MODULO – L’ATOMO Unità didattica 1 – All’interno dell’atomo 1. L’elettrizzazione della materia Alla fine del XIX secolo lo studio dei fenomeni elettrici applicati alla materia permise di concludere che l’atomo non era indivisibile come riteneva Dalton, ma che conteneva al suo interno un uguale numero di particelle dotate di carica elettrica opposta. Infatti materiali come il vetro o l’ambra (una resina fossile), se vengono strofinati con un panno di lana, acquistano la capacità di elettrizzare pezzetti di carta o palline di polistirolo, facendo acquistare loro una carica elettrica positiva o negativa: il vetro strofinato si carica positivamente, mentre l’ambra negativamente. Dallo studio dei fenomeni elettrici si comprese che corpi con cariche dello stesso segno si respingevano, corpi con cariche di segno opposto si attraevano e che corpi con lo stesso numero di cariche di segno opposto erano elettricamente neutri. Inoltre le cariche potevano trasferirsi da un corpo all’altro, per cui un corpo neutro posto a contatto con uno carico, assumeva la sua stessa carica, mentre un corpo carico positivamente posto a contatto con uno carico negativamente diventava elettricamente neutro. 2. La scoperta delle particelle subatomiche LA SCOPERTA DEI RAGGI CATODICI (1886) Nel 1886 il fisico tedesco Goldstein e i fisici inglesi Crookes e Thomson, effettuando esperimenti sui gas rarefatti (elio, neon, ecc.) chiusi all’interno di tubi di vetro con alle estremità due elettrodi metallici, osservarono che, collegando il tubo ad un generatore di corrente, un elettrodo si caricava negativamente (catodo) e l’altro positivamente (anodo). Se il tubo veniva collegato ad una pompa a vuoto in grado di aspirare il gas, diminuendo la pressione interna, si producevano dapprima delle scariche elettriche irregolari seguite, quando la d.d.p. raggiungeva 10000 volt e la pressione si abbassava a 10-6 atm (gas estremamente rarefatto), dalla comparsa di una debole fluorescenza verdastra al catodo formata da radiazioni che dal catodo si dirigevano verso l’anodo. Tali radiazioni furono chiamate da Goldstein raggi catodici. Thomson effettuò ulteriori esperimenti sui raggi catodici arrivando a nuove conclusioni: I raggi catodici erano costituiti da particelle di carica negativa in quanto, sotto l’azione di un campo elettrico trasversale alla direzione dei raggi, venivano deviati verso il polo positivo. I raggi catodici non potevano attraversare la materia in quanto una croce di Malta posta sul loro percorso, ne bloccava il flusso, proiettando l’ombra sul fondo del tubo. I raggi catodici erano costituiti da particelle dotate di massa e in grado di trasferire energia cinetica in quanto un mulinello a pale posto lungo il loro percorso veniva messo in movimento da essi. 1 I raggi catodici erano presenti negli atomi di tutti gli elementi in quanto non cambiavano le loro caratteristiche anche variando il metallo che costituiva il catodo e il tipo di gas. Nel 1897 Thomson assegnò ai raggi catodici il nome di elettroni e ne determinò il rapporto carica/massa; nel 1908 Robert Millikan determinò la carica dell’elettrone ( = - 1,6·10-19C). La massa dell’elettrone era uguale a 9,11·1031 kg. LA SCOPERTA DEI RAGGI ANODICI (1886) Nel 1886 il fisico tedesco Goldstein, operando con un tubo di vetro munito di un catodo forato nelle stesse condizioni che avevano portato alla formazione dei raggi catodici, notò che, oltre ai raggi catodici, si aveva la formazione di una ulteriore debole luminescenza costituita da radiazioni che dal catodo si dirigevano verso l’anodo. Queste radiazioni furono chiamate raggi anodici o raggi canale. Goldstein ipotizzò che si trattasse degli atomi del gas che, urtati dai raggi catodici, perdevano elettroni trasformandosi in ioni positivi. Scoprì inoltre che le cariche degli ioni positivi erano multipli interi di un valore minimo, che si misurava quando il gas utilizzato era l’idrogeno. Alcuni anni dopo si comprese che la particella individuata come raggio anodico era il costituente fondamentale di ogni atomo: il protone. Il valore minimo trovato per l’idrogeno si spiegava con il fatto che l’idrogeno conteneva un solo protone. Thomson dimostrò che il protone aveva carica uguale a quella dell’elettrone, anche se di segno opposto, e che la sua massa era circa 1836 volte quella dell’elettrone. Un protone aveva una massa di 1,67·10-27kg e una carica di +1,6·10-19C. Nel 1933 il fisico inglese James Chadwich (1891-1974), bombardando con dei raggi α (= particelle di elio con due cariche positive e massa 7300 volte superiore rispetto a quella dell’elettrone) una lamina di berillio in modo da disintegrare gli atomi, scoprì l’esistenza in essi di un’altra particella che aveva massa circa uguale a quella del protone ed era priva di carica. A tale particella fu dato il nome di neutrone. La tabella seguente riassume le principali caratteristiche delle particelle subatomiche. 3. Il modello atomico di Thomson (1904) In seguito alla scoperta delle particelle subatomiche, Thomson propose un modello di atomo costituito da una sfera dotata di carica positiva diffusa, al cui interno erano distribuiti uniformemente gli elettroni negativi in modo da bilanciare la carica positiva (modello a panettone). 4. Il modello atomico di Rutherford (1911) 2 Nel 1910 il fisico inglese Ernest Rutherford (1871 – 1937), per verificare la validità del modello atomico di Thomson, effettuò un esperimento che consisteva nell’analisi delle traiettorie percorse dalle particelle α, prodotte da una sostanza radioattiva, posta in un cubo di piombo, dopo aver urtato gli atomi presenti in una sottile lamina di oro di 4·10-5 cm di spessore. Le direzioni prese dalle particelle α dopo l’urto erano evidenziate con dei lampi luminosi su di uno schermo circolare fluorescente. In accordo con il modello di Thomson, che prevedeva un atomo poco denso, Rutherford riscontrò che la maggior parte delle particelle α attraversava la lamina senza subire deviazioni, che alcune deviavano di piccoli angoli e che una particella su 20000 rimbalzava e ritornava verso la sorgente. Il fatto che poche particelle α subivano deviazioni significava che sia la carica positiva, sia la massa dell’atomo, non erano distribuite in modo uniforme al suo interno, bensì che erano concentrate in una minuscola zona centrale chiamata nucleo, il cui diametro era da 10000 a 100000 volte più piccolo rispetto a quello dell’atomo. L’atomo era quasi tutto vuoto: infatti veniva deviato solo il numero limitato di particelle che si avvicinavano al nucleo e, addirittura, veniva respinto verso la sorgente il numero ancora più piccolo di particelle che urtavano contro il nucleo stesso. In base a queste considerazioni, Rutherford propose un nuovo modello atomico, chiamato modello planetario. L’atomo era formato da un nucleo centrale positivo contenente i protoni circondato dagli elettroni (in numero uguale ai protoni) che, per vincere l’attrazione elettrostatica dei protoni, si muovevano velocemente intorno al nucleo percorrendo orbite circolari ( modello planetario ). L’atomo appariva come un minuscolo sistema planetario, in cui il nucleo corrispondeva al Sole e gli elettroni ai pianeti. L’atomo di Rutherford fu ben presto messo in discussione dalla fisica classica in quanto le leggi dell’elettromagnetismo stabilivano che una carica elettrica come l’elettrone, in moto rotatorio intorno al nucleo, doveva emettere energia radiante, e quindi era costretta a perdere gradualmente energia cinetica e a rallentare fino a cadere a spirale sul nucleo. 5. Il numero atomico ed il numero di massa Il numero atomico ( simbolo Z ) rappresenta il numero dei protoni presenti nel nucleo di un atomo. Poiché in un atomo neutro il numero dei protoni è uguale al numero degli elettroni, il numero atomico indica anche il numero degli elettroni. Il numero atomico è caratteristico di ogni elemento e definisce le sue proprietà chimiche. Il numero di massa ( simbolo A ) rappresenta la somma del numero dei protoni (Z) e dei neutroni (N) presenti nel nucleo di un atomo e quindi A = Z + N. Poiché il numero atomico di un elemento va scritto in basso a sinistra del suo simbolo, mentre il numero di massa va scritto in alto a sinistra del simbolo, un generico atomo (nuclide) X viene rappresentato con il simbolo: ZA X ESEMPIO Determina il numero di neutroni presenti nel nuclide 23290 Th. N = A – Z = 232 – 90 = 142 3 6. Gli isotopi Gli isotopi sono atomi di uno stesso elemento che hanno lo stesso numero atomico ma un diverso numero di massa, cioè un diverso numero di neutroni. La maggior parte degli elementi è costituita da miscele di isotopi non separabili presenti in percentuali differenti. Ad esempio l’idrogeno ha 3 isotopi: - Il prozio ( o idrogeno normale) con un protone nel nucleo 11H (99,985 % del totale) - Il deuterio con un protone e un neutrone nel nucleo 12H (0,015 % del totale) - Il trizio con un protone e due neutroni nel nucleo 13H (percentuale irrilevante). L’esistenza degli isotopi fa sì che le masse atomiche relative degli elementi siano numeri non interi. Infatti al calcolo della massa atomica di un elemento contribuisce la massa atomica di ognuno dei suoi isotopi. In altre parole, la massa atomica di un elemento è la media ponderata del prodotti tra le masse atomiche degli isotopi e le le loro abbondanze percentuali. ESEMPIO 1 Determina la massa atomica relativa del rame sapendo che esso possiede i seguenti due isotopi: 63Cu con massa atomica 62,9298 u e abbondanza percentuale 69,09 % con massa atomica 64,9278 u e abbondanza percentuale 30,91% 62,9298 · 69,09 + 64,9278 ·30,91 Massa atomica del rame = ——————————————— = 63,54 u 100 ESEMPIO 2 Determina la massa atomica relativa del cloro sapendo che esso possiede i seguenti due isotopi: 65Cu 35Cl con massa atomica 34,9689 u e abbondanza percentuale 75,76 % con massa atomica 36,9659 u e abbondanza percentuale 24,24 % 34,9689 · 75,76 + 36,9659 ·24,24 Massa atomica del cloro = ——————————————— = 35,45 u 100 37Cl 7. La natura della luce Nel XIX secolo il fisico scozzese J.C. Maxwell (1831-1879), studiando i fenomeni elettrici e magnetici, scoprì che la luce è costituita da onde elettromagnetiche, formate dalla simultanea propagazione di un campo elettrico (E) e di un campo magnetico (B) tra loro perpendicolari. Alla propagazione delle onde è associato anche il trasporto di energia elettromagnetica o luminosa. Ogni onda elettromagnetica è caratterizzata dai seguenti parametri: Frequenza ν (ni) è il numero di oscillazioni che l’onda compie nell’unità di tempo (1s). Si misura in hertz (Hz): 1 Hz = 1/s. Lunghezza d’onda λ (lambda) misura la distanza tra due punti corrispondenti (due massimi o creste oppure due minimi o ventri) di due onde successive. Si misura in m o nm. Ampiezza dell’onda A misura la distanza tra il massimo dell’onda e l’asse di propagazione. Velocità di propagazione dell’onda c ( nel vuoto è uguale a 300000 km/s). 4 La frequenza e la lunghezza d’onda sono inversamente proporzionali tra loro ed il loro prodotto corrisponde alla velocità i propagazione dell’onda: λ · ν = c L’insieme delle radiazioni elettromagnetiche viene definito spettro elettromagnetico; esso comprende le regioni che, in base alla frequenza, vanno da 1024 Hz (raggi cosmici) a 104 Hz (onde radio). Le radiazioni che l’occhio umano riesce a percepire appartengono alla zona del visibile compresa tra 700 e 400 nm. SPETTRI CONTINUI E SPETTRI A RIGHE Quando un fascio di luce policromatica (contiene tutte le lunghezze d’onda) passa attraverso un prisma trasparente, esso viene scomposto nelle radiazioni di diversa frequenza che lo costituiscono. Il fenomeno costituisce la dispersione della luce; l’arcobaleno è dovuto alla scomposizione della luce solare ad opera delle goccioline di acqua. Se si fa passare attraverso il prisma un fascio di luce prodotto da materiali incandescenti di diversa natura si ottengono due tipi di spettri: - Spettri continui: contengono tutte le frequenze e quindi tutti i colori e si ottengono portando ad incandescenza gas compressi ( o solidi o liquidi) - Spettri a righe (gas atomico) o spettri a bande (gas molecolare): contengono solo le frequenze caratteristiche dell’elemento in esame e si ottengono portando a incandescenza gas rarefatti (a bassa pressione). I QUANTI DI ENERGIA Nel 1900 il fisico tedesco Max Planck (1858-1947), per spiegare le caratteristiche degli spettri, ipotizzò che la luce non si trasmetteva in modo continuo, come si era ritenuto fino ad allora, ma per quantità discrete ( pacchetti di energia) che assumevano solo determinati valori, alle quali diede il nome di quanti. Aggiunse anche che i quanti di energia erano legati alla frequenza della radiazione tramite la relazione: E = h · ν dove h =6,626 ·10-34 Js chiamata costante di Planck. L’EFFETTO FOTOELETTRICO E I FOTONI La teoria dei quanti trovò conferma quando Einstein riuscì a spiegare l’effetto fotoelettrico, cioè il fenomeno per cui alcuni metalli investiti da radiazioni di frequenza superiore ad un certo valore caratteristico v0 (soglia fotoelettrica) emettevano elettroni. L’emissione si verificava solo se l’atomo metallico veniva colpito da un pacchetto di energia o quanto di luce chiamato fotone sufficiente a rimuoverlo dall’atomo. 8. Il modello atomico di Bohr (1913) Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr (1885-1962), partendo dal presupposto che l’energia degli elettroni fosse quantizzata e per spiegare gli spettri a righe emessi dagli atomi eccitati, propose un nuovo modello di atomo, distinguendo il comportamento dell’elettrone allo stato normale (stato stazionario) ed allo stato eccitato dall’acquisto di energia. Nello stato stazionario gli elettroni si muovono su orbite stazionarie circolari ( livelli energetici) di ben definita energia il cui raggio deve soddisfare la relazione matematica: nh r = ———— 2πmv 5 dove m è la massa dell’elettrone, v è la sua velocità, h è la costante di Planck ed n è un numero che può assumere solo valori interi positivi (in teoria da 1 all’∞; in pratica da 1 a 7), chiamato numero quantico principale. In tutto esistono 7 livelli energetici, sempre più vicini tra loro, indicati secondo energia crescente tramite le lettere K,L,M,N,O,P,Q. L’occupazione dei livelli da parte degli elettroni inizia dal livello di minore energia detto livello fondamentale. L’elettrone è nello stato eccitato se ad esso viene fornita energia (ad esempio energia termica) dall’esterno; l’energia assorbita viene utilizzata dall’elettrone per compiere una transizione elettronica, cioè per “saltare” da un’orbita di minore energia ad una di maggiore energia, nella quale può permanere solo per una frazione di tempo brevissimo (10 -9s) per poi ritornare all’orbita di partenza emettendo un fotone. L’emissione del fotone corrisponde alla comparsa di una riga caratteristica nello spettro. L’ energia del fotone è invece uguale alla differenza delle energie delle orbite tra le quali avviene la transizione. h · ν = Eeccitato - Efondamentale Il modello di Bohr si dimostrò valido solo per l’atomo di idrogeno in quanto non riusciva ad interpretare i fenomeni connessi alla repulsione degli elettroni e a definire le conseguenti correzioni da apportare alle orbite. Nel 1915, servendosi degli spettroscopi (analizzatori della luce), Sommerfeld dimostrò che le righe degli spettri erano costituite in realtà da gruppi di righe più sottili a conferma della presenza dei sottolivelli all’interno dei livelli) e che perciò alle orbite circolari di Bohr andavano affiancate delle orbite ellittiche aventi differenti orientazioni. Le orbite erano descritte da due nuovi numeri quantici: Il numero quantico l (elle) legato alla forma dell’orbita ed il numero quantico m legato alla sua orientazione. Ad essi si aggiunse in seguito il numero quantico di spin legato alla rotazione dell’elettrone su se stesso. Il modello di Bohr – Sommerfeld spiegava però solo parzialmente gli spettri degli atomi con più elettroni. Unità didattica 2 – Le configurazioni elettroniche 1. L’ipotesi di De Broglie Nel 1924 il fisico francese Luis De Broglie (1892-1987) avanzò l’ipotesi che si potesse attribuire all’elettrone, come era avvenuto per la luce, sia una natura corpuscolare sia una natura ondulatoria. In particolare: Il comportamento di un corpuscolo in movimento può essere descritto come la propagazione di un’onda la cui lunghezza d’onda λ è legata alla massa m ed alla velocità v del corpuscolo dalla relazione: h λ = —— (1) mv 6 Se l’elettrone si comporta come un’onda, essa deve essere stazionaria, cioè il suo moto deve essere costante in ogni punto. Ciò si verifica solo se l’orbita contiene un numero intero di onde. ( 2 π r = n λ ) Infatti moltiplicando entrambi i termini della relazione (1) per n e sostituendo n λ = 2πr si ricava l’onda stazionaria di Bohr. nh 2 π r = ———— mv 2. Il principio di Indeterminazione di Heisenberg (1927) Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisenberg (1901-1976) osservò che, contrariamente al mondo macroscopico, nel mondo microscopico non era possibile descrivere in modo preciso il moto di un corpo in quanto il moto veniva inevitabilmente perturbato dalla misura stessa. Per chiarire il concetto supponiamo di voler misurare la velocità e la posizione dell’elettrone intorno al nucleo irraggiandolo con dei fotoni. Affinché l’elettrone possa essere individuato deve essere colpito mediante un fotone ad alta energia che, in seguito all’urto, trasferisce parte della sua energia all’elettrone modificane velocità e direzione. Se invece si utilizza un fotone a bassa energia, ad essere modificata, a causa della lunghezza d’onda elevata, sarà la posizione dell’elettrone. Il principio di Indeterminazione di Heisenberg stabilisce infatti che non è possibile determinare contemporaneamente e con assoluta precisione la velocità e la posizione dell’elettrone nel suo moto intorno al nucleo. Significa che la precisione nella misura della velocità è inversamente proporzionale alla precisione nella misura della posizione. Tutto ciò era in contrasto con l’atomo di Bohr che prevedeva orbite ben definite. Facendo un paragone: quando si fotografa un corpo in movimento è difficile fare un’istantanea renda contemporaneamente il senso della velocità e quello della posizione. Infatti con un tempo di esposizione breve si ottiene un’immagine nitida ma ferma (non dà il senso della velocità) (foto b), con un tempo lungo si ottiene un’immagine sfuocata ma mossa che non dà il senso della posizione(foto a). La figura schematizza l’orbitale 3. Le equazioni d’onda: dall’orbita all’orbitale Nel 1926 il fisico austriaco Erwin Schrödinger (1887-1961), considerando le analogie tra fotone ed elettrone, elaborò per via teorica un’equazione matematica in grado di descrivere il comportamento ondulatorio dell’elettrone, chiamata equazione d’onda. Le soluzioni dell’equazione d’onda, dette funzioni d’onda, indicate con Ψ(psi), permettevano di calcolare le energie quantizzate degli elettroni, mentre il quadrato della funzione d’onda Ψ2 rappresentava la densità di probabilità di trovare l’elettrone in una determinata zona dello spazio intorno al nucleo. L’andamento di Ψ2 poteva essere descritto tramite dei puntini che si infittivano a formare una nube elettronica dove la densità era elevata e si diradavano dove la densità era bassa. Viene definito orbitale la zona dello spazio intorno al nucleo dove la probabilità di trovare l’elettrone è massima (maggiore del 95%). 7 4. I numeri quantici Ogni orbitale è descritto da 3 numeri quantici indicati con le lettere n, m, l, che si riferiscono rispettivamente all’energia, alla forma e all’orientazione dell’orbitale nello spazio; a questi va aggiunto il numero quantico di spin ms. NUMERO QUANTICO PRINCIPALE n Può assumere valori interi ( 1,2,……6,7 ). Definisce l’energia dell’elettrone (livello energetico) e la dimensione dell’orbitale ( se n aumenta, aumentano energia e dimensioni dell’orbitale e la sua distanza dal nucleo ). NUMERO QUANTICO SECONDARIO ( o ANGOLARE ) l Può assumere valori compresi tra 0 e n – 1 ( 0 ≤ l ≤ n – 1 ). Definisce il sottolivello energetico e la forma dell’orbitale. l=0 l=1 l=2 l=3 → → → → orbitale orbitali orbitali orbitali Per quanto seguente: n=1 → n=2 → n=3 → n=4 → n=5 → n=6 → n=7 → s → forma sferica p → forma a otto o a doppia goccia d → forma complessa f → forma complessa riguarda i sottolivelli, essi vengono definiti in base al livello energetico di appartenenza nel modo 1 sottolivello 2 sottolivelli 3 sottolivelli 4 sottolivelli 4 sottolivelli 4 sottolivelli 4 sottolivelli indicato con “ “ “ “ “ “ 1s 2s 3s 4s 5s 6s 7s 2p 3p 4p 5p 6p 7p 3d 4d 4f 5d 5f 6d 6f 7d 7f NUMERO QUANTICO MAGNETICO m Può assumere valori interi compresi tra – l e + l ( - l ≤ m ≤ + l ). Definisce l’orientazione dell’orbitale e stabilisce il numero di orbitali che possono coesistere in un dato sottolivello. Gli orbitali che appartengono al medesimo sottolivello hanno la stessa energia e sono detti degeneri. l=0 l=1 l=2 l=3 → → → → m=0 m = - 1, 0, + 1 m = -2, - 1, 0, +1, + 2 m = - 3, - 2, - 1, 0, +1, + 2, +3 orbitale s → unico orbitali p → 3 orbitale d → 5 orbitale f → 7 NUMERO QUANTICO DI SPIN ms Definisce la rotazione dell’elettrone intorno al proprio asse in senso orario (ms = + ½) oppure in senso antiorario (ms = - ½ ). La tabella seguente sintetizza le relazioni esistenti tra i numeri quantici: Dalla tabella si può notare come tramite la formula n2 si possa risalire al numero degli orbitali del livello, tramite la formula 2 n2 si ricava il numero massimo di elettroni presenti nel livello e precisamente 2 elettroni nel livello 1, 8 elettroni nel livello 2, 18 elettroni nel livello 3 e 32 elettroni nel livello 4 ( nei livelli successivi la regola non vale). Le figure seguenti invece riportano le forme dei diversi orbitali: Orbitali di tipo s 8 Orbitali di tipo p Orbitali di tipo d Orbitali di tipo f 5. Il principio di esclusione di Pauli Nel 1925 il chimico Wolfgang Pauli stabilì che: In un atomo non possono esistere due elettroni con gli stessi quattro numeri quantici; in altre parole, un orbitale può contenere al massimo due elettroni con spin antiparallelo. Questo perché gli elettroni, che si respingono elettricamente, se hanno spin opposto, si attraggono magneticamente e quindi possono convivere nello stesso orbitale. Viceversa, se hanno lo stesso spin, la repulsione elettrica si somma a quella magnetica rendendo l’orbitale instabile. 6. La configurazione elettronica degli elementi La configurazione elettronica di un elemento rappresenta la sistemazione dei suoi elettroni all’interno degli orbitali, dei sottolivelli e dei livelli. 9 Per disporre gli elettroni negli orbitali bisogna tenere conto di alcuni criteri: L’inserimento degli elettroni negli orbitali deve avvenire secondo energia crescente a partire dall’orbitale di minore energia. L’ordine di riempimento degli orbitali si ricava tramite la regola della diagonale (schematizzata sotto) da cui risulta che l’andamento delle frecce partendo dal basso corrisponde all’andamento crescente delle energie: 1s 2s 2p 3s 3p 4s 3d 4p 5s 4d 5p 6s 4f 5d 6p 7s 5f 6d 7p ... La figura che segue riporta l’ordine di riempimento degli orbitali ( quadratini ) in funzione della loro energia. Come si vede, l’energia dei livelli tende ad abbassarsi al crescere del numero quantico principale ed i sottolivelli di un dato numero quantico principale si sovrappongono parzialmente a quelli del numero quantico inferiore. Ne deriva che per poter stabilire l’energia di un dato orbitale, bisogna tenere conto sia di n che di l facendo la somma (n + l) (ad esempio, l’orbitale 4s ha meno energia dell’orbitale 3d poiché n+l =4+0=4 nel primo caso, mentre n+l=3+2=5 nel secondo caso). L’inserimento degli elettroni negli orbitali deve rispettare il principio di esclusione di Pauli. L’inserimento degli elettroni negli orbitali deve rispettare la regola di Hund o principio della massima molteplicità che afferma che quando un elettrone ha a disposizione più orbitali alla stessa energia (degeneri), esso anziché sistemarsi in un orbitale semioccupato, si colloca in uno vuoto. Le configurazioni elettroniche possono venire scritte in due modi: - - tramite formule elettroniche, nelle quali si scrive il numero del livello seguito dal simbolo del sottolivello con un esponente uguale al numero di elettroni del sottolivello. Ad esempio la formula 2s1 significa che nel sottolivello s del secondo livello è presente un elettrone. tramite la rappresentazione a quadratini (orbitali) e frecce (elettroni). 10 La figura sottostante riassume le configurazioni elettroniche degli elementi dall’idrogeno al sodio. La figura rappresenta secondo il modello ad orbitali la configurazione elettronica dei primi 10 elementi dove i puntini neri rappresentano gli elettroni. Le dimensioni degli atomi non sono in scala. 7. La configurazione elettronica esterna La configurazione elettronica esterna comprende gli elettroni dell’ultimo livello energetico, chiamati elettroni di valenza. Dalla configurazione esterna di un elemento, a partire dal numero quantico n relativo all’ultimo livello energetico si può risalire alla riga (periodo) della tavola periodica alla quale appartiene l’elemento, mentre dal numero degli elettroni di valenza si può risalire alla colonna (gruppo) alla quale appartiene l’elemento. Ad esempio la configurazione dell’elemento cloro (Z=17) è 1s22s22p6 3s23p5 L’elemento appartiene alla riga 3 della tavola ed alla colonna VII. Di solito la configurazione degli elementi con molti elettroni viene scritta in modo abbreviato riportando tra parentesi quadre il simbolo dell’ultimo elemento della riga della tavola periodica che precede l’elemento in questione, seguito dalla configurazione esterna. Ad esempio la configurazione dell’elemento cloro (Z=17) è 1s22s22p6 | 3s23p5 Poiché l’ultimo elemento della riga che precede il cloro è il neon (simbolo Ne) la configurazione abbreviata del cloro è: [Ne] | 3s23p5 Unità didattica 3 – La Tavola Periodica 1. Le prime classificazioni degli elementi Agli inizi del XIX secolo, diversi chimici cercarono di classificare gli elementi raggruppandoli sulla base delle somiglianze nel loro comportamento chimico e nelle loro proprietà fisiche. Riportiamo in sintesi le conclusioni a cui arrivarono: La legge delle triadi 11 Nel 1817 il chimico tedesco J.W. Döbereiner notò che gli elementi di ciascuna delle seguenti 4 serie di tre elementi (triadi): Li-Na-K, Ca-Sr-Ba, S-Se-Te, Cl-Br-I, oltre a presentare proprietà simili, avevano la proprietà di presentare la massa dell’elemento intermedio uguale alla media delle masse degli altri due. Ad esempio la massa del sodio (23 u) risultava uguale alla media della massa del litio (7 u) e del potassio (39 u). Quindi concluse che gli elementi potevano essere riuniti in gruppi di tre (legge delle triadi). La legge delle ottave Nel 1863 il chimico inglese J. Newland, dopo avere ordinato gli elementi fino ad allora conosciuti secondo massa atomica crescente, notò che le proprietà chimiche si ripetevano ogni sette elementi, cosicché l’ottavo elemento aveva caratteristiche simili al primo. Vista l’analogia con le note musicali che si ripetono ogni gruppo di sette, enunciò la legge delle ottave, secondo la quale il comportamento dell’ottavo elemento era analogo a quello del primo. Tuttavia, ben presto ci si accorse che la regolarità riscontrata si interrompeva con il diciassettesimo elemento. La tavola periodica Nel 1869 il chimico russo Dmitrij Mendeleev (1834-1907) ordinò i 63 elementi conosciuti secondo massa atomica crescente disponendoli in file ed in colonne quando presentavano proprietà simili. Poiché tali proprietà si ripetevano con regolarità, la disposizione prese il nome di tavola periodica degli elementi. Il successo della tavola di Mendeleev è legato ad alcune intuizioni: - la sistemazione composta da righe di diversa lunghezza; - la sistemazione in base alle proprietà chimiche, anche quando non rispettavano l’aumento della massa atomica; ad esempio scambiò la posizione reciproca della coppia tellurio - iodio e della coppia cobalto – nichel anteponendo l’elemento con massa atomica maggiore pur di mantenere l’analogia del comportamento chimico; - la consapevolezza dell’esistenza di altri elementi non ancora scoperti, per i quali lasciò degli spazi vuoti. Tali elementi dovevano seguire il boro, l’alluminio e il silicio; ad essi attribuì il nome provvisorio di ekaboro, ekaalluminio ed ekasilicio; più tardi le previsioni di Mendeleev furono confermate dalla scoperta rispettivamente dello scandio, del gallio e del germanio. In seguito alla scoperta dei primi gas nobili (elio,neon ed argon) Mendeleev aggiunse alla tavola un nuovo gruppo, il gruppo 0, costituito da elementi con valenza 0 perché di essi non esistevano composti. Con l’aumentare delle conoscenze sull’atomo si comprese che le proprietà chimiche degli elementi erano una funzione periodica del numero atomico, cioè del numero degli elettroni, e non della massa atomica, che dipendendo anche dai neutroni, variava negli isotopi risultando una grandezza meno affidabile. 2. La tavola periodica moderna Nella tavola periodica moderna gli elementi risultano disposti in base all’ordine di riempimento degli orbitali in 7 righe orizzontali, chiamate periodi, tanti quanti sono i livelli energetici occupati dagli elettroni, ed in 18 colonne verticali, chiamate gruppi, ciascuno comprendente elementi con la stessa configurazione elettronica esterna, cioè con lo stesso numero di elettroni nel livello esterno(elettroni di valenza) e con lo stesso comportamento chimico. Consideriamo dapprima i periodi: - Il primo periodo (n=1) è costituto da 2 elementi, l’idrogeno e l’elio, in quanto il primo livello contiene un unico orbitale (1s); - Il secondo (n=2) ed il terzo periodo(n=3) comprendono 8 elementi ciascuno, corrispondenti al riempimento degli orbitali s e p del rispettivo livello; 12 - Il quarto periodo (n=4) è composto da 18 elementi e corrisponde al riempimento degli orbitali 4s (2elementi), 3d (10 elementi) e 4p (6 elementi). I 10 elementi che vanno dallo scandio allo zinco, caratterizzati dal riempimento progressivo degli orbitali del sottolivello 3d, costituiscono la prima serie dei metalli di transizione. - Anche il quinto periodo (n=5) è composto da 18 elementi e corrisponde al riempimento degli orbitali 5s (2elementi), 4d (10 elementi) e 5p (6 elementi). I 10 elementi che vanno dall’ittrio al cadmio, caratterizzati dal riempimento progressivo degli orbitali del sottolivello 4d, costituiscono la seconda serie dei metalli di transizione. - Il sesto periodo (n=6) è composto da 32 elementi e corrisponde al riempimento degli orbitali 6s, 5d, 4f e 6p. I 10 elementi che vanno dal lantanio al mercurio, caratterizzati dal riempimento progressivo degli orbitali del sottolivello 5d, costituiscono la terza serie dei metalli di transizione. Al loro interno e precisamente dopo il lantanio, sono contenuti i 14 elementi che vanno dal cerio al lutezio e che corrispondono al riempimento dei 7 orbitali 4f. Poiché hanno comportamento simile al lantanio sono detti lantanidi o terre rare per il loro difficile reperimento. - Il settimo periodo (n=7) è composto da 32 elementi e corrisponde al riempimento non regolare, a causa della vicinanza tra i livelli, degli orbitali 7s, 6d, 5f e 7p. Sono noti 30 elementi per un totale di116 complessivi, visto che al crescere del numero atomico il nucleo diventa sempre più instabile. Al loro interno e precisamente dopo l’attinio, sono contenuti i 14 elementi che vanno dal torio al laurenzio e che corrispondono al riempimento dei 7 orbitali 5f. Poiché hanno comportamento simile all’attinio sono detti attinidi. L’uranio (Z=92) è l’ultimo elemento naturale, i successivi ( elementi transuranici) sono elementi artificiali prodotti nei laboratori di fisica nucleare. Per questioni di spazio, i lantanidi e gli attinidi sono sistemati nella zona inferiore della tavola. Prima di considerare i gruppi ricordiamo che nella tavola sono distinguibili anche 4 blocchi indicati con le lettere s, p, d, f. Ogni blocco ha tante colonne quanti sono gli elettroni che trovano sistemazione nel sottolivello: 2 per il sottolivello s, 6 per il sottolivello p, 10 per il sottolivello d e 14 per il sottolivello f. In ogni blocco trovano posto quegli elementi il cui ultimo elettrone cade appunto nel sottolivello equivalente. Ad esempio al blocco s appartengono elementi il cui ultimo elettrone cade nel sottolivello s. I gruppi sono contraddistinti da un numero romano, che corrisponde al numero degli elettroni di valenza, e dalla lettera maiuscola A, per gli elementi dei blocchi s e p, e dalla lettera maiuscola B, per gli elementi del blocco d. I gruppi contraddistinti dalla lettera A sono 8 (compreso il gruppo VIIIA o gruppo 0), vanno dai gruppi IA e IIA del blocco s con configurazione esterna ns1 ed ns2 ai 6 gruppi del blocco p le cui configurazioni esterne vanno da ns2 np1 a ns2 np6. Tra il blocco s ed il blocco p si trovano gli 8 gruppi B le cui configurazioni esterne vanno da ns1 (n - 1)d10 (gruppo IB) e ns2 (n - 1)d10 (gruppo IIB) a ns2 (n - 1)d1 (gruppo IIIB) fino alle configurazioni ns2 (n - 1)d6 , ns2 (n 1)d7 , ns2 (n - 1)d8 del gruppo VIII B caratterizzato dalla presenza di 3 sottogruppi. I gruppi B costituiscono un’eccezione alle regole di riempimento degli orbitali poiché il sottolivello d completo risulta molto stabile dal punto di vista energetico. 13 2. I gruppi della tavola periodica Il gruppo dei gas nobili (gruppo 0 o gruppo VIII A) Comprende l’elio, il neon, l’argo, il cripto, lo xeno e il radon. Tranne l’elio, che ha due soli elettroni, gli altri gas nobili hanno una configurazione esterna a otto elettroni (ns2 np6) che conferisce loro un’elevata inerzia chimica che giustifica il nome gas nobile ed un’elevata stabilità. Sono i soli gas monoatomici a temperatura ambiente. L’elio è un gas raro sulla Terra ed è più leggero dell’aria. In genere i gas nobili servono per produrre atmosfere inerti nei laser a gas o in certe operazioni di saldatura. Il gruppo dei metalli alcalini (gruppo I A) Comprende il litio, il sodio, il potassio, il rubidio, il cesio e il francio, elementi con configurazione esterna ns1. La facilità con cui perdono l’elettrone esterno per diventare ioni positivi monovalenti li rende molto reattivi con l’acqua (dove sviluppano idrogeno gassoso e formano idrossidi basici) e all’aria tanto che non possono trovarsi liberi in natura. Il termine alcali, da cui deriva il loro nome, proviene dall’arabo al-quali (=cenere) perché gli idrossidi di sodio e di potassio furono scoperti dalla cenere del legno. Hanno grande affinità chimica per i non metalli, in particolare per gli alogeni, con i quali formano sali binari. Sono metalli teneri tanto da poter essere tagliati con un coltello, con bassi punti di fusione ed elevata conducibilità elettrica. Il gruppo dei metalli alcalino - terrosi (gruppo II A) Comprende il berillio, il magnesio, il calcio, lo stronzio, il bario e il radio, elementi con configurazione esterna ns2. Perdono facilmente i due elettroni esterni per diventare ioni positivi bivalenti. Sono meno reattivi dei metalli alcalini e, in natura, non esistono liberi ma solo sotto forma di composti ionici. Il termine alcalino – terroso deriva dalla basicità delle loro soluzioni, per la formazione di idrossidi, e dall’aspetto terroso dei loro ossidi, che sono insolubili. Hanno affinità chimica per i non metalli con i quali formano sali. Tra di essi il magnesio è un metallo bianco e leggero che brucia violentemente producendo una fiamma bianca. Il gruppo dell’alluminio (gruppo III A) Comprende elementi con configurazione esterna ns2 np1. Il primo elemento è il boro, che presenta in prevalenza proprietà non metalliche, gli elementi rimanenti (alluminio, gallio, indio, e tallio) hanno in prevalenza carattere metallico e possono dare origine a ioni positivi trivalenti. L’alluminio in particolare è un elemento abbondante sulla crosta terrestre, leggero, duttile e malleabile, che presenta comportamento anfotero, cioè può comportarsi sia da metallo che da non metallo. Il gruppo del carbonio (gruppo IV A) Comprende elementi con configurazione esterna ns2 np2. Il primo elemento del gruppo è un non metallo, il carbonio, seguito da due semimetalli, il silicio e il germanio, mentre gli ultimi elementi, lo stagno e il piombo, sono metalli in grado di cedere rispettivamente 2 e 4 elettroni, per dare ioni positivi. Il gruppo dell’azoto (gruppo V A) Comprende elementi con configurazione esterna ns2 np3. Il primo elemento del gruppo è un non metallo gassoso, l’azoto, seguito dal fosforo che è un non metallo solido, e da altri due non metalli, l’arsenico e il bismuto. Il gruppo dell’ossigeno (gruppo VI A) 14 Comprende elementi con configurazione esterna ns2 np4. Gli elementi più importanti sono i non metalli ossigeno e zolfo. Il gruppo degli alogeni (gruppo VII A) Comprende elementi con configurazione esterna ns2 np5. Manca ad essi un solo elettrone per raggiungere la configurazione stabile ad otto elettroni dei gas nobili. Hanno quindi una forte tendenza ad acquistare un elettrone ed un’elevata reattività. Sono tutti dei non metalli, chiamati alogeni (= generatori di sali) per la facilità con cui si combinano con i metalli per formare sali binari. A causa dell’elevata reattività, si trovano sempre sotto forma di composti. Con l’idrogeno formano idracidi, sostanze gassose molto solubili in acqua, alla quale impartiscono reazione acida. Il fluoro è un gas incolore molto tossico, il cloro è un gas verdastro tossico e soffocante, il bromo è un liquido rosso scuro soffocante e lo iodio è un solido violaceo che sublima facilmente. 3. Le proprietà periodiche Le proprietà periodiche sono proprietà degli elementi che si ripetono con lo stesso andamento in ogni periodo ed in ogni gruppo della tavola periodica. Tra di esse il raggio atomico costituisce una proprietà fisica, mentre le altre ( l’energia di ionizzazione, l’affinità elettronica e l’elettronegatività ) sono proprietà chimiche. IL RAGGIO ATOMICO ( E IL RAGGIO IONICO) Il raggio atomico consiste nella semidistanza tra i nuclei degli atomi di un elemento ( o allo stato solido o di una molecola biatomica). I valori sono espressi in nm o in pm. L’andamento del raggio atomico nella tavola periodica è il seguente: il raggio atomico diminuisce in ogni periodo procedendo da sinistra verso destra ed aumenta in ogni gruppo scendendo dall’alto verso il basso. Il raggio atomico diminuisce andando da sinistra verso destra nel periodo perché, al crescere del numero atomico, cresce la carica nucleare, cioè il numero dei protoni, che così attraggono sempre più gli elettroni che vengono ad aggiungersi nello stesso livello energetico. Il raggio atomico aumenta scendendo nel gruppo perché, al crescere del numero atomico, cresce anche il numero degli elettroni che però vanno a sistemarsi in livelli energetici sempre più distanti dal nucleo. Gli elettroni esterni sono meno attratti dal nucleo anche perché un numero sempre maggiore di elettroni interni li “scherma “ dall’attrazione dei protoni del nucleo consentendo all’atomo di distendersi e di aumentare il suo raggio. Il comportamento e le dimensioni degli ioni risultano differenti rispetto a quelli degli atomi neutri. In particolare: - Gli ioni positivi hanno raggio inferiore rispetto a quello degli atomi da cui provengono perché la perdita di elettroni fa diminuire la repulsione tra gli elettroni rimasti e fa aumentare l’attrazione del nucleo verso questi ultimi contraendo il volume dello ione. - Gli ioni negativi hanno raggio superiore rispetto a quello degli atomi da cui provengono perché l’acquisto di elettroni fa aumentare la repulsione tra gli elettroni rimasti e fa diminuire l’attrazione del nucleo verso questi ultimi espandendo il volume dello ione.. 15