Cancro e terapie. Consigli per curarsi senza dover soffrire Il dolore, un problema importante. Ogni anno milioni di persone al mondo affrontano una diagnosi di tumore. La scienza lotta costantemente per sconfiggere il cancro e in essa sono riposte le speranze dei pazienti e dei loro familiari. Sono molti i problemi che un malato di tumore deve affrontare ma il dolore è una sfida che il paziente può vincere. Non tutti i pazienti provano dolore, nella maggioranza dei casi esiste però la possibilità di controllarlo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda un approccio multidisciplinare, che miri a migliorare sia il sintomo dolore s i a l ’ a s p e t to p si cologi co del malato e dei familiari. Per la buona riuscita della terapia del dolore occorre una costante collaborazione tra gli operatori sanitari, il malato e i familiari. Cosa c’è dietro il dolore Un’esperienza spiacevole, sensoriale ed emotiva, associata a un danno tessutale reale o potenziale. Possiamo definirlo come vogliamo, ma in ogni caso il dolore resta un’esperienza soggettiva, influenzata da fattori culturali e da altre variabili psicologiche. Il dolore cronico è lo stato di sofferenza che si protrae oltre il normale decorso di una malattia acuta o al di là del tempo di guarigione previsto e può causare effetti negativi gravi a livello psicologico e sulla qualità di vita. Il dolore può limitare in tutto o in parte le attività quotidiane: il paziente può non essere più in grado di mangiare o dormire. Con dolore cronico si intende quel dolore che si protrae oltre il normale decorso di una malattia acuta o al di là del tempo di guarigione previsto. Protraendosi nel tempo, il dolore cronico può causare effetti negativi gravi a livello psicologico e sulla qualità della vita della persona. Per familiari e amici non è semplice comprendere lo stato d’animo del paziente, che tenderà a sentirsi solo frustrato e depresso. Controllare il dolore. Il dolore può essere trattato e controllato garantendo al paziente il riposo notturno e una vita il più possibile normale. È molto importante inoltre che i soggetti con dolore cronico oncologico siano informati e istruiti sul dolore e sui principi della sua gestione. Si può valutare il dolore? Perché la cura del dolore cronico da tumore abbia successo, è necessario effettuare una valutazione corretta del dolore. A tale scopo è fondamentale il ruolo di chi soffre quel dolore: deve essere il malato a descrivere il proprio dolore. È solo grazie a un’attenta descrizione che si può fare una valutazione accurata e di conseguenza scegliere la terapia migliore. Per descrivere il dolore in genere si utilizzano scale apposite che possono essere numeriche oppure analogiche visive. Con le scale numeriche viene chiesto al malato di fissare il proprio dolore da un minimo di zero (nessun dolore) a un massimo di 10 o di 100 (massimo dolore immaginabile). Quando si utilizza una scala analogica visiva, invece, viene chiesto al soggetto di indicare il suo dolore su una linea che va da assenza di dolore a massimo dolore possibile. Definita l’intensità del dolore è importante anche analizzare la durata e più in generale le caratteristiche temporali del dolore. Chi assiste il malato ha il compito di valutare il dolore più volte nell’arco della giornata così da comprenderne la durata, la frequenza e un eventuale andamento ciclico (per esempio si manifesta soprattutto la notte). Tutte le scale approvate sono ugualmente valide, la scelta dipende dal singolo caso. Quando si sceglie una scala però è bene continuare a mantenere la stessa senza cambiare. È fondamentale, nella valutazione del dolore, fare una misurazione del livello di ansia e di depressione del soggetto, cercare di comprendere le credenze del soggetto e aiutarlo a superare la condizione di dolore anche con un sostegno psicologico ed eventualmente spirituale. E chi non può comunicare? Il dolore può essere valutato anche nelle persone che non sono in grado di comunicare, tramite una scheda di valutazione del dolore per le persone colpite da forme di demenza senile, per traumatizzati gravi che non hanno la possibilità di comunicare verbalmente, per i pazienti colpiti dal morbo di Alzheimer, per i malati oncologici in fase terminale. È importante codificare, valutare e monitorare il dolore anche dei pazienti che non riescono a esprimerlo per poterlo affrontare con tempestività ed efficacia. Alleati contro il dolore. Anche se non è possibile eliminarlo completamente, le terapie del dolore offrono programmi speciali per aiutare i pazienti con dolore cronico a riprendere una vita il più normale possibile e a vivere in modo più attivo e produttivo. Un traguardo possibile grazie a un team multidisciplinare che comprenda, oltre a medici e infermieri, anche altri professionisti sanitari come psicologi e fisioterapisti. Esistono centri specializzati nella gestione e trattamento del dolore cronico. Collegandosi al sito dell’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore (AISD) è possibile scaricare un elenco dei centri di terapia del dolore presenti in Italia. Inoltre, il sito della Società Italiana Cure Palliative offre indicazioni sugli eventi che le singole regioni organizzano per informare cittadini e addetti ai lavori sulla gestione del paziente. Le strutture sanitarie che offrono cure palliative e terapia del dolore devono assicurare un programma di cura individuale per il malato e la sua famiglia, nel rispetto dei principi fondamentali della tutela della dignità e dell’autonomia della persona, senza alcuna discriminazione. Grazie a una legge del 2010 è facilitato l’accesso alle cure palliative, alla prescrizione degli oppioidi e a una gestione semplice del malato a domicilio. Sempre grazie a questa legge, medici di medicina generale possono prescrivere gli analgesici oppioidi utilizzando il semplice ricettario del Servizio Sanitario Nazionale. Gli obiettivi della terapia. Personalizzare sì, ma con disciplina. Quando ci si ammala, il recupero della normalità è il primo obiettivo. In particolare, quindi, la terapia deve mirare a ridurre il dolore durante la notte, per favorire il riposo, e durante il movimento e la stazione eretta in modo da consentire le normali attività. Nella fase terminale della malattia, seppur con modalità diverse, la terapia non mira alla sola riduzione del dolore fisico, ma deve prendere in cura anche l’aspetto psicologico. In questi casi si parla di “dolore totale”, che non può essere affrontato con la sola terapia farmacologica ma attraverso un approccio multidimensionale, che tenga conto dei bisogni psicologici, spirituali e sociali, che devono essere considerati con attenzione e affrontati contemporaneamente alla cura del dolore fisico. Ogni paziente è un mondo a sé, ma tutti rispondono allo stesso approccio, al dosaggio e alla somministrazione. Il dosaggio degli analgesici deve essere individuale e la somministrazione va eseguita a orari stabiliti per mantenere le giuste concentrazioni terapeutiche. È bene programmare dosi di emergenza che possono essere somministrate al bisogno, in aggiunta alla copertura di base (circa il 20% delle dosi di oppioide nelle 24 ore). Diversi i pazienti, diversi i farmaci. In caso di riacutizzazione del dolore, anche quando si assumono i farmaci a intervalli regolari, è importante confrontarsi col medico perché potrebbe essere necessario modificare la terapia. Ogni paziente è un mondo a sé, e la scelta degli analgesici deve essere personalizzata, considerando vari fattori, tra cui: il tipo di dolore, l’intensità, la potenziale tossicità del farmaco, le condizioni generali del malato. La prescrizione deve essere fatta dal medico. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di personalizzare la terapia e di avere un approccio a scala crescente, partendo dalla terapia con farmaci analgesici non oppioidi, passando successivamente alla terapia con gli oppioidi deboli, fino a giungere alla terapia con gli oppioidi forti. Il passaggio da un tipo di trattamento al successivo o l’aumento delle dosi deve permettere di controllare i sintomi in modo soddisfacente per il paziente. Per capire se il trattamento debba essere o meno modificato, è importante tenere sotto controllo le dosi aggiunte e capire se e quando sono davvero necessarie, per non cadere nella trappola della somministrazione di una dose aggiuntiva a richiesta. Antidolorifici: tolgono i dolori ma possono dare qualche fastidio. La terapia analgesica porta con sé alcuni effetti collaterali avversi che conviene conoscere per poterli gestire meglio: stitichezza, nausea, vomito, sedazione e bocca secca. In particolare l’effetto sedativo associato all’uso di questi farmaci può causare rischi durante la guida o durante il lavoro con mezzi meccanici. Ognuno di questi effetti può essere prevenuto o attenuato. Con il medico si potrà valutare inoltre, per prevenire la stitichezza da oppioidi, di somministrare dei lassativi. Se necessario, si può anche somministrare un farmaco contro il vomito. Ma se gli effetti negativi sono molto fastidiosi bisognerà valutare con il medico l’opportunità di modificare il dosaggio ed eventualmente la terapia. Tolleranza e dipendenza. I farmaci oppioidi possono causare tolleranza (cioè la necessità di incrementare con il tempo le dosi di farmaco per poter ottenere lo stesso effetto antalgico) e dipendenza (si intende la comparsa di sindromi specifiche alla improvvisa sospensione del principio attivo) ma non sono stati trovati problemi clinici tali da limitarne l’utilizzo. Ritardare la terapia per la paura di sviluppare dipendenza non farebbe altro che aumentare la sofferenza nel soggetto, occorre quindi tranquillizzare la persona sui rischi della terapia tenendo presente quali sono gli obiettivi della terapia stessa. Il trattamento di ogni persona deve iniziare dal gradino della scala OMS più appropriato per il suo dolore. Per il dolore da lieve a moderato sono indicati i farmaci non oppioidi come il paracetamolo o gli antinfiammatori non steroidei (FANS). Questi farmaci possono essere acquistati senza ricetta medica ma è bene chiedere sempre consiglio al proprio medico perché potrebbero essere controindicati. Per il dolore da moderato a grave invece sono somministrati gli oppioidi da soli o eventualmente associati a un antidolorifico non oppioide. Chemioterapia e qualità della vita Quando si combatte un tumore, la cura può avere degli effetti che si riflettono sulla qualità della vita: nel caso della chemioterapia, nausea e vomito sono tra quelli collaterali più temuti dai pazienti e possono anche influenzare l’andamento della cura perché, se non sono controllati in modo adeguato, possono spingere il soggetto a interrompere la terapia e a non fare i cicli successivi che invece sono fondamentali. Nausea e vomito possono causare anoressia e disidratazione con un calo delle riserve nutritive e di sali minerali: per evitarlo, è fondamentale un trattamento antiemetico adeguato preventivo. Quando possono comparire nausea e vomito da chemioterapia? La nausea e il vomito da chemioterapia possono comparire in tre momenti diversi: prima della somministrazione dei farmaci (si parla allora di sintomi anticipatori); pochi minuti dopo la somministrazione dei farmaci e regredire nell’arco di 24 ore (sintomi acuti); da 2 a 5 giorni dopo la somministrazione dei farmaci (sintomi ritardati). Quando la nausea e il vomito non rispondono al trattamento antiemetico si parla, invece, di sintomi refrattari. Il vomito è una reazione naturale del corpo per espellere le sostanze nocive dallo stomaco. È controllato da un’area del cervello chiamata, appunto, “centro del vomito”. Le pareti dello stomaco inviano a questo centro dei segnali chimici che provocano senso di malessere e reazione fisica. A oggi il tasso di nausea anticipatoria è intorno al 10% e quello di vomito anticipatorio intorno al 2%. Invece, la nausea che si manifesta tre o quattro giorni dopo la chemioterapia può essere causata da una ridotta motilità dello stomaco e da un riassorbimento delle sostanze tossiche dalla mucosa intestinale. Quali fattori possono favorire la comparsa di nausea e vomito da chemioterapia? L’insorgenza di nausea e vomito da farmaci antitumorali può essere influenzata da molti fattori legati alle caratteristiche del paziente e al trattamento scelto per la cura. Il rischio è più alto nelle donne (in particolare in quelle che in gravidanza hanno sofferto di nausea e vomito), nei soggetti ansiosi, nei pazienti già sottoposti a trattamenti chemioterapici e che hanno sofferto di nausea e vomito, in persone con storia di cinetosi (mal di mare, mal di macchina), negli astemi o quasi. È molto importante cercare di prevenire da subito la nausea e il vomito perché averne durante il primo ciclo di chemioterapia può aumentare le probabilità di soffrirne anche nei cicli successivi. In ogni caso non tutti i tipi di chemioterapia provocano nausea e vomito e l’entità dei sintomi può dipendere dal farmaco che si prende, dal tipo di somministrazione, dal dosaggio e dalla frequenza dei cicli di terapia. Per questo, alcuni farmaci causano i sintomi soprattutto nelle prime ore successive al trattamento mentre con altri nausea e vomito compaiono giorni dopo. In linea generale terapie con cicli brevi e dosaggi più alti hanno un rischio maggiore di causare effetti negativi, così come la somministrazione per via endovenosa può causare nausea e vomito prima, rispetto alla somministrazione per via orale. Ci sono farmaci utili per il controllo di nausea e vomito da chemioterapia? I farmaci per il trattamento della nausea e del vomito sono molto utili sia perché migliorano la qualità di vita generale del soggetto in terapia sia perché migliorano i risultati del trattamento. In generale i farmaci usati per il trattamento della nausea e del vomito si chiamano antiemetici ma esistono diversi tipi di antiemetici (antagonisti della dopamina, antagonisti della serotonina, antagonisti dei recettori della neurochinina). Il medico consiglierà il farmaco più indicato in funzione della chemioterapia, della frequenza e del tipo di sintomi (anticipatori, acuti, ritardati). I farmaci antiemetici vanno assunti sia prima sia dopo la chemioterapia; la durata e la modalità di assunzione dipendono dal tipo di farmaco antiemetico assunto e dal tipo di trattamento chemioterapico. È molto importante assumere i farmaci antivomito agli orari e secondo le modalità indicati dal medico. Se i farmaci non dovessero essere efficaci occorre segnalarlo al medico. La regolarità è un’arma importante: conviene consumare i pasti possibilmente alla stessa ora, mangiare lentamente masticando con cura, prendendosi tutto il tempo necessario. Bisogna poi affrontare il pasto più abbondante quando si ha meno nausea ed evitare dolci, spezie, grassi o cibi fritti ed evitare di bere abbondantemente durante il pasto, ricordandosi invece di sorseggiare liquidi durante la giornata. Se gli odori della cucina provocano fastidio, chiedete aiuto a parenti e amici perché cucinino per voi. Cibi secchi come grissini, fette biscottate o toast, prima dei pasti aiutano, ma evitate di sforzarvi di mangiare con la nausea. Se nel contempo si è affamati, conviene iniziare il pasto, prima che il malessere cresca. Caro diario. È importante tenere un diario dove ricordare informazioni su periodicità, tipo e gravità dei sintomi, nonché il tipo di chemioterapia e gli eventuali antiemetici usati, così da comprendere e valutare l’efficacia della terapia antiemetica somministrata. I pazienti che seguono una cura antiemetica dovrebbero essere visitati regolarmente, per assicurarsi e rassicurarli sulla sua efficacia. Nota bene. È importante sapere che i sintomi anticipatori sono difficilmente controllabili con metodi farmacologici anche se le linee guida più recenti consigliano anche i farmaci antiemetici insieme a terapie comportamentali e agli esercizi di rilassamento. I farmaci ansiolitici e in particolare le benzodiazepine sono in grado di controllare i sintomi anticipatori ma l’efficacia tende a ridursi progressivamente. Altrettanto importante: gli antiemetici, come tutti i farmaci, possono causare effetti collaterali fortunatamente non gravi. A seconda del farmaco usato i disturbi più comuni sono: stitichezza, controllabile con l’uso di lassativi anche a scopo preventivo e bevendo molti liquidi; mal di testa che risponde ai più comuni antidolorifici; sonnolenza o insonnia, che possono essere regolate con farmaci specifici di uso comune. Anche l’alimentazione aiuta. Una corretta alimentazione è un buon punto di partenza per prevenire la nausea e il vomito da chemioterapia. Di seguito, piccoli e utili consigli per aiutare la terapia antiemetica a fermare nausea e vomito. Conviene consumare cibi facilmente digeribili – quindi meglio, per esempio, verdure cotte e non crude – specialmente in prossimità dei trattamenti e fare pasti piccoli e frequenti (5-6 volte in sostituzione dei 3 pasti principali). Per aiutare la digestione è bene non coricarsi per almeno due ore dopo aver mangiato. Piuttosto, è meglio adottare l’abitudine di camminare dopo pranzo, per evitare reflussi, nausea e vomito e praticare con regolarità esercizi di respirazione: il rilassamento può prevenire la nausea. Bere è importante. Bere molto nel giorno della chemioterapia e nei successivi favorisce l’eliminazione del farmaco e riduce i suoi effetti tossici. Oltre all’acqua si possono bere succhi di frutta, bibite analcoliche, tè o tisane. In caso di nausea, non conviene bere cose calde, piuttosto è utile masticare qualche pezzettino di ghiaccio oppure sorseggiare lentamente un po’ di cola sgasata. Man mano che la nausea migliora si possono assumere cibi liquidi ma più consistenti (per esempio succo di frutta) per poi tornare gradualmente a una dieta normale. Pazienti: prima di tutto persone. è in sperimentazione allo IEO (Istituto Europeo di Oncologia) un caschetto contro la caduta dei capelli durante la chemioterapia, effetto collaterale tra i più frequenti di questo trattamento e fonte di grande disagio soprattutto per le donne. Come funziona? Vengono usate le basse temperature per raffreddare il cuoio capelluto e ridurre così la caduta dei capelli: un casco refrigerante in sostanza. Il freddo diminuisce la perfusione del sangue e il metabolismo, rallentando a livello locale l’azione sui bulbi piliferi dei farmaci chemioterapici. Come viene usato? Viene indossato prima, durante e dopo il trattamento. Attualmente è in fase di sperimentazione: per il momento lo usano solo un numero limitato di pazienti. I risultati? Sembrano essere incoraggianti e il suo uso sarà ulteriormente studiato per perfezionarne l’applicazione.