrenti dell’evento; è scioccato/a o terrorizzato/a da eventi presenti che assomigliano o simbolizzano il trauma passato). Tende ad attuare comportamenti auto mutilanti (per esempio, tagliarsi, bruciarsi, ecc.). Tende ad essere arrabbiato/a o ostile (sia consciamente sia inconsciamente) Tende a considerarsi un emarginato/a o un/a outsider; si sente privo/a di qualunque appartenenza. Tende a sentirsi incompreso/a, maltrattato/a o vittimizzato/a. Tende a sentirsi inadeguato/a, inferiore o fallito/a. Le sue emozioni tendono a cambiare rapidamente ed in modo imprevedibile. 121 STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO DIPENDENTE-MASOCHISTA 1. 2. 3. 7. 8. 9. 10. 11. 14. 15. 18. Tende ad essere coinvolto/a o a rimanere in relazioni in cui subisce abusi emotivi o fisici. Tende a ingraziarsi gli altri o a farsi sottomettere (per esempio, può acconsentire a cose che non condivide o fare cose che non vuole perché spera, in questo modo, di guadagnare il sostegno o l’approvazione altrui). Tende ad attaccarsi agli altri in modo intenso o veloce; sviluppa sentimenti, aspettative ecc. che Fantastica di trovare l’amore ideale e perfetto. Ha paura della solitudine; fa di tutto per non restare solo/a. Tende ad avere paura di essere rifiutato/a o abbandonato/a dalle persone che per lui/lei sono emotivamente significative. Tende ad esprimere la propria aggressività in modi passivi e indiretti (per esempio, può fare errori, procrastinare, dimenticare, tenere il muso ecc.). Non ha un’immagine stabile di chi sia o di chi vorrebbe diventare (per esempio, gli Tende ad essere passivo/a o poco assertivo/a. È incapace di calmarsi o tranquillizzarsi da solo/a quando è stressato; ha bisogno di un’altra persona che lo/la aiuti a regolare gli affetti. 4. 5. 6. 12. 13. 16. 17. Cerca di convincere più volte gli altri del proprio impegno a cambiare ma poi torna a comportarsi non sono giustificati dal contesto o dalla storia della relazione. Tende ad essere suggestionabile o facilmente influenzabile. Tende ad attaccarsi o a coinvolgersi sentimentalmente con persone che non sono emotivamente disponibili. Tende ad essere eccessivamente bisognoso/a o dipendente; richiede rassicurazioni o approvazioni eccessive. atteggiamenti, i valori, gli obiettivi o i sentimenti relativi a se stesso/a possono essere instabili e mutevoli). Tende ad idealizzare alcune persone in modi irrealistici; le vede come “totalmente buone” fino ad escludere la presenza anche dei difetti umani più comuni. Ha problemi nel prendere decisioni; tende ad essere indeciso/a o a tentennare di fronte alle scelte. Tende a scegliere partner sessuali o amorosi inappropriati per età, status (per esempio, sociale, economico, intellettuale) ecc. Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria rabbia. in modo disadattivo; vuole convincere gli altri che “stavolta è davvero diverso”. STILE DI PERSONALITA’ DISFORICO CON ESTERNALIZZAZIONE DELL’OSTILITA’ 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Tende a partecipare a scontri di potere. Tende ad essere arrabbiato/a o ostile (sia consciamente sia inconsciamente). Tende ad incolpare gli altri per i propri fallimenti o difetti; tende a credere che i suoi problemi siano causati da fattori esterni. Tende a sentirsi incompreso/a, maltrattato/a o vittimizzato/a. Tende ad essere critico con le altre persone. Tende ad avere conflitti relativi all’autorità (per esempio, può sentire di doverla sottomettere, vincere, sconfiggere, di doversi ribellare ecc.). Tende a tenere il broncio; può “legarsi al dito” insulti o offese per molto tempo. Tende ad esprimere la propria aggressività in modi passivi e indiretti (per esempio, può fare errori, procrastinare, dimenticare, tenere il muso ecc.). Tende ad essere oppositivo, caparbio, “bastian contrario”. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. È subito portato/a a pensare che gli altri vogliano danneggiarlo/a o approfittarsi di lui/lei; tende a cogliere intenzioni malevole nelle parole e nelle azioni degli altri. Tende a sentirsi impotente, debole o alla mercè di forze che sono al di fuori del suo controllo. Tende ad essere ostile verso le persone dell’altro sesso, sia consciamente sia inconsciamente (per esempio, può screditarle o mettersi in competizione con loro, ecc.). È inibito/a rispetto al raggiungimento di obiettivi o in generale del successo; le sue aspirazioni o le realizzazioni tendono ad essere al di sotto delle sue potenzialità. Tende a voler controllare. Tende a reagire alle critiche con sentimenti di rabbia ed umiliazione. Tende a vedere i suoi sentimenti e impulsi inaccettabili negli altri e non in se stesso/a. STILE DI PERSONALITA’ ANTISOCIALE-PSICOPATICO 1. 2. Tende ad essere disonesto/a; tende a mentire o ingannare le altre persone. Sfrutta gli altri; cerca di essere il/la numero uno; dà pochissima importanza ai valori morali. 3. 4. Sembra non provare alcun rimorso per il danno o il male causato ad altri. Tende ad essere arrabbiato/a od ostile (sia consciamente sia inconsciamente). 122 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. Tende ad agire in modo impulsivo, senza considerare le conseguenze delle sue azioni. Tende a manipolare le emozioni degli altri per ottenere ciò che vuole. Tende ad essere inaffidabile ed irresponsabile (per esempio, non soddisfa i propri obblighi professionali o non onora i propri impegni finanziari). Tende a comportarsi in modo illegale o criminale. Ha poca empatia; sembra incapace di capire o rispondere ai bisogni e ai sentimenti degli altri a meno che non coincidano con i propri. Tende a non preoccuparsi delle conseguenze delle sue azioni; sembra che si senta immune o invulnerabile. Tende a dimostrare una sprezzante noncuranza verso i diritti, la proprietà o la sicurezza degli altri. 12. 13. 14. 15. 16. 17. Tende ad abusare di alcolici. Tende a incolpare gli altri per i propri fallimenti o difetti; tende a credere che i suoi problemi siano causati da fattori esterni. Tende a partecipare a scontri di potere. Sembra trarre piacere comportandosi in modo sadico o aggressivo con gli altri (sia consciamente sia inconsciamente). Ha poco insight psicologico riguardo le proprie motivazioni, ai comportamenti ecc.; non riesce a prendere in considerazioni interpretazioni alternative della propria esperienza. Cerca di convincere più volte gli altri del proprio impegno a cambiare ma poi torna a comportarsi in modo disadattivo; vuole convincere gli altri che “questa volta è davvero diverso”. STILE DI PERSONALITA’ SCHIZOIDE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Non ha relazioni né amici stretti. Sembra avere una gamma di emozioni limitata o ristretta. Ha scarse capacità sociali; nelle situazioni sociali tende a comportarsi in modo goffo ed inappropriato. Il suo aspetto e i suoi modi di fare sembrano strani o particolari (per esempio, la cura di sé, l’igiene, la postura, il contatto visivo, l’andamento dell’eloquio ecc. sembrano in qualche modo strani o “fuori contatto”). Tende ad essere timido/a o riservato/a in situazioni sociali. Tende ad essere inibito/a o coartato/a; non riesce a concedersi di riconoscere o esprimere desideri e impulsi. Ha difficoltà nel comprendere il senso del comportamento altrui; spesso lo fraintende, lo interpreta in modo scorretto o è confuso/a dalle azioni o dalle reazioni degli altri. Sembra incapace di descrivere le persone che per lui/lei sono importanti riuscendo a trasmettere l’idea di che tipo di persone siano; le descrizioni di queste persone sono bidimensionali e piuttosto misere. Ha poco insight psicologico riguardo alle proprie motivazioni, ai comportamenti ecc.; non riesce a prendere in considerazione interpretazioni alternative della propria esperienza. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. Tende a pensare in termini concreti e a interpretare le cose in modo troppo letterale; non è molto capace di apprezzare le metafore, le analogie o le sfumature. Sembra non aver bisogno della compagnie o del contatto umano; è proprio indifferente alla presenza degli altri. La sua percezione della realtà può deteriorarsi gravemente sotto stress (per esempio, può diventare delirante). Tende a evitare le situazioni sociali perché ha paura di trovarsi in imbarazzo o umiliato/a. I suoi processi di ragionamento o le esperienze percettive sembrano strani e peculiari (per esempio, può fare inferenze arbitrarie, può vedere messaggi nascosti o significativi in eventi ordinari). Tende a suscitare noia nelle altre persone (per esempio, può parlare incessantemente, senza partecipazione, o di argomenti del tutto irrilevanti). Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria rabbia. Difficilmente si concede la possibilità di provare forti emozioni piacevoli (per esempio, eccitazione, gioia, orgoglio). Tende ad essere passivo/a e poco assertivo/a. Tende a considerarsi un/a emarginato/a o un/a outsider, si sente privo/a di qualunque appartenenza. STILE DI PERSONALITA’ PARANOIDE 1. 2. 3. Tende a tenere il broncio; può legarsi al dito insulti e offese per molto tempo. Tende a sentirsi incompreso/a, maltrattato/a o vittimizzato/a. È subito portato a pensare che gli altri vogliano danneggiarlo o approfittarsi di lui/lei; tende a 4. 5. 6. cogliere intenzioni malevole nelle parole o nelle azioni degli altri. Tende ad esprimere una rabbia intensa e inappropriata, sproporzionata rispetto alla situazione. Tende ad essere critico/a con le altre persone. Tende a partecipare a scontri di potere. 123 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. Tende ad essere arrabbiato/a od ostile (sia consciamente sia inconsciamente). Tende a vedere alcune persone come “totalmente cattive” e perde la capacità di percepire le loro qualità positive. Tende a credersi più virtuoso/a degli altri e a fare il /la moralista. Tende a reagire alle critiche con sentimenti di rabbia ed umiliazione. Tende a incolpare gli altri per i propri fallimenti o difetti; tende a credere che i suoi problemi siano causati da fattori esterni. Tende ad essere oppositivo/a, caparbio/a, “bastian contrario/a”. Tende a vedere i suoi sentimenti e impulsi inaccettabili negli altri e non in se stesso. Le emozioni forti tendono a farlo/a diventare irrazionale; può mostrare un notevole declino del proprio livello di funzionamento abituale. Tende ad essere “catastrofico/a”; è portato a vedere i problemi come disastrosi, impossibili da risolvere ecc. Tende a suscitare negli altri antipatia ed animosità. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. Tende a cadere in spirali emotive senza controllo che conducono a estrema ansia, tristezza, rabbia, agitazione, ecc. Ha difficoltà nel comprendere il senso del comportamento altrui; spesso lo fraintende, lo interpreta in modo scorretto o è confuso/a dalle azioni e dalle reazioni degli altri. Tende a voler controllare. Tende a suscitare negli altri reazioni estreme e sentimenti forti. Tende a evitare di confidarsi con gli altri per paura di essere tradito/a; si aspetta che le cose che dice e fa siano poi usate contro di lui/lei. I suoi processi di ragionamento o le esperienze percettive sembrano strani e peculiari (per esempio, può fare inferenze arbitrarie; può vedere messaggi nascosti o significati speciali in eventi ordinari). La sua percezione della realtà può deteriorarsi gravemente sotto stress (per esempio, può diventare delirante). STILE DI PERSONALITA’ OSSESSIVO 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. È tendenzialmente coscienzioso/a e responsabile. Sa esprimersi in modo articolato; sa raccontarsi. Ha standard morali ed etici e si sforza di vivere alla loro altezza. Sa usare i suoi talenti, capacità ed energie in modo efficace e produttivo. Ama le sfide, prova piacere nel realizzare le cose. Tende a vedersi come una persona logica e razionale, non influenzata dalle emozioni; preferisce operare come se le emozioni fossero irrilevanti o prive di conseguenze. Si dedica al lavoro e alla produttività in maniera eccessiva a scapito del tempo libero e delle relazioni. Tende a voler controllare. Riesce a trovare senso e soddisfazione nel perseguire obiettivi ed ambizioni a lungo termine. Apprezza e sa rispondere all’umorismo. Tende ad essere inibito/a o coartato/a; non riesce a concedersi di riconoscere o esprimere desideri o impulsi. Quando è necessario, sa essere assertivo/a in modo efficace e appropriato. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. Tende a pensare in termini astratti e intellettualizzati, anche su argomenti di rilievo personale. Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria rabbia. Tende ad essere competitivo/a (sia consciamente sia inconsciamente). Si aspetta di essere “perfetto/a” (per esempio, nell’aspetto, in ciò che vuole realizzare, nelle performance ecc.). Tende a suscitare simpatia negli altri. Tende ad essere eccessivamente preoccupato/a per le regole, le procedure, l’ordine, l’organizzazione, la programmazione ecc. È capace di riconoscere punti di vista alternativi anche quando si tratta di argomenti che suscitano emozioni forti. Ha intuito psicologico; riesce a capire in modo piuttosto sofisticato se stesso e gli altri. Tende ad essere autocritico/a; si pone standard irrealisticamente elevati ed è intollerante anche verso i propri umani difetti. Difficilmente si concede la possibilità di provare forti emozioni piacevoli (per esempio, eccitazione, gioia, orgoglio). STILE DI PERSONALITA’ ISTRIONICO 1. 2. Tende ad essere eccessivamente bisognoso/a o dipendente; richiede rassicurazioni o approvazioni eccessive. Tende ad attaccarsi agli altri in modo intenso o veloce; sviluppa sentimenti, aspettative, ecc. che non sono giustificati dal contesto o dalla storia della relazione. 3. 4. 5. Tende ad attaccarsi o a coinvolgersi sentimentalmente con persone che non sono emotivamente disponibili. Tende ad essere suggestionabile o facilmente influenzabile. Tende ad essere eccessivamente seduttivo/a o provocante dal punto di vista sessuale, sia 124 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. consciamente sia inconsciamente (per esempio, può flirtare in modo inopportuno, essere completamente assorbito/a dalle conquiste sessuali, può essere incline a “tenere sulla corda”). Esprime le proprie emozioni in modi esagerati e teatrali. Fantastica di trovare l’amore ideale e perfetto. È incapace di calmarsi o tranquillizzarsi da solo/a quando è stressato/a; ha bisogno di un’altra persona che lo/la aiuti a regolare gli affetti. Tende a cadere in spirali emotive senza controllo che conducono a estrema ansia, tristezza, rabbia, eccitazione, ecc. Tende ad avere paura di essere rifiutato/a o abbandonato/a dalle persone che per lui/lei sono emotivamente significative. Tende a usare troppo il proprio aspetto fisico per attirare l’attenzione altrui ed essere notato/a. È tendenzialmente ansioso/a. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. Tende a scegliere partner sessuali o amorosi inappropriati per età, status (per esempio, sociale, economico, intellettuale) ecc. Tende a sviluppare sintomi somatici in risposta a stress o conflitti (per esempio, mal di testa, mal di schiena, dolori addominali, asma ecc.). Le sue percezioni sembrano superficiali, generiche, impressionistiche; fatica a mettere a fuoco dettagli specifici. Vuole essere al centro dell’attenzione. Le sue emozioni tendono a cambiare rapidamente, in modo imprevedibile. Le emozioni forti tendono a farlo/a diventare irrazionale; può mostrare un notevole declino del proprio livello di funzionamento abituale. Ha paura della solitudine; fa di tutto per non restare solo/a. Tende a essere coinvolto/a o rimanere in relazioni in cui subisce abusi emotivi o fisici. STILE DI PERSONALITA’ NARCISISTICO 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Ha fantasie di successo illimitato, potere, bellezza, talento, ingegno, ecc. Sembra che si sente privilegiato/a e di avere tutti i diritti; si aspetta un trattamento preferenziale. Si sente esageratamente importante. Tende a trattare gli altri come un pubblico che deve testimoniare la sua importanza, il suo ingegno, la sua bellezza ecc. Vuole essere al centro dell’attenzione. Si aspetta di essere “perfetto/a” (per esempio, nell’aspetto, in ciò che vuole realizzare, nelle performance ecc.). Tende ad essere arrogante, superbo e sprezzante. Fantastica di trovare l’amore ideale e perfetto. Tende a pensare che gli altri siano invidiosi di lui/lei. Tende a provare invidia. Tende ad essere competitivo/a (sia consciamente sia inconsciamente). Tende a credere che una persona come lui/lei possa essere apprezzato solo da, o possa frequentare solo persone che hanno uno status elevato, sono superiori o in qualche modo “speciali”. Non ha relazioni né amici stretti. Tende a sentire di non essere veramente se stesso/a con gli altri; tende a sentirsi falso/a o fraudolento/a. Tende a usare troppo il proprio aspetto fisico per attirare l’attenzione altrui ed essere notato. PERSONALITA’ SANA AD ALTO FUNZIONAMENTO 1. 2. 3. Apprezza e sa rispondere all’umorismo. Sa usare i suoi talenti, le sue capacità e le sue energie in modo efficace e produttivo. È tendenzialmente coscienzioso/a e responsabile. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 4. 5. Tende a sentire che la sua vita non ha significato. Ha un’immagine del proprio corpo disturbata o distorta, si trova poco attraente, grottesco/a, disgustoso/a ecc. Tende a sentirsi vuoto/a o annoiato/a. Tende a reagire alle critiche con sentimenti di rabbia ed umiliazione. Ha paura di coinvolgersi in relazioni d’amore a lungo termine. Tende a considerarsi un emarginato/a o un/una outsider, si sente privo di qualunque appartenenza. Ha poca empatia; sembra incapace di capire o rispondere ai bisogni e ai sentimenti degli altri a meno che non coincidano con i propri. Cerca di avere potere o di esercitare la sua influenza sugli altri (sia in modi benefici sia in modi distruttivi). Tende a idealizzare alcune persone in modi irrealistici; le vede come “totalmente buone”, fino a escludere la presenza anche dei difetti umani più comuni. Sente che una o alcune delle persone per lui/lei importanti hanno una capacità speciale e quasi magica di capire i suoi pensieri e i suoi sentimenti più intimi (per esempio, può immaginare che l’intesa fra lui/lei e questa persona sia così perfetta da rendere superflui i normali sforzi di comunicazione). Trova significato nella sua appartenenza e nel suo contributo ad una comunità più ampia (per esempio, organizzazioni di vario tipo, chiesa, associazioni di quartiere ecc.). Riesce a stringere amicizie intime di lunga durata, caratterizzate da sostegno reciproco e condivisione delle esperienze. 125 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. Tende a esprimere affetti appropriati per qualità e intensità alla situazione che sta vivendo. Di solito trova soddisfazione e motivo di felicità in quel che fa. Ha intuito psicologico; riesce a capire in modo piuttosto sofisticato se stesso/a e gli altri. È creativo/a; sa vedere le cose o affrontare i problemi in modi originali. Ha standard morali ed etici e si sforza di vivere alla loro altezza. Sa mantenere una relazione amorosa caratterizzata da un’intimità autentica e dalla capacità di prendersi cura dell’altra persona. Ama le sfide; prova piacere nel realizzare le cose. È capace di trovare significato e fonte di soddisfazione dell’educare o crescere le altre persone. Quando è necessario, sa essere assertivo/a in modo efficace ed appropriato. 15. 16. 17. 18. 19. Riesce a trovare senso e soddisfazione nel perseguire obiettivi ed ambizioni a lungo termine. È capace di riconoscere punti di vista alternativi anche quando si tratta di argomenti che suscitano emozioni forti. Riesce ad ascoltare una notizia minacciosa sul piano emotivo (cioè un’informazione che mette in discussione le credenze e percezioni di sé e degli altri che per lui/lei sono fondamentali), sa usarla e trarne beneficio. È empatico/a, sensibile e responsivo/a verso i bisogni e i sentimenti degli altri. Si sente a proprio agio in situazioni sociali. 126 11 BIBLIOGRAFIA Adams, B., & Sanders, T. (2011). Experiences of psychosis in borderline personality disorder: a qualitative analysis. J Ment Health, 20(4), 381-391. doi: 10.3109/09638237.2011.577846 Akhtar, S. (1987). Schizoid personality disorder: a synthesis of developmental, dynamic, and descriptive features. Am J Psychother, 41(4), 499-518. Alessandrini, M., & Di Giannantonio, M. (2005). Il ‘fenomeno elementare’e gli esordi psicotici. Nooç, 1, 7-22. Andersen, A. M., & Bienvenu, O. J. (2011). Personality and psychopathology. Int Rev Psychiatry, 23(3), 234-247. doi: 10.3109/09540261.2011.588692 APA. (1980). Diagnostic and statistical manual of mental disorders,Third edition (DSM-III). Washington DC: American Psychiatric Association. APA. (1994). Diagnostic and statistical manual of mental disorders Fourth edition (DSM-IV). Washington DC: American Psychiatric Association. APA. (2000). 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