Dott.ssa Narduzzo - Trattamento disturbo di panico in gruppo

DISTURBO DI PANICO
Terapia Cognitivo–Comportamentale di Gruppo per il trattamento del
Disturbo di Panico: esperienza in un Centro di Salute Mentale
Narduzzo M, De Marzi G, Sapuppo V
I risultati di questa ricerca sperimentale pongono in risalto l’efficacia della Terapia
Cognitiva Comportamentale di gruppo (TCCgr), per il trattamento del Disturbo di
Panico. Tale Terapia integra tecniche sia cognitive che comportamentali, con le quali si
intende aiutare i pazienti ad identificare e modificare i pensieri disfunzionali relativi
all’ansia, gli schemi di base e i comportamenti disadattivi. La TCCgr ha permesso la
riduzione della frequenza e dell’intensità degli attacchi di panico con o senza
agorafobia, dopo un breve periodo di tempo di 12 incontri a cadenza settimanale. Tali
risultati vengono mantenuti nel tempo, come dimostrano i follow up a 3 e a 6 mesi dal
termine del trattamento e ciò rappresenta un punto di forza centrale per la valutazione
dell’efficacia di tale terapia.
In accordo con la letteratura, la TCC risulta essere un trattamento di prima scelta per
pazienti con disturbo di panico. Tale terapia è indicata per pazienti non rispondenti o
parzialmente rispondenti alla terapia farmacologia, costituendo una strategia sinergica
ma anche alternativa per coloro che manifestino una incompleta risposta alla terapia
farmacologica o che, per qualsiasi motivo, abbiano necessità di interrompere
l’assunzione di farmaci. E’ stata, inoltre, discussa la possibilità di combinare la TCC e
la terapia farmacologica antidepressiva, strategie entrambi efficaci nel trattamento del
disturbo di panico.
Parole chiavi: Disturbo di Panico; Agorafobia; Terapia Cognitiva Comportamentale; Terapia
Farmacologica; Assessment; Follow up; Trattamenti Combinati.
Introduzione
In accordo con il National Institute of Mental Health (1993), numerose ricerche hanno
dimostrato l’efficacia della terapia cognitiva comportamentale per il trattamento del
disturbo di panico con o senza agorafobia (Otto MW et al., 2004; Starcevic et al., 2004;
Kenardy et al., 2003; Barlow, Gorman, Shear e Woods, 2000; Otto, Pollack e Maki,
2000; Stein et al., 2000; Biondi, 1999; Hofmann e Spiegel 1999; Loerch, 1999; Sharp,
1996; Klosko, 1995; Cotè,1994; Black, 1993; Telch, 1993; Beck, Sokol, Clark,
Berchick, Wright, 1992; Craske, Brown, Barlow, 1991; Klosko, Barlow, Tassinari e
Cerny, 1990; Michelson et al., 1990; Barlow, Craske, Cerny e Klosko, 1989; Sokol et
al., 1989; Barlow, 1988; Clark, Salkovskis et al., 1988; Ost, 1988; Salkovskis et al.,
1986; Clark, Salkovskis, Chalkley, 1985).
Inoltre, studi di meta analisi (Butler et al., 2005; Von Knorring et al., 2005; Rounsaville
e Carroll, 2002; Otto, 2001; Gorman et al, 1998; Gould et al., 1995; Clum et al., 1993;
Mattick, 1990) e di analisi delle variabili predittive sottolineano la presenza di numerosi
rilievi sperimentali che propongono la TCC come una terapia efficace per il trattamento
del disturbo di panico.
L’obiettivo della presente ricerca è duplice: in primo luogo offrire la possibilità ai
pazienti con Disturbo di Panico di essere trattati con una terapia alternativa rispetto a
quella solo farmacologica e alla psicoterapia classica, solitamente proposti all’interno
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di un Centro di Salute Mentale pubblico; in secondo luogo sperimentare l’effettiva
efficacia del Trattamento Cognitivo Comportamentale stesso.
Metodo di Lavoro
Invio
I pazienti che hanno aderito al nostro studio, sono stati inviati dal medico-psichiatra di
riferimento dopo aver effettuato una diagnosi di “Disturbo di Panico, con o senza
agorafobia” (DSM_IV_TR). Tutti i pazienti segnalati hanno sostenuto un primo
colloquio di conoscenza con una psicologa “neutra” , che non ha partecipato alla
conduzione del gruppo, ma solo alla raccolta dei dati durante la fase di assessment e alla
somministrazione dei test.
Assessment cognitivo comportamentale
L’assessment cognitivo comportamentale (o valutazione) è una raccolta di dati ed
informazioni che consente al professionista di conoscere le caratteristiche specifiche del
paziente. Nell’assessment vengono analizzate le risposte comportamentali, fisiologiche,
cognitive ed emotive al fine di valutare l’effettiva presenza di un disturbo di panico e
dei comportamenti agorafobici.
E’ importante, inoltre, valutare la presenza di eventuali manifestazioni e disturbi
associati al disturbo di panico, che complicano il quadro clinico del paziente, al fine di
scegliere il trattamento più adeguato da utilizzare.
Il disturbo di panico può essere, infatti, associato con altri disturbi d’ansia che
richiedono trattamenti cognitivi comportamentali più specifici, per favorire la
remissione completa dei sintomi.
E’ opportuno escludere la presenza di patologie organiche, in grado di indurre sintomi
simili al panico. Una visita medica e semplici esami da laboratorio sono in molti casi
indispensabili, prima di procedere ad un trattamento.
E’ importante, quindi, capire se la persona soffre di patologie dell’apparato
cardiovascolare, gastrointestinale, respiratorio, del sistema nervoso centrale-periferico e
del sistema endocrino. Ad esempio, nell’ipertiroidismo, l’eccesso di ormone tiroideo
induce sintomi quali: tachicardia, ansia, insonnia, irritabilità, iperattività e disagio. Tali
sintomi sono assai simili a quelli di un attacco di panico. Se il disturbo organico non
viene, però, diagnosticato si rischia di intraprende solo un trattamento specifico per
l’ansia, quando, invece, la persona necessita di terapie mirate per curare
l’ipertiroidismo. E’ anche vero che se la persona si spaventa per i sintomi che avverte
può avere attacchi di panico. In questi casi, oltre curare il problema organico, può essere
utile anche un trattamento per l’ansia.
In fase di assessment è importante sapere se la persona fa uso di cocaina, amfetamina,
allucinogeni, derivati della cannabis. Tali sostanze inducono tachicardia e stati di
eccitazione, sintomi che possono essere confusi per ansia. In questi casi, è importante
intraprendere trattamenti specifici che siano di aiuto affinchè la persona interrompa
l’uso di tali sostanze. Queste ultime possono anche indurre nella persona attacchi di
panico. Può essere, così, utile anche un trattamento per l’ansia.
L’eccesso di sigarette e di caffeina e l’abuso di alcol giocano un ruolo assai importante
nel favorire, aggravare e mantenere nel tempo gli attacchi di panico. In questi casi è
consigliato ridurre al minimo o evitare completamente tali sostanze.
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Numerosi farmaci sono in grado di indurre sintomi facilmente associabili con il panico:
ansiolitici, antidiabetici, diuretici, broncodilatatori. Anche in questo caso è importante e
prudente evidenziare il loro uso e gli effetti secondari prima di proporre una terapia
cognitivo comportamentale.
E’ importante ricordare, inoltre, che le tecniche comportamentali di esposizione
interocettiva alle sensazioni corporee sono controindicate quando il paziente con
disturbo di panico presenta pressione alta, asma, problemi cardiaci e la donna è in
gravidanza.
Test utilizzati
Durante la fase di assessment, sono stati somministrati i seguenti test:
SCID-II: intervista strutturata utilizzata per diagnosticare i dodici disturbi di personalità
dell’Asse II, del DSM –IV (First et al, 1996). Qualora il test avesse evidenziato la
presenza di eventuali disturbi di personalità, ciò avrebbero comportato l’esclusione del
paziente dalla terapia cognitiva comportamentale di gruppo.
Ad eccezione di un solo paziente, escluso dalla ricerca in quanto presentava un
“Disturbo oppositivo di personalità con tratti paranoidi”, che avrebbero reso difficile la
conduzione del gruppo, a tutti i 14 pazienti sono stati somministrati diversi test alla
baseline, cioè prima del trattamento.
HAMILTON ANXIETY SCALE (HAM-A): la scala permette la valutazione dei
pazienti, per i quali era già stata formulata una diagnosi di disturbo ansioso. E’ costituita
da 14 item, di cui 7 indagano le manifestazioni psichiche e 7 le manifestazioni
somatiche. La valutazione richiede un’intervista libera ed è riferita all’ultima settimana
trascorsa. Un punteggio da 0 a 5 indica un soggetto non ansioso, da 6 a 14 ansia lieve,
oltre i 15 ansia grave.
HAMILTON RATING SCALE FOR DEPRESSION (HAM-D): la scala è costituita
da 21 item. Punteggi: uguali o inferiori a 7 indicano una persona non depressa, da 8-17
indicano una lieve depressione, da 18-24 moderata depressione e un punteggio uguale o
superiore a 25, indica un grave livello di depressione.
MARKS-SHEEHAN PHOBIA SCALE (MSPS-#490): il test permette di individuare
le fobie più importanti (fino a 4), per le quali il paziente chiede il trattamento. Gli items
successivi si riferiscono: all’agorafobia, alla fobia sociale, alla fobia del sangue o delle
malattie. Per i primi 14 item, la persona deve indicare il grado di paura (da 0 a a10) e il
grado di evitamento (da 0 a 4). Nel 15° item, il soggetto indica la distanza che può
percorrere da solo, che può essere espressa sia in metri che in chilometri. Nella parte
finale, la persona deve esprimere un giudizio globale di gravità sui suoi sintomi,
facendo una crocetta, su una scala da 0 a 10, in corrispondenza del numero che meglio
indica il disagio che i sintomi gli procurano.
PANIC DISORDER SEVERITY SCALE (PDSS) il test permette di rilevare la
frequenza degli attacchi di panico, il disagio che la persona prova, l’intensità dell’ansia
anticipatoria, l’eventuale evitamento fobico di particolari situazioni e delle sensazione
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interne ed infine il grado in cui gli attacchi di panico interferiscono nel funzionamento
lavorativo e sociale della persona.
SHEEHAN CLINICIAN RATED ANXIETY SCALE (SCRAS -#480): il test
permette di rilevare la gravità dei sintomi della sindrome ansiosa sia nella espressione
somatica che psichica; in quest’ultima sono comprese la sintomatologia ossessiva –
compulsiva e gli attacchi di panico. Per ciascun sintomo è prevista una gravità di
intensità variabile su una scala da 0 a 4, tenendo in considerazione il corso della
settimana scorsa. Un punteggio inferiore o uguale a 10, indica la norma; superiore a 30:
patologico; superiore ad 80: grave.
LIEBOWITZ SOCIAL PHOBIA SCALE (LSPS): scala di eterovalutazione per la
fobia sociale, composta da 24 item, di cui 13 esplorano l’ansia prestazionale o di
performance e i rimanenti 11 l’ansia sociale. Per ciascun item vengono valutate,
separatamente, la paura legata a ciascuna situazione e il grado di evitamento.
Frequenza e durata della terapia
La Terapia Cognitivo Comportamentale di gruppo si è svolta in 12 incontri a cadenza
settimanali, della durata di tre ore ciascuno.
Programma della Terapia Cognitiva - Comportamentale per il
Disturbo di Panico
Il Trattamento Cognitivo – Comportamentale per il Disturbo di Panico fa riferimento al
modello di Barlow ( )che consiste in una combinazione di tecniche sia cognitive che
comportamentali: fase psicoeducazionale, addestramento alla respirazione e al
rilassamento muscolare, ristrutturazione cognitiva, esposizioni interocettive, esposizioni
alle situazioni temute per pazienti che presentano comportamenti di evitamento
agorafobico, assegnazione di compiti da svolgere a casa, corso per potenziare le abilità
sociali.
1)Fase Psicoeducazionale
L’obiettivo dell’intervento psicoeducazionale è quello di fornire corrette informazioni
sul Disturbo di Panico. Il paziente comprende esattamente cos’è un attacco di panico,
come si manifesta, quali sono i sintomi tipici e quali sono i fattori di attivazione e di
mantenimento, secondo un’ottica cognitivo comportamentale.
E’ importante informare il paziente del ruolo negativo che riveste l’attenzione selettiva
alle sensazioni fisiche e il ruolo delle paure e delle interpretazioni catastrofiche dei
sintomi nella patogenesi e nel mantenimento delle manifestazioni ansiose e fobiche.
Una corretta decodifica dei fenomeni fisiologici erroneamente interpretati dal paziente
ed una riattribuzione del giusto significato degli stimoli, attraverso spiegazioni e
informazioni precise, porta con frequenza al miglioramento dei sintomi.
Inoltre, deve essere spiegato al paziente che le condotte di evitamento si strutturano
nella maggioranza dei casi, per la tendenza ad associare gli attacchi di panico con
situazioni e luoghi specifici in cui il paziente era stato male. L’evitamento consente di
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prevenire eventuali attacchi di panico, ma non rappresenta la soluzione del problema, al
contrario, mantiene le varie paure. E’ importante, quindi, individuare ed elencare le
situazioni temute ed evitate, associate alle reazioni di panico, che il paziente imparerà
successivamente ad affrontare (Albert et al, 2005).
Identificando uno specifico e recente attacco di panico si può ricostruire, insieme al
paziente, la sequenza circolare delle sensazioni, dei pensieri e delle emozioni. Facendo
riferimento alla storia di ciascun paziente, egli si rende conto di quanto sia attivo e
determinante il suo coinvolgimento nella genesi e nel mantenimento del panico.
Il primo attacco di panico si manifesta spontaneamente a “ciel sereno”, cioè in modo
inaspettato e non provocato dalla situazione. Tale esperienza traumatica, rimane
impressa nella memoria del paziente, il quale rimane scosso ed impaurito. Nel disturbo
di panico, gli attacchi si ripetono e la persona vive con intensa paura, detta ansia
anticipatoria, di avere un altro attacco di panico. Tale paura rende il soggetto attento in
modo selettivo alle minime sensazioni corporee che avverte, vissute erroneamente come
pericolose per la propria salute fisica. La persona risponde alle sensazioni corporee
provando ansia. L’ansia scatena ulteriori sensazioni spiacevoli che vengono interpretate
in modo catastrofico, “sto per avere un attacco di panico”, “sto perdendo il controllo”.
Tali erronee interpretazioni aumentano lo stato di ansia, intrappolando l’individuo in un
circolo vizioso che culmina nell’attacco di panico (Clark, 1986). Alcune persone, non
appena avvertono le prime sensazioni corporee, mettono in atto comportamenti e
strategie protettive (sedersi, controllare il respiro, allontanarsi dalla situazione),
finalizzate ad evitare l’attacco di panico. E’ importante ricordare che l’attenzione
selettiva, gli evitamenti e i comportamenti protettivi mantengono il disturbo
(Clark,1988; Wells, 1990; Salkovskis, 1991).
2) Rilassamento e Respirazione addominale
Il rilassamento muscolare progressivo di Jacobson (17) e la respirazione diaframmatica
hanno la duplica funzione di essere sia una tecnica per la gestione dell’ansia, sia un
metodo per bloccare o inibire la tendenza ad iperventilare e quindi a produrre i sintomi
caratteristici che il paziente interpreta erroneamente come l’imminente attacco di panico
(Bonn J. A., Readhead C.P.A., Timmons B.H., (18); Clark D.M., Salkovskis P.M.,
Chalkley A.J., (19)).
Con il rilassamento muscolare progressivo viene insegnato al paziente a contrarre e a
rilassare diversi gruppi muscolari, egli impara a percepire la tensione del muscolo
contratto, rispetto a quando è rilassato. Ciò farà si che la persona non appena avverte
tensione rilasserà il muscolo. Lo scopo del rilassamento è far sentire il paziente calmo e
rilassato. Il rilassamento registrato su un nastro, permette al paziente di esercitarsi a
casa.
E’ importante, inoltre, che la persona conosca il proprio ritmo respiratorio. Se respira
troppo velocemente o profondamente, può involontariamente iperventilare e avvertire i
classici sintomi dell’ansia: senso di svenimento, tachicardia, mancanza d’aria, ecc. Il
paziente impara a respirare lentamente per ridurre l’ansia, riequilibrando la giusta
concentrazione di ossigeno e anidride carbonica nel sangue. Il paziente inspira
lentamente per tre secondi, gonfiando la pancia e poi espira lentamente per altri tre
secondi, sgonfiando la pancia. Le persone che soffrono di panico, respirano
cronicamente in modo sbagliato, anche quando non sono in ansia. In effetti, l’abitudine
a respirare in modo scorretto è uno dei principali motivi che portano il soggetto, in un
primo momento, a soffrire di attacchi di panico. Respirare in modo lento e profondo
eviterà, quindi, l’iperventilazione e la conseguente attivazione dei sintomi ansiogeni.
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3) Ristrutturazione cognitiva
E’ di comune osservazione nel paziente con disturbo di panico la tendenza a
ipervalutare le sensazioni somatiche, attribuendo ad esse un significato catastrofico.
Catastrofizzare significa giungere subito alle conclusioni peggiori, senza possedere
prove sufficienti. Il catastrofismo è altrimenti detto pensiero “e se …?”. “E se fosse un
attacco di cuore?”, “E se soffro fino a morire?” I pensieri catastrofici aggravano i
sintomi fisici, che a loro volta rafforzano i pensieri catastrofici in un circolo vizioso che
può mantenere il panico per ore, facendo vivere la persona nella paura che qualcosa di
terribile possa capitare. L’obiettivo iniziale della ristrutturazione cognitiva è di
identificare i pensieri automatici del paziente e successivamente modificare le credenze
relative alle interpretazioni erronee dei sintomi ansiogeni.
Ai pazienti viene chiesto di compilare il diario del panico, che è una tecnica
fondamentale per monitorare costantemente le sensazioni fisiche e mentali, le
interpretazioni errate circa le conseguenze temute, i comportamenti protettivi, le
situazioni evitate, la frequenza e l’intensità degli attacchi di panico. E’ importante
rilevare ulteriori dettagli del quadro entro il quale si verificano gli attacchi di panico,
cioè il giorno e l’ora. Tali informazioni permettono di evidenziare eventuali variabili
che possono favorire l’aumento di fattori scatenanti l’attacco di panico. Per esempio, se
il fattore scatenante riguarda la sensazione di capogiro nel corso della mattina, questo
potrebbe essere indice di un abbassamento del livello di zucchero nel sangue, causa che
dovrebbe essere discussa durante il corso del colloquio.
I diari dovrebbero essere scritti giornalmente dai pazienti come compito a casa, subito
dopo un attacco di panico o al termine della giornata per una ricostruzione fedele
dell’esperienza vissuta. Il diario verrà visionato dal terapeuta insieme al paziente,
all’inizio di ogni incontro. Il diario incrementa la consapevolezza del paziente circa le
sue risposte cognitive e comportamentali.
Durante il corso del trattamento, quando emergono le “prove di disconferma” delle
credenze errate, tramite tecniche verbali e soprattutto comportamentali, viene aggiunta
un’ulteriore colonna al diario: “risposta al pensiero negativo”. Se inizialmente, il
paziente, alla sensazione di capogiro era solito dirsi “sverrò”, imparerà a sostituire tale
pensiero negativo con la frase “mi gira solo la testa”, “è un sintomo dell’attacco di
panico, ma non posso svenire”. Una valutazione del grado di convinzione, sulle
conseguenze temute, prima e dopo queste risposte, offre al terapeuta importanti
informazioni circa la capacità del paziente di modificare il proprio dialogo interno
negativo e sulla presenza di credenze errate residue, che dovrebbero essere indagate e
modificate.
Diario del panico
Giorno
Ora
Sabato
16.00
Principale
Situazione
sensazione
(dove, con chi)
Fisica/mentale
Negozio, con
marito
capo giro
Pensiero negativo
Grado di
Comportamenti
N. di
convinzione da 0– Protettivi Evitamenti Panico
100
“O dio, mi gira la
Cammino tenendo
testa , ci risiamo e
sotto braccio a mio
se sto male? E se
marito
svengo?” 80%
Attacchi
Dopo che il paziente ha imparato ad identificare i propri pensieri automatici, il passo
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successivo sarà quello di identificare e modificare le credenze relative alle
interpretazioni erronee. Compito del terapeuta sarà quello di identificare e correggere le
distorsioni cognitive (catastrofizzazione, inferenza arbitraria) che costituiscono modalità
di pensiero difettose ed errate e di ristrutturare il modo di pensare del paziente. Tali
obiettivo si raggiunge mettendo in discussione la credenza stessa. In alcuni casi, sarà
sufficiente chiedere al paziente di mostrare le prove che supportano le sue
interpretazioni, per evidenziare l’assenza di alcuna evidenza. (Es.: “le è capitato di
svenire?” “Cosa le fa pensare che l’ansia possa causare svenimento?”). Altre
domande fondamentali per aiutare il paziente a ristrutturare il suo pensiero sono: “qual è
un modo alternativo di vedere la situazione?”, “e se accadesse, qual è la cosa peggiore
che potrebbe capitare?”
4) Esposizione alle sensazioni corporee
Tra le tecniche di intervento comportamentale per il disturbo di panico, viene utilizzata
l’esposizione alle sensazioni corporee o esposizione interocettiva, attraverso cui
vengono riprodotte sensazioni molto simili a quelle normalmente provate e temute
durante gli attacchi di panico (Griez e Van Den Hout (20), Barlow (10)). Le induzioni
delle sensazioni di panico permettono di modificare le credenze relative alle
interpretazioni erronee e sono tra i primi esperimenti che vengono proposti al paziente
durante il trattamento. Prima di generare gli esperimenti di induzione, il terapeuta
dovrebbe conoscere in modo preciso le sensazioni temute dal paziente e la relativa
interpretazione erronea associata.
Il terapeuta può utilizzare diverse tecniche per indurre i sintomi del panico:
1) L’iperventilazione che consiste in rapidi respiri poco profondi e viene effettuata
tendenzialmente restando in piedi. Tale tecnica è particolarmente efficace ed
utilizzata per indurre una varietà di sensazioni simili a quelle provate durante un
attacco di panico: capogiri, incremento del ritmo cardiaco, dissociazioni,
modifiche visive, calore, formicolii alle mani, sensazioni di perdita di equilibrio,
senso di soffocamento.
L’iperventilazione consente al paziente, con disturbo di panico, di verificare che
le sensazioni fisiche e mentali che egli prova, di per sé non sono pericolose per
la propria salute. Inoltre permette di smantellare false credenze che la persona ha
appreso e mantiene. Egli verifica, quindi, che le conseguenze temute non si
avverano. I pensieri iniziali “sto per avere un attacco di panico” “sto per
svenire”, possono essere sostituiti con altri pensieri “è solo un po’ di ansia”.
Attraverso tale modificazione degli schemi di pensiero, il paziente acquista
sicurezza; si arresta, così, il circolo vizioso.
L’iperventilazione può essere eseguita da sola o in associazione con altre
tecniche di disconferma.
Nel caso in cui il paziente teme che la sensazione di capo giro o di gambe molli
possa determinare svenimento, l’iperventilazione e la richiesta di saltellare su un
piede, o di camminare lungo una linea, dimostreranno che le conseguenze
temute non si avvereranno.
2) Svolgere esercizi di attività fisica durante le sedute di trattamento, sono
particolarmente utili nei casi in cui vengono evitati, e rappresentano una valida
strategia per modificare alcune credenze relative ai problemi cardiaci, allo sforzo
e alla resistenza fisica. Gli esercizi riguardano fare jogging, salire e scendere
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velocemente degli scalini, saltare la corda, pedalare sulla cyclette, eseguire
saltelli,…, che possono essere usati da soli o in associazione con l’induzione di
iperventilazione.
3) Far girare il paziente su se stesso o su una sedia con le ruote, sono tecniche
utili per indurre giramenti di testa e senso di sbandamento. Sensazioni, queste,
solitamente temute durante un attacco di panico.
5) Esposizione alle situazioni temute
A volte, il Disturbo di Panico si associa con la tendenza agorafobica di evitare le
situazioni nelle quali il paziente ha sperimentato l’attacco di panico.
Il trattamento comportamentale del disturbo di panico con agorafobia, consiste
nell’esporre direttamente, “in vivo”, o indirettamente, in “immaginazione” il paziente
alle situazioni che egli teme. L’esposizione “in vivo” consente di ottenere risultati
migliori e più rapidi rispetto a tecniche che si basano sul confronto in “immaginazione”.
Il principio generale su cui si basa la tecnica dell’esposizione graduale in vivo è quello
di far confrontare il paziente ripetutamente e per un lungo periodo di tempo allo stimolo
fobico, fino a quando egli non si abitua. Il paziente impara, quindi, a tollerare l’ansia
senza mettere in atto evitamenti o fughe fino a che l’ansia si riduce spontaneamente.
Le situazioni fobiche, a cui progressivamente esporre il soggetto, vengono inizialmente
individuate e successivamente ordinate in modo gerarchico da quelle meno a quelle
progressivamente più ansiogene. Per ciascuna situazione il paziente indicherà un
punteggio espresso attraverso una scala di valutazione: scala SUD (unità soggettiva di
disagio), che è composta da una griglia, sulla quale il paziente riporta l’elenco delle
situazioni, valutandole da 0 a 100, in termini di ansia soggettiva.
E’ importante programmare insieme con il paziente gli obiettivi da raggiungere a breve,
a medio e a lungo termine, pianificando giornalmente le attività di esposizione. Solo
un’esposizione costante e ripetuta, consente alla persona di abituarsi alle situazioni che
sono per lui fonte di ansia. Gli obiettivi da raggiungere, devono essere definiti in termini
precisi e non generici. Per esempio, l’obiettivo finale ”Diventare autonomi” dovrà
essere reso più specifico: viaggiare tutte le mattine da solo sul pullman per andare a
lavorare, fare la spesa da solo nel negozio vicino casa. Inoltre gli obiettivi dovranno
essere misurabili, realistici, definiti nei tempi e rivolti all’azione (Rolla, 21).
Gli obiettivi dovranno essere concordati e condivisi dal paziente, all’interno di un
contratto terapeutico, iniziando le attività di esposizioni a partire da ciò che è prioritario
e importante per il paziente, da ciò che gli consentirà di riprendere il lavoro e una vita
sociale normale. Dopo aver ottenuto i primi progressi, si chiederà al paziente di svolgere
compiti più difficili. Inizialmente il terapeuta accompagnerà il paziente durante le
esposizioni per poi gradualmente esporsi da solo. Il paziente apprende che l’ansia
provata durante l’esposizione non è dannosa e ciò rinforza il comportamento di
esposizione stesso. Egli impara a vivere le situazioni non come ostacoli insormontabili,
ma traguardi da raggiungere, sviluppando, così, un atteggiamento di sfida con se stesso.
Alcuni pazienti possono essere poco motivati ad esporsi quotidianamente alle situazioni
temute, perché hanno paura di stare male. Possono chiedersi: “perché devo provare
ansia, quando sarebbe meglio evitare completamente la situazione?”. In questi casi,
occorre, sottolineare ai pazienti che l’unica modalità per superare realmente le paure,
consiste nell’affrontarle in modo sistematico. Durante le esposizioni, la persona registra
le attività quotidiane in un diario che il terapeuta riesamina durante la seduta.
Diario dei compiti di esposizione
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Giorno
Ora
inizio/fine
Livello d’ansia
PRIMA
Esposizione
(O – 100)
Compito di
esposizione
Ansia DURANTE
(0 – 100)
Livello d’ansia
DOPO Esposizione
(0 –100)
Comportamenti Protettivi
Evitamenti,
Cosa mi sono detto,
Sensazioni che ho provato,
Tecniche di coping usate
Alla fine del trattamento dovranno essere affrontate tutte le situazione inizialmente
temute ed evitate, non mettendo in atto comportamenti protettivi.
Se il programma non prevede che il terapeuta accompagni il paziente durante le
esposizioni in vivo, le situazioni temute potranno essere immaginate nella mente del
paziente, durante le sedute di trattamento. Inoltre, terapeuta e paziente preparano
insieme schede di auto – esposizione che il paziente effettuerà come compito a casa.
6) Homework
I pazienti hanno il compito di svolgere alcune attività a casa: compilare il diario,
monitorando costantemente i pensieri, le emozioni e i comportamenti emessi, rilassarsi
e respirare in modo lento e diaframmatico, attivare i sintomi dell’ansia mediante
tecniche di iperventilazione, esporsi costantemente alle situazioni temute.
In pratica, i pazienti devono applicare tutte le tecniche cognitive e comportamentali
acquisite durante gli incontri.
7) Corso di assertività
L’obiettivo del corso di assertività consiste nell’insegnare o potenziare abilità sociali
utili affinchè la persona non subisca passivamente e non aggredisca gli altri. Attraverso
simulate e role play, i pazienti hanno applicato tecniche per migliorare la
comunicazione, esprimere le loro opinioni e sentimenti, far valere i propri diritti, gestire
le critiche, far complimenti e saper rifiutare richieste senza provare sensi di colpa.
L’assertività rappresenta la via giusta per vivere in modo equilibrato i rapporti
interpersonali, perché permette di tenere in considerazioni bisogni, desideri ed esigenze
proprie e degli altri.
Prevenire le ricadute
Negli ultimi due o tre incontri, il trattamento cognitivo e comportamentale del disturbo
di panico, prevede di lavorare sulla prevenzione delle ricadute, che possono presentarsi
dopo un periodo libero da attacchi di panico. Le ricadute non devono essere vissute dal
paziente come passi indietro o insuccessi, ma fanno parte del processo di
apprendimento, che sta alla base del superamento delle fobie. Le ricadute dovrebbero,
quindi, essere vissute come l’occasione nelle quali il paziente potrà esercitarsi nelle
tecniche di coping, apprese durante il trattamento. Poiché le ricadute possono essere
previste, occorre che terapeuta e paziente identifichino potenziali aree problematiche
che potrebbero presentarsi e pensino alle possibili soluzioni. Si potrebbero elencare frasi
razionali e competitive, che il paziente potrà utilizzare per sostituire pensieri
disfunzionali che possono attivare risposte fisiologiche. Occorre identificare eventuali
credenze residue, non completamente smantellate e la presenza di comportamenti
protettivi ed evitamenti messi ancora in atto dal paziente. Il trattamento si ritiene
concluso quando il paziente è completamente libero dalla paura dei sintomi, dalle
credenze erronee e dai comportamenti di evitamento.
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DISTURBO DI PANICO
Nella maggioranza dei casi, chi ha superato il disturbo, scopre che durante un
occasionale attacco di panico, è in grado di gestirlo, perché ha acquisito sicurezza e una
serie di strategie efficaci, che prima del trattamento non conosceva. Per alcuni pazienti
possono essere previsti alcuni incontri psicoterapici per rinforzare le abilità
precedentemente acquisite.
Raccolta dei dati ed analisi statistica
I test utilizzati nella fase di baseline, sono stati nuovamente somministrati ai pazienti al
termine del trattamento, nei follow up a 3 e a 6 mesi dal termine della terapia.
All’interno di ogni gruppo e nell’ambito di ogni scala di misurazione, è stata effettuata
una analisi della varianza per misure ripetute confrontando ogni tempo di rilevazione
(post-trattamento, follow-up a 3 mesi e follow-up a 6 mesi) nei confronti della baseline.
Tabella 1 – Informazioni demografiche
Numero di pazienti
14
Sesso
7 maschi
7 femmine
Età
media
(DS)
34.6
(8.39)
DS=deviazione standard
Tabella 2 – Risultati globali
Baseline
post-trattamento
follow-up 3 mesi
follow-up 6 mesi
n
media
DS
n
media
DS
n
media
DS
n
media
DS
HAM-A
14
28.57
9.20
14
12.57
8.57
14
10.07
8.21
14
9.71
9.52
HAM-D
14
23.5
7.32
14
10.14
6.02
14
7.00
5.36
14
5.93
6.08
PDSS
14
17.93
3.10
14
6.29
5.25
14
4.43
3.27
14
4.57
4.13
SCRSS
14
42.71
25.27
14
14.50
12.78
14
11.79
15.13
14
19.36
26.17
LSPS TOT.
14
56.36
16.79
14
28.71
16.58
14
18.14
13.61
14
16.21
11.22
LSPS ANSIA S.
14
27.36
8.18
14
14.21
8.98
14
8.29
7.11
14
7.64
6.17
LSPS ANSIA P.
14
29.00
9.11
14
14.50
8.23
14
9.86
6.71
14
8.71
5.44
MSPS PAURA
14
80.93
22.20
14
30.21
23.33
14
16.14
18.09
14
15.64
19.89
MSPS EVITAM.
14
34.29
12.80
14
11.64
9.06
14
7.43
6.35
14
6.71
6.28
DS=deviazione standard
Nella Tabella 2 vengono riportati i punteggi medi ottenuti nelle scale di valutazione per tutti i 14 pazienti
trattati con Terapia Cognitiva Comportamentale, nei vari tempi.
10 di 320
DISTURBO DI PANICO
Come si può osservare dalla tabella, l’analisi statistica effettuata ha mostrato una
significativa riduzione (p<0.05) in tutte le scale ed a tutti i tempi, rispetto ai punteggi
ottenuti nella fase di baseline.
Si può affermare che la Terapia Cognitivo Comportamentale ha permesso la riduzione
dei sintomi e tali benefici si mantengono anche a distanza di tempo.
Tabella 3 – Relazione tra Trattamento, Sesso ed Età
Trattamento
Età
Sesso
N
media (DS)
TCC+farmaci assunti prima del trattamento
3
34.0 (14.00)
2/1
TCC+farmaci assunti prima del trattamento con interruzione
nell'arco dei 6 mesi
7
38.6 (5.19)
3/4
TCC
4
28.2 (5.44)
2/2
14
34.6 (8.39)
7/7
Totale
F/M
DS=deviazione standard; TCC= Terapia Cognitiva Comportamentale; Farmaci= Paroxetina, dose
media di 20 mg/die)
Visto la bassa numerosità dei pazienti all’interno dei gruppi (4 pazienti che hanno
ricevuto il trattamento cognitivo comportamentale da solo; 3 che assumevano farmaci
prima di iniziare la terapia di gruppo e 7 che assumevano farmaci prima del trattamento
con interruzione del loro uso nell’arco di 6 mesi), i risultati di tali analisi vanno
considerati con le giuste cautele.
E’ chiaro che non è possibile trarre conclusioni generali, ma solo riflessioni.
Tabella 4 – Pazienti che non assumevano farmaci prima del trattamento e risultati
ottenuti
baseline
post-trattamento
follow-up 3 mesi
follow-up 6 mesi
n
media
DS
n
media
DS
N
media
DS
n
media
DS
HAM-A
4
25.75
7.59
4
13.00
9.06
4
9.00
7.87
4
7.50
6.66
HAM-D
4
22.00
5.35
4
9.50
4.43
4
6.00
2.94
4
4.75
3.59
11 di 320
DISTURBO DI PANICO
baseline
post-trattamento
follow-up 3 mesi
follow-up 6 mesi
n
media
DS
n
media
DS
N
media
DS
n
media
DS
PDSS
4
16.75
4.11
4
8.75
5.91
4
5.25
3.59
4
4.75
3.59
SCRSS
4
27.50
8.66
4
9.25
3.77
4
8.50
7.77
4
11.25
13.23
LSPS TOT.
4
56.25
20.27
4
35.75
23.33
4
23.25
16.26
4
17.75
12.97
LSPS ANSIA S.
4
28.25
10.90
4
18.50
12.37
4
11.00
8.98
4
9.25
8.54
LSPS ANSIA P.
4
28.00
9.42
4
17.25
11.30
4
12.25
7.41
4
8.50
4.51
MSPS PAURA
4
79.50
17.82
4
37.25
35.07
4
18.25
21.27
4
16.75
20.25
MSPS EVITAM.
4
36.25
14.66
4
16.50
13.72
4
10.25
7.93
4
7.25
7.89
DS=deviazione standard
L’analisi statistica ha permesso di rilevare che il gruppo di pazienti trattato solo con la
Terapia Cognitiva Comportamentale ha mostrato una significativa riduzione dei
punteggi nei vari test somministrati ed ai seguenti tempi:
 HAM-A: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs. basale
(p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale (p<0.05),
 HAM-D: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs. basale
(p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale (p<0.05),
 PDSS: follow-up a 3 mesi vs. basale (p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale
(p<0.05),
 SCRSS: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs. basale
(p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale (p<0.05),
 LSPS TOT.: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs. basale
(p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale (p<0.05),
 LSPS ANSIA S.: follow-up a 3 mesi vs. basale (p<0.05), follow-up a 6 mesi vs.
basale (p<0.05),
 LSPS ANSIA P.: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs.
basale (p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale (p<0.05),
 MSPS PAURA: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs. basale
(p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale (p<0.05),
 MSPS EVITAM: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs.
basale (p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale (p<0.05).
Possiamo notare che la Terapia Cognitivo Comportamentale ha permesso da sola la
riduzione dei sintomi e che tali benefici si mantengono nel tempo.
12 di 320
DISTURBO DI PANICO
Tabella 5– Pazienti che assumevano farmaci prima del trattamento cognitivo
comportamentale
baseline
post-trattamento
follow-up 3 mesi
follow-up 6 mesi
n
media
DS
n
media
DS
n
media
DS
n
media
DS
HAM-A
3
31.33
10.97
3
12.33
6.35
3
14.33
13.65
3
17.00
17.35
HAM-D
3
24.33
8.50
3
15.00
8.54
3
11.00
10.58
3
10.67
12.66
PDSS
3
21.33
3.06
3
7.67
6.35
3
6.67
3.06
3
8.67
6.43
SCRSS
3
60.00
36.59
3
23.33
18.93
3
24.00
31.18
3
53.00
42.44
LSPS TOT.
3
67.67
13.61
3
36.00
10.58
3
29.00
9.64
3
27.33
12.86
LSPS ANSIA S.
3
30.00
7.21
3
19.33
2.08
3
13.33
5.77
3
12.67
6.43
LSPS ANSIA P.
3
37.67
6.43
3
16.67
8.74
3
15.67
4.04
3
14.67
6.43
MSPS PAURA
3
95.67
19.86
3
30.67
23.44
3
24.67
30.75
3
28.33
36.17
MSPS EVITAM.
3
43.67
2.31
3
12.33
9.29
3
11.33
8.08
3
12.00
8.89
DS=deviazione standard
Il gruppo trattato con la Terapia Cognitiva Comportamentale che assumeva farmaci
prima del trattamento, ha mostrato una significativa riduzione dei punteggi nelle
seguenti scale ed ai seguenti tempi:
 HAM-A: post-trattamento vs. basale (p<0.05),
 HAM-D: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs. basale
(p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale (p<0.05),
 PDSS: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs. basale (p<0.05),
 SCRSS: follow-up a 3 mesi vs. basale (p<0.05),
 MSPS PAURA: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs. basale
(p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale (p<0.05),
 MSPS EVITAM: post-trattamento vs. basale (p<0.05), follow-up a 3 mesi vs.
basale (p<0.05), follow-up a 6 mesi vs. basale (p<0.05).
La nostra ricerca non si pone come obiettivo la verifica dell’efficacia dei farmaci nella
cura del Disturbo di Panico. Diversi studi in letteratura dimostrano la validità del
trattamento farmacologico nel ridurre l’intensità e la frequenza degli attacchi di panico
spontanei e/o situazionali, molto spesso si determina una catena di rinforzi positivi in
13 di 320
DISTURBO DI PANICO
grado di ridurre l’ansia anticipatoria e le condotte di evitamento.
Molti studi hanno, inoltre, comparato i risultati ottenuti dalla TCC e dalla terapia
farmacologica, al fine di valutare l’efficacia dei singoli trattamenti per il disturbo di
panico. Studi di meta analisi indicano che i risultati della TCC per il disturbo di panico
sono uguali o lievemente superiori a quelli che si ottengono con trattamenti
antidepressivi o benzodiazapine (Otto, 2001; Barlow, 2000; Biondi, 1999; Gould, 1995;
Clark, 1994;1997; Iacobson et al.,1996; Barlow et al. 1995; Cottraux, 1995; Fava, 1995;
Clum, 1993; Marks, 1993). Benchè tutti questi risultati suggeriscono un sottile margine
di superiorità della TCC rispetto ai trattamenti farmacologici, una conclusione prudente
è sostenere che vengono ottenuti risultati più o meno uguali con entrambi, durante il
trattamento del disturbo di panico nella fase acuta.
Se consideriamo che la TCC e la terapia farmacologica, sono entrambi validi, ci
chiediamo se l’uso combinato dei due trattamenti possa migliorare sensibilmente
l’efficacia, permettendo di ottenere maggiori risultati. Purtroppo la limitata numerosità
del nostro campione, non ci permette di trarre conclusioni generali.
Studi in letteratura hanno evidenziato dati discordanti: secondo alcuni studi, la
somministrazione dei farmaci, durante il trattamento cognitivo comportamentale,
permette di ottenere benefici aggiuntivi. (Marcus, 2007; Azhar, 2000; Stein et al., 2000;
Bruce,1995; Pollack, 1994; Telch, 1994; Mavissakalian, 1990).
Diverse ricerche hanno dimostrato, invece, che tali benefici si verificano solo durante il
trattamento della fase acuta, ma potrebbero non mantenersi nella stessa proporzione a
lungo termine (Black, 2006; Starcevic et al., 2004; Barlow et al., 2000; Barlow, 1998;
Gorman, 1998; Shear, 1998; Woods, 1998; Bouvard e colleghi, 1997; Sharp e
collaboratori, 1996; Cottraux e collaboratori, 1995; Gould, Otto e Pollack, 1995.
L’uso combinato delle BZD e TCC è piuttosto controverso, in quanto le BZD
favoriscono la dipendenza dal farmaco e indeboliscono i risultati della TCC, inoltre, i
pazienti sono maggiormente a rischio di ricadute dopo la sospensione dei farmaci
(Perry,1997; Spiegel DA, Bruce TJ, 1997; Gould, 1995; Basoglu, 1994).
Come spiegare tali risultati?
Barlow (1988) sostiene che le benzodiazepine riducono i benefici della TCC in quanto
impediscono il richiamo dell’ansia necessario durante gli esercizi di esposizione
interocettiva, per permettere al soggetto di apprendere la non pericolosità dei sintomi
ansiogeni. Anche Bouton (2002) sostiene che la presenza dello stimolo avversivo
(sintomi dell’attacco di panico), durante gli esercizi di esposizione interocettiva (prove
di estinzione) rappresenta l’occasione per il paziente di dimostrare a se stesso che le sue
previsioni catastrofiche non si verificano. La terapia farmacologica, in combinazione
con la TCC, riduce i sintomi legati all’ansia, per cui il paziente non ha o ha poche
occasioni per verificare e sconfermare le sue paure. Inoltre se i pazienti attribuiscono il
miglioramento dei loro sintomi ai farmaci, piuttosto che ai processi di apprendimento
cognitivo comportamentale, ciò diminuisce l’efficacia della TCC. Basoglu e
collaboratori (1994) trovarono che i pazienti agorafobici, che erano guariti dal loro
disturbo con trattamenti combinati (esposizione + alprazolam), se attribuivano i benefici
alle medicine, si sentivano meno fiduciosi di farcela senza i farmaci e registravano una
perdita dei benefici superiore rispetto ai pazienti che attribuivano i benefici ai loro
propri sforzi. Inoltre Otto, Pollack e Sabatino (1996) trovarono che i pazienti con panico
che avevano raggiunto la remissione con il trattamento combinato (TCC e
benzodiazepine) ricadevano prima dei pazienti che avevano ottenuto la remissione con
la sola TCC.
Tabella 6 – Pazienti che hanno interrotto l’assunzione dei farmaci, tramite il Trattamento
14 di 320
DISTURBO DI PANICO
Cognitivo Comportamentale
baseline
post-trattamento
follow-up 3 mesi
follow-up 6 mesi
n
media
DS
n
media
DS
n
media
DS
n
media
DS
HAM-A
7
29.00
10.25
7
12.43
10.23
7
8.86
6.44
7
7.86
6.34
HAM-D
7
24.00
8.70
7
8.43
5.38
7
5.86
3.24
7
4.57
2.44
PDSS
7
17.14
1.35
7
4.29
4.39
7
3.00
2.89
7
2.71
2.06
SCRSS
7
44.00
24.37
7
13.71
13.01
7
8.43
6.83
7
9.57
8.66
LSPS TOT.
7
51.57
15.90
7
21.57
12.92
7
10.57
9.76
7
10.57
5.74
LSPS ANSIA S.
7
25.71
7.80
7
9.57
6.80
7
4.57
4.93
7
4.57
2.64
LSPS ANSIA P.
7
25.86
8.47
7
12.00
6.53
7
6.00
5.16
7
6.29
3.95
MSPS PAURA
7
75.43
25.15
7
26.00
18.08
7
11.29
10.05
7
9.57
9.57
MSPS EVITAM.
7
29.14
12.98
7
8.57
5.29
7
4.14
2.91
7
4.14
2.48
DS=deviazione standard
Il gruppo di pazienti che assumeva i farmaci prima di iniziare la Terapia Cognitiva
Comportamentale di gruppo e che è riuscito ad interrompere nell’arco dei sei mesi i
farmaci stessi, ha mostrato una significativa riduzione (p<0.05) dei punteggi in tutte le
scale ed a tutti i tempi rispetto a quelli ottenuti nella fase di baseline .
I risultati del nostro studio permettono di confermare i risultati di ricerche pubblicate in
letteratura che hanno dimostrato che un breve programma di TCC durante l’assunzione
e prima di iniziare lo scalare graduale della terapia, riduce le reazioni di paura legate ai
sintomi ansiogeni, prima che tali sintomi si manifestano durante lo scalare
farmacologico (Whittal et al., 2001; Bruce, 1995; Hegel, 1994; Spiegel, 1994; Otto e
collaboratori, 1993).
Terapia Cognitiva Comportamentale individuale o di gruppo?
La Terapia Cognitiva Comportamentale viene solitamente proposta a livello individuale
(TCCi), ma diverse ricerche sostengono che anche a livello di gruppo (TCCgr.), il
trattamento risulta ugualmente efficace (Galassie t al., 2007; Vincelli et al., 2003;
Schmidt et al., 2002; Otto et al., 2001; Whittal et al., 2001; Martinsen et al., 1998;
Neron et al., 1995; Lidren et al., 1994; Pollack et al., 1994; Telch et al., 1993; Craske e
Barlow, 1990).
L’esperienza della Terapia Cognitivo Comportamentale di gruppo è risultata efficace,
particolarmente gradevole e piacevole per tutti i partecipanti e non si sono verificati
drop-out.
15 di 320
DISTURBO DI PANICO
Attraverso il gruppo, le persone si rendono conto che non sono le uniche a soffrire di
panico, ma conoscono altri pazienti che presentano le stesse insicurezze e paure. Tale
esperienze permette di non sentirsi soli, facilita la comunicazione, ci si sente capiti da
persone che presentano lo stesso problema. I partecipanti si rinforzano reciprocamente
durante le esposizioni e si sostengono durante i momenti di maggior sconforto.
Conclusioni
La nostra ricerca, pur nei limiti dettati dal basso numero di soggetto coinvolti e dal
livello sperimentale della stessa, ha messo in evidenza l’efficacia della Terapia
Cognitivo Comportamentale di gruppo nel ridurre l’entità e la frequenza dei sintomi
dell’ansia nella fase acuta del disturbo. Tali benefici si ottengono in tempi brevi (12
incontri) e si mantengono anche dopo sei dal termine del trattamento.
La TCC può essere proposto come trattamento di prima scelta nei disturbi di panico con
o senza agorafobia e per quei pazienti per i quali, per qualsiasi motivo, sia consigliabile
la sospensione dei farmaci. Dalla letteratura emerge, inoltre, che l’uso combinato della
TCC con i farmaci, può dare risultati rapidi nel trattamento della fase acuta del disturbo;
nel presente studio sono stati analizzati soggetti che erano sottoposti a terapia con
Paroxetina, al dosaggio medio di 20 mg/die. A lungo termine, la TCC applicata come
monoterapia sembra dare benefici più stabili del trattamento combinato. In questo caso,
la nostra ricerca non ci permette di trarre conclusioni generali vista la non numerosità
dei pazienti.
La Terapia Cognitivo Comportamentale è stata di aiuto ai pazienti per identificare e
successivamente modificare i pensieri automatici negativi rispetto ai sintomi dell’ansia,
le credenze errate e i comportamenti disfunzionali. Al termine del trattamento, i
paziente hanno compreso la natura del loro disturbo, hanno acquisito sicurezza ed
imparato a vivere le sensazioni fisiche legate all’ansia non più come pericolose per la
propria salute. Le persone acquisiscono, inoltre, strategie efficaci per gestire l’ansia e
per interrompere il circolo vizioso che si attiva nel momento in cui si percepiscono i
primi sintomi dell’ansia e che culmina in alcuni casi nell’attacco di panico.
Tramite la terapia cognitivo comportamentale si riduce l’ansia anticipatoria, la persona
impara ad esporsi direttamente e gradualmente alle situazioni evitate o vissute con
disagio.
Da sottolineare altresì l’elevato livello di gradibilità manifestato dai soggetti
partecipanti alla ricerca, sia nel corso delle sedute che complessivamente al termine del
ciclo della TCC.
Prima di proporre qualsiasi trattamento è importante valutare, in fase di assessment, la
presenza di eventuali disturbi associati al disturbo di panico, che possono interferire e
ridurre l’efficacia del trattamento stesso. Il terapeuta dovrà prendere in considerazione
la situazione familiare, sociale, lavorativa del paziente, eventuali fattori psicosociali
stressanti: gravidanza, cambio di residenza, avanzamento di carriera, conflittualità
coniugali, ... Occorre orientarsi verso un lavoro completo e ad ampio raggio, che
comprenda un’attenta analisi dei fattori che possono aver determinato un attacco di
panico, le conseguenze che tale condizione può determinare a livello personale,
familiare, sociale e lavorativo. I vantaggi secondari che possono mantenere il disturbo.
Il terapeuta dovrà individuare eventuali disabilità del paziente, che possono renderlo
maggiormente vulnerabile in presenza di un evento soggettivamente stressante. Se la
16 di 320
DISTURBO DI PANICO
persona tende a reagire in modo passivo alle situazioni che vive, è ciò rappresenta una
fonte di ansia, si potrà insegnare al paziente ad utilizzare uno stile di comportamento
assertivo. Se la difficoltà è rappresentata dall’incapacità di gestire il proprio tempo, si
potrebbe aiutare il paziente ad organizzare e programmare le proprie giornate, lavorando
per obiettivi e affrontando le varie attività secondo un ordine gerarchico di priorità.
Insegnare tecniche di problem solving potrebbero aiutare il paziente ad affrontare un
possibile problema che si possa presentare, cercando di arrivare ad una possibile
gestione.
Sulla base di tali considerazioni, possiamo sostenere che il corso di assertività si è
rilevato utile ed importante per insegnare o potenziare abilità sociali per non subire
passivamente e per non aggredire gli altri ed in generale per migliorare lo stile
complessivo di vita dei pazienti.
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