UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO SCUOLA DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA TESI DI LAUREA MUSICOTERAPIA DOMICILIARE IN PAZIENTI DEMENTI AGITATI Relatore: Chiarissimo Professore Giovanni Carlo Isaia Candidato: Sergio Traversa Matricola: 737082 _________________________________________________________________________ Anno Accademico 2013-2014 1 Alla mia Famiglia che mi ha sostenuto nel corso dei 6 anni di studi Al Prof. G. C. Isaia, al Dott. M. Massaia, al Dott. R. Gallina, che mi hanno dato la traccia e guidato nell’esecuzione del lavoro Alle Infermiere dell’UVA che mi hanno aiutato nel ricevimento dei pazienti Ai Colleghi Studenti che mi hanno aiutato nella ricerca 2 La scienza ringiovanisce l’anima ed attenua l’amaro della vecchiaia. Accumula dunque saggezza che sarà il nutrimento dei tuoi vecchi giorni. (Leonardo da Vinci) Il mondo dei vecchi, di tutti i vecchi è il mondo della memoria. Si dice, alla fine, tu sei quello che hai pensato, amato, compiuto. Aggiungerei tu sei quello che ricordi. (N. Bobbio) Chi nella seconda metà della vita non cambia radicalmente…diventerà solo più la caricatura di se stesso. (C.G. Jung) La patologia principale della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo. (Hillman, 2000) Un giorno l'uomo dovrà combattere il rumore come un tempo combatteva il colera e la peste (Robert Koch) Il potere della musica di integrare e curare... è un elemento essenziale. [E'] il più completo farmaco non chimico. (O.Sacks, Risvegli) (…) La missione di un medico non deve essere solo prevenire la morte, ma anche migliorare la qualità della vita. Ecco perché se si cura una malattia si vince o si perde, ma se si cura una persona vi garantisco che in quel caso si vince, qualunque esito abbia la terapia. (dal film Patch Adams, 1998) 3 INDICE Introduzione 6 PARTE I : Deterioramento cognitivo e musicoterapia 8 Capitolo 1: Le demenze senili 1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5. 1.6. Classificazione eziologica La demenza di Alzheimer (AD) La demenza vascolare (VD) Demenza frontotemporale Demenza a corpi di Lewy Il malato di Alzheimer: caratteristiche e riflessioni 8 10 14 17 19 20 Capitolo 2: Disturbi comportamentali 2.1 2.2 Caratteristiche dei BPSD Il percorso indicato da AIFA 24 33 Capitolo 3: Le terapia farmacologiche 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 Clorpromazina Promazina Aloperidolo Quietapina Clotiapina Olanzapina Risperidone Zuclopentixolo cloridrato 36 37 37 38 39 40 40 41 Capitolo 4: Il caregiver 44 Capitolo 5: La musica 5.1 5.2 5.3 Musica e cervello La musicoterapia Il suono e le sue caratteristiche 49 59 69 Capitolo 6: Una revisione della letteratura 77 4 PARTE II : Studio sperimentale Capitolo 7 : 7.1 7.2 7.3 Scopo dello studio Materiali e metodo Risultati e commento 80 81 89 Appendici 100 Bibliografia 105 5 INTRODUZIONE La diffusione della demenza è strettamente legata alle dinamiche demografiche di questi ultimi decenni e l'aumento della prevalenza degli anziani ha parallelamente indotto un aumento di quella delle persone affette da demenza. Questa considerazione non deve però far pensare che non vi sia un rapporto diretto tra invecchiamento e demenza. Nel campo delle demenze si è assistito negli ultimi decenni a un enorme sviluppo delle ricerche di base e cliniche, ma purtroppo a questi grandi progressi delle capacità diagnostica e delle scienze di base non è seguito un numero di risposte clinicamente rilevanti. Molta enfasi è stata data alla prevenzione, ancora oggi siamo alla ricerca di dati per impostare scelte preventive, nessuno studio sui fattori di rischio ha dato risposte definitive per compiere scelte precise. La demenza è diventata una malattia a forte impatto sia economico (si pone al terzo posto come costo nei Paesi industrializzati, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori) sia sociale non solo per le sue complessive dimensioni, ma anche per il microambiente nel quale viene gestita che va a mutare. La persona anziana diventa un peso per il tempo che le rimane, il tentativo di protezione si manifesta con il prendere distanza, con l'isolamento per mettere a tacere dentro di sé l'angoscia di esistere. La distanza porta ad oggettivare, la persona anziana diventa quindi oggetto, una presenza a fatica tollerata, e perciò rifuggita.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Accanto a queste considerazioni bisogna aggiungere che nel corso degli ultimi decenni l’istituzione familiare ha registrato importanti modificazioni, in rapporto all’emergere di nuovi fenomeni sociali e di nuovi modelli comportamentali che hanno portato alla crisi della famiglia, inoltre l'urbanizzazione rende difficili i rapporti. É indubbio che questi elementi, nel momento storico attuale in cui vediamo la pesante imposizione di malattie croniche (delle quali la demenza è paradigmatica), evidenziano la necessità di una rete assistenziale naturale.……………………... Un aspetto da esplorare con molta attenzione e spesso sottovalutato è il rapporto tra l'ammalato e la sua famiglia, al fine di comprendere i fattori che da ambo le parti permettono il mantenimento del rapporto di caregiving e quali invece portano al "bourning out" del sistema con gravi conseguenze per il paziente, tutto ciò ad un'osservazione superficiale può sembrare una dinamica semplice, invece possiede una serie di determinanti altamente complesse di ordine sanitario, psicologico, sociale ed economico, che ancora non sono state comprese del tutto, rendendo così difficile ogni razionale programma di intervento-supporto che non voglia essere generico. 6 In quest'ottica l'introduzione di modalità organizzative dell'assistenza domiciliare, specie se supportate da valide e innovative tecnologie telematiche sempre più disponibili e accessibili, e di approcci ambientali volti a migliorare la qualità della vita dell'anziano, specie di quello non più autonomo, costituisce un'importantissima sfida all'organizzazione sanitaria moderna. In questo contesto strumenti come la musicoterapia possono essere importanti alleati. 7 PARTE I : Deterioramento cognitivo e musicoterapia Capitolo 1: Le demenze senili La demenza è una sindrome clinica caratterizzata dalla perdita di più funzioni cognitive, tra le quali invariabilmente la memoria, di entità tale da interferire con le usuali attività sociali e lavorative del paziente. Oltre ai sintomi cognitivi sono presenti sintomi non cognitivi che riguardano la sfera della personalità, l’affettività, l’ideazione, la percezione, le funzioni vegetative ed il comportamento. Numerosi processi patologici possono essere la causa di una demenza: 1.1 Classificazione eziologica Demenze primarie o degenerative: 1) demenza di Alzheimer 2) demenze frontotemporali e malattia di Pick 3) demenza a corpi di Lewy 4) Parkinson-demenza 5) idrocefalo normoteso (disturbi mnesici, incontinenza, disequilibrio) 6) corea di Huntington 7) paralisi sopranucleare progressive 8) degenerazione cortico-basale Demenze secondarie: A) demenza vascolare ischemica B) disturbi endocrini e metabolici 1) ipo ed ipertiroidismo 2) ipo ed iperparatiroidismo (ipo ed ipercalcemia) 3) malattie dell’asse ipofisi-surrene (ipopituitarismo, sindrome di Cushing, morbo di Aa Addison) 4) encefalopatia portosistemica in corso di epatopatia 8 5) insufficienza renale cronica 6) ipoglicemiadisidratazione aa C) malattie metaboliche ereditarie D) malattie infettive ed infiammatorie del SNC 1) meningiti ed encefaliti (batterica, neurosifilide, micotica, virale) 2) sclerosi multipla e malattie demielinizzanti 3) connettiviti 4) malattia di Creutzfeldt-Jakob 5) AIDS dementia complex E) stati carenziali 1) carenza di tiamina (sindrome di Korsakoff) 2) carenza di vitamina B12 e folati 3) malnutrizione generale F) sostanze tossiche 1) alcol 2) metalli pesanti 3) farmaci 4) composti organici G) processi espansivi intracranici, come neoplasie, ematomi od ascessi cerebrali H) miscellanea 1) traumi cranici 2) sindromi paraneoplastiche 3) malattie cardiovascolari e respiratorie 9 1.2 La demenza di Alzheimer (AD) La demenza di Alzheimer (AD) è la principale demenza di origine neurodegenerativa oltre che la causa più comune di demenza in assoluto rendendo conto del 50-60% dei casi di deterioramento cognitivo a esordio tardivo nei paesi occidentali. Nella popolazione italiana di età compresa tra i 65 e i gli 84 anni ha un incidenza pari al 6,6% per 1000 abitanti l'anno e una prevalenza del 4,4%. La malattia è dovuta a una diffusa e progressiva distruzione di neuroni, principalmente attribuita all'accumulo di beta-amiloide, una proteina che costituisce il maggior costituente delle placche amiloidi e che si deposita tra i neuroni, provocandone la morte, e all'interno delle parete dei vasi cerebrali. La beta-amiloide è un frammento di una proteina più estesa identificata come precursore della proteina amiloide (APP) codificata dal cromosoma 21 e processata attraverso due vie proteolitiche, quella della secretasi alfa, che non porta alla produzione di beta-amiloide e quella formata dalle secretasi-beta e gamma e della via endosomo-lisosomiale che invece portano alla produzione di beta-amiloide. Oltre alla placche senili vi sono ammassi neurofibrillari intraneuronali composti da proteina tau. Questa proteina legandosi ai microtuboli li stabilizza ma se mutata e iperfosforilata, cosi come nella AD, diventa insolubile e non si lega più a questi ultimi per via di una ridotta affinità. Si creano, di conseguenza, importanti alterazioni a livello dei microtubuli rendendo progressivamente sempre più difficoltoso il trasporto assonale (figura 1).……………………… Nella maggior parte dei casi i gomitoli neurofibrillari precedono la comparsa delle placche senili, la presenza di entrambi non è conseguenza inevitabile dell'invecchiamento dal momento che circa il 50% degli ultraottantenni ha cortecce cerebrali interessate sono parzialmente da questi elementi. Nell'AD inoltre vi è un'importante modificazione neurobiochimica costituita dalla deplezione di acetilcolina cerebrale, neurotrasmettitore legato direttamente ai circuiti della memoria e di molte altre capacità cognitive, ciò avviene in particolare a livello del nucleo basale di Meynert, le cui proiezioni colinergiche raggiungono diffusamente la corteccia cerebrale, l'ippocampo, l'amigdala e anche il talamo e il tronco encefalico.………………………………………………………… L'interessamento del nucleo di Meynert spiega una diminuzione cosi importante (del 60-70%) dell'acetilcolina a livello corticale. A livello dei sintomi psichiatrici e comportamentali è stato osservato che il polimorfismo dei recettori per la dopamina DRD1 e DRD3 predispongono allo sviluppo dei sintomi psicotici e dell’aggressività in pazienti con AD, inoltre questi pazienti hanno un asimmetria dell’atrofia dei 10 Figura 1 lobi temporali, suggerendo che il coinvolgimento precoce del lobo temporale destro è determinante nello sviluppo di sintomi comportamentali. Alcuni autori hanno rilevato un aumentato rischio di sviluppare psicosi nei soggetti AD portatori dell’allele epsilon 4. Altri studi hanno mostrato che i disturbi del comportamento hanno una distribuzione nei soggetti AD in relazione al pattern di vascolarità cerebrale; in particolare nei pazienti con lesioni vascolari sono più frequenti i deliri (66,3 vs 33,3%), mentre non vi è differenza per lo sviluppo di allucinazioni. Uno dei problemi diagnostici principali riguarda l’assenza di specifici criteri per la definizione dei vari sintomi comportamentali nell’AD. L’utilizzo di criteri mutuati dalla psichiatria tradizionale si rivela spesso complesso ed inadatto. 11 PROGRESSIONE GERARCHICA DELLA SINTOMATOLOGIA NELL’AD Fase iniziale: -minimo disorientamento temporale -difficoltà nel ricordare eventi recenti -difficoltà a trovare le parole con relativa conservazione della capacità di acomprensione -aprassia costruttiva per disegni tridimensionali -ansia/depressione/negazione di malattia -difficoltà sul lavoro -assenza di alterazioni motorie Fase intermedia: -disorientamento spazio temporale -deficit di memoria di entità moderato grave interferente con le attività quotidiane -chiaro disturbo del linguaggio (parafasie, anomie, circumlocuzioni, deficit di acomprensione) -aprassia costruttiva -aprassia ideativi ed ideo motoria, aprassia dell’abbigliamento -agnosia -alterazioni comportamentali (deliri, allucinazioni, wandering) -bradicinesia, segni extrapiramidali - necessità di essere stimolato alla cura della propria persona Stadi terminali: -completa perdita delle abilità cognitive con difficoltà nel riconoscere volti o aluoghi familiari -perdita del linguaggio fino a gergo semantico o mutismo -rigidità, bradicinesia, crisi epilettiche, mioclono -aggressività, wandering -completa perdita dell’autosufficienza per lavarsi, vestirsi ed alimentarsi -incontinenza sfinterica Tabella 1 L'idea di una compromissione sequenziale di domini cognitivi è supportata da dati morfologicofunzionali che indicano un precoce interessamento delle aree temporali mesiali seguito dal 12 progressivo interessamento delle neocortex, tuttavia in questa progressione vi sono ampie variabili individuali. La tabella 1 mostra la progressione gerarchica della sintomatologia dell’AD. L'esordio della malattia è rappresentato dalla comparsa insidiosa di un deficit della memoria episodica recente, con incapacità ad apprendere e rievocare informazioni nuove (amnesia anterograda), con il progredire della malattia compaiono disorientamento dell'ambito temporale prima e spaziale in seguito, turbe del linguaggio, caratterizzato da un vocabolario ristretto e frequenti anomie.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Nel momento in cui tali deficit cognitivi vanno a interferire con lo svolgimento delle attività quotidiane (rispettando, appunto, una gerarchia, dalle più complesse dal punto di vista intellettivo che vengono compromesse precocemente a quelle più semplici che sono mantenute almeno inizialmente) si segna il passaggio al grado lieve, in cui sono inoltre comuni alterazioni affettivecomportamentali. Il paziente può reagire al suo deterioramento cognitivo con deflessione dell'umore, irritabilità e apatia. Tali disturbi possono essere anche causati da patologie organiche a carico dei lobi frontali e del sistemalimbico.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Nello stadio intermedio si hanno sempre più difficoltà a formare nuove tracce mnestiche, la memoria per gli avvenimenti remoti, in particolare quelli autobiografici che inizialmente era stata risparmiata, in questo stadio inizia a compromettersi progressivamente e i pazienti iniziano a vivere in un passato sempre più lontano dal momento che i ricordi più recenti sono danneggiati, compare difficoltà nel riconoscere i volti famigliari (prosopoagnosia), gli oggetti comuni (agnosia visiva) e nell'utilizzarli correttamente (aprassia), compare disorientamento topografico, dei luoghi dei persorsi, dei calcoli e manca la consapevolezza della malattia (anosognosia). Si configura la cossidetta sindrome alogica data dalla somma di afasia, agnosia e aprassia.………………………. Tutto ciò converge in una perdita dell'autonomia nello svolgimento delle attività quotidiane e in un'alterazione del quadro neuropsichiatrico, il paziente diventa sempre più confuso e irrequeto, proprio quest'ultimi sintomi dominano nella fase avanzata in cui tutte le capacità cognitive sono ormai compromesse e il paziente e totalmente dipendente dal caregiver. In fine in fase terminale egli diviene incapace di deambulare, incontinente, disfagico, può presentare mioclonie o anche crisi epilettiche, rigidità neuromuscolare a altri sintomi extrapiramidali. Bisogna sottolineare che gli aspetti cognitivi possono decorrere più o meno parallelamente a quelli funzionali. La sopravvivenza media è di circa 10 anni dal momento della diagnosi, il decesso avviene generalmente per patologie intercorrenti, quali infezioni delle vie urinarie o respiratorie o a partenza da piaghe da decubito. 13 1.3 Demenza vascolari (VaD) Costituisce la forma più comune dopo l'AD con un incidenza nella popolazione italiana tra i 65 e gli 84 anni del 3,3% per 1000 abitanti/anno e una prevalenza che tende ad aumentare con l'età arrivando quasi al 5% negli ultraottantenni. E' più comune nel sesso maschile e rende conto del 15% delle demenze in totale.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Sul piano eziopatologico rappresenta un gruppo eterogeneo di patologie aventi come momento fisiopatologico comune un danno cerebrale di natura ischemica, ipossica o emorragico che si manifestano sul piano clinico con sintomi e segni riferibili a un quadro di demenza. I fattori di rischio per la Vad, oltre all'età avanzata sono: l'ipertensione, il diabete, le cardiopatie e ictus cerebrali. La tabella 2 mostra i criteri clinici da considerare per diagnosticare una demenza vascolare. Ci sono sempre maggiori prove che esista una sovrapposizione tra AD e Vad non solo perchè spesso coesistenti ma perchè i fattori di rischio, primo tra tutti l'ipertensione, sono comuni ad entrambe le forme nonostante i momenti patogenetici siano molto differenti. Inoltre esiste un ipotesi che prevede la slatentizzazione dei processi neurodegenerativi ad opera delle lesioni vascolari tipiche della Vad. In questi casi, al vecchio termine di "demenza mista", oggi si preferisce sostituire quello di "malattia di Alzheimer con malattia cerebrovascolare". 14 CRITERI CLINICI (NINDS-AIREN) PER LA DIAGNOSI DI DEMENZA VASCOLARE Roman GC et al, Neurology 1993;43:250) VD probabile: I) demenza: declino cognitivo rispetto ad un livello precedentemente più elevato, caratterizzato da disturbi della memoria e di altri due o più domini cognitivi. La gravità dei deficit deve essere tale da compromettere le attività della vita quotidiana, indipendentemente dalle condizioni fisiche determinate dall’ictus II) cerebrovasculopatia: presenza di segni neurologici focali compatibili con diagnosi di ictus ed evidenza neuroradiologica di lesioni cerebrali di origine vascolare (infarti multipli da occlusione dei grossi vasi, singoli infarti strategici del giro angolare, del talamo, della base del tronco encefalico, dei territori dell’arteria cerebrale anteriore o posteriore, lacune ischemiche della sostanza bianca sottocorticale e leucoaraiosi periventricolare) III) correlazione temporale tra demenza e cerebrovasculopatia: insorgenza della demenza nei tre mesi successivi alla diagnosi di ictus oppure storia di esordio brusco ed andamento a gradini del deficit cognitivo Criteri aggiuntivi: presenza precoce di disturbi dell’andatura, storia d’instabilità e cadute frequenti, pollachiuria, impellenza alla minzione ed altri sintomi urinari non attribuibili a malattie urologiche (paralisi pseudobulbare, modificazioni della personalità e dell’umore con abulia, depressione, incontinenza emotiva), alterazioni di natura sottocorticale quali ritardo psicomotorio, deficit nelle funzioni esecutive Criteri di esclusione: presenza di disturbi della coscienza, delirium, psicosi, grave afasia od alterazioni sensitivo motorie che possano precludere una corretta esecuzione dei test neuropsicologici. Non devono inoltre essere presenti altre patologie cerebrali o sistemiche che potrebbero essere di per sé causa di demenza VD possibile: I) demenza II) cerebrovasculopatia III) assenza del criterio temporale tra demenza e cerebrovasculopatia oppure nessuna evidenza alla TC o RM di lesioni cerebrali ischemiche oppure insorgenza subdola e decorso variabile (plateau o miglioramenti) della demenza VD certa: I) dimostrazione autoptica in soggetto con diagnosi clinica di VD probabile Tabella 2 15 Esistono diverse forme di VaD: -Demenza multi-infartuale: caratterizzata dalla ricorrenza di attacchi ischemici transitori o episodi <ictali seguiti a breve tempo dall'insorgenza della demenza. Gli infarti sono multipli, completi, <spesso estesi, dovuti solitamente all'occlusione di grossi vasi arteriosi. Sono localizzati perlopiù a <livello corticale, la causa più comune di tali infarti è il tromboembolismo. -Demenze da singoli infarti strategici: singoli infarti corticali e sottocorticali localizzati in strutture <cerebrali ben definite, oltre ai deficit neuropsicologici demenziali si possono associare segni <neurologici focali diversi. Tale forma è frequente qualora le lesioni ischemiche interessino il giro <angolare, l'ippocampo bilateralmente o il talamo. -Demenze da patologia dei piccoli vasi: comprendono due entità che condividono come momento <fisiopatologico un danno alla sostanza bianca sottocorticale per alterazioni del circolo cerebrale <profondo: 1. Malattia di Binswanger: un entità caratterizzata dalla comparsa di demenza e alterazioni motorie in pazienti che presentano uno stato ischemico cronico della sostanza bianca sottocorticale. A livello anatomopatologico si osserva un assottigliamento e una degenerazione ialina delle arteriole penetranti, aree infartuali complete o incomplete con demielinizzazione e una degenerazione assonale e una proliferazione astrocitaria reattiva. 2. Stato lacunare: le lacune sono piccoli infarti cerebrali le cui dimensioni non superano il centimetro e mezzo di diametro, possono interessare qualsiasi zona sottocorticale e la sindrome pseudobulbare costituisce il quadro clinico più frequentemente associato ad essa insieme a sintomi extrapiramidali. La forma più comune è quella sottocorticale, il cui profilo clinico è caratterizzato dall'associazione di deficit cognitivi, sindrome depressiva con apatia, disfunzione sfinterica e turbe motorie precoci con frequenti cadute. La memoria è proporzionalmente meno compromessa. Il decorso mima quello progressivo dell'AD. Le lesioni sono multiple, a distribuzione nei nuclei della base e della sostanza bianca sottocorticale. La forma multinfartuale il danno è a carico prevalentemente della corteccia. Numerose scale sono state proposte per migliorare la sensibilità della diagnosi clinica e differenziale, gli stati autoptici hanno evidenziato che l'Hachinski Ischemia Scale ha una buona sensibilità, un punteggio minore o uguale a 4 è suggestivo di AD e uno maggiore o uguale a 7 di VaD (Tabella 3). 16 1.4 Demenza frontotemporale Comprendono tre forme su base neurodegenerativa, tutte sottese dall'accumulo di proteina tau, anche se recentemente sono state descritte forme tau-negative. Sono più frequenti nel sesso maschile, hanno una prevalenza sovrapponibile a quella dell'AD, ma rispetto a quest'ultima il decorso è più rapido e la sopravvivenza più breve. esordio improvviso 2 deterioramento a gradini 1 decorso fluttuante 2 confusione notturna 1 personalità relativamente conservata 1 depressione 1 disturbi somatici 1 labilità emotiva 1 storia di ipertensione 1 storia di ictus 2 evidenza di aterosclerosi associata 1 sintomi neurologici associati 2 segni neurologici associati 2 Tabella 3 1) Forma frontotemporale propriamente detta o comportamentale, dominata fin dall'esordio dalla compromissione della sfera neuropsichiatrica con alterazioni dell'umore e della condotta associate a deficit delle funzioni esecutive. Il paziente può presentarsi apatico, depresso (se prevale un interessamento della corteccia mesiale) o disinibito ed euforico (se prevale un interessamento orbitofrontale). Inoltre sono presenti deficit dell'attenzione, turbe dell'alimentazione, disturbi sfinteriali, turbe extrapiramidali e anosognosia. Le funzioni mnestiche sono relativamente risparmiate. 17 2) Afasia non fluente progressiva, si manifesta con una progressiva riduzione dell'eloquio spontaneo fino a raggiungere un mutismo completo, la comprensione rimane intatta. Si associa quasi invariabilmente ad aprassia bucco-facciale e deficit esecutivi. L'area cerebrale colpita è il piede della terza circonvoluzione frontale di sinistra e la corteccia circostante. 3) Demenza semantica, esordisce con un disturbo dell'eloquio di tipo fluente, le aree coinvolte sono prevalentemente le regioni temporali anteriori con conseguente compromissione della memoria semantica, cioè l'insieme delle conoscenze relative a persone, luoghi, oggetti e concetti. 18 1.5 Demenza a corpi di Lewy Costituisce la più frequente forma di demenza neurodegenerativa dopo l'AD, ad essa viene considerata del tutto sovrapponibile sia dal punto di via clinico sia neuropatologico alla demenza associata alla malattia di Parkinson, l'unico elemento differenziale è costituito dall'intervallo temporale che separa la comparsa dei sintomi cognitivi da quelli extrapiramidali, tale periodo è stato formalizzato nella cosiddetta 1-year-rule, secondo la quale viene posta diagnosi di malattia a corpi di Lewy nel momento in cui si sviluppano prima i deficit cognitivi, in modo concomitante o entro un anno dall'insorgenza di quelli extrapiramidali; in caso di insorgenza oltre l'anno si pone diagnosi di demenza associata a malattia di Parkinson. Dal punto di vista patogenetico la LDB è una sinucleopatia, caratterizzata dalla presenza di inclusioni neuronali eosinofili intracitoplasmatiche (corpi di Lewy) costituiti prevalentemente da alfa-sinucleina e considerati responsabili dell'innesco dei processi neurodegenerativi. Essi sono localizzati non solo a livello del tronco encefalico (sostanza nera, locus coeruleus, nucleo dorsale del vago) ma soprattutto a livello del corteccia cerebrale, in particolare nella neocorteccia frontale e parieto-occipitale. Clinicamente la LBD si manifesta principalmente con deficit cognitivi dell'ambito esecutivo e visuospaziale (con risparmio relativo delle funzioni mnestiche), associati a parkinsonismo rigido acinetico. Ulteriori manifestazioni sono le allucinazioni che aiutano molto nella diagnosi in quanto molto peculiari, fluttuazioni dello stato di vigilanza, disequilibrio con cadute, alterazioni autonomiche, con predisposizione a sincopi, alterazioni del sonno REM e ipersensibilità a neurolettici. 19 1.6 Il malato di Alzheimer: caratteristiche e riflessioni La malattia di Alzheimer è caratterizzata dall'apparizione di una sindrome dementigena a decorso insidiose a corso progressivo. I sintomi della demenza si possono raggruppare in due grandi gruppi a) sintomi intellettuali, tecnicamente chiamati cognitivi o conoscitivi; b) sintomi psichiatrici con disturbi del comportamento. Entrambi hanno un carattere progressivo e ingravescente. I sintomi della sfera intellettuale sono quelli più pronunciati. La capacità di introspezione viene colpita in modo precoce. Questo fatto, fa si che il paziente non attribuisca ai sintomi che presenta l'importanza che essi meritano, anzi tende a minimizzarli, li nega o semplicemente li ignora. Anche la memoria viene colpita, seguendo un curioso fenomeno che fa sì che i fatti più recenti siano quelli che si vengono dimenticati con maggior facilità, mentre quelli più vecchi vengono ricordati più a lungo. Il paziente tende a "riempire" le lacune della sua memoria con invenzioni, falsi ricordi o fatti del passato; questo fenomeno viene definito come "confubulazione". Progressivamente sono colpiti anche il linguaggio, la capacità di giudizio, la capacità di calcolo e il pensiero astratto; in questo modo paziente si pone di fronte alla realtà senza avere la capacità di capirla e di interpretarla nè la capacità di agire secondo le condizioni e le esigenze del suo ambiente trasformandosi in un essere completamente indifeso e passivo. Un secondo gruppo di manifestazioni è costituito dai disturbi psichiatrici e comportamentali. Tra questi si evidenziano le alterazioni emozionale. Spesso il paziente appare apatico ed indifferente di fronte a ciò che lo circonda, altre volte compaiono sintomi depressivi. Spesso il paziente può avere già perso la capacità di manifestare la sua tristezza, e quindi sarà necessario indagare la stessa attraverso dei sintomi indiretti, come il pianto, le espressioni di contenuto depressivo, una perdita di appetito o l'abbandono di attività che prima risultavano gradite. E’ frequente anche la cosiddetta labilità emozionale, un sintomo caratterizzato dalla alternarsi rapido apparentemente inspiegabile di stati emozionali, che possono oscillare dal riso al pianto. A ciò possono giungere deliri e allucinazioni, i primi sono una falsa idea della cui autenticità il paziente è totalmente convinto, anche se allo stesso vengono date delle prove valide del contrario.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Nelle demenze sono frequenti le idee relativo al furto; il paziente convinto che qualcuno, in genere il caregiver gli rubi le sue cose. Le allucinazioni, normalmente di tipo visivo, consistono in impressioni sensoriali false. Capita spesso, per esempio, che il paziente veda degli estranei in casa sua, ed anche che parli con essi; in modo analogo, il paziente può rivolgersi ai personaggi che appaiono in televisione come se fossero reali, oppure parlare alla propria immagine riflessa nello 20 specchio. Ci sono evidenze istopatologiche che suggeriscono che non vi sia una correlazione diretta tra malattia del cervello ed espressione clinica. Snowdon (2007) ha documentato casi di soggetti che avevano ancora capacità cognitive che permettevano loro una dignitosa vita sociale e che presentavano post mortem lesioni cerebrali compatibili con una grave forma di sindrome di Alzheimer, perciò egli concluse i suoi studi ipotizzando che vi possono essere dei fattori protettivi che ritardano o rendono meno grave l'espressione di una malattia cerebrale. Brody (1971) aveva sostenuto il concetto di eccesso di disabilità (excess disability) riferendosi a una differenza, in negativo, tra danno comportamentale atteso e quello realmente manifestato da un paziente rispetto alle entità delle lesioni cerebrali. Questa ipotesi suggerisce il declino della persona che soffre di demenza potrebbe avere aspetti di reversibilità ed essere rallentato. Il deterioramento cognitivo comportamentale potrebbe anche essere l’effetto di un contesto sociale negativo. Al contrario potrebbe trovare dei riscontri positivi in una costruttiva interazione psicosociale sia singolarmente sia in gruppo. I disturbi del comportamento sono quelli che rendono più difficili le cure al paziente e il suo inserimento sociale. Consistono in una serie di comportamenti anomali che determinano una risposta inadeguata alla situazione ambientale. Un esempio di questi sono i comportamenti disinibiti, sia livello di alimentazione (voracità, ingestione di oggetti non alimentari), del comportamento sessuale (esibizionismo, proposte inadeguate) o dell'interazione sociale (rapporti interpersonali controproducenti, linguaggio volgare). Può anche presentarsi un repertorio di comportamenti reiterati e inopportuni di ricerca e di collezionismo di oggetti, che spesso ricalcano le occupazioni svolte da più giovane. In ultimo, possono verificarsi comportamenti di tipo distruttivo: tendenza alla fuga, azioni incontrollate, urla, aggressività fisica; comportamenti, e questi mettono realmente a dura prova la capacità del caregiver. Progressivamente il paziente perde la capacità di organizzarsi in modo autonomo, è compromesso lo svolgimento dei compiti complessi, soprattutto di quelli che richiedono maggiore pianificazione, come l'attività lavorativa, finanziaria, di cucinare e progressivamente vengono compromesse anche le attività più semplici quali chiamare per telefono, utilizzare apparecchi domestici, ecc. Nelle fasi più avanzate, il paziente diviene incapace di provvedere alle funzioni relative all'auto-cura, come lavarsi, vestirsi, alimentarsi e finisce con l'essere completamente dipendente dagli altri. Il soggetto tende progressivamente a perdere la propria identità personale; una parte del sè viene erosa dalla demenza, mentre altri aspetti sono meno feriti o rimangono funzionanti nonostante la malattia (purché non nelle fasi ultime della malattia). 21 Merita di essere menzionata, all'interno dell'analisi delle alterazioni cognitivo-comportamentali, il mantenimento della religiosità del paziente, anche durante le fasi avanzate della malattia. Ciò costituisce una sorpresa spesso per il caregiver, il paziente ricorda le preghiere, i canti religiosi e sa come comportarsi adeguatamente durante la Messa o come realizzare gesti simbolici di contenuto religioso. La religiosità può favorire un senso di unità e di connessione all'interno del sè contrastando sentimenti di perdita e di frammentazione. Diversi studi indicano che la spiritualità è un importante fattore di coping per i caregiver (Whitlach e coll.1992). Tra i bisogni profondi di una persona c’è il sentirsi soggetto del proprio agire e delle proprie scelte. Il perdere la propria capacità decisionale di fare cose che prima della malattia si era in grado di fare comporta angoscia e di irritabilità. Se posti davanti ad uno specchio, soggetti dementi spesso diventano nervosi o ignorano che l'immagine riflessa sia la loro, e interagiscono con quell'immagine come se fosse presente qualcun altro nella stanza. Queste difficoltà allo specchio sono ben conosciute e potrebbero essere interpretate come l'esito di una perdita del sè o a parti del sè (Bentham e Hodges, 2002). Sabat (2001) sostiene che a ferire il sè di una persona demente non sia solo la malattia, ma anche il senso di umiliazione e di vergogna, che sarebbe l'esito di un contesto relazionale negativo. Kitwood (1990) parla di "psicologia sociale maligna" riferendosi ai danni che il contesto relazionale può causare ad una persona sofferente di demenza. La malattia di Alzheimer è una delle più terribili che può colpire l'essere umano, perché lo priva di alcune funzioni peculiari specifiche dell'uomo, come la coscienza personale, la memoria, il linguaggio e non ultima la vita affettiva. Assistere e curare un malato di demenza può essere molto difficile, in quanto occorre trovare tutta la dignità dell'essere umano. Infatti questa malattia rappresenta il risultato di un processo degenerativo irreversibile in cui concorrono alterazioni neurologiche, aspetti psicologici e psicopatologici individuali, aspetti fisici e sociali, ed anche spirituali, ed è necessario quindi costruire dei modelli assistenziali personalizzati per aiutare ad utilizzare al meglio le residue capacità e di permettere la miglior qualità di vita possibile. La limitata risposta della terapia farmacologica nelle demenze vascolari e degenerative, la complessità della malattia, il suo forte impatto sull’equilibrio sia familiare che sociale. sono gli aspetti che hanno indotto i ricercatori ad intervenire con strumenti alternativi che agiscano sulla sfera cognitiva, comportamentale, emotiva e relazionale in quei pazienti affetti da demenza di grado lieve o moderato in cui la memoria remota sia ancora sostanzialmente conservata e non sono totalmente compromesse le funzioni sensoriali. Tali strumenti sono finalizzati a ridurre il livello di disabilità del paziente, migliorare la sua qualità di vita e quella della famiglia, nonché, ove possibile, 22 rallentare il decorso della malattia potenziando le residue capacità cognitive, fisiche e affettive. Assistere una persona affetta da demenza vuol dire intervenire sui deficit cognitivi, sui disturbi del comportamento e sui deficit funzionali: tutto ciò presuppone un coinvolgimento attivo della persona, della famiglia e del personale di assistenza in caso di paziente istituzionalizzato. Negli ultimi anni la letteratura in campo di trattamento farmacologico dei BPSD è stata molto corposa, tuttavia la reale utilità dei farmaci nel trattamento dei BPSD è ancora oggetto di discussione, perché gli studi effettuati sottostimano l'importanza dei rapporti interpersonali (relazioni sociali, approcci assistenziali), delle caratteristiche del caregiver, dei counselling, dei fattori ambientali, svalutando il reale disagio per i pazienti con demenza: vocalizzazione ed attivazione motoria aberrante, per esempio, sarebbero disturbanti per il caregiver, ma non per il malato; vi sono inoltre pochi studi combinati farmaci- interventi non farmacologici. Altri studi molto interessanti evidenziano il fatto che la gravità dei sintomi comportamentali dipenda maggiormente da variabili legate a chi assiste il paziente. Più che a caratteristiche dell'assistito. (Sink, Yaffe et al. JAGS, 2006). Alla luce dei molteplici studi sull'argomento sembrerebbe chiaro che l'approccio farmacologico convenzionale con cui vengono trattate alcune tipologie di pazienti, risulta essere inefficace in quanto tende a scindere l'unità corpo-mente dell'individuo e non considera il lato psicologico del soggetto. Il paziente affetto da determinate patologie va trattato non solo dal medico, ma anche da figure che permettano un collegamento tra ambiente e soggetto tenendo conto delle sue sensazioni, dei suoi stati d'animo e permettendo di esprimersi nel miglior modo possibile e di affrontare al meglio il disagio psicologico secondario alla malattia. Scopo delle terapie non farmacologiche è la cura ma è quello di migliorare la qualità della vita delle persone, di sviluppare le loro qualità e le loro risorse. A questo proposito è bene ricordare che è riabilitazione qualunque intervento o costellazione di interventi che tendano a diminuire gli svantaggi sociali di un handicap fisico psichico e a diminuire le barriere edificate dalla società nei confronti di tale handicap (Saraceno, 1985). 23 Capitolo 2: Disturbi comportamentali 2.1 Caratteristiche dei BPSD Negli ultimi anni, nella letteratura corrente relativa alla diagnosi di soggetti con diagnosi di demenza si è assistito ad un'evoluzione di vaste proporzioni e anche nel linguaggio comune è entrato in uso l'acronimo BPSD (Behavioural and Psychological Symptoms of Dementia) (Finkel, 2000). Tale termine è stato introdotto per descrivere quel gruppo di sintomi non cognitivi che possono esordire nella demenza. I disturbi comportamentali sono presenti in percentuali diverse nel paziente affetto da MCI (deterioramento cognitivo lieve) e AD (tabella 4) e possono essere raggruppati in quattro cluster: - emotivo, costituito da depressione, ansia, irritabilità, ansia, agitazione, seguiti da apatia (Hwang et al.,2004) - neurofisiologico, quali disturbi del comportamento alimentare e disturbi del sonno (Beaulieu-Bonneau et al.,2009) - comportamentale, prevalentemente rappresentato dall'aggressività (Apostolova et al.,2008) fisica e verbale, iperattività, wandering - psicotico, quali deliri, che sembrano essere in realtà statisticamente presenti in misura minore in fase preclinica della malattia e maggiore nella fase avanzata BPSD MCI AD Depressione +++ +++ Ansia +++ +++ Irritabilità +++ + Apatia +++ +++ Alterazioni del sonno +++ + Aggressvità + +++ Iperattività +++ +++ Wandering Deliri +++ + Tabella 4 24 +++ Il termine BPSD non è un’entità diagnostica, ma descrive bene una dimensione clinica fondamentale della demenza (Lawlor BA.3). Oltre il 50% dei pazienti con demenza, assistiti al domicilio, presenta almeno un disturbo del comportamento. Nei pazienti con demenza di grado severo, ricoverati in RSA, l’88% presenta tre o più disturbi del comportamento (Ghianda D.5). Il decorso è spesso fluttuante e non co-lineare all’andamento dei disturbi cognitivi e funzionali della sindrome demenziale (Carbone G.4). Studi recenti, condotti su un numero rilevante di pazienti, hanno confermato che non sempre la gravita della demenza è associata ad un peggioramento dei BPSD (Ricci G.6). I BPSD hanno un ’ alta variabilità nei vari soggetti e all’interno dei diversi tipi di demenza, nella tipologia, nella gravità ed nell’epoca di comparsa. I disturbi comportamentali nel paziente demente sono molto eterogenei da soggetto a soggetto, generalmente compaiono durante la fase iniziale del processo di deterioramento cognitivo, mentre tendono ad regredire quando la demenza ha raggiunto uno stadio avanzato e diventa predominante la compromissione del quadro cognitivo. Per questo è possibile fare una distinzione, i BPSD nei MCI e nell'AD (figura) in quanto hanno una frequenza diversa, correlata alla gravità e alla localizzazione della degenerazione neuronale. In linea generale, i sintomi che compaiono più precocemente sono quelli legati alla sfera affettiva (ansia, depressione), mentre negli stati più avanzati della demenza diventano più frequenti i disturbi del comportamento, del pensiero e della percezione (agitazione, allucinazioni, deliri). Particolare attenzione è stata posta al delirium e alla depressione, anche perché all'esordio di malattia, questi sintomi possono confondere il riconoscimento della demenza. Il delirium è una sindrome che comporta deficit di attenzione, di vigilanza e di percezione (American Psychiatric Association, 1994). Come la demenza, il delirium è caratterizzato da un deficit di cognitivo globale, tuttavia si distingue per l'esordio acuto, per le marcate fluttuazioni delle prestazioni cognitive nel corso della giornata, per le interruzioni della coscienze e dell’attenzione e le alterazioni del ciclo sonno-veglia. Anche le allucinazioni e illusioni visive sono comuni. La depressione, come il delirium, può essere confusa con MCI e la loro differenza rappresenta una sfida diagnostica. Pazienti affetti da AD presentano stessi sintomi depressivi, tuttavia mentre i pazienti affetti da AD spesso minimizzano deficit cognitivi, il paziente depresso mostra spesso una compromissione della motivazione durante la valutazione cognitiva espressa si palesa attraverso frasi di autosvalutazione. Il linguaggio e le abilità motorie solitamente rimangono intatte nel paziente con depressione e spesso sono alterate in quello con AD. 25 Nella demenza si possono largamente riscontrare sintomi quali ansia e irritabilità, associati solitamente a preoccupazioni secondarie alla perdita delle capacità mnestiche. Una tipologia di disturbi comportamentali che spesso è poco comprensibile per i familiari e che crea le maggiori difficoltà quotidiane e la disinibizione. In questo ambito rientrano tutti quei comportamenti ritenuti socialmente inappropriati, come lo spogliarsi in pubblico, prendere con le mani il cibo nel piatto degli altri, pur in aree in luoghi pubblici o fare avances sessuali. Tali comportamenti sono solitamente determinati da una scarsa capacità di giudizio e dall'impulsività. I BPSD, pur presentandosi nel AD, sono più caratteristici delle demenze fronto-temporali. Nella demenza di Alzheimer è più frequente il cosiddetto wandering (vagabondare), specialmente nelle fasi più avanzate, ovvero la necessità del paziente di spostarsi continuamente e talvolta di scappare e la severità della demenza è spesso associata con un aumento della frequenza dei BPSD clinicamente rilevanti. Si possono manifestare allo stesso modo comportamenti ripetitivi afinalistici, come compiere semplici movimenti stereotipati delle mani, aprire e chiudere di continuo cassetti e armadi. Nella demenza vascolare (VaD) la gravità della demenza non sembra avere alcun impatto sulla frequenza dei BPSD, eccetto per l’apatia e l’attività motoria aberrante. Nella demenza a corpi di Lewy (LBD) la frequenza di deliri, di allucinazioni, della disinibizione e dei disturbi del sonno aumenta con la severità della demenza. I BPSD si pongono come elemento di valutazione importante anche perché risultano essere l'elemento maggiormente correlato alla sicurezza del paziente, alle patologie psicologiche stress-correlate dei caregiver, all'istituzionalizzazione del paziente e ovviamente ai costi di gestione a livello delle RSA che richiedono oltre ad ambienti adatti anche formazione del personale e per la gestione degli staff. Nelle prime fasi del processo di malattia di pazienti possono rendersi conto di alcune alterazioni di personalità, irritabilità, ansia o depressione, per poi perdere in seguito la capacità di critica e di giudizio e la consapevolezza delle loro problematiche. La valutazione neuropsicologica di questi pazienti può essere utile per le loro famiglie per capire le motivazioni di sintomi particolari, di certi comportamenti o di cambiamenti radicali della personalità, ma può essere d'aiuto anche ai caregiver nell'ambito della gestione del paziente. Di solito i sintomi non cognitivi che compaiono più precocemente sono quelli legati alla sfera affettiva (ansia, preoccupazione eccessiva, tristezza), mentre negli stadi avanzati della demenza diventano più frequenti i disturbi del comportamento, del pensiero e quelli percettivi (agitazione, erronei riconoscimenti, deliri). Per quanto concerne gli aspetti neurobiologici della patogenesi dei BPSD, si ritiene che vi sia una correlazione fra deplezione di acetilcolina e deficit mnesici. Il deficit colinergico contribuisce alla 26 comparsa delle allucinazioni nella Demenza di Alzheimer e nella Demenza a corpi di Lewy. La gravità delle manifestazioni psicotiche è legata al deficit colinergico nelle aree temporali e parietali. La condizione ipocolinergica determina un aumento relativo dopaminergico, che potrebbe contribuire alle manifestazioni psicotiche. Per quanto riguarda invece il sistema serotoninergico e adrenergico, ridotti livelli di serotonina giocano un ruolo importante nell’agitazione e nell’impulsività. I disturbi dell’umore nei dementi migliorano con l’uso di farmaci inibitori della ricaptazione della serotonina – SSRI. La norepinefrina (NE) si riduce in caso di depressione. Aumentati livelli di NE sono spesso associati ad un inadeguato controllo della rabbia e del comportamento violento (Bongiovanni P.8). Inoltre l’alterata regolazione dei sistemi trasmettitoriali GABAergici, serotoninergici e noradrenergici è correlata all’insorgenza di agitazione/aggressività (Eichelman B.9) (Stoppe G.10). Tali relazioni sono scarsamente dimostrabili e difficili da analizzare nel dettaglio, in quanto il medesimo neurotrasmettitore agisce su siti differenti e su recettori diversi esplicando plurime azioni, spesso addirittura antitetiche. La patogenesi biopsicosociale dei BPSD contempla l’influenza di numerosi fattori, variabilmente interconnessi (Finkel SI.2): 1-Fattori Psichici: personalità premorbosa, predisposizione 2-Fattori Biologici: comorbilità, fattori genetici, processo demenziale 3-Fattori Interpersonali: stress del caregiver, inadeguatezza della rete sociale 4-Fattori Ambientali: trasferimento, ospedalizzazione/istituzionalizzazione Figura 2: frequenza dei singoli BPSD 27 Importante valutare nella insorgenza dei BPSD l’impatto di fattori potenzialmente causali o concausali diversi dalla demenza stessa, quali gli stati confusionali indotti da patologie metaboliche ed infettive, stipsi, ritenzione urinaria, farmaci, dolore (Hersch E.C.7). aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Problematiche quali il dolore, la febbre, la disidratazione, la fame, l’ipoglicemia, l’insonnia possono portare ad agitazione anche severa come espressione di uno squilibrio sottostante, il quale a sua volta deve divenire il bersaglio del trattamento medico; in tali casi il tentativo di controllare il sintomo dell’agitazione, equivale a silenziare un campanello d’allarme. In particolare il dolore è frequentemente sottovalutato nel demente, anche a causa della difficoltà da parte di quest’ultimo di riferirlo, descriverlo e renderlo manifesto come tale. Quando i BPSD non sono espressione di un sottoastante problema clinico in atto, ma sintomo della progressione della sindrome demenziale, la loro origine resta essenzialmente sconosciuta. Le caratteristiche dei BPSD (Dongiovanni P, 2010) 1 - Modificazioni della personalità E’ frequente che la demenza si manifesti precocemente con alterazioni del carattere, generalmente nel senso di un’accentuazione dei tratti caratteristici della personalità, talvolta con la comparsa di caratteristiche opposte. Dal punto di vista psicopatologico, si può interpretare come l’accentuazione di caratteristiche preesistenti come tentativo del soggetto di riconfermare la propria identità, oppure come la comparsa di tratti opposti come tentativo di adattamento ad una situazione mutata, con la ricostruzione di una nuova identità. 2 - Alterazione dell’umore Il tono dell’umore è quasi sempre alterato, la depressione è il sintomo più frequente; si possono osservare anche disforia, euforia, ansia spesso associata a fobie, labilità emotiva. aaaaaaa Dal punto di vista psicopatologico si può interpretare la depressione come una reazione secondaria ad una situazione clinica caratterizzata da perdita della forza, della salute, di persone care, del ruolo sociale, dell’autonomia, del ruolo sociale o come, come una negazione della perdita. 3 - Affaccendamento E’ l’aumento dell’attività motoria afinalistica, fino alla manipolazione inconcludente di tutti gli oggetti che capitano sottomano. Tipica è la “spinta verso casa” che si osserva quando il soggetto si 28 trova in ambienti non familiari e che lo induce a raccogliere tutto ciò che trova e a farne fagotto per “andare a casa”. La spinta verso casa è una reazione comprensibile tenendo conto del disorientamento spazio-temporale e dei deficit mnesici. Frequente è anche l’irrequietezza motoria, che può sfociare in un incremento deambulatorio simil-acatisiaco. 4 - Aggressività Può essere verbale o fisica, diretta versi cose o verso persone. In genere è espressione di rabbia, paura, frustrazione o timore, talvolta non immediatamente comprensibili, dovuti ad una erronea interpretazione delle situazioni o dei comportamenti altrui. 5 - Vocalizzazione persistente Il soggetto dice o domanda le stesse cose più volte o si lamenta in maniera continua. È conseguenza del deficit di memoria e di capacità critica. 6 - Dispercezioni Possono essere secondarie all’alterazione dell’attenzione o dello stato di coscienza, come i falsi riconoscimenti, o le allucinazioni, prevalentemente di tipo visivo o uditivo; non sono rare le allucinazioni ipnagogiche, soprattutto quando il ritmo sonno-veglia è alterato.aaaaaaaaaaaaaaaaa Le allucinazioni sono probabilmente espressione del danno cerebrale causato dal processo morboso. 7 - Disturbi del contenuto del pensiero Possono essere idee prevalenti o vere e proprie idee deliranti, che non raggiungono mai una sistematizzazione. Possono essere sviluppi di personalità, conseguenti a disturbi della memoria, a disturbi percettivi, a una ridotta stimolazione sensoriale e/o sociale. aaaaaaaaaaaaaaaaaa I contenuti dei deliri esprimono spesso delle preoccupazioni comprensibili (il delirio di latrocinio si collega al tema della perdita relativa a oggetti materiali e vissuto in chiave paranoica, anziché depressiva; il delirio di gelosia esprime il timore di perdere le persone care; il delirio di nocumento/veneficio ed il delirio ipocondriaco si collegano al timore della perdita della salute ed al timore della morte; il delirio di Cotard esprime la negazione del timore della morte). 8 - Disturbi del sonno ritmo sonno-veglia. L’insonnia iniziale può rientrare in un quadro ansioso, mentre l’insonnia terminale 29 può essere manifestazione di una sindrome depressiva; l’inversione del ritmo sonno-veglia è probabilmente legata ad un’alterazione dei centri neurologici che regolano i ritmi circadiani, dovuta al processo morboso cerebrale. 9 - Disturbi dell’appetito Consistono in una riduzione dell’appetito, meno frequentemente in iperfagia o in iperoralità. La riduzione dell’appetito può rientrare in un quadro depressivo, mentre l’aumento dell’appetito e l’iperoralità sono più comunemente presenti in un quadro di disinibizione. 10 - Disturbi della sessualità Riduzione e/o assenza del desiderio sessuale nei quadri depressivi; ipersessualità, anche con comportamenti socialmente inopportuni, nei quadri di euforia e/o disinibizione. 11 - Confabulazione E’ la produzione di falsi ricordi a riempimento delle lacune mnesiche del passato recente. Questa neoproduzione, accurata e fantasiosa, attinge a diversi frammenti mnemonici dell’esperienza passata ed agli stimoli dell’ambiente; è tipicamente influenzabile per via suggestiva. Rappresenta un tentativo di mantenere la continuità nel tempo, e quindi il senso di sé, nonostante i deficit mnestici. 12 - Reazioni catastrofiche Sono improvvise esplosioni emotive verbali e/o fisiche in risposta ad eventi stressanti di qualsivoglia origine (ambientale, somatica, ecc) non comprensibili al soggetto di qualsivoglia. Sono spesso innescate da deliri, allucinazioni, dispercezioni e ansia. Si manifestano con crisi di pianto, urla e bestemmie, minacce aggressive, morsi, calci, ecc. 13 - Collezionismo E’ la continua ed incessante raccolta ed accumulo di oggetti, generalmente irrilevanti e di nessuna necessità. Rappresenta il tentativo di reazione al timore della perdita, alimentato dalle perdite reali e dai deficit mnesici. 30 Uno degli elementi fondamentali per poter trattare efficacemente i BPSD dopo averli correttamente identificati (dopo una corretta diagnosi differenziale con le forme sintomatiche), è la quantificazione del problema. Numerosi sono gli strumenti preparati ed utilizzati a tale scopo, tra i quali di particolare utilità sono: la Cohen- Mansfield Agitation Inventory (CMAI), la Neuropsychiatric Inventory: Nursing Home version (NPI-NH) e la Behavioral Pathology in Alzheimer Disease (BEHAVE-AD). Queste nello specifico hanno il vantaggio di essere state validate e mirate (Zaudig M.11) (De Deyn P.P.12). L’utilizzo di scale di misurazione dei BPSD diventa utile sia in fase di scelta dei trattamenti, sia per la valutazione degli effetti del trattamento stesso al fine di garantirne il monitoraggio e l’eventuale sospensione o variazione. In conclusione, i BPSD sono un paradigma della complessità psicogeriatrica e rappresentano un outcome primario nella gestione delle demenze (Finkel S.I., Costa J. 13), in quanto determinano: ● Un aumento della disabilità e un peggioramento delle prestazioni cognitive; ● Un aumento del rischio d’istituzionalizzazione; ● Nei pazienti istituzionalizzati aumentano il rischio di: - essere sottoposti a contenzione fisica - ricevere farmaci antipsicotici - influenzare negativamente gli altri ospiti ● Un’aumento dello stress fisico e psichico dei caregiver e dello staff assistenziale (Rodney V.14): - per via di un ridotta qualità di vita del caregiver e del paziente. - per un aumento significativo dei costi economici, sociali e sanitari della malattia (carico assistenziale, intervento medico, ricoveri, prescrizione farmacologica). Circa il 35% del costo annuale delle nursing home americane per ospiti con Malattia di Alzheimer è dovuto alla gestione dei BPSD. I BPSD pongono una serie di problematiche gestionali sia in termini di disagio del paziente, sia in termini di rischio di incolumità del paziente e di chi gli vive accanto. La gestione di una parte di questi disturbi è, almeno parzialmente, farmacologica e ciò pone una serie di problematiche inerenti la sicurezza, l’efficacia e la tollerabilità dei farmaci utilizzati, la loro reciproca interazione e la loro interferenza con le residue autonomie del paziente e con la sua 31 personalità. I BPSD che meglio sembrano rispondere alle terapie farmacologiche sono l’ansia, i sintomi depressivi, i disturbi del sonno, l’agitazione fisica e verbale, i comportamenti sessuali inappropriati, le allucinazioni, i deliri e talune manifestazioni di aggressività; al contrario wandering, il comportamento antisociale (ad esempio manifestazioni di aggressività come il picchiare), i comportamenti stereotipati afinalistici, i vocalizzi e la trascuratezza, sembrano resistenti a ogni tipo di trattamento farmacologico (Maletta G.J.17) (Stoppe G.10). Il riconoscimento dei sintomi target consente, in riferimento alla citata classificazione di MC Shane, di agire con una terapia farmacologia mirata. Al riguardo i farmaci utilizzabili per specifici cluster di BPSD possono essere: - Per la psicosi: antipsicotici, inibitori delle colinesterasi - Per la depressione, ansia: antidepressivi, benzodiazepine - Per l’apatia: inibitori delle colinesterasi - Per l’aggressività: antipsicotici - Per l’agitazione psicomotoria: antipsicotici, benzodiazepine In relazione a tale complessità di trattamento, l’uso dei farmaci nella gestione dei BPSD è al centro delle attenzioni della comunità medica e scientifica, al fine di ottenere evidenze di effettiva utilità, tollerabilità e sicurezza nel rispetto della persona e delle normative vigenti, in riferimento ai principi della farmaco-economia. Tale equilibrio è sicuramente difficile, le evidenze non sono ancora definitive. È importante ricordare che per qualsiasi molecola psicoattiva, specialmente negli anziani, è necessario titolare lentamente il farmaco e adeguarne il dosaggio per un miglior rapporto costo/beneficio. 32 2.2 Il percorso clinico indicato da AIFA 1. Valutare attentamente il disturbo da trattare. Nei malati di demenza, infatti, non tutti i disturbi del comportamento richiedono un trattamento con antipsicotici. Tale trattamento deve essere, infatti, riservato al controllo dei disturbi comportamentali gravi che non abbiano risposto all'intervento non farmacologico (modifiche ambientali, counseling, ecc.); 2. Iniziare la terapia con una dose bassa e raggiungere gradualmente il dosaggio clinicamente efficace; 3. Se il trattamento è inefficace, sospendere gradualmente il farmaco e prendere eventualmente in considerazione un diverso composto; 4. Se il trattamento è efficace, continuare a trattare e monitorare il soggetto per un periodo 1-3 mesi e poi, una volta che il soggetto sia asintomatico, tentare di sospendere gradualmente il farmaco. Gli alti tassi di risposta al placebo in tutte le sperimentazioni effettuate (mediamente attorno al 40%) ci ricordano infatti che siamo in presenza di sintomi per loro natura fluttuanti nel tempo e che talvolta tendono a risolversi spontaneamente nel breve periodo; 5. Evitare di somministrare due o più antipsicotici contemporaneamente. Questa pratica che dovrebbe essere eccezionale è in realtà troppo diffusa: da stime nazionali a circa il 2% dei dementi nella popolazione generale e circa il 14% di quelli istituzionalizzati vengono somministrati due o più antipsicotici contemporaneamente. In genere gli antipsicotici agiscono sui medesimi sistemi recettoriali o su classi analoghe di recettori: farli competere è inutile ai fini di aumentarne l’effetto e controproducente in termini di somma di effetti collaterali; 6. Evitare l'uso concomitante di antipsicotici e benzodiazepine. Una percentuale variabile tra l'1 e il 5% dei dementi nella popolazione generale e circa il 17% di quelli istituzionalizzati vengono trattati con antipsicotici e ansiolitici/ipnotici contemporaneamente. A più del 4% dei dementi in istituzione vengono somministrati contemporaneamente tre o più tra antipsicotici e ansiolitici ipnotici. Anche questa associazione andrebbe fortemente limitata, soprattutto alla luce della dichiarazione 33 dell'EMEA che riporta l'uso concomitante di benzodiazepine e olanzapina tra i fattori predisponenti associati all'aumento di mortalità. Gli antipsicotici, spesso per il loro effetto anche antistaminico, sono di per sé ipnoinducenti e per tanto non dovrebbe essere necessario associarli a benzodiazepina. Circa il rischio di aumento di mortalità o di eventi cardio-cerebrovascolari, il dato è purtroppo inficiato da BIAS statistici; da ciò si evince che tale rischio dovrebbe sempre essere considerato anche in relazione alle necessità terapeutiche dei singoli pazienti, alle evidenze di efficacia della terapia con tali antipsicotici alla fase della malattia, alle altre patologie coesistenti e alla sicurezza ed all’efficacia dei trattamenti alternativi; 7. Monitorare attentamente sicurezza ed efficacia degli antipsicotici e segnalare tempestivamente tutti gli eventuali effetti indesiderati. È necessario porre attenzione in primis al livello di vigilanza, di capacità di interazione, alla fluidità nei movimenti e all’autonomia. In un secondo tempo saranno valutabili il tono dell’umore (che tende a deflettere con gli antipsicotici) e un l’eventuale sindrome extrapiramidale con le sue manifestazioni: l’ipertono plastico, la fissità dello sguardo, l’acatisia, i movimenti discinetici, i tremori, ecc; 8. Somministrare con estrema cautela gli antipsicotici a soggetti con fattori di rischio cardiovascolare dopo attenta valutazione dello stato clinico e con rivalutazione dei parametri vitali a distanza di una settimana dall’inizio della terapia. I BPSD sono particolarmente frequenti e rilevanti anche nelle demenze vascolari e spesso proprio in questi soggetti gli antipsicotici diventano essenziali; è quindi necessario informare attentamente il paziente e i famigliari circa l’incremento del rischio cardio-cerebro-vascolare legato alla terapia, che, in un momento in cui la malattia è in fase di accelerazione, si somma al rischio insito nello stesso processo morboso. 34 Capitolo 3: Le terapie farmacologiche La terapia dei disturbi comportamentali associati alla demenza si avvale dei cosiddetti farmaci antipsicotici che sono nati per il trattamento della schizofrenia, ma sono efficaci anche in altre psicosi e in stati di agitazione psichica. La clorpromazina, la promazina, l'aloperidolo, il zuclopentixolo e la clotiapina sono considerati antipsicotici tipici, mentre l'olanzapina, la quietiapina e il risperidone sono considerati antipsicotici atipici (AA). Quelli tipici sono meno recenti e hanno un maggior numero di effetti collaterali che ne limita l'impiego, quelli atipici sono anche definiti antipsicotici di seconda generazione. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Gli antipsicotici atipici vengono largamente utilizzati nel trattamento dei BPSD, i loro benefici sono almeno in parte incerti e dubbi sulla loro sicurezza sono emersi nel tempo. In un trial in doppio cieco, contro placebo, che confrontava risperidone, olanzapina, quetiapina e placebo (Schneider L.S., Tariot P.N.26), per trattare psicosi, aggressività e agitazione in pazienti con AD, non sono emerse differenze significative almeno per quanto misurabile con la scala CGIC (Global Impression on Changing) e gli effetti avversi avevano superato i benefici. In una review della Cochrane su 16 studi controllati, si concludeva che olanzapina e risperidone erano effettivamente i più efficaci, ma allo stesso tempo i più gravati da effetti collaterali soprattutto cardiovascolari (Ballard C.27). Nessuno degli atipici sembra avere un rapporto costo/beneficio superiore agli altri. Gli studi sugli atipici convergono nel consigliarne l’uso in quei pazienti in cui i BPSD sono molto interferenti con la quotidianità e in cui non sussistano particolari presupposti di rischio cardiovascolare (De Deyn P.P.25). Opinioni contrastanti, invece, si rilevano per quel che riguarda la sicurezza di tali farmaci. Un gruppo italiano concludeva nel 2008 uno studio osservazionale retrospettivo della durata di 12 mesi sull’uso dei farmaci atipici, affermando che i neurolettici atipici ed in particolare la quetiapina risultano farmaci sicuri, perlomeno rispetto ai parametri monitorati (QT, frequenza cardiaca, pressione in clino e ortostatismo) sottolineando che tali risultati erano comunque in linea con i dati della letteratura scientifica. Una recente review sulla gestione di agitazione e aggressività nell’AD (Ballard C.28) conferma che gli atipici hanno dimostrato una efficacia statisticamente significativa, almeno nel breve periodo (612 settimane) pur con il rischio di complicanze anche serie, inclusi stroke e morte e inoltre come memantina e citalopram siano, sotto attenta analisi, possibili alternative efficaci e sicure. 35 Gli AA sono attualmente i farmaci più comunemente utilizzati in questo contesto clinico per la loro migliore tollerabilità per la loro maggior sicurezza rispetto ai neurolettici tipici. Infatti, gli AA presentano in particolare una minore incidenza di effetti di tipo extrapiramidale ed anticolinergico, correlati con un decremento del rischio di cadute. Di fatto, comunque, i neurolettici atipici presentano a loro volta alcuni effetti collaterali: tra i più importanti, i disturbi metabolici, l’aumento di peso ed effetti avversi di tipo cerebrovascolare (stroke ischemico) e cardiovascolare. Riguardo a quest’ultimo aspetto, i dati forniti dalla letteratura internazionale sono piuttosto controversi: parere concorde è espresso sul riscontro di ipotensione ortostatica; al contrario sull’osservazione degli intervalli elettrocardiografici PQ e QTc (raramente modificati) e della frequenza cardiaca, molti studi sull’efficacia e la sicurezza del trattamento con neurolettici a lungo termine hanno confermato l’assenza di effetti negativi; altri, invece, sembrano affermare il contrario soprattutto per quanto riguarda le conseguenze sull’intervallo QTc. Possiamo concludere che tutti gli studi internazionali condotti sull’uso dei farmaci neurolettici atipici nel trattamento dei disturbi del comportamento associati a demenza concordano sulla loro efficacia a lungo termine. 3.1 Clorpromazina Storicamente fu uno dei primi farmaci ad essere definito “antipsicotico” e tuttora è ancora largamente impiegato. Fa parte delle fenotiazine, più precisamente del sottogruppo dei derivati alifatici. Negli anziani la posologia deve essere attentamente stabilita dal medico, che dovrà eventualmente valutare una riduzione dei normali dosaggi che si attestano tra i 25-75 mg per via orale suddivisi nel corso della giornata. Il dosaggio dipende dalla situazione patologica presa in considerazione. Le sue indicazioni sono: il trattamento delle schizofrenie, degli stati paranoici, della mania, delle psicosi tossiche (amfetamine, LSD, cocaina etc.), delle sindromi mentali organiche accompagnate 36 da delirio, dei disturbi d'ansia se particolarmente gravi e resistenti alla terapia con ansiolitici tipici, della depressione se accompagnata da agitazione e delirio, specie in associazione con antidepressivi, del vomito e del singhiozzo incoercibile. E’inoltre adoperato nel trattamento dei dolori intensi generalmente in associazione con analgesici stupefacenti e nelle medicazioni preanestetiche. 3.2 Promazina Fa parte degli antipsicotici fenotiazinici, viene utilizzato nel trattamento dell’agitazione psicomotoria o del comportamento aggressivo. Tramite la soluzione in gocce può essere somministrato anche per via orale, ogni goccia equivale a 2mg di farmaco. E' consigliabile non superare le 25 gocce al giorno, suddividendole nel corso della giornata. Le sue indicazioni sono sovrapponibili a quelle della clorpromazina. 3.3 Aloperidolo Fa parte dei derivati butirrofenonici ed è l’antipsicotico più largamente usato nella pratica clinica. Ha un azione più potente e con meno effetti collaterali sul sistema nervoso extrapiramidale rispetto agli altri antipsicotici. È il farmaco antidelirante e antiallucinatorio per eccellenza. Cosi come per la clorpromazina la posologia varia in base alla patologia e alla condizione del paziente, negli anziani il medico deve sempre prendere in considerazione le varizioni farmacocinetiche e aaaaaaa farmacodinamiche dettate dell'età e valutare un'eventuale variazione del dosaggio, che vanno da 5 mg ad un massimo di 60 mg al giorno. Le indicazioni per la forma in gocce sono: agitazione psicomotoria in caso di stati maniacali, demenza, oligofrenia, psicopatia, schizofrenia acuta e cronica, alcoolismo, disordini di personalità di tipo compulsivo, paranoide, istrionico, deliri, allucinazioni in caso di schizofrenia acuta e cronica, paranoia, confusione mentale acuta, alcoolismo 37 (Sindrome di Korsakoff), ipocondriasi, disordini di personalità di tipo paranoide, schizoide, schizotipico, antisociale, alcuni casi di tipo borderline. movimenti coreiformi. agitazione, aggressività, reazioni di fuga degli anziani, tics, balbuzie, vomito, singhiozzo e sindromi da astinenza da alcool. 3.4 Quietiapina La quietiapina è un derivato dibenzotiazepinico appartenente al gruppo dei cosiddetti antipsicotici "atipici". Possiede una maggiore affinità di legame con i recettori 5HT2A della serotonina rispetto ai recettori D2della dopamina. Antagonizza inoltre i recettori adrenergici alfa1e alfa2 e H1dell'istamina; non si lega invece ai recettori colinergici muscarinici o delle benzodiazepine. E' il farmaco in assoluto più utilizzato e più efficace nel trattamento dei disturbi comportamentali associati a demenza. Ben assorbita dopo somministrazione orale, la quetiapina raggiunge il picco dei livelli plasmatici entro 3 ore, con un’emivita di 6-7 ore. Viene inattivata a livello epatico dal sistema enzimatico P450 e viene eliminata con le urine (73%), principalmente sotto forma di metaboliti inattivi e in minima parte con le feci. Negli anziani l'eliminazione del farmaco si riduce del 30-50%, mentre nei pazienti con insufficienza renale o epatica non risultano modificati i parametri farmacocinetici. Il dosaggio più basso è una compressa da 25 mg, si possono assumere anche 4 compresse al giorno purchè suddivise nell'arco della giornata. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa La quietiapina è indicata nel trattamento delle psicosi acute e croniche, inclusa la schizofrenia. 38 I suoi effetti collaterali possono interessare l'apparato cardiovascolare (ipotensione ortostatica 10%, sincopi 1%, allungamento del tratta QT 0.1%), il sistema nervoso centrale (cefalea 19%, sonnolenza 18%, sintomi extrapiramidali 8%), la cute (rash maculopapulare 4%), l'apparato ematopoietico (leucopenia e neutropenia transitorie (riduzione della conta dei neutrofili inferiore a 1,5x109/L: 23%), il sistema endocrino (riduzione T4 20%), l'apparato gastrointestinale (bocca secca 10%, costipazione 9%, dispepsia 6%), gli occhi (alterazioni del visus 11,3%), e infine a livello metabolico si può osservare un aumento del colesterolo e dei trigliceridi (11% e 18%) con aumento del peso corporeo. 3.5 Clotiapina E' un antipsicotico atipico di sintesi, strutturalmente simile alla quietiapina, appartenente alla classe chimica delle dibenzotiazepine. Ha un effetto sedativo, riduce il livello di attività psicomotoria e regola il sonno, perciò allieva l'ansietà e il senso di tensione, esercita un buon effetto antipsicotico e aiuta il paziente a ristabilire un contatto con l'ambiente. Non influenza il sistema nervoso autonomo. Le sue indicazioni sono: psicosi acute (schizofrenia acuta, episodi deliranti, accessi maniacali, stati confusionali, stati di eccitamento psicomotorio), fasi acute di riesacerbazione in corso di psicosi croniche, sindromi psicoreazionali o nevrotiche e stati d'ansia. 39 3.6 Olanzapina L'olanzapina è un antipsicotico di seconda generazione (atipico) che svolge un'azione antimaniacale e stabilizzante dell'umore agendo su numerosi sistemi recettoriali (in particolare serotoninergici, dopaminergici e colinergici). L'olanzapina viene metabolizzata dal fegato principalmente attraverso processi di coniugazione e ossidazione (citocromi CYP1A2 e CYP2D6) a metaboliti dotati di minore attività farmacologica. L'eliminazione prevalente è renale (57%). L'emivita è di 30 ore se la somministrazione è orale. In pazienti con ridotta funzionalità renale non è stata riscontrata una differenza significativa nell'emivita e nella clearance del farmaco. Gli effetti indesiderati più frequenti sono: aumento di peso, insonnia, ansia, sonnolenza e cefalea.aaaaaaaaaaaaaaaaaa Indicata nella schizofrenia, negli episodi di mania da moderato a grave e nel disturbo bipolare. . 3.7 Risperidone Fa parte della benzisossazoli, blocca sia i recettori D2 dopaminergici sia gli 5HT2 serotoninergici. Il dosaggio iniziale raccomandato per gli anziani è pari a 0,5 mg per due volte al giorno. Questo dosaggio può essere aggiustato su base individuale con incrementi di 0,5 mg due volte al giorno fino a 1–2 mg due volte al giorno.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Ha un assorbimento rapido e completo dopo somministrazione orale, un’emività di 3 ore e un metabolismo epatico ad opera del cyt P450 con produzione di metaboliti attivi.aaaaaaaaa E' molto utile contro i sintomi affettivi, quali depressione, senso di colpa e ansia.aaaa I pazienti con compromissione della funzionalità epatica presentano aumenti delle concentrazioni plasmatiche della frazione libera di risperidone. A prescindere dall’indicazione, nei pazienti con 40 compromissione della funzionalità renale o epatica il dosaggio iniziale e quelli successivi devono essere dimezzati e la titolazione della dose deve essere più lenta. Può causare disordini del movimento e aumento del peso corporeo. Indicato nel trattamento della schizofrenia, di episodi di mania da moderati a gravi associati a disturbi bipolari, nel trattamento a breve termine (fino a 6 settimane) dell'aggressività persistente in pazienti con AD di grado da moderato a grave che non rispondono ad approcci non farmacologici, e quando esiste un rischio di nuocere a se stessi o agli altri. 3.8 Zuclopentixolo Cloridrato Lo zuclopentixolo è stato il secondo farmaco antipsicotico appartenente alla classe dei tioxanteni ad entrare in terapia. Mostra un'elevata affinità per i recettori della dopamina D1 e D2, a livello dei quali esercita attività antagonista e ha pertanto importanti effetti antipsicotici, antiallucinatori e sedativi. Lo zuclopentixolo viene rapidamente assorbito dal tratto gastrointestinale e leaaaaaaaaaa concentrazioni plasmatiche massime si possono rilevare dopo circa 4 ore. L'emivita plasmatica è di circa 20 ore. Il farmaco subisce metabolismo presistemico per circa il 40%. 41 Le sue indicazioni sono: schizofrenia acuta e cronica ed altre sindromi dissociative caratterizzate da sintomi quali allucinazioni, agitazione, eccitamento psicomotorio, ostilità, aggressività e disturbi della sfera affettiva. Viene utilizzato nella fase maniacale della psicosi maniaco-depressiva, nelle sindromi mentali organiche (ritardo mentale, demenza senile) accompagnate da delirio, ipereccitabilità psicomotoria e agitazione. Il suo meccanismo d'azione si attua attraverso un'azione antidopaminergica, agendo come antagonista funzionale del recettore D2.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Bloccando i recettori post-sinaptici della dopamina consente il controllo di alcuni sintomi, quali allucinazioni ,deliri e agitazione. La maggior parte dei farmaci antipsicotici sono assorbiti rapidamente, ma in modo incompleto. Inoltre molti di essi, vanno incontro ad un significativo metabolismo di primo passaggio e sono altamente liposolubili. Pertanto tendono ad avere un largo volume di distribuzione. Poiché questi farmaci si distribuiscono nel tessuto adiposo e posseggono un'affinità estremamente elevata per specifici recettori di neurotrasmettitori nel sistema nervoso centrale, la durata chimica dell'azione antipsicotica è molto più lunga di quanto indicherebbe la breve emivita plasmatica. A tutto ciò si aggiunge la prolungata occupazione di recettori D2 della dopamina nel cervello. Quasi tutti gli antipsicotici sono metabolizzati a livello epatico e non hanno metaboliti attivi, eccetto l'aloperidolo. Gli effetti farmacologici degli antipsicotici si esplicano a livello del sistema dopaminergico, nel cervello sono stati identificati 5 importanti sistemi o vie dopaminergiche. La prima via, quella strettamente correlata al comportamento, è il sistema mesolimbicomesocorticale, che proietta ai corpi cellulari presenti vicino alla substantia nigra al sistema limbico e alla neocortex. Il secondo sistema, nigrostriatale, è formato da neuroni che si proiettano dalla substantia nigra al caudato e al putamen; esso è anche coinvolto nella coordinazione dei movimenti volontari. La terza via, il sistema tuberoinfundibolare, connette i nuclei arcuati e i neuroni periventricolari all'ipotalamo all'ipotesi posteriore. La dopamina liberata da questi neuroni fisiologicamente inibisce la secrezione di prolattina. Il quarto sistema dopaminergico, la via medulloperiventricolare è costituito da neuroni presenti nel nucleo motorio del vago, le cui proiezioni non sono ancora ben definite. Questo sistema può essere implicato nel comportamento alimentare. Il quinto e ultimo sistema è la via incertoipotalamica caratterizzata da connessioni dalla zona incerta mediale all'ipotalamo e all'amigdala. Esso sembra regolare la fase precorritrice motivazionale del comportamento sessuale nel ratto. 42 Dopo che la dopamina era stata riconosciuta quale neurotrasmettitore, nel 1959, fu evidenziato che i suoi effetti sull'attività elettrica delle sinapsi centrali e sulla produzione di cAMP da parte dell'adenilatociclasi, potevano essere bloccati dalla maggior parte dei farmaci antipsicotici. Questo dato ha portato alla conclusione, nei primi anni'60, che questi farmaci dovevano essere considerati antagonisti della dopamina. Oggi si ritiene che l'azione antipsicotica è prodotta (almeno in parte) dalla loro capacità di bloccare i recettori della dopamina nei sistemi mesolimbico e mesofrontale. Inoltre, l'antagonismo verso la dopamina nell'ambito del sistema nigrostriatale spiega gli effetti indesiderati parkinson simili prodotti da questi farmaci così come l'iperprolattinemia. Gli agenti antipsicotici bloccano i recettori D2 in maniera stereoselettiva e la loro forza di legame è strettamente correlata con la potenza clinica antipsicotica ed extrapiramidale. In alcuni studi è stato riportato il trattamento continuato con i farmaci antipsicotici produce un momento transitorio nel liquido cerberospinale, nel plasma nelle urine dell'acido omovanillico (HVA), un metabolita della dopamina. Sebbene tutti gli antipsicotici efficaci blocchino i recettori D2, l'entità di questo blocco varia notevolmente tra gli antipsicotici. Numerosi esperimenti che utilizzano la tecnica di legame recettoriale hanno dimostrato che alcuni farmaci hanno un'affinità maggiore verso altri recettori rispetto a quelli D2: Clorpromazina: α1 = 5-HT2A > D2 > D1 Aloperidolo: D2 > α1 > D4 > 5-HT2A > H1 Clozapina: D4 = α1 > 5-HT2A > D2 = D1 Olanzapina: 5-HT2A > H1 > D4 > D2 > α1 > D1 Quietiapina: H1 > α1 > M1,3 > D2 > 5-HT2A 43 Capitolo 4: Il caregiver Il caregiver è colui che da cure e assistenza, si prende cura dei bisogni del paziente affetto da una malattia cronica invalidante, la quale lo priva dell'autonomia e della possibilità di badare a se stesso. Il termine si è diffuso soprattutto in questi ultimi anni ma il suo ruolo esiste da sempre. In modo più specifico fornisce cure e assistenza di base per l'igiene, l'abbigliamento, l'alimentazione, per la cura della casa, per la spesa ad una persona non autosufficiente per via della sua malattia. Esistono i caregiver "formali", per i quali l'offerta d'aiuto e assistenza è una professione retribuita e i caregiver "informali" ovvero i familiari, gli amici, i volontari e tutte le persone vicine a chi soffre nel contesto di una relazione non professionale. Nelle demenze sono impiegate entrambe le tipologie. Il ruolo dei caregiver formali è sostenere e promuovere le risorse dei familiari, sollevandoli dall'impegno della cura, in modo transitorio a tempo pieno come avviene nel caso delle strutture residenziali. La collaborazione tra i caregiver formali e informali è indispensabile, ciononostante il momento dell'eventuale ricovero presso una struttura residenziale e spesso vissuta dai familiari come un fallimento e come un ripiego di fronte ad un progetto divenuto insostenibile e quindi come dire un no alla permanenza dell'anziano in casa e ciò può esporre a un senso di colpa che se non elaborato può tradursi in atteggiamenti diametralmente opposti. Da un lato un iperintrusività nei confronti della struttura residenziale e dei caregiver formali, con atteggiamenti controllanti, svalutanti, di sfiducia e critica; dall'altro un abbandono più o meno completo dell'anziano parente. Inizialmente il focus dell'attenzione sul caregiver era rivolto all'individuazione e alle definizioni dei suoi compiti, successivamente si è spostato sulle difficoltà che questa figura poteva incontrare e della sua esperienza nel contesto della relazione d'aiuto che crea con la persona bisognosa della sua assistenza. Per fare riferimento alle difficoltà di chi professionalmente instaura delle relazioni di aiuto si parla di "burn out"; più specificatamente in questo contesto "caregiver burden". Con questo termine si intendono le molteplici difficoltà, sul piano fisico, emotivo, finanziario, che derivano in conseguenza del prendersi cura di un familiare malato. Con il "burnout", secondo le definizioni di Freudenberg e Maslach, si intende lo stato di "esaurimento psicofisico riscontrabile tra gli operatori sanitari e sociali in risposta ad uno stress emozionale continuativo e prolungato, in un lavoro teso all'aiuto di altri essere umani" che determina una "sindrome di indebolimento psicofisico caratterizzata da una fallimentare considerazioni di sé, un'attitudine negativa nei confronti del lavoro e una globale perdita di interessi 44 verso i clienti". Il burden e il burnout determinano effetti e conseguenze su diversi piani, su quello individuale si possono riscontrare affaticamento, deficit di concentrazione, disturbi del sonno, cefalea, disturbi gastrointestinali, collera, perdita di concentrazione, senso di colpa, cinismo, negativismo, ansia e depressione. Su un piano familiare si possono manifestare gravi problematiche relazionali e assenza di disponibilità. Su un piano operativo infine si possono verificare difficoltà relazionali con altri, isolamento e assenteismo. Nel paziente affetto da demenza, soprattutto all'inizio della malattia, si può rendere evidente una regressione, un rifugiarsi in un atteggiamento passivo; la responsabilità può essere aggressivamente proiettata tutta verso l'esterno, alimentando lamentele per un trattamento mai adeguato e soddisfacente. Così l'individuo sofferente può trovarsi isolato, da una parte perché attraverso questi atteggiamenti crea una distanza tra sé e gli altri, dall'altra perché già di per se la malattia (e la vecchiaia) evoca il bisogno degli altri di stare a distanza da chi le rappresenta e le incarna; proprio perché il confronto con la propria vita di vecchiaia e malattia può essere difficile da tollerare. Oppure si può riscontrare, tanto nel malato che in chi gli sta vicino, la tendenza a negare la malattia, a negare l'apertura sulla cronicità e sulla morte che la malattia stessa svela; o si può rendere evidente il bisogno di soffocare i sentimenti che tutto ciò suscita.aaaaaaaaaaaaaaaa La relazione con la persona demente presenta alcuni aspetti unici e specifici: date le caratteristiche intrinseche della malattia, si tratta di relazioni potenzialmente di lunga durata, la cui finalità non può aspirare alla guarigione o a un radicale miglioramento, ma deve focalizzarsi sul più realistico obbiettivo di offrire alla persona anziana il maggior benessere possibile, inoltre si giunge a dover fare i conti con la paura dell'abbandono, della perdita della dignità e della compostezza, una paura del dolore, dell'ignoto e del lutto personale. L'anziano diventa bambino e il figlio diventa guida, i giochi relazionali si invertono, con difficoltà esterne ed interne e si crea una modalità relazionali di interdipendenza. Diversi elementi intervengono a rendere spesso drammatica la relazione con un paziente demente, sia essa mantenuta dai familiari o sviluppata dall'equipe formale di assistenze e cura. Questi elementi di distress nel rapporto demente/caregiver sono molteplici, i più importanti: i sintomi della demenza stessa che toccano diverse sfere, quella conoscitiva; l’espressiva, emotiva, fisica e funzionale e che agiscono in diverse percentuali; l’imprevedibilità e la cronicità della malattia; il sovvertimento dell'ambiente familiare; la convivenza spesso obbligata e lo stretto contatto manipolatorio dettato da esigenze di igiene e nursing un rapporto con l'assistito anziano paragonabile con quello che si avrebbe con un bambino 45 (involuzione puerile); le problematiche legali e non legali connesse alla progressiva perdita di libertà decisionale del malato; l'aumento di misure contenitive da parte dei familiari. Tutte queste considerazioni pongono l'interrogativo esplicito o implicito sulla vita degna di essere vissuta a cui si aggiunge l'inclinazione al cosiddetto comportamento perfigurante, ovvero l'inclinazione conscia o inconcia nell'accuditore a proiettare nel proprio futuro l'esperienza che sta vivendo, immedesimantosi nel ruolo di accudito e rappresentandosi, in analogia col suo comportamento attuale, l'assistenza che riceverà (Monteleone, 2012) l'insicurezza economica, dovuta o peggiorata dalla presenza della persona anziana demente con l’assunzione del profilo psicologico del “carcerato in casa” da parte di un familiare. La percezione del burden da parte del caregiver pare essere indipendente dal tempo impiegato nell'assistenza, dal grado di compromissione funzionale dell'assistito e dalla progressione del deficit mnestico nelle persone dementi alla quale si presta aiuto. Risultati contrastanti e non definitivi emergono invece per quanto concerne i sintomi comportamentali della demenza, spesso vissuti come maggiormente onerosi che rispetto a quelli cognitivi. In base all'indagine del 2006 I CAN (Investigating Caregivers' attitudes and Needs, condotta dall'Alzheimer's Foundation of America (AFA)), sono gli accuditori dei genitori piuttosto che quelli dei loro coniugi a risentire di un minor tempo dedicato a se stessi (74% vs 56%) e a sentirsi abbandonati dai parenti (34% vs 14%). Sempre la stessa indagine rivela che gli accuditori di un coniuge fanno affidamento su minori risorse a supporto del loro impegno (2,7% vs 3,3%), e sono meno inclini a riconoscere di aver bisogno di aiuto (52% vs 77%).aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Gli accuditori di un coniuge, con maggior frequenza di quelli che si prendono cura di un genitore, affermano che la vita non è cambiata in modo significativo (8% vs 2%). Essere un caregiver può essere molto impegnativo e faticoso, tanto che alcuni definiscono i caregiver "pazienti nascosti", poiché se essi stessi trascurano se stessi, la propria salute, posso incorrere in un eventuale senso di sopraffazione conseguente al occuparsi di qualcun altro, il rischio è di sviluppare una condizione che rende impossibile prendersi cura di chicchessia. Il primo passo di fronte a un simile senso di carico, di sopraffazione è la sospensione del giudizio: il caregiver deve cercare di non giudicare strani o sbagliati quei sentimenti che non desidererebbe avere e non percepire con un fallimento il fatto di sentire di aver bisogno di aiuto. Dopodichè è necessario cercare questo aiuto: dal proprio medico di medicina generale, dagli amici, dai parenti o da un'associazione di volontari, tutte figure con il quale è importante tentare di mantenere un contatto. 46 All'interno dei bisogni dell'anziano demente vi è una eterogeneità di esigenze: fornire informazioni sulla patologia sulla sua evoluzione, garantire alcune competenze nell'assistenza e nella cura, garantire una continuità assistenziale, fornire un supporto psicologico e una tutela amministrativoburocratica e infine offrire sostegno della gestione della casa. Tale eterogeneità giustifica la necessità di un approccio multi-professionale con figure differenti che cooperano, ciascuna secondo le proprie competenze, ai fini di migliorare la qualità della vita dell'anziano e della sua famiglia. Esiste però il rischio che tale approccio comporti una frammentazione e una dispersione degli sforzi, perciò è importante porre l'accento sulla comunicazione e sull'integrazione delle varie figure, dal medico di famiglia, allo psicologo fino all'assistente sociale. Il miglioramento della qualità di vita delle persone con limitazioni funzionali costituisce sempre una prova, non solo per la persona che deve sopportare questi handicap, ma anche per quanti, familiari e non, devono assistere la persona ammala. In questo senso, è sufficiente osservare i dati che la ricerca psicosociale ci offre sul grado di stress che i familiari di una persona demente sono costretti a sopportare. Assistere una persona con gravi deficienze mentali a causa della demenza, pone rilevanti questioni etiche ed è una sfida complessa sia per il caregiver che per una verifica del livello sociale di un popolo. Poltawska (2005) sosteneva che il valore di un uomo e più in generale di una società si può misurare in base al suo atteggiamento nei confronti dei malati, delle persone anziane e dei menomati.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa La progressione della malattia porta con se inesorabilmente una serie di complicanze psicopatologiche, danni alla sfera intellettuale, al senso di sè, sintomi psichiatrici, disturbi del comportamento (Filiberti e Zeppegno 2012). Chi ha menomazioni mentali gravi può essere considerato una persona con una bassa qualità di vita. La perdita della ragione e della coscienza di sè a causa di una condizione patologica invalidante pur essere legittimamente definita una condizione di scarsa qualità di vita a qualcuno potrebbe definirla anche come una vita non sufficientemente dignitosa per essere vissuta, vista la mancata attivazione delle facoltà più nobili dell'uomo, operando una pericolosa identificazione tra un concetto statistico come quello della qualità di vita con un concetto antropologico come è quello della dignità della vita. Nell'ambito geriatrico là dove si dona assistenza ai malati di Alzheimer o a persone sofferenti di gravi forme di disturbi neurologici non è quotidianamente in discussione la sospensione di presidi che permettono la sopravvivenza del malato come la nutrizione o l'idratazione. Nel favorire il burnout del caregiver gioca un ruolo importante il contesto sociale in cui si vive 47 perché oggi si tende a svalutare il valore morale di assistere persone anziane in difficoltà. La cura delle persone anziane è diventato un problema sociale e politico. Si presenta il problema dei mezzi finanziari e ci si domanda quanto sia giusto dispensare cure mediche a persone anziane che non possono più essere guarite e tornare ad essere produttive per la società. La sofferenza è un mistero che porta in sé un altro mistero, quello della solidarietà. Spesso la necessità di prendersi cura di persone inferme mette in azione le migliori qualità umane come la disposizione a prendersi cura degli altri, la compassione, la buona volontà (Poltawska 2005). L'aver avuto una buona relazione con una persona prima che questa sprofondasse nella malattia può essere una via importante per rispettare le sue volontà riguardo il suo testamento e la sua tutela, compreso il testamento biologico o la volontà anticipata a limitare le cure nella tappa finale della vita (Carrasco 2011). Ci riferiamo a situazioni in cui ormai i presidi medici non sono più adeguati alla reale situazione del malato, perché troppo gravosi per lui o per la sua famiglia. In queste situazioni la rinuncia a mezzi straordinari e sproporzionati non equivale ad un suicidio assistito o all’eutanasia ma esprime piuttosto una decisione che rivela un atteggiamento profondamente umano di accettazione dell'inevitabile limite della vita e quindi non fondato su un'antropologia utilitaristica ma su una visione dell'uomo consapevole dei suoi limiti creaturali (Lutz 2005). 48 Capitolo 5: La musica 5.1 Musica e cervello La musica non ha fino ad ora ricevuto da parte degli uomini di scienza l’attenzione e la considerazione che sono state lautamente elargite ad altre arti quali quelle figurative o la poesia, verosimilmente ciò è anche conseguenza della sua complessità, della difficoltà di un suo studio e di una sua vera comprensione, di conseguenza una sua applicazione nella letteratura neurologica è stata a lungo trascurata. Fiumi di inchiostro sono stati spesi da poeti, filosofi e scrittori per dare una definizione della musica. Nietzche intendeva la musica come la lingua primordiale che esprime la verità essenziale della vita e mentre le altre arti trasfigurano le forme dell’apparenza, la musica si riferisce all’essenza di queste, la sua voce proviene dal cuore delle cose, dalla misteriosa unità originaria Il linguaggio musicale a differenza di quello verbale non ha alcun riferimento immediato con la realtà, non è significante di un significato, non traduce cose o relazioni tra cose, non è al servizio di nessuna condotta o codice di comportamento, è il linguaggio dell’emozione ed il suo potere simbolico è strettamente legato alla vita affettiva. Lo stesso Nietzche scriveva che l'ascolto della musica era un'esperienza non solo uditiva ed emozionale, ma anche motoria, quando ascoltiamo la musica “ ascoltiamo con tutti i muscoli ” . Teniamo il tempo senza volerlo, anche quando non siamo consapevoli di prestare attenzione, e con il volto e le posture del corpo rispecchiamo la “ trama ” della melodia, insieme ai pensieri e ai sentimenti che essa provoca. Freud aveva paura della musica perché la considerava troppo vicino all’Es, cioè secondo la sua teoria psicoanalitica l’istanza intrapsichica più arcaica della nostra mente definita anche inconscio che contiene quelle spinte pulsionali di carattere erotico (Eros ) e aggressive ed auto-distruttive (Thanatos ). Raramente la psicanalisi infatti si è occupata della musica come oggetto della propria ricerca, una delle difficoltà è insita nella natura stessa della musica, in quanto non rappresenta gli oggetti del mondo esterno come la maggior parte delle altre arti, è proprio questi oggetti e i loro mutui rapporti costituiscono il tema di interesse centrale della psicanalisi. Un altro motivo di questa resistenza sarebbe attribuibile alla sua natura affettiva, resistenza che viene alla luce quando si prende in considerazione il significato cosciente che la musica riveste per molti dei suoi amatori. 49 Lenin disse testualmente “non posso ascoltare spesso la musica, agisce sui miei nervi, mi viene voglia di dire stupidaggini e di carezzare gli uomini che, vivendo in un sudicio inferno, riescono a creare tanta bellezza. Ma oggi non si possono fare carezze. Vi sbranerebbero la mano”. Sia Freud sia Lenin infatti vissero la loro vita in una completa anestesia musicale, in un letargo della dimensione estetica il cui lo sviluppo dovrebbe essere, come ha scritto Marcuse l’ultima meta di tutte le rivoluzioni e cioè la libertà e la felicità dell’individuo 8. Schopenhauer scrisse: “Ciò che nella musica vi è ineffabilmente intimo eppure così inspiegabile, sta nel suo riprodurre tutti i moti della nostra più intima natura, ma senza la loro tormentosa realtà...la musica non esprime che la quintessenza dalla vita e dei suoi avvenimenti, mai essi stessi”. William James parlava della nostra “suscettibilità alla musica” e se è vero che la musica influenza tutti noi, ci può calmare, animare, dare conforto, emozionare o contribuire a organizzarci e sincronizzarsi nel lavoro o nel gioco, è vero anche che può rivelarsi particolarmente efficace e avere un immenso potenziale terapeutico in pazienti con affezioni neurologiche assai diverse. La musica ha un significato che va al di là della percezione della struttura e del contenuto di una composizione. Heinrich Heine scriveva: “la musica è una cosa strana, oserei dire che è un miracolo, perché sta a metà strada fra pensiero e fenomeno, fra spirito e materia, una storia di nebuloso mediatore uguale e diverso da ciascuno delle cose che media – spirito che necessita di una manifestazione nel tempo e materia che può fare a meno dello spazio...noi non sappiamo cosa sia la musica”. Queste parole ripropongono il tema dei due aspetti più problematici della psicologia della musica: l'elemento cognitivo e quello espressivo. La musica può determinare un autentico spettro percettivo che va dalla semplice ricezione dei dati sensoriali uditivi alle impressioni che, in soggetti sensibili, arrivano ad essere quasi indescrivibili: talmente evocative, schiaccianti e trascendentali da sfuggire a qualsiasi descrizione. La musica si situa laddove il linguaggio termina, per citare Sir Jack Wetrup, Professore di Musica di Oxford: “A rigor di termini non si può scrivere sulla musica; la musica esprime quello che ha da dire usando i termini che gli sono propri e non è possibile tradurli in linguaggio cosi come non è possibile tradurre un quadro”. Tutto ciò ci permette di comprende come vi sono ovvi limiti alle possibilità delle scienze neurologiche di comprendere o spiegare l'esperienza musicale, ciò vale sfortunatamente anche per lo studio neurologico di ogni espressione artistica, uditiva, visiva o letteraria che essa sia. Come è stato sottolineato da Gilford, la difficoltà fondamentale nello studio scientifico dell'arte è che la 50 percezione umana della qualità e delle forme è molto più avanti di quanto la scienza possa attualmente spiegare e assieme alla percezione esiste una risposta emozionale che è difficilmente definibile in termini neurologici. La musica è un linguaggio privo di un riferimento oggettuale riconoscibile. Il senso dell'opera musicale è racchiuso nel significante stesso (ovvero la parola), nelle caratteristiche della materia sonora e della strutturazione, elementi che nel loro articolarsi rappresentano la metafora di tematiche esistenziali (Cano, 1985).aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa La musica è forma autosignificante e tale aspetto così peculiare suggerisce il fascino dell'autosufficienza della tentazione dell'onnipotenza; ciò costituirebbe la sua valenza "demoniaca", questa rivendica a sè non l'imitazione della natura bensì la matrice originaria da cui scaturisce la stessa natura, soprattutto per ciò che riguarda la forma 11. Il vero punto non è se la musica sia un linguaggio ma cosa essa comunichi all'ascoltatore, ciò si può analizzare tramite il gesto e la mimica (in particolare quella facciale) che costituiscono un linguaggio universale, è osservazione comune che una comunicazione soddisfacente può essere ottenuta mediante questi canali senza dover ricorrere alla parola, basti pensare al linguaggio dei segni usato dai sordomuti che è in grado di veicolare idee e sentimenti di una certe complessità. Imberty ha esaminato problema delle reazioni emozionali da parte dell'ascoltatore dal punto di vista sperimentale, registrando le risposte verbali soggettive individuali ai Preludes per pianoforte di Debussy; le risposte erano differenti e persino contraddittorie. Queste osservazioni rafforzano l'opinione che l'esperienza musicale, cioè la ricezione, la percezione e l'interpretazione siano questioni che riguardino ogni singolo ascoltatore. Non ci si può aspettare che tutte le persone anche se con una coltura musicale e una capacità di espressione simile possano avere le stesse esperienze, e qualora questo accada vengono usati espressioni diverse per descrivere tali esperienze. Tali discrepanza sono secondarie a un simbolismo musicale inconscio sul quale però si possono fare solo delle congetture. In realtà il linguaggio musicale è preciso e quando l'esecuzione è buona i messaggi contenuti nei suoni arrivano senza possibilità di errore a quelli che conoscono tale linguaggio e, cosa ancor più importante, a molti di coloro le cui conoscenze musicale sono scarse. Uno degli aspetti più affascinanti della musica risiede proprio nel fatto che anche l'ascoltatore relativamente ignorante può essere in grado di penetrare il pensiero musicale del compositore basandosi sulla propria capacità di concentrarsi e sulla propria apertura mentale. 51 I primi neurologi hanno studiato la musica e il cervello osservando gli effetti delle lesioni focali sulle attività musicali, le loro osservazioni hanno fornito delle utili informazioni su parti del cervello particolarmente implicate nella componente musicale della vita. La disputa fra quei ricercatori che ritenevano di poter fornire una localizzazione encefalica alle funzioni linguistiche e musicali e quelli che difendevano una visione olistica non ha trovato eco nella letteratura sulla musica. Pinker ritiene (e non solo lui) che le nostre capacità musicali, per lo meno alcune di esse, siano rese possibili tramite l'uso, il reclutamento o la cooptazione di sistemi cerebrali già sviluppati per altre funzioni. Queste ipotesi sarebbe coerente con il fatto che negli esseri umani non esiste un singolo “centro della musica”, ma si assiste al coinvolgimento di una buona decina di reti, distribuite in tutto il cervello 7. Si tratta di un linguaggio particolare che dal mentale procede verso il sensoriale, il corporeo, costituendosi talvolta come un'esperienza capace di attivare risposte motorie, sensoriali, neurovegetative in parte autonomie da una elaborazione centrale; in questo senso la musica parla innanzitutto al nostro corpo e in seconda battuta alla nostra mente. Le origini della musica rimandano al primo delinearsi di una vita psichica. Il feto nelle ultime settimane gestazionali appare capace di percepire stimoli, integrarli nella cornice di un'attività neurobiologica, collegata ai diversi strati di coscienza, e rappresentarli sulla base di un'amodalità percettiva (Mancia 1990). Il suono si impone al bambino prima della sua nascita. Il mondo sonoro intrauterino rappresenta una sorta di bagno di suoni, costituito da rumori intestinali e respiratori, voci esterne e rumori ambientali, percepiti e filtrati dal liquido amniotico e scanditi dal pulsare cardiaco. Dopo la "crisi sonora" della nascita i suoni che il neonato ascolta si presentano potenzialmente confusi e perturbatori. Il suono possiede caratteristiche essenzialmente concrete, l'esperienza sonora assume connotati di un'esperienza tattile e di contatto 11. aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Il ruolo sonoro a livello della struttura psichica dal punto di vista dello sviluppo è antecedente a quello svolto dal ruolo visivo. Prima che lo sguardo e il sorriso della madre che nutre e cura il bambino rinviino a questi una immagine di sè che sia visibilmente percettibile e che riesca ad interiorizzare per costituirsi come individuo originale e a differenziarsi dagli altri, il bagno melodico dell'ambiente può nella sua disposizione costituire un primo specchio sonoro di cui fare uso, dapprima con le proprie grida ed infine con i propri giochi di articolazione vocale (Anzieu, 1987)11. 52 Il nutrimento vocale della madre per il figlio è importante per il suo sviluppo proprio come il latte (Tomatis). C'è un rimando al "parlar materno", che costituisce una raffinata elaborazione simbolica di voci e di suoni che si articolano nelle prime forme di comunicazione e che ci parla quindi di un tempo lontano, passato, di un tempo assente che può ritornare solo nell'evocazione nostalgica. La musica sottolinea la profondità biologica della nostalgia in quanto parla la stessa lingua della diade primaria e perché nel fruirne esteticamente possiamo sperimentare un rapporto arcaico, un rapporto in cui viene annullata la distanza fra soggetto ed oggetto ed è evocata una dimensione di totalità e fusione che avvolge creatore e fruitore entrambi coinvolti in un rapporto di poiesi continua. La nostra specie è segnata da un dolore arcaico, quello di nascere troppo presto e di vivere un'infanzia segnata da una miseria, quella di avere bisogno di tutto. Prima di questa catastrofe c'è però in ognuno il sogno dell'eden, cioè di un luogo senza storie dove non si nasce mai e dove non si ha bisogno di nulla, la musica è una specie di realizzazione allucinatoria di questo desiderio (Gaita 1991) 11. L'anima comincia ad essere abitata quando un suono, un sapore, un contatto lasciano tracce connotate da piacere o dispiacere. Un oggetto del mondo si associa ad una percezione di gioia o di paura, la sua sagoma diventa tutt'uno con la qualità dell'esperienza che innesca (Gaita 1991). La musica ha sempre consolato l'animo umano. La consolazione musicale del patire richiede però che il dolore psichico non raggiunga livelli tanto intensi da determinare una radicale chiusura al mondo ed una incapacità ad investire su di esso; è necessario viceversa che il soggetto pur assorto e compreso dal suo patire mantenendo legame con l'esterno, evidenzi una vita interiore non totalmente inaridita o destrutturata ma ancora capace di investimenti ed emozioni. Dalla musica oltre al dolore e alla tristezza emerge un grado di calore; la musica evoca un'immediata empatia, un particolare calore ed una sensazione unica di inondazione emotiva (Volterra 1994). La musica oltre a dare voce alla nostra dolente interiorità costituisce un linguaggio simbolico connesso con le fasi più arcaiche della nostra esistenza. Le caratteristiche fisiche del fenomeno sonoro, la sua impalpabilità, l'immaterialità, l'assenza di limiti della fugacità che lo contraddistinguono rendono difficoltosa una riflessione sui fenomeni psichici relativi all'esperienza del "sonoro". Forse proprio la sua inconsistenza, la sua non demarcabilità e l'assenza di un efficace protezione percettiva da esso hanno determinato l'attribuzione a questo fenomeno fisico di caratteristiche magiche e divine. Per certi versi la musica esiste solo nella creazione interna che ognuno di noi ne fa; tale aspetto illustra ulteriormente il ruolo che la singola soggettività svolge nell'esperienza 53 musicale, la musica diviene una così l'azione mentale dell'ascoltatore più soggetta alle costellazioni mentale di questi di quanto sia una narrazione od una espressione plastica. La musica richiama il nostro investimento ma nello stesso tempo richiede una continua capacità a disinvestire per attuare nuovi investimenti. Il coinvolgimento emotivo suscitato da un determinato brano deve essere recuperato al termine dell'ascolto per poter essere indirizzato ad un nuovo possibile ascolto. L'arte musicale richiama ad un ideale di tonalità, di diffusione, di una dimensione irreversibile e in quanto tale connotata da aspetti ideali: "È in quanto irreversibile che la dolcezza materna è il paradiso perduto"(Jankèlevith 1974). Oltre a rappresentare qualcosa che è stato e che non sarà più la musica presenta nella sua stessa costruzione e articolazione profonde analogie con una dimensione nostalgica. Vale a dire non solo la musica induce la nostalgia di una dimensione preverbale dove suono e oggetto non mantengono un rapporto di continuità ma rappresenta essa stessa un'esperienza nostalgica. Il potenziale regressogeno insito nell'esperienza musicale può anche essere causa di un rifiuto. L'uditivo richiama la voce materna, evoca un sentimento oceanico sollecitando il desiderio di abbandonarsi regressivamente al flusso temporale della musica, ma questo desiderio può essere potenzialmente perturbante e destabilizzante 11. L'ascolto musicale può essere interpretato come una sorta di ritiro dalla realtà, che paradossalmente permette però di recuperare al nostro interno una dimensione astratta e interiorizzata del mondo e del reale. Possiamo suddividere l'ascolto in diverse categorie: l'ascolto evocativo in cui la musica sollecita ricordi ed associazioni, l'ascolto ipnotico in cui elementi ritmici ed elementi melodici possono indurre una sospensione dell'attività mentale, una sorta di vuoto, un oblio, l'ascolto idealizzato che diviene una sorta di mitico "eden" privo di elementi conflittuali e ambigui, l'ascolto nostalgico e molti altri a seconda del rapporto tra musica e ascoltatore. Possiamo pensare a queste diverse modalità come a percorsi di ascolto integrate ed interconnesse tra di loro 11. La musica può mettere in moto dei processi psicologici che agiscono sul sistema vegetativo con importanti variazioni. Queste variazioni dipendono dalla reattività individuale, ovvero dalla labilità o dalla stabilità dei processi di regolazione vegetativa (a loro volta influenzati dallo stato generale di salute, dallo stile di vita, dal sesso, dall'età e da fattori occasionali quali stress, stanchezza, assunzione di alcool o altre sostanze), dalla reattività emozionale e dall'atteggiamento del soggetto verso la musica, dalla sua importanza nella sua vita come pure le sue sensazioni estemporanee nei confronti del brano musicale ascoltato. E' importante che i soggetti abbiano familiarità con l'ambiente della sperimentazione, dal momento che possono presentare un atteggiamento disturbato 54 dalla situazione d'esame, inoltre è preferibile l'utilizzo di brani non conosciuti per poter esplorare le sensazioni e le impressioni individuali derivanti dall'ascolto della musica prescindendo dalla associazioni di essa con altri eventi. Come si può osservare dalla figura 3 vi sono importanti variazioni vegetative che si verificano quando il soggetto si lascia coinvolgere emotivamente da un brano musicale, se questo coinvolgimento emotivo non è presente le variazioni vegetative non sono evidenziabili. Figura 3: Critchley Macdonald, Henson R.A, La musica e il cervello, Piccin, 1987 La musica può provocare una risposta vegetativa anche quando i suoni non vengono percepiti consciamente, come ad esempio nel sonno, o con una musica di sottofondo. 55 Noi percepiamo i suoni attraverso il nostro apparato uditivo e i nervi che ricevono gli stimoli e li trasportano attraverso i canali talamici e corticali. Ma il suono può destare l'attività del sistema nervoso autonomo anche senza che siano coinvolti canali corticali. Alcune risposte fisiche alla musica consistono in riflessi spontanei, incontrollabili. Capita di ritrovarci inconsapevolmente abbattere il tempo, mentre ascoltiamo musica, voci accorgiamo ad un tratto che il nostro respiro si è fatto più nato durante un passaggio accelerato. La natura e il grado delle variazioni vegetative dipendono anche dal genere musicale presentato e soprattutto dalla disposizione individuale dominante, indifferente o emozionale, nei confronti della musica. Le risposte alla musica possono essere sia psicologiche sia fisiologiche, le reazioni che hanno le une sulle altre, producono un effetto generale che è in relazione con la combinazione dei diversi elementi musicali presenti nello stesso brano; ad esempio quando melodia, timbro, ritmo e frequenza si fondono insieme. La stessa melodia, suonata con strumenti diversi o a diversa frequenza può provocare reazioni differenti a volte anche di senso opposto. Le risposte psicologiche ad un esperienza musicale dipendono dalla capacità dell'ascoltatore o dell'interprete di comunicare e d'identificarsi con essa. Esiste un organotropismo delle reazioni vegetative, infatti in alcuni soggetti stimoli psicologici come lo stress provoca prevalentemente variazioni respiratorie, mentre in altri individui lo stesso stimolo determina alterazioni nelle risposte circolatorie. Lo stesso ragionamento si può applicare considerando diversi generi musicali. Le reazioni vegetative investono vari sistemi: L'apparato cardiocircolatorio con variazioni della frequenza cardiaca, variazione che può essere piacevole o meno; si possono verificare episodi di battiti prematuri, tali episodi sono più frequenti qualora la musica abbia un ritmo sincopato. Talvolta è possibile guidare le variazioni della frequenza cardiaca mediante variazioni dinamiche del ritmo e/o del volume, un loro aumento può provocare una risposta tachicardica mentre viceversa una loro diminuzione una risposta bradicardica. In soggetti che abbiano un qualche disturbo cardiaco si possono riscontrare in risposta alla musica delle variazioni quantitative elettrocardiografiche, simili a quelle evidenziabili in seguito a sforzo. La musica ha una pulsazione, come tutto ciò che vive. Pulsazione significa flusso: è la continua corrente di energia che scorre attraverso e intorno a noi. Il nostro sistema circolatorio è intreccio complicato di flussi e deflussi, di attività e riposo. Trovare una pulsazione di una musica apre, o scandisce, il polso dell'ascoltatore 6. 56 L'apparato respiratorio: vi sono variazioni della frequenza e della profondità del respiro, si possono inoltre evidenziare variazioni nel rapporto tra inspirazione ed espirazione cosi come altre caratteristiche del respiro, ad esempio la tendenza ad avere un respiro ritmico o aritmico. Sono evidenziabili variazioni a livello del riflesso psicogalvanico (RPG, figura 3), un indicatore molto sensibile della resistenza elettrica somatica. Si controlla facendo passare attraverso il corpo di un soggetto una debole corrente elettrica: sotto l’effetto di un’emozione, o di un’attivazione sensoriale, si ha un aumento dell’intensità della corrente, per diminuzione della resistenza offerta dal corpo al suo passaggio. Le risposte ottenuto da una sua analisi possono però essere interpretate sia come una reazione di piacere sia di dispiace. L'attività motoria aumenta e ciò si può osservare tramite l'analisi del numero e dell'ampiezza dei potenziali d'azione muscolari. A riposo, fra l'attività muscolare della regione frontale e quella degli arti inferiori vi sono solo minime differenze, mentre nel soggetto che ascolta una musica ballabile i potenziali d'azione si “trasferiscono” alle gambe, infatti questi tendono ad aumentare agli arti inferiori pur rimanendo fermi. Un brano musicale rilassante riduce la tensione muscolare perciò e migliora la coordinazione. Un effetto opposto si osserva in una situazione di silenzio assoluto. Si è inoltre osservato che la forza muscolare diminuisce invariabilmente durante l'ascolto di ninnananne e aumenta invece durante l'ascolto di marce musicali. La musica può rallentare ed equalizzare le onde cerebrali, è stato dimostrato infatti ripetutamente che le onde cerebrali possono essere modificatesi dalla musica sia da suoni autogenerati. Il normale stato di consapevolezza consiste in onde beta, che vibrano tra i 14 e 20 Hz. Si producono onde detta quando ci concentriamo su attività quotidiane nel mondo esterno, o quando proviamo forti emozioni negative. La consapevolezza profonda e uno stato di calma sono caratterizzati da onde alfa, che si attestano fra gli 8 e i 13 Hz. Periodi di massima creatività, meditazione e sonno sono caratterizzati da onde theta, da 4 a 8 Hz, e il sonno profondo, la meditazione e la perdita di coscienza producono onde delta, da 0.5 a 3 Hz. Più lente sono le onde cerebrali, più ci sentiamo rilassati e soddisfatti.aaaaaaaaaaaaaaaaaaaa Diversi studi hanno dimostrato che la musica classica aumenta l'attività delle onde alfa mentre quella rock la diminuisce 6. I suoni agiscono anche sulla temperatura del corpo, uno scricchiolio di una porta, il gemito del vento e altri rumori misteriosi possono far scorrere un brivido lungo la spina dorsale e provocare piloerezione. Tutti i suoni e tutta la musica esercitano una sottile influenza sulla 57 temperatura corporea e sulla capacità di adattamento a cambiamenti termici; Strawinsky osservò: "le percussioni e i bassi... funzionano come un impianto di riscaldamento centrale". La musica può aumentare i livelli di endorfine. Di recente le endorfine, ossia gli oppiacei naturali del cervello, sono stato oggetto di molte ricerche biomediche, in molti studi ormai sono giunti alla conclusione che le endorfine possano diminuire il dolore e indurre un naturale "buonumore". Al centro di ricerca sulle dipendenze di Stanford, in California, Goldstein scoprii che metà delle persone da lui esaminate provava euforia ascoltando musica. Le sostanze chimiche curative create dalla gioia della ricchezza emotiva della musica permettono al corpo di creare il proprio anestetico e di aumentano la funzione immunitaria. Goldstein ha anche accertato che iniezioni di naloxone (il più potente antagonista puro degli oppioidi) cancellavano l'eccitazione derivante dall'ascolto.ooooooooooooooooooooooooooooo Nel 1996, il "Journal of the American Medical Association" pubblicati i risultati di uno studio sulla terapia musicale, istituito a Austin in Texas, in cui si è scoperto che metà delle puerpere che ascoltavano musica durante il parto non avevano bisogno di anestetici. "La stimolazione musicale aumenta il rilascio di endorfine perciò diminuisce il bisogno di farmaci. Costituisce anche una distrazione dal dolore e allenta l'ansia". La musica può regolare gli ormoni correlati allo stress, in particolare questi diminuiscono in chi ascolta rilassante musica ambient, primo fra tutti l'un ormone adrenocorticotropo, ciò può aiutare la funzione immunitaria, ma tale dato non è ancora supportato da adeguati studi. La musica cambia la nostra percezione dello spazio e del tempo e può rafforzare la memoria e l'apprendimento. Partendo dalla consapevolezza che la musica può aumentare la produttività, ricerche sul rapporto tra musiche e memoria hanno radicalmente modificato le idee sull'utilizzo della musica nei luoghi di lavoro. Accentua il romanticismo e la sessualità, stimola la digestione, aumenta la resistenza fisica, aumenta la ricettività inconscia ai simboli, dona un senso di sicurezza e di benessere. Si è osservato infine che la somministrazione di tranquillanti provoca una soppressione quasi completa delle risposte vegetative indotte dalla musica, senza che si verifichi una concomitante riduzione o alterazione dell'esperienza musicale emozionale purché non si superi determinati dosaggi, se invece questi vengono superati sia ha una soppressione sia della risposta vegetativa sia di quella emozionale. Questi dati evidenziano le enormi influenze che la musica ha sul nostro corpo e sulla nostra psiche e quanto poco si sappia ancora oggi sulla sua vera natura, tuttora è difficile dare una risposta adeguata alla domanda “che cos'è la musica?”, tutte le risposte provate rimangono riduttive. 58 5.2 La musicoterapia La musicoterapia è una disciplina scientifica a tutti gli effetti, è importante fissare un confine tra gli aspetti storici, tra i quali troviamo leggende, e le ricerche obiettive che riguardano l'effetto della musica e del suono sull'essere umano, sugli animali e sulle piante. La musicoterapia osservata da un punto di vista scientifico si occupa delle relazioni all'interno del complesso musica-mente-corpo. Tale complesso è formato da: - Elementi capaci di produrre stimoli sonori quali: la natura, il corpo umano, gli strumenti musicali, gli apparecchi elettronici e molti altri. - Stimoli quali il silenzio, i suoni interni del corpo (battito del cuore, articolazioni, esempio) i suoni musicali, ritmici, melodici e armonici, i movimenti, i rumori, aultrasuoni, gli infrasuoni e le parole. - Dalle vie di propagazione delle vibrazioni con le loro leggi fisiche - Dagli organi recettori di questi stimoli, quali il sistema uditivo, la percezione interna , la vista. - La risposta che può essere comportamentale, motoria, sensoriale e organica. Gli stimoli sonori, musicali, possono suscitare manifestazioni organiche e psicologiche tipiche della dinamica dell'essere umano, che consentono di ampliare la conoscenza del suo funzionamento, spesso questo tipo di stimolo è più potente di quello visivo o tattile. Assumendo un punto di vista terapeutico si può definire la musicoterapia come una disciplina paramedica che collabora con la medicina insieme ad altre tecniche terapeutiche con lo scopo di trattare e prevenire malattie fisiche e mentali. E' una terapeutica che si colloca sullo stesso piano della fono-audiologia, dell'ergoterapia e della psicomotricità. Di conseguenza, la sua struttura e il suo sviluppo devono essere soggetti a controllo e supervisione in seno a una facoltà di medicina. La musicoterapia, in ragione della sua complessità, della sua attività e della sua rapida evoluzione, non può svincolarsi dai principi delle "evidence based practices", poiché anche essa richiede, come tutte le discipline giovani e non ancora affermate, dimostrazioni che ne sanciscano l'efficacia. Esiste la necessità di dimostrare le connessioni fra teorie, metodi, tecniche e risultati; esiste infatti una segmentazione, a livello delle diverse scuole e dei diversi approcci, che crea confusione e che può minare quella che deve essere l'affermazione della musicoterapia come disciplina scientifica. Nasce quindi l'esigenza condivisa di studiare e fare ricerca sulle applicazioni della musica con rigore scientifico, in modo tale che gli effetti ottenuti non siano ineffabili ma siano evidenziabili tramite indicatori misurabili che fanno riferimento ai miglioramenti di determinati parametri. 59 Le potenzialità benefiche del suono e della musica, benché siano evidenti all'opinione comune, necessitano di riscontri empirici, codificati con un linguaggio scientifico, e quantificabili in modo tale da giustificarne il loro utilizzo in medicina. E' evidente che il rapporto tra il concetto di musica e quello di malattia risulti poco chiaro oggi e che l'effetto della musica a livello terapeutico debba essere riproducibile sistematicamente affinché si possa giungere a un risultato pragmatico. Tutte queste esigenze si scontrano con la complessità della disciplina stessa caratterizzata da una visione anti-riduzionistica, un approccio olistico, una mancata linearità, una discontinuità e l'impossibilità di tradurre in un linguaggio verbale un contenuto che non è verbale. La musica è uno specifico tipo di linguaggio, dotato di una sua dimensione sintattica e semantica (Langer, 1969). La musica rimane una modalità di trattamento che esclude generalmente il canale linguistico. Riuscire a definire quale musica, quali effetti e su quali individui è un'impresa ardua e la carenza evidente in letteratura di tali argomenti evidenzia la necessità di approfondire notevolmente tale studio. Non sussistono sostanziali differenze a livello dei disegni di ricerca applicabili allo studio dell'efficacia della musicoterapia rispetto a qualsiasi altra scienza umana. Detto ciò risulta chiaro che per introdurre la musica nella terapia medica bisogna agire prima di tutto su un piano culturale. Sarebbe un errore ritenere la ricerca musicoterapica qualcosa di avulso dalla pratica clinica. Sono necessari infatti sinergie culturali e professionali affinché si creino tutte le premesse che rendono possibile una sua attuazione. Il musicoterapeuta moderno è prima di tutto e soprattutto un musicista e come tale deve essere considerato, egli opera sulla base della sua comprensione della musica e degli effetti che questa può avere sulla mente, sul corpo e sulle emozioni. Combinando il suono con il ritmo si ottiene la musica, il suono ha spesso costituito un ponte illusorio, attraverso il quale l'uomo primitivo o civile, sano o malato, ha sempre cercato di comunicare con un mondo psichico invisibile. Sebbene l'epoca e le circostanze in cui si manifestò la prima espressione musicale sono forse destinate a rimanere oscure, è certo però che all'interno di ogni cultura si svilupparono forme di espressione musicale e in molti casi leggende relative all'origine della musica, un'origine quasi sempre divina e mai attribuita al genio umano. Gli aspetti storici sono impregnati di magia, onnipotenza e suggestione. L'uomo primitivo ha spesso creduto che ogni essere, morto o vivente, avesse un proprio suono o canto segreto al quale rispondeva sempre e che poteva renderlo vulnerabile alla magia. 60 Scrive Combarieu: “ in tutte le civiltà conosciute si riteneva che la musica avesse un origine divina. E' stata ovunque considerata non come una creazione dell'uomo, ma come l'opera di un essere soprannaturale. Non c'è nulla di simile nella storia dell'arte o nella pittura. Come per istinto, l'uomo ha attribuito alla musica stessa il potere che egli sapeva appartenere agli dei.” Inoltre la musica,i ritmi, i canti e le danze avevano un ruolo essenziale nei riti magici di guarigione, poiché l'uomo primitivo non si rendeva conto che la malattia era il risultato di un disordine patologico, i mezzi terapeutici che usava non erano rivolti al paziente ma attraverso lui, allo spirito maligno dal quale doveva essere liberato. Fra i popoli primitivi i guaritori facevano ricorso alla musica nel dare consigli medici, oltre alle esecuzioni individuali si facevano delle cerimonie che venivano tenute da sacerdoti-medici. La musica, nata dal primordiale elemento del suono, catturato dall'uomo e da lui organizzato, è divenuta la sua ancella, la sua benefattrice e talvolta la sua padrona. Le forze dinamiche emotive, primitive e spirituali che la musica riesce esprimere e a ricondurre all'unità possono servire oggi l'uomo nelle battaglie del corpo e della mente come hanno sempre fatto fin dei tempi remoti. La convinzione primitiva che la malattia fosse provocata da uno spirito maligno che prendeva possesso dell'uomo perdurò a lungo nell'antichità, specialmente in riferimento ai disturbi mentali, ma lentamente si acquisiva l'idea che invece fosse invece uno stato patologico. Per gli antichi Greci Apollo era il dio della medicina oltre che della musica, ciò può simboleggiare le interazioni e i collegamenti esistenti fra queste due discipline. La commovente leggenda di Orfeo mostra il potere che i Greci attribuivano alla musica sul mondo naturale e soprannaturale. L'equilibrio fra corpo e anima costituiva la salute, concetto espresso da Giovenale nella famosa massima “mens sana in corpore sano”. Questa concezione psicosomatica della malattia spiega perché la musica, che è ordine e armonia, avesse un ruolo così importante nell'approccio ai problemi di salute influendo sull'intera persona. La musica d'altronde faceva parte integrante della vita greca: i filosofi ne studiavano il valore etico, i caratteri e gli effetti che aveva per l'anima e per il corpo e ne affermavano il valore terapeutico. Se Ippocrate viene chiamato il padre della medicina, possiamo riconoscere in Platone e Aristotele i precursori della musicoterapia, Aristotele assegna alla musica un preciso valore quando dice che persone afflitte da emozioni incontrollabili “dopo aver ascoltato melodie, che innalzano l'anima all'estasi, riescono a rilassarsi fino a riacquistare le loro normali condizioni, come se si fossero sottoposte a cure mediche o purificatorie. La purificazione catartica delle emozioni era un processo molto importante per riacquistare la salute 61 mentale nella vita greca e avveniva, di solito, attraverso rappresentazioni drammatiche e musicali. Si dice che Esculapio prescrivesse musica e armonia alle persone affette da disturbi emotivi. La musica è certamente l'arte più antica. Diversamente dalla maggior parte delle altre forme artistiche ha dei suoi predecessori naturali: infatti la natura è piena di rumori e suoni, che come il canto degli uccelli, possono costituire delle armoniose melodie.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee La cosiddetta musica ambientale riproduce i suoni della natura e può essere usata a scopo terapeutico grazie alla sua capacità di rilassare. La musica segue l'uomo dalla culla alla tomba, facendolo addormentare in tenera età facendo del triste sfondo le sue esequie. L'idea di un'armonia onnipotente, originariamente sostenuta da Orfeo e in seguito da Pitagora e dai suoi discepoli, si diffuse moltissimo nell'opera scientifica dell'antichità ed è rimasta in auge fino a epoche recenti. La fiducia nel potere curativo della musica perdurò nelle civiltà avanzata dell'antichità fino al Rinascimento. Ad essa venivano attribuiti effetti miracolosi non solo nei casi di nevrosi e psicosi ma anche nelle malattie somatiche o organiche. Alcuni credevano che curasse le persone malate, resuscitasse i morti, mettesse fine sia alle epidemie psicotiche, come il tarantismo, sia a quelle contagiose. Sii sosteneva inoltre che se adeguatamente usata aveva la proprietà di prevenire i crimini individuali e le sommosse del folle.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee L'influenza della musica sul patire psichico ha sollecitato nel corso dei secoli diverse interpretazioni. Nel 1489 Marsilio Ficino nel suo De Vita Triplici proponeva una teorizzazione vicina alle concezioni contemporanee; la musica intesa come uno strumento di restaurazione spirituale, capace quasi concretamente di ricaricare lo "spiritus" (lo spirito sottile) degli intellettuali (Saturnini); questi per la loro attività speculativa consumano lo spirito sottile e questa combustione provoca una "discrasia malinconica estremamente perniciosa e nefasta in coloro che vi sono predestinati dall’astro che ha presieduto alla loro nascita: Saturno”(Starobinski 1990)11. Dal Rinascimento ai nostri giorni, le varie credenze sui rapporti tra il suono e il cosmo sono rimaste nel campo della speculazione intellettuale e metafisica. Ciò nonostante, le relazioni matematiche che esistono fra loro hanno avuto talvolta connotazioni emotive per alcuni scrittori, che parlano ad esempio, di “celeste logica di Bach”. La musica però non viene solo assimilata passivamente, lo stesso malinconico può inventare e produrre quella a lui più adatta.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee La musica "è quindi intesa con un'operazione interiore con la quale l'uomo melanconico si sforza di placare ed equilibrare la propria natura tormentata...è un'operazione riflessiva e narcisistica che cerca di temperare una costituzione fragile" (Starobinski 1990) 11.wwwwwwwwwwwwwwwwwww In epoca più recente i teorici del trattamento morale hanno attribuito alla musica il potere di 62 raggiungere direttamente "l'essere affettivo senza passare attraverso l'intermediazione della rappresentazione e delle idee…la musica agisce direttamente sull'anima”(Starobinski 1990) facendo sorgere senza alcuna mediazione emozioni e sentimenti11. Il rapporto tra medicina e musica nell'arco della storia dell'uomo è sempre stato stretto, le due discipline simbolizzata da Apollo, continuano ancora oggi questo processo di integrazione. Esistono diverse definizioni di musicoterapia, tutte fanno riferimento alla forma attiva e tutte sottolineano l'importanza della relazione tra paziente e musicoterapeuta: Rolando Benenzon: la musicoterapia è una tecnica psicoterapeutica, che utilizza il suono, la musica, il movimento e gli strumenti corporei, sonori e musicali per determinare un processo di vincolo tra il terapeuta e il suo paziente un gruppo di pazienti, con l'obiettivo di migliorare la qualità della vita, di riabilitare e di recuperare i pazienti per la società; P. Perrone: La musicoterapia è una disciplina scientifica che si occupa dello studio e della ricerca del complesso suono-essere umano; P. Postacchini, A. Ricciotti, M. Borghesi: la musicoterapia è quella tecnica mediante la quale varie figure professionali, attive nel campo dell'educazione, della riabilitazione e della psicoterapia, facilitano l'attuazione di progetti di integrazione spaziale, temporale e sociale dell'individuo, attraverso strategie di armonizzazione della struttura funzionale dell'handicap, per mezzo dell'impiego del parametro musicale; tale armonizzazione viene perseguita con un lavoro di sincronizzazione affettiva, la quale è possibile e facilitata grazie a strategie specifiche della comunicazione non verbale; Associazione Professionale dei Musicoterapeuti della Gran Bretagna (APMT): La musicoterapia è una forma di trattamento in cui si instaura un mutuo rapporto fra paziente e terapeuta, permettendo il prodursi di cambiamenti nella condizione del paziente e l'attuazione della terapia. Il terapeuta lavora con una varietà di pazienti, sia bambini che adulti, che possono avere handicap emotivi, fisici, mentali o psicologici. Attraverso l'uso della musica in maniera creativa in ambito clinico, il terapeuta cerca di stabilire un'interazione, un'esperienza e un'attività musicale condivise che portano al perseguimento degli scoppi terapeutici determinati dalla patologia del paziente; Associazione Canadese di Musicoterapia (CAMT): La musicoterapia è l'uso della musica per favorire l'integrazione fisica, psicologica ed emotiva dell'individuo e l'uso della musica nella cura di malattie e disabilità. Può essere applicata a tutte le fasce d'età, in una grande varietà di ambiti di cura. La musica ha una qualità non verbale, ma offre un'ampia possibilità di espressione verbale e vocale. Come membro di un'équipe terapeutica, il musicoterapeuta professionista partecipa 63 all'accertamento dei bisogni del cliente, alla formulazione di un approccio di un programma individuale e poi offre specifiche attività musicale per raggiungere degli scopi. Valutazioni regolari accertano assicurano all'efficacia del programma.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee La natura della musicoterapia amplifica l'approccio creativo nel lavoro con gli individui handicappati. La musicoterapia fornisce un approccio umanistico possibile che riconosce sviluppa le risorse interne del cliente spesso non sfruttate. I musicoterapeuti desiderano aiutare l'individuo per spingerlo verso un migliore concetto di se, e, nel senso più ampio, per far conoscere ad ogni essere umano le proprie maggiori potenzialità; Associazione Nazionale di Musicoterapia U.S.A. (AMTA): la musicoterapia è l'uso della musica nella realizzazione degli scopi terapeutici: il ristabilimento, il mantenimento del miglioramento della salute mentale e fisica. È l'applicazione sistematica della musica, diretta dal musicoterapeuta in un ambito terapeutico, per portare cambiamenti desiderati nel comportamento. Tali cambiamenti permettono l'individuo di affrontare la terapia per arrivare a una maggiore comprensione di se è del mondo intorno a lui, e di ottenere quindi un più adeguato adattamento alla società. Come membro della squadra terapeutica il musico terapeuta professionista prende parte all'analisi dei problemi dell'individuo e alla formulazione degli obiettivi del piano generale di trattamento, prima di progettare ed elaborare specifiche attività musicali;eeeeeeeeeeeeeeeeeeee Valutazioni periodiche vengono fatte per determinare l'efficacia delle procedure impiegate. Congresso Mondiale di Musicoterapia di Amburgo (1996): la musicoterapia è l'uso della musica e/o dei suoi elementi (suono, ritmo, melodia e armonia) per opera di un musicoterapeuta qualificato, in un rapporto individuale o di gruppo, all'interno di un processo definito, per facilitare e promuovere la comunicazione, le relazioni, l'apprendimento, la mobilitazione, l'espressione, l'organizzazione e altri obbiettivi terapeutici degni di rilievo, nella prospettiva di assolvere i bisogni fisici, emotivi, mentali, sociali e cognitivi. La musicoterapia si pone come scopo quello di sviluppare potenziali e/o riabilitare funzioni dell'individuo, in modo che egli possa ottenere una migliore integrazione sul piano interpersonale e/o intrapersonale e, conseguentemente una migliore qualità di vita attraverso la prevenzione, la riabilitazione o la terapia 9. Tutte queste definizioni sono ampie e complesse come d'altronde lo è la disciplina di cui trattano 2. La musica è a tutti gli effetti una funzione cognitiva superiore che condivide con il linguaggio molte aree e alcuni meccanismi, ma fino a gli anni '80 non ha riscosso un pari interesse da parte dei neurologici. La musicoterapia è una metodologia che si affianca ad altre di tipo medico, psicologico 64 e riabilitativo in un quadro di presa in carico globale del paziente.fffffffffffffffffffffffffffff Nella letteratura scientifica si osserva come la musicoterapia sia sempre più utilizzata sia nell'ottica del rilassamento e della riduzione del dolore in pre post-anestesia, sia come tecnica di riduzione dello stress legato procedure mediche, anche nei bambini. La via della validazione scientifica appare ancora molto lunga. Prima ancora di essere considerata una disciplina, cosa che del resto è nelle sue aspirazioni ed ambizioni, la musicoterapia si propone come una pratica a carattere interdisciplinare e transdisciplinare, che propone una sfida ed un'intersfacciamento tra discipline di differenze tradizione e statuto epistemologico. Tale approccio è l'unico proponibile, la musica infatti agisce e influenza qualsiasi elemento che tocca, basti pensare agli effetti sulla natura, esistono diversi esempi a riguardo; un fattore dell'Illinois pose sementi uguali in due serre, in identiche condizioni di fertilità, umidità e temperatura; ma in una collocò un altoparlante che diffondeva musica ventiquattro ore su ventiquattro, dopo un certo tempo si accorse che nella serra con la musica in diffusione il mais aveva germogliato più rapidamente, il peso dei grani era maggiore e il quoziente di fertilità era aumentato, ma le piante vicine agli altoparlanti erano rovinate per effetto della vibrazione del suono. In medicina veterinaria si dice per scherzo che le mucche amano Mozart e che invece Wagner o il Jazz disturbano la produzione di latte, ma dopo attente statistiche si è osservato che la produzione di latte è davvero influenzata dai suoni, infatti il rendimento delle mucche nelle stalle vicino ad aeroporti diminuisce notevolmente a causa dei rumori dei jet. Il successo o il fallimento di una musicoterapia dipendono in gran parte da fattori di rapporto umano, oltre che musicali. Una valutazione della risposta del paziente alla musica dovrebbe includere quella che potrebbe definirsi la sua “storia musicale”.ttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt Le esperienze musicali personali lasciano di solito una traccia profonda nella memoria e possono venire associate con sensazioni di successo o di fallimento. Molte persone sono assai più sensibili e vulnerabili a ciò che riguarda la musica rispetto che a qualunque altro soggetto, pur senza essere dotati di un particolare senso musicale. Poiché la musica è senza parole, non esistono praticamente limiti al suo potere evocativo o immaginativo. La musica può creare rappresentazioni mentali di molti tipi: realistiche, irreali, di sogno, fantastiche, mistiche o allucinatorie.rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr La musica suonata in sottofondo può provocare sensazioni vaghe come un sogno, stati d'animo attraverso i quali l'individuo riesce ad evadere in un mondo immaginario, dove può perdersi, oppure ritrovare se stesso. Se la musica può sopprimere il senso dello spazio, può anche distorcere e far scomparire il senso del tempo, senza alcuna implicazione mistica e in persone del tutto normali. 65 Esperimenti fatti nelle fabbriche provano che il tempo sembra trascorrere più rapidamente quando viene suonata della musica. Sappiamo bene che possiamo perdere anche del tutto il senso del tempo suonando o ascoltando musica. La musica può servire da ponte tra il reale e l'irreale, il conscio e l'inconscio e questa sua caratteristica è stata usata in molte situazioni.nnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnn La ninna-nanna favorisce il passaggio dalla veglia al sonno, oppure può portare alla luce un ricordo da lungo tempo sopito. Non sorprende che, fin dai tempi primitivi, la musica sia stata associata col mondo dei sogni. Il paziente ha un suo ritmo narrativo, un suo timbro e una sua intensità nella voce, un suo modo di percepire musicalmente le parole: a tutto ciò l'analista deve a sua volta porgere il suo orecchio (Petrella, 1998; mancia, 2004).tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt Il legame tra musica ed aree emotive/affettive è documentabile non solo grazie ad a alcuni studi sperimentali che hanno individuato nell'emisfero destro, lo stesso deputato alla codifica e allo sviluppo delle emozioni, la sede anatomica dell'ascolto musicale (Platel et al., 1997), ma anche dall'esperienza che ognuno di noi può oggettivamente fare durante, per esempio, un concerto. Come ha osservato la Langer (1969), è possibile ipotizzare l'esistenza di un isomorfismo formale tra struttura musicale e struttura della vita emotiva, tale da poter considerare simili le modalità attraverso cui si determinano i differenti rimandi nel linguaggio musicale e quelle utilizzate dalla nostra mente per provare specifici sentimenti. Sulla stessa linea di pensiero la Brèlet (1951) qualche anno prima aveva sostenuto che l'espressività musicale rispecchia il dinamismo dei sentimenti. L'identità sonora è un concetto utilizzato per designare l'esistenza di una sonorità specifica per ciascun individuo ma anche per descrivere l'identificazione di un soggetto con uno specifico strumento musicale. In ogni caso l'impiego del musicale in ambito clinico ha evidenziato la presenza di caratteristiche sonore individuali, ponendo così il problema di un'adeguata concettualizzazione di tali osservazioni. Benenzon ha proposto di designare con il termine Iso (identità sonora) "la nozione dell'esistenza di un suono o di un insieme di suoni o di fenomeni sonori interni che ci caratterizzano e ci individualizzano" (1984) 11. Benenzon rappresenta una delle massime autorità mondiale nel campo della musicoterapia e in seno ad essa ha posto i seguenti tre principi alla base della sua opera: 1-Principio dell'ISO: “ISO” significa uguale, è l'identità sonora di un individuo. E' un elemento dinamico che ha in se tutta la forza di percezione presente e passata.hhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh ISO UNIVERSALE: è una identità sonora che caratterizza o identifica tutti gli esseri umani, indipendentemente dal particolare contesto sociale, culturale, storico, e psico-fìsiologico. 66 Farebbero parte dell'ISO universale le caratteristiche particolari del battito cardiaco, dei suoni di inspirazione ed espirazione nonché la voce della propria madre al momento della nascita e nei primi giorni di vita. ISO GESTALTICO: si tratta di un fenomeno sonoro e di un movimento interno che riassume i nostri archetipi sonori, il nostro vissuto sonoro intrauterino, dalla nascita all'infanzia fino alla nostra età attuale. E’un suono strutturato all'interno di un mosaico sonoro che fondamentalmente è in perpetuo movimento. ISO COMPLEMENTARE: rappresenta l'insieme di piccole modifiche che si attuano ogni giorno o in ogni seduta di musicoterapia sotto l'effetto di circostanze ambientali e dinamiche. ISO GRUPPALE: è intimamente connesso allo schema sociale all'interno del quale l'individuo evolve. L'ISO di gruppo è fondamentale allo scopo di raggiungere un’unità di integrazione in un gruppo terapeutico. E' una dinamica che pervade il gruppo come sintesi stessa di tutte le identità sonore. Raccoglie in sé un insieme di fattori psico-fisiologici di suoni e di movimenti che dipendono in ultima istanza dall'ISO gestaltico di ciascun individuo 1. 2 - Il suono come oggetto intermediario: un oggetto intermediario è uno strumento di comunicazione in grado di agire terapeuticamente sul paziente in seno alla relazione senza dar vita a stadi di intenso allarme e ha le seguenti caratteristiche: - Innocuità: non da vita di per da vita a reazioni d'allarme - Malleabilità: può essere usato a volontà per qualsiasi ruolo - Trasmettitore: permette la comunicazione, sostituendosi al legame e mantenendo la distanza; - Adattabilità: si adatta ai bisogni del soggetto; - Assimilabile a sé stessi: consente una relazione molto intima - Identifìcabile: può essere riconosciuto immediatamente. Il suono può essere considerato oggetto intermediario e la corretta scelta dell'oggetto intermediario dipenderà dall'abilità del musicoterapeuta nell'identificazione dell'identità sonora o ISO gestaltico del paziente. L'oggetto intermediario dipende dalla gerarchizzazione dello sviluppo dell'individuo e dunque dell'ISO universale, gestaltico, complementare e in misura minore dall'ISO culturale. 67 3-Suono come oggetto integratore Questi tre principi non sono appannaggio esclusivo della musicoterapia, poiché possono essere alla base di altre tecniche cliniche non verbali. Tuttavia essi assumono, in musicoterapia, caratteristiche particolari che li distinguono. Esistono cinque diverse varietà in musicoterapia: 1 - Terapia musicale di sottofondo: tramite la musica si crea un sottofondo di calma. Durante l'ascolto il paziente può svolgere anche altre attività, dal conversare a svolgere altri lavori. 2 - Terapia musicale contemplativa: presuppone l'indicazione del paziente al significato dell'arte in generale e della musica in particolare. Ogni sessione è preceduto da una breve informazione sulla personalità del compositore sullo spirito della sua opera. L'esecuzione viene seguita da una discussione libera sulle mozioni che sono state evocate. 3 - Terapia musicale esecutiva: consiste nel cantare o nel suonare strumenti sia individualmente sia collettivamente 4 - Terapia musicale combinata: è legata alle influenze complessive che derivano da tutte le altre procedure terapeutiche. 5 - Terapia musicale creativa: è la più elevata e complessa, come nel caso delle altre forme artistiche, trae origine in intense esperienze dalla quale la catarsi viene ottenuta o mediante il canto o mediante una composizione musicale. 68 5.3 Il suono e le sue caratteristiche Il suono è una forma di energia prodotta dalle vibrazioni di un corpo in oscillazione. Tale vibrazione, si propaga nell'aria o in un altro mezzo elastico per mezzo di onde periodiche di condensazione e rarefazione molecolare e raggiunge l'apparato uditivo che, tramite un complesso meccanismo interno, è responsabile della creazione di una sensazione "uditiva" direttamente correlata alla natura della vibrazione. Nella propagazione sonora non vi è trasmissione di materia bensì solo di energia. Per comprendere il potenziale terapeutico della musica è necessario analizzare queste due componenti. Innanzitutto, un suono può essere prodotto se si dispone di tre elementi: un materiale che abbia il requisito dell'elasticità, ovvero la tendenza di un corpo a ritornare nella posizione naturale di riposo dopo essere stato sollecitato dall'azione di una forza. una forza energetica che, entrando in contatto con tale materiale, lo metta in moto. un mezzo attraverso il quale il suono scaturito possa trasmettersi. Come ogni vibrazione il suono possiede elementi peculiari, la ragione per cui una determinata musica abbia un certo carattere e certi effetti dipende da questi elementi e dal loro rapporto, tali elementi sono: Altezza o frequenza: determinata dal numero delle vibrazioni di un suono, genericamente le vibrazioni molto rapide costituiscono un potente stimolo nervoso, viceversa quelle lente hanno un effetto distensivo. Intensità: determinata dall'ampiezza delle vibrazioni che influenza il volume e il potere trainante, si va dall'impercettibile all'assordante. E' importantissimo per l'effetto complessivo della musica e può essere, di per se stesso, un mezzo di gratificazione. Se l'ascoltatore non raffinato preferisce la musica sinfonica a quella da camera è probabile che sia dovuto all'ampio volume della prima, indipendentemente dal valore musica della composizione. L'intensità è un elemento dinamico che può essere manipolato, cambia nel tempo attraverso varie sfumature di potenza crescente o decrescente e crea all'interno del suono diversi rapporti di sonorità e di dolcezza, crescendo e diminuendo. Ciò può dare l'impressione di una forza che si avvicina o si allontana o perfino evocare una paura primordiale del suono. Al contrario un volume sommesso può produrre un senso di intimità, parla al timido, all'introverso, riflette una calma e una serenità finalisticamente ricercate in questo studio. 69 Il timbro o colore: è quella particolare qualità del suono che permette di distinguere due suoni con uguale intensità e altezza, data la ristrettezza del nostro vocabolario dobbiamo utilizzare il termine colore per definire quello che è uno degli elementi più importanti nel suono musicale e che ha un profondo significato associativo. Il timbro agisce molto in profondità, non è un elemento ritmico ma puramente sensuale, al suo interno c'è ancora un misterioso potere, la sua importanza è preminente poiché tramite esso si crea un canale di comunicazione immediato tra interprete e ascoltatore. In molte composizioni, la fusione del timbro di diversi strumenti produce un effetto pieno di colore che attira e avvolge. L'intervallo: è ciò che separa due note ed è strettamente legato all'altezza del suono, consiste nel rapporto tra due suoni musicali di una successione e ha, come risultato una melodia e un armonia. La combinazione che si creano possono essere piacevoli o meno all'orecchio. Durata e ritmo: la durata, nella musica, è un elemento temporale che produce suoni di differente lunghezza, ma non include, necessariamente, quel alternarsi di tensione e di distensione che crea il ritmo. Il ritmo è un modello di tempo che si accorda con una certa velocità, possiamo scorgere delle relazioni tra il tempo della musica e le funzioni fisiche involontarie, come la frequenza cardiaco e respiratoria. Il ritmo è l'elemento più dinamico e perciò il più evidente nella musica, si combina con l'altezza e col timbro conferendo il significato definitivo, esprime un alternarsi di tensione e di distensione per mezzo di accenti, respiri, battute forti o deboli. I suoi effetti sono facili da osservare ed estremamente diversi; a volte, può provocare comportamenti isterici o indurre quiete e sonno. L'ascolto di un suon continuo, ripetuto, lento che diventa sempre più lento può offuscare la coscienza. La forma musicale in definitiva è l'elemento regolatore della musica, segue un ordine intellettuale e mantiene le emozioni che provoca entro precisi periodi di tempo. Ulteriori concetti da chiarire per avere una parvenza di quella che è la teoria musicale: Nota: è un suono di qualsivoglia timbro e volume, ma di frequenza stabilita, l'orecchio umano può distinguere decine di migliaia di frequenze differenti, ma la gamma utilizzata in musica va all'incirca da 20 Hz a 4000 Hz, si sono scelte alcune frequenze di riferimento determinati a intervalli di distanza, chiamati semitoni. Le note sono sette: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si Ottava: è l'intervallo tra le stesse note posizionate a livelli di frequenza doppia (o dimezzata), questo intervallo è stato diviso in dodici suoni equidistanti e queste distanze sono chiamati 70 semitoni, per esempio il La centrare ha un frequenza pari a 440Hz e il La un ottavo sotto ha un frequenza pari a 220Hz mentre quello un'ottava sopra pari a 880Hz. Due semitoni sommati fanno un tono. Do-Do#Reb-Re-Re#Mib-Mi-Fa-Fa#Solb-Sol-Sol#Lab-La-La#Sib-Si 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Figura 4: note musicali della scala diatonica La gamma dell'udibile viene convenzionalmente suddivisa in regioni sonori chiamate proprio ottave, le quali corrispondono ad intervalli di altezze fra i due suoni, il più acuto dei quali ha una frequenza doppia rispetto al primo, come ricordato precedentemente.uuuuuuuuuuuuuuuuuuu La sensazione di similitudine che questi due suoni determinano è tale da far sì che vengano chiamati con lo stesso nome. La distanza in ordine di altezza che intercorre tra due note, siano esse simultanee o consecutive, viene definita intervallo; questi è determinato dal numero delle note intercorrenti tra quelle oggetto di misurazione, comprendendo le stesse nella numerazione. Il numero dei semitoni che formano un intervallo, ne definisce precisamente la natura. In una ottava ci sono: intervalli giusti (unisono, quarta, quinta, ottava); intervalli maggiori e minori (seconda, terza, sesta, settima, con la differenza di un semitono tra maggiore minore). Scale:è una successione tipicamente di sette note scelte fra le dodici che compongono l'ottava; il termine ottava deriva proprio dal fatto che l'ottava nota della scala (la tredicesima contando anche le altre) è il punto in cui questa comincia a ripetersi. La nota da cui si inizia a contare dà il nome alla scala, mentre l'aggettivo, che in questo caso è "maggiore", si riferisce al criterio con cui sono scelte le altre sei. Una scala maggiore, che ispira sensazioni solari e allegre deve rispettare il seguente ordine di successione di toni T e semitoni ST: 71 T - T - ST - T - T - T – ST Una scala minore, che ispira sensazioni di malinconia e tristezza, è rappresentata dalla successione seguente: T - ST - T - T - ST - T – T Melodia: è una catena di suoni di differente altezza e di differente durata la cui struttura genera un organismo musicale di senso compiuto Accordo: combinazione di due o più intervalli armonici ordinati per intervalli di terza, e non solo, dove per combinazione di due intervalli armonici si intende la loro simultaneità ed il fatto di avere in comune la nota di altezza intermedia. L'intervallo di terza maggiore è l'intervallo esistente tra due note distanti fra loro quattro semitoni, cioè due toni. Armonia: il concetto di armonia rimanda all'organizzazione di sonorità simultanee e al loro relazionarsi. Storicamente l'introduzione dell'armonia, definita come l'arte della combinazione e del concatenamento di suoni simultanee, segna il passaggio dall'omofonia alla polifonia, dalla melodia all'accordo. Da un punto di vista fisico la costruzione degli accordi trova inoltre una propria giustificazione dell'esistenza del fenomeno dei suoni armonici. Così come la conosciamo, la teoria armonica deriva dalla ricerca di simultaneità nell'ambito dell'espressione sonora. Attualmente la sua accezione può rimandare ad una forma di comunicazione idealizzata. Nei racconti mitologici corrispondeva inoltra ad un tipo di relazione cosmica e la musica diveniva il prototipo dell'armonia tra cielo e terra 11. Tonalità: costituisce l'insieme dei principi armonici e melodici che regolano i relativi legami tra accordi e/o note di in un brano musicale, la modulazione corrisponde al cambiamento di tonalità all'interno del brano. Tale introduzione, sicuramente molto approssimativa, alla teoria musicale è necessaria per comprendere l'armonia musicale e in particolare i concetti di assonanza e dissonanza che ne costituiscono le fondamenta e rendono conto degli effetti di rilassamento o eccitamento che la musica può esercitare sull'uomo. Per consonanza (dal latino consonare, suonare insieme) si intende un insieme di suoni eseguiti simultaneamente tali che la loro integrazione dia un effetto complessivo morbido e gradevole con un conseguente rilassamento, mentre con il termine dissonanza si indica l'opposto, un agglomerato di suoni dall'effetto aspro e stridente. Gli intervalli consonanti sono l'unisono, l'ottava, la quarta e la quinta giuste, la terza e la sesta maggiori e minori. Invece gli intervalli dissonanti sono la seconda e la settima. Un accordo dissonante è tale se contiene un intervallo dissonante altrimenti è consonante. Imberty ha studiato lo sviluppo della percezione musicale nei bambini e negli studenti universitari, 72 secondo le sue osservazioni la melodia costituisce il fattore più importante nei bambini; l'apprezzamento della struttura tonale viene progressivamente acquisito con la crescita e le sue conclusioni sono state che lo sviluppo della sensazione di consonanza e lo sviluppo del linguaggio musicale corrono parallelamente. La consonanza è un traguardo individuale su cui influiscono fattori biologici e di “acculturazione”. Date tutte queste considerazioni diventa ancora più stimolante lo studio dell'esperienza musicale nella popolazione demente che ha un eterogeneo grado di compromissione cognitiva e da questo studio non è da escludere la scoperta di nuovi elementi riguardanti il rapporto musica-cervello. Un brano musicale per poter indurre un effetto rilassante pertanto non dovrà contenere dissonanze al suo interno e dovrà avere un ritmo lento e un volume basso. Ogni genere musicale ha caratteristiche peculiari e può indurre determinati stati d'animo. Il canto gregoriano utilizza i ritmi del respiro naturale per creare un senso di riposante vastità, è eccellente nello studio in tranquillità e nella meditazione e può ridurre lo stress. La musica barocca più lenta (Bach, Handel, Vivaldi, Corelli) conferisce un senso di stabilità, ordine, prevedibilità e sicurezza e crea un ambiente mentalmente stimolante per lo studio e il lavoro. La musica di Mozart appare ricca di chiarezza, eleganza e trasparenza. Può migliorare la concentrazione e la memoria della percezione spaziale. La musica romantica (Schubert, Shumann, Tchaikovsky, Chopin, Liszt) accentua l'espressività e il sentimento, spesso suscitando spinte individualistiche, nazionalistiche e mistiche. E' in grado di incoraggiare la simpatia, la compassione e l'amore. La musica impressionista (Debussy, Faurè, Ravel) si basa sul libero fruire in musica di stati d'animo e impressioni ed evoca immagini oniriche. Jazz, blues, dixieland, soul, calipso, reggae e le altre forme di musica e danza che provengono dall'eredità africana possono risollevare e ispirare, liberare sia profonda gioia sia tristezza, esprimere spirito e ironia e ribadire la nostra umanità. Salsa, rumba, merenghe, macarena e altre forme di musica sudamericana hanno un ritmo vivace, un tempo che può far correre il cuore, accelerando un respiro e mettere tutto il corpo in movimento. I grandi gruppi, la musica pop, i successi degli anni 40 della musica country-western possono ispirare movimenti leggeri e moderati, coinvolgere le emozioni e creare un senso di benessere. La musica rock può risvegliare passioni, stimolare un movimento attivo, liberare tensione, coprire il dolore e ridurre l'effetto di altri spiacevoli rumori nell'ambiente circostante, ma può creare tensione, dissonanza, stress e dolore quando la si ascoltano in uno stato d'animo non adatto ad essere trattati in modo così energico. Le musiche ambient, prive di un ritmo dominante, prolungano il nostro senso del tempo e dello spazio percepito e conduce in uno stato di attenzione rilassata.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee 73 La musica religiosa e sacra, compresi i tamburi degli sciamani, gli inni di Chiesa, la musica gospel e spiritual, può radicarci nel presente portarci un senso di pace profonda di consapevolezza spirituale, può anche aiutarci superare il dolore e a liberarcene. La medicina può sfruttare queste conoscenze in campo musicale a fini terapeutici, in particolare la geriatria può essere la prima a poterne fruire e molteplici studi sono stati compiuti in tale direzione. Il paziente anziano essendo complesso necessita di cure multimodali, che coinvolgono più figure professionali e richiedono un'elevata condivisione di informazioni, obiettivi e metodi di trattamento. Esiste tuttavia una grande difficoltà di standardizzazione del trattamento riabilitativo, legata principalmente al fatto che la maggior parte degli interventi e fortemente "paziente-dipendente" e sfugge ad una puntuale programmazione. La musica è potenzialmente evocativa, cioè sollecita ricordi e stati d'animo attraverso momenti di verbalizzazione successive all'ascolto musicale. Il generico ascolto musicale viene utilizzato con l'idea che possa agire con qualche efficacia inducendo stati di benessere e, quindi, riducendo, soprattutto nelle demenze, i disturbi comportamentali, migliorando il tono dell'umore e la socializzazione. E' plausibile ritenere che la musica abbia in sè potenzialità benefiche ma è opportuno considerare quanto questo sia spesso scarsamente posto in rapporto con il concetto di terapia. Tale concetto è da ricondursi alla possibilità di agire sull'attenuazione di sintomi e sulla prevenzione/stabilizzazione delle complicanze determinate da questi stessi (concetti di prevenzione secondaria e terziaria), con conseguenti ripercussioni sul piano generale della qualità di vita della persona. L'importanza di comprendere, attraverso approfondimenti clinico-applicativi, su quali soggetti si possano riscontrare eventuali effetti terapeutici è stata posta da numerosi studi che hanno valutato positivamente l'efficacia di trattamenti musicoterapeutici nell'ambito delle demenze (vedi capitolo 6) mediante la musicoterapia intesa come tecnica di comunicazione pre-verbale e nonverbale che può prescindere dal simbolico, dalle capacità di astrazione e dal culturalmente appreso. Si possono attivare modalità relazionali ed espressive di origine e natura arcaica che hanno quindi maggiore probabilità di essere ancora presenti anche nella persona con deterioramento cognitivo. Oggi il terreno è maturo perché i confini interdisciplinari ammorbidiscano i propri confini e a fare da battistrada dovrebbero essere le scienze più giovani, che hanno poco potere da difendere e molti riconoscimenti ancora da riscuotere. Per questo la psicologia della musica e la musicoterapia possono dialogare scambiandosi prospettive, strumenti di ricerca, modelli valutativi e idee. 74 La musica, giunta nella sua evoluzione a concludere il ventesimo secolo, ha recuperato e modernizzato una congerie interminabile di possibilità per manipolare i suoni, ha valorizzato ogni strumento, ogni tecnica, ogni approccio ermeneutica col fenomeno, ha analizzato le sue ricadute sociali e psicologiche in modo trasversale rispetto alla storia alla e alla geografia, ai tempi e agli spazi. In particolare si sono impresse immagini di memoria e di coscienza tanto integrate quanto disgregate, tanto articolate quanto evanescenti: le avanguardie hanno consacrato i suoni d'ambiente, i cosiddetti rumori, come segnali latori di senso, hanno allargato le maglie dell’ermeneutica rendendo i segni aforistici, hanno annullato le distanze tra espressione alta e popolare, tra cultura orale e scritta, hanno permesso che le idee musicali di tutto il mondo diventassero merce di scambio culturale, affinché tutti ne potessero trarre benefici per puntualità di segno, ricchezza di colori e forme; hanno recuperato la freschezza del gesto antiretorico, modellato materiale spurio imbrattato di vita vera quando l'artificio l’aveva reso ormai asettico e quindi prevedibile e noioso. Un operatore della musica del ventunesimo secolo ha la fortuna di avere di fronte a sè una sterminata distesa di possibilità espressive, una gamma infinita di sfumatura, le tecniche: nel contempo, in un contesto così espressivo e multiforme, rischia di non trovare la giusta voce. Nel suo libro “Musicofilia” Oliver Sacks intitola il suo ultimo capitolo “Musica e identità: demenze e musicoterapia” e al suo interno sottolinea come la risposta alla musica si conserva anche quando la demenza è molto avanzata. Riprende il Jacques di Shakespeare, in come vi piace, che considera le età dell'uomo sette e l'ultima la ritiene “senza niente”. Eppure, per quanto uno possa essere gravemente debilitato e compromesso, non si è mai davvero senza niente, una tabula rasa. Di solito la musicoterapia destinata ai pazienti con demenza assumere la forma dell'esposizione a vecchie canzoni le quali, con la specificità delle melodie, dei contenuti e della carica emotiva, richiamano ricordi biografici, evocano relazioni personali e invitano alla partecipazione. Probabilmente quando la demenza si fa più profonda questi ricordi e queste reazioni diventano meno disponibili. Malgrado ciò, quasi sempre sopravvive qualcosa: soprattutto, resistono i ricordi e le reazioni motorie associate al ballo. La musica può parlare alle persone, penetrare nel profondo e indurre modificazioni a molti livelli, e questo è vero per i pazienti con demenza come per tutti noi. Scrive Lurija "il corpo è un'unità di azioni" e se non vi è alcuna unità, se non vi è nessuna azione o interazione in corso, la stessa percezione di essere creatura "incarnate" può risultare minata. Di un disturbo del movimento come il morbo di Parkinson, il potere della musica non ha alcun significativo effetto di persistenza. Il paziente può acquistare un flusso motorio armonico, ma una 75 volta che la musica cessa, il flusso si ferma. Nelle persone affette da demenza, tuttavia, a volte la musica provoca effetti più a lungo termine, per esempio miglioramenti dell'umore, del comportamento e perfino della funzione cognitiva, che possono persistere per giorni. A volte la malattia di Alzheimer può provocare allucinazioni e deliri, e anche in questi casi la musica può offrire una soluzione a non problema altrimenti difficile da risolvere. Oliver Sacks, sempre nello stesso capitolo, riporta un racconto di un sociologo suo amico, Bob Silverman, la cui madre novantunenne malata di Alzheimer da 14 anni ricoverati in una casa di cura aveva cominciato ad avere allucinazioni e in seguito all'ascolto di musica tramite un lettore mp3 (munito di auricolari, in modo da non disturbare nessuno) queste erano cessate. La percezione della musica e delle emozioni che essa può suscitare non dipende esclusivamente dalla memoria, e non occorre che la musica sia familiare per esercitare il suo potere emozionale. Molti pazienti con demenza profonda possono arrivare a piangere o a tremare mentre ascoltano una musica che non hanno mai sentito prima è probabilmente possono sperimentare tutta una gamma di sentimenti equivalenti a quelli che proviamo noialtri; almeno in quei momenti, la demenza non è di alcun impedimento alla profondità dell'esperienza emozionale.8888888888888888888888888888 La risposte emozionale della musica sembra avere un substrato anatomico diffuso, e probabilmente non solo a livello corticale, ma anche sottocorticale: perfino nel caso di una malattia che colpisca estesamente la corteccia, come il morbo di Alzheimer, la musica può ancora essere percepita goduta, per suscitare risposte. Non occorre avere una conoscenza formale della musica per poterne fruire appieno. La musica fa parte dell'umano, e non esiste una sola cultura al mondo in cui non sia altamente sviluppata e tenuta in gran conto. Per la sua stessa ubiquità può far sì che, nella vita quotidiana, essa venga banalizzata: accendiamo la radio, la spegniamo, canticchiando un motivetto, battiamo il ritmo con i piedi, scopriamo le parole di una vecchia canzone che si aggirano nella testa e non ne vediamo l’importanza. Ma per quanti sono persi nella demenza, la situazione è diversa. La musica per loro non è un lusso, ma una necessità, e può avere un potere superiore a qualsiasi altra cosa nel restituirgli, seppure soltanto per poco, a se stessi e agli altri (O.Sacks, 2013). 76 Capitolo 6: Una revisione della letteratura La letteratura nazionale e internazionale relativa all'utilizzo della musica in pazienti sottoposti a cure mediche, rileva l'utilità dell'elemento sonoro-musicale per favorire l'aumento del rilassamento e la riduzione del dolore, dell’ansia e dello stress. Scopo primario dell'intervento musicoterapeutico è il miglioramento del senso di benessere delle persone e di conseguenza della loro qualità di vita, durante situazioni e contesti particolarmente stressogeni. E' stato provato che l'ascolto musicale, permette, in alcuni casi, la riduzione delle dosi di farmaci sedativi e analgesici (Rudin et al., 2007) e del dolore post-operatorio (Cepeda et al., 2007). Lo studio condotto da Bernardi e coll (2006) si è posto l'obiettivo di indagare le variazioni nei parametri fisiologici relativi al sistema cardiovascolare e respiratorio indotti dall'ascolto musicale e i risultati hanno evidenziato come quest'ultimo, se costituito da musica a tempo veloce, provoca un sensibile aumento della ventilazione respiratoria, della pressione sistolica e diastolica, della frequenza cardiaca e dell'indice della variabilità cardiaca. Etzel e coll. (2006) hanno dimostrato effetti simili attraverso i loro studi, Iwanaga e coll. (2005) invece si sono concentrati sugli effetti della musica sull'indice di variabilità cardiaca, ovvero l'indice che determina l'equilibrio dell'attività del sistema nervoso simpatico e parasimpatico, dimostrando che la musica sedativa diminuisce la percezione soggettiva della tensione rispetto ad altre condizioni (musica attivante) 9. Lo studio di Mandel e coll. (2007) ha dimostrato risultati statisticamente significativi nella riduzione dei valori della pressione sistolica, del livello di ansia e della depressione con una registrazione di un evidente miglioramento della qualità della vita con particolare riferimento agli aspetti relativi alla salute generale e alle funzioni sociali 9. Voss e coll. (2004) studiando l'effetto della musica sull'ansia e sul dolore in pazienti sottoposti ad operazioni a cuore aperto hanno dimostrato che entrambi hanno presentato riduzioni evidenti nel gruppo sperimentale che è stato sottoposto ad ascolto di musica “sedativa” rispetto al gruppo di controllo che ha ricevuto il trattamento di routine. Allen e coll. (2011) hanno ottenuto risultati sovrapponibili sul livello di stress e sull'ipertensione durante operazioni ambulatoriali oftalmiche e Chan e coll. (2003) durante colposcopie 9. 77 Vi sono importanti evidenze che suggeriscono l'efficacia della musicoterapia nel trattamento delle demenze, la musica costituisce un linguaggio universale nella sua complessità e nella sua bellezza e riesce ad arrivare anche alle persone gravemente compromesse dal punto di vista cognitivo che non sono in grado di interpretare e rispondere agli stimoli ambientali. Lo studio di Mayumi et al, 2013 65 ha reclutato 39 pazienti con AD assegnandoli in modo casuale ad un gruppo di controllo che ha continuato i trattamento di routine e ad un gruppo sperimentale che si è sottoposto a interventi musicoterapici. Gli effetti a breve termine sono stati valutati tramite livelli di risposta allo stress, misurata con l'Autonomic Nerve Index e la Faces Scale, mentre gli effetti a lungo termine sono stati valutati tramite la Behavioral Pathology in Alzheimer Disease (BEHAVE - AD) Rating Scale. I risultati sono stati nettamente migliori nel gruppo sperimentale con un evidente miglioramento dello stato emotivo, una diminuzione dello stress, dell'aggressività e delle allucinazioni anche a lungo termine con un complessivo aumento della qualità della vita in coloro che hanno partecipato alle sessioni di musicoterapia. Lin et all, 2011 hanno riportato risultati simili su un campione di 100 soggetti 57, cosi come Park et all, 2009 68 su un campione di 15 soggetti. Jennings et all, 2008 72 e Ledger et all, 2007 76 hanno dimostrato una maggior efficacia della musicoterapia nella riduzione dei BPSD a breve termine e un efficacia minore a lungo termine. Ridder et all, 2013 78 hanno concluso il loro studio, svoltosi in una casa di cura per anziani in cui hanno reclutato 42 soggetti con demenza randomizzandoli in due gruppi, un braccio sperimentale che ha partecipato a sedute di musicoterapia per 6 settimane e un braccio di controllo che in tale periodo ha continuato i trattamenti standard, affermando che il periodo di musicoterapia ha ridotto i BPSD e ha impedito l'aumento della dose di farmaci nei soggetti del braccio sperimentale. Le ricerche sulla musicoterapia praticate in case di cura sono numerose, tra le più interessanti vi è quella condotta da Gerdner et all, 2010 73 che hanno seguito 39 soggetti dementi distribuito casualmente in un gruppo sperimentale e uno di controllo, il gruppo sperimentale ha ascoltato 30 minuti di musica rilassante ogni giorni per 4 settimane , mentre il gruppo di controllo non ha seguito queste indicazioni. Questo studio ha dimostrato che la musicoterapia può ridurre i punteggi 78 della CMAI, scala di valutazione dell'agitazione negli anziani utilizzata in questo e in molti studi simili, nonché nel presente lavoro. I risultati emersi dagli studi di Choi et all, 2009 40 e Burrows et all, 2009 69 evidenziano una riduzione nell'angoscia nei soggetti dementi che si giovano dell'intervento musica nei caregiver alleggerendo il loro carico di lavoro. Raglio et all. hanno dato un contribuito impareggiabile allo studio delle applicazioni della musica nella terapia medica e attraverso diverse ricerche in ambito geriatrico 41, 79, 56 e al di fuori di esso hanno dimostrato le enormi potenzialità dell'elemento sonoromusicale e la sua efficacia riportando una diminuzione dei disturbi comportamentali statisticamente significativa nei soggetti che hanno svolto sedute musicale in aggiunta ai presidi di routine rispetto a coloro che si sono serviti solo di questi ultimi. La validità degli interventi realizzati con la musica è apparsa evidente in tutte le ricerche prese in esame. L'utilizzo di tecniche musicali di tipo recettivo (somministrazione di ascolti di brani selezionati dall'esaminatore o dai soggetti coinvolti) è strettamente connesso agli ambiti considerati, ossia contesti ambulatoriali ed ospedalieri in cui risulta difficilmente attuabile un intervento di tipo improvvisato. La maggior parte degli studi finora svolti, benché molti terminati con risultati più che positivi e soddisfacenti nel miglioramento della qualità di vita dei malati di demenza, si concludono con la necessità di sviluppare altre ricerche in tale campo. A tale proposito, studi futuri in ambito medico, potrebbero approfondire il rapporto che intercorre tra la struttura musicale, i parametri del suono e gli effetti prodotti sia dal punto di vista fisiologico che emotivo; ciò potrebbe costituire uno spunto per individuare in modo più scientifico e rigoroso i brani musicali isolandone le variabili più significative 9. 79 PARTE II: Studio sperimentale Capitolo 7: 7.1 Scopo dello studio Lo scopo del presente studio è valutare l'effetto della musica rilassante su pazienti affetti da demenza con agitazione. Questo studio assume l'ipotesi che la musicoterapia possa ridurre l'agitazione e i BPSD e possa migliorare la qualità di vita sia del paziente demente sia del suo caregiver, informale o formale, e vuole anche quantificare, qualora questo emerga dai risultati, il beneficio che il gruppo sperimentale ha ottenuto rispetto al un gruppo di controllo che non ha ascoltato la musica. Nella letteratura scientifica, come descritto nel capitolo 6 , esistono diversi lavori di ricerca che hanno studiando l'effetto della musica nel campo geriatrico e non, nel primo le demenze costituiscono senza dubbio il terreno più fertile per poter studiare e sfruttare gli effetti della musica, sia sul versante dei disturbi di natura psicotica sia su quelli di natura depressiva. Benché l'attenzione sull'utilizzo della musicoterapia nei pazienti dementi con BPSD stia aumentando così come il suo utilizzo emerge la necessità di dare un ulteriore impulso in tale direzione e il seguente studio vuole contribuire a tale proposito. 80 7.2 Materiali e metodi Per il presente studio sono stati reclutati pazienti affetti da demenza a diversa patogenesi (demenza di tipo Alzheimer, demenza vascolare, demenza a patogenesi mista) con disturbi comportamentali caratterizzati prevalentemente da agitazione, afferenti all’ambulatorio UVA (Unità Valutativa Alzheimer) o ricoverati in OAD (Ospedalizzazione a Domicilio), servizi facenti parte della Struttura Complessa Geriatria e Malattie metaboliche dell’osso, Città della salute e della scienza di Torino, nel periodo tra ottobre 2013 e marzo 2014. Lo studio prevedeva una valutazione basale ed a 1 e 3 mesi di trattamento. Ai pazienti reclutati è stato consegnato in maniera gratuita un CD composto da brani di musica rilassanti scelti con cura secondo i principi dell'armonia musicale spiegati nel capitolo 5. I CD forniti avevano una durata di circa 80 minuti così strutturati: i primi 30 minuti raccoglierebbero musiche classiche rilassanti, i secondi 30 minuti raccoglierebbero musiche rilassanti e gli ultimi 20 minuti raccoglierebbero musiche popolari famose e colonne sonore ad azione rilassante. Il CD è stato composto attraverso la scelta dei seguenti brani: 1- La serenata in Sol maggiore K 525, universalmente nota come Eine Kleine Nachtmusik (piccola serenata notturna), è un notturno, ovvero una composizione ispirata alla notte, scritta da Mozart; 2- Canone e giga in re maggiore per tre violini e basso continuo meglio noto semplicemente come il Canone di Pachelbel, è una composizione musicale scritta da Pachelbel. La sua complessità è maggiore del brano precedente e aumenta con il procedere dell'esecuzione fin quando le variazioni diventano più complesse, per poi farsi nuovamente più semplici, durante tutto questo il ritmo rimane costante; 3- Aria sulla quarta corda di Johann Sebastian Bach, è uno dei brani più belli e più famosi di tutta la musica classica, eseguita da soli strumenti ad arco ha un fascino innegabile che si fonda sull'andamento rilassante e soave, oltre che su una melodia avvolgente e dolcissima; 81 4- Inverno Largo, secondo brano dell'Inverno delle Quattro Stagioni di Vivaldi. L’Inverno di Vivaldi è composto da tre brani: inizia con un brivido gelido e lo sferrare dei venti. La gente si affretta verso le case battendo i denti e pestando i piedi per allontanare il freddo incalzante. Per contrasto, corre al riparo accanto a un fuoco (secondo brano), il solista si rilassa in una melodia quieta, riposante, mentre fuori piove e le corde pizzicate del violino simulano il tintinnare delle gocce di pioggia. L’ultimo movimento ci riporta al freddo gelido; 5- Greensleeves, melodia di Williams, caratterizzata da dolci arpeggi e violini; 6- Concerto per pianoforte e orchestra n. 21, il secondo movimento (andante) di Mozart. Nella prima parte dominano i violini che producono un atmosfera sognante e spensierata, successivamente subentra il pianoforte che produce e amplifica la distensione; 7- Variazioni Golberg Aria; 8- Holberg Suite, di Grieg, il secondo movimento, ovvero l'andante.777777777777777777777777 Una composizione caratterizzata da un ritmo particolarmente lento e da una struttura molto solenne; 9 - 10 - 11 - 12 - Musica ambientale : è un genere musicale in cui l'atmosfera può assumere più importanza delle note, identificabile da suoni chiaramente atmosferici e naturali. Nel brano n.9 possiamo apprezzare il suono di un pianoforte associato al cinguettio di alcuni uccellini, nel n.10 vi sono anche strumenti a fiato mentre con il n.11 ci immergiamo in un atmosfera onirica con strumenti a fiato e un pianoforte a cui si aggiunge il suono di un ruscello che scorre in sottofondo. Nel brano n.12 infine si ascolta il gracidar delle rane in una composizione sia strumentale sia elettronica; 13: Melodia con violino: Sound of Angels; 14 – 15: To go beyond e Carribean Blue di Enja; 16 - 17 : Moto e cadenze di Einaudi; 18: Il signore delle cime: è un canto di origine popolare (Bepi De Marzi), caratterizzato da una semplice melodia, accompagnata da armonie tradizionali. È abbinata ad un testo che unisce sentimento, pietas popolare e devozione cristiana. 82 I criteri di inclusione, oltre alla diagnosi di psicosi in demenza, hanno incluso l’assenza di ipoacusia, il consenso informato orale del caregiver e del paziente (oppure del suo legale rappresentante) e la disponibilità domiciliare di un apparecchio in grado di leggere CD audio. I pazienti per poter essere inclusi nello studio non doveva vivere in un centro di residenza per anziani o in altre strutture che non fossero la propria abitazione e dovevano essere seguiti da un caregiver, a prescindere dal loro livello di autonomia funzionale. La presenza di un caregiver, formale o informale, è stata fondamentale per lo studio in quanto quest'ultimo ha potuto somministrare l'ascolto del CD al paziente e osservare e riferire gli eventuali cambiamenti a livello comportamentale. Inoltre il caregiver ha potuto valutare l'effetto della musica direttamente sulla propria persona oltre che indirettamente tramite la variazione dell'agitazione nel paziente demente che assisteva. Alla valutazione basale, tempo 0, per ogni paziente sono stati raccolti dati riguardanti l'età al momento del reclutamento, il sesso, la scolarità in anni, il numero di farmaci antipsicotici assunti, il tempo in mesi dalla diagnosi e dall'esordio dei sintomi di demenza e infine il numero di ore giornaliere in cui il caregiver assisteva il paziente. La compromissione cognitiva dei pazienti è stata valutata attraverso il MMSE, la presenza e gravità dell’agitazione attraverso la Cohen, la presenza di sintomi depressivi attraverso la Cornell e il carico assistenziale del caregiver attraverso la CBI. I test e le scale somministrati al tempo 0 sono stati rivalutati ad 1 e 3 mesi di trattamento musicoterapico (ad esclusione del MMSE). Il Mini Mental State Evaluation (MMSE) è un test psicometrico costituito da due parti, una verbale e una di performance, e richiede un tempo di somministrazione di circa 10-15 minuti. E’ composto da 11 item, suddivisi in 5 aree cognitive, quali orientamento temporale e spaziale, memoria a breve termine, attenzione e capacità di calcolo, rievocazione e linguaggio (denominazione, ripetizione, comprensione orale e scritta, produzione verbale e scritta) e prassia costruttiva. Il punteggio varia da 0 (massima compromissione) a 30 (integrità delle funzioni esplorate). I vantaggi di tale scala sono la facilità e la brevità della somministrazione e la capacità di monitorare il grado di progressione della malattia nel tempo nei singoli pazienti. La brevità è allo stesso tempo pregio e difetto del test, in quanto non consente una completa 83 valutazione delle funzioni cognitive, causando un’insufficiente sensibilità nelle fasi iniziali della demenza. Altro limite, è costituito dalla dipendenza dalla scolarità e dal livello di educazione del soggetto, per ovviare alle quali esiste la possibilità di tarare il punteggio finale sulla base di età e scolarità di ciascun soggetto, per meglio uniformare tutte le diverse categorie di pazienti (Ellis et al, 1990) (Cohen-Mansfield et al, 1986) (Cilesi et al, 2008). Ultimo ma non trascurabile difetto è la scarsa sensibilità nell'individuare specifici profili di deficit cognitivo: si è osservato come, in fase di screening, penalizzi la demenza vascolare, in quanto va ad indagare con una maggiore attenzione le funzioni di memoria e di linguaggio rispetto all'esame delle funzioni esecutive (Dukin et al, 1998). La Cohen-Mansfield Agitation Inventory (CMAI; Cohen-Mansfield e Billing, 1986; CohenMansfield, 1988) è stata originariamente proposta per la valutazione dell’agitazione nei pazienti anziani ricoverati e sebbene originariamente sviluppata per scopi di ricerca, è stato anche utilizzata per scopi clinici, come ad esempio decidere se il ritiro di farmaci psicotropi comporta un aumento dell’agitazione in una paziente anziano. È composto da 29 item, valutati su di una scala a 7 punti (da "mai" a "diverse volte all’ora"), che vanno a costituire tre fattori, il comportamento aggressivo (ferire, percuotere, strattonare ecc...), il comportamento fisicamente non aggressivo (camminare avanti e indietro, manierismi ripetitivi, tentativi di allontanarsi ecc...) ed il comportamento verbalmente agitato (lamentele, urla, richieste costanti di attenzione ecc...).7777777777 La caratteristica principale della CMAI è il fatto di prendere in considerazione i comportamenti osservabili, escludendo ogni interpretazione degli stati emozionali ed ogni riferimento causale. Lo strumento si è dimostrato molto affidabile in questa popolazione e in letteratura si è dimostrato valido al fine del monitoraggio indiretto dell'efficacia degli interventi 40 .99999999999999 L'agitazione non è un termine diagnostico, ma piuttosto un termine usato dai medici per un gruppo di sintomi che possono riflettere una patologia sottostante. La CMAI può essere auto-somministrato da un caregiver o può essere completata dall'intervistando di uno staff di caregiver familiare. La Cornell Scale è una scala appositamente disegnata per la valutazione dei sintomi depressivi nei pazienti dementi. Le sue applicazioni sono molteplici, in campo clinico nello screening e nello staging della depressione in soggetti dementi e nella ricerca in studi epidemiologici in setting istituzionali e sperimentazioni farmacologiche.88888888888888888888888888887777777777777 Deve essere somministrato da medici o psicologi addestrati.7777777777777777777777777 La Cornell Scale utilizza una serie standardizzata di item che sono rilevati attraverso un’intervista 84 ad una persona che conosce il paziente (nel presente lavoro il caregiver) della durata di circa 20 minuti e successivamente viene intervistato il paziente. Si tratta quindi di uno strumento osservazionale, che non richiede quindi la risposta diretta del paziente a domande formulate in modo standardizzato. La scala si compone di 19 item, con risposte che hanno un punteggio graduato da 0 (sintomo assente) a 2 (sintomo severo). Le domande enfatizzano segni osservabili di depressione quali tristezza, agitazione, disturbi del sonno e bassa energia. E’ una delle poche scale validate in popolazioni di soggetti dementi, anche di entità moderatosevera (Ballard et al, JAGS, 1997;45:123-124). In popolazioni di dementi uno score superiore a 9 alla CDS identifica i soggetti affetti da sindrome depressiva. La CBI (Caregiver Burden Inventory) è uno strumento di valutazione del carico assistenziale, è in grado di analizzarne l’aspetto multidimensionale elaborato per i caregiver di pazienti affetti da malattia di Alzheimer e demenze correlate. E’ uno strumento self-report, compilato dal caregiver principale, ossia il familiare o l’operatore che maggiormente sostiene il carico dell’assistenza al malato. Al caregiver è richiesto di rispondere barrando la casella che più si avvicina alla sua condizione o impressione personale. E’ uno strumento di rapida compilazione e di semplice comprensione. Suddivisa in 5 sezioni, consente di valutare fattori diversi dello stress: A. Il burden dipendente dal tempo richiesto dall’assistenza (item 1-5), che descrive il carico associato alla restrizione di tempo per il caregiver (carico oggettivo); B. Il burden evolutivo (item 6-10), inteso come la percezione del caregiver di sentirsi tagliato fuori, rispetto alle aspettative e alle opportunità dei propri coetanei (carico psicologico); C. Il burden fisico (item 11-14), che descrive le sensazioni di fatica cronica e problemi di salute somatica (carico fisico); D. Il burden sociale (item 15-19), che descrive la percezione di un conflitto di ruolo (carico sociale); E. Il burden emotivo (item 20-24), che descrive i sentimenti verso il paziente, che possono essere indotti da comportamenti imprevedibili e bizzarri (carico emotivo). 85 La CBI permette di ottenere un profilo grafico del burden del caregiver nei diversi domini, per confrontare diversi soggetti e per osservare immediatamente le variazioni nel tempo del burden. I caregiver con lo stesso punteggio totale possono presentare diversi modelli di burden. Questi diversi profili sono rivolti ai diversi bisogni sociali e psicologici dei caregiver e rappresentano i differenti obiettivi di diversi metodi di intervento pianificati per dare sollievo agli specifici punti deboli specificati nel test. Le minori affidabilità del test si riscontrano a proposito del carico emotivo e sociale. Alla valutazione ad 1 mese dal reclutamento, si è provveduto a formare due gruppi di pazienti (figura 5): gruppo 1 formato da pazienti che hanno ascoltato il CD almeno una volta alla settimana interamente (compliance presente, gruppo sperimentale) e gruppo 2 formato da pazienti che non hanno ascoltato il CD o lo hanno ascoltato meno di una volta alla settimana in modo completo (compliance assente, gruppo di controllo). Figura 5 Le cause che hanno determinato un'assenza della compliance sono molteplici, le più frequenti sono riconducibili ad una scarsa praticità da parte di un caregiver di età avanzata, per lo più il coniuge del paziente, nel maneggiare apparecchi tecnologici come lettori CD e ad una scarsa considerazione del potenziale benefico del CD. Il caregiver nonostante l'acquisizione del CD non ha somministrato il suo ascolto al proprio assistito, per negligenza, per un suo smarrimento o per il timore che questa iniziativa non gli fosse gradita. In alcuni casi questi timori sono stati suggeriti da reazioni di rifiuto o fastidio in seguito a un primo ascolto da parte di alcuni pazienti.llllllllllllllllllllllllllllllll Si sono riscontrati casi in cui il/la figlia del paziente dopo la presa in consegna del CD non lo hanno 86 consegnato al caregiver del genitore demente, nuovamente per dimenticanze o per un suo smarrimento. In alcuni casi un malfunzionamento del lettore CD ha impedito il suo utilizzo, in un caso isolato lo stesso paziente ha distrutto il lettore CD, il caregiver del suddetto paziente ha riferito che questo evento non è stato secondario all'ascolto musicale ma a una predisposizione del suo assistito alla demolizione. Vi sono inoltre riportati casi curiosi in cui non si sono comprese le indicazioni per un corretto uso del CD andando a inficiare sui suoi potenziali benefici: un caregiver somministrando l'ascolto del CD di giorno ha causato un inversione del ciclo sonno-veglia nel suo assistito, in un altro caso un caregiver ha praticato la musicoterapia tramite il lettore CD della propria autovettura durante brevi viaggi, perciò in un ambiente poco consono allo scopo. Si è preferito suggerire a questi due caregiver di sospendere l’uso del CD dal momento che non sono riusciti a seguire le indicazioni a loro date. A tutti i 90 soggetti è stata data l’opportunità di usufruire del CD ma per le motivazioni prima elencate 40 di questi non lo hanno fatto e a loro è stato richiesto di non ascoltare il CD nei 2 mesi successivi, in modo tale da costituire il gruppo di controllo. Ai rimanenti 50 soggetti che invece avevano seguito le indicazioni dello studio correttamente è stato richiesto di proseguire l’ascolto del CD, con le stesse modalità del mese trascorso, anche nei 2 mesi successivi così da creare il gruppo sperimentale. 87 L’analisi statistica è stata eseguita con IBM-SPSS 19.0 per Windows, ©IBM-SPSS. Inc. È stata condotta analisi descrittiva per le variabili continue e delle frequenze per quelle categoriche. La verifica dell’ipotesi di uguaglianza di medie è stata ottenuta attraverso t-test per dati appaiati. La verifica dell'ipotesi di uguaglianza di più medie è stata ottenuta attraverso analisi univariata della varianza per una variabile dipendente quantitativa in base ad una singola variabile fattore (indipendente), ANOVA con correzione per confondenti. Il confronto, tra i gruppi studiati, dei punteggi delle scale di outcome, ottenuti nelle valutazioni basale, 1 e 3 mesi, è stato effettuato attraverso un modello lineare generalizzato per misure ripetute, corretto per confondente La significatività statistica è stata posta ad α = 0.05 per tutte le elaborazioni. 88 7.3 Risultati e commento Il campione dello studio è risultato di 90 pazienti. L'età media è risultata essere 81.60 ± 5.56 (media ± DS). La maggioranza dei pazienti valutati è stata di sesso femminile: 59 donne (65.6%) e 31 uomini (34.4%). La scolarità media si è attestata ad un valore medio di anni 6.40 ± 3.34 (media ± DS). Per quanto riguarda i test cognitivi somministrati, il MMSE ha presentato un punteggio medio pari a 17.95 ± 4.98 (media ± DS). Il numero medio di antipsicotici che ogni paziente ha assunto durante lo studio è stato di 1.20 ± 0.62 (media ± DS) mentre il numero di ore giornaliere durante le quali il paziente è stato assistito dal proprio caregiver è risultato di 13.79 ± 10.00 (media ± DS). Dalle scale di valutazione dei sintomi comportamentali e depressivi e del carico assistenziale emergono i valori medi sintetizzati nella Tabella 5 Scala di valutazione Punteggio medio ottenuto (media±DS) CMAI CORNELL SCALE CBI Totale 66.31 ± 23.23 14.02 ± 5.30 38.78, ± 15.08 Tabella 5 Alla valutazione ad 1 mese, come indicato nei materiali e metodi, sono stati creati due gruppi di pazienti in base alla loro compliance alla musicoterapia nel primo mese di trattamento proposto. La tabella 6 riassume le caratteristiche del campione, suddiviso nei due gruppi, che è risultato omogeneo per caratteristiche indipendentemente dalla compliance terapeutica. Considerando i valori medi di età, di scolarità, della Cohen basale, della Cornell basale, della CBI totale basale, del numero di ore giornaliere in cui il caregiver assiste il paziente, del MMSE e del numero di antipsicotici assunti si osserva che non esistono differenze statisticamente significative in nessuno di questi parametri tra i due gruppi. 89 Figura 6 Caratteristica Gruppo 1 Gruppo 2 F Sig. Età 81.34 ± 5.88 81.93 ± 5.13 0.246 0.621 Scolarità 6.02 ± 2.93 6.88 ± 3.78 1.457 0.231 Cohen 67.06 ± 23.66 65.38 ± 22.95 0.116 0.743 Cornell 13.68 ± 5.75 14.45 ± 4.17 0.446 0.497 Ore Caregiver-Pz / die CBI Totale 13.74 ± 10.29 13.85 ± 9.76 0.003 0.959 40.26 ± 15.47 36.93 ± 14.55 1.008 0.300 MMSE 18.53 ± 5.27 17.36 ± 4.69 0.743 0.393 N° Antipsicotici 1.20 ± 0.622 1.08 ± 0.526 2.975 0.088 Tabella 6: valutazione ad 1 mese, confronto tra dati relativi al campione al momento del reclutamento, suddiviso nei due gruppi per compliance alla musicoterapia. Un dato interessante che emerge dalla tabella 6 è che i soggetti con un valore medio della Cohen e della CBI totale più alto hanno dimostrato una compliance maggiore. A un 1 e 3 mesi dal reclutamento si sono rivalutate la Cohen, la Cornell e la CBI totale dell'intero campione suddiviso per compliance alla terapia e sono emersi i dati riassunti nelle tabelle 7, 8 e 9 e nelle figure 7, 8 e 9. 90 Musicoterapia COHEN N Punteggio medio (media±DS) Basale No Si Totale 65.38 ± 22.95 40 1 mese 66.78 ± 23.21 3 mesi 67.40 ± 23.37 Basale 67.06 ± 23.66 1 mese 50 59.96 ± 21.57 3 mesi 58.42 ± 19.56 Basale 66,31 ± 23,23 1 mese 90 3 mesi 62.99 ± 22.44 62.41 ± 21.68 Tabella 7 Figura 7 Nella tabella 7 e nella figura 7 si riassume l’andamento dei valori medi del punteggio della Cohen nel campione suddiviso per compliance, ottenuto attraverso un modello generalizzato per misure ripetute corretto per età, MMSE, numero medio di antipsicotici assunto e ore giornaliere caregiverpaziente (F = 19.059 ; p < 0.001). Il risultato dimostra una riduzione statisticamente significativa dell’agitazione nel gruppo dei pazienti che hanno effettuato musicoterapia confrontati con l’evidenza di un lieve aumento dei punteggi alla Cohen ottenuti nel gruppo 2. 91 Musicoterapia CORNELL N Punteggio medio (media±DS) Basale No Si 14.45 ± 4.72 40 1 mese 3 mesi 15.50 ± 5.82 Basale 13.45 ± 5.57 1 mese Totale 15.35 ± 5.23 50 11.33 ± 5.13 3 mesi 10.84 ± 4.79 Basale 13.90 ± 5.20 1 mese 90 3 mesi 13.13 ± 5.52 12.93 ± 5.74 Tabella 8 Figura 8 Nella tabella 8 e nella figura 8 si riassume l’andamento dei valori medi del punteggio della Cornell nel campione suddiviso per gruppi di compliance ottenuto attraverso un modello generalizzato per misure ripetute corretto per età, MMSE, numero medio di antipsicotici assunto e ore giornaliere caregiver-paziente. (F = 23.116 ; p < 0.001). Il risultato dimostra una riduzione statisticamente significativa dei sintomi depressivi nel gruppo dei pazienti che hanno effettuato musicoterapia confrontati con l’evidenza di un lieve aumento dei punteggi ottenuti nel gruppo 2. 92 Musicoterapia CBI Totale N Punteggio medio (media±DS) Basale No Si 36.93 ± 14.55 40 1 mese 3 mesi 40.13 ± 16.22 Basale 39.69 ± 15.10 1 mese Totale 38.10 ± 15.18 50 37.69 ± 15.45 3 mesi 36.24 ± 15.46 Basale 38.45 ± 14.84 1 mese 90 3 mesi 37.88 ± 15.24 37.99 ± 15.84 Tabella 9 Figura 9 Nella tabella 9 e nella figura 9 si riassume l’andamento dei valori medi del punteggio della CBI totale nel campione suddiviso per gruppi di compliance ottenuto attraverso un modello generalizzato per misure ripetute corretto per età, MMSE, numero medio di antipsicotici assunto e ore giornaliere caregiver-paziente. (F = 29.194 ; p < 0.001). Il risultato dimostra una riduzione statisticamente significativa del carico assistenziale nel gruppo dei pazienti che hanno effettuato musicoterapia confrontati con l’evidenza di un lieve aumento dei punteggi ottenuti nel gruppo 2. 93 Dai risultati emersi si evince come vi sia un miglioramento dell’agitazione e dei sintomi depressivi nei pazienti che hanno effettuato per 12 settimane musicoterapia (ascoltando il CD musicale una volta o più alla settimana interamente). Concomita una riduzione significativa del carico assistenziale percepito dal caregiver. Si sono inoltre valutati i 5 sottogruppi della CBI (A, B, C, D ed E), sia al reclutamento sia ad 1 e 3 mesi; i risultati emersi sono riassunti nelle tabella 10, 11, 12, 13 e 14. Anche per l’analisi dei sottogruppi della CBI è stato utilizzato un modello lineare generalizzato per misure ripetute corretto per età, MMSE e numero di ore giornaliere caregiver-paziente. Musicoterapia CBI A N Punteggio medio (media±DS) Basale No Si Totale 16.00 ± 3.63 40 1 mese 16.13 ± 3.69 3 mesi 16.40 ± 3.75 Basale 16.14 ± 4.36 1 mese 50 15.71 ± 4.47 3 mesi 15.43 ± 4.30 Basale 16.08 ± 4.03 1 mese 90 3 mesi 15.90 ± 4.12 15.87 ± 4.07 Tabella 10: F = 9.210 ; p <0.001, vi è una differenza statisticamente significativa tra gruppo sperimentale e gruppo controllo 94 Musicoterapia CBI B N Punteggio medio (media±DS) Basale No Si Totale 8.45 ± 4.98 40 1 mese 8.80 ± 5.11 3 mesi 9.43 ± 5.34 Basale 8.55 ± 5.45 1 mese 50 8.08 ± 5.42 3 mesi 7.78 ± 5.45 Basale 8.51 ± 5.22 1 mese 90 3 mesi 8.40 ± 5.27 8.52 ± 5.37 Tabella 11: F = 20.11 ; p <0.001, vi è una differenza statisticamente significativa tra gruppo sperimentale e gruppo controllo. Musicoterapia CBI C N Punteggio medio (media±DS) Basale No Si Totale 6.13 ± 4.44 40 1 mese 6.33 ± 4.47 3 mesi 6.75 ± 4.67 Basale 7.27 ± 4.81 1 mese 50 6.69 ± 4.53 3 mesi 6.29 ± 4.43 Basale 6.75 ± 4.66 1 mese 90 3 mesi 6.53 ± 4.48 6.49 ± 4.52 Tabella 12: F = 21.37 ; p <0.001, vi è una differenza statisticamente significativa tra gruppo sperimentale e gruppo controllo. 95 Musicoterapia CBI D N Punteggio medio (media±DS) Basale No Si Totale 3.70 ± 4.27 40 1 mese 3.90 ± 4.28 3 mesi 4.08 ± 4.39 Basale 4.12 ± 5.08 1 mese 50 3.96 ± 5.10 3 mesi 3.80 ± 4.8 Basale 3.93 ± 4.72 1 mese 90 3 mesi 3.93 ± 4.72 3.92 ± 4.70 Tabella 13: F = 6.68 ; p <0.001, vi è una differenza statisticamente significativa tra gruppo sperimentale e gruppo controllo. Musicoterapia CBI E N Punteggio medio (media±DS) Basale No Si Totale 2.65 ± 3.70 40 1 mese 2.93 ± 3.66 3 mesi 3.50 ± 3.91 Basale 3.63 ± 4.54 1 mese 50 3.31 ± 4.48 3 mesi 3.00 ± 4.19 Basale 3.19 ± 4.19 1 mese 90 3 mesi 3.13 ± 4.11 3.22 ± 4.05 Tabella 14: F = 19.60 ; p <0.001, vi è una differenza statisticamente significativa tra gruppo aaaaaaasperimentale e gruppo controllo. 96 Da queste ultime tabelle si evince come tutti i sottogruppi della CBI migliorino nel gruppo sperimentale a differenza di quello di controllo. La CBI sezione A, rappresenta il carico oggettivo del caregiver, direttamente dipendente dal tempo richiesto dall'assistenza, si riduce. Diversi partecipanti al presente studio hanno riferito che i propri assistiti durante l'ascolto del CD hanno manifestato una maggior distensione e una notevole tranquillità e mitezza solitamente inusuali in loro. L'efficacia della musica è maggiore durante l'ascolto che nei periodi successivi ad esso e durante questo molti caregiver sono riusciti a conquistarsi periodi di quiete per se stessi molto preziosi e impensabili. Interessanti e molto soddisfacenti sono i commenti di alcuni caregiver: “quando inserisco il CD mio padre smette di camminare avanti e indietro per la stanza, si siete e ascolta assorto la musica, in quel momento posso finalmente trovare del tempo per me stessa e abbassare la guardia”, “quando metto la musica posso anche lasciare la signora sola e uscire a fare la spesa, quando torno la trovo ancora seduta sulla poltrona ad ascoltare il CD sorridente”. Il caregiver nella lettura del CBI A al punto 3 e 5 si domanda rispettivamente: “devo vigilarlo costantemente?” e “non riesco ad avere un minuto di libertà dai miei compiti di assistenza?”, le risposte a questi punti migliorano notevolmente nella maggior parte dei partecipanti del gruppo sperimentale, i fortunati caregiver che riescono a giovarsi della musicoterapia riescono, grazie ad essa, a ritagliarsi minuti preziosi da dedicare a se stessi e in cui non devono controllare così strettamente, come in altre circostanze, il proprio assistito in quanto questo è impegnato ad ascoltare la musica. Non è raro che un paziente demente si addormenti in seguito ad un lungo ascolto del CD, altri non voglio essere disturbati e si chiudono nella propria stanza. Molti pazienti sono riusciti a inserire l'ascolto della musica nella propria routine quotidiana e in alcuni casi sono essi stessi a chiedere al proprio caregiver di inserire il CD. La CBI sezione B è intesa come il burden evolutivo, ovvero la percezione di avere qualcosa in meno rispetto ai propri coetanei, di condurre una vita inferiore alle proprie aspettative e possibilità. Migliorando la qualità di vita del paziente riducendo i suoi stati di agitazione, sia come intensità sia come frequenza e migliorando il suo umore inevitabilmente si migliora la qualità di vita del suo caregiver poiché migliora la qualità del loro rapporto. A tale scopo hanno giovato anche altre pratiche ludiche come giocare a carte o con delle bambole, attività promosse svolte con la musica di sottofondo. 97 Al termine de 3 mesi molti caregiver del gruppo sperimentale hanno segnalato una maggiore socievolezza da parte dei propri assistiti con un aumento da parte loro del dialogo. Si possono compiere analoghe considerazioni analizzato i risultati della CBI sezione D ed E che rispettivamente vanno a sondare il carico sociale ed emotivo del caregiver. La CBI sezione C rappresenta il burden fisico, ovvero la sensazione di fatica cronica e relativa a problemi di salute causati dal carico assistenziale globale. Anche i valori di questo sottogruppo della CBI cosi come quelli degli altri 4 è migliorato nel gruppo che ha praticato la musicoterapia, i cui soggetti hanno dimostrato in linea generale una minore resistenza e opposizione nei confronti del proprio caregiver in circostanze quali l’assunzione di farmaci, l’igiene personale, i pasti o gli spostamenti. Si è anche osservato un miglioramento della qualità del sonno dei pazienti e di conseguenza anche di quello dei rispettivi caregiver. Alcuni pazienti hanno iniziato addirittura ad aiutare il proprio caregiver nello svolgimento di semplici faccende domestiche, ma questo è stato segnalato in un limitato numero di soggetti. I soggetti appartenenti al gruppo di controllo che quindi non si sono giovati dell’ascolto musicale hanno riportato nei singoli sottogruppi della CBI valori medi peggiori o uguali a quelli registrati al momento del reclutamento. Tali risultati possono essere facilmente spiegabili se non si dimentica che la demenza, specialmente se associata a disturbi comportamentali, è una condizione cronica e in quanto tale se non gestita in modo ottimale sfruttando tutte le risorse possibili continua il suo decorso negativo. 98 Prendendo in considerazione l’assunzione media di antipsicotici nel gruppo dei pazienti che hanno effettuato musicoterapia, non si è osservata una differenza statisticamente significativa nei 3 mesi di osservazione (t = -1.422; p = 0.158). N° Psicofarmaci Valore medio (media±DS) Basale 1.20 ± 0.622 A 3 mesi 1.22 ± 0.617 Tale evidenza risulta però associata a quanto precedentemente osservato relativamente alla riduzione significativa dell’agitazione e del carico assistenziale e fa quindi ipotizzare che i miglioramenti ottenuti sia ad 1 che a 3 mesi nel gruppo sperimentale siano da imputare alla musicoterapia indipendentemente dal numero di antipsicotici utilizzato nel controllo dell’agitazione. Il tempo di osservazione dello studio è stato troppo breve per poter analizzare una possibile riduzione della dose dello/dei psicofarmaco/i, ma in letteratura esistono ricerche che hanno dimostrato che la musicoterapia può ridurre l’aumento della dose di psicofarmaco in pazienti dementi agitati (Ridder et all, 2013) e la dose di farmaci analgesici e sedativi (Rudin et al., 2007). La riduzione dell’agitazione rilevata tramite la Cohen e il miglioramento dell’umore alla Cornell nei pazienti dementi, uniti alla riduzione del carico assistenziale percepito dai caregiver alla CBI ed ai suoi sottogruppi, si sono dimostrati statisticamente significativi già dopo un mese di trattamento. Tale miglioramento è stato evidenziato in modo ancora più accentuato dopo tre mesi di trattamento musicoterapico. Lo studio in oggetto prevede un’estensione temporale dell’osservazione dei pazienti ed un incremento del numero di campione, con l’obiettivo di valutare l’efficacia a lungo termine della musicoterapia e tentativi di riduzione progressiva della terapia antipsicotica assunta . 99 Appendici: APPENDICE 1 – COHEN-MANSFIELD AGITATION INVENTORY 100 APPENDICE 2 - MIMI MENTAL STATE EXAMINATION (MMSE) TEST SOMMINISTRABILE SI NO In che anno siamo? (0-1) In che stagione siamo? (0-1) In che mese siamo? (0-1) Mi dice la data di oggi? (0-1) Che giorno della settimana è oggi? (0-1) In che nazione siamo? (0-1) In quale regione italiana siamo? (0-1) In quale città ci troviamo? (0-1) Mi dica il nome del luogo dove ci troviamo (0-1) A che piano siamo? (0-1) Far ripetere “pane, casa, gatto”. La prima ripetizione dà adito al punteggio. Ripetere finchè il soggetto esegue correttamente, max 6 volte (0-3) Far contare a ritroso da 100 togliendo 7 per 5 volte 93 86 79 72 65 (se non completa questa prova, far sillabare all’indietro la parola CARNE (0-5) E N R A C ) Chiedere la ripetizione dei tre soggetti precedenti (0-3) Mostare un orologio e una matita chiedendo di dirne il nome (0-2) Ripeta questa frase : “NON C’E’ SE NE’ MA CHE TENGA” (0-1) Prenda questo foglio con la mano destra, lo pieghi a metà e lo metta sul tavolo (0-3) 101 Legga ed esegua quanto scritto su questo foglio (chiuda gli occhi) (0-1) Scriva una frase (deve contenere soggetto e verbo) (0-1) Copi questo disegno (pentagoni intrecciati) (0-1) FRASE ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________________ ________________________________ Punteggio totale: Punteggio totale corretto per età e scolarità: TARATURA MMSE Intervallo di età 65-69aa 70-74aa 75-79aa 80-84aa 85-89aa Anni di scolarità 0-4 aa +0.4 +0.7 +1.0 +1.5 +2.2 5-7aa -1.1 -0.7 -0.3 +0.4 +1.4 8-12aa -2.0 -1.6 -1.0 -0.3 +0.8 13-17aa -2.8 -2.3 -1.7 -0.9 +0.3 Magni E, Binetti G, Bianchetti A, Rozzini R, Trabucchi M. (1996).MMSE: a normative study in italian elderly population. Eur J Neurol 3:1-5. 102 APPENDICE 3 – THE CORNELL SCALE FOR DEPRESSION IN DEMENTIA 103 APPENDICE 4 – CAREGIVER BURDEN INVENTORY 104 BIBLIOGRAFIA 1. Benenzon R. Manuale di musicoterapia, Borla, 1998 2. Cabutto M. La musicoterapia, Xenia, 2000 3. McClellan R. Musica per guarire, Muzzio, 1993 4. Bernhardt P. Musicoterapia, Jackson Libri,1999 5. Alvin J, Terapia musicale, Armando Editore, 1986 6. Don Campbel, L'effetto Mozart, curarsi con la musica, Dalai Editore, 1997 7. Sacks O. Musicofilia, Gli Adelphi, 2008 8. Critchley Macdonald, Henson R.A, La musica e il cervello, Piccin, 1987 9. Raglio A. Musicoterapia e scientificità: dalla clinica alla ricerca, Franco Angeli, 2008 10. Monteleone A. Filiberti A. Zeppegno P. Le demenze: mente, persona, società, Maggioli Editore, 2013 11. Manarolo G. L'angelo della musica-musicoterapia e disturbi psichici, Omega Edizioni, 2002 12. Katzung B.G. 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È difficile per me riuscire a esprimere la mia gratitudine a quanti mi hanno supportato e aiutato durante questo percorso di studi e in particolare durante questo ultimo anno di studio. Un ringraziamento particolare al Chiarissimo Professore Giovanni Carlo Isaia per avermi accolto nel suo reparto e per avermi permesso di collaborare alla presente Ricerca. Un sentito grazie al dott. M. Massaia e ai suoi collaboratori per la disponibilità e la cordialità; un ringraziamento particolare al dott. R. Gallina per la gentilezza e l’aiuto continuo, senza il quale questo studio non sarebbe nato e non avrebbe dato questi ottimi risultati. Grazie ad Arianna, Giulia ed Alessandro per avere allietato le mie mattinate in ambulatorio e per avermi aiutato nel ricevere i pazienti: la vostra collaborazione e compagnia sono state veramente preziose. 111