Tesi Sergio Traversa

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
SCUOLA DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA
TESI DI LAUREA
MUSICOTERAPIA DOMICILIARE IN PAZIENTI DEMENTI
AGITATI
Relatore: Chiarissimo Professore Giovanni Carlo Isaia
Candidato: Sergio Traversa
Matricola: 737082
_________________________________________________________________________
Anno Accademico 2013-2014
1
Alla mia Famiglia
che mi ha sostenuto
nel corso dei 6 anni di studi
Al Prof. G. C. Isaia,
al Dott. M. Massaia,
al Dott. R. Gallina,
che mi hanno dato
la traccia e guidato
nell’esecuzione del lavoro
Alle Infermiere dell’UVA
che mi hanno aiutato
nel ricevimento dei pazienti
Ai Colleghi Studenti che
mi hanno aiutato nella ricerca
2
La scienza ringiovanisce l’anima ed attenua l’amaro della vecchiaia. Accumula
dunque saggezza che sarà il nutrimento dei tuoi vecchi giorni.
(Leonardo da Vinci)
Il mondo dei vecchi, di tutti i vecchi è il mondo della memoria. Si dice, alla fine, tu
sei quello che hai pensato, amato, compiuto. Aggiungerei tu sei quello che ricordi.
(N. Bobbio)
Chi nella seconda metà della vita non cambia radicalmente…diventerà solo più la
caricatura di se stesso. (C.G. Jung)
La patologia principale della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo. (Hillman, 2000)
Un giorno l'uomo dovrà combattere il rumore come un tempo combatteva il colera e
la peste (Robert Koch)
Il potere della musica di integrare e curare... è un elemento essenziale. [E'] il più
completo farmaco non chimico. (O.Sacks, Risvegli)
(…) La missione di un medico non deve essere solo prevenire la morte, ma anche
migliorare la qualità della vita. Ecco perché se si cura una malattia si vince o si
perde, ma se si cura una persona vi garantisco che in quel caso si vince,
qualunque esito abbia la terapia. (dal film Patch Adams, 1998)
3
INDICE
Introduzione
6
PARTE I : Deterioramento cognitivo e musicoterapia
8
Capitolo 1: Le demenze senili
1.1.
1.2.
1.3.
1.4.
1.5.
1.6.
Classificazione eziologica
La demenza di Alzheimer (AD)
La demenza vascolare (VD)
Demenza frontotemporale
Demenza a corpi di Lewy
Il malato di Alzheimer: caratteristiche e riflessioni
8
10
14
17
19
20
Capitolo 2: Disturbi comportamentali
2.1
2.2
Caratteristiche dei BPSD
Il percorso indicato da AIFA
24
33
Capitolo 3: Le terapia farmacologiche
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
3.6
3.7
3.8
Clorpromazina
Promazina
Aloperidolo
Quietapina
Clotiapina
Olanzapina
Risperidone
Zuclopentixolo cloridrato
36
37
37
38
39
40
40
41
Capitolo 4: Il caregiver
44
Capitolo 5: La musica
5.1
5.2
5.3
Musica e cervello
La musicoterapia
Il suono e le sue caratteristiche
49
59
69
Capitolo 6: Una revisione della letteratura
77
4
PARTE II : Studio sperimentale
Capitolo 7 :
7.1
7.2
7.3
Scopo dello studio
Materiali e metodo
Risultati e commento
80
81
89
Appendici
100
Bibliografia
105
5
INTRODUZIONE
La diffusione della demenza è strettamente legata alle dinamiche demografiche di questi ultimi
decenni e l'aumento della prevalenza degli anziani ha parallelamente indotto un aumento di quella
delle persone affette da demenza. Questa considerazione non deve però far pensare che non vi sia
un rapporto diretto tra invecchiamento e demenza.
Nel campo delle demenze si è assistito negli ultimi decenni a un enorme sviluppo delle ricerche di
base e cliniche, ma purtroppo a questi grandi progressi delle capacità diagnostica e delle scienze di
base non è seguito un numero di risposte clinicamente rilevanti. Molta enfasi è stata data alla
prevenzione, ancora oggi siamo alla ricerca di dati per impostare scelte preventive, nessuno studio
sui fattori di rischio ha dato risposte definitive per compiere scelte precise.
La demenza è diventata una malattia a forte impatto sia economico (si pone al terzo posto come
costo nei Paesi industrializzati, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori) sia sociale non solo per
le sue complessive dimensioni, ma anche per il microambiente nel quale viene gestita che va a
mutare. La persona anziana diventa un peso per il tempo che le rimane, il tentativo di protezione si
manifesta con il prendere distanza, con l'isolamento per mettere a tacere dentro di sé l'angoscia di
esistere. La distanza porta ad oggettivare, la persona anziana diventa quindi oggetto, una presenza a
fatica tollerata, e perciò rifuggita.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Accanto a queste considerazioni bisogna aggiungere che nel corso degli ultimi decenni l’istituzione
familiare ha registrato importanti modificazioni, in rapporto all’emergere di nuovi fenomeni sociali
e di nuovi modelli comportamentali che hanno portato alla crisi della famiglia, inoltre
l'urbanizzazione rende difficili i rapporti. É indubbio che questi elementi, nel momento storico
attuale in cui vediamo la pesante imposizione di malattie croniche (delle quali la demenza è
paradigmatica), evidenziano la necessità di una rete assistenziale naturale.……………………...
Un aspetto da esplorare con molta attenzione e spesso sottovalutato è il rapporto tra l'ammalato e la
sua famiglia, al fine di comprendere i fattori che da ambo le parti permettono il mantenimento del
rapporto di caregiving e quali invece portano al "bourning out" del sistema con gravi conseguenze
per il paziente, tutto ciò ad un'osservazione superficiale può sembrare una dinamica semplice,
invece possiede una serie di determinanti altamente complesse di ordine sanitario, psicologico,
sociale ed economico, che ancora non sono state comprese del tutto, rendendo così difficile ogni
razionale programma di intervento-supporto che non voglia essere generico.
6
In quest'ottica l'introduzione di modalità organizzative dell'assistenza domiciliare, specie se
supportate da valide e innovative tecnologie telematiche sempre più disponibili e accessibili, e di
approcci ambientali volti a migliorare la qualità della vita dell'anziano, specie di quello non più
autonomo, costituisce un'importantissima sfida all'organizzazione sanitaria moderna. In questo
contesto strumenti come la musicoterapia possono essere importanti alleati.
7
PARTE I : Deterioramento cognitivo e musicoterapia
Capitolo 1: Le demenze senili
La demenza è una sindrome clinica caratterizzata dalla perdita di più funzioni cognitive, tra le
quali invariabilmente la memoria, di entità tale da interferire con le usuali attività sociali e
lavorative del paziente. Oltre ai sintomi cognitivi sono presenti sintomi non cognitivi che
riguardano la sfera della personalità, l’affettività, l’ideazione, la percezione, le funzioni
vegetative ed il comportamento.
Numerosi processi patologici possono essere la causa di una demenza:
1.1 Classificazione eziologica
Demenze primarie o degenerative:
1) demenza di Alzheimer
2) demenze frontotemporali e malattia di Pick
3) demenza a corpi di Lewy
4) Parkinson-demenza
5) idrocefalo normoteso (disturbi mnesici, incontinenza, disequilibrio)
6) corea di Huntington
7) paralisi sopranucleare progressive
8) degenerazione cortico-basale
Demenze secondarie:
A) demenza vascolare ischemica
B) disturbi endocrini e metabolici
1) ipo ed ipertiroidismo
2) ipo ed iperparatiroidismo (ipo ed ipercalcemia)
3) malattie dell’asse ipofisi-surrene (ipopituitarismo, sindrome di Cushing, morbo di
Aa
Addison)
4) encefalopatia portosistemica in corso di epatopatia
8
5) insufficienza renale cronica
6) ipoglicemiadisidratazione
aa
C) malattie metaboliche ereditarie
D) malattie infettive ed infiammatorie del SNC
1) meningiti ed encefaliti (batterica, neurosifilide, micotica, virale)
2) sclerosi multipla e malattie demielinizzanti
3) connettiviti
4) malattia di Creutzfeldt-Jakob
5) AIDS dementia complex
E) stati carenziali
1) carenza di tiamina (sindrome di Korsakoff)
2) carenza di vitamina B12 e folati
3) malnutrizione generale
F) sostanze tossiche
1) alcol
2) metalli pesanti
3) farmaci
4) composti organici
G) processi espansivi intracranici, come neoplasie, ematomi od ascessi cerebrali
H) miscellanea
1) traumi cranici
2) sindromi paraneoplastiche
3) malattie cardiovascolari e respiratorie
9
1.2 La demenza di Alzheimer (AD)
La demenza di Alzheimer (AD) è la principale demenza di origine neurodegenerativa oltre che la
causa più comune di demenza in assoluto rendendo conto del 50-60% dei casi di deterioramento
cognitivo a esordio tardivo nei paesi occidentali. Nella popolazione italiana di età compresa tra i 65
e i gli 84 anni ha un incidenza pari al 6,6% per 1000 abitanti l'anno e una prevalenza del 4,4%.
La malattia è dovuta a una diffusa e progressiva distruzione di neuroni, principalmente attribuita
all'accumulo di beta-amiloide, una proteina che costituisce il maggior costituente delle placche
amiloidi e che si deposita tra i neuroni, provocandone la morte, e all'interno delle parete dei vasi
cerebrali.
La beta-amiloide è un frammento di una proteina più estesa identificata come precursore della
proteina amiloide (APP) codificata dal cromosoma 21 e processata attraverso due vie proteolitiche,
quella della secretasi alfa, che non porta alla produzione di beta-amiloide e quella formata dalle
secretasi-beta e gamma e della via endosomo-lisosomiale che invece portano alla produzione di
beta-amiloide. Oltre alla placche senili vi sono ammassi neurofibrillari intraneuronali composti da
proteina tau. Questa proteina legandosi ai microtuboli li stabilizza ma se mutata e iperfosforilata,
cosi come nella AD, diventa insolubile e non si lega più a questi ultimi per via di una ridotta affinità.
Si creano, di conseguenza, importanti alterazioni a livello dei microtubuli rendendo
progressivamente sempre più difficoltoso il trasporto assonale (figura 1).………………………
Nella maggior parte dei casi i gomitoli neurofibrillari precedono la comparsa delle placche senili, la
presenza di entrambi non è conseguenza inevitabile dell'invecchiamento dal momento che circa il
50% degli ultraottantenni ha cortecce cerebrali interessate sono parzialmente da questi elementi.
Nell'AD inoltre vi è un'importante modificazione neurobiochimica costituita dalla deplezione di
acetilcolina cerebrale, neurotrasmettitore legato direttamente ai circuiti della memoria e di molte
altre capacità cognitive, ciò avviene in particolare a livello del nucleo basale di Meynert, le cui
proiezioni colinergiche raggiungono diffusamente la corteccia cerebrale, l'ippocampo, l'amigdala e
anche il talamo e il tronco encefalico.…………………………………………………………
L'interessamento del nucleo di Meynert spiega una diminuzione cosi importante (del 60-70%)
dell'acetilcolina a livello corticale.
A livello dei sintomi psichiatrici e comportamentali è stato osservato che il polimorfismo dei
recettori per la dopamina DRD1 e DRD3 predispongono allo sviluppo dei sintomi psicotici e
dell’aggressività in pazienti con AD, inoltre questi pazienti hanno un asimmetria dell’atrofia dei
10
Figura 1
lobi temporali, suggerendo che il coinvolgimento precoce del lobo temporale destro è determinante
nello sviluppo di sintomi comportamentali. Alcuni autori hanno rilevato un aumentato rischio di
sviluppare psicosi nei soggetti AD portatori dell’allele epsilon 4. Altri studi hanno mostrato che i
disturbi del comportamento hanno una distribuzione nei soggetti AD in relazione al pattern di
vascolarità cerebrale; in particolare nei pazienti con lesioni vascolari sono più frequenti i deliri
(66,3 vs 33,3%), mentre non vi è differenza per lo sviluppo di allucinazioni. Uno dei problemi
diagnostici principali riguarda l’assenza di specifici criteri per la definizione dei vari sintomi
comportamentali nell’AD. L’utilizzo di criteri mutuati dalla psichiatria tradizionale si rivela spesso
complesso ed inadatto.
11
PROGRESSIONE GERARCHICA DELLA SINTOMATOLOGIA NELL’AD
Fase iniziale:
-minimo disorientamento temporale
-difficoltà nel ricordare eventi recenti
-difficoltà a trovare le parole con relativa conservazione della capacità di
acomprensione
-aprassia costruttiva per disegni tridimensionali
-ansia/depressione/negazione di malattia
-difficoltà sul lavoro
-assenza di alterazioni motorie
Fase intermedia:
-disorientamento spazio temporale
-deficit di memoria di entità moderato grave interferente con le attività quotidiane
-chiaro disturbo del linguaggio (parafasie, anomie, circumlocuzioni, deficit di
acomprensione)
-aprassia costruttiva
-aprassia ideativi ed ideo motoria, aprassia dell’abbigliamento
-agnosia
-alterazioni comportamentali (deliri, allucinazioni, wandering)
-bradicinesia, segni extrapiramidali
- necessità di essere stimolato alla cura della propria persona
Stadi terminali:
-completa perdita delle abilità cognitive con difficoltà nel riconoscere volti o
aluoghi familiari
-perdita del linguaggio fino a gergo semantico o mutismo
-rigidità, bradicinesia, crisi epilettiche, mioclono
-aggressività, wandering
-completa perdita dell’autosufficienza per lavarsi, vestirsi ed alimentarsi
-incontinenza sfinterica
Tabella 1
L'idea di una compromissione sequenziale di domini cognitivi è supportata da dati morfologicofunzionali che indicano un precoce interessamento delle aree temporali mesiali seguito dal
12
progressivo interessamento delle neocortex, tuttavia in questa progressione vi sono ampie variabili
individuali. La tabella 1 mostra la progressione gerarchica della sintomatologia dell’AD.
L'esordio della malattia è rappresentato dalla comparsa insidiosa di un deficit della memoria
episodica recente, con incapacità ad apprendere e rievocare informazioni nuove (amnesia
anterograda), con il progredire della malattia compaiono disorientamento dell'ambito temporale
prima e spaziale in seguito, turbe del linguaggio, caratterizzato da un vocabolario ristretto e
frequenti anomie.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Nel momento in cui tali deficit cognitivi vanno a interferire con lo svolgimento delle attività
quotidiane (rispettando, appunto, una gerarchia, dalle più complesse dal punto di vista intellettivo
che vengono compromesse precocemente a quelle più semplici che sono mantenute almeno
inizialmente) si segna il passaggio al grado lieve, in cui sono inoltre comuni alterazioni affettivecomportamentali. Il paziente può reagire al suo deterioramento cognitivo con deflessione dell'umore,
irritabilità e apatia. Tali disturbi possono essere anche causati da patologie organiche a carico dei
lobi
frontali
e
del
sistemalimbico.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Nello stadio intermedio si hanno sempre più difficoltà a formare nuove tracce mnestiche, la
memoria per gli avvenimenti remoti, in particolare quelli autobiografici che inizialmente era stata
risparmiata, in questo stadio inizia a compromettersi progressivamente e i pazienti iniziano a vivere
in un passato sempre più lontano dal momento che i ricordi più recenti sono danneggiati, compare
difficoltà nel riconoscere i volti famigliari (prosopoagnosia), gli oggetti comuni (agnosia visiva) e
nell'utilizzarli correttamente (aprassia), compare disorientamento topografico, dei luoghi dei
persorsi, dei calcoli e manca la consapevolezza della malattia (anosognosia). Si configura la
cossidetta sindrome alogica data dalla somma di afasia, agnosia e aprassia.……………………….
Tutto ciò converge in una perdita dell'autonomia nello svolgimento delle attività quotidiane e in
un'alterazione del quadro neuropsichiatrico, il paziente diventa sempre più confuso e irrequeto,
proprio quest'ultimi sintomi dominano nella fase avanzata in cui tutte le capacità cognitive sono
ormai compromesse e il paziente e totalmente dipendente dal caregiver. In fine in fase terminale
egli diviene incapace di deambulare, incontinente, disfagico, può presentare mioclonie o anche crisi
epilettiche, rigidità neuromuscolare a altri sintomi extrapiramidali. Bisogna sottolineare che gli
aspetti
cognitivi
possono
decorrere
più
o
meno
parallelamente
a
quelli
funzionali.
La sopravvivenza media è di circa 10 anni dal momento della diagnosi, il decesso avviene
generalmente per patologie intercorrenti, quali infezioni delle vie urinarie o respiratorie o a partenza
da piaghe da decubito.
13
1.3 Demenza vascolari (VaD)
Costituisce la forma più comune dopo l'AD con un incidenza nella popolazione italiana tra i 65 e gli
84 anni del 3,3% per 1000 abitanti/anno e una prevalenza che tende ad aumentare con l'età
arrivando quasi al 5% negli ultraottantenni. E' più comune nel sesso maschile e rende conto del 15%
delle demenze in totale.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Sul piano eziopatologico rappresenta un gruppo eterogeneo di patologie aventi come momento
fisiopatologico comune un danno cerebrale di natura ischemica, ipossica o emorragico che si
manifestano sul piano clinico con sintomi e segni riferibili a un quadro di demenza.
I fattori di rischio per la Vad, oltre all'età avanzata sono: l'ipertensione, il diabete, le cardiopatie e
ictus cerebrali.
La tabella 2 mostra i criteri clinici da considerare per diagnosticare una demenza vascolare.
Ci sono sempre maggiori prove che esista una sovrapposizione tra AD e Vad non solo perchè
spesso coesistenti ma perchè i fattori di rischio, primo tra tutti l'ipertensione, sono comuni ad
entrambe le forme nonostante i momenti patogenetici siano molto differenti. Inoltre esiste un ipotesi
che prevede la slatentizzazione dei processi neurodegenerativi ad opera delle lesioni vascolari
tipiche della Vad. In questi casi, al vecchio termine di "demenza mista", oggi si preferisce sostituire
quello di "malattia di Alzheimer con malattia cerebrovascolare".
14
CRITERI CLINICI (NINDS-AIREN) PER LA DIAGNOSI DI DEMENZA VASCOLARE
Roman GC et al, Neurology 1993;43:250)
VD probabile:
I) demenza: declino cognitivo rispetto ad un livello precedentemente più elevato, caratterizzato
da disturbi della memoria e di altri due o più domini cognitivi. La gravità dei deficit deve essere
tale da compromettere le attività della vita quotidiana, indipendentemente dalle condizioni
fisiche determinate dall’ictus
II) cerebrovasculopatia: presenza di segni neurologici focali compatibili con diagnosi di ictus ed
evidenza neuroradiologica di lesioni cerebrali di origine vascolare (infarti multipli da occlusione
dei grossi vasi, singoli infarti strategici del giro angolare, del talamo, della base del tronco
encefalico, dei territori dell’arteria cerebrale anteriore o posteriore, lacune ischemiche della
sostanza bianca sottocorticale e leucoaraiosi periventricolare)
III) correlazione temporale tra demenza e cerebrovasculopatia: insorgenza della demenza nei tre
mesi successivi alla diagnosi di ictus oppure storia di esordio brusco ed andamento a gradini del
deficit cognitivo
Criteri aggiuntivi: presenza precoce di disturbi dell’andatura, storia d’instabilità e cadute frequenti,
pollachiuria, impellenza alla minzione ed altri sintomi urinari non attribuibili a malattie urologiche
(paralisi pseudobulbare, modificazioni della personalità e dell’umore con abulia, depressione,
incontinenza emotiva), alterazioni di natura sottocorticale quali ritardo psicomotorio, deficit nelle
funzioni esecutive
Criteri di esclusione: presenza di disturbi della coscienza, delirium, psicosi, grave afasia od
alterazioni sensitivo motorie che possano precludere una corretta esecuzione dei test
neuropsicologici. Non devono inoltre essere presenti altre patologie cerebrali o sistemiche che
potrebbero essere di per sé causa di demenza
VD possibile:
I) demenza
II) cerebrovasculopatia
III) assenza del criterio temporale tra demenza e cerebrovasculopatia oppure nessuna evidenza alla
TC o RM di lesioni cerebrali ischemiche oppure insorgenza subdola e decorso variabile (plateau o
miglioramenti) della demenza
VD certa:
I) dimostrazione autoptica in soggetto con diagnosi clinica di VD probabile
Tabella 2
15
Esistono diverse forme di VaD:
-Demenza multi-infartuale: caratterizzata dalla ricorrenza di attacchi ischemici transitori o episodi <ictali seguiti a breve tempo dall'insorgenza della demenza. Gli infarti sono multipli, completi,
<spesso estesi, dovuti solitamente all'occlusione di grossi vasi arteriosi. Sono localizzati perlopiù a
<livello corticale, la causa più comune di tali infarti è il tromboembolismo.
-Demenze da singoli infarti strategici: singoli infarti corticali e sottocorticali localizzati in strutture
<cerebrali ben definite, oltre ai deficit neuropsicologici demenziali si possono associare segni
<neurologici focali diversi. Tale forma è frequente qualora le lesioni ischemiche interessino il giro
<angolare, l'ippocampo bilateralmente o il talamo.
-Demenze da patologia dei piccoli vasi: comprendono due entità che condividono come momento
<fisiopatologico un danno alla sostanza bianca sottocorticale per alterazioni del circolo cerebrale
<profondo:
1. Malattia di Binswanger: un entità caratterizzata dalla comparsa di demenza e alterazioni
motorie in pazienti che presentano uno stato ischemico cronico della sostanza bianca
sottocorticale. A livello anatomopatologico si osserva un assottigliamento e una
degenerazione ialina delle arteriole penetranti, aree infartuali complete o incomplete con
demielinizzazione e una degenerazione assonale e una proliferazione astrocitaria reattiva.
2. Stato lacunare: le lacune sono piccoli infarti cerebrali le cui dimensioni non superano il
centimetro e mezzo di diametro, possono interessare qualsiasi zona sottocorticale e la
sindrome pseudobulbare costituisce il quadro clinico più frequentemente associato ad essa
insieme a sintomi extrapiramidali.
La forma più comune è quella sottocorticale, il cui profilo clinico è caratterizzato dall'associazione
di deficit cognitivi, sindrome depressiva con apatia, disfunzione sfinterica e turbe motorie precoci
con frequenti cadute. La memoria è proporzionalmente meno compromessa. Il decorso mima quello
progressivo dell'AD. Le lesioni sono multiple, a distribuzione nei nuclei della base e della sostanza
bianca sottocorticale. La forma multinfartuale il danno è a carico prevalentemente della corteccia.
Numerose scale sono state proposte per migliorare la sensibilità della diagnosi clinica e
differenziale, gli stati autoptici hanno evidenziato che l'Hachinski Ischemia Scale ha una buona
sensibilità, un punteggio minore o uguale a 4 è suggestivo di AD e uno maggiore o uguale a 7 di
VaD (Tabella 3).
16
1.4 Demenza frontotemporale
Comprendono tre forme su base neurodegenerativa, tutte sottese dall'accumulo di proteina tau,
anche se recentemente sono state descritte forme tau-negative. Sono più frequenti nel sesso
maschile, hanno una prevalenza sovrapponibile a quella dell'AD, ma rispetto a quest'ultima il
decorso è più rapido e la sopravvivenza più breve.
esordio improvviso
2
deterioramento a gradini
1
decorso fluttuante
2
confusione notturna
1
personalità relativamente conservata
1
depressione
1
disturbi somatici
1
labilità emotiva
1
storia di ipertensione
1
storia di ictus
2
evidenza di aterosclerosi associata
1
sintomi neurologici associati
2
segni neurologici associati
2
Tabella 3
1) Forma frontotemporale propriamente detta o comportamentale, dominata fin dall'esordio
dalla compromissione della sfera neuropsichiatrica con alterazioni dell'umore e della
condotta associate a deficit delle funzioni esecutive. Il paziente può presentarsi apatico,
depresso (se prevale un interessamento della corteccia mesiale) o disinibito ed euforico (se
prevale un interessamento orbitofrontale). Inoltre sono presenti deficit dell'attenzione, turbe
dell'alimentazione, disturbi sfinteriali, turbe extrapiramidali e anosognosia. Le funzioni
mnestiche sono relativamente risparmiate.
17
2) Afasia non fluente progressiva, si manifesta con una progressiva riduzione dell'eloquio
spontaneo fino a raggiungere un mutismo completo, la comprensione rimane intatta.
Si associa quasi invariabilmente ad aprassia bucco-facciale e deficit esecutivi.
L'area cerebrale colpita è il piede della terza circonvoluzione frontale di sinistra e la
corteccia circostante.
3) Demenza semantica, esordisce con un disturbo dell'eloquio di tipo fluente, le aree coinvolte
sono prevalentemente le regioni temporali anteriori con conseguente compromissione della
memoria semantica, cioè l'insieme delle conoscenze relative a persone, luoghi, oggetti e
concetti.
18
1.5 Demenza a corpi di Lewy
Costituisce la più frequente forma di demenza neurodegenerativa dopo l'AD, ad essa viene
considerata del tutto sovrapponibile sia dal punto di via clinico sia neuropatologico alla demenza
associata alla malattia di Parkinson, l'unico elemento differenziale è costituito dall'intervallo
temporale che separa la comparsa dei sintomi cognitivi da quelli extrapiramidali, tale periodo è
stato formalizzato nella cosiddetta 1-year-rule, secondo la quale viene posta diagnosi di malattia a
corpi di Lewy nel momento in cui si sviluppano prima i deficit cognitivi, in modo concomitante o
entro un anno dall'insorgenza di quelli extrapiramidali; in caso di insorgenza oltre l'anno si pone
diagnosi di demenza associata a malattia di Parkinson.
Dal punto di vista patogenetico la LDB è una sinucleopatia, caratterizzata dalla presenza di
inclusioni neuronali eosinofili intracitoplasmatiche (corpi di Lewy) costituiti prevalentemente da
alfa-sinucleina
e
considerati
responsabili
dell'innesco
dei
processi
neurodegenerativi.
Essi sono localizzati non solo a livello del tronco encefalico (sostanza nera, locus coeruleus, nucleo
dorsale del vago) ma soprattutto a livello del corteccia cerebrale, in particolare nella neocorteccia
frontale e parieto-occipitale.
Clinicamente la LBD si manifesta principalmente con deficit cognitivi dell'ambito esecutivo e
visuospaziale (con risparmio relativo delle funzioni mnestiche), associati a parkinsonismo rigido
acinetico. Ulteriori manifestazioni sono le allucinazioni che aiutano molto nella diagnosi in quanto
molto peculiari, fluttuazioni dello stato di vigilanza, disequilibrio con cadute, alterazioni
autonomiche, con predisposizione a sincopi, alterazioni del sonno REM e ipersensibilità a
neurolettici.
19
1.6 Il malato di Alzheimer: caratteristiche e riflessioni
La malattia di Alzheimer è caratterizzata dall'apparizione di una sindrome dementigena a decorso
insidiose a corso progressivo. I sintomi della demenza si possono raggruppare in due grandi gruppi
a) sintomi intellettuali, tecnicamente chiamati cognitivi o conoscitivi; b) sintomi psichiatrici con
disturbi del comportamento. Entrambi hanno un carattere progressivo e ingravescente.
I sintomi della sfera intellettuale sono quelli più pronunciati. La capacità di introspezione viene
colpita in modo precoce. Questo fatto, fa si che il paziente non attribuisca ai sintomi che presenta
l'importanza che essi meritano, anzi tende a minimizzarli, li nega o semplicemente li ignora.
Anche la memoria viene colpita, seguendo un curioso fenomeno che fa sì che i fatti più recenti
siano quelli che si vengono dimenticati con maggior facilità, mentre quelli più vecchi vengono
ricordati più a lungo. Il paziente tende a "riempire" le lacune della sua memoria con invenzioni,
falsi ricordi o fatti del passato; questo fenomeno viene definito come "confubulazione".
Progressivamente sono colpiti anche il linguaggio, la capacità di giudizio, la capacità di calcolo e il
pensiero astratto; in questo modo paziente si pone di fronte alla realtà senza avere la capacità di
capirla e di interpretarla nè la capacità di agire secondo le condizioni e le esigenze del suo ambiente
trasformandosi in un essere completamente indifeso e passivo.
Un secondo gruppo di manifestazioni è costituito dai disturbi psichiatrici e comportamentali.
Tra questi si evidenziano le alterazioni emozionale. Spesso il paziente appare apatico ed indifferente
di fronte a ciò che lo circonda, altre volte compaiono sintomi depressivi. Spesso il paziente può
avere già perso la capacità di manifestare la sua tristezza, e quindi sarà necessario indagare la stessa
attraverso dei sintomi indiretti, come il pianto, le espressioni di contenuto depressivo, una perdita di
appetito o l'abbandono di attività che prima risultavano gradite. E’ frequente anche la cosiddetta
labilità emozionale, un sintomo caratterizzato dalla alternarsi rapido apparentemente inspiegabile di
stati emozionali, che possono oscillare dal riso al pianto. A ciò possono giungere deliri e
allucinazioni, i primi sono una falsa idea della cui autenticità il paziente è totalmente convinto,
anche se allo stesso vengono date delle prove valide del contrario.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Nelle demenze sono frequenti le idee relativo al furto; il paziente convinto che qualcuno, in genere
il caregiver gli rubi le sue cose. Le allucinazioni, normalmente di tipo visivo, consistono in
impressioni sensoriali false. Capita spesso, per esempio, che il paziente veda degli estranei in casa
sua, ed anche che parli con essi; in modo analogo, il paziente può rivolgersi ai personaggi che
appaiono in televisione come se fossero reali, oppure parlare alla propria immagine riflessa nello
20
specchio. Ci sono evidenze istopatologiche che suggeriscono che non vi sia una correlazione diretta
tra malattia del cervello ed espressione clinica. Snowdon (2007) ha documentato casi di soggetti che
avevano ancora capacità cognitive che permettevano loro una dignitosa vita sociale e che
presentavano post mortem lesioni cerebrali compatibili con una grave forma di sindrome di
Alzheimer, perciò egli concluse i suoi studi ipotizzando che vi possono essere dei fattori protettivi
che
ritardano
o
rendono
meno
grave
l'espressione
di
una
malattia
cerebrale.
Brody (1971) aveva sostenuto il concetto di eccesso di disabilità (excess disability) riferendosi a
una differenza, in negativo, tra danno comportamentale atteso e quello realmente manifestato da un
paziente rispetto alle entità delle lesioni cerebrali. Questa ipotesi suggerisce il declino della persona
che soffre di demenza potrebbe avere aspetti di reversibilità ed essere rallentato.
Il deterioramento cognitivo comportamentale potrebbe anche essere l’effetto di un contesto sociale
negativo. Al contrario potrebbe trovare dei riscontri positivi in una costruttiva interazione
psicosociale sia singolarmente sia in gruppo.
I disturbi del comportamento sono quelli che rendono più difficili le cure al paziente e il suo
inserimento sociale. Consistono in una serie di comportamenti anomali che determinano una
risposta inadeguata alla situazione ambientale. Un esempio di questi sono i comportamenti disinibiti,
sia livello di alimentazione (voracità, ingestione di oggetti non alimentari), del comportamento
sessuale (esibizionismo, proposte inadeguate) o dell'interazione sociale (rapporti interpersonali
controproducenti, linguaggio volgare). Può anche presentarsi un repertorio di comportamenti
reiterati e inopportuni di ricerca e di collezionismo di oggetti, che spesso ricalcano le occupazioni
svolte da più giovane. In ultimo, possono verificarsi comportamenti di tipo distruttivo: tendenza alla
fuga, azioni incontrollate, urla, aggressività fisica; comportamenti, e questi mettono realmente a
dura prova la capacità del caregiver. Progressivamente il paziente perde la capacità di organizzarsi
in modo autonomo, è compromesso lo svolgimento dei compiti complessi, soprattutto di quelli che
richiedono maggiore pianificazione, come l'attività lavorativa, finanziaria, di cucinare e
progressivamente vengono compromesse anche le attività più semplici quali chiamare per telefono,
utilizzare apparecchi domestici, ecc. Nelle fasi più avanzate, il paziente diviene incapace di
provvedere alle funzioni relative all'auto-cura, come lavarsi, vestirsi, alimentarsi e finisce con
l'essere completamente dipendente dagli altri.
Il soggetto tende progressivamente a perdere la propria identità personale; una parte del sè viene
erosa dalla demenza, mentre altri aspetti sono meno feriti o rimangono funzionanti nonostante la
malattia (purché non nelle fasi ultime della malattia).
21
Merita di essere menzionata, all'interno dell'analisi delle alterazioni cognitivo-comportamentali, il
mantenimento della religiosità del paziente, anche durante le fasi avanzate della malattia.
Ciò costituisce una sorpresa spesso per il caregiver, il paziente ricorda le preghiere, i canti religiosi
e sa come comportarsi adeguatamente durante la Messa o come realizzare gesti simbolici di
contenuto religioso. La religiosità può favorire un senso di unità e di connessione all'interno del sè
contrastando sentimenti di perdita e di frammentazione. Diversi studi indicano che la spiritualità è
un importante fattore di coping per i caregiver (Whitlach e coll.1992).
Tra i bisogni profondi di una persona c’è il sentirsi soggetto del proprio agire e delle proprie scelte.
Il perdere la propria capacità decisionale di fare cose che prima della malattia si era in grado di fare
comporta angoscia e di irritabilità. Se posti davanti ad uno specchio, soggetti dementi spesso
diventano nervosi o ignorano che l'immagine riflessa sia la loro, e interagiscono con quell'immagine
come se fosse presente qualcun altro nella stanza. Queste difficoltà allo specchio sono ben
conosciute e potrebbero essere interpretate come l'esito di una perdita del sè o a parti del sè
(Bentham e Hodges, 2002). Sabat (2001) sostiene che a ferire il sè di una persona demente non sia
solo la malattia, ma anche il senso di umiliazione e di vergogna, che sarebbe l'esito di un contesto
relazionale negativo. Kitwood (1990) parla di "psicologia sociale maligna" riferendosi ai danni che
il contesto relazionale può causare ad una persona sofferente di demenza.
La malattia di Alzheimer è una delle più terribili che può colpire l'essere umano, perché lo priva di
alcune funzioni peculiari specifiche dell'uomo, come la coscienza personale, la memoria, il
linguaggio e non ultima la vita affettiva. Assistere e curare un malato di demenza può essere molto
difficile, in quanto occorre trovare tutta la dignità dell'essere umano. Infatti questa malattia
rappresenta il risultato di un processo degenerativo irreversibile in cui concorrono alterazioni
neurologiche, aspetti psicologici e psicopatologici individuali, aspetti fisici e sociali, ed anche
spirituali, ed è necessario quindi costruire dei modelli assistenziali personalizzati per aiutare ad
utilizzare al meglio le residue capacità e di permettere la miglior qualità di vita possibile.
La limitata risposta della terapia farmacologica nelle demenze vascolari e degenerative, la
complessità della malattia, il suo forte impatto sull’equilibrio sia familiare che sociale. sono gli
aspetti che hanno indotto i ricercatori ad intervenire con strumenti alternativi che agiscano sulla
sfera cognitiva, comportamentale, emotiva e relazionale in quei pazienti affetti da demenza di grado
lieve o moderato in cui la memoria remota sia ancora sostanzialmente conservata e non sono
totalmente compromesse le funzioni sensoriali. Tali strumenti sono finalizzati a ridurre il livello di
disabilità del paziente, migliorare la sua qualità di vita e quella della famiglia, nonché, ove possibile,
22
rallentare il decorso della malattia potenziando le residue capacità cognitive, fisiche e affettive.
Assistere una persona affetta da demenza vuol dire intervenire sui deficit cognitivi, sui disturbi del
comportamento e sui deficit funzionali: tutto ciò presuppone un coinvolgimento attivo della persona,
della famiglia e del personale di assistenza in caso di paziente istituzionalizzato.
Negli ultimi anni la letteratura in campo di trattamento farmacologico dei BPSD è stata molto
corposa, tuttavia la reale utilità dei farmaci nel trattamento dei BPSD è ancora oggetto di
discussione, perché gli studi effettuati sottostimano l'importanza dei rapporti interpersonali
(relazioni sociali, approcci assistenziali), delle caratteristiche del caregiver, dei counselling, dei
fattori ambientali, svalutando il reale disagio per i pazienti con demenza: vocalizzazione ed
attivazione motoria aberrante, per esempio, sarebbero disturbanti per il caregiver, ma non per il
malato; vi sono inoltre pochi studi combinati farmaci- interventi non farmacologici.
Altri studi molto interessanti evidenziano il fatto che la gravità dei sintomi comportamentali
dipenda maggiormente da variabili legate a chi assiste il paziente. Più che a caratteristiche
dell'assistito. (Sink, Yaffe et al. JAGS, 2006). Alla luce dei molteplici studi sull'argomento
sembrerebbe chiaro che l'approccio farmacologico convenzionale con cui vengono trattate alcune
tipologie di pazienti, risulta essere inefficace in quanto tende a scindere l'unità corpo-mente
dell'individuo e non considera il lato psicologico del soggetto. Il paziente affetto da determinate
patologie va trattato non solo dal medico, ma anche da figure che permettano un collegamento tra
ambiente e soggetto tenendo conto delle sue sensazioni, dei suoi stati d'animo e permettendo di
esprimersi nel miglior modo possibile e di affrontare al meglio il disagio psicologico secondario alla
malattia. Scopo delle terapie non farmacologiche è la cura ma è quello di migliorare la qualità della
vita delle persone, di sviluppare le loro qualità e le loro risorse. A questo proposito è bene ricordare
che è riabilitazione qualunque intervento o costellazione di interventi che tendano a diminuire gli
svantaggi sociali di un handicap fisico psichico e a diminuire le barriere edificate dalla società nei
confronti di tale handicap (Saraceno, 1985).
23
Capitolo 2: Disturbi comportamentali
2.1 Caratteristiche dei BPSD
Negli ultimi anni, nella letteratura corrente relativa alla diagnosi di soggetti con diagnosi di
demenza si è assistito ad un'evoluzione di vaste proporzioni e anche nel linguaggio comune è
entrato in uso l'acronimo BPSD (Behavioural and Psychological Symptoms of Dementia) (Finkel,
2000). Tale termine è stato introdotto per descrivere quel gruppo di sintomi non cognitivi che
possono esordire nella demenza. I disturbi comportamentali sono presenti in percentuali diverse nel
paziente affetto da MCI (deterioramento cognitivo lieve) e AD (tabella 4) e possono essere
raggruppati in quattro cluster:
- emotivo, costituito da depressione, ansia, irritabilità, ansia, agitazione, seguiti da apatia (Hwang et
al.,2004)
- neurofisiologico, quali disturbi del comportamento alimentare e disturbi del sonno
(Beaulieu-Bonneau et al.,2009)
- comportamentale, prevalentemente rappresentato dall'aggressività (Apostolova et al.,2008) fisica e
verbale, iperattività, wandering
- psicotico, quali deliri, che sembrano essere in realtà statisticamente presenti in misura minore in
fase preclinica della malattia e maggiore nella fase avanzata
BPSD
MCI
AD
Depressione
+++
+++
Ansia
+++
+++
Irritabilità
+++
+
Apatia
+++
+++
Alterazioni del sonno
+++
+
Aggressvità
+
+++
Iperattività
+++
+++
Wandering
Deliri
+++
+
Tabella 4
24
+++
Il termine BPSD non è un’entità diagnostica, ma descrive bene una dimensione clinica
fondamentale della demenza (Lawlor BA.3). Oltre il 50% dei pazienti con demenza, assistiti al
domicilio, presenta almeno un disturbo del comportamento. Nei pazienti con demenza di grado
severo, ricoverati in RSA, l’88% presenta tre o più disturbi del comportamento (Ghianda D.5). Il
decorso è spesso fluttuante e non co-lineare all’andamento dei disturbi cognitivi e funzionali della
sindrome demenziale (Carbone G.4). Studi recenti, condotti su un numero rilevante di pazienti,
hanno confermato che non sempre la gravita della demenza è associata ad un peggioramento dei
BPSD (Ricci G.6).
I BPSD hanno un ’ alta variabilità nei vari soggetti e all’interno dei diversi tipi di demenza, nella
tipologia, nella gravità ed nell’epoca di comparsa. I disturbi comportamentali nel paziente demente
sono molto eterogenei da soggetto a soggetto, generalmente compaiono durante la fase iniziale del
processo di deterioramento cognitivo, mentre tendono ad regredire quando la demenza ha raggiunto
uno stadio avanzato e diventa predominante la compromissione del quadro cognitivo. Per questo è
possibile fare una distinzione, i BPSD nei MCI e nell'AD (figura) in quanto hanno una frequenza
diversa, correlata alla gravità e alla localizzazione della degenerazione neuronale. In linea generale,
i sintomi che compaiono più precocemente sono quelli legati alla sfera affettiva (ansia, depressione),
mentre negli stati più avanzati della demenza diventano più frequenti i disturbi del comportamento,
del pensiero e della percezione (agitazione, allucinazioni, deliri). Particolare attenzione è stata posta
al delirium e alla depressione, anche perché all'esordio di malattia, questi sintomi possono
confondere il riconoscimento della demenza. Il delirium è una sindrome che comporta deficit di
attenzione, di vigilanza e di percezione (American Psychiatric Association, 1994). Come la
demenza, il delirium è caratterizzato da un deficit di cognitivo globale, tuttavia si distingue per
l'esordio acuto, per le marcate fluttuazioni delle prestazioni cognitive nel corso della giornata, per le
interruzioni della coscienze e dell’attenzione e le alterazioni del ciclo sonno-veglia. Anche le
allucinazioni e illusioni visive sono comuni. La depressione, come il delirium, può essere confusa
con MCI e la loro differenza rappresenta una sfida diagnostica. Pazienti affetti da AD presentano
stessi sintomi depressivi, tuttavia mentre i pazienti affetti da AD spesso minimizzano deficit
cognitivi, il paziente depresso mostra spesso una compromissione della motivazione durante la
valutazione
cognitiva
espressa
si
palesa
attraverso
frasi
di
autosvalutazione.
Il linguaggio e le abilità motorie solitamente rimangono intatte nel paziente con depressione e
spesso sono alterate in quello con AD.
25
Nella demenza si possono largamente riscontrare sintomi quali ansia e irritabilità, associati
solitamente
a
preoccupazioni
secondarie
alla
perdita
delle
capacità
mnestiche.
Una tipologia di disturbi comportamentali che spesso è poco comprensibile per i familiari e che crea
le maggiori difficoltà quotidiane e la disinibizione. In questo ambito rientrano tutti quei
comportamenti ritenuti socialmente inappropriati, come lo spogliarsi in pubblico, prendere con le
mani il cibo nel piatto degli altri, pur in aree in luoghi pubblici o fare avances sessuali. Tali
comportamenti sono solitamente determinati da una scarsa capacità di giudizio e dall'impulsività.
I BPSD, pur presentandosi nel AD, sono più caratteristici delle demenze fronto-temporali.
Nella demenza di Alzheimer è più frequente il cosiddetto wandering (vagabondare), specialmente
nelle fasi più avanzate, ovvero la necessità del paziente di spostarsi continuamente e talvolta di
scappare e la severità della demenza è spesso associata con un aumento della frequenza dei BPSD
clinicamente rilevanti. Si possono manifestare allo stesso modo comportamenti ripetitivi afinalistici,
come compiere semplici movimenti stereotipati delle mani, aprire e chiudere di continuo cassetti e
armadi. Nella demenza vascolare (VaD) la gravità della demenza non sembra avere alcun impatto
sulla frequenza dei BPSD, eccetto per l’apatia e l’attività motoria aberrante. Nella demenza a corpi
di Lewy (LBD) la frequenza di deliri, di allucinazioni, della disinibizione e dei disturbi del sonno
aumenta con la severità della demenza.
I BPSD si pongono come elemento di valutazione
importante anche perché risultano essere l'elemento maggiormente correlato alla sicurezza del
paziente, alle patologie psicologiche stress-correlate dei caregiver, all'istituzionalizzazione del
paziente e ovviamente ai costi di gestione a livello delle RSA che richiedono oltre ad ambienti
adatti anche formazione del personale e per la gestione degli staff.
Nelle prime fasi del processo di malattia di pazienti possono rendersi conto di alcune alterazioni di
personalità, irritabilità, ansia o depressione, per poi perdere in seguito la capacità di critica e di
giudizio e la consapevolezza delle loro problematiche. La valutazione neuropsicologica di questi
pazienti può essere utile per le loro famiglie per capire le motivazioni di sintomi particolari, di certi
comportamenti o di cambiamenti radicali della personalità, ma può essere d'aiuto anche ai caregiver
nell'ambito della gestione del paziente.
Di solito i sintomi non cognitivi che compaiono più
precocemente sono quelli legati alla sfera affettiva (ansia, preoccupazione eccessiva, tristezza),
mentre negli stadi avanzati della demenza diventano più frequenti i disturbi del comportamento, del
pensiero e quelli percettivi (agitazione, erronei riconoscimenti, deliri).
Per quanto concerne gli aspetti neurobiologici della patogenesi dei BPSD, si ritiene che vi sia una
correlazione fra deplezione di acetilcolina e deficit mnesici. Il deficit colinergico contribuisce alla
26
comparsa delle allucinazioni nella Demenza di Alzheimer e nella Demenza a corpi di Lewy.
La gravità delle manifestazioni psicotiche è legata al deficit colinergico nelle aree temporali e
parietali. La condizione ipocolinergica determina un aumento relativo dopaminergico, che
potrebbe contribuire alle manifestazioni psicotiche.
Per quanto riguarda invece il sistema serotoninergico e adrenergico, ridotti livelli di serotonina
giocano un ruolo importante nell’agitazione e nell’impulsività.
I disturbi dell’umore nei dementi migliorano con l’uso di farmaci inibitori della ricaptazione della
serotonina – SSRI. La norepinefrina (NE) si riduce in caso di depressione. Aumentati livelli di NE
sono spesso associati ad un inadeguato controllo della rabbia e del comportamento violento
(Bongiovanni P.8). Inoltre l’alterata regolazione dei sistemi trasmettitoriali GABAergici,
serotoninergici e noradrenergici è correlata all’insorgenza di agitazione/aggressività (Eichelman B.9)
(Stoppe G.10). Tali relazioni sono scarsamente dimostrabili e difficili da analizzare nel dettaglio, in
quanto il medesimo neurotrasmettitore agisce su siti differenti e su recettori diversi esplicando
plurime azioni, spesso addirittura antitetiche.
La patogenesi biopsicosociale dei BPSD contempla l’influenza di numerosi fattori, variabilmente
interconnessi (Finkel SI.2):
1-Fattori Psichici: personalità premorbosa, predisposizione
2-Fattori Biologici: comorbilità, fattori genetici, processo demenziale
3-Fattori Interpersonali: stress del caregiver, inadeguatezza della rete sociale
4-Fattori Ambientali: trasferimento, ospedalizzazione/istituzionalizzazione
Figura 2: frequenza dei singoli BPSD
27
Importante valutare nella insorgenza dei BPSD l’impatto di fattori potenzialmente causali o
concausali diversi dalla demenza stessa, quali gli stati confusionali indotti da patologie metaboliche
ed infettive, stipsi, ritenzione urinaria, farmaci, dolore (Hersch E.C.7). aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Problematiche quali il dolore, la febbre, la disidratazione, la fame, l’ipoglicemia, l’insonnia possono
portare ad agitazione anche severa come espressione di uno squilibrio sottostante, il quale a sua
volta deve divenire il bersaglio del trattamento medico; in tali casi il tentativo di controllare il
sintomo dell’agitazione, equivale a silenziare un campanello d’allarme. In particolare il dolore è
frequentemente sottovalutato nel demente, anche a causa della difficoltà da parte di quest’ultimo di
riferirlo, descriverlo e renderlo manifesto come tale. Quando i BPSD non sono espressione di un
sottoastante problema clinico in atto, ma sintomo della progressione della sindrome demenziale, la
loro origine resta essenzialmente sconosciuta.
Le caratteristiche dei BPSD (Dongiovanni P, 2010)
1 - Modificazioni della personalità
E’ frequente che la demenza si manifesti precocemente con alterazioni del carattere,
generalmente nel senso di un’accentuazione dei tratti caratteristici della personalità, talvolta con la
comparsa di caratteristiche opposte. Dal punto di vista psicopatologico, si può interpretare come
l’accentuazione di caratteristiche preesistenti come tentativo del soggetto di riconfermare la propria
identità, oppure come la comparsa di tratti opposti come tentativo di adattamento ad una situazione
mutata, con la ricostruzione di una nuova identità.
2 - Alterazione dell’umore
Il tono dell’umore è quasi sempre alterato, la depressione è il sintomo più frequente; si possono
osservare anche disforia, euforia, ansia spesso associata a fobie, labilità emotiva. aaaaaaa
Dal punto di vista psicopatologico si può interpretare la depressione come una reazione secondaria
ad una situazione clinica caratterizzata da perdita della forza, della salute, di persone care, del ruolo
sociale, dell’autonomia, del ruolo sociale o come, come una negazione della perdita.
3 - Affaccendamento
E’ l’aumento dell’attività motoria afinalistica, fino alla manipolazione inconcludente di tutti gli
oggetti che capitano sottomano. Tipica è la “spinta verso casa” che si osserva quando il soggetto si
28
trova in ambienti non familiari e che lo induce a raccogliere tutto ciò che trova e a farne fagotto per
“andare a casa”. La spinta verso casa è una reazione comprensibile tenendo conto del
disorientamento spazio-temporale e dei deficit mnesici. Frequente è anche l’irrequietezza motoria,
che può sfociare in un incremento deambulatorio simil-acatisiaco.
4 - Aggressività
Può essere verbale o fisica, diretta versi cose o verso persone. In genere è espressione di rabbia,
paura, frustrazione o timore, talvolta non immediatamente comprensibili, dovuti ad una erronea
interpretazione delle situazioni o dei comportamenti altrui.
5 - Vocalizzazione persistente
Il soggetto dice o domanda le stesse cose più volte o si lamenta in maniera continua. È conseguenza
del deficit di memoria e di capacità critica.
6 - Dispercezioni
Possono essere secondarie all’alterazione dell’attenzione o dello stato di coscienza, come i falsi
riconoscimenti, o le allucinazioni, prevalentemente di tipo visivo o uditivo; non sono rare le
allucinazioni ipnagogiche, soprattutto quando il ritmo sonno-veglia è alterato.aaaaaaaaaaaaaaaaa
Le allucinazioni sono probabilmente espressione del danno cerebrale causato dal processo morboso.
7 - Disturbi del contenuto del pensiero
Possono essere idee prevalenti o vere e proprie idee deliranti, che non raggiungono mai una
sistematizzazione. Possono essere sviluppi di personalità, conseguenti a disturbi della memoria, a
disturbi percettivi, a una ridotta stimolazione sensoriale e/o sociale. aaaaaaaaaaaaaaaaaa
I contenuti dei deliri esprimono spesso delle preoccupazioni comprensibili (il delirio di latrocinio si
collega al tema della perdita relativa a oggetti materiali e vissuto in chiave paranoica, anziché
depressiva; il delirio di gelosia esprime il timore di perdere le persone care; il delirio di
nocumento/veneficio ed il delirio ipocondriaco si collegano al timore della perdita della salute ed al
timore della morte; il delirio di Cotard esprime la negazione del timore della morte).
8 - Disturbi del sonno ritmo sonno-veglia.
L’insonnia iniziale può rientrare in un quadro ansioso, mentre l’insonnia terminale
29
può essere manifestazione di una sindrome depressiva; l’inversione del ritmo sonno-veglia è
probabilmente legata ad un’alterazione dei centri neurologici che regolano i ritmi circadiani, dovuta
al processo morboso cerebrale.
9 - Disturbi dell’appetito
Consistono in una riduzione dell’appetito, meno frequentemente in iperfagia o in iperoralità.
La riduzione dell’appetito può rientrare in un quadro depressivo, mentre l’aumento dell’appetito e
l’iperoralità sono più comunemente presenti in un quadro di disinibizione.
10 - Disturbi della sessualità
Riduzione e/o assenza del desiderio sessuale nei quadri depressivi; ipersessualità, anche con
comportamenti socialmente inopportuni, nei quadri di euforia e/o disinibizione.
11 - Confabulazione
E’ la produzione di falsi ricordi a riempimento delle lacune mnesiche del passato recente. Questa
neoproduzione, accurata e fantasiosa, attinge a diversi frammenti mnemonici dell’esperienza
passata ed agli stimoli dell’ambiente; è tipicamente influenzabile per via suggestiva. Rappresenta un
tentativo di mantenere la continuità nel tempo, e quindi il senso di sé, nonostante i deficit mnestici.
12 - Reazioni catastrofiche
Sono improvvise esplosioni emotive verbali e/o fisiche in risposta ad eventi stressanti di
qualsivoglia origine (ambientale, somatica, ecc) non comprensibili al soggetto di qualsivoglia.
Sono spesso innescate da deliri, allucinazioni, dispercezioni e ansia.
Si manifestano con crisi di pianto, urla e bestemmie, minacce aggressive, morsi, calci, ecc.
13 - Collezionismo
E’ la continua ed incessante raccolta ed accumulo di oggetti, generalmente irrilevanti e di nessuna
necessità. Rappresenta il tentativo di reazione al timore della perdita, alimentato dalle perdite reali e
dai deficit mnesici.
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Uno degli elementi fondamentali per poter trattare efficacemente i BPSD dopo averli
correttamente identificati (dopo una corretta diagnosi differenziale con le forme sintomatiche), è la
quantificazione del problema.
Numerosi sono gli strumenti preparati ed utilizzati a tale scopo, tra i quali di particolare utilità sono:
la Cohen- Mansfield Agitation Inventory (CMAI), la Neuropsychiatric Inventory: Nursing Home
version (NPI-NH) e la Behavioral Pathology in Alzheimer Disease (BEHAVE-AD).
Queste nello specifico hanno il vantaggio di essere state validate e mirate (Zaudig M.11) (De Deyn
P.P.12).
L’utilizzo di scale di misurazione dei BPSD diventa utile sia in fase di scelta dei trattamenti, sia per
la valutazione degli effetti del trattamento stesso al fine di garantirne il monitoraggio e l’eventuale
sospensione o variazione.
In conclusione, i BPSD sono un paradigma della complessità psicogeriatrica e rappresentano un
outcome primario nella gestione delle demenze (Finkel S.I., Costa J. 13), in quanto determinano:
● Un aumento della disabilità e un peggioramento delle prestazioni cognitive;
● Un aumento del rischio d’istituzionalizzazione;
● Nei pazienti istituzionalizzati aumentano il rischio di:
- essere sottoposti a contenzione fisica
- ricevere farmaci antipsicotici
- influenzare negativamente gli altri ospiti
● Un’aumento dello stress fisico e psichico dei caregiver e dello staff assistenziale (Rodney V.14):
- per via di un ridotta qualità di vita del caregiver e del paziente.
 


- per un aumento significativo dei costi economici, sociali e sanitari della malattia (carico
assistenziale, intervento medico, ricoveri, prescrizione farmacologica).
Circa il 35% del costo annuale delle nursing home americane per ospiti con Malattia di Alzheimer è
dovuto alla gestione dei BPSD.
I BPSD pongono una serie di problematiche gestionali sia in termini di disagio del paziente, sia in
termini di rischio di incolumità del paziente e di chi gli vive accanto.
La gestione di una parte di questi disturbi è, almeno parzialmente, farmacologica e ciò pone una
serie di problematiche inerenti la sicurezza, l’efficacia e la tollerabilità dei farmaci utilizzati, la loro
reciproca interazione e la loro interferenza con le residue autonomie del paziente e con la sua
31
personalità. I BPSD che meglio sembrano rispondere alle terapie farmacologiche sono l’ansia, i
sintomi depressivi, i disturbi del sonno, l’agitazione fisica e verbale, i comportamenti sessuali
inappropriati, le allucinazioni, i deliri e talune manifestazioni di aggressività; al contrario wandering,
il comportamento antisociale (ad esempio manifestazioni di aggressività come il picchiare), i
comportamenti stereotipati afinalistici, i vocalizzi e la trascuratezza, sembrano resistenti a ogni tipo
di trattamento farmacologico (Maletta G.J.17) (Stoppe G.10).
Il riconoscimento dei sintomi target consente, in riferimento alla citata classificazione di MC Shane,
di agire con una terapia farmacologia mirata.
Al riguardo i farmaci utilizzabili per specifici cluster di BPSD possono essere:
- Per la psicosi: antipsicotici, inibitori delle colinesterasi
- Per la depressione, ansia: antidepressivi, benzodiazepine
- Per l’apatia: inibitori delle colinesterasi
- Per l’aggressività: antipsicotici
- Per l’agitazione psicomotoria: antipsicotici, benzodiazepine
In relazione a tale complessità di trattamento, l’uso dei farmaci nella gestione dei BPSD è al centro
delle attenzioni della comunità medica e scientifica, al fine di ottenere evidenze di effettiva utilità,
tollerabilità e sicurezza nel rispetto della persona e delle normative vigenti, in riferimento ai principi
della farmaco-economia. Tale equilibrio è sicuramente difficile, le evidenze non sono ancora
definitive.
È importante ricordare che per qualsiasi molecola psicoattiva, specialmente negli anziani, è
necessario titolare lentamente il farmaco e adeguarne il dosaggio per un miglior rapporto
costo/beneficio.
32
2.2 Il percorso clinico indicato da AIFA
1. Valutare attentamente il disturbo da trattare. Nei malati di demenza, infatti, non tutti i disturbi del
comportamento richiedono un trattamento con antipsicotici. Tale trattamento deve essere, infatti,
riservato al controllo dei disturbi comportamentali gravi che non abbiano risposto all'intervento non
farmacologico (modifiche ambientali, counseling, ecc.);
2. Iniziare la terapia con una dose bassa e raggiungere gradualmente il dosaggio clinicamente
efficace;
3. Se il trattamento è inefficace, sospendere gradualmente il farmaco e prendere eventualmente in
considerazione un diverso composto;
4. Se il trattamento è efficace, continuare a trattare e monitorare il soggetto per un periodo 1-3 mesi
e poi, una volta che il soggetto sia asintomatico, tentare di sospendere gradualmente il farmaco. Gli
alti tassi di risposta al placebo in tutte le sperimentazioni effettuate (mediamente attorno al 40%) ci
ricordano infatti che siamo in presenza di sintomi per loro natura fluttuanti nel tempo e che talvolta
tendono a risolversi spontaneamente nel breve periodo;
5. Evitare di somministrare due o più antipsicotici contemporaneamente. Questa pratica che
dovrebbe essere eccezionale è in realtà troppo diffusa: da stime nazionali a circa il 2% dei dementi
nella popolazione generale e circa il 14% di quelli istituzionalizzati vengono somministrati due o
più antipsicotici contemporaneamente.
In genere gli antipsicotici agiscono sui medesimi sistemi recettoriali o su classi analoghe di recettori:
farli competere è inutile ai fini di aumentarne l’effetto e controproducente in termini di somma di
effetti collaterali;
6. Evitare l'uso concomitante di antipsicotici e benzodiazepine. Una percentuale variabile tra l'1 e il
5% dei dementi nella popolazione generale e circa il 17% di quelli istituzionalizzati vengono trattati
con antipsicotici e ansiolitici/ipnotici contemporaneamente. A più del 4% dei dementi in istituzione
vengono somministrati contemporaneamente tre o più tra antipsicotici e ansiolitici ipnotici.
Anche questa associazione andrebbe fortemente limitata, soprattutto alla luce della dichiarazione
33
dell'EMEA che riporta l'uso concomitante di benzodiazepine e olanzapina tra i fattori predisponenti
associati all'aumento di mortalità.
Gli antipsicotici, spesso per il loro effetto anche antistaminico, sono di per sé ipnoinducenti e per
tanto non dovrebbe essere necessario associarli a benzodiazepina.
Circa il rischio di aumento di mortalità o di eventi cardio-cerebrovascolari, il dato è purtroppo
inficiato da BIAS statistici; da ciò si evince che tale rischio dovrebbe sempre essere considerato
anche in relazione alle necessità terapeutiche dei singoli pazienti, alle evidenze di efficacia della
terapia con tali antipsicotici alla fase della malattia, alle altre patologie coesistenti e alla sicurezza
ed all’efficacia dei trattamenti alternativi;
7. Monitorare attentamente sicurezza ed efficacia degli antipsicotici e segnalare
tempestivamente tutti gli eventuali effetti indesiderati.
È necessario porre attenzione in primis al livello di vigilanza, di capacità di interazione, alla fluidità
nei movimenti e all’autonomia. In un secondo tempo saranno valutabili il tono dell’umore (che
tende a deflettere con gli antipsicotici) e un l’eventuale sindrome extrapiramidale con le sue
manifestazioni: l’ipertono plastico, la fissità dello sguardo, l’acatisia, i movimenti discinetici, i
tremori, ecc;
8. Somministrare con estrema cautela gli antipsicotici a soggetti con fattori di rischio
cardiovascolare dopo attenta valutazione dello stato clinico e con rivalutazione dei parametri vitali a
distanza di una settimana dall’inizio della terapia.
I BPSD sono particolarmente frequenti e rilevanti anche nelle demenze vascolari e spesso proprio in
questi soggetti gli antipsicotici diventano essenziali; è quindi necessario informare attentamente il
paziente e i famigliari circa l’incremento del rischio cardio-cerebro-vascolare legato alla terapia,
che, in un momento in cui la malattia è in fase di accelerazione, si somma al rischio insito nello
stesso processo morboso.
34
Capitolo 3: Le terapie farmacologiche
La terapia dei disturbi comportamentali associati alla demenza si avvale dei cosiddetti farmaci
antipsicotici che sono nati per il trattamento della schizofrenia, ma sono efficaci anche in altre
psicosi e in stati di agitazione psichica. La clorpromazina, la promazina, l'aloperidolo, il
zuclopentixolo e la clotiapina sono considerati antipsicotici tipici, mentre l'olanzapina, la
quietiapina e il risperidone sono considerati antipsicotici atipici (AA). Quelli tipici sono meno
recenti e hanno un maggior numero di effetti collaterali che ne limita l'impiego, quelli atipici sono
anche definiti antipsicotici di seconda generazione.
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Gli antipsicotici atipici vengono largamente utilizzati nel trattamento dei BPSD, i loro benefici sono
almeno in parte incerti e dubbi sulla loro sicurezza sono emersi nel tempo.
In un trial in doppio cieco, contro placebo, che confrontava risperidone, olanzapina, quetiapina e
placebo (Schneider L.S., Tariot P.N.26), per trattare psicosi, aggressività e agitazione in pazienti
con AD, non sono emerse differenze significative almeno per quanto misurabile con la scala CGIC
(Global Impression on Changing) e gli effetti avversi avevano superato i benefici.
In una review della Cochrane su 16 studi controllati, si concludeva che olanzapina e risperidone
erano effettivamente i più efficaci, ma allo stesso tempo i più gravati da effetti collaterali soprattutto
cardiovascolari (Ballard C.27). Nessuno degli atipici sembra avere un rapporto costo/beneficio
superiore agli altri. Gli studi sugli atipici convergono nel consigliarne l’uso in quei pazienti in cui i
BPSD sono molto interferenti con la quotidianità e in cui non sussistano particolari presupposti di
rischio cardiovascolare (De Deyn P.P.25).
Opinioni contrastanti, invece, si rilevano per quel che riguarda la sicurezza di tali farmaci.
Un gruppo italiano concludeva nel 2008 uno studio osservazionale retrospettivo della durata di 12
mesi sull’uso dei farmaci atipici, affermando che i neurolettici atipici ed in particolare la quetiapina
risultano farmaci sicuri, perlomeno rispetto ai parametri monitorati (QT, frequenza cardiaca,
pressione in clino e ortostatismo) sottolineando che tali risultati erano comunque in linea con i dati
della letteratura scientifica.
Una recente review sulla gestione di agitazione e aggressività nell’AD (Ballard C.28) conferma che
gli atipici hanno dimostrato una efficacia statisticamente significativa, almeno nel breve periodo (612 settimane) pur con il rischio di complicanze anche serie, inclusi stroke e morte e inoltre come
memantina e citalopram siano, sotto attenta analisi, possibili alternative efficaci e sicure.
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Gli AA sono attualmente i farmaci più comunemente utilizzati in questo contesto clinico per la loro
migliore tollerabilità per la loro maggior sicurezza rispetto ai neurolettici tipici. Infatti, gli AA
presentano in particolare una minore incidenza di effetti di tipo extrapiramidale ed anticolinergico,
correlati con un decremento del rischio di cadute.
Di fatto, comunque, i neurolettici atipici presentano a loro volta alcuni effetti collaterali: tra i più
importanti, i disturbi metabolici, l’aumento di peso ed effetti avversi di tipo cerebrovascolare
(stroke ischemico) e cardiovascolare. Riguardo a quest’ultimo aspetto, i dati forniti dalla letteratura
internazionale sono piuttosto controversi: parere concorde è espresso sul riscontro di ipotensione
ortostatica; al contrario sull’osservazione degli intervalli elettrocardiografici PQ e QTc (raramente
modificati) e della frequenza cardiaca, molti studi sull’efficacia e la sicurezza del trattamento con
neurolettici a lungo termine hanno confermato l’assenza di effetti negativi; altri, invece, sembrano
affermare il contrario soprattutto per quanto riguarda le conseguenze sull’intervallo QTc.
Possiamo concludere che tutti gli studi internazionali condotti sull’uso dei farmaci neurolettici
atipici nel trattamento dei disturbi del comportamento associati a demenza concordano sulla loro
efficacia a lungo termine.
3.1
Clorpromazina
Storicamente fu uno dei primi farmaci ad essere definito “antipsicotico” e tuttora è ancora
largamente impiegato. Fa parte delle fenotiazine, più precisamente del sottogruppo dei derivati
alifatici. Negli anziani la posologia deve essere attentamente stabilita dal medico, che dovrà
eventualmente valutare una riduzione dei normali dosaggi che si attestano tra i 25-75 mg per via
orale suddivisi nel corso della giornata. Il dosaggio dipende dalla situazione patologica presa in
considerazione.
Le sue indicazioni sono: il trattamento delle schizofrenie, degli stati paranoici, della mania, delle
psicosi tossiche (amfetamine, LSD, cocaina etc.), delle sindromi mentali organiche accompagnate
36
da delirio, dei disturbi d'ansia se particolarmente gravi e resistenti alla terapia con ansiolitici tipici,
della depressione se accompagnata da agitazione e delirio, specie in associazione con antidepressivi,
del vomito e del singhiozzo incoercibile. E’inoltre adoperato nel trattamento dei dolori intensi
generalmente in associazione con analgesici stupefacenti e nelle medicazioni preanestetiche.
3.2
Promazina
Fa parte degli antipsicotici fenotiazinici, viene utilizzato nel trattamento dell’agitazione
psicomotoria o del comportamento aggressivo. Tramite la soluzione in gocce può essere
somministrato anche per via orale, ogni goccia equivale a 2mg di farmaco. E' consigliabile non
superare le 25 gocce al giorno, suddividendole nel corso della giornata.
Le sue indicazioni sono sovrapponibili a quelle della clorpromazina.
3.3
Aloperidolo
Fa parte dei derivati butirrofenonici ed è l’antipsicotico più largamente usato nella pratica clinica.
Ha un azione più potente e con meno effetti collaterali sul sistema nervoso extrapiramidale rispetto
agli altri antipsicotici. È il farmaco antidelirante e antiallucinatorio per eccellenza. Cosi come per la
clorpromazina la posologia varia in base alla patologia e alla condizione del paziente, negli anziani
il medico deve sempre prendere in considerazione le varizioni farmacocinetiche e aaaaaaa
farmacodinamiche dettate dell'età e valutare un'eventuale variazione del dosaggio, che vanno da 5
mg ad un massimo di 60 mg al giorno. Le indicazioni per la forma in gocce sono: agitazione
psicomotoria in caso di stati maniacali, demenza, oligofrenia, psicopatia, schizofrenia acuta e
cronica, alcoolismo, disordini di personalità di tipo compulsivo, paranoide, istrionico, deliri,
allucinazioni in caso di schizofrenia acuta e cronica, paranoia, confusione mentale acuta, alcoolismo
37
(Sindrome di Korsakoff), ipocondriasi, disordini di personalità di tipo paranoide, schizoide,
schizotipico, antisociale, alcuni casi di tipo borderline. movimenti coreiformi. agitazione,
aggressività, reazioni di fuga degli anziani, tics, balbuzie, vomito, singhiozzo e sindromi da
astinenza da alcool.
3.4
Quietiapina
La quietiapina è un derivato dibenzotiazepinico appartenente al gruppo dei cosiddetti antipsicotici
"atipici". Possiede una maggiore affinità di legame con i recettori 5HT2A della serotonina rispetto
ai recettori D2della dopamina. Antagonizza inoltre i recettori adrenergici alfa1e alfa2 e
H1dell'istamina; non si lega invece ai recettori colinergici muscarinici o delle benzodiazepine.
E' il farmaco in assoluto più utilizzato e più efficace nel trattamento dei disturbi comportamentali
associati a demenza. Ben assorbita dopo somministrazione orale, la quetiapina raggiunge il picco
dei livelli plasmatici entro 3 ore, con un’emivita di 6-7 ore. Viene inattivata a livello epatico dal
sistema enzimatico P450 e viene eliminata con le urine (73%), principalmente sotto forma di
metaboliti inattivi e in minima parte con le feci. Negli anziani l'eliminazione del farmaco si riduce
del 30-50%, mentre nei pazienti con insufficienza renale o epatica non risultano modificati i
parametri farmacocinetici. Il dosaggio più basso è una compressa da 25 mg, si possono assumere
anche 4 compresse al giorno purchè suddivise nell'arco della giornata. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
La quietiapina è indicata nel trattamento delle psicosi acute e croniche, inclusa la schizofrenia.
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I suoi effetti collaterali possono interessare l'apparato cardiovascolare (ipotensione ortostatica 10%,
sincopi 1%, allungamento del tratta QT 0.1%), il sistema nervoso centrale (cefalea 19%, sonnolenza
18%, sintomi extrapiramidali 8%), la cute (rash maculopapulare 4%), l'apparato ematopoietico
(leucopenia e neutropenia transitorie (riduzione della conta dei neutrofili inferiore a 1,5x109/L: 23%), il sistema endocrino (riduzione T4 20%), l'apparato gastrointestinale (bocca secca 10%,
costipazione 9%, dispepsia 6%), gli occhi (alterazioni del visus 11,3%), e infine a livello metabolico
si può osservare un aumento del colesterolo e dei trigliceridi (11% e 18%) con aumento del peso
corporeo.
3.5 Clotiapina
E' un antipsicotico atipico di sintesi, strutturalmente simile alla quietiapina, appartenente alla classe
chimica delle dibenzotiazepine. Ha un effetto sedativo, riduce il livello di attività psicomotoria e
regola il sonno, perciò allieva l'ansietà e il senso di tensione, esercita un buon effetto antipsicotico e
aiuta il paziente a ristabilire un contatto con l'ambiente. Non influenza il sistema nervoso autonomo.
Le sue indicazioni sono: psicosi acute (schizofrenia acuta, episodi deliranti, accessi maniacali, stati
confusionali, stati di eccitamento psicomotorio), fasi acute di riesacerbazione in corso di psicosi
croniche, sindromi psicoreazionali o nevrotiche e stati d'ansia.
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3.6 Olanzapina
L'olanzapina è un antipsicotico di seconda generazione (atipico) che svolge un'azione antimaniacale
e stabilizzante dell'umore agendo su numerosi sistemi recettoriali (in particolare serotoninergici,
dopaminergici e colinergici). L'olanzapina viene metabolizzata dal fegato principalmente attraverso
processi di coniugazione e ossidazione (citocromi CYP1A2 e CYP2D6) a metaboliti dotati di
minore attività farmacologica. L'eliminazione prevalente è renale (57%). L'emivita è di 30 ore se la
somministrazione è orale. In pazienti con ridotta funzionalità renale non è stata riscontrata una
differenza significativa nell'emivita e nella clearance del farmaco. Gli effetti indesiderati più
frequenti sono: aumento di peso, insonnia, ansia, sonnolenza e cefalea.aaaaaaaaaaaaaaaaaa
Indicata nella schizofrenia, negli episodi di mania da moderato a grave e nel disturbo bipolare.
.
3.7 Risperidone
Fa parte della benzisossazoli, blocca sia i recettori D2 dopaminergici sia gli 5HT2 serotoninergici.
Il dosaggio iniziale raccomandato per gli anziani è pari a 0,5 mg per due volte al giorno.
Questo dosaggio può essere aggiustato su base individuale con incrementi di 0,5 mg due volte al
giorno fino a 1–2 mg due volte al giorno.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Ha un assorbimento rapido e completo dopo somministrazione orale, un’emività di 3 ore e un
metabolismo epatico ad opera del cyt P450 con produzione di metaboliti attivi.aaaaaaaaa
E' molto utile contro i sintomi affettivi, quali depressione, senso di colpa e ansia.aaaa
I pazienti con compromissione della funzionalità epatica presentano aumenti delle concentrazioni
plasmatiche della frazione libera di risperidone. A prescindere dall’indicazione, nei pazienti con
40
compromissione della funzionalità renale o epatica il dosaggio iniziale e quelli successivi devono
essere dimezzati e la titolazione della dose deve essere più lenta. Può causare disordini del
movimento e aumento del peso corporeo. Indicato nel trattamento della schizofrenia, di episodi di
mania da moderati a gravi associati a disturbi bipolari, nel trattamento a breve termine (fino a 6
settimane) dell'aggressività persistente in pazienti con AD di grado da moderato a grave che non
rispondono ad approcci non farmacologici, e quando esiste un rischio di nuocere a se stessi o agli
altri.
3.8 Zuclopentixolo Cloridrato
Lo zuclopentixolo è stato il secondo farmaco antipsicotico appartenente alla classe dei tioxanteni ad
entrare in terapia. Mostra un'elevata affinità per i recettori della dopamina D1 e D2, a livello dei
quali esercita attività antagonista e ha pertanto importanti effetti antipsicotici, antiallucinatori e
sedativi. Lo zuclopentixolo viene rapidamente assorbito dal tratto gastrointestinale e leaaaaaaaaaa
concentrazioni plasmatiche massime si possono rilevare dopo circa 4 ore. L'emivita plasmatica è di
circa 20 ore. Il farmaco subisce metabolismo presistemico per circa il 40%.
41
Le sue indicazioni sono: schizofrenia acuta e cronica ed altre sindromi dissociative caratterizzate da
sintomi quali allucinazioni, agitazione, eccitamento psicomotorio, ostilità, aggressività e disturbi
della sfera affettiva. Viene utilizzato nella fase maniacale della psicosi maniaco-depressiva, nelle
sindromi mentali organiche (ritardo mentale, demenza senile) accompagnate da delirio,
ipereccitabilità psicomotoria e agitazione. Il suo meccanismo d'azione si attua attraverso un'azione
antidopaminergica, agendo come antagonista funzionale del recettore D2.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Bloccando i recettori post-sinaptici della dopamina consente il controllo di alcuni sintomi, quali
allucinazioni ,deliri e agitazione.
La maggior parte dei farmaci antipsicotici sono assorbiti rapidamente, ma in modo incompleto.
Inoltre molti di essi, vanno incontro ad un significativo metabolismo di primo passaggio e sono
altamente liposolubili. Pertanto tendono ad avere un largo volume di distribuzione.
Poiché questi farmaci si distribuiscono nel tessuto adiposo e posseggono un'affinità estremamente
elevata per specifici recettori di neurotrasmettitori nel sistema nervoso centrale, la durata chimica
dell'azione antipsicotica è molto più lunga di quanto indicherebbe la breve emivita plasmatica.
A tutto ciò si aggiunge la prolungata occupazione di recettori D2 della dopamina nel cervello.
Quasi tutti gli antipsicotici sono metabolizzati a livello epatico e non hanno metaboliti attivi, eccetto
l'aloperidolo. Gli effetti farmacologici degli antipsicotici si esplicano a livello del sistema
dopaminergico, nel cervello sono stati identificati 5 importanti sistemi o vie dopaminergiche.
La prima via, quella strettamente correlata al comportamento, è il sistema mesolimbicomesocorticale, che proietta ai corpi cellulari presenti vicino alla substantia nigra al sistema limbico
e alla neocortex. Il secondo sistema, nigrostriatale, è formato da neuroni che si proiettano dalla
substantia nigra al caudato e al putamen; esso è anche coinvolto nella coordinazione dei movimenti
volontari. La terza via, il sistema tuberoinfundibolare, connette i nuclei arcuati e i neuroni
periventricolari all'ipotalamo all'ipotesi posteriore. La dopamina liberata da questi neuroni
fisiologicamente inibisce la secrezione di prolattina. Il quarto sistema dopaminergico, la via
medulloperiventricolare è costituito da neuroni presenti nel nucleo motorio del vago, le cui
proiezioni non sono ancora ben definite. Questo sistema può essere implicato nel comportamento
alimentare. Il quinto e ultimo sistema è la via incertoipotalamica caratterizzata da connessioni dalla
zona incerta mediale all'ipotalamo e all'amigdala. Esso sembra regolare la fase precorritrice
motivazionale del comportamento sessuale nel ratto.
42
Dopo che la dopamina era stata riconosciuta quale neurotrasmettitore, nel 1959, fu evidenziato che i
suoi effetti sull'attività elettrica delle sinapsi centrali e sulla produzione di cAMP da parte
dell'adenilatociclasi, potevano essere bloccati dalla maggior parte dei farmaci antipsicotici.
Questo dato ha portato alla conclusione, nei primi anni'60, che questi farmaci dovevano essere
considerati antagonisti della dopamina. Oggi si ritiene che l'azione antipsicotica è prodotta (almeno
in parte) dalla loro capacità di bloccare i recettori della dopamina nei sistemi mesolimbico e
mesofrontale. Inoltre, l'antagonismo verso la dopamina nell'ambito del sistema nigrostriatale spiega
gli effetti indesiderati parkinson simili prodotti da questi farmaci così come l'iperprolattinemia.
Gli agenti antipsicotici bloccano i recettori D2 in maniera stereoselettiva e la loro forza di legame è
strettamente
correlata
con
la
potenza
clinica
antipsicotica
ed
extrapiramidale.
In alcuni studi è stato riportato il trattamento continuato con i farmaci antipsicotici produce un
momento transitorio nel liquido cerberospinale, nel plasma nelle urine dell'acido omovanillico
(HVA), un metabolita della dopamina.
Sebbene tutti gli antipsicotici efficaci blocchino i recettori D2, l'entità di questo blocco varia
notevolmente tra gli antipsicotici. Numerosi esperimenti che utilizzano la tecnica di legame
recettoriale hanno dimostrato che alcuni farmaci hanno un'affinità maggiore verso altri recettori
rispetto a quelli D2:
Clorpromazina: α1 = 5-HT2A > D2 > D1
Aloperidolo: D2 > α1 > D4 > 5-HT2A > H1
Clozapina: D4 = α1 > 5-HT2A > D2 = D1
Olanzapina: 5-HT2A > H1 > D4 > D2 > α1 > D1
Quietiapina: H1 > α1 > M1,3 > D2 > 5-HT2A
43
Capitolo 4: Il caregiver
Il caregiver è colui che da cure e assistenza, si prende cura dei bisogni del paziente affetto da una
malattia cronica invalidante, la quale lo priva dell'autonomia e della possibilità di badare a se stesso.
Il termine si è diffuso soprattutto in questi ultimi anni ma il suo ruolo esiste da sempre.
In modo più specifico fornisce cure e assistenza di base per l'igiene, l'abbigliamento,
l'alimentazione, per la cura della casa, per la spesa ad una persona non autosufficiente per via della
sua malattia. Esistono i caregiver "formali", per i quali l'offerta d'aiuto e assistenza è una
professione retribuita e i caregiver "informali" ovvero i familiari, gli amici, i volontari e tutte le
persone
vicine
a
chi
soffre
nel
contesto
di
una
relazione
non
professionale.
Nelle demenze sono impiegate entrambe le tipologie. Il ruolo dei caregiver formali è sostenere e
promuovere le risorse dei familiari, sollevandoli dall'impegno della cura, in modo transitorio a
tempo pieno come avviene nel caso delle strutture residenziali. La collaborazione tra i caregiver
formali e informali è indispensabile, ciononostante il momento dell'eventuale ricovero presso una
struttura residenziale e spesso vissuta dai familiari come un fallimento e come un ripiego di fronte
ad un progetto divenuto insostenibile e quindi come dire un no alla permanenza dell'anziano in casa
e ciò può esporre a un senso di colpa che se non elaborato può tradursi in atteggiamenti
diametralmente opposti. Da un lato un iperintrusività nei confronti della struttura residenziale e dei
caregiver formali, con atteggiamenti controllanti, svalutanti, di sfiducia e critica; dall'altro un
abbandono più o meno completo dell'anziano parente.
Inizialmente il focus dell'attenzione sul caregiver era rivolto all'individuazione e alle definizioni dei
suoi compiti, successivamente si è spostato sulle difficoltà che questa figura poteva incontrare e
della sua esperienza nel contesto della relazione d'aiuto che crea con la persona bisognosa della sua
assistenza. Per fare riferimento alle difficoltà di chi professionalmente instaura delle relazioni di
aiuto si parla di "burn out"; più specificatamente in questo contesto "caregiver burden".
Con questo termine si intendono le molteplici difficoltà, sul piano fisico, emotivo, finanziario, che
derivano in conseguenza del prendersi cura di un familiare malato.
Con il "burnout", secondo le definizioni di Freudenberg e Maslach, si intende lo stato di
"esaurimento psicofisico riscontrabile tra gli operatori sanitari e sociali in risposta ad uno stress
emozionale continuativo e prolungato, in un lavoro teso all'aiuto di altri essere umani" che
determina una "sindrome di indebolimento psicofisico caratterizzata da una fallimentare
considerazioni di sé, un'attitudine negativa nei confronti del lavoro e una globale perdita di interessi
44
verso i clienti". Il burden e il burnout determinano effetti e conseguenze su diversi piani, su quello
individuale si possono riscontrare affaticamento, deficit di concentrazione, disturbi del sonno,
cefalea, disturbi gastrointestinali, collera, perdita di concentrazione, senso di colpa, cinismo,
negativismo, ansia e depressione. Su un piano familiare si possono manifestare gravi problematiche
relazionali e assenza di disponibilità. Su un piano operativo infine si possono verificare difficoltà
relazionali con altri, isolamento e assenteismo.
Nel paziente affetto da demenza, soprattutto all'inizio della malattia, si può rendere evidente una
regressione, un rifugiarsi in un atteggiamento passivo; la responsabilità può essere aggressivamente
proiettata tutta verso l'esterno, alimentando lamentele per un trattamento mai adeguato e
soddisfacente. Così l'individuo sofferente può trovarsi isolato, da una parte perché attraverso questi
atteggiamenti crea una distanza tra sé e gli altri, dall'altra perché già di per se la malattia (e la
vecchiaia) evoca il bisogno degli altri di stare a distanza da chi le rappresenta e le incarna; proprio
perché il confronto con la propria vita di vecchiaia e malattia può essere difficile da tollerare.
Oppure si può riscontrare, tanto nel malato che in chi gli sta vicino, la tendenza a negare la malattia,
a negare l'apertura sulla cronicità e sulla morte che la malattia stessa svela; o si può rendere
evidente il bisogno di soffocare i sentimenti che tutto ciò suscita.aaaaaaaaaaaaaaaa
La relazione con la persona demente presenta alcuni aspetti unici e specifici: date le caratteristiche
intrinseche della malattia, si tratta di relazioni potenzialmente di lunga durata, la cui finalità non
può aspirare alla guarigione o a un radicale miglioramento, ma deve focalizzarsi sul più realistico
obbiettivo di offrire alla persona anziana il maggior benessere possibile, inoltre si giunge a dover
fare i conti con la paura dell'abbandono, della perdita della dignità e della compostezza, una paura
del dolore, dell'ignoto e del lutto personale. L'anziano diventa bambino e il figlio diventa guida, i
giochi relazionali si invertono, con difficoltà esterne ed interne e si crea una modalità relazionali di
interdipendenza.
Diversi elementi intervengono a rendere spesso drammatica la relazione con un paziente demente,
sia essa mantenuta dai familiari o sviluppata dall'equipe formale di assistenze e cura.
Questi elementi di distress nel rapporto demente/caregiver sono molteplici, i più importanti:
i sintomi della demenza stessa che toccano diverse sfere, quella conoscitiva;
l’espressiva, emotiva, fisica e funzionale e che agiscono in diverse percentuali;
l’imprevedibilità e la cronicità della malattia; il sovvertimento dell'ambiente familiare;
la convivenza spesso obbligata e lo stretto contatto manipolatorio dettato da esigenze di igiene e
nursing un rapporto con l'assistito anziano paragonabile con quello che si avrebbe con un bambino
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(involuzione puerile); le problematiche legali e non legali connesse alla progressiva perdita di
libertà decisionale del malato; l'aumento di misure contenitive da parte dei familiari.
Tutte queste considerazioni pongono l'interrogativo esplicito o implicito sulla vita degna di essere
vissuta a cui si aggiunge l'inclinazione al cosiddetto comportamento perfigurante, ovvero
l'inclinazione conscia o inconcia nell'accuditore a proiettare nel proprio futuro l'esperienza che sta
vivendo, immedesimantosi nel ruolo di accudito e rappresentandosi, in analogia col suo
comportamento attuale, l'assistenza che riceverà (Monteleone, 2012) l'insicurezza economica,
dovuta o peggiorata dalla presenza della persona anziana demente con l’assunzione del profilo
psicologico del “carcerato in casa” da parte di un familiare.
La percezione del burden da parte del caregiver pare essere indipendente dal tempo impiegato
nell'assistenza, dal grado di compromissione funzionale dell'assistito e dalla progressione del deficit
mnestico nelle persone dementi alla quale si presta aiuto. Risultati contrastanti e non definitivi
emergono invece per quanto concerne i sintomi comportamentali della demenza, spesso vissuti
come maggiormente onerosi che rispetto a quelli cognitivi.
In base all'indagine del 2006 I CAN (Investigating Caregivers' attitudes and Needs, condotta
dall'Alzheimer's Foundation of America (AFA)), sono gli accuditori dei genitori piuttosto che quelli
dei loro coniugi a risentire di un minor tempo dedicato a se stessi (74% vs 56%) e a sentirsi
abbandonati dai parenti (34% vs 14%). Sempre la stessa indagine rivela che gli accuditori di un
coniuge fanno affidamento su minori risorse a supporto del loro impegno (2,7% vs 3,3%), e sono
meno inclini a riconoscere di aver bisogno di aiuto (52% vs 77%).aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Gli accuditori di un coniuge, con maggior frequenza di quelli che si prendono cura di un genitore,
affermano che la vita non è cambiata in modo significativo (8% vs 2%).
Essere un caregiver può essere molto impegnativo e faticoso, tanto che alcuni definiscono i
caregiver "pazienti nascosti", poiché se essi stessi trascurano se stessi, la propria salute, posso
incorrere in un eventuale senso di sopraffazione conseguente al occuparsi di qualcun altro, il rischio
è di sviluppare una condizione che rende impossibile prendersi cura di chicchessia.
Il primo passo di fronte a un simile senso di carico, di sopraffazione è la sospensione del giudizio: il
caregiver deve cercare di non giudicare strani o sbagliati quei sentimenti che non desidererebbe
avere e non percepire con un fallimento il fatto di sentire di aver bisogno di aiuto. Dopodichè è
necessario cercare questo aiuto: dal proprio medico di medicina generale, dagli amici, dai parenti o
da un'associazione di volontari, tutte figure con il quale è importante tentare di mantenere un
contatto.
46
All'interno dei bisogni dell'anziano demente vi è una eterogeneità di esigenze: fornire informazioni
sulla patologia sulla sua evoluzione, garantire alcune competenze nell'assistenza e nella cura,
garantire una continuità assistenziale, fornire un supporto psicologico e una tutela amministrativoburocratica e infine offrire sostegno della gestione della casa. Tale eterogeneità giustifica la
necessità di un approccio multi-professionale con figure differenti che cooperano, ciascuna secondo
le proprie competenze, ai fini di migliorare la qualità della vita dell'anziano e della sua famiglia.
Esiste però il rischio che tale approccio comporti una frammentazione e una dispersione degli sforzi,
perciò è importante porre l'accento sulla comunicazione e sull'integrazione delle varie figure, dal
medico di famiglia, allo psicologo fino all'assistente sociale.
Il miglioramento della qualità di vita delle persone con limitazioni funzionali costituisce sempre una
prova, non solo per la persona che deve sopportare questi handicap, ma anche per quanti, familiari e
non, devono assistere la persona ammala. In questo senso, è sufficiente osservare i dati che la
ricerca psicosociale ci offre sul grado di stress che i familiari di una persona demente sono costretti
a sopportare. Assistere una persona con gravi deficienze mentali a causa della demenza, pone
rilevanti questioni etiche ed è una sfida complessa sia per il caregiver che per una verifica del
livello sociale di un popolo. Poltawska (2005) sosteneva che il valore di un uomo e più in generale
di una società si può misurare in base al suo atteggiamento nei confronti dei malati, delle persone
anziane e dei menomati.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
La progressione della malattia porta con se inesorabilmente una serie di complicanze
psicopatologiche, danni alla sfera intellettuale, al senso di sè, sintomi psichiatrici, disturbi del
comportamento (Filiberti e Zeppegno 2012). Chi ha menomazioni mentali gravi può essere
considerato una persona con una bassa qualità di vita. La perdita della ragione e della coscienza di
sè a causa di una condizione patologica invalidante pur essere legittimamente definita una
condizione di scarsa qualità di vita a qualcuno potrebbe definirla anche come una vita non
sufficientemente dignitosa per essere vissuta, vista la mancata attivazione delle facoltà più nobili
dell'uomo, operando una pericolosa identificazione tra un concetto statistico come quello della
qualità di vita con un concetto antropologico come è quello della dignità della vita.
Nell'ambito geriatrico là dove si dona assistenza ai malati di Alzheimer o a persone sofferenti di
gravi forme di disturbi neurologici non è quotidianamente in discussione la sospensione di presidi
che
permettono
la
sopravvivenza
del
malato
come
la
nutrizione
o
l'idratazione.
Nel favorire il burnout del caregiver gioca un ruolo importante il contesto sociale in cui si vive
47
perché oggi si tende a svalutare il valore morale di assistere persone anziane in difficoltà.
La cura delle persone anziane è diventato un problema sociale e politico. Si presenta il problema dei
mezzi finanziari e ci si domanda quanto sia giusto dispensare cure mediche a persone anziane che
non
possono
più
essere
guarite
e
tornare
ad
essere
produttive
per
la
società.
La sofferenza è un mistero che porta in sé un altro mistero, quello della solidarietà.
Spesso la necessità di prendersi cura di persone inferme mette in azione le migliori qualità umane
come la disposizione a prendersi cura degli altri, la compassione, la buona volontà (Poltawska
2005).
L'aver avuto una buona relazione con una persona prima che questa sprofondasse nella malattia può
essere una via importante per rispettare le sue volontà riguardo il suo testamento e la sua tutela,
compreso il testamento biologico o la volontà anticipata a limitare le cure nella tappa finale della
vita (Carrasco 2011). Ci riferiamo a situazioni in cui ormai i presidi medici non sono più adeguati
alla reale situazione del malato, perché troppo gravosi per lui o per la sua famiglia.
In queste situazioni la rinuncia a mezzi straordinari e sproporzionati non equivale ad un suicidio
assistito o all’eutanasia ma esprime piuttosto una decisione che rivela un atteggiamento
profondamente umano di accettazione dell'inevitabile limite della vita e quindi non fondato su
un'antropologia utilitaristica ma su una visione dell'uomo consapevole dei suoi limiti creaturali
(Lutz 2005).
48
Capitolo 5: La musica
5.1 Musica e cervello
La musica non ha fino ad ora ricevuto da parte degli uomini di scienza l’attenzione e la
considerazione che sono state lautamente elargite ad altre arti quali quelle figurative o la poesia,
verosimilmente ciò è anche conseguenza della sua complessità, della difficoltà di un suo studio e di
una sua vera comprensione, di conseguenza una sua applicazione nella letteratura neurologica è
stata a lungo trascurata.
Fiumi di inchiostro sono stati spesi da poeti, filosofi e scrittori per dare una definizione della musica.
Nietzche intendeva la musica come la lingua primordiale che esprime la verità essenziale della vita
e mentre le altre arti trasfigurano le forme dell’apparenza, la musica si riferisce all’essenza di queste,
la sua voce proviene dal cuore delle cose, dalla misteriosa unità originaria
Il linguaggio
musicale a differenza di quello verbale non ha alcun riferimento immediato con la realtà, non è
significante di un significato, non traduce cose o relazioni tra cose, non è al servizio di nessuna
condotta o codice di comportamento, è il linguaggio dell’emozione ed il suo potere simbolico è
strettamente legato alla vita affettiva. Lo stesso Nietzche scriveva che l'ascolto della musica era
un'esperienza non solo uditiva ed emozionale, ma anche motoria, quando ascoltiamo la musica
“ ascoltiamo con tutti i muscoli ” . Teniamo il tempo senza volerlo, anche quando non siamo
consapevoli di prestare attenzione, e con il volto e le posture del corpo rispecchiamo la “ trama ”
della melodia, insieme ai pensieri e ai sentimenti che essa provoca.
Freud aveva paura della musica perché la considerava troppo vicino all’Es, cioè secondo la sua
teoria psicoanalitica l’istanza intrapsichica più arcaica della nostra mente definita anche inconscio
che contiene quelle spinte pulsionali di carattere erotico (Eros ) e aggressive ed auto-distruttive
(Thanatos ). Raramente la psicanalisi infatti si è occupata della musica come oggetto della propria
ricerca, una delle difficoltà è insita nella natura stessa della musica, in quanto non rappresenta gli
oggetti del mondo esterno come la maggior parte delle altre arti, è proprio questi oggetti e i loro
mutui rapporti costituiscono il tema di interesse centrale della psicanalisi. Un altro motivo di questa
resistenza sarebbe attribuibile alla sua natura affettiva, resistenza che viene alla luce quando si
prende in considerazione il significato cosciente che la musica riveste per molti dei suoi amatori.
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Lenin disse testualmente “non posso ascoltare spesso la musica, agisce sui miei nervi, mi viene
voglia di dire stupidaggini e di carezzare gli uomini che, vivendo in un sudicio inferno, riescono a
creare tanta bellezza. Ma oggi non si possono fare carezze. Vi sbranerebbero la mano”. Sia Freud
sia Lenin infatti vissero la loro vita in una completa anestesia musicale, in un letargo della
dimensione estetica il cui lo sviluppo dovrebbe essere, come ha scritto Marcuse l’ultima meta di
tutte le rivoluzioni e cioè la libertà e la felicità dell’individuo 8.
Schopenhauer scrisse: “Ciò che nella musica vi è ineffabilmente intimo eppure così inspiegabile, sta
nel suo riprodurre tutti i moti della nostra più intima natura, ma senza la loro tormentosa realtà...la
musica non esprime che la quintessenza dalla vita e dei suoi avvenimenti, mai essi stessi”.
William James parlava della nostra “suscettibilità alla musica” e se è vero che la musica influenza
tutti noi, ci può calmare, animare, dare conforto, emozionare o contribuire a organizzarci e
sincronizzarsi nel lavoro o nel gioco, è vero anche che può rivelarsi particolarmente efficace e
avere un immenso potenziale terapeutico in pazienti con affezioni neurologiche assai diverse.
La musica ha un significato che va al di là della percezione della struttura e del contenuto di una
composizione.
Heinrich Heine scriveva: “la musica è una cosa strana, oserei dire che è un miracolo, perché sta a
metà strada fra pensiero e fenomeno, fra spirito e materia, una storia di nebuloso mediatore uguale e
diverso da ciascuno delle cose che media – spirito che necessita di una manifestazione nel tempo e
materia che può fare a meno dello spazio...noi non sappiamo cosa sia la musica”. Queste parole
ripropongono il tema dei due aspetti più problematici della psicologia della musica: l'elemento
cognitivo e quello espressivo. La musica può determinare un autentico spettro percettivo che va
dalla semplice ricezione dei dati sensoriali uditivi alle impressioni che, in soggetti sensibili,
arrivano ad essere quasi indescrivibili: talmente evocative, schiaccianti e trascendentali da sfuggire
a qualsiasi descrizione. La musica si situa laddove il linguaggio termina, per citare Sir Jack Wetrup,
Professore di Musica di Oxford: “A rigor di termini non si può scrivere sulla musica; la musica
esprime quello che ha da dire usando i termini che gli sono propri e non è possibile tradurli in
linguaggio cosi come non è possibile tradurre un quadro”.
Tutto ciò ci permette di comprende come vi sono ovvi limiti alle possibilità delle scienze
neurologiche di comprendere o spiegare l'esperienza musicale, ciò vale sfortunatamente anche per
lo studio neurologico di ogni espressione artistica, uditiva, visiva o letteraria che essa sia. Come è
stato sottolineato da Gilford, la difficoltà fondamentale nello studio scientifico dell'arte è che la
50
percezione umana della qualità e delle forme è molto più avanti di quanto la scienza possa
attualmente spiegare e assieme alla percezione esiste una risposta emozionale che è difficilmente
definibile in termini neurologici.
La musica è un linguaggio privo di un riferimento oggettuale riconoscibile. Il senso dell'opera
musicale è racchiuso nel significante stesso (ovvero la parola), nelle caratteristiche della materia
sonora e della strutturazione, elementi che nel loro articolarsi rappresentano la metafora di
tematiche esistenziali (Cano, 1985).aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
La musica è forma autosignificante e tale aspetto così peculiare suggerisce il fascino
dell'autosufficienza della tentazione dell'onnipotenza; ciò costituirebbe la sua valenza "demoniaca",
questa rivendica a sè non l'imitazione della natura bensì la matrice originaria da cui scaturisce la
stessa natura, soprattutto per ciò che riguarda la forma 11.
Il vero punto non è se la musica sia un linguaggio ma cosa essa comunichi all'ascoltatore, ciò si può
analizzare tramite il gesto e la mimica (in particolare quella facciale) che costituiscono un
linguaggio universale, è osservazione comune che una comunicazione soddisfacente può essere
ottenuta mediante questi canali senza dover ricorrere alla parola, basti pensare al linguaggio dei
segni usato dai sordomuti che è in grado di veicolare idee e sentimenti di una certe complessità.
Imberty ha esaminato problema delle reazioni emozionali da parte dell'ascoltatore dal punto di vista
sperimentale, registrando le risposte verbali soggettive individuali ai Preludes per pianoforte di
Debussy; le risposte erano differenti e persino contraddittorie. Queste osservazioni rafforzano
l'opinione che l'esperienza musicale, cioè la ricezione, la percezione e l'interpretazione siano
questioni che riguardino ogni singolo ascoltatore. Non ci si può aspettare che tutte le persone anche
se con una coltura musicale e una capacità di espressione simile possano avere le stesse esperienze,
e qualora questo accada vengono usati espressioni diverse per descrivere tali esperienze.
Tali discrepanza sono secondarie a un simbolismo musicale inconscio sul quale però si possono fare
solo delle congetture. In realtà il linguaggio musicale è preciso e quando l'esecuzione è buona i
messaggi contenuti nei suoni arrivano senza possibilità di errore a quelli che conoscono tale
linguaggio e, cosa ancor più importante, a molti di coloro le cui conoscenze musicale sono scarse.
Uno degli aspetti più affascinanti della musica risiede proprio nel fatto che anche l'ascoltatore
relativamente ignorante può essere in grado di penetrare il pensiero musicale del compositore
basandosi sulla propria capacità di concentrarsi e sulla propria apertura mentale.
51
I primi neurologi hanno studiato la musica e il cervello osservando gli effetti delle lesioni focali
sulle attività musicali, le loro osservazioni hanno fornito delle utili informazioni su parti del
cervello
particolarmente
implicate
nella
componente
musicale
della
vita.
La disputa fra quei ricercatori che ritenevano di poter fornire una localizzazione encefalica alle
funzioni linguistiche e musicali e quelli che difendevano una visione olistica non ha trovato eco
nella letteratura sulla musica.
Pinker ritiene (e non solo lui) che le nostre capacità musicali, per lo meno alcune di esse, siano rese
possibili tramite l'uso, il reclutamento o la cooptazione di sistemi cerebrali già sviluppati per altre
funzioni. Queste ipotesi sarebbe coerente con il fatto che negli esseri umani non esiste un singolo
“centro della musica”, ma si assiste al coinvolgimento di una buona decina di reti, distribuite in
tutto il cervello 7.
Si tratta di un linguaggio particolare che dal mentale procede verso il sensoriale, il corporeo,
costituendosi talvolta come un'esperienza capace di attivare risposte motorie, sensoriali,
neurovegetative in parte autonomie da una elaborazione centrale; in questo senso la musica parla
innanzitutto al nostro corpo e in seconda battuta alla nostra mente.
Le
origini
della
musica
rimandano
al
primo
delinearsi
di
una
vita
psichica.
Il feto nelle ultime settimane gestazionali appare capace di percepire stimoli, integrarli nella cornice
di un'attività neurobiologica, collegata ai diversi strati di coscienza, e rappresentarli sulla base di
un'amodalità percettiva (Mancia 1990).
Il suono si impone al bambino prima della sua nascita. Il mondo sonoro intrauterino rappresenta una
sorta di bagno di suoni, costituito da rumori intestinali e respiratori, voci esterne e rumori
ambientali, percepiti e filtrati dal liquido amniotico e scanditi dal pulsare cardiaco.
Dopo la "crisi sonora" della nascita i suoni che il neonato ascolta si presentano potenzialmente
confusi e perturbatori. Il suono possiede caratteristiche essenzialmente concrete, l'esperienza sonora
assume connotati di un'esperienza tattile e di contatto 11. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Il ruolo sonoro a livello della struttura psichica dal punto di vista dello sviluppo è antecedente a
quello svolto dal ruolo visivo. Prima che lo sguardo e il sorriso della madre che nutre e cura il
bambino rinviino a questi una immagine di sè che sia visibilmente percettibile e che riesca ad
interiorizzare per costituirsi come individuo originale e a differenziarsi dagli altri, il bagno melodico
dell'ambiente può nella sua disposizione costituire un primo specchio sonoro di cui fare uso,
dapprima con le proprie grida ed infine con i propri giochi di articolazione vocale (Anzieu, 1987)11.
52
Il nutrimento vocale della madre per il figlio è importante per il suo sviluppo proprio come il latte
(Tomatis). C'è un rimando al "parlar materno", che costituisce una raffinata elaborazione simbolica
di voci e di suoni che si articolano nelle prime forme di comunicazione e che ci parla quindi di un
tempo lontano, passato, di un tempo assente che può ritornare solo nell'evocazione nostalgica.
La musica sottolinea la profondità biologica della nostalgia in quanto parla la stessa lingua della
diade primaria e perché nel fruirne esteticamente possiamo sperimentare un rapporto arcaico, un
rapporto in cui viene annullata la distanza fra soggetto ed oggetto ed è evocata una dimensione di
totalità e fusione che avvolge creatore e fruitore entrambi coinvolti in un rapporto di poiesi continua.
La nostra specie è segnata da un dolore arcaico, quello di nascere troppo presto e di vivere
un'infanzia segnata da una miseria, quella di avere bisogno di tutto. Prima di questa catastrofe c'è
però in ognuno il sogno dell'eden, cioè di un luogo senza storie dove non si nasce mai e dove non si
ha bisogno di nulla, la musica è una specie di realizzazione allucinatoria di questo desiderio (Gaita
1991) 11.
L'anima comincia ad essere abitata quando un suono, un sapore, un contatto lasciano tracce
connotate da piacere o dispiacere. Un oggetto del mondo si associa ad una percezione di gioia o di
paura, la sua sagoma diventa tutt'uno con la qualità dell'esperienza che innesca (Gaita 1991).
La musica ha sempre consolato l'animo umano. La consolazione musicale del patire richiede però
che il dolore psichico non raggiunga livelli tanto intensi da determinare una radicale chiusura al
mondo ed una incapacità ad investire su di esso; è necessario viceversa che il soggetto pur assorto e
compreso dal suo patire mantenendo legame con l'esterno, evidenzi una vita interiore non
totalmente inaridita o destrutturata ma ancora capace di investimenti ed emozioni.
Dalla musica oltre al dolore e alla tristezza emerge un grado di calore; la musica evoca
un'immediata empatia, un particolare calore ed una sensazione unica di inondazione emotiva
(Volterra 1994). La musica oltre a dare voce alla nostra dolente interiorità costituisce un linguaggio
simbolico connesso con le fasi più arcaiche della nostra esistenza.
Le caratteristiche fisiche del fenomeno sonoro, la sua impalpabilità, l'immaterialità, l'assenza di
limiti della fugacità che lo contraddistinguono rendono difficoltosa una riflessione sui fenomeni
psichici relativi all'esperienza del "sonoro".
Forse proprio la sua inconsistenza, la sua non demarcabilità e l'assenza di un efficace protezione
percettiva da esso hanno determinato l'attribuzione a questo fenomeno fisico di caratteristiche
magiche e divine. Per certi versi la musica esiste solo nella creazione interna che ognuno di noi ne
fa; tale aspetto illustra ulteriormente il ruolo che la singola soggettività svolge nell'esperienza
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musicale, la musica diviene una così l'azione mentale dell'ascoltatore più soggetta alle costellazioni
mentale
di
questi
di
quanto
sia
una
narrazione
od
una
espressione
plastica.
La musica richiama il nostro investimento ma nello stesso tempo richiede una continua capacità a
disinvestire per attuare nuovi investimenti. Il coinvolgimento emotivo suscitato da un determinato
brano deve essere recuperato al termine dell'ascolto per poter essere indirizzato ad un nuovo
possibile ascolto.
L'arte musicale richiama ad un ideale di tonalità, di diffusione, di una dimensione irreversibile e in
quanto tale connotata da aspetti ideali: "È in quanto irreversibile che la dolcezza materna è il
paradiso perduto"(Jankèlevith 1974). Oltre a rappresentare qualcosa che è stato e che non sarà più la
musica presenta nella sua stessa costruzione e articolazione profonde analogie con una dimensione
nostalgica. Vale a dire non solo la musica induce la nostalgia di una dimensione preverbale dove
suono e oggetto non mantengono un rapporto di continuità ma rappresenta essa stessa un'esperienza
nostalgica. Il potenziale regressogeno insito nell'esperienza musicale può anche essere causa di un
rifiuto. L'uditivo richiama la voce materna, evoca un sentimento oceanico sollecitando il desiderio
di abbandonarsi regressivamente al flusso temporale della musica, ma questo desiderio può essere
potenzialmente perturbante e destabilizzante 11.
L'ascolto musicale può essere interpretato come una sorta di ritiro dalla realtà, che paradossalmente
permette però di recuperare al nostro interno una dimensione astratta e interiorizzata del mondo e
del reale. Possiamo suddividere l'ascolto in diverse categorie: l'ascolto evocativo in cui la musica
sollecita ricordi ed associazioni, l'ascolto ipnotico in cui elementi ritmici ed elementi melodici
possono indurre una sospensione dell'attività mentale, una sorta di vuoto, un oblio, l'ascolto
idealizzato che diviene una sorta di mitico "eden" privo di elementi conflittuali e ambigui, l'ascolto
nostalgico e molti altri a seconda del rapporto tra musica e ascoltatore. Possiamo pensare a queste
diverse modalità come a percorsi di ascolto integrate ed interconnesse tra di loro 11.
La musica può mettere in moto dei processi psicologici che agiscono sul sistema vegetativo con
importanti variazioni. Queste variazioni dipendono dalla reattività individuale, ovvero dalla labilità
o dalla stabilità dei processi di regolazione vegetativa (a loro volta influenzati dallo stato generale di
salute, dallo stile di vita, dal sesso, dall'età e da fattori occasionali quali stress, stanchezza,
assunzione di alcool o altre sostanze), dalla reattività emozionale e dall'atteggiamento del soggetto
verso la musica, dalla sua importanza nella sua vita come pure le sue sensazioni estemporanee nei
confronti del brano musicale ascoltato. E' importante che i soggetti abbiano familiarità con
l'ambiente della sperimentazione, dal momento che possono presentare un atteggiamento disturbato
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dalla situazione d'esame, inoltre è preferibile l'utilizzo di brani non conosciuti per poter esplorare le
sensazioni e le impressioni individuali derivanti dall'ascolto della musica prescindendo dalla
associazioni di essa con altri eventi.
Come si può osservare dalla figura 3 vi sono importanti variazioni vegetative che si verificano
quando il soggetto si lascia coinvolgere emotivamente da un
brano musicale, se questo
coinvolgimento emotivo non è presente le variazioni vegetative non sono evidenziabili.
Figura 3: Critchley Macdonald, Henson R.A, La musica e il cervello, Piccin, 1987
La musica può provocare una risposta vegetativa anche quando i suoni non vengono percepiti
consciamente, come ad esempio nel sonno, o con una musica di sottofondo.
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Noi percepiamo i suoni attraverso il nostro apparato uditivo e i nervi che ricevono gli stimoli e li
trasportano attraverso i canali talamici e corticali. Ma il suono può destare l'attività del sistema
nervoso autonomo anche senza che siano coinvolti canali corticali. Alcune risposte fisiche alla
musica consistono in riflessi spontanei, incontrollabili. Capita di ritrovarci inconsapevolmente
abbattere il tempo, mentre ascoltiamo musica, voci accorgiamo ad un tratto che il nostro respiro si è
fatto più nato durante un passaggio accelerato. La natura e il grado delle variazioni vegetative
dipendono anche dal genere musicale presentato e soprattutto dalla disposizione individuale
dominante, indifferente o emozionale, nei confronti della musica.
Le risposte alla musica possono essere sia psicologiche sia fisiologiche, le reazioni che hanno le une
sulle altre, producono un effetto generale che è in relazione con la combinazione dei diversi
elementi musicali presenti nello stesso brano; ad esempio quando melodia, timbro, ritmo e
frequenza si fondono insieme. La stessa melodia, suonata con strumenti diversi o a diversa
frequenza
può
provocare
reazioni
differenti
a
volte
anche
di
senso
opposto.
Le risposte psicologiche ad un esperienza musicale dipendono dalla capacità dell'ascoltatore o
dell'interprete di comunicare e d'identificarsi con essa.
Esiste un organotropismo delle reazioni vegetative, infatti in alcuni soggetti stimoli psicologici
come lo stress provoca prevalentemente variazioni respiratorie, mentre in altri individui lo stesso
stimolo determina alterazioni nelle risposte circolatorie. Lo stesso ragionamento si può applicare
considerando diversi generi musicali.
Le reazioni vegetative investono vari sistemi:
 L'apparato cardiocircolatorio con variazioni della frequenza cardiaca, variazione che può essere
piacevole o meno; si possono verificare episodi di battiti prematuri, tali episodi sono più
frequenti qualora la musica abbia un ritmo sincopato. Talvolta è possibile guidare le variazioni
della frequenza cardiaca mediante variazioni dinamiche del ritmo e/o del volume, un loro
aumento può provocare una risposta tachicardica mentre viceversa una loro diminuzione una
risposta bradicardica. In soggetti che abbiano un qualche disturbo cardiaco si possono
riscontrare in risposta alla musica delle variazioni quantitative elettrocardiografiche, simili a
quelle evidenziabili in seguito a sforzo. La musica ha una pulsazione, come tutto ciò che vive.
Pulsazione significa flusso: è la continua corrente di energia che scorre attraverso e intorno a
noi. Il nostro sistema circolatorio è intreccio complicato di flussi e deflussi, di attività e riposo.
Trovare una pulsazione di una musica apre, o scandisce, il polso dell'ascoltatore 6.
56
 L'apparato respiratorio: vi sono variazioni della frequenza e della profondità del respiro, si
possono inoltre evidenziare variazioni nel rapporto tra inspirazione ed espirazione cosi come
altre caratteristiche del respiro, ad esempio la tendenza ad avere un respiro ritmico o aritmico.
 Sono evidenziabili variazioni a livello del riflesso psicogalvanico (RPG, figura 3), un indicatore
molto sensibile della resistenza elettrica somatica. Si controlla facendo passare attraverso il
corpo di un soggetto una debole corrente elettrica: sotto l’effetto di un’emozione, o di
un’attivazione sensoriale, si ha un aumento dell’intensità della corrente, per diminuzione della
resistenza offerta dal corpo al suo passaggio. Le risposte ottenuto da una sua analisi possono
però essere interpretate sia come una reazione di piacere sia di dispiace.
 L'attività motoria aumenta e ciò si può osservare tramite l'analisi del numero e dell'ampiezza
dei potenziali d'azione muscolari. A riposo, fra l'attività muscolare della regione frontale e
quella degli arti inferiori vi sono solo minime differenze, mentre nel soggetto che ascolta una
musica ballabile i potenziali d'azione si “trasferiscono” alle gambe, infatti questi tendono ad
aumentare agli arti inferiori pur rimanendo fermi. Un brano musicale rilassante riduce la
tensione muscolare perciò e migliora la coordinazione. Un effetto opposto si osserva in una
situazione di silenzio assoluto. Si è inoltre osservato che la forza muscolare diminuisce
invariabilmente durante l'ascolto di ninnananne e aumenta invece durante l'ascolto di marce
musicali.
 La musica può rallentare ed equalizzare le onde cerebrali, è stato dimostrato infatti
ripetutamente che le onde cerebrali possono essere modificatesi dalla musica sia da suoni
autogenerati. Il normale stato di consapevolezza consiste in onde beta, che vibrano tra i 14 e 20
Hz. Si producono onde detta quando ci concentriamo su attività quotidiane nel mondo esterno,
o quando proviamo forti emozioni negative. La consapevolezza profonda e uno stato di calma
sono caratterizzati da onde alfa, che si attestano fra gli 8 e i 13 Hz. Periodi di massima
creatività, meditazione e sonno sono caratterizzati da onde theta, da 4 a 8 Hz, e il sonno
profondo, la meditazione e la perdita di coscienza producono onde delta, da 0.5 a 3 Hz.
Più lente sono le onde cerebrali, più ci sentiamo rilassati e soddisfatti.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Diversi studi hanno dimostrato che la musica classica aumenta l'attività delle onde alfa mentre
quella rock la diminuisce 6.
 I suoni agiscono anche sulla temperatura del corpo, uno scricchiolio di una porta, il gemito del
vento e altri rumori misteriosi possono far scorrere un brivido lungo la spina dorsale e
provocare piloerezione. Tutti i suoni e tutta la musica esercitano una sottile influenza sulla
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temperatura corporea e sulla capacità di adattamento a cambiamenti termici; Strawinsky
osservò: "le percussioni e i bassi... funzionano come un impianto di riscaldamento centrale".
 La musica può aumentare i livelli di endorfine. Di recente le endorfine, ossia gli oppiacei
naturali del cervello, sono stato oggetto di molte ricerche biomediche, in molti studi ormai sono
giunti alla conclusione che le endorfine possano diminuire il dolore e indurre un naturale
"buonumore". Al centro di ricerca sulle dipendenze di Stanford, in California, Goldstein scoprii
che
metà
delle
persone
da
lui
esaminate
provava
euforia
ascoltando
musica.
Le sostanze chimiche curative create dalla gioia della ricchezza emotiva della musica
permettono al corpo di creare il proprio anestetico e di aumentano la funzione immunitaria.
Goldstein ha anche accertato che iniezioni di naloxone (il più potente antagonista puro degli
oppioidi) cancellavano l'eccitazione derivante dall'ascolto.ooooooooooooooooooooooooooooo
Nel 1996, il "Journal of the American Medical Association" pubblicati i risultati di uno studio
sulla terapia musicale, istituito a Austin in Texas, in cui si è scoperto che metà delle puerpere
che
ascoltavano
musica
durante
il
parto
non
avevano
bisogno
di
anestetici.
"La stimolazione musicale aumenta il rilascio di endorfine perciò diminuisce il bisogno di
farmaci.
Costituisce
anche
una
distrazione
dal
dolore
e
allenta
l'ansia".
La musica può regolare gli ormoni correlati allo stress, in particolare questi diminuiscono in chi
ascolta rilassante musica ambient, primo fra tutti l'un ormone adrenocorticotropo, ciò può
aiutare la funzione immunitaria, ma tale dato non è ancora supportato da adeguati studi.
 La musica cambia la nostra percezione dello spazio e del tempo e può rafforzare la memoria e
l'apprendimento. Partendo dalla consapevolezza che la musica può aumentare la produttività,
ricerche sul rapporto tra musiche e memoria hanno radicalmente modificato le idee sull'utilizzo
della musica nei luoghi di lavoro. Accentua il romanticismo e la sessualità, stimola la
digestione, aumenta la resistenza fisica, aumenta la ricettività inconscia ai simboli, dona un
senso di sicurezza e di benessere. Si è osservato infine che la somministrazione di tranquillanti
provoca una soppressione quasi completa delle risposte vegetative indotte dalla musica, senza
che si verifichi una concomitante riduzione o alterazione dell'esperienza musicale emozionale
purché non si superi determinati dosaggi, se invece questi vengono superati sia ha una
soppressione sia della risposta vegetativa sia di quella emozionale.
Questi dati evidenziano le enormi influenze che la musica ha sul nostro corpo e sulla nostra psiche e
quanto poco si sappia ancora oggi sulla sua vera natura, tuttora è difficile dare una risposta adeguata
alla domanda “che cos'è la musica?”, tutte le risposte provate rimangono riduttive.
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5.2 La musicoterapia
La musicoterapia è una disciplina scientifica a tutti gli effetti, è importante fissare un confine tra gli
aspetti storici, tra i quali troviamo leggende, e le ricerche obiettive che riguardano l'effetto della
musica e del suono sull'essere umano, sugli animali e sulle piante.
La musicoterapia osservata da un punto di vista scientifico si occupa delle relazioni all'interno del
complesso musica-mente-corpo. Tale complesso è formato da:
- Elementi capaci di produrre stimoli sonori quali: la natura, il corpo umano, gli strumenti
musicali, gli apparecchi elettronici e molti altri.
- Stimoli quali il silenzio, i suoni interni del corpo (battito del cuore, articolazioni, esempio) i
suoni musicali, ritmici, melodici e armonici, i movimenti, i rumori, aultrasuoni, gli infrasuoni e
le parole.
- Dalle vie di propagazione delle vibrazioni con le loro leggi fisiche
- Dagli organi recettori di questi stimoli, quali il sistema uditivo, la percezione interna , la vista.
- La risposta che può essere comportamentale, motoria, sensoriale e organica.
Gli stimoli sonori, musicali, possono suscitare manifestazioni organiche e psicologiche tipiche della
dinamica dell'essere umano, che consentono di ampliare la conoscenza del suo funzionamento,
spesso questo tipo di stimolo è più potente di quello visivo o tattile.
Assumendo un punto di vista terapeutico si può definire la musicoterapia come una disciplina
paramedica che collabora con la medicina insieme ad altre tecniche terapeutiche con lo scopo di
trattare e prevenire malattie fisiche e mentali. E' una terapeutica che si colloca sullo stesso piano
della fono-audiologia, dell'ergoterapia e della psicomotricità. Di conseguenza, la sua struttura e il
suo sviluppo devono essere soggetti a controllo e supervisione in seno a una facoltà di medicina.
La musicoterapia, in ragione della sua complessità, della sua attività e della sua rapida evoluzione,
non può svincolarsi dai principi delle "evidence based practices", poiché anche essa richiede, come
tutte le discipline giovani e non ancora affermate, dimostrazioni che ne sanciscano l'efficacia.
Esiste la necessità di dimostrare le connessioni fra teorie, metodi, tecniche e risultati; esiste infatti
una segmentazione, a livello delle diverse scuole e dei diversi approcci, che crea confusione e che
può minare quella che deve essere l'affermazione della musicoterapia come disciplina scientifica.
Nasce quindi l'esigenza condivisa di studiare e fare ricerca sulle applicazioni della musica con
rigore scientifico, in modo tale che gli effetti ottenuti non siano ineffabili ma siano evidenziabili
tramite indicatori misurabili che fanno riferimento ai miglioramenti di determinati parametri.
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Le potenzialità benefiche del suono e della musica, benché siano evidenti all'opinione comune,
necessitano di riscontri empirici, codificati con un linguaggio scientifico, e quantificabili in modo
tale da giustificarne il loro utilizzo in medicina. E' evidente che il rapporto tra il concetto di musica
e quello di malattia risulti poco chiaro oggi e che l'effetto della musica a livello terapeutico debba
essere riproducibile sistematicamente affinché si possa giungere a un risultato pragmatico. Tutte
queste esigenze si scontrano con la complessità della disciplina stessa caratterizzata da una visione
anti-riduzionistica, un approccio olistico, una mancata linearità, una discontinuità e l'impossibilità
di tradurre in un linguaggio verbale un contenuto che non è verbale. La musica è uno specifico tipo
di linguaggio, dotato di una sua dimensione sintattica e semantica (Langer, 1969). La musica
rimane una modalità di trattamento che esclude generalmente il canale linguistico. Riuscire a
definire quale musica, quali effetti e su quali individui è un'impresa ardua e la carenza evidente in
letteratura di tali argomenti evidenzia la necessità di approfondire notevolmente tale studio. Non
sussistono sostanziali differenze a livello dei disegni di ricerca applicabili allo studio dell'efficacia
della musicoterapia rispetto a qualsiasi altra scienza umana.
Detto ciò risulta chiaro che per introdurre la musica nella terapia medica bisogna agire prima di
tutto su un piano culturale.
Sarebbe un errore ritenere la ricerca musicoterapica qualcosa di avulso dalla pratica clinica.
Sono necessari infatti sinergie culturali e professionali affinché si creino tutte le premesse che
rendono possibile una sua attuazione.
Il musicoterapeuta moderno è prima di tutto e soprattutto un musicista e come tale deve essere
considerato, egli opera sulla base della sua comprensione della musica e degli effetti che questa può
avere sulla mente, sul corpo e sulle emozioni.
Combinando il suono con il ritmo si ottiene la musica, il suono ha spesso costituito un ponte
illusorio, attraverso il quale l'uomo primitivo o civile, sano o malato, ha sempre cercato di
comunicare con un mondo psichico invisibile.
Sebbene l'epoca e le circostanze in cui si manifestò la prima espressione musicale sono forse
destinate a rimanere oscure, è certo però che all'interno di ogni cultura si svilupparono forme di
espressione musicale e in molti casi leggende relative all'origine della musica, un'origine quasi
sempre divina e mai attribuita al genio umano.
Gli aspetti storici sono impregnati di magia, onnipotenza e suggestione.
L'uomo primitivo ha spesso creduto che ogni essere, morto o vivente, avesse un proprio suono o
canto segreto al quale rispondeva sempre e che poteva renderlo vulnerabile alla magia.
60
Scrive Combarieu: “ in tutte le civiltà conosciute si riteneva che la musica avesse un origine divina.
E' stata ovunque considerata non come una creazione dell'uomo, ma come l'opera di un essere
soprannaturale. Non c'è nulla di simile nella storia dell'arte o nella pittura. Come per istinto, l'uomo
ha attribuito alla musica stessa il potere che egli sapeva appartenere agli dei.” Inoltre la musica,i
ritmi, i canti e le danze avevano un ruolo essenziale nei riti magici di guarigione, poiché l'uomo
primitivo non si rendeva conto che la malattia era il risultato di un disordine patologico, i mezzi
terapeutici che usava non erano rivolti al paziente ma attraverso lui, allo spirito maligno dal quale
doveva essere liberato. Fra i popoli primitivi i guaritori facevano ricorso alla musica nel dare
consigli medici, oltre alle esecuzioni individuali si facevano delle cerimonie che venivano tenute da
sacerdoti-medici. La musica, nata dal primordiale elemento del suono, catturato dall'uomo e da lui
organizzato, è divenuta la sua ancella, la sua benefattrice e talvolta la sua padrona.
Le forze dinamiche emotive, primitive e spirituali che la musica riesce esprimere e a ricondurre
all'unità possono servire oggi l'uomo nelle battaglie del corpo e della mente come hanno sempre
fatto fin dei tempi remoti. La convinzione primitiva che la malattia fosse provocata da uno spirito
maligno che prendeva possesso dell'uomo perdurò a lungo nell'antichità, specialmente in
riferimento ai disturbi mentali, ma lentamente si acquisiva l'idea che invece fosse invece uno stato
patologico.
Per gli antichi Greci Apollo era il dio della medicina oltre che della musica, ciò può simboleggiare
le interazioni e i collegamenti esistenti fra queste due discipline. La commovente leggenda di Orfeo
mostra il potere che i Greci attribuivano alla musica sul mondo naturale e soprannaturale.
L'equilibrio fra corpo e anima costituiva la salute, concetto espresso da Giovenale nella famosa
massima “mens sana in corpore sano”. Questa concezione psicosomatica della malattia spiega
perché la musica, che è ordine e armonia, avesse un ruolo così importante nell'approccio ai
problemi di salute influendo sull'intera persona. La musica d'altronde faceva parte integrante della
vita greca: i filosofi ne studiavano il valore etico, i caratteri e gli effetti che aveva per l'anima e per
il corpo e ne affermavano il valore terapeutico. Se Ippocrate viene chiamato il padre della medicina,
possiamo riconoscere in Platone e Aristotele i precursori della musicoterapia, Aristotele assegna
alla musica un preciso valore quando dice che persone afflitte da emozioni incontrollabili “dopo
aver ascoltato melodie, che innalzano l'anima all'estasi, riescono a rilassarsi fino a riacquistare le
loro normali condizioni, come se si fossero sottoposte a cure mediche o purificatorie.
La purificazione catartica delle emozioni era un processo molto importante per riacquistare la salute
61
mentale nella vita greca e avveniva, di solito, attraverso rappresentazioni drammatiche e musicali.
Si dice che Esculapio prescrivesse musica e armonia alle persone affette da disturbi emotivi.
La musica è certamente l'arte più antica. Diversamente dalla maggior parte delle altre forme
artistiche ha dei suoi predecessori naturali: infatti la natura è piena di rumori e suoni, che come il
canto degli uccelli, possono costituire delle armoniose melodie.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
La cosiddetta musica ambientale riproduce i suoni della natura e può essere usata a scopo
terapeutico grazie alla sua capacità di rilassare. La musica segue l'uomo dalla culla alla tomba,
facendolo addormentare in tenera età facendo del triste sfondo le sue esequie.
L'idea di un'armonia onnipotente, originariamente sostenuta da Orfeo e in seguito da Pitagora e dai
suoi discepoli, si diffuse moltissimo nell'opera scientifica dell'antichità ed è rimasta in auge fino a
epoche recenti. La fiducia nel potere curativo della musica perdurò nelle civiltà avanzata
dell'antichità fino al Rinascimento. Ad essa venivano attribuiti effetti miracolosi non solo nei casi di
nevrosi e psicosi ma anche nelle malattie somatiche o organiche. Alcuni credevano che curasse le
persone malate, resuscitasse i morti, mettesse fine sia alle epidemie psicotiche, come il tarantismo,
sia a quelle contagiose. Sii sosteneva inoltre che se adeguatamente usata aveva la proprietà di
prevenire i crimini individuali e le sommosse del folle.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
L'influenza della musica sul patire psichico ha sollecitato nel corso dei secoli diverse interpretazioni.
Nel 1489 Marsilio Ficino nel suo De Vita Triplici proponeva una teorizzazione vicina alle
concezioni contemporanee; la musica intesa come uno strumento di restaurazione spirituale, capace
quasi concretamente di ricaricare lo "spiritus" (lo spirito sottile) degli intellettuali (Saturnini); questi
per la loro attività speculativa consumano lo spirito sottile e questa combustione provoca una
"discrasia malinconica estremamente perniciosa e nefasta in coloro che vi sono predestinati
dall’astro che ha presieduto alla loro nascita: Saturno”(Starobinski 1990)11.
Dal Rinascimento ai nostri giorni, le varie credenze sui rapporti tra il suono e il cosmo sono rimaste
nel campo della speculazione intellettuale e metafisica. Ciò nonostante, le relazioni matematiche
che esistono fra loro hanno avuto talvolta connotazioni emotive per alcuni scrittori, che parlano ad
esempio, di “celeste logica di Bach”. La musica però non viene solo assimilata passivamente, lo
stesso malinconico può inventare e produrre quella a lui più adatta.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
La musica "è quindi intesa con un'operazione interiore con la quale l'uomo melanconico si sforza di
placare ed equilibrare la propria natura tormentata...è un'operazione riflessiva e narcisistica che
cerca di temperare una costituzione fragile" (Starobinski 1990) 11.wwwwwwwwwwwwwwwwwww
In epoca più recente i teorici del trattamento morale hanno attribuito alla musica il potere di
62
raggiungere direttamente "l'essere affettivo senza passare attraverso l'intermediazione della
rappresentazione e delle idee…la musica agisce direttamente sull'anima”(Starobinski 1990) facendo
sorgere senza alcuna mediazione emozioni e sentimenti11.
Il rapporto tra medicina e musica nell'arco della storia dell'uomo è sempre stato stretto, le due
discipline simbolizzata da Apollo, continuano ancora oggi questo processo di integrazione.
Esistono diverse definizioni di musicoterapia, tutte fanno riferimento alla forma attiva e tutte
sottolineano l'importanza della relazione tra paziente e musicoterapeuta:
Rolando Benenzon: la musicoterapia è una tecnica psicoterapeutica, che utilizza il suono, la musica,
il movimento e gli strumenti corporei, sonori e musicali per determinare un processo di vincolo tra
il terapeuta e il suo paziente un gruppo di pazienti, con l'obiettivo di migliorare la qualità della vita,
di riabilitare e di recuperare i pazienti per la società;
P. Perrone: La musicoterapia è una disciplina scientifica che si occupa dello studio e della ricerca
del complesso suono-essere umano;
P. Postacchini, A. Ricciotti, M. Borghesi: la musicoterapia è quella tecnica mediante la quale varie
figure professionali, attive nel campo dell'educazione, della riabilitazione e della psicoterapia,
facilitano l'attuazione di progetti di integrazione spaziale, temporale e sociale dell'individuo,
attraverso strategie di armonizzazione della struttura funzionale dell'handicap, per mezzo
dell'impiego del parametro musicale; tale armonizzazione viene perseguita con un lavoro di
sincronizzazione affettiva, la quale è possibile e facilitata grazie a strategie specifiche della
comunicazione non verbale;
Associazione Professionale dei Musicoterapeuti della Gran Bretagna (APMT): La musicoterapia è
una forma di trattamento in cui si instaura un mutuo rapporto fra paziente e terapeuta, permettendo
il prodursi di cambiamenti nella condizione del paziente e l'attuazione della terapia.
Il terapeuta lavora con una varietà di pazienti, sia bambini che adulti, che possono avere handicap
emotivi, fisici, mentali o psicologici. Attraverso l'uso della musica in maniera creativa in ambito
clinico, il terapeuta cerca di stabilire un'interazione, un'esperienza e un'attività musicale condivise
che portano al perseguimento degli scoppi terapeutici determinati dalla patologia del paziente;
Associazione Canadese di Musicoterapia (CAMT): La musicoterapia è l'uso della musica per
favorire l'integrazione fisica, psicologica ed emotiva dell'individuo e l'uso della musica nella cura di
malattie e disabilità. Può essere applicata a tutte le fasce d'età, in una grande varietà di ambiti di
cura. La musica ha una qualità non verbale, ma offre un'ampia possibilità di espressione verbale e
vocale. Come membro di un'équipe terapeutica, il musicoterapeuta professionista partecipa
63
all'accertamento dei bisogni del cliente, alla formulazione di un approccio di un programma
individuale
e
poi
offre
specifiche
attività
musicale
per
raggiungere
degli
scopi.
Valutazioni regolari accertano assicurano all'efficacia del programma.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
La natura della musicoterapia amplifica l'approccio creativo nel lavoro con gli individui
handicappati. La musicoterapia fornisce un approccio umanistico possibile che riconosce sviluppa
le risorse interne del cliente spesso non sfruttate. I musicoterapeuti desiderano aiutare l'individuo
per spingerlo verso un migliore concetto di se, e, nel senso più ampio, per far conoscere ad ogni
essere umano le proprie maggiori potenzialità;
Associazione Nazionale di Musicoterapia U.S.A. (AMTA): la musicoterapia è l'uso della musica
nella realizzazione degli scopi terapeutici: il ristabilimento, il mantenimento del miglioramento
della salute mentale e fisica. È l'applicazione sistematica della musica, diretta dal musicoterapeuta
in
un
ambito
terapeutico,
per
portare
cambiamenti
desiderati
nel
comportamento.
Tali cambiamenti permettono l'individuo di affrontare la terapia per arrivare a una maggiore
comprensione di se è del mondo intorno a lui, e di ottenere quindi un più adeguato adattamento alla
società. Come membro della squadra terapeutica il musico terapeuta professionista prende parte
all'analisi dei problemi dell'individuo e alla formulazione degli obiettivi del piano generale di
trattamento, prima di progettare ed elaborare specifiche attività musicali;eeeeeeeeeeeeeeeeeeee
Valutazioni periodiche vengono fatte per determinare l'efficacia delle procedure impiegate.
Congresso Mondiale di Musicoterapia di Amburgo (1996): la musicoterapia è l'uso della musica e/o
dei suoi elementi (suono, ritmo, melodia e armonia) per opera di un musicoterapeuta qualificato, in
un rapporto individuale o di gruppo, all'interno di un processo definito, per facilitare e promuovere
la comunicazione, le relazioni, l'apprendimento, la mobilitazione, l'espressione, l'organizzazione e
altri obbiettivi terapeutici degni di rilievo, nella prospettiva di assolvere i bisogni fisici, emotivi,
mentali, sociali e cognitivi. La musicoterapia si pone come scopo quello di sviluppare potenziali e/o
riabilitare funzioni dell'individuo, in modo che egli possa ottenere una migliore integrazione sul
piano interpersonale e/o intrapersonale e, conseguentemente una migliore qualità di vita attraverso
la prevenzione, la riabilitazione o la terapia 9.
Tutte queste definizioni sono ampie e complesse come d'altronde lo è la disciplina di cui trattano 2.
La musica è a tutti gli effetti una funzione cognitiva superiore che condivide con il linguaggio molte
aree e alcuni meccanismi, ma fino a gli anni '80 non ha riscosso un pari interesse da parte dei
neurologici. La musicoterapia è una metodologia che si affianca ad altre di tipo medico, psicologico
64
e riabilitativo in un quadro di presa in carico globale del paziente.fffffffffffffffffffffffffffff
Nella letteratura scientifica si osserva come la musicoterapia sia sempre più utilizzata sia nell'ottica
del rilassamento e della riduzione del dolore in pre post-anestesia, sia come tecnica di riduzione
dello stress legato procedure mediche, anche nei bambini. La via della validazione scientifica
appare ancora molto lunga. Prima ancora di essere considerata una disciplina, cosa che del resto è
nelle sue aspirazioni ed ambizioni, la musicoterapia si propone come una pratica a carattere
interdisciplinare e transdisciplinare, che propone una sfida ed un'intersfacciamento tra discipline di
differenze tradizione e statuto epistemologico.
Tale approccio è l'unico proponibile, la musica infatti agisce e influenza qualsiasi elemento che
tocca, basti pensare agli effetti sulla natura, esistono diversi esempi a riguardo; un fattore
dell'Illinois pose sementi uguali in due serre, in identiche condizioni di fertilità, umidità e
temperatura; ma in una collocò un altoparlante che diffondeva musica ventiquattro ore su
ventiquattro, dopo un certo tempo si accorse che nella serra con la musica in diffusione il mais
aveva germogliato più rapidamente, il peso dei grani era maggiore e il quoziente di fertilità era
aumentato, ma le piante vicine agli altoparlanti erano rovinate per effetto della vibrazione del suono.
In medicina veterinaria si dice per scherzo che le mucche amano Mozart e che invece Wagner o il
Jazz disturbano la produzione di latte, ma dopo attente statistiche si è osservato che la produzione di
latte è davvero influenzata dai suoni, infatti il rendimento delle mucche nelle stalle vicino ad
aeroporti diminuisce notevolmente a causa dei rumori dei jet.
Il successo o il fallimento di una musicoterapia dipendono in gran parte da fattori di rapporto umano,
oltre che musicali. Una valutazione della risposta del paziente alla musica dovrebbe includere quella
che
potrebbe
definirsi
la
sua
“storia
musicale”.ttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt
Le esperienze musicali personali lasciano di solito una traccia profonda nella memoria e possono
venire associate con sensazioni di successo o di fallimento. Molte persone sono assai più sensibili e
vulnerabili a ciò che riguarda la musica rispetto che a qualunque altro soggetto, pur senza essere
dotati di un particolare senso musicale. Poiché la musica è senza parole, non esistono praticamente
limiti al suo potere evocativo o immaginativo. La musica può creare rappresentazioni mentali di
molti tipi: realistiche, irreali, di sogno, fantastiche, mistiche o allucinatorie.rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr
La musica suonata in sottofondo può provocare sensazioni vaghe come un sogno, stati d'animo
attraverso i quali l'individuo riesce ad evadere in un mondo immaginario, dove può perdersi, oppure
ritrovare se stesso. Se la musica può sopprimere il senso dello spazio, può anche distorcere e far
scomparire il senso del tempo, senza alcuna implicazione mistica e in persone del tutto normali.
65
Esperimenti fatti nelle fabbriche provano che il tempo sembra trascorrere più rapidamente quando
viene suonata della musica. Sappiamo bene che possiamo perdere anche del tutto il senso del tempo
suonando o ascoltando musica. La musica può servire da ponte tra il reale e l'irreale, il conscio e
l'inconscio e questa sua caratteristica è stata usata in molte situazioni.nnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnn
La ninna-nanna favorisce il passaggio dalla veglia al sonno, oppure può portare alla luce un ricordo
da lungo tempo sopito. Non sorprende che, fin dai tempi primitivi, la musica sia stata associata col
mondo dei sogni. Il paziente ha un suo ritmo narrativo, un suo timbro e una sua intensità nella voce,
un suo modo di percepire musicalmente le parole: a tutto ciò l'analista deve a sua volta porgere il
suo orecchio (Petrella, 1998; mancia, 2004).tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt
Il legame tra musica ed aree emotive/affettive è documentabile non solo grazie ad a alcuni studi
sperimentali che hanno individuato nell'emisfero destro, lo stesso deputato alla codifica e allo
sviluppo delle emozioni, la sede anatomica dell'ascolto musicale (Platel et al., 1997), ma anche
dall'esperienza che ognuno di noi può oggettivamente fare durante, per esempio, un concerto.
Come ha osservato la Langer (1969), è possibile ipotizzare l'esistenza di un isomorfismo formale tra
struttura musicale e struttura della vita emotiva, tale da poter considerare simili le modalità
attraverso cui si determinano i differenti rimandi nel linguaggio musicale e quelle utilizzate dalla
nostra mente per provare specifici sentimenti. Sulla stessa linea di pensiero la Brèlet (1951) qualche
anno prima aveva sostenuto che l'espressività musicale rispecchia il dinamismo dei sentimenti.
L'identità sonora è un concetto utilizzato per designare l'esistenza di una sonorità specifica per
ciascun individuo ma anche per descrivere l'identificazione di un soggetto con uno specifico
strumento musicale. In ogni caso l'impiego del musicale in ambito clinico ha evidenziato la
presenza di caratteristiche sonore individuali, ponendo così il problema di un'adeguata
concettualizzazione di tali osservazioni. Benenzon ha proposto di designare con il termine Iso
(identità sonora) "la nozione dell'esistenza di un suono o di un insieme di suoni o di fenomeni
sonori interni che ci caratterizzano e ci individualizzano" (1984) 11.
Benenzon rappresenta una delle massime autorità mondiale nel campo della musicoterapia e in seno
ad essa ha posto i seguenti tre principi alla base della sua opera:
1-Principio dell'ISO: “ISO” significa uguale, è l'identità sonora di un individuo. E' un elemento
dinamico che ha in se tutta la forza di percezione presente e passata.hhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh
ISO UNIVERSALE: è una identità sonora che caratterizza o identifica tutti gli esseri umani,
indipendentemente dal particolare contesto sociale, culturale, storico, e psico-fìsiologico.
66
Farebbero parte dell'ISO universale le caratteristiche particolari del battito cardiaco, dei suoni di
inspirazione ed espirazione nonché la voce della propria madre al momento della nascita e nei primi
giorni di vita.
ISO GESTALTICO: si tratta di un fenomeno sonoro e di un movimento interno che riassume i
nostri archetipi sonori, il nostro vissuto sonoro intrauterino, dalla nascita all'infanzia fino alla nostra
età attuale. E’un suono strutturato all'interno di un mosaico sonoro che fondamentalmente è in
perpetuo movimento.
ISO COMPLEMENTARE: rappresenta l'insieme di piccole modifiche che si attuano ogni giorno o
in ogni seduta di musicoterapia sotto l'effetto di circostanze ambientali e dinamiche.
ISO GRUPPALE: è intimamente connesso allo schema sociale all'interno del quale l'individuo
evolve. L'ISO di gruppo è fondamentale allo scopo di raggiungere un’unità di integrazione in un
gruppo terapeutico. E' una dinamica che pervade il gruppo come sintesi stessa di tutte le identità
sonore. Raccoglie in sé un insieme di fattori psico-fisiologici di suoni e di movimenti che dipendono
in ultima istanza dall'ISO gestaltico di ciascun individuo 1.
2 - Il suono come oggetto intermediario: un oggetto intermediario è uno strumento di
comunicazione in grado di agire terapeuticamente sul paziente in seno alla relazione senza dar vita a
stadi di intenso allarme e ha le seguenti caratteristiche:
- Innocuità: non da vita di per da vita a reazioni d'allarme
- Malleabilità: può essere usato a volontà per qualsiasi ruolo
- Trasmettitore: permette la comunicazione, sostituendosi al legame e mantenendo la distanza;
- Adattabilità: si adatta ai bisogni del soggetto;
- Assimilabile a sé stessi: consente una relazione molto intima
- Identifìcabile: può essere riconosciuto immediatamente.
Il suono può essere considerato oggetto intermediario e la corretta scelta dell'oggetto intermediario
dipenderà dall'abilità del musicoterapeuta nell'identificazione dell'identità sonora o ISO gestaltico
del paziente. L'oggetto intermediario dipende dalla gerarchizzazione dello sviluppo dell'individuo e
dunque dell'ISO universale, gestaltico, complementare e in misura minore dall'ISO culturale.
67
3-Suono come oggetto integratore
Questi tre principi non sono appannaggio esclusivo della musicoterapia, poiché possono essere alla
base di altre tecniche cliniche non verbali. Tuttavia essi assumono, in musicoterapia, caratteristiche
particolari che li distinguono.
Esistono cinque diverse varietà in musicoterapia:
1 - Terapia musicale di sottofondo: tramite la musica si crea un sottofondo di calma. Durante
l'ascolto il paziente può svolgere anche altre attività, dal conversare a svolgere altri lavori.
2 - Terapia musicale contemplativa: presuppone l'indicazione del paziente al significato dell'arte in
generale e della musica in particolare. Ogni sessione è preceduto da una breve informazione
sulla personalità del compositore sullo spirito della sua opera. L'esecuzione viene seguita da una
discussione libera sulle mozioni che sono state evocate.
3 - Terapia musicale esecutiva: consiste nel cantare o nel suonare strumenti sia individualmente sia
collettivamente
4 - Terapia musicale combinata: è legata alle influenze complessive che derivano da tutte le altre
procedure terapeutiche.
5 - Terapia musicale creativa: è la più elevata e complessa, come nel caso delle altre forme
artistiche, trae origine in intense esperienze dalla quale la catarsi viene ottenuta o mediante il
canto o mediante una composizione musicale.
68
5.3 Il suono e le sue caratteristiche
Il suono è una forma di energia prodotta dalle vibrazioni di un corpo in oscillazione.
Tale vibrazione, si propaga nell'aria o in un altro mezzo elastico per mezzo di onde periodiche di
condensazione e rarefazione molecolare e raggiunge l'apparato uditivo che, tramite un complesso
meccanismo interno, è responsabile della creazione di una sensazione "uditiva" direttamente
correlata alla natura della vibrazione. Nella propagazione sonora non vi è trasmissione di materia
bensì solo di energia.
Per comprendere il potenziale terapeutico della musica è necessario analizzare queste due
componenti. Innanzitutto, un suono può essere prodotto se si dispone di tre elementi:

un materiale che abbia il requisito dell'elasticità, ovvero la tendenza di un corpo a ritornare
nella posizione naturale di riposo dopo essere stato sollecitato dall'azione di una forza.

una forza energetica che, entrando in contatto con tale materiale, lo metta in moto.

un mezzo attraverso il quale il suono scaturito possa trasmettersi.
Come ogni vibrazione il suono possiede elementi peculiari, la ragione per cui una determinata
musica abbia un certo carattere e certi effetti dipende da questi elementi e dal loro rapporto, tali
elementi sono:

Altezza o frequenza: determinata dal numero delle vibrazioni di un suono, genericamente le
vibrazioni molto rapide costituiscono un potente stimolo nervoso, viceversa quelle lente hanno
un effetto distensivo.

Intensità: determinata dall'ampiezza delle vibrazioni che influenza il volume e il potere
trainante, si va dall'impercettibile all'assordante. E' importantissimo per l'effetto complessivo
della musica e può essere, di per se stesso, un mezzo di gratificazione. Se l'ascoltatore non
raffinato preferisce la musica sinfonica a quella da camera è probabile che sia dovuto all'ampio
volume
della
prima,
indipendentemente
dal
valore
musica
della
composizione.
L'intensità è un elemento dinamico che può essere manipolato, cambia nel tempo attraverso
varie sfumature di potenza crescente o decrescente e crea all'interno del suono diversi rapporti
di sonorità e di dolcezza, crescendo e diminuendo. Ciò può dare l'impressione di una forza che
si avvicina o si allontana o perfino evocare una paura primordiale del suono.
Al contrario un volume sommesso può produrre un senso di intimità, parla al timido,
all'introverso, riflette una calma e una serenità finalisticamente ricercate in questo studio.
69

Il timbro o colore: è quella particolare qualità del suono che permette di distinguere due suoni
con uguale intensità e altezza, data la ristrettezza del nostro vocabolario dobbiamo utilizzare il
termine colore per definire quello che è uno degli elementi più importanti nel suono musicale e
che ha un profondo significato associativo. Il timbro agisce molto in profondità, non è un
elemento ritmico ma puramente sensuale, al suo interno c'è ancora un misterioso potere, la sua
importanza è preminente poiché tramite esso si crea un canale di comunicazione immediato tra
interprete e ascoltatore. In molte composizioni, la fusione del timbro di diversi strumenti
produce un effetto pieno di colore che attira e avvolge.

L'intervallo: è ciò che separa due note ed è strettamente legato all'altezza del suono, consiste nel
rapporto tra due suoni musicali di una successione e ha, come risultato una melodia e un
armonia. La combinazione che si creano possono essere piacevoli o meno all'orecchio.

Durata e ritmo: la durata, nella musica, è un elemento temporale che produce suoni di differente
lunghezza, ma non include, necessariamente, quel alternarsi di tensione e di distensione che
crea il ritmo. Il ritmo è un modello di tempo che si accorda con una certa velocità, possiamo
scorgere delle relazioni tra il tempo della musica e le funzioni fisiche involontarie, come la
frequenza cardiaco e respiratoria. Il ritmo è l'elemento più dinamico e perciò il più evidente
nella musica, si combina con l'altezza e col timbro conferendo il significato definitivo, esprime
un alternarsi di tensione e di distensione per mezzo di accenti, respiri, battute forti o deboli.
I suoi effetti sono facili da osservare ed estremamente diversi; a volte, può provocare
comportamenti isterici o indurre quiete e sonno. L'ascolto di un suon continuo, ripetuto, lento
che diventa sempre più lento può offuscare la coscienza.
La forma musicale in definitiva è l'elemento regolatore della musica, segue un ordine intellettuale e
mantiene le emozioni che provoca entro precisi periodi di tempo.
Ulteriori concetti da chiarire per avere una parvenza di quella che è la teoria musicale:

Nota: è un suono di qualsivoglia timbro e volume, ma di frequenza stabilita, l'orecchio umano
può distinguere decine di migliaia di frequenze differenti, ma la gamma utilizzata in musica va
all'incirca da 20 Hz a 4000 Hz, si sono scelte alcune frequenze di riferimento determinati a
intervalli di distanza, chiamati semitoni. Le note sono sette: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si

Ottava: è l'intervallo tra le stesse note posizionate a livelli di frequenza doppia (o dimezzata),
questo intervallo è stato diviso in dodici suoni equidistanti e queste distanze sono chiamati
70
semitoni, per esempio il La centrare ha un frequenza pari a 440Hz e il La un ottavo sotto ha un
frequenza
pari
a
220Hz
mentre
quello
un'ottava
sopra
pari
a
880Hz.
Due semitoni sommati fanno un tono.
Do-Do#Reb-Re-Re#Mib-Mi-Fa-Fa#Solb-Sol-Sol#Lab-La-La#Sib-Si
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Figura 4: note musicali della scala diatonica
La gamma dell'udibile viene convenzionalmente suddivisa in regioni sonori chiamate proprio ottave,
le quali corrispondono ad intervalli di altezze fra i due suoni, il più acuto dei quali ha una frequenza
doppia
rispetto
al
primo,
come
ricordato
precedentemente.uuuuuuuuuuuuuuuuuuu
La sensazione di similitudine che questi due suoni determinano è tale da far sì che vengano chiamati
con lo stesso nome. La distanza in ordine di
altezza che intercorre tra due note, siano esse
simultanee o consecutive, viene definita intervallo; questi è determinato dal numero delle note
intercorrenti tra quelle oggetto di misurazione, comprendendo le stesse nella numerazione.
Il numero dei semitoni che formano un intervallo, ne definisce precisamente la natura.
In una ottava ci sono: intervalli giusti (unisono, quarta, quinta, ottava); intervalli maggiori e minori
(seconda, terza, sesta, settima, con la differenza di un semitono tra maggiore minore).

Scale:è una successione tipicamente di sette note scelte fra le dodici che compongono l'ottava;
il termine ottava deriva proprio dal fatto che l'ottava nota della scala (la tredicesima contando
anche le altre) è il punto in cui questa comincia a ripetersi. La nota da cui si inizia a contare dà
il nome alla scala, mentre l'aggettivo, che in questo caso è "maggiore", si riferisce al criterio
con cui sono scelte le altre sei. Una scala maggiore, che ispira sensazioni solari e allegre deve
rispettare il seguente ordine di successione di toni T e semitoni ST:
71
T - T - ST - T - T - T – ST
Una scala minore, che ispira sensazioni di malinconia
e tristezza, è rappresentata dalla
successione seguente: T - ST - T - T - ST - T – T

Melodia: è una catena di suoni di differente altezza e di differente durata la cui struttura genera
un organismo musicale di senso compiuto

Accordo: combinazione di due o più intervalli armonici ordinati per intervalli di terza, e non
solo, dove per combinazione di due intervalli armonici si intende la loro simultaneità ed il fatto
di avere in comune la nota di altezza intermedia. L'intervallo di terza maggiore è l'intervallo
esistente tra due note distanti fra loro quattro semitoni, cioè due toni.

Armonia: il concetto di armonia rimanda all'organizzazione di sonorità simultanee e al loro
relazionarsi. Storicamente l'introduzione dell'armonia, definita come l'arte della combinazione e
del concatenamento di suoni simultanee, segna il passaggio dall'omofonia alla polifonia, dalla
melodia all'accordo. Da un punto di vista fisico la costruzione degli accordi trova inoltre una
propria giustificazione dell'esistenza del fenomeno dei suoni armonici. Così come la
conosciamo, la teoria armonica deriva dalla ricerca di simultaneità nell'ambito dell'espressione
sonora. Attualmente la sua accezione può rimandare ad una forma di comunicazione idealizzata.
Nei racconti mitologici corrispondeva inoltra ad un tipo di relazione cosmica e la musica
diveniva il prototipo dell'armonia tra cielo e terra 11.

Tonalità: costituisce l'insieme dei principi armonici e melodici che regolano i relativi legami tra
accordi e/o note di in un brano musicale, la modulazione corrisponde al cambiamento di
tonalità all'interno del brano.
Tale introduzione, sicuramente molto approssimativa, alla teoria musicale è necessaria per
comprendere l'armonia musicale e in particolare i concetti di assonanza e dissonanza che ne
costituiscono le fondamenta e rendono conto degli effetti di rilassamento o eccitamento che la
musica può esercitare sull'uomo.
Per consonanza (dal latino consonare, suonare insieme) si intende un insieme di suoni eseguiti
simultaneamente tali che la loro integrazione dia un effetto complessivo morbido e gradevole con
un conseguente rilassamento, mentre con il termine dissonanza si indica l'opposto, un agglomerato
di suoni dall'effetto aspro e stridente. Gli intervalli consonanti sono l'unisono, l'ottava, la quarta e la
quinta giuste, la terza e la sesta maggiori e minori. Invece gli intervalli dissonanti sono la seconda e
la settima. Un accordo dissonante è tale se contiene un intervallo dissonante altrimenti è consonante.
Imberty ha studiato lo sviluppo della percezione musicale nei bambini e negli studenti universitari,
72
secondo le sue osservazioni la melodia costituisce il fattore più importante nei bambini;
l'apprezzamento della struttura tonale viene progressivamente acquisito con la crescita e le sue
conclusioni sono state che lo sviluppo della sensazione di consonanza e lo sviluppo del linguaggio
musicale corrono parallelamente. La consonanza è un traguardo individuale su cui influiscono
fattori biologici e di “acculturazione”. Date tutte queste considerazioni diventa ancora più
stimolante lo studio dell'esperienza musicale nella popolazione demente che ha un eterogeneo grado
di compromissione cognitiva e da questo studio non è da escludere la scoperta di nuovi elementi
riguardanti il rapporto musica-cervello.
Un brano musicale per poter indurre un effetto rilassante pertanto non dovrà contenere dissonanze
al suo interno e dovrà avere un ritmo lento e un volume basso.
Ogni genere musicale ha
caratteristiche peculiari e può indurre determinati stati d'animo. Il canto gregoriano utilizza i ritmi
del respiro naturale per creare un senso di riposante vastità, è eccellente nello studio in tranquillità e
nella meditazione e può ridurre lo stress. La musica barocca più lenta (Bach, Handel, Vivaldi,
Corelli) conferisce un senso di stabilità, ordine, prevedibilità e sicurezza e crea un ambiente
mentalmente stimolante per lo studio e il lavoro. La musica di Mozart appare ricca di chiarezza,
eleganza e trasparenza. Può migliorare la concentrazione e la memoria della percezione spaziale.
La musica romantica (Schubert, Shumann, Tchaikovsky, Chopin, Liszt) accentua l'espressività e il
sentimento, spesso suscitando spinte individualistiche, nazionalistiche e mistiche. E' in grado di
incoraggiare la simpatia, la compassione e l'amore. La musica impressionista (Debussy, Faurè,
Ravel) si basa sul libero fruire in musica di stati d'animo e impressioni ed evoca immagini oniriche.
Jazz, blues, dixieland, soul, calipso, reggae e le altre forme di musica e danza che provengono
dall'eredità africana possono risollevare e ispirare, liberare sia profonda gioia sia tristezza,
esprimere spirito e ironia e ribadire la nostra umanità. Salsa, rumba, merenghe, macarena e altre
forme di musica sudamericana hanno un ritmo vivace, un tempo che può far correre il cuore,
accelerando un respiro e mettere tutto il corpo in movimento. I grandi gruppi, la musica pop, i
successi degli anni 40 della musica country-western possono ispirare movimenti leggeri e moderati,
coinvolgere le emozioni e creare un senso di benessere. La musica rock può risvegliare passioni,
stimolare un movimento attivo, liberare tensione, coprire il dolore e ridurre l'effetto di altri
spiacevoli rumori nell'ambiente circostante, ma può creare tensione, dissonanza, stress e dolore
quando la si ascoltano in uno stato d'animo non adatto ad essere trattati in modo così energico.
Le musiche ambient, prive di un ritmo dominante, prolungano il nostro senso del tempo e dello
spazio percepito e conduce in uno stato di attenzione rilassata.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
73
La musica religiosa e sacra, compresi i tamburi degli sciamani, gli inni di Chiesa, la musica gospel e
spiritual, può radicarci nel presente portarci un senso di pace profonda di consapevolezza spirituale,
può anche aiutarci superare il dolore e a liberarcene.
La medicina può sfruttare queste conoscenze in campo musicale a fini terapeutici, in particolare la
geriatria può essere la prima a poterne fruire e molteplici studi sono stati compiuti in tale direzione.
Il paziente anziano essendo complesso necessita di cure multimodali, che coinvolgono più figure
professionali e richiedono un'elevata condivisione di informazioni, obiettivi e metodi di trattamento.
Esiste tuttavia una grande difficoltà di standardizzazione del trattamento riabilitativo, legata
principalmente al fatto che la maggior parte degli interventi e fortemente "paziente-dipendente" e
sfugge ad una puntuale programmazione.
La musica è potenzialmente evocativa, cioè sollecita ricordi e stati d'animo attraverso momenti di
verbalizzazione successive all'ascolto musicale. Il generico ascolto musicale viene utilizzato con
l'idea che possa agire con qualche efficacia inducendo stati di benessere e, quindi, riducendo,
soprattutto nelle demenze, i disturbi comportamentali, migliorando il tono dell'umore e la
socializzazione. E' plausibile ritenere che la musica abbia in sè potenzialità benefiche ma è
opportuno considerare quanto questo sia spesso scarsamente posto in rapporto con il concetto di
terapia. Tale concetto è da ricondursi alla possibilità di agire sull'attenuazione di sintomi e sulla
prevenzione/stabilizzazione delle complicanze determinate da questi stessi (concetti di prevenzione
secondaria e terziaria), con conseguenti ripercussioni sul piano generale della qualità di vita della
persona. L'importanza di comprendere, attraverso approfondimenti clinico-applicativi, su quali
soggetti si possano riscontrare eventuali effetti terapeutici è stata posta da numerosi studi che hanno
valutato positivamente l'efficacia di trattamenti musicoterapeutici nell'ambito delle demenze (vedi
capitolo 6) mediante la musicoterapia intesa come tecnica di comunicazione pre-verbale e nonverbale che può prescindere dal simbolico, dalle capacità di astrazione e dal culturalmente appreso.
Si possono attivare modalità relazionali ed espressive di origine e natura arcaica che hanno quindi
maggiore probabilità di essere ancora presenti anche nella persona con deterioramento cognitivo.
Oggi il terreno è maturo perché i confini interdisciplinari ammorbidiscano i propri confini e a fare
da battistrada dovrebbero essere le scienze più giovani, che hanno poco potere da difendere e molti
riconoscimenti ancora da riscuotere. Per questo la psicologia della musica e la musicoterapia
possono dialogare scambiandosi prospettive, strumenti di ricerca, modelli valutativi e idee.
74
La musica, giunta nella sua evoluzione a concludere il ventesimo secolo, ha recuperato e
modernizzato una congerie interminabile di possibilità per manipolare i suoni, ha valorizzato ogni
strumento, ogni tecnica, ogni approccio ermeneutica col fenomeno, ha analizzato le sue ricadute
sociali e psicologiche in modo trasversale rispetto alla storia alla e alla geografia, ai tempi e agli
spazi. In particolare si sono impresse immagini di memoria e di coscienza tanto integrate quanto
disgregate, tanto articolate quanto evanescenti: le avanguardie hanno consacrato i suoni d'ambiente,
i cosiddetti rumori, come segnali latori di senso, hanno allargato le maglie dell’ermeneutica
rendendo i segni aforistici, hanno annullato le distanze tra espressione alta e popolare, tra cultura
orale e scritta, hanno permesso che le idee musicali di tutto il mondo diventassero merce di scambio
culturale, affinché tutti ne potessero trarre benefici per puntualità di segno, ricchezza di colori e
forme; hanno recuperato la freschezza del gesto antiretorico, modellato materiale spurio imbrattato
di vita vera quando l'artificio l’aveva reso ormai asettico e quindi prevedibile e noioso.
Un operatore della musica del ventunesimo secolo ha la fortuna di avere di fronte a sè una
sterminata distesa di possibilità espressive, una gamma infinita di sfumatura, le tecniche: nel
contempo, in un contesto così espressivo e multiforme, rischia di non trovare la giusta voce.
Nel suo libro “Musicofilia” Oliver Sacks intitola il suo ultimo capitolo “Musica e identità: demenze
e musicoterapia” e al suo interno sottolinea come la risposta alla musica si conserva anche quando
la demenza è molto avanzata. Riprende il Jacques di Shakespeare, in come vi piace, che considera
le età dell'uomo sette e l'ultima la ritiene “senza niente”. Eppure, per quanto uno possa essere
gravemente debilitato e compromesso, non si è mai davvero senza niente, una tabula rasa.
Di solito la musicoterapia destinata ai pazienti con demenza assumere la forma dell'esposizione a
vecchie canzoni le quali, con la specificità delle melodie, dei contenuti e della carica emotiva,
richiamano ricordi biografici, evocano relazioni personali e invitano alla partecipazione.
Probabilmente quando la demenza si fa più profonda questi ricordi e queste reazioni diventano
meno disponibili. Malgrado ciò, quasi sempre sopravvive qualcosa: soprattutto, resistono i ricordi e
le reazioni motorie associate al ballo. La musica può parlare alle persone, penetrare nel profondo e
indurre modificazioni a molti livelli, e questo è vero per i pazienti con demenza come per tutti noi.
Scrive Lurija "il corpo è un'unità di azioni" e se non vi è alcuna unità, se non vi è nessuna azione o
interazione in corso, la stessa percezione di essere creatura "incarnate" può risultare minata.
Di un disturbo del movimento come il morbo di Parkinson, il potere della musica non ha alcun
significativo effetto di persistenza. Il paziente può acquistare un flusso motorio armonico, ma una
75
volta che la musica cessa, il flusso si ferma. Nelle persone affette da demenza, tuttavia, a volte la
musica provoca effetti più a lungo termine, per esempio miglioramenti dell'umore, del
comportamento e perfino della funzione cognitiva, che possono persistere per giorni.
A volte la malattia di Alzheimer può provocare allucinazioni e deliri, e anche in questi casi la
musica può offrire una soluzione a non problema altrimenti difficile da risolvere.
Oliver Sacks, sempre nello stesso capitolo, riporta un racconto di un sociologo suo amico, Bob
Silverman, la cui madre novantunenne malata di Alzheimer da 14 anni ricoverati in una casa di cura
aveva cominciato ad avere allucinazioni e in seguito all'ascolto di musica tramite un lettore mp3
(munito
di
auricolari,
in
modo
da
non
disturbare
nessuno)
queste
erano
cessate.
La percezione della musica e delle emozioni che essa può suscitare non dipende esclusivamente
dalla memoria, e non occorre che la musica sia familiare per esercitare il suo potere emozionale.
Molti pazienti con demenza profonda possono arrivare a piangere o a tremare mentre ascoltano una
musica che non hanno mai sentito prima è probabilmente possono sperimentare tutta una gamma di
sentimenti equivalenti a quelli che proviamo noialtri; almeno in quei momenti, la demenza non è di
alcun impedimento alla profondità dell'esperienza emozionale.8888888888888888888888888888
La risposte emozionale della musica sembra avere un substrato anatomico diffuso, e probabilmente
non solo a livello corticale, ma anche sottocorticale: perfino nel caso di una malattia che colpisca
estesamente la corteccia, come il morbo di Alzheimer, la musica può ancora essere percepita goduta,
per suscitare risposte. Non occorre avere una conoscenza formale della musica per poterne fruire
appieno. La musica fa parte dell'umano, e non esiste una sola cultura al mondo in cui non sia
altamente sviluppata e tenuta in gran conto. Per la sua stessa ubiquità può far sì che, nella vita
quotidiana, essa venga banalizzata: accendiamo la radio, la spegniamo, canticchiando un motivetto,
battiamo il ritmo con i piedi, scopriamo le parole di una vecchia canzone che si aggirano nella testa
e non ne vediamo l’importanza. Ma per quanti sono persi nella demenza, la situazione è diversa.
La musica per loro non è un lusso, ma una necessità, e può avere un potere superiore a qualsiasi
altra cosa nel restituirgli, seppure soltanto per poco, a se stessi e agli altri (O.Sacks, 2013).
76
Capitolo 6: Una revisione della letteratura
La letteratura nazionale e internazionale relativa all'utilizzo della musica in pazienti sottoposti a
cure mediche, rileva l'utilità dell'elemento sonoro-musicale per favorire l'aumento del rilassamento
e la riduzione del dolore, dell’ansia e dello stress. Scopo primario dell'intervento musicoterapeutico
è il miglioramento del senso di benessere delle persone e di conseguenza della loro qualità di vita,
durante situazioni e contesti particolarmente stressogeni. E' stato provato che l'ascolto musicale,
permette, in alcuni casi, la riduzione delle dosi di farmaci sedativi e analgesici (Rudin et al., 2007) e
del dolore post-operatorio (Cepeda et al., 2007).
Lo studio condotto da Bernardi e coll (2006) si è posto l'obiettivo di indagare le variazioni nei
parametri fisiologici relativi al sistema cardiovascolare e respiratorio indotti dall'ascolto musicale e
i risultati hanno evidenziato come quest'ultimo, se costituito da musica a tempo veloce, provoca un
sensibile aumento della ventilazione respiratoria, della pressione sistolica e diastolica, della
frequenza cardiaca e dell'indice della variabilità cardiaca. Etzel e coll. (2006) hanno dimostrato
effetti simili attraverso i loro studi, Iwanaga e coll. (2005) invece si sono concentrati sugli effetti
della musica sull'indice di variabilità cardiaca, ovvero l'indice che determina l'equilibrio dell'attività
del sistema nervoso simpatico e parasimpatico, dimostrando che la musica sedativa diminuisce la
percezione soggettiva della tensione rispetto ad altre condizioni (musica attivante) 9.
Lo studio di Mandel e coll. (2007) ha dimostrato risultati statisticamente significativi nella
riduzione dei valori della pressione sistolica, del livello di ansia e della depressione con una
registrazione di un evidente miglioramento della qualità della vita con particolare riferimento agli
aspetti relativi alla salute generale e alle funzioni sociali 9.
Voss e coll. (2004) studiando l'effetto della musica sull'ansia e sul dolore in pazienti sottoposti ad
operazioni a cuore aperto hanno dimostrato che entrambi hanno presentato riduzioni evidenti nel
gruppo sperimentale che è stato sottoposto ad ascolto di musica “sedativa” rispetto al gruppo di
controllo che ha ricevuto il trattamento di routine. Allen e coll. (2011) hanno ottenuto risultati
sovrapponibili sul livello di stress e sull'ipertensione durante operazioni ambulatoriali oftalmiche e
Chan e coll. (2003) durante colposcopie 9.
77
Vi sono importanti evidenze che suggeriscono l'efficacia della musicoterapia nel trattamento delle
demenze, la musica costituisce un linguaggio universale nella sua complessità e nella sua bellezza e
riesce ad arrivare anche alle persone gravemente compromesse dal punto di vista cognitivo che non
sono in grado di interpretare e rispondere agli stimoli ambientali.
Lo studio di Mayumi et al, 2013
65
ha reclutato 39 pazienti con AD assegnandoli in modo casuale
ad un gruppo di controllo che ha continuato i trattamento di routine e ad un gruppo sperimentale che
si è sottoposto a interventi musicoterapici. Gli effetti a breve termine sono stati valutati tramite
livelli di risposta allo stress, misurata con l'Autonomic Nerve Index e la Faces Scale, mentre gli
effetti a lungo termine sono stati valutati tramite la Behavioral Pathology in Alzheimer Disease
(BEHAVE - AD) Rating Scale. I risultati sono stati nettamente migliori nel gruppo sperimentale con
un evidente miglioramento dello stato emotivo, una diminuzione dello stress, dell'aggressività e
delle allucinazioni anche a lungo termine con un complessivo aumento della qualità della vita in
coloro che hanno partecipato alle sessioni di musicoterapia.
Lin et all, 2011 hanno riportato risultati simili su un campione di 100 soggetti 57, cosi come Park et
all, 2009 68 su un campione di 15 soggetti.
Jennings et all, 2008
72
e Ledger et all, 2007
76
hanno dimostrato una maggior efficacia della
musicoterapia nella riduzione dei BPSD a breve termine e un efficacia minore a lungo termine.
Ridder et all, 2013
78
hanno concluso il loro studio, svoltosi in una casa di cura per anziani in cui
hanno reclutato 42 soggetti con demenza randomizzandoli in due gruppi, un braccio sperimentale
che ha partecipato a sedute di musicoterapia per 6 settimane e un braccio di controllo che in tale
periodo ha continuato i trattamenti standard, affermando che il periodo di musicoterapia ha ridotto i
BPSD e ha impedito l'aumento della dose di farmaci nei soggetti del braccio sperimentale.
Le ricerche sulla musicoterapia praticate in case di cura sono numerose, tra le più interessanti vi è
quella condotta da Gerdner et all, 2010
73
che hanno seguito 39 soggetti dementi distribuito
casualmente in un gruppo sperimentale e uno di controllo, il gruppo sperimentale ha ascoltato 30
minuti di musica rilassante ogni giorni per 4 settimane , mentre il gruppo di controllo non ha
seguito queste indicazioni. Questo studio ha dimostrato che la musicoterapia può ridurre i punteggi
78
della CMAI, scala di valutazione dell'agitazione negli anziani utilizzata in questo e in molti studi
simili, nonché nel presente lavoro.
I risultati emersi dagli studi di Choi et all, 2009
40
e Burrows et all, 2009
69
evidenziano una
riduzione nell'angoscia nei soggetti dementi che si giovano dell'intervento musica nei caregiver
alleggerendo il loro carico di lavoro. Raglio et all. hanno dato un contribuito impareggiabile allo
studio delle applicazioni della musica nella terapia medica e attraverso diverse ricerche in ambito
geriatrico 41, 79, 56 e al di fuori di esso hanno dimostrato le enormi potenzialità dell'elemento sonoromusicale e la sua efficacia riportando una diminuzione dei disturbi comportamentali statisticamente
significativa nei soggetti che hanno svolto sedute musicale in aggiunta ai presidi di routine rispetto
a coloro che si sono serviti solo di questi ultimi.
La validità degli interventi realizzati con la musica è apparsa evidente in tutte le ricerche prese in
esame. L'utilizzo di tecniche musicali di tipo recettivo (somministrazione di ascolti di brani
selezionati dall'esaminatore o dai soggetti coinvolti) è strettamente connesso agli ambiti considerati,
ossia contesti ambulatoriali ed ospedalieri in cui risulta difficilmente attuabile un intervento di tipo
improvvisato. La maggior parte degli studi finora svolti, benché molti terminati con risultati più che
positivi e soddisfacenti nel miglioramento della qualità di vita dei malati di demenza, si concludono
con la necessità di sviluppare altre ricerche in tale campo. A tale proposito, studi futuri in ambito
medico, potrebbero approfondire il rapporto che intercorre tra la struttura musicale, i parametri del
suono e gli effetti prodotti sia dal punto di vista fisiologico che emotivo; ciò potrebbe costituire uno
spunto per individuare in modo più scientifico e rigoroso i brani musicali isolandone le variabili più
significative 9.
79
PARTE II: Studio sperimentale
Capitolo 7:
7.1 Scopo dello studio
Lo scopo del presente studio è valutare l'effetto della musica rilassante su pazienti affetti da
demenza con agitazione. Questo studio assume l'ipotesi che la musicoterapia possa ridurre
l'agitazione e i BPSD e possa migliorare la qualità di vita sia del paziente demente sia del suo
caregiver, informale o formale, e vuole anche quantificare, qualora questo emerga dai risultati, il
beneficio che il gruppo sperimentale ha ottenuto rispetto al un gruppo di controllo che non ha
ascoltato la musica.
Nella letteratura scientifica, come descritto nel capitolo 6 , esistono diversi lavori di ricerca che
hanno studiando l'effetto della musica nel campo geriatrico e non, nel primo le demenze
costituiscono senza dubbio il terreno più fertile per poter studiare e sfruttare gli effetti della musica,
sia sul versante dei disturbi di natura psicotica sia su quelli di natura depressiva.
Benché l'attenzione sull'utilizzo della musicoterapia nei pazienti dementi con BPSD stia
aumentando così come il suo utilizzo emerge la necessità di dare un ulteriore impulso in tale
direzione e il seguente studio vuole contribuire a tale proposito.
80
7.2 Materiali e metodi
Per il presente studio sono stati reclutati pazienti affetti da demenza a diversa patogenesi (demenza
di tipo Alzheimer, demenza vascolare, demenza a patogenesi mista) con disturbi comportamentali
caratterizzati prevalentemente da agitazione, afferenti all’ambulatorio UVA (Unità Valutativa
Alzheimer) o ricoverati in OAD (Ospedalizzazione a Domicilio), servizi facenti parte della Struttura
Complessa Geriatria e Malattie metaboliche dell’osso, Città della salute e della scienza di Torino,
nel periodo tra ottobre 2013 e marzo 2014.
Lo studio prevedeva una valutazione basale ed a 1 e 3 mesi di trattamento. Ai pazienti reclutati è
stato consegnato in maniera gratuita un CD composto da brani di musica rilassanti scelti con cura
secondo i principi dell'armonia musicale spiegati nel capitolo 5.
I CD forniti avevano una durata di circa 80 minuti così strutturati: i primi 30 minuti
raccoglierebbero musiche classiche rilassanti, i secondi 30 minuti raccoglierebbero musiche
rilassanti e gli ultimi 20 minuti raccoglierebbero musiche popolari famose e colonne sonore ad
azione rilassante.
Il CD è stato composto attraverso la scelta dei seguenti brani:
1- La serenata in Sol maggiore K 525, universalmente nota come Eine Kleine Nachtmusik (piccola
serenata notturna), è un notturno, ovvero una composizione ispirata alla notte, scritta da Mozart;
2- Canone e giga in re maggiore per tre violini e basso continuo meglio noto semplicemente come il
Canone di Pachelbel, è una composizione musicale scritta da Pachelbel. La sua complessità è
maggiore del brano precedente e aumenta con il procedere dell'esecuzione fin quando le variazioni
diventano più complesse, per poi farsi nuovamente più semplici, durante tutto questo il ritmo
rimane costante;
3- Aria sulla quarta corda di Johann Sebastian Bach, è uno dei brani più belli e più famosi di tutta la
musica classica, eseguita da soli strumenti ad arco ha un fascino innegabile che si fonda
sull'andamento rilassante e soave, oltre che su una melodia avvolgente e dolcissima;
81
4-
Inverno
Largo,
secondo
brano
dell'Inverno
delle
Quattro
Stagioni
di
Vivaldi.
L’Inverno di Vivaldi è composto da tre brani: inizia con un brivido gelido e lo sferrare dei venti.
La gente si affretta verso le case battendo i denti e pestando i piedi per allontanare il freddo
incalzante. Per contrasto, corre al riparo accanto a un fuoco (secondo brano), il solista si rilassa in
una melodia quieta, riposante, mentre fuori piove e le corde pizzicate del violino simulano il
tintinnare delle gocce di pioggia. L’ultimo movimento ci riporta al freddo gelido;
5- Greensleeves, melodia di Williams, caratterizzata da dolci arpeggi e violini;
6- Concerto per pianoforte e orchestra n. 21, il secondo movimento (andante) di Mozart.
Nella prima parte dominano i violini che producono un atmosfera sognante e spensierata,
successivamente subentra il pianoforte che produce e amplifica la distensione;
7- Variazioni Golberg Aria;
8- Holberg Suite, di Grieg, il secondo movimento, ovvero l'andante.777777777777777777777777
Una composizione caratterizzata da un ritmo particolarmente lento e da una struttura molto solenne;
9 - 10 - 11 - 12 - Musica ambientale : è un genere musicale in cui l'atmosfera può assumere più
importanza
delle
note,
identificabile
da
suoni
chiaramente
atmosferici
e
naturali.
Nel brano n.9 possiamo apprezzare il suono di un pianoforte associato al cinguettio di alcuni
uccellini, nel n.10 vi sono anche strumenti a fiato mentre con il n.11 ci immergiamo in un atmosfera
onirica con strumenti a fiato e un pianoforte a cui si aggiunge il suono di un ruscello che scorre in
sottofondo. Nel brano n.12 infine si ascolta il gracidar delle rane in una composizione sia
strumentale sia elettronica;
13: Melodia con violino: Sound of Angels;
14 – 15: To go beyond e Carribean Blue di Enja;
16 - 17 : Moto e cadenze di Einaudi;
18: Il signore delle cime: è un canto di origine popolare (Bepi De Marzi), caratterizzato da una
semplice melodia, accompagnata da armonie tradizionali. È abbinata ad un testo che unisce
sentimento, pietas popolare e devozione cristiana.
82
I criteri di inclusione, oltre alla diagnosi di psicosi in demenza, hanno incluso l’assenza di ipoacusia,
il consenso informato orale del caregiver e del paziente (oppure del suo legale rappresentante) e la
disponibilità
domiciliare
di
un
apparecchio
in
grado
di
leggere
CD
audio.
I pazienti per poter essere inclusi nello studio non doveva vivere in un centro di residenza per
anziani o in altre strutture che non fossero la propria abitazione e dovevano essere seguiti da un
caregiver, a prescindere dal loro livello di autonomia funzionale. La presenza di un caregiver,
formale o informale, è stata fondamentale per lo studio in quanto quest'ultimo ha potuto
somministrare l'ascolto del CD al paziente e osservare e riferire gli eventuali cambiamenti a livello
comportamentale. Inoltre il caregiver ha potuto valutare l'effetto della musica direttamente sulla
propria persona oltre che indirettamente tramite la variazione dell'agitazione nel paziente demente
che assisteva.
Alla valutazione basale, tempo 0, per ogni paziente sono stati raccolti dati riguardanti l'età al
momento del reclutamento, il sesso, la scolarità in anni, il numero di farmaci antipsicotici assunti, il
tempo in mesi dalla diagnosi e dall'esordio dei sintomi di demenza e infine il numero di ore
giornaliere in cui il caregiver assisteva il paziente.
La compromissione cognitiva dei pazienti è stata valutata attraverso il MMSE, la presenza e gravità
dell’agitazione attraverso la Cohen, la presenza di sintomi depressivi attraverso la Cornell e il carico
assistenziale del caregiver attraverso la CBI.
I test e le scale somministrati al tempo 0 sono stati rivalutati ad 1 e 3 mesi di trattamento
musicoterapico (ad esclusione del MMSE).
Il Mini Mental State Evaluation (MMSE) è un test psicometrico costituito da due parti, una verbale
e una di performance, e richiede un tempo di somministrazione di circa 10-15 minuti.
E’ composto da 11 item, suddivisi in 5 aree cognitive, quali orientamento temporale e spaziale,
memoria a breve termine, attenzione e capacità di calcolo, rievocazione e linguaggio
(denominazione, ripetizione, comprensione orale e scritta, produzione verbale e scritta) e prassia
costruttiva. Il punteggio varia da 0 (massima compromissione) a 30 (integrità delle funzioni
esplorate). I vantaggi di tale scala sono la facilità e la brevità della somministrazione e la capacità di
monitorare il grado
di
progressione della malattia nel
tempo nei singoli
pazienti.
La brevità è allo stesso tempo pregio e difetto del test, in quanto non consente una completa
83
valutazione delle funzioni cognitive, causando un’insufficiente sensibilità nelle fasi iniziali della
demenza. Altro limite, è costituito dalla dipendenza dalla scolarità e dal livello di educazione del
soggetto, per ovviare alle quali esiste la possibilità di tarare il punteggio finale sulla base di età e
scolarità di ciascun soggetto, per meglio uniformare tutte le diverse categorie di pazienti (Ellis et al,
1990) (Cohen-Mansfield et al, 1986) (Cilesi et al, 2008). Ultimo ma non trascurabile difetto è la
scarsa sensibilità nell'individuare specifici profili di deficit cognitivo: si è osservato come, in fase di
screening, penalizzi la demenza vascolare, in quanto va ad indagare con una maggiore attenzione le
funzioni di memoria e di linguaggio rispetto all'esame delle funzioni esecutive (Dukin et al, 1998).
La Cohen-Mansfield Agitation Inventory (CMAI; Cohen-Mansfield e Billing, 1986; CohenMansfield, 1988) è stata originariamente proposta per la valutazione dell’agitazione nei pazienti
anziani ricoverati e sebbene originariamente sviluppata per scopi di ricerca, è stato anche utilizzata
per scopi clinici, come ad esempio decidere se il ritiro di farmaci psicotropi comporta un aumento
dell’agitazione in una paziente anziano. È composto da 29 item, valutati su di una scala a 7 punti
(da "mai" a "diverse volte all’ora"), che vanno a costituire tre fattori, il comportamento aggressivo
(ferire, percuotere, strattonare ecc...), il comportamento fisicamente non aggressivo (camminare
avanti e indietro, manierismi ripetitivi, tentativi di allontanarsi ecc...) ed il comportamento
verbalmente agitato (lamentele, urla, richieste costanti di attenzione ecc...).7777777777
La caratteristica principale della CMAI è il fatto di prendere in considerazione i comportamenti
osservabili, escludendo ogni interpretazione degli stati emozionali ed ogni riferimento causale.
Lo strumento si è dimostrato molto affidabile in questa popolazione e in letteratura si è dimostrato
valido al fine del monitoraggio indiretto dell'efficacia degli interventi
40
.99999999999999
L'agitazione non è un termine diagnostico, ma piuttosto un termine usato dai medici per un gruppo
di sintomi che possono riflettere una patologia sottostante. La CMAI può essere auto-somministrato
da un caregiver o può essere completata dall'intervistando di uno staff di caregiver familiare.
La Cornell Scale è una scala appositamente disegnata per la valutazione dei sintomi depressivi nei
pazienti dementi. Le sue applicazioni sono molteplici, in campo clinico nello screening e nello
staging della depressione in soggetti dementi e nella ricerca in studi epidemiologici in setting
istituzionali e sperimentazioni farmacologiche.88888888888888888888888888887777777777777
Deve essere somministrato da medici o psicologi addestrati.7777777777777777777777777
La Cornell Scale utilizza una serie standardizzata di item che sono rilevati attraverso un’intervista
84
ad una persona che conosce il paziente (nel presente lavoro il caregiver) della durata di circa 20
minuti e successivamente viene intervistato il paziente. Si tratta quindi di uno strumento
osservazionale, che non richiede quindi la risposta diretta del paziente a domande formulate in
modo standardizzato. La scala si compone di 19 item, con risposte che hanno un punteggio graduato
da 0 (sintomo assente) a 2 (sintomo severo). Le domande enfatizzano segni osservabili di
depressione
quali
tristezza,
agitazione,
disturbi
del
sonno
e
bassa
energia.
E’ una delle poche scale validate in popolazioni di soggetti dementi, anche di entità moderatosevera (Ballard et al, JAGS, 1997;45:123-124). In popolazioni di dementi uno score superiore a 9
alla CDS identifica i soggetti affetti da sindrome depressiva.
La CBI (Caregiver Burden Inventory) è uno strumento di valutazione del carico assistenziale, è in
grado di analizzarne l’aspetto multidimensionale elaborato per i caregiver di pazienti affetti da
malattia di Alzheimer e demenze correlate. E’ uno strumento self-report, compilato dal caregiver
principale, ossia il familiare o l’operatore che maggiormente sostiene il carico dell’assistenza al
malato. Al caregiver è richiesto di rispondere barrando la casella che più si avvicina alla sua
condizione o impressione personale. E’ uno strumento di rapida compilazione e di semplice
comprensione. Suddivisa in 5 sezioni, consente di valutare fattori diversi dello stress:
A. Il burden dipendente dal tempo richiesto dall’assistenza (item 1-5), che descrive il carico
associato alla restrizione di tempo per il caregiver (carico oggettivo);
B. Il burden evolutivo (item 6-10), inteso come la percezione del caregiver di sentirsi tagliato
fuori, rispetto alle aspettative e alle opportunità dei propri coetanei (carico psicologico);
C. Il burden fisico (item 11-14), che descrive le sensazioni di fatica cronica e problemi di salute
somatica (carico fisico);
D. Il burden sociale (item 15-19), che descrive la percezione di un conflitto di ruolo (carico
sociale);
E. Il burden emotivo (item 20-24), che descrive i sentimenti verso il paziente, che possono
essere indotti da comportamenti imprevedibili e bizzarri (carico emotivo).
85
La CBI permette di ottenere un profilo grafico del burden del caregiver nei diversi domini, per
confrontare diversi soggetti e per osservare immediatamente le variazioni nel tempo del burden.
I caregiver con lo stesso punteggio totale possono presentare diversi modelli di burden.
Questi diversi profili sono rivolti ai diversi bisogni sociali e psicologici dei caregiver e
rappresentano i differenti obiettivi di diversi metodi di intervento pianificati per dare sollievo agli
specifici punti deboli specificati nel test. Le minori affidabilità del test si riscontrano a proposito del
carico emotivo e sociale.
Alla valutazione ad 1 mese dal reclutamento, si è provveduto a formare due gruppi di pazienti
(figura 5): gruppo 1 formato da pazienti che hanno ascoltato il CD almeno una volta alla settimana
interamente (compliance presente, gruppo sperimentale) e gruppo 2 formato da pazienti che non
hanno ascoltato il CD o lo hanno ascoltato meno di una volta alla settimana in modo completo
(compliance assente, gruppo di controllo).
Figura 5
Le cause che hanno determinato un'assenza della compliance sono molteplici, le più frequenti sono
riconducibili ad una scarsa praticità da parte di un caregiver di età avanzata, per lo più il coniuge del
paziente, nel maneggiare apparecchi tecnologici come lettori CD e ad una scarsa considerazione del
potenziale benefico del CD. Il caregiver nonostante l'acquisizione del CD non ha somministrato il
suo ascolto al proprio assistito, per negligenza, per un suo smarrimento o per il timore che questa
iniziativa non gli fosse gradita. In alcuni casi questi timori sono stati suggeriti da reazioni di rifiuto
o fastidio in seguito a un primo ascolto da parte di alcuni pazienti.llllllllllllllllllllllllllllllll
Si sono riscontrati casi in cui il/la figlia del paziente dopo la presa in consegna del CD non lo hanno
86
consegnato al caregiver del genitore demente, nuovamente per dimenticanze o per un suo
smarrimento.
In alcuni casi un malfunzionamento del lettore CD ha impedito il suo utilizzo, in un caso isolato lo
stesso paziente ha distrutto il lettore CD, il caregiver del suddetto paziente ha riferito che questo
evento non è stato secondario all'ascolto musicale ma a una predisposizione del suo assistito alla
demolizione. Vi sono inoltre riportati casi curiosi in cui non si sono comprese le indicazioni per un
corretto uso del CD andando a inficiare sui suoi potenziali benefici: un caregiver somministrando
l'ascolto del CD di giorno ha causato un inversione del ciclo sonno-veglia nel suo assistito, in un
altro caso un caregiver ha praticato la musicoterapia tramite il lettore CD della propria autovettura
durante brevi viaggi, perciò in un ambiente poco consono allo scopo. Si è preferito suggerire a
questi due caregiver di sospendere l’uso del CD dal momento che non sono riusciti a seguire le
indicazioni a loro date.
A tutti i 90 soggetti è stata data l’opportunità di usufruire del CD ma per le motivazioni prima
elencate 40 di questi non lo hanno fatto e a loro è stato richiesto di non ascoltare il CD nei 2 mesi
successivi, in modo tale da costituire il gruppo di controllo. Ai rimanenti 50 soggetti che invece
avevano seguito le indicazioni dello studio correttamente è stato richiesto di proseguire l’ascolto del
CD, con le stesse modalità del mese trascorso, anche nei 2 mesi successivi così da creare il gruppo
sperimentale.
87
L’analisi statistica è stata eseguita con IBM-SPSS 19.0 per Windows, ©IBM-SPSS. Inc.
È stata condotta analisi descrittiva per le variabili continue e delle frequenze per quelle categoriche.
La verifica dell’ipotesi di uguaglianza di medie è stata ottenuta attraverso t-test per dati appaiati.
La verifica dell'ipotesi di uguaglianza di più medie è stata ottenuta attraverso analisi univariata della
varianza per una variabile dipendente quantitativa in base ad una singola variabile fattore
(indipendente), ANOVA con correzione per confondenti.
Il confronto, tra i gruppi studiati, dei punteggi delle scale di outcome, ottenuti nelle valutazioni
basale, 1 e 3 mesi, è stato effettuato attraverso un modello lineare generalizzato per misure ripetute,
corretto per confondente
La significatività statistica è stata posta ad α = 0.05 per tutte le elaborazioni.
88
7.3
Risultati e commento
Il campione dello studio è risultato di 90 pazienti. L'età media è risultata essere 81.60 ± 5.56
(media ± DS). La maggioranza dei pazienti valutati è stata di sesso femminile: 59 donne (65.6%) e
31 uomini (34.4%).
La scolarità media si è attestata ad un valore medio di anni 6.40 ± 3.34 (media ± DS). Per quanto
riguarda i test cognitivi somministrati, il MMSE ha presentato un punteggio medio pari a 17.95 ±
4.98 (media ± DS). Il numero medio di antipsicotici che ogni paziente ha assunto durante lo studio è
stato di 1.20 ± 0.62 (media ± DS) mentre il numero di ore giornaliere durante le quali il paziente è
stato assistito dal proprio caregiver è risultato di 13.79 ± 10.00 (media ± DS).
Dalle scale di valutazione dei sintomi comportamentali e depressivi e del carico assistenziale
emergono i valori medi sintetizzati nella Tabella 5
Scala di valutazione
Punteggio medio ottenuto (media±DS)
CMAI
CORNELL SCALE
CBI Totale
66.31 ± 23.23
14.02 ± 5.30
38.78, ± 15.08
Tabella 5
Alla valutazione ad 1 mese, come indicato nei materiali e metodi, sono stati creati due gruppi di
pazienti in base alla loro compliance alla musicoterapia nel primo mese di trattamento proposto.
La tabella 6 riassume le caratteristiche del campione, suddiviso nei due gruppi, che è risultato
omogeneo per caratteristiche indipendentemente dalla compliance terapeutica.
Considerando i valori medi di età, di scolarità, della Cohen basale, della Cornell basale, della CBI
totale basale, del numero di ore giornaliere in cui il caregiver assiste il paziente, del MMSE e del
numero di antipsicotici assunti si osserva che non esistono differenze statisticamente significative in
nessuno di questi parametri tra i due gruppi.
89
Figura 6
Caratteristica
Gruppo 1
Gruppo 2
F
Sig.
Età
81.34 ± 5.88
81.93 ± 5.13
0.246
0.621
Scolarità
6.02 ± 2.93
6.88 ± 3.78
1.457
0.231
Cohen
67.06 ± 23.66
65.38 ± 22.95
0.116
0.743
Cornell
13.68 ± 5.75
14.45 ± 4.17
0.446
0.497
Ore Caregiver-Pz
/ die
CBI Totale
13.74 ± 10.29
13.85 ± 9.76
0.003
0.959
40.26 ± 15.47
36.93 ± 14.55
1.008
0.300
MMSE
18.53 ± 5.27
17.36 ± 4.69
0.743
0.393
N° Antipsicotici
1.20 ± 0.622
1.08 ± 0.526
2.975
0.088
Tabella 6: valutazione ad 1 mese, confronto tra dati relativi al campione al momento del reclutamento,
suddiviso nei due gruppi per compliance alla musicoterapia.
Un dato interessante che emerge dalla tabella 6 è che i soggetti con un valore medio della Cohen e
della CBI totale più alto hanno dimostrato una compliance maggiore. A un 1 e 3 mesi dal
reclutamento si sono rivalutate la Cohen, la Cornell e la CBI totale dell'intero campione suddiviso
per compliance alla terapia e sono emersi i dati riassunti nelle tabelle 7, 8 e 9 e nelle figure 7, 8 e 9.
90
Musicoterapia
COHEN
N
Punteggio medio
(media±DS)
Basale
No
Si
Totale
65.38 ± 22.95
40
1 mese
66.78 ± 23.21
3 mesi
67.40 ± 23.37
Basale
67.06 ± 23.66
1 mese
50
59.96 ± 21.57
3 mesi
58.42 ± 19.56
Basale
66,31 ± 23,23
1 mese
90
3 mesi
62.99 ± 22.44
62.41 ± 21.68
Tabella 7
Figura 7
Nella tabella 7 e nella figura 7 si riassume l’andamento dei valori medi del punteggio della Cohen
nel campione suddiviso per compliance, ottenuto attraverso un modello generalizzato per misure
ripetute corretto per età, MMSE, numero medio di antipsicotici assunto e ore giornaliere caregiverpaziente (F = 19.059 ; p < 0.001). Il risultato dimostra una riduzione statisticamente significativa
dell’agitazione nel gruppo dei pazienti che hanno effettuato musicoterapia confrontati con
l’evidenza di un lieve aumento dei punteggi alla Cohen ottenuti nel gruppo 2.
91
Musicoterapia
CORNELL
N
Punteggio medio
(media±DS)
Basale
No
Si
14.45 ± 4.72
40
1 mese
3 mesi
15.50 ± 5.82
Basale
13.45 ± 5.57
1 mese
Totale
15.35 ± 5.23
50
11.33 ± 5.13
3 mesi
10.84 ± 4.79
Basale
13.90 ± 5.20
1 mese
90
3 mesi
13.13 ± 5.52
12.93 ± 5.74
Tabella 8
Figura 8
Nella tabella 8 e nella figura 8 si riassume l’andamento dei valori medi del punteggio della Cornell
nel campione suddiviso per gruppi di compliance ottenuto attraverso un modello generalizzato per
misure ripetute corretto per età, MMSE, numero medio di antipsicotici assunto e ore giornaliere
caregiver-paziente. (F = 23.116 ; p < 0.001). Il risultato dimostra una riduzione statisticamente
significativa dei sintomi depressivi nel gruppo dei pazienti che hanno effettuato musicoterapia
confrontati con l’evidenza di un lieve aumento dei punteggi ottenuti nel gruppo 2.
92
Musicoterapia
CBI Totale
N
Punteggio medio
(media±DS)
Basale
No
Si
36.93 ± 14.55
40
1 mese
3 mesi
40.13 ± 16.22
Basale
39.69 ± 15.10
1 mese
Totale
38.10 ± 15.18
50
37.69 ± 15.45
3 mesi
36.24 ± 15.46
Basale
38.45 ± 14.84
1 mese
90
3 mesi
37.88 ± 15.24
37.99 ± 15.84
Tabella 9
Figura 9
Nella tabella 9 e nella figura 9 si riassume l’andamento dei valori medi del punteggio della CBI
totale nel campione suddiviso per gruppi di compliance ottenuto attraverso un modello
generalizzato per misure ripetute corretto per età, MMSE, numero medio di antipsicotici assunto e
ore giornaliere caregiver-paziente. (F = 29.194 ; p < 0.001). Il risultato dimostra una riduzione
statisticamente significativa del carico assistenziale nel gruppo dei pazienti che hanno effettuato
musicoterapia confrontati con l’evidenza di un lieve aumento dei punteggi ottenuti nel gruppo 2.
93
Dai risultati emersi si evince come vi sia un miglioramento dell’agitazione e dei sintomi depressivi
nei pazienti che hanno effettuato per 12 settimane musicoterapia (ascoltando il CD musicale una
volta o più alla settimana interamente). Concomita una riduzione significativa del carico
assistenziale percepito dal caregiver.
Si sono inoltre valutati i 5 sottogruppi della CBI (A, B, C, D ed E), sia al reclutamento sia ad 1 e 3
mesi; i risultati emersi sono riassunti nelle tabella 10, 11, 12, 13 e 14.
Anche per l’analisi dei sottogruppi della CBI è stato utilizzato un modello lineare generalizzato per
misure ripetute corretto per età, MMSE e numero di ore giornaliere caregiver-paziente.
Musicoterapia
CBI A
N
Punteggio medio
(media±DS)
Basale
No
Si
Totale
16.00 ± 3.63
40
1 mese
16.13 ± 3.69
3 mesi
16.40 ± 3.75
Basale
16.14 ± 4.36
1 mese
50
15.71 ± 4.47
3 mesi
15.43 ± 4.30
Basale
16.08 ± 4.03
1 mese
90
3 mesi
15.90 ± 4.12
15.87 ± 4.07
Tabella 10: F = 9.210 ; p <0.001, vi è una differenza statisticamente significativa tra gruppo
sperimentale e gruppo controllo
94
Musicoterapia
CBI B
N
Punteggio medio
(media±DS)
Basale
No
Si
Totale
8.45 ± 4.98
40
1 mese
8.80 ± 5.11
3 mesi
9.43 ± 5.34
Basale
8.55 ± 5.45
1 mese
50
8.08 ± 5.42
3 mesi
7.78 ± 5.45
Basale
8.51 ± 5.22
1 mese
90
3 mesi
8.40 ± 5.27
8.52 ± 5.37
Tabella 11: F = 20.11 ; p <0.001, vi è una differenza statisticamente significativa tra gruppo
sperimentale e gruppo controllo.
Musicoterapia
CBI C
N
Punteggio medio
(media±DS)
Basale
No
Si
Totale
6.13 ± 4.44
40
1 mese
6.33 ± 4.47
3 mesi
6.75 ± 4.67
Basale
7.27 ± 4.81
1 mese
50
6.69 ± 4.53
3 mesi
6.29 ± 4.43
Basale
6.75 ± 4.66
1 mese
90
3 mesi
6.53 ± 4.48
6.49 ± 4.52
Tabella 12: F = 21.37 ; p <0.001, vi è una differenza statisticamente significativa tra gruppo
sperimentale e gruppo controllo.
95
Musicoterapia
CBI D
N
Punteggio medio
(media±DS)
Basale
No
Si
Totale
3.70 ± 4.27
40
1 mese
3.90 ± 4.28
3 mesi
4.08 ± 4.39
Basale
4.12 ± 5.08
1 mese
50
3.96 ± 5.10
3 mesi
3.80 ± 4.8
Basale
3.93 ± 4.72
1 mese
90
3 mesi
3.93 ± 4.72
3.92 ± 4.70
Tabella 13: F = 6.68 ; p <0.001, vi è una differenza statisticamente significativa tra gruppo
sperimentale e gruppo controllo.
Musicoterapia
CBI E
N
Punteggio medio
(media±DS)
Basale
No
Si
Totale
2.65 ± 3.70
40
1 mese
2.93 ± 3.66
3 mesi
3.50 ± 3.91
Basale
3.63 ± 4.54
1 mese
50
3.31 ± 4.48
3 mesi
3.00 ± 4.19
Basale
3.19 ± 4.19
1 mese
90
3 mesi
3.13 ± 4.11
3.22 ± 4.05
Tabella 14: F = 19.60 ; p <0.001, vi è una differenza statisticamente significativa tra gruppo
aaaaaaasperimentale e gruppo controllo.
96
Da queste ultime tabelle si evince come tutti i sottogruppi della CBI migliorino nel gruppo
sperimentale a differenza di quello di controllo.
La CBI sezione A, rappresenta il carico oggettivo del caregiver, direttamente dipendente dal tempo
richiesto dall'assistenza, si riduce. Diversi partecipanti al presente studio hanno riferito che i propri
assistiti durante l'ascolto del CD hanno manifestato una maggior distensione e una notevole
tranquillità e mitezza solitamente inusuali in loro. L'efficacia della musica è maggiore durante
l'ascolto che nei periodi successivi ad esso e durante questo molti caregiver sono riusciti a
conquistarsi periodi di quiete per se stessi molto preziosi e impensabili. Interessanti e molto
soddisfacenti sono i commenti di alcuni caregiver: “quando inserisco il CD mio padre smette di
camminare avanti e indietro per la stanza, si siete e ascolta assorto la musica, in quel momento
posso finalmente trovare del tempo per me stessa e abbassare la guardia”, “quando metto la
musica posso anche lasciare la signora sola e uscire a fare la spesa, quando torno la trovo ancora
seduta sulla poltrona ad ascoltare il CD sorridente”. Il caregiver nella lettura del CBI A al punto 3
e 5 si domanda rispettivamente: “devo vigilarlo costantemente?” e “non riesco ad avere un minuto
di libertà dai miei compiti di assistenza?”, le risposte a questi punti migliorano notevolmente nella
maggior parte dei partecipanti del gruppo sperimentale, i fortunati caregiver che riescono a giovarsi
della musicoterapia riescono, grazie ad essa, a ritagliarsi minuti preziosi da dedicare a se stessi e in
cui non devono controllare così strettamente, come in altre circostanze, il proprio assistito in quanto
questo è impegnato ad ascoltare la musica. Non è raro che un paziente demente si addormenti in
seguito ad un lungo ascolto del CD, altri non voglio essere disturbati e si chiudono nella propria
stanza. Molti pazienti sono riusciti a inserire l'ascolto della musica nella propria routine quotidiana
e in alcuni casi sono essi stessi a chiedere al proprio caregiver di inserire il CD.
La CBI sezione B è intesa come il burden evolutivo, ovvero la percezione di avere qualcosa in
meno rispetto ai propri coetanei, di condurre una vita inferiore alle proprie aspettative e possibilità.
Migliorando la qualità di vita del paziente riducendo i suoi stati di agitazione, sia come intensità sia
come frequenza e migliorando il suo umore inevitabilmente si migliora la qualità di vita del suo
caregiver poiché migliora la qualità del loro rapporto. A tale scopo hanno giovato anche altre
pratiche ludiche come giocare a carte o con delle bambole, attività promosse svolte con la musica
di sottofondo.
97
Al termine de 3 mesi molti caregiver del gruppo sperimentale hanno segnalato una maggiore
socievolezza da parte dei propri assistiti con un aumento da parte loro del dialogo.
Si possono compiere analoghe considerazioni analizzato i risultati della CBI sezione D ed E che
rispettivamente vanno a sondare il carico sociale ed emotivo del caregiver.
La CBI sezione C rappresenta il burden fisico, ovvero la sensazione di fatica cronica e relativa a
problemi di salute causati dal carico assistenziale globale. Anche i valori di questo sottogruppo
della CBI cosi come quelli degli altri 4 è migliorato nel gruppo che ha praticato la musicoterapia, i
cui soggetti hanno dimostrato in linea generale una minore resistenza e opposizione nei confronti
del proprio caregiver in circostanze quali l’assunzione di farmaci, l’igiene personale, i pasti o gli
spostamenti. Si è anche osservato un miglioramento della qualità del sonno dei pazienti e di
conseguenza anche di quello dei rispettivi caregiver. Alcuni pazienti hanno iniziato addirittura ad
aiutare il proprio caregiver nello svolgimento di semplici faccende domestiche, ma questo è stato
segnalato in un limitato numero di soggetti.
I soggetti appartenenti al gruppo di controllo che quindi non si sono giovati dell’ascolto musicale
hanno riportato nei singoli sottogruppi della CBI valori medi peggiori o uguali a quelli registrati al
momento del reclutamento. Tali risultati possono essere facilmente spiegabili se non si dimentica
che la demenza, specialmente se associata a disturbi comportamentali, è una condizione cronica e in
quanto tale se non gestita in modo ottimale sfruttando tutte le risorse possibili continua il suo
decorso negativo.
98
Prendendo in considerazione l’assunzione media di antipsicotici nel gruppo dei pazienti che hanno
effettuato musicoterapia, non si è osservata una differenza statisticamente significativa nei 3 mesi
di osservazione (t = -1.422; p = 0.158).
N° Psicofarmaci
Valore medio
(media±DS)
Basale
1.20 ± 0.622
A 3 mesi
1.22 ± 0.617
Tale evidenza risulta però associata a quanto precedentemente osservato relativamente alla
riduzione significativa dell’agitazione e del carico assistenziale e
fa quindi ipotizzare che i
miglioramenti ottenuti sia ad 1 che a 3 mesi nel gruppo sperimentale siano da imputare alla
musicoterapia indipendentemente dal numero di antipsicotici utilizzato nel controllo dell’agitazione.
Il tempo di osservazione dello studio è stato troppo breve per poter analizzare una possibile
riduzione della dose dello/dei psicofarmaco/i, ma in letteratura esistono ricerche che hanno
dimostrato che la musicoterapia può ridurre l’aumento della dose di psicofarmaco in pazienti
dementi agitati (Ridder et all, 2013) e la dose di farmaci analgesici e sedativi (Rudin et al., 2007).
La riduzione dell’agitazione rilevata tramite la Cohen e il miglioramento dell’umore alla Cornell nei
pazienti dementi, uniti alla riduzione del carico assistenziale percepito dai caregiver alla CBI ed ai
suoi sottogruppi, si sono dimostrati statisticamente significativi già dopo un mese di trattamento.
Tale miglioramento è stato evidenziato in modo ancora più accentuato dopo tre mesi di trattamento
musicoterapico.
Lo studio in oggetto prevede un’estensione temporale dell’osservazione dei pazienti ed un
incremento del numero di campione, con l’obiettivo di valutare l’efficacia a lungo termine della
musicoterapia e tentativi di riduzione progressiva della terapia antipsicotica assunta .
99
Appendici:
APPENDICE 1 – COHEN-MANSFIELD AGITATION INVENTORY
100
APPENDICE 2 - MIMI MENTAL STATE EXAMINATION (MMSE)
TEST SOMMINISTRABILE
SI
NO
In che anno siamo? (0-1)
In che stagione siamo? (0-1)
In che mese siamo? (0-1)
Mi dice la data di oggi? (0-1)
Che giorno della settimana è oggi? (0-1)
In che nazione siamo? (0-1)
In quale regione italiana siamo? (0-1)
In quale città ci troviamo? (0-1)
Mi dica il nome del luogo dove ci troviamo (0-1)
A che piano siamo? (0-1)
Far ripetere “pane, casa, gatto”. La prima ripetizione dà adito al punteggio.
Ripetere finchè il soggetto esegue correttamente, max 6 volte (0-3)
Far contare a ritroso da 100 togliendo 7 per 5 volte
93
86
79
72
65
(se non completa questa prova, far sillabare all’indietro la parola CARNE (0-5)
E
N
R
A
C
)
Chiedere la ripetizione dei tre soggetti precedenti (0-3)
Mostare un orologio e una matita chiedendo di dirne il nome (0-2)
Ripeta questa frase : “NON C’E’ SE NE’ MA CHE TENGA” (0-1)
Prenda questo foglio con la mano destra, lo pieghi a metà e lo metta sul tavolo
(0-3)
101
Legga ed esegua quanto scritto su questo foglio (chiuda gli occhi) (0-1)
Scriva una frase (deve contenere soggetto e verbo) (0-1)
Copi questo disegno (pentagoni intrecciati) (0-1)
FRASE
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________________________________________________________
________________________________
Punteggio totale:
Punteggio totale corretto per età e scolarità:
TARATURA MMSE
Intervallo di età
65-69aa
70-74aa
75-79aa
80-84aa
85-89aa
Anni di
scolarità
0-4 aa
+0.4
+0.7
+1.0
+1.5
+2.2
5-7aa
-1.1
-0.7
-0.3
+0.4
+1.4
8-12aa
-2.0
-1.6
-1.0
-0.3
+0.8
13-17aa
-2.8
-2.3
-1.7
-0.9
+0.3
Magni E, Binetti G, Bianchetti A, Rozzini R, Trabucchi M. (1996).MMSE: a normative study in
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102
APPENDICE 3 – THE CORNELL SCALE FOR DEPRESSION IN
DEMENTIA
103
APPENDICE 4 – CAREGIVER BURDEN INVENTORY
104
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Ringraziamenti
Raggiungere un traguardo importante è possibile solo grazie al sostegno di molti.
È difficile per me riuscire a esprimere la mia gratitudine a quanti mi hanno supportato e aiutato
durante questo percorso di studi e in particolare durante questo ultimo anno di studio.
Un ringraziamento particolare al Chiarissimo Professore Giovanni Carlo Isaia per avermi accolto
nel suo reparto e per avermi permesso di collaborare alla presente Ricerca.
Un sentito grazie al dott. M. Massaia e ai suoi collaboratori per la disponibilità e la cordialità; un
ringraziamento particolare al dott. R. Gallina per la gentilezza e l’aiuto continuo, senza il quale
questo studio non sarebbe nato e non avrebbe dato questi ottimi risultati.
Grazie ad Arianna, Giulia ed Alessandro per avere allietato le mie mattinate in ambulatorio e per
avermi aiutato nel ricevere i pazienti: la vostra collaborazione e compagnia sono state veramente
preziose.
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