Il debito pubblico dei Paesi dell’area euro 1 Il problema del debito pubblico Un elevato debito pubblico è un problema che riguarda i conti pubblici di molti Paesi industrializzati. Negli anni ’50 e ’60 il debito pubblico dei Paesi industrializzati si era ridotto rapidamente grazie alla forte crescita economica. Negli anni successivi, sia a causa delle ricorrenti crisi economiche sia a causa di discutibili scelte politiche dei governi, la tendenza si è invertita e il debito dei Paesi industrializzati è aumen­ tato in modo rapido in occasione di ogni rallentamento dell’economia, per poi al più stabilizzarsi nei momenti di ripresa. Questa osservazione vale anche per i Paesi che prendono parte all’area euro. I problemi di un debito pubblico in aumento sono emersi in modo preoccupante nell’area euro in seguito alla crisi dei mutui subprime (si veda online il Tema di ap­ profondimento Le cause della crisi finanziaria del 2008), culminata con il fallimento nel 2008 di una delle più grandi banche d’affari mondiali, Lehman Brothers, che ha dato il via a un generalizzato crollo dei mercati finanziari. All’inizio del 2010 è diventato palese l’elevato rischio default di alcuni Stati dell’area euro, ovvero il dubbio sull’effettiva capacità di questi Stati di onorare i propri debiti. Del resto, l’esperienza storica insegna che non è così improbabile che uno Stato non sia in grado di corrispondere le rate di interesse sui titoli pubblici o di rimborsare i prestiti ottenuti alla loro naturale scadenza. Per esempio, nel 2002 l’Argentina, a causa di conti pubblici completamente dissestati, per cui i pagamenti di interessi sui titoli di Stato finirono fuori controllo, divenne inadempiente e smise di restituire ai creditori il dovuto. Quando uno Stato ricorre in modo persistente all’indebitamento per finanziare la spesa in eccesso, può sorgere un problema di sostenibilità del debito. Questo problema può spingersi fino al punto di compromettere la fiducia che lo Stato riscuote nei mercati. Lo Stato potrebbe scoprire che gli investitori non sono disposti a concedere altri prestiti, oppure, per convincere gli investitori a sottoscrivere i pro­ pri titoli, potrebbe essere costretto a promettere elevati tassi d’interesse, causando un’esplosione del debito. Per alcuni Paesi europei il rischio di insolvenza è stato elevato. La situazione era anche aggravata da operazioni speculative condotte da organizzazioni private (per esempio gli hedge funds: sono fondi aperti che investono su qualsiasi titolo negozia­ bile sui mercati) in grado di muovere ingenti liquidità sui mercati, che prendevano di mira i titoli pubblici di questi Paesi. Le operazioni più utilizzate erano la vendita allo scoperto (short selling) dei titoli pubblici, cioè senza averne la proprietà, sperando, al momento di consegnarli al compratore, di riacquistarli a un prezzo inferiore, gua­ dagnando la differenza tra i due valori. 2 Il peso del passato La Grecia si è rivelata il primo anello debole. Poi è toccato al Portogallo, all’Irlanda e in seguito alla Spagna. Infine, la speculazione ha coinvolto l’Italia, che è la terza economia europea, ma è afflitta da un debito pubblico elevato. Claudio Tangocci Economia politica • © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 1 Il debito pubblico dei Paesi dell’area euro 130 122 114 106 98 90 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 Figura 1 • Debito pubblico in percentuale del PIL. Come mostra la figura 1, il debito pubblico italiano si aggira attorno al 120% del PIL. La maggior parte del debito pubblico italiano è composto di titoli di Stato, per lo più a tasso fisso, con una vita media attorno ai 7 anni. Questa scadenza non troppo breve è un punto a favore dell’Italia. Inoltre, gran parte del debito pubblico italiano è in mano agli italiani stessi, e questo fatto può rendere più agevoli le manovre di risanamento dei conti pubblici. Tutto ciò non ha, però, impedito ai titoli di Stato italiani di diventare oggetto di spe­ culazione: nella seconda metà del 2011 i rendimenti dei BTp con scadenza decennale sono aumentati di oltre il 6%, mentre lo spread BTp­Bund (la differenza tra il titolo decennale tedesco e quello italiano) ha superato il 5%, ponendo le premesse per un ulteriore rialzo del BTp. L’insediamento del nuovo Governo Monti (16 novembre 2011), e l’annuncio di misure correttive di finanza pubblica (4 dicembre), hanno portato a significative riduzioni del differenziale di rendimento tra BTp e i corrispondenti titoli tedeschi, sebbene tali misure, senza una reale ripresa della crescita economica, non abbiano eliminato del tutto i rischi che l’Italia corre. È evidente che il rapporto debito­PIL può diminuire se il PIL cresce più rapidamente del debito. PER RIFLETTERE Che cos’è lo spread? Ecco come in un articolo del Sole 24 Ore, del 9 febbraio 2012, viene spiegato con estrema chiarezza il significato di questo indicatore. “Spread è un termine inglese che, tradotto in italiano, vuol dire differenza. In finanza può essere usato con diversi significati. (Spesso) si usa per descrivere la differenza tra il rendimento di due titoli di Stato. In particolare, in Europa, è il differenziale tra il saggio di un bond governativo e quello del titolo di riferimento: il Bund tedesco. Se, per esempio, il BTp decennale ha un rendimento del 5% e il governativo tedesco del 2%, allora lo spread è del 3%. Cioè: 5% – 2% = 3%. Per consuetudine, e per facilitarne l’immediata comprensione, il valore percentuale è espresso in punti base. Di conseguenza, il differenziale del 3% è pari a 300 punti base. Normalmente, la riduzione dello spread di un titolo rispetto al Bund è un evento positivo. Indica che il mercato ha comprato quel titolo, facendone scendere il suo rendimento e quindi schiacciando il differenziale”. Claudio Tangocci Economia politica • © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 2 Il debito pubblico dei Paesi dell’area euro Estonia Lussemburgo Italia Svezia Repubblica Ceca Bulgaria Belgio Malta Austria Ungheria Olanda Francia Finlandia Grecia Area euro 17 Paesi Unione europea 27 Paesi Polonia Germania Lettonia Gran Bretagna Lituania Danimarca Spagna Cipro Slovacchia Irlanda Slovenia Portogallo Romania – 0,2 0,6 2,2 2,3 2,7 4,0 4,4 4,8 5,3 5,5 5,9 7,2 7,3 7,5 8,2 8,4 8,9 12,6 12,7 12,9 12,9 14,1 14,9 15,5 15,8 16,5 17,2 21,1 24,5 tabella 1 • Variazione percentuale del valore assoluto del debito pubblico: terzo trimestre 2011 su stesso trimestre 2010 (Fonte: Il Sole 24 Ore, 9 febbraio 2012). Tuttavia, come osserva l’economista Marco Fortis nell’articolo Sul debito la strada è giusta (Il Sole 24 Ore, 9 febbraio 2012), è probabile che le misure di rigore nei conti pubblici del Governo italiano non siano ancora pienamente apprezzate dai mercati. Alla fine del ter­ zo trimestre 2011 il debito pubblico italiano è risultato pari al 119,6% del PIL, in aumento solo di 0,5 punti rispetto al terzo trimestre del 2010. Si tratta di uno degli aumenti più bassi registrati in Europa. Ancora più significativi i dati della tabella 1, relativi alla variazione percentuale del valore assoluto del de­ bito pubblico nei Paesi europei: terzo trimestre 2011 su stesso trimestre 2010. Come si vede, l’Italia è riuscita a contenere la crescita di un modesto 2,2% (da 1842 a 1884 miliardi di euro). Meglio hanno fatto solo L’Estonia e il Lussemburgo. 3 le decisioni dell’Europa La risposta delle istituzioni e dei governi europei per ristabilire la fiducia sui mercati e garantire che i Paesi a rischio siano in grado di onorare i loro debiti non è stata immediata, anzi ha seguito un corso tormentato. Inizialmente è stata intrapresa soprattutto la strada di un programma di prestiti bilaterali ai Paesi a rischio da parte degli altri Paesi europei. In seguito, di fronte alla inadeguatezza di questi meccanismi temporanei di gestione della crisi, è stata predisposta una rete di salvataggio da introdurre in via permanente. Ecco i punti principali di questo intervento. FonDo Salva-StatI Il fondo salva-Stati è un meccanismo che può mettere a disposizione dei Paesi dell’area euro in difficoltà dei fondi, in modo da rassicurare i creditori che i debiti saranno onorati e garantire la stabilità finanziaria. L’intervento è subordinato a specifici impegni da parte dei Paesi che ricevono gli aiuti di adottare misure per risanare i propri conti pubblici. Gran parte delle risorse sono state erogate dalla European Financial Stability Facility (EFSF), un organismo fondato il 7 giugno 2010 dai Paesi dell’area euro, che era abilitato a finanziarsi sul mercato emettendo titoli garantiti dai Paesi dell’area euro. Nel luglio 2012 è entrato in vigore l’European Stability Mechanism (ESM), che ha lo stesso obiettivo dell’EFSF, del quale ha preso il posto, ma con una capacità di prestito effettiva superiore. nuova IntESa Sulla StaBIlItÀ E la CrESCIta Con la creazione della moneta unica, è stata istituita la Banca centrale europea (BCE), che determina la politica monetaria per tutti i Paesi appartenenti all’area euro. La po­ litica fiscale, invece, resta di competenza dei Paesi europei. Claudio Tangocci Economia politica • © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 3 Il debito pubblico dei Paesi dell’area euro Tuttavia, nell’accordo che ha portato alla moneta unica, era previsto che i governi dei Paesi membri si impegnassero a coordinare le proprie politiche fiscali, rispettando le linee guida formulate dal Patto di stabilità e crescita (PSC). Il PSC stabiliva che i governi dovevano mantenere il disavanzo pubblico al di sotto del 3% del PIL e il debito pubblico al di sotto del 60% del PIL. L’intento del PSC era impedire politiche fiscali irresponsabili che avrebbero potuto indebolire la nuova moneta. Il PSC, però, limitava la possibilità di un Paese di impiegare la politica fiscale per stabi­ lizzare l’economia. Ed è proprio per questo motivo che, alla resa dei conti, non è stato applicato. Nella prassi, i deficit hanno rappresentato la regola piuttosto che l’eccezio­ ne, che le stesse istituzioni europee hanno teso a trattare in maniera conciliante. L’inasprimento delle tensioni sul debito pubblico nell’area euro ha spinto i governi dei Paesi membri a formulare una nuova intesa sulla stabilità (definita Fiscal compact). La nuova intesa prevede che gli Stati conducano una politica fiscale e di bilancio che assicuri tanto la stabilità interna quanto quella complessiva dell’area euro, evitando squilibri eccessivi e tendendo al pareggio di bilancio. Ecco come cambiano le regole Debito pubblico complessivo Per quel che riguarda il debito pubblico complessivo, l’intesa prevede che gli Stati che hanno un debito superiore al 60% del PIL lo dovran­ no ridurre ogni anno di un ventesimo per la parte eccedente per non cadere in una procedura di infrazione. Potranno essere permesse alcune deroghe sulle modalità di rientro in base ad alcuni fattori rilevanti elencati nel nuovo Patto di stabilità, quali la congiuntura economica, il risparmio del settore privato, l’evoluzione della spesa primaria, l’attuazione delle riforme per la correzione degli squilibri, la struttura delle scadenze dei titoli pubblici, l’attuazione di riforme previdenziali ecc. Pareggio di bilancio I Paesi si impegnano ad avere il deficit sostanzialmente in equi­ librio (questa regola è stata definita dalla stampa golden rule), ovvero, si obbligano a chiudere ogni anno i bilanci in pareggio (o in surplus). Questa regola dovrà essere introdotta nell’ordinamento dei singoli Stati, preferibilmente mediante revisioni costi­ tuzionali, cioè mediante una norma costituzionale che ne imponga il rispetto. L’accordo raggiunto ammette la possibilità di un contenuto deficit strutturale, con valore massimo dello 0,5% del PIL, che può salire all’1% per i Paesi con un debito basso. Saranno ammesse eccezioni solo per cause gravi ed esterne al controllo del Paese interessato, oppure in presenza di gravi crisi economiche. In questi casi lo Stato membro può deviare dagli obblighi di bilancio. Ad ogni modo, i Paesi dell’aera euro che si trovano con un deficit eccessivo, più esattamente oltre il 3% nel rapporto defi­ cit/PIL, andranno incontro a sanzioni quasi automatiche. Pertanto, il 3% nel rapporto deficit/PIL si pone come limite praticamente insuperabile, mentre il pareggio di bilancio diventa la situazione normale. Procedura Il potere di controllare il Paese che si allontana dalle regole stringenti sopra descritte sarà esercitato dalla Commissione europea. La procedura prevede che il Pae­ se indisciplinato dovrà stilare un piano di rientro con il monitoraggio della Commis­ sione; qualora il piano non venisse rispettato, la questione sarà portata davanti alla Corte di Giustizia europea. Le decisioni della Corte avranno carattere vincolante. Finanziamenti della BCE La Banca centrale europea (BCE) ha varato un’operazione che consiste nell’offrire alle banche finanziamenti anche di durata triennale a tassi molto vantaggiosi. Claudio Tangocci Economia politica • © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 4 Il debito pubblico dei Paesi dell’area euro Le banche potranno utilizzare i fondi come vogliono. Una quota importante di questa liquidità agevolerà il rimborso delle obbligazioni bancarie in scadenza, rafforzando in tal modo il sistema bancario. Un’altra quota sarà destinata a erogare credito a famiglie e imprese, quindi a sostenere la ripresa dell’economia. Ma è probabile che le banche utilizzeranno questa liquidità anche per comprare titoli pubblici dei Paesi in difficoltà (ne hanno convenienza: ottenendo fondi all’1% per tre anni e reinve­ stendoli su titoli di Stato che rendono il 5% o anche più, il vantaggio è garantito), sostenendo così, indirettamente, il mercato del debito pubblico, cosa che la BCE non può fare in prima persona. In questo caso, naturalmente, le banche saranno mag­ giormente esposte alle vicende dei Paesi europei in difficoltà: nell’eventualità che la crisi di fiducia nei confronti dei Paesi europei degeneri, anche le banche ne saranno coinvolte. Va anche detto che la liquidità ottenuta dalle banche andrà prima o poi restituita. Ma non c’è dubbio che l’operazione è servita ad allentare le tensioni che si erano addensate sugli Stati europei. Coinvolgimento degli investitori privati nella risoluzione della crisi della Grecia Il Governo greco e gli investitori privati (soprattutto banche, assicurazioni, fondi di investimento), che detengono buona parte dei titoli pubblici del Paese, sono stati esortati a raggiungere un accordo per favorire il ritorno del debito pubblico della Grecia al 120% del PIL entro il 2020 (questo traguardo, però, si basa anche sull’ipo­ tesi che lo Stato greco porti a termine importanti privatizzazioni, ma finora queste cessioni sono state realizzate solo in minima parte). Al riguardo la parola chiave è swap. Nel caso della Grecia, per swap si intende un taglio del 53,5% nel valore del rimborso dei titoli (cosiddetto haircurt); il 46,5% residuo non verrà però pagato in contanti: il 15% sarà rimborsato con un titolo bien­ nale emesso dal fondo salva-Stati, il 31,5% con un nuovo titolo greco con scadenza a 30 anni. L’operazione dovrebbe tradursi per la Grecia in una riduzione del debito pubblico di circa 107 miliardi di euro. Ma la Grecia non è ancora fuori pericolo. Molto dipende dalla crescita del PIL greco nei prossimi anni. Se la Grecia non riesce a centrare le stime di crescita, il Governo raccoglierà meno tasse e sarà costretto a fare ulteriori debiti. Claudio Tangocci Economia politica • © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012 5