UNIVERSITA’ TELEMATICA “e-Campus” Facoltà di PSICOLOGIA Corso Di Laurea in SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE L’ANZIANO: UN LIBRO DA SFOGLIARE, UNA STORIA DA RACCONTARE PERCORSO PSICOLOGICO RIABILITATIVO DELL’ANZIANO ISTITUZIONALIZZATO Relatore: Prof. FABRIZIO CAVANNA Tesi di Laurea di: PAOLA BORIO Matricola numero: 7189 Anno accademico: 2013/2014 INDICE Introduzione 1.L’INVECCHIAMENTO TRA NORMALITA’ E DEMENZA 1.1 - Invecchiamento cerebrale e deterioramento mentale 1.2 - Epidemiologia del disorientamento mentale 1.3 - Profili neurofisiologici nelle demenze senili 1.4 - Tipologie di demenza 1.5 - Diagnosi clinica delle demenze 1.6 - La demenza di Alzheimer 1.7 - La cura non farmacologica: le principali terapie 1.8 - La prevenzione 2.RESIDENZIALITA’ E CURA PER LA DEMENZA DI ALZHEIMER 2.1 - Preparare l’entrata nella struttura 2.2 - La riabilitazione degli anziani con deterioramento mentale 2.3 - L’assistenza psicologica nelle residenze per anziani 2.4 - Il Conversazionalismo di Lai 2.5 - L'ApproccioCapacitante® di Pietro Vigorelli 2.6 - Il Modello GENTLECARE 2.7 - La Palestra di Vita PdV 3.“MI METTO IN GIOCO” 3.1 - Tirocinio ed esperienza sul campo 3.2 - L’anziano che comunica: storie di vita 3.3 - Il thè con la psicologa 3.4 - Nucleo N.A.T. Conclusioni Bibliografia Ringraziamenti Spalle al muro Spalle al muro, Quando gli anni, son fucili contro, Qualche piega, sulla pelle tua, I pensieri tolgono, il posto alle parole, Sguardi bassi alla paura, di ritrovarsi soli. E la curva dei tuoi giorni, non è più in salita, Scendi piano, dai ricordi in giù, Lasceranno che i tuoi passi, sembrino più lenti, Disperatamente al margine, di tutte le correnti. Vecchio, Diranno che sei vecchio, Con tutta quella forza che c'è in te, Vecchio Quando non è finita, hai ancora tanta vita, E l'anima la grida e tu lo sai che c'è. Ma sei Vecchio, Ti chiameranno vecchio, E tutta la tua rabbia viene su, Vecchio, si, Con quello che hai da dire, Ma vali quattro lire, dovresti già morire, Tempo non ce n’è più. Non te ne danno più …! E ogni male fa più male, Tu risparmia il fiato, Prendi presto, tutto quel che vuoi, E faranno in modo, che il tuo viso, sembri stanco, Inesorabilmente più appannato, per ogni pelo bianco. Vecchio. Vecchio. Vecchio…!!! Mentre ti scoppia il cuore, non devi far rumore, Anche se hai tanto amore, da dare a chi vuoi tu! Ma sei vecchio. Insulteranno Vecchio Con tutto quella smania che sai tu, Vecchio, si… E sei tagliato fuori, Quelle tue convinzioni, le nuove sono migliori, Le tue non vanno più, Ragione non hai più. Vecchio si … Con tanto che faresti, adesso che potresti non cedi perché esisti, perché respiri tu In questa famosa e toccante canzone di Renato Zero il termine vecchio viene usato nella sua accezione peggiore, infatti l’anziano è considerato inutile, inetto, un vero peso per la famiglia e per la società stessa. L’invecchiamento è un periodo particolare nella vita di ogni individuo, è la fase conclusiva del ciclo vitale, se questo non è stato precocemente interrotto per cause accidentali; in questo fenomeno fisiologico si assistono a perdite e deterioramenti a livello funzionale, a cambiamenti ineluttabilmente legati al passare del tempo che portano con sé una componente individuale non indifferente. Contrariamente alla crescita ed allo sviluppo, considerati processi evolutivi, l’invecchiamento è definito un processo involutivo che comporta una diminuzione delle capacità di adattamento all’ambiente ed una crescente probabilità di morire che rende l’individuo altamente vulnerabile. In questo processo involutivo interagiscono i quattro aspetti fondamentali dell’invecchiamento, studiati dalla gerontologia, che sono: l’invecchiamento fisico, l’invecchiamento psicologico, l’invecchiamento comportamentale ed il contesto sociale dell’invecchiamento. Cicerone già nel 44 a.C., all’età di sessantadue anni, scrisse il Cato Maior de Senectute, nel quale fa un’arringa in difesa della vecchiaia , affermando che questa non distoglie affatto l’uomo dalla vita attiva e, anche se toglie le forze fisiche, lascia all’anziano la forza spirituale, la sola indispensabile per svolgere le attività a lui più consone; inoltre, il fatto che la vecchiaia avvicini alla morte non deve affatto spaventare, ma, al contrario, rassicurare, in quanto la morte è vista come un ritorno alle origini. Nelle società tradizionali, la vecchiaia, ora chiamata “terza età”, era considerata con rispetto e gli anziani ritenuti i depositari della saggezza e dei valori sui quali fondava la società stessa; al contrario, nelle nostre società “altamente progredite”, invece, gli anziani si sono visti espropriati del loro valore e sono stati costretti ad abdicare al loro ruolo di guida, ritrovandosi così emarginati ed inutili. Purtroppo, anche se alcuni pensionati si creano degli hobby, nella nostra cultura è diffusa l’idea che la vecchiaia sia un tempo inutile, che trova la sua inevitabile conclusione nella morte, mentre invece gli ultimi anni della vita dovrebbero essere il momento dell’interezza, dove dovrebbe chiudersi positivamente quel cerchio e poter così dire che lo scopo della nostra vita è stato compiuto. 1.L’INVECCHIAMENTO TRA NORMALITA’ E DEMENZA 1.1 - Invecchiamento cerebrale e deterioramento mentale Sappiamo che l’aspettativa di vita a partire dall’inizio del ‘900 è aumentata notevolmente. Tale aumento è dovuto in gran parte dalla diminuzione della mortalità infantile, dall’introduzione dei vaccini e degli antibiotici, dai miglioramenti dei servizi sanitari e dai progressi nella prevenzione e nel trattamento delle malattie cardiache e degli ictus vascolari. In questa nuova situazione si è sviluppata una nuova forma epidemica, tipica del soggetto anziano; nei vecchi, in sostanza, è cresciuto a dismisura il rischio di andare incontro a una demenza, vale a dire, a una sindrome caratterizzata dalla perdita della memoria e delle capacità cognitive. L’allungamento dell’arco della vita ha ben poco valore se non viene preservata anche la qualità della vita. Il concetto di demenza o deterioramento mentale o demenziale, è stato dibattuto per anni nel tentativo di arrivare ad una definizione che potesse non solo rendere conto della complessità della sintomatologia quanto, nello stesso tempo, offrire un efficace punto di riferimento per la diagnosi. La demenza è una patologia che si acquisisce in età adulta o comunque che si instaura dopo che si è verificato uno sviluppo cognitivo normale; non si riferisce, pertanto, a quelle situazioni di insufficienza mentale che si protraggono fin dalla infanzia. Secondo il DSM IV, i criteri per la definizione di demenza comprendono tre elementi principali: 1) disturbi della memoria; 2) disordini delle funzioni mentali; 3) ripercussioni sulle attività socio-professionali. Secondo la definizione del Royal College of Physician, la demenza consiste nella compromissione globale delle cosiddette funzioni corticali o nervose superiori, ivi compresa la memoria, la capacità di far fronte alle richieste della vita di tutti i giorni e di svolgere le funzioni percettivo-motorie già acquisite in precedenza, la capacità di conservare un comportamento socialmente adeguato alle circostanze e di controllare le proprie reazioni emotive; tutto ciò in assenza della compromissione dello stato di vigilanza. Il tratto fondamentale del deterioramento mentale è l’incompetenza cognitiva ecologica, volendo con questo sottolineare l’elemento forse più drammatico che caratterizza soprattutto gli esordi della malattia: l’incongruenza di alcuni comportamenti del paziente rispetto alla situazione sociale e alle aspettative di chi lo circonda. 1.2 - Epidemiologia del disorientamento mentale Con il termine “demenza” possiamo genericamente indicare tutte quelle malattie nelle quali i disturbi della memoria si associano al cedimento di altre funzioni mentali, a tal punto da rendere la persona dipendente da terzi. La demenza più conosciuta è senza dubbio l’Alzheimer ed è anche la forma più ricorrente (raggiunge il 50% dei casi totali). Tuttavia, ad oggi, si possono descrivere più di cinquanta malattie dementigene i cui sintomi sono molto simili a quelli dell'Alzheimer. Occorre precisare, però, che i semplici disturbi della memoria che caratterizzano la vecchiaia non sono sempre il sintomo di un inizio di demenza. Le modificazioni funzionali e strutturali del cervello nell’invecchiamento: Le qualità intellettuali di molte persone anziane restano inalterate fino al termine del loro ciclo di vita, ed alcuni personaggi sono stati in grado di esprimersi al più alto livello anche molto avanti con gli anni. Tuttavia, molte persone anziane presentano lievi difetti di memoria e delle altre facoltà cognitive, ed in alcune di loro si manifestano sintomi di demenza. Il metodo più sicuro per analizzare le alterazioni intellettuali legate all’età, è quello di misurare ripetutamente, nello stesso paziente, le facoltà cognitive e le prestazioni legate alla memoria durante un lungo periodo di tempo. Le alterazioni delle facoltà cognitive in relazione all’età, come la rapidità di apprendimento e la risoluzione dei problemi, sono spesso lievi e si presentano in epoche assai tardive. In alcuni soggetti la facoltà di assimilare notevoli quantità di nuove informazioni tende a ridursi. Anche le prestazioni visuo-spaziali, come la ricostruzione di disegni, sono spesso ridotte nei soggetti più anziani. La facilità di espressione verbale (elencare rapidamente per nome una serie di oggetti) diminuisce con l’età. I test generali di intelligenza cominciano a dare risultati meno soddisfacenti a partire dai sessantacinque anni e continuano a peggiorare nell’età avanzata. Inoltre iniziano a manifestarsi alcune alterazioni del comportamento che, tuttavia, non compromettono seriamente la qualità della vita. Anche le caratteristiche del sonno tendono a cambiare: infatti le persone anziane dormono meno e si svegliano più spesso; la durata degli stadi 3° e 4° del sonno REM è ridotta mentre tende ad aumentare la durata dello stadio 1° del sonno ad onde lente. Nell’anziano si riducono le capacità motorie, la postura diventa meno retta, l’andatura è più lenta, i riflessi sono spesso rallentati causando una più facile perdita dell’equilibrio. Queste alterazioni del movimento dipendono da lievi processi asintomatici che interessano sia il sistema nervoso centrale che quello periferico. Nell’età avanzata si riscontrano modificazioni del tessuto cerebrale, in quanto il peso della massa cerebrale spesso diminuisce ed alcune popolazioni di neuroni si riducono per morte cerebrale. Inoltre, numerosi enzimi deputati alla sintesi di diversi neurotrasmettitori, come la dopamina, la norepinefrina e, in grado minore, anche l’acetilcolina, diminuiscono con l’età e ciò sta ad indicare la presenza di anomalie nei neuroni che sintetizzano queste sostanze. Grazie ai test neuropsicologici, però, si riescono a distinguere chiaramente i disturbi della memoria legati all'invecchiamento da quelli premonitori di un inizio di demenza vera e propria. 1.3 - Profili neurofisiologici nelle demenze senili L’accertamento diagnostico prende le mosse da una constatazione dei congiunti del paziente, i quali ravvisano una modificazione deficitaria del comportamento. Una volta accertato che l’impressione suscitata nei familiari dalle modificazioni del comportamento del paziente, e la sua storia recente, concordano con prestazioni cognitive alterate alle batterie dei test standardizzate a cui è stato sottoposto, è importante giungere ad un corretto inquadramento nosografico. Più della metà delle situazioni cliniche associate a deterioramento mentale sono imputabili a demenze di tipo degenerativo, caratterizzate quindi dal fatto di essere, ancora oggi, del tutto incurabili. L’altra metà delle sintomatologie demenziali è invece associata a patologie non degenerative, a volte suscettibili di interventi terapeutici efficaci. Ecco quindi la necessità di stabilire con esattezza l’etiologia di uno stato dementigeno, nella speranza di poter intervenire in modo adeguato sulle cause scatenanti la malattia per poter, se non far regredire, almeno bloccare la sintomatologia. Tra le demenze degenerative primarie le principali sono la malattia di Alzheimer e la malattia di Pick, mentre cause non primariamente degenerative di demenza sono le patologie vascolari (ematomi ed emorragie), i tumori, i traumi, l’alcolismo, le malattie endocrino-metaboliche (ipotiroidismo e ipoglicemia), le infezioni del sistema nervoso centrale, l’idrocefalo. Tra le cause non degenerative, sicuramente le più curabili sono le patologie tumorali, gli ematomi sottodurali e l’idrocefalo, trattabili con terapia chirurgica. Le indagini cliniche ed anamnestiche aiutano anche a porre una topodiagnosi della demenza, a stabilire cioè se il processo patologico si è sviluppato in sede corticale, come nelle demenze di Alzheimer, Pick e Creutzfeldt-Jacob, o sottocorticale, come nelle demenze lacunari associate a patologie extrapiramidali, o conseguenti ad infezioni come l’AIDS. 1.4 - Tipologie di demenza Il deterioramento mentale può essere dovuto a cause molto diverse tra loro ed esistono numerosi tipi di demenza senile. Con il termine di demenza senile, ci si riferisce ad una sindrome clinica, tipica dei soggetti anziani, che si manifesta con perdita della memoria e alterazione delle facoltà cognitive ed è ad uno stadio sufficientemente grave da compromettere le funzioni sociali e occupazionali del soggetto colpito. Spesso i principali sintomi di demenza si manifestano in maniera poco marcata e poco evidente. Esistono però indicazioni per un riconoscimento precoce, quali: - Perdita progressiva e frequente della memoria - Confusione mentale - Cambiamento della personalità - Apatia e ritiro in se stessi - Perdita della capacità di compiere le normali attività della vita quotidiana La demenza senile, per poter essere diagnostica come tale, deve presentare in modo evidente, almeno due tipi di disturbi: Perdita della memoria in un paziente sotto ogni altro aspetto presente a se stesso Almeno un’altra alterazione che interessi una facoltà cognitiva, come il linguaggio, la capacità problem-solving, il criterio di giudizio, la capacità di calcolo, l’attenzione, la percezione, le capacità manuali ecc. Tra le varie tipologie dementigene, si annoverano: - La malattia o morbo di Alzheimer: è la forma più comune di demenza ed è presente nella metà delle persone interessate da deterioramento mentale. E' una malattia degenerativa e progressiva nella quale, soprattutto nelle fasi iniziali, i sintomi sono spesso trascurati poiché molto flebili (come la perdita della memoria, soprattutto a breve termine, o la perdita del filo di un discorso). Col progredire della malattia i cambiamenti diventano molto più evidenti finché, nelle ultime fasi, la persona diventa incapace di badare a se stessa. - La demenza vascolare (nota anche come demenza multi-infartuale) è la seconda causa più comune di demenza. "Multi-infarto" è un termine associato a problemi della circolazione sanguigna cerebrale che causano il deterioramento delle capacità mentali a seguito di molteplici ictus, o infarti, nell'area cerebrale. L'ictus è il risultato di un'interruzione più o meno brusca del flusso sanguigno al cervello per ostruzione di uno o più vasi sanguigni. Conseguentemente, l'area del cervello che veniva irrorata da questi vasi, non riceve più sangue e va incontro a degenerazione e morte. Questi ictus possono causare danni a specifiche aree cerebrali, come quelle del linguaggio, o possono produrre sintomi generalizzati di demenza. La demenza vascolare appare simile al morbo di Alzheimer, tanto che alle volte è difficile scindere l'una dall'altra. - La demenza a “corpi di Lewy”: deve il proprio nome al fatto che, in un gran numero di pazienti alle quali è stata diagnosticata tale patologia, sono presenti delle piccolissime strutture sferiche denominate, appunto, "corpi di Lewy". Si ritiene che questi corpi contribuiscano alla morte delle cellule cerebrali. Al suo esordio la demenza spesso si manifesta in forma lieve ma estremamente variabile da un giorno all'altro. Sintomo tipico di questa demenza sono le allucinazioni visive ed un’estrema sensibilità ai farmaci antipsicotici che provocano irrigidimento degli arti, tremori e limitazione dei movimenti. La demenza a corpi di Lewy può talvolta verificarsi simultaneamente al morbo di Alzheimer ed alla demenza vascolare. - Il Morbo di Pick, come il morbo di Alzheimer, provoca il deterioramento progressivo ed irreversibile delle capacità mentali di una persona nel corso degli anni. È una malattia rara che colpisce la parte frontale del cervello e può essere di difficile riscontro diagnostico. La malattia generalmente insorge tra i 40 e i 65 anni di età. I disturbi della personalità, del comportamento e della parola potrebbero precedere i disturbi della memoria ed essere molto gravi già agli esordi della malattia stessa. - La corea di Huntington è una malattia degenerativa ereditaria del cervello che incide sulle funzioni mentali e fisiche dell'organismo. Insorge generalmente presto, fra i 30 ed i 50 anni di età, ed è caratterizzata dal deterioramento delle funzioni intellettuali e da movimenti irregolari e involontari degli arti o dei muscoli facciali. Altri sintomi includono: cambiamento della personalità, disturbi della memoria, difficoltà nel parlare, incapacità nel formulare giudizi e problemi psichiatrici. Non sono disponibili terapie che possano arrestare l'evoluzione della malattia, ma i farmaci possono tenere sotto controllo i disturbi del movimento ed i sintomi psichiatrici. Nella maggior parte dei casi di corea di Huntington insorge la demenza. - La sindrome di Korsakoff è una demenza legata ad un consumo eccessivo di alcool associato ad una dieta alimentare povera di vitamina B1 e può provocare danni cerebrali irreversibili. Questo tipo di demenza si può però prevenire in quanto, chi assume poche sostanze alcooliche o ne beve entro un giusto limite non ne viene colpito. Le parti più danneggiate dell'encefalo sono il nucleo medio-dorsale del talamo, i corpi mamillari, l'ippocampo e le regioni frontali. Sono pertanto interessate la memoria, la pianificazione, l'organizzazione e la formulazione di giudizi, la capacità sociale e l'equilibrio. L'assunzione della Tiamina (Vitamina B1) pare sia utile per prevenire la malattia e per migliorarne la sintomatologia. La sindrome di Korsakoff può anche far seguito all'encefalopatia di Wernicke. - Il morbo di Creutzfeldt-Jacob (più comunemente conosciuto come morbo della mucca pazza) è una malattia cerebrale degenerativa, estremamente rara e mortale, provocata da una particella di natura proteica chiamata “prione”. Ogni anno si riscontra un caso su un milione. I sintomi iniziali sono caratterizzati da scarsa memoria, cambiamenti comportamentali, mancanza di coordinazione, allucinazioni, mioclonie, ecc... Man mano che la malattia progredisce, solitamente in maniera molto rapida, il deterioramento delle funzioni mentali diventa più pronunciato, la persona può perdere la vista, sviluppare debolezza alle braccia o alle gambe ed infine andare incontro ad una morte inesorabile. 1.5 - Diagnosi clinica delle demenze Nella maggior parte dei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, i primi sintomi si manifestano nel corso della settima decade di vita, ma talvolta ci sono casi di inizio intorno alla mezza età. All’anamnesi può esservi un riscontro di altri casi famigliari, comunque, sia nelle forme famigliari che in quelle sporadiche, i pazienti presentano difetti di memoria: all’esordio si ha un graduale ed insidioso peggioramento della capacità mnestica che caratterizza l’andamento dei primi due anni di malattia. L’amnesia compromette in modo determinante le attività quotidiane: il paziente dimentica gli appuntamenti, non si ricorda le date importanti, non si ricorda dove ripone gli oggetti, continua a fare le stesse domande o a proporre le stesse conversazioni, e, tale sintomo neuropsicologico spesso rimane l’unico per molto tempo. A volte possono comparire altri deficit cognitivi e la combinazione di amnesia e deficit cognitivi permette di porre la diagnosi di “probabile” malattia di Alzheimer. Si possono riscontrare problemi di orientamento ed alcune difficoltà nel ricordare eventi remoti; in questa fase i ricordi autobiografici sono però ancora ben preservati. I test di riconoscimento, essendo nella norma, dimostrano quindi un relativo risparmio dei processi di immagazzinamento e recupero dell’informazione. I deficit linguistici, quando compaiono, hanno inizialmente il carattere di anomie e presentano problemi di denominazione. In alcuni pazienti, dopo poco tempo, si rende evidente un’afasia fluente, accompagnata da difficoltà di comprensione uditiva, dislessia e disgrafia. I disturbi di denominazione sono di natura semantica e sono caratterizzati da sostituzioni lessicali e da circonlocuzioni, mentre più rari sono i disturbi fonologici. Nei pazienti con deficit linguistici, possono comparire anche disturbi spaziali e visuo-costruttivi. Altri sintomi possono essere la difficoltà a risolvere problemi, difficoltà nell’esecuzione di calcoli, errori di giudizio e, naturalmente, incongruenze di a livello di comportamento. In tutti questi soggetti le funzioni mentali si deteriorano e le attività giornaliere, come abbiamo detto, vengono svolte con difficoltà crescente. Negli ultimi stadi della malattia i soggetti non parlano più, diventano incontinenti e sono costretti a letto; la morte interviene, generalmente, in seguito ad altre malattie intercorrenti. Quadri clinici delle demenze L’afasia costituisce la causa principale di interferenza con le attività quotidiane; quando il quadro sintomatologico peggiora possono comparire altri deficit cognitivi. Con il progredire della malattia il deterioramento cognitivo colpisce maggiormente le capacità linguistiche rispetto a quelle mnestiche o spaziali. Il dato anatomopatologico post-mortem mostra più frequentemente forme di degenerazione e atrofia focale localizzate nelle regioni fronto-perisilviane (aree di Wernicke e di Broca) dell’emisfero sinistro, ciò che si dimostra anche con la PET che evidenzia, infatti, ipometabolismo delle stesse regioni. All’inizio il paziente può lamentarsi di vaghi disturbi visivi ed “offuscamento della vista”; successivamente compaiono deficit progressivi del campo visivo e sintomi clinici che possono essere attribuiti al coinvolgimento di una o di entrambe le vie visuo-spaziali, la dorsale e la ventrale, che dai lobi occipitali vanno ai lobi parietali e temporali. I disturbi imputabili ad un danno della via dorsale comprendono la sindrome di Balint (disturbi dell’oculomozione), l’aprassia dell’abbigliamento, il disorientamento spaziale e topografico. La compromissione della via ventrale determina invece difficoltà nel riconoscimento degli oggetti e dei volti; la PET mostra ipometabolismo delle regioni occipito-parietali a livello bilaterale. Si possono osservare anche cambiamenti nell’igiene personale e nell’assunzione di cibo, che può aumentare abnormemente portando il paziente a considerevoli aumenti di peso. Questo è esattamente il contrario di ciò che avviene nelle altre forme di demenza degenerativa, soprattutto nella malattia di Alzheimer, dove generalmente si osserva una perdita, a volte drammatica, di peso corporeo. La sintomatologia appena descritta è compatibile con la diagnosi di frontal lobe dementia, una forma di deterioramento mentale di origine degenerativa il cui dato anatomopatologico fondamentale consiste in un’atrofia focale e alterazioni degenerative non specifiche localizzate prevalentemente ai lobi frontali. 1.6 - La demenza di Alzheimer Nel 1907 Alois Alzheimer descrisse per primo un caso di demenza che porta ora il suo nome: una donna di mezza età aveva presentato disturbi di memoria ed una perdita progressiva delle capacità cognitive; la sua memoria divenne in seguito sempre più precaria, tanto da non riuscire più ad orientarsi neppure in casa. All’autopsia, fu riscontrata quella che oggi viene riconosciuta come la classica patologia che caratterizza il morbo di Alzheimer, vale a dire ammassi neurofibrillari e placche senili localizzati nel neocortex e nell’ippocampo. Dopo la descrizione di questo caso, a questo tipo di demenza presenile fu dato il nome di morbo di Alzheimer, che è la forma più comune di demenza che si osserva attualmente nelle persone anziane. La malattia di Alzheimer è una demenza ad esordio insidioso che va sospettata ogni qualvolta un soggetto al di sopra dei 45 anni di età presenti dei disturbi di memoria lentamente ingravescenti che arrivano ad interferire con le attività della vita quotidiana e a cui si aggiungono in breve tempo altri disordini di natura cognitiva e/o psichiatrica. Al quadro d’esordio tipico caratterizzato da disordini di memoria, accompagnati da altri disturbi delle funzioni strumentali, si associano spesso disturbi psichiatrici. Le anomalie sopra descritte vengono attribuite a lesioni vascolari probabilmente dovute ad una micro-angiopatia che caratterizzerebbe la forma di malattia di Alzheimer senile. Questa micro-angiopatia non sarebbe legata all’angiopatia amieloide, ma, piuttosto, ad un quadro aterosclerotico di origine sconosciuta, visto che lo si ritrova anche in pazienti che non presentano fattori di rischio per le malattie cardiovascolari. I criteri per diagnosticare una probabile demenza di Alzheimer sono: 1. Si è di fronte ad una demenza accertata con l’esame clinico e neuroradiologico; 2. Sono accertati uno o più deficit cognitivi, di cui uno deve essere il disturbo di memoria; 3. Il disturbo della memoria e delle altre funzioni cognitive si rivela essere progressivo; 4. Non ci sono alterazioni della coscienza; 5. L’esordio è tra i 40 e i 90 anni, solitamente dopo i 65 anni; 6. non si riscontrano altre cause sistemiche o affezioni cerebrali che possano rendere conto del quadro clinico. Una volta posta la diagnosi di demenza di Alzheimer, la prognosi è infausta: difatti questa è una malattia maligna che porta a morte in un periodo variabile da 3 a 15 anni. Nei casi tipici, dopo il periodo iniziale caratterizzato dalla sintomatologia neuropsicologica, c’è un periodo in cui possono comparire sintomi neurologici anche gravi, come paresi o paralisi, ed infine un periodo, definito internistico, dove prevalgono le complicazioni mediche della malattia. Il paziente a questo punto è in uno stato cachettico e spesso muore per complicanze polmonari. La malattia di Alzheimer, da un punto di vista macroscopico, è caratterizzata da una diminuzione di peso del cervello, associata ad una atrofia corticale che determina un allargamento dei solchi ed un appiattimento delle circunvoluzioni cerebrali. L’elemento lesionale più importante, fondamentale anche per la diagnosi certa della malattia, è rappresentato dalle alterazioni riscontrabili a livello cellulare e microscopico quali il depauperamento neuronale, le placche senili, la degenerazione neurofibrillare e l’angiopatia congofila. La perdita neuronale è il corrispettivo microscopico dell’atrofia corticale visibile all’esame anatomopatologico e alle indagini strumentali (TAC e RMN), mentre l’angiopatia congofila è il risultato del deposito sulle pareti dei vasi sanguigni della proteina amiloide. Le lesioni più caratteristiche sono però le placche senili e la degenerazione neurofibrillare. La degenerazione neurofibrillare consiste nell’accumulo di filamenti anomali, elicoidali, all’interno delle cellule nervose che non hanno corrispettivo nelle cellule normali. L’esatta natura di questi filamenti non è ancora stata specificata, anche se sembrano associati alla presenza di una proteina che, nel cervello normale, è possibile riscontrare solo durante il periodo fetale. Il cromosoma 21 è anche correlato alla sindrome di Down spesso caratterizzata, verso la fine della vita, da una demenza simile a quella di Alzheimer. Queste osservazioni hanno fatto ipotizzare l’origine genetica della malattia che causerebbe un malfunzionamento del precursore della proteina amiloide e conseguentemente un suo accumulo all’interno delle placche senili. La formazione delle placche determinerebbe una reazione neuronale con formazione dei filamenti tipici della degenerazione neurofibrillare e successiva morte del neurone. Effettivamente l’attività acetilcolinesterasica, cioè l’attività dell’enzima responsabile della sintesi dell’acetilcolina, è molto diminuita nella malattia di Alzheimer. I neuroni che producono l’acetilcolina, situati nelle regioni anteriori profonde del cervello, in particolare nel nucleo basale di Meynert e nei nuclei del setto, nella malattia di Alzheimer sono particolarmente rarefatti. Le basi anatomo-fisiologiche Una zona particolarmente colpita è quella della corteccia entorinale che ha abbondanti connessioni con la regione ippocampale e con le cortecce sensoriali. Molti autori attribuiscono alla disconnessione tra ippocampo e altre regioni corticali, dovuta alla lesione entorinale, i deficit di memoria iniziali dei pazienti con malattia di Alzheimer. Etiologia e diagnosi del morbo di Alzheimer Il medico deve avvalersi della storia clinica raccolta dal paziente e dai famigliari, dall’esame obbiettivo, neurologico e psichiatrico, di test neuropsicologici, di riscontri di laboratorio e anche della visualizzazione cerebrale in vivo (TEP). Le alterazioni dei livelli di particolari proteine nel siero e nel liquido cerebro spinale, come la presenza di peptidi amiloidi, possono rivelarsi assai utili per la diagnosi. Nella maggior parte dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer viene eseguita una tomografia computerizzata (TAC) o una risonanza magnetica per immagini (RMN) sia allo scopo di identificare l’eventuale presenza di altre forme passibili di cura che per mettere in evidenza le modificazioni cerebrali specifiche della demenza di Alzheimer. Nei pazienti affetti da tale forma la visualizzazione cerebrale permette di osservare alcune alterazioni localizzate soprattutto nel lobo temporale mediale, che sono assai utili per formulare la diagnosi. La tomografia ad emissione di positroni (TEP) e la tomografia computerizzata ad emissione di singolo fotone, mostrano generalmente un ridotto flusso cerebrale che, all’inizio, è localizzato nei lobi parietale e temporale, mentre negli ultimi stadi della malattia si estende anche ad altre aree. Il morbo di Alzheimer è una tipica forma neurodegenerativa, caratterizzata da una serie di alterazioni che interessano selettivamente i neuroni di regioni cerebrali specifiche, in particolare del neocortex, dell’area entorinale, dell’ippocampo, dell’amigdala, del nucleo basale, della porzione anteriore del talamo e di parecchi nuclei monoaminergici del tronco dell’encefalo, tipo locus coeruleus. In queste regioni troviamo una significativa riduzione delle proteine sinaptiche. Le lesioni sopra descritte comportano gravi conseguenze cliniche, in quanto si pensa che proprio alle alterazioni della corteccia entorinale, dell’ippocampo e di altri circuiti della corteccia medio-temporale vadano ascritti i deficit della memoria che caratterizzano il morbo di Alzheimer. Anche le lesioni che si osservano nelle aree associative del neocortex possono contribuire alle difficoltà di memoria e ai deficit di attenzione caratteristici della malattia. Viceversa, i disturbi di comportamento e dello stato emozionale che si osservano in alcuni pazienti sono probabilmente connessi all’interessamento della corteccia monoaminergici limbica, del dell’amigdala, tronco dell’encefalo del talamo che e di proiettano vari alla sistemi corteccia dell’ippocampo. Alterazioni del citoscheletro dei neuroni nel morbo di Alzheimer Come abbiamo già detto, l’alterazione più comune del citoscheletro è costituita dalla presenza di matasse neurofibrillari, rappresentate da inclusioni filamentose nei corpi cellulari e nella parte prossimale dei dendriti che contengono sia coppie di filamenti elicoidali che filamenti rettilinei della lunghezza di 15 nm. L’alterazione delle neurofibrille in seguito si estende a tutto il neocortex. Altre alterazioni del citoscheletro interessano gli assoni e le terminazioni assonali ed i dendriti: in entrambi questi tipi di lesioni sono presenti coppie di filamenti elicoidali intracellulari. Le regioni cerebrali colpite dal morbo di Alzheimer contengono anche placche senili in cui si possono osservare depositi extracellulari di sostanza amiloide circondati da assoni distrofici. Le placche senili sono presenti in tutto il neuropilo e nella parete dei vasi sanguigni cerebrali. Gli istologi danno il nome di amiloide ad ammassi fibrillari di filamenti polipeptidici con una conformazione di tipo β e ripiegati in foglietti. Il costituente principale dell’amiloide è un peptide, detto amiloide Aβ: questa sostanza deriva dall’idrolisi di una proteina precursore, di maggiori dimensioni (APP) che è una componente di una famiglia che comprende altre proteine simili; nell’uomo queste sostanze sono codificate da un gene localizzato nella porzione mediana del braccio lungo del cromosoma 21. Profilo neuropsicologico della demenza di Alzheimer Importante operare una distinzione tra funzioni strumentali e funzioni di controllo, poiché la compromissione cognitiva del paziente con demenza di Alzheimer non solo è caratterizzata da deficit che colpiscono entrambe queste funzioni, ma in alcuni casi i disturbi attribuibili al mancato funzionamento delle funzioni strumentali possono essere in realtà riconducibili ad un disturbo primario delle funzioni di controllo. Per funzioni strumentali si intendono quegli aspetti specifici dell’attività cognitiva, tipo linguaggio o prassie, che possono essere riferibili al corretto funzionamento di strutture corticali dell’uno o dell’altro emisfero, la cui lesione non compromette, se non in modi non significativi, il funzionamento delle altre attività cognitive. Per funzioni di controllo si intendono, invece, quelle componenti del sistema cognitivo, come l’attenzione e l’intelligenza, che avrebbero un compito ordinatore sulle altre attività cerebrali. La memoria, secondo molti autori, non avrebbe una collocazione certa. Il morbo di Alzheimer è una malattia altamente complessa ed enigmatica ed è l’affezione più diffusa e la più comune causa di morte dell’anziano. L’accuratezza diagnostica è stata favorita da un nuovo inquadramento clinico e dall’introduzione di nuove strumentazioni. Sono stati fatti, inoltre, nuovi significativi progressi per quanto attiene la comprensione fisiopatologica del morbo di Alzheimer. Sono state identificate mutazioni di diversi geni, che hanno grande importanza nella patogenesi di forme famigliari, come vedremo in seguito; sono stati fatti notevoli progressi nella conoscenza della biologia dei geni e delle proteine che danno origine ai depositi di amiloide ed alle anomalie del citoscheletro dei neuroni. I disordini della memoria Come abbiamo ripetutamente detto precedentemente, i problemi di memoria sono un fattore fondamentale per poter fare una diagnosi di malattia di Alzheimer. Secondo le varie componenti della memoria, il disordine mnestico iniziale si configura come un disturbo episodico, di natura prevalentemente anterograda. Questa disfunzione fa sì che il paziente si dimentichi con estrema facilità anche di ciò che ha fatto durante il giorno. Questo particolare tipo di memoria, la memoria per i fatti della vita quotidiana, viene definita, con termine anglosassone, on going memory. Anche la cosiddetta memoria per il futuro, la memoria prospettica, è disturbata e la sua compromissione si estrinseca con la smemoratezza per gli appuntamenti o per gli impegni presi, che non vengono più rispettati. Il disturbo di memoria peggiora lentamente e progressivamente fino a compromettere anche i ricordi del passato, e quindi interessando anche il comparto della memoria episodica nella sua componente retrograda. Il paziente alzheimeriano presenta un deficit abbastanza precoce della memoria autobiografica, che viene rilevato dagli stessi congiunti. Il disturbo di memoria si presenta con una serie di sfaccettature quali ricordi confusi sul proprio passato e/o trasposizione di eventi e persone che hanno fatto parte della vita del paziente. Anche la memoria per gli eventi pubblici è seriamente compromessa. Nella malattia di Alzheimer si riscontrano anche deficit della memoria semantica. In questo ambito i disturbi di denominazione e le anomie sono quelli di più frequente riscontro. In questa malattia i pazienti cadono anche in prove di fluenza verbale e mostrano dei disturbi specifici di denominazione e riconoscimento di categoria. Altro disturbo caratteristico della malattia, legato alla difficoltà ad accedere alle informazioni contenute nel magazzino della memoria semantica, è la titubanza cognitiva. Questa definizione si riferisce al fatto che i pazienti presentano spesso, anche nelle situazioni più comuni, un comportamento imbarazzato ed incerto, rispetto alle risposte che forniscono, come se si trovassero in una situazione assolutamente sconosciuta, ma non volessero ammettere il loro disorientamento. La memoria procedurale sarebbe abbastanza preservata, sia nella componente retrograda, cioè nella capacità di eseguire strategie già apprese, sia nella sua componente anterograda, cioè nella capacità di apprendere nuove procedure senso-motorie. La memoria a breve termine, per lo meno all’inizio della malattia, presenta lievi compromissioni. Interpretazione dei disordini di memoria nell’Alzheimer I disturbi di memoria sopra citati, possono essere considerati il risultato di disturbi prodotti alle componenti mnestiche da lesioni specifiche, oppure la conseguenza di deficit delle funzioni di controllo, in particolare della funzione attentiva. Nella prima fase della malattia si verificherebbe un’iniziale compromissione delle strutture neurali che sottendono le funzioni strumentali. A lungo andare, la compromissione attentiva si rende sempre più evidente e si rende manifesta la lesione alle strutture prefrontali con una compromissione diretta delle risorse attenzionali. In questo contesto teorico i disturbi della memoria episodica a carattere anterogrado, vengono interpretati come un deficit di codifica della traccia; in altre parole, il paziente elaborerebbe gli stimoli in modo del tutto superficiale per un disturbo delle funzioni di controllo sul processo di codifica. Noi sappiamo che quanto più la traccia mnestica è codificata in modo superficiale, tanto più difficile sarà il suo recupero dalla memoria a lungo termine. Nella malattia di Alzheimer le componenti della memoria che vengono compromesse sembrerebbero colpite in ragione della richiesta attentiva che impongono al paziente, che è massima per i compiti che richiedono l’intervento della memoria episodica, variabile nei compiti di memoria semantica, minima nei compiti di memoria procedurale. I disordini del linguaggio Il coinvolgimento strutturale dell’emisfero sinistro nella malattia di Alzheimer è documentato a livello sia morfologico (TAC e RMN) sia metabolico (PET). Nella malattia di Alzheimer tipica è di frequente riscontro un disturbo del linguaggio che si manifesta in tempi diversi a seconda dei pazienti. La frequenza con cui questi disturbi colpiscono i pazienti è tuttora oggetto di controversie: secondo alcuni studi, i deficit linguistici sarebbero presenti nella quasi totalità dei soggetti, mentre altre casistiche riportano una variabilità tra il 50 e l’80%. All’esordio i deficit del linguaggio possono essere molto lievi, soggettivi, caratterizzati soprattutto da una difficoltà di concentrazione, che si estrinseca nella difficoltà a evocare nomi di uso comune, con il risultato di produrre un linguaggio dal contenuto informativo lievemente impoverito. In una fase avanzata il linguaggio spontaneo diventa sempre più ridotto, con molte anomie e caratterizzato dall’uso continuo di frasi fatte (frasi cliché). Dal punto di vista psicolinguistico i deficit preponderanti sono le anomie, un impoverimento progressivo del lessico, ed un grave deterioramento del livello semantico-lessicale, sia in espressione che in comprensione. Il quadro di compromissione linguistica che si rende manifesto è, per alcuni aspetti, paragonabile ad un’afasia di Wernicke. Ai disordini del linguaggio parlato si aggiungono i deficit del linguaggio scritto. La lettura è solitamente compromessa fin dall’esordio del deficit linguistico, ma risulta essere meno alterata della scrittura. Nelle fasi intermedie della malattia i deficit di lettura e scrittura assumono le caratteristiche delle dislessie/disgrafie superficiali. Anche per i disordini linguistici esiste un danno delle funzioni strumentali da un lato e delle funzioni di controllo dall’altro. Anche il discorso vuoto e ricco di circonlocuzioni può essere attribuito ad un deficit della pianificazione e dell’organizzazione del discorso, dovuto ad un difetto delle strutture gerarchicamente superiori del sistema attenzionale. Lo stesso vale per il deficit di comprensione linguistica, dove il malato alzheimeriano dimostra una crescente difficoltà con l’aumentare della complessità delle frasi a cui viene esposto. Altri disturbi nel morbo di Alzheimer Nel paziente affetto da malattia di Alzheimer è possibile riscontrare anche disordini di tipo motorio complessi, riconducibili alle due forme principali di aprassia: aprassia ideomotoria e aprassia ideativa. Difficilmente i disturbi aprassici si evidenziano nella vita di tutti i giorni, anche se dopo i primi anni di malattia possono manifestarsi dei problemi di ordine esecutivo in alcune “condotte domestiche” che suggeriscono la presenza di un’aprassia di tipo ideativo. E’ facile osservare nei pazienti con malattia di Alzheimer dei disturbi nel riconoscimento visivo degli oggetti che, nella vita di tutti i giorni, si possono manifestare sia con un atteggiamento perplesso di fronte all’oggetto non riconosciuto, sia con un errato uso dell’oggetto manipolato. L’esordio di una demenza alzheimeriana con disordini che rispecchiano una disfunzione delle strutture dell’emisfero destro è molto raro, mentre nella fase conclamata della malattia i sintomi da danno dell’emisfero destro sono praticamente sempre presenti. Particolarmente importanti, anche perché hanno delle ripercussioni nella gestione della vita quotidiana, sono i disordini riconducibili ad un’aprassia dell’abbigliamento, il disorientamento topografico e la prosopoagnosia. Possono anche comparire delle compromissioni dell’esplorazione dello spazio extra-personale assimilabili alle manifestazioni della sindrome di BalintHolmes. Da tutto ciò ne consegue che i disordini spaziali hanno ripercussioni importanti nella vita di tutti i giorni. L’intelligenza nella malattia di Alzheimer Attualmente l’intelligenza non è più vista come il frutto di una funzione unitaria, bensì come l’insieme di schemi comportamentali astratti che vengono messi in azione per affrontare situazioni cognitive e/o ecologiche diverse. Questo insieme di schemi costituirebbe un archivio in continua riorganizzazione dall’età giovanile all’età adulta. In base a quanto sopra detto, si avrebbe, da un lato, un’intelligenza definita fluida, preposta alla costituzione e all’organizzazione degli schemi, e, dall’altro, un’intelligenza definita cristallizzata, preposta alla definizione finale degli schemi. In questo caso i sistemi attenzionali centrali interverrebbero nel controllo di procedure astratte generali, come i meccanismi logici di induzione e deduzione, o specifiche per i diversi compiti (matematiche, linguistiche, ecc.). I deficit intellettivi del paziente con la malattia di Alzheimer, facilmente riscontrabili ai vari test specifici, possono essere interpretati non solo come una difficoltà d’accesso all’archivio che contiene le procedure astratte, ma anche, e soprattutto, come un deterioramento delle procedure astratte stesse, visto che la variabilità delle risposte non sembra essere molto elevata nello stesso paziente da una sessione di test all’altra. Fattori genetici di rischio per il morbo di Alzheimer Per il morbo di Alzheimer sono stati identificati cinque tipi principali di rischio genetico: 1) Mutazioni del gene APP (proteina precursore amieloide) del cromosoma 21 2) Mutazioni del gene della presenilina 1 del cromosoma 14 3) Mutazioni del gene della presenilina 2 del cromosoma 1 4) Una localizzazione degli alleli di ApoE sul braccio prossimale del cromosoma 19 5) Polimorfismo di un gene del cromosoma 12 Una qualunque delle prime tre mutazioni si associa ad una comparsa precoce della forma, fra la terza e la sesta decade di vita. Le altre due alterazioni sono caratteristiche dell’inizio precoce della malattia. Strumenti di valutazione primaria Abbiamo a disposizione varie scale e tests di valutazione per completare la diagnosi ed i più utilizzati sono: Il MMSE (Mini Mental State Examination – Folstein e coll. – 1975) è un test ampiamente utilizzato nella pratica clinica della valutazione delle funzioni cognitive dei soggetti anziani. E’ un test di facile e rapida somministrazione, è attendibile nel determinare il grado del deficit cognitivo e nel monitorarne la progressione in condizioni di demenza. E’ composto da 30 item, in parte verbali, in parte di performance, che esplorano orientamento spaziotemporale, memoria a breve termine, memoria a breve termine, attenzione, comprensione, calcolo ripetizione, mentale, linguaggio (nelle componenti denominazione, lettura e scrittura), di prassia costruttiva. Ripartizione della gradualità di deterioramento mediante il punteggio al test: PUNTEGGIO ESITO 30 – 24 Nessuna compromissione 24 – 20 Sospetta compromissione 19 – 17 Compromissione lieve 16 – 10 Compromissione moderata 9–0 Compromissione grave La scala di Barthel o Indice di Barthel ADL è una scala ordinale utilizzata per misurare le prestazioni di un soggetto nelle attività della vita quotidiana (ADL, activities of daily living). Ogni item delle prestazioni è valutato con questa scala attribuendo un determinato numero di punti che vengono poi sommati determinando un punteggio globale. L'indice analizza dieci variabili che descrivono le attività della vita quotidiana (ad esempio la capacità di alimentarsi, vestirsi, gestire l'igiene personale, lavarsi ed altre ancora) e la mobilità (spostarsi dalla sedia al letto, deambulare in piano, salire e scendere le scale). Ad ogni item viene assegnato un punteggio di valore variabile a seconda dell'item stesso e del grado di funzionalità del paziente: piena, ridotta o nessuna funzionalità. Un punteggio globale più elevato è associato ad una maggiore probabilità di essere in grado di vivere a casa con un grado di indipendenza dopo la dimissione dall'ospedale o da un reparto di lungodegenza. La scala è sostanzialmente uno strumento di valutazione della funzione fisica, ed è particolarmente nota in ambito riabilitativo. Se al paziente, durante la valutazione, sono stati forniti ausili che vanno oltre quelli normalmente disponibili in un ambiente domestico standard, è necessario descrivere in dettaglio quali ausili siano stati concessi ed allegare la dichiarazione all'indice di Barthel. La scala trova ampio utilizzo anche per gli individui inseriti nelle residenze sanitarie assistenziali per valutarne i progressi riabilitativi ed il grado residuo di autonomia. È stato comunque osservato che l'indice di Barthel può essere meno affidabile quando si esegue la valutazione di un paziente con decadimento cognitivo. Anche per il calcolo dell’indice IADL (Instrumental Activities Of Daily Living) si utilizza una scala semplificata che prevede l’assegnazione di un punto per ogni funzione indipendente così da ottenere un risultato totale di performance che varia da 0 (completa dipendenza) a 8 (indipendenza in tutte le funzioni). DSM - IV (diagnostic and statistical manual of mental disorders – manuale di diagnosi e statistica per i disordini mentali) - Criteri diagnostici per la Demenza tipo Alzheimer A. La comparsa di deficit cognitivi multipli contemporaneamente: 1. Compromissione della memoria, con l’incapacità di acquisire nuove informazioni, ossia memoria a breve termine; incapacità di ricordare informazioni che sono state apprese in passato, ossia memoria a lungo termine 2. uno o più dei seguenti disturbi cognitivi: a) afasia (disturbo del linguaggio) b) aprassia (deficit dell’abilità di svolgere attività motorie pur mantenendo intatta la funzione motoria) c) agnosia (incapacità di ricordare o identificare oggetti o persone pur essendo intatta la funzione sensoriale) d) disturbo della funzione esecutiva (pianificazione, organizzazione, sequenzialità ed astrazione) B. I deficit cognitivi in ognuno dei criteri A1 e A2 compromettono significativamente la funzione sociale ed occupazionale e rappresentano un significativo declino rispetto al precedente livello di funzionalità C. Il decorso è caratterizzato da un graduale inizio e continuo declino cognitivo D. I deficit cognitivi nei criteri A1 e A2 non sono in relazione con le seguenti cause: 1. altre condizioni del sistema nervoso centrale che causano progressivo deterioramento cognitivo e della memoria come: malattie cerebrovascolari, morbo di Parkinson, malattia di Huntington, ematoma subdurale, idrocefalo normoteso, neoplasia cerebrale 2. condizioni sistemiche che sono riconosciute come causa di demenza come: ipotiroidismo, deficit da vitamina B12 o acido folico, deficit di niacina, ipercalcemia, neuro sifilide, immunodeficienza da infezione virale 3. condizioni indotte da sostanze come farmaci o altre E. I deficit compaiono esclusivamente durante il decorso di forme deliranti F. Il disturbo non è meglio spiegato da altre patologie psichiche come depressione maggiore o schizofrenia Scala di deterioramento globale per la valutazione della demenza primaria LIVELLO I CARATTERISTICHE CLINICHE Non si riscontra alcuna perdita di Nessun declino cognitivo memoria II Disturbi soggettivi di perdita di Declino cognitivo molto lieve memoria relativamente ai nomi ed ai (dimenticanze) posti in cui sono stati riposti oggetti III Prime lacune; scarsa resa lavorativa; Debole declino cognitivo (confusione difficoltà nel trovare nomi e parole; precoce) perdite di oggetti; ansietà IV Deficit confermato da appositi test; Declino cognitivo moderato scarsa concentrazione; amnesia (confusione avanzata) relative alla storia personale; rinunciatario V Occorre assistenza; amnesie del Declino cognitivo moderato-grave proprio indirizzo e numero telefonico; (demenza conclamata) nomi dei famigliari; disorientamento spazio-temporale VI Amnesia totale per gli avvenimenti Grave declino cognitivo recenti; ha pochi ricordi del suo (demenza moderata) passato; difficoltà di calcolo; necessita di assistenza quotidiana; disturbi di personalità; deliri – ossessioni – ansia – agitazione – aggressività – abulia cognitiva VII Perdita delle capacità verbali; Declino cognitivo molto grave incontinenza; incapacità psicomotoria (demenza avanzata) di base; il cervello è incapace di dire al corpo cosa deve fare Reisberg B et al. The Global Deterioration Scale for the Assessment of Primary Degenerative Dementia, in “American Journal of Psychiatry” n. 139, 1992, pp. 1136-9. Il decorso clinico della malattia di Alzheimer Parti del cervello colpite dalla malattia Cogito, ergo sum René Descartes I primi segni del danno sono al sistema limbico: questo sistema regola la memoria ed il controllo emozionale; il processo mnestico interessa in particolare l’ippocampo; scompaiono i ricordi del passato recente e si ha la compromissione della memoria; si iniziano a notare segni di instabilità emotiva: si hanno rapidi cambiamenti di umore, con alternanze tra euforia ed apatia; i malati non sono in grado di controllare la loro ansia, e sono in un perenne stato di agitazione, di irritabilità ed aggressività. Le persone diventeranno: piagnucolose ed ansiose depresse e sospettose spaventate e frustrate Può rendersi necessaria una terapia antidepressiva e/o ansiolitica e per evitare al paziente ogni forma di stress tutte le attività quotidiane devono essere semplificate. Il danno si estende alla zona parietale: è il centro della percezione spaziale e della concentrazione; le persone colpite non hanno più la capacità di riconoscere i luoghi, gli oggetti ed i volti; possono perdersi facilmente; evidenziano difficoltà sia nell’attribuire ad un oggetto la sua propria funzione sia nell’identificare le persone, soprattutto quelle che non vedono spesso (trattasi di agnosia visiva); possono avere allucinazione e convulsioni e la mancanza di concentrazione le rende facilmente distraibili. Ci si sta per avvicinare ad un punto critico dove anche le facili attività giornaliere, come il vestirsi, la cucina e le attività manuali (aprassia costruttiva) diventano difficili; si avvertono i primi sintomi del deterioramento dell’organizzazione del discorso; i caregiver devono accudire le persone, riducendo lo stress, i rumori e le luci troppo forti; si devono dare loro validi aiuti per favorire l’orientamento e l’ambiente stesso di vita deve essere il più semplice possibile. Il danno continua: coinvolgimento del lobo temporale, che è il centro della parola e del controllo del linguaggio; la comunicazione rende l’essere umano unico e la perdita di questa capacità fa scivolare l’individuo in una sorta di limbo, altri parlano per lui, contribuendo così, involontariamente, al suo diventare “invisibile”. Danni al lobo temporale causano: dimenticanza per i nomi difficoltà nel trovare la parola giusta perdita del filo del discorso eloquio stentato e telegrafico (afasia di Broca) compromissione del linguaggio scritto e parlato L’ammalato inizia a perdere anche la cognizione del tempo, tutto diventa confuso, avvolto da una nebbia fitta e “pesante” che provoca nella persona un profondo senso di frustrazione. Danno al lobo occipitale: è la zona responsabile dei processi e dei significati visivi; la visione periferica è danneggiata e lo sguardo sarà solo più fisso davanti a sé; si perde la capacità di seguire gli oggetti in movimento e di guardare e capire la televisione; l’agitazione cresce, si è sempre più disorientati, fino a manifestare comportamenti violenti; la sensazione di malessere provata è ormai generale. Danno alla parte motoria: si evidenziano difficoltà nell’iniziare (aprassia) e nel completare i movimenti; si possono evidenziare difficoltà di deglutizione (disfagia); la postura si modifica, la persona è inclinata lateralmente, trascina i piedi, lamenta segni di debolezza muscolare (ipotonia) con la relativa compromissione dell’equilibrio Il danno alla regione occipitale prosegue: si acuiscono i disturbi visivi arrivando a distinguere solo più contrasti; la persona inizia a soffrire di “cecità mentale”: è per tanto incapace di distinguere la notte dal giorno arrivando a stare sveglia di notte e a dormire durante il giorno. Il danno al sistema limbico prosegue: l’ipotalamo si distrugge completamente, viene così a mancare il controllo della temperatura, della sete e della fame con una serie di conseguenze molto problematiche: ci deve essere un monitoraggio costante della temperatura corporea, dello stato di idratazione e dell’assunzione di cibo, in quanto si manifesta la tendenza a mangiare qualsiasi cosa. Danno alla zona prefontale: si accentuano i problemi di pianificazione motoria e i danni visivi sono sempre maggiori per l’insorgere del neglect del campo visivo, con la conseguente incapacità di essere cosciente di una parte del campo visivo (quasi sempre il sinistro), per tanto la persona potrebbe non vedere il cibo o le bevande poste ad un lato del tavolo; l’aprassia è ormai grave e non si riesce più a far fare al proprio corpo ciò che si desidera. Danno al lobo frontale: verso la fine della malattia il lobo frontale cessa lentamente di funzionare con la relativa perdita delle funzioni cognitive, quali la formazione del pensiero, il ragionamento, il giudizio, il pensiero astratto e la coscienza sociale; la persona non è più in grado di provare interesse per gli altri, diventa disinibita nelle sue azioni ed ha un ridotto giudizio sociale. Danno al cervelletto: in questa fase viene a mancare il controllo di alcuni sistemi involontari, come le funzioni di coordinazione e di equilibrio; ormai la morte non è lontana; si verifica un’irreversibile perdita di peso, il corpo non reagisce più; i sensi sono compromessi in modo irreversibile e la morte sopraggiunge a causa di un’infezione urinaria o polmonare. Scala di sviluppo inverso: corrispondenza delle fasi della malattia di Alzheimer con l’età funzionale Fase I Fase II Non discernibile Funziona come un adulto Fase III Deficit sul lavoro Funziona come un giovane adulto Fase IV Fase V Richiede aiuto per Da 8 anni compiti complessi all’adolescenza Demenza Da 5 a 7 anni moderatamente severa Fase VI Demenza severa, Da 24 mesi a 5 anni necessita assistenza per la cura personale Fase VII Demenza molto severa; Da 4-12 settimane a 15 necessita di assistenza mesi totale Come si cura: la terapia farmacologica Agli inizi degli anni Settanta non c’erano farmaci per la cura della malattia di Alzheimer ed i malati, quando ricoverati, era accuditi nell’igiene e nell’alimentazione, facendo attenzione che non provocassero danni a sé e/o agli altri. Il 1980 è stato l’anno del cosiddetto “giro di boa”, in quanto c’è stata negli Stati Uniti l’approvazione del primo farmaco per il trattamento della malattia di Alzheimer, la tacrina, che ovviamente ha riacceso le speranze sia dei famigliari che della classe medica stessa. Purtroppo l’elevato grado di tossicità di questo nuovo farmaco ha fatto si che venisse presto abbandonato, ma nonostante tutto ha contribuito a risvegliare un nuovo atteggiamento ed una nuova consapevolezza: la malattia di Alzheimer può essere curata! La conseguenza è stata una tacita alleanza tra mondo scientifico e mondo industriale con il comune obiettivo di affrontare insieme questa grande sfida e cercare di sconfiggere questa malattia, come si era fatto in passato per il cancro e l’AIDS. I farmaci oggi disponibili fanno parte della categoria degli anticolinesterasici e sono tre: donezepil (Aricept, Memac) rivastigmina (Exelon, Prometax) galantamina (Reminyl) Tutti agiscono aumentando i livelli di acetilcolina nel cervello favorendo così la trasmissione dell’impulso nervoso; utilizzati nelle fasi di malattia medio-gravi, è riscontrato che la loro efficacia si registra nel 60-70% dei pazienti trattati, e favoriscono l’attenuazione dei sintomi ed il rallentamento della malattia. Sicuramenti non si tratta di nulla di miracoloso, anzi, occorre precisare che questi farmaci hanno effetti collaterali dannosi, soprattutto a carico dell’apparato gastrointestinale e nervoso, causando rispettivamente vomito, nausea, diarrea, sonnolenza, agitazione e confusione; il malato in cura può quindi diventare irascibile e aggressivo e, in questi casi, non si devono tassativamente somministrare sedativi, ma sovente basta ridurre il dosaggio del farmaco somministrato o utilizzarne un altro appartenente alla stessa categoria. Di recente sul mercato è stato introdotto un altro medicinale consigliato per le fasi più avanzate della malattia: la memantina (Axura, Ebixa) ma gli effetti positivi riscontrati sono molto limitati. Spesso i malati di Alzheimer evidenziano disturbi psicologici e comportamentali BPSD (Behavioural and Psychological Signs and Symptoms of Dementia) per i quali vengono utilizzati gli stessi farmaci utilizzati anche da chi non soffre di demenza e sono: antidepressivi ansiolitici ipnotici (per i disturbi del sonno) antipsicotici (neurolettici) utilizzati soprattutto quando i disturbi sono tali da rendere insopportabile la vita in famiglia o in comunità Prima di ricorrere all’utilizzo dei farmaci nel trattamento per i disturbi comportamentali, occorre verificare se tali comportamenti anomali dipendono solo dalla malattia o se sono causati da altri fattori che possono essere trattati senza il ricorso ai farmaci; questi fattori possono essere: fattori che dipendono da qualcosa che non va nel malato: le cause possono essere stitichezza, ritenzione urinaria, un dolore che il malato non riesce a descrivere…. fattori che dipendono da qualcosa che non va nell’ambiente: possono essere causati da un ambiente troppo rumoroso, con scarsa o troppa illuminazione…. fattori che dipendono da qualcosa che non va nel caregiver: può avere un atteggiamento troppo protettivo o essere talmente stressato da non avere la giusta pazienza per trattare il malato fattori che dipendono da qualcosa che non va nella terapia farmacologica: può causare effetti sfavorevoli, come confusione e deliri ma, in alcuni casi, la semplice sospensione della terapia per un paio di giorni può risolvere la situazione In tutti i casi sopracitati occorre SEMPRE imparare ad agire sulle cause e MAI sugli effetti e, in particolar modo, quando ci si accorge che il malato cambia umore e comportamento in modo repentino ci si deve interrogare se c’è qualcosa che non va nel malato stesso, nell’ambiente, nel caregiver o nella terapia utilizzata. 1.7 - La terapia non farmacologica Parte da un nuovo concetto più ampio di CURA; la terapia farmacologica cura, nel senso di guarire, mentre la terapia non farmacologica cura nel senso di PRENDERSI CURA; per tanto la cura può essere rivolta alla malattia o al malato, può essere rivolta contro un virus o può essere mirata alla qualità della vita della persona malata; queste due tipologie di cura devo trovare la giusta sinergia tra loro per avere come obiettivo finale il bene della persona malata accompagnandola nel suo percorso. Come precisato, la terapia non farmacologia si occupa della qualità della vita con trattamenti mirati al benessere del malato; la scelta dei singoli trattamenti deve essere fatta nel rispetto della volontà della persona malata e deve essere in grado di modificarsi nel corso dello sviluppo della malattia. Le terapie non farmacologiche maggiormente utilizzate sono: terapia di orientamento nella realtà (Reality Orientation Therapy ROT): La Rot e una tecnica di riabilitazione psicogeriatrica definita da James Folsom e Lucille Taulbee nel 1966, che indirizza i suoi interventi a stimolare le funzioni cognitive del soggetto e con la quale ci si prefigge di riorientare il paziente confuso rispetto all’ambiente, al tempo ed alla propria storia personale. In pazienti affetti da compromissione cognitiva lieve si dimostra efficace nel rallentare l’evoluzione della malattia migliorando sensibilmente le risposte dei soggetti alle domande di orientamento. Il suo costante utilizzo, inoltre, dà un senso e uno scopo all’attività di chi assiste, cura e promuove un’atmosfera di coinvolgimento anziché di apatia e di indifferenza. Esistono due principali modalità di ROT: informale e formale. La Rot informale prevede un processo di stimolazione continua che implica la partecipazione degli operatori socio-sanitari e dei familiari, i quali, durante i loro contatti col paziente nel corso della giornata, gli forniscono ripetutamente le informazioni. Fin dal risveglio è utile comunicare informazioni sul giorno, la stagione, il nome dei familiari. La continua ripetizione di indicazioni e notizie aiuta il malato a conservarle maggiormente nel tempo. Tutti coloro che avvicinano il paziente disorientato, siano essi educatori, infermieri, assistenti, terapisti, medici, parenti, volontari, dovrebbero sfruttare ogni occasione delle giornata per mettere in atto questa forma di terapia. Ogni attività quotidiana costituisce un’opportunità di conversazione. Le stimolazioni sensoriali hanno l’obiettivo di coinvolgere nella loro globalità le capacità ancora integre del soggetto per riportarlo nel “qui e ora”: si incoraggiano le risposte e le ripetizioni, si usano le esperienze passate come aggancio al presente o agli eventi quotidiani. Sarà accortezza dell’operatore condurre il dialogo in modo equilibrato tra la difficoltà delle domande e il ridimensionamento delle risposte scorrette del paziente, al fine di non creare inutili frustrazioni. L’operatore deve essere sicuro di avere informazioni aggiornate e corrette sui pazienti, per esempio dove hanno abitato, la loro età, le circostanze familiari e gli eventi importanti accaduti La ROT formale è un intervento complementare al primo; vengono fatte delle sedute giornaliere di 45 minuti in gruppi di 5-6 persone con un grado di deterioramento omogeneo. Durante le sedute un operatore impiega una metodologia di stimolazione standardizzata, finalizzata a ri-orientare il paziente rispetto alla propria vita personale, all'ambiente ed allo spazio. terapia della Reminescenza: o Life Review Therapy (terapia dei ricordi della vita) si fonda sulla naturale tendenza dell'anziano a rievocare il proprio passato; il ricordo e la nostalgia possono essere fonte di soddisfazione e di idealizzazione per cui al ricordo non sono più attribuite valenze negative. L' obiettivo consiste nel favorire questo processo spontaneo e renderlo più consapevole e deliberato. La reminiscenza è oggi vista come aiuto strumentale per risolvere conflitti del passato, mantenere un ruolo sociale e favorire l'autostima. La reminiscenza è indicata come terapia finalizzata ad aiutare l'anziano a superare conflitti irrisolti, gestire le precedenti perdite, riconoscere ed apprezzare le proprie risorse interiori e trovare significati nelle precedenti esperienze che possano adattarsi al presente. Non è solo un raccontare storie insieme ad altri, ma si tratta di riviverle, con-parteciparle con il gruppo, emozionandosi ed usando tutti i sensi; ricordare insieme è una pratica attiva e creativa che oltre a poter vincere l’isolamento dalla famiglia restituisce al malato il suo bisogno di essere riconosciuto come persona. memory intervention: terapia centrata sulla stimolazione graduale della capacità mnestiche autobiografica; nelle vengono varie forme: utilizzate semantica, informazioni procedurale, personali e di orientamento temporale, favorendo la partecipazione attiva da parte del paziente; per quanto riguarda la memoria procedurale vengono proposte attività che rispecchiano la normale vita quotidiana, soprattutto relative all’igiene quotidiana (lavarsi le mani), la preparazione della tavola e la preparazione di cibi e bevande. terapia della Rimotivazione: ha lo scopo di rivitalizzare l’interesse del malato per gli stimoli esterni, spingendolo a relazionarsi con gli altri e a discutere con loro. Ad interventi specifici relativi alle prestazioni mnesiche si affiancano comportamentale anche interventi finalizzati al controllo terapia della Validazione (Validation Therapy): trattasi di un approccio terapeutico sviluppato da Naomi Feil tra il 1963 ed il 1980, che sembra essere di aiuto al fine di migliorare la relazione interpersonale con gli anziani giunti ad uno stadio avanzato della patologia. La Validation therapy può essere applicata sia individualmente sia in gruppi (5-10 partecipanti) che si incontrano regolarmente. Tramite la verbalizzazione dei propri sentimenti e delle proprie emozioni, condivise dal terapista e dai compagni di gruppo, il paziente può recuperare l'autostima accanto alla percezione di essere accettato come soggetto capace di espletare relazioni significative. La Validation therapy di gruppo prevede una sessione alla settimana nella quale ciascun membro svolge un ruolo specifico da concordare all'inizio della terapia. L'incontro di gruppo, della durata variabile di 30-60 minuti, prevede abitualmente quattro momenti ben distinti dedicati alla musica, al colloquio, all'esercizio motorio ed al cibo. Anche in questo caso la reminiscenza in senso stretto è affiancata da interventi di stimolazione che possono favorire l'interazione tra i pazienti ed i terapisti. terapia con piccoli animali (Pet therapy): questa terapia ha mostrato effetti benefici sui malati di Alzheimer, in quanto la presenza di animali domestici si riflette positivamente su alcuni parametri comportamentali e cognitivi dei pazienti; il rapporto animale-uomo, di tipo affettivo ed emozionale si è mostrato efficace a livello fisiologico, in quanto è stato riscontrato che accarezzare e spazzolare l’animale, porgergli piccoli bocconi e camminare tenendolo al guinzaglio, favoriscono l’abbassamento della pressione sanguigna ed il rallentamento della frequenza cardiaca. musicoterapia: a livello individuale o di gruppo è rivolta a pazienti con un gradi di deterioramento cognitivo moderato-severo e con problemi comportamentali. In presenza di deficit linguistici il linguaggio sonoromusicale può rivelarsi un’utile risorsa espressiva e comunicativa. Il laboratorio di musicoterapia è principalmente di tipo recettivo, basato, cioè, sull’ascolto della musica ed orientato al rilassamento, alla riduzione della vocalizzazione, alla facilitazione dell’addormentamento ed alla conciliazione del sonno; la musica trasmette informazioni non verbali che risultano conservate anche nelle fasi più avanzate della malattia riuscendo così a recuperare intonazioni, frasi e suoni famigliari del paziente, riattivandone la memoria e potenziandone l’autostima. arte-terapia: trattasi di una tecnica terapeutica non verbale che si avvale dell’uso di materiali artistici finalizzati alla creazione di un oggetto che rappresenta il mondo interno del soggetto, la sua vita psichica. Questa terapia si pone una serie di obiettivi: stimolare le capacità mnestiche, cognitive e motorie; migliorare il livello emotivo ed affettivo ed alleviare i sintomi depressivi e/o ansiosi. Durante una seduta di arte-terapia il paziente ha la possibilità di esternare il proprio mondo interiore, rievocando esperienze piacevoli con il conseguente rinforzo del senso di identità. giardinaggio e orticoltura: innaffiare e prendersi cura dei fiori, piantare ortaggi, occuparsi del giardino e dell’orto può essere un’attività stimolante per il malato in quanto gli permette di sentirsi ancora utile e capace. La Stanza Bianca o “Snoezelen® Room”: è una tecnica di rilassamento multi sensoriale; viene chiamata stanza bianca in quanto, sovente, le pareti e gli arredi sono bianchi o in tinta pastello per interferire il meno possibile con le luci proiettate all’interno. E’ uno spazio raccolto nel quale sono predisposte apposite apparecchiature atte alla stimolazione sensoriale; generalmente sono così allestite: per la stimolazione della vista: faretti, proiettori di immagini, fili i fibre ottiche, sfera di specchi al soffitto, tubi d’acqua colorata con bolle per la stimolazione del tatto: tessuti e cuscini in differenti materiali e temperature; palloni e poltrone vibranti per la stimolazione olfattiva: diffusori di aromi, deodoranti per ambienti, profumi e dopobarba per la stimolazione uditiva: diffusione di musica di vario genere, registrazione di suoni della natura (onde, pioggia, cinguettio) per la stimolazione gustativa: cibi e bevande di vario genere per la stimolazione vestibolare: amache, poltrone e sedie a dondolo 1.8 La prevenzione La demenza di Alzheimer incute molta paura e, certamente, una vita sana ed un buon esercizio fisico e mentale contribuiscono a tener allenati fisico e cervello; l’American Alzheimer Association ha stilato 10 “regole d’oro” che si dovrebbero mettere in pratica, o, almeno provarci: 1. la testa innanzitutto: la salute inizia dal cervello 2. dal cervello al cuore: quello che fa bene al cuore fa bene anche al cervello 3. i numeri che contano: controllare peso, pressione, colesterolo e glicemia 4. nutrire bene il cervello: assumere sostanze antiossidanti (pesce, pollo, frutta) 5. far lavorare il corpo: l’attività fisica ossigena il sangue 6. stimolare la mente: mantenere il cervello attivo e impegnato 7. avere rapporti sociali: avere attività nel tempo libero (socializzare, volontariato) 8. attenzione ai colpi: attenti alle cadute, usare le cinture ed il casco 9. essere saggi: evitare le cattive abitudini come bere e fumare 10. guardare avanti: iniziare fin da oggi a preparare il proprio domani 2.RESIDENZIALITA’ E CURA PER LA DEMENZA DI ALZHEIMER 2.1 – Preparare l’entrata nella struttura Il ricovero in istituto è uno dei momenti più difficili che i malati di demenza ed i loro famigliari devono affrontare. Esso comporta un distacco doloroso dalle persone care, una separazione che si preferisce sempre rimandare. Tuttavia, quando la malattia è ad uno stadio avanzato, il ricovero in una struttura medicalizzata diventa l’elemento più importante per prendersi cura del malato. Affinché questo passaggio tra il Mondo del Prima ed il Mondo del Dopo (P. Vigorelli) avvenga nel modo più sereno possibile, si dovrebbe affrontare il problema con il dovuto anticipo. Sicuramente le persone affette da demenza ed i loro famigliari curanti vorrebbero poter vivere insieme il più a lungo possibile; molti famigliari si ribellano al solo pensiero di dover affidare il loro caro alle cure di estranei, vengono assillati dai sensi di colpa, per dover abbandonare il loro caro in una struttura sentendosi anche dei falliti per non essere stati in grado di badare al proprio congiunto. Molte saranno le domande che assilleranno la loro testa: potrò permettermi questa spesa? Riuscirò a trovare l’istituto ideale? Il personale sarà comprensivo e amorevole? Se è vero che il ricovero in istituto stravolge le abitudini del malato e porta con sé numerose incognite; non dobbiamo però dimenticare che quando la malattia da demenza raggiunge un stadio avanzato il ricovero in una casa di cura medicalizzata è la soluzione più giusta per garantire al malata un’assistenza adeguata. La struttura medicalizza offre ai famigliari la possibilità di alleggerirsi dall’affaticamento dovuto dalla malattia del proprio caro, favorendo un incontro con lui in un’atmosfera più tranquilla e serena. I famigliari che si occupavano dell’assistenza ora non sono più soli, e anche se il malato non vive più in casa avrà sempre bisogno delle attenzioni, dell’amore e delle cure della sua famiglia che resterà sempre e comunque il suo punto di riferimento. E’ noto che il tempo che intercorre tra il primo contatto con la Casa per Anziani ed il giorno del ricovero dipende dalle realtà locali. In questo lasso temporale, definito tempo di mezzo, la famiglia è ancora sola ad affrontare le ansie ed i problemi che la scelta dell’istituzionalizzazione comporta. Per non turbare ulteriormente l’anziano evitandogli sofferenze aggiuntive si tende a scivolare in una realtà parallela basata sul segreto che, alla resa dei conti, crea più sofferenze di quelle che vorrebbe evitare. Fin dall’inizio viene minimizzato o nascosto il problema e quando l’anziano manifesta i propri timori e vorrebbe dire la sua opinione, c’è sempre qualcuno pronto a tranquillizzarlo e a negare l’esistenza del problema stesso e quando si parla di ricovero ci si affretta a precisare che sarà per un breve periodo, in quanto trattasi di una situazione temporanea. Si mettono così in moto numerose, anche se amorevoli, falsificazioni che impediscono all’anziano di capire quello che succede, impedendogli di decidere su un qualcosa che riguarda lui stesso. Inizia così per l’ammalato un processo di isolamento e di estraneazione che lo porterà ad allontanarsi dalla realtà in cui vive. Il risultato finale sarà l’instaurarsi o l’aggravarsi di vari disturbi psicologici e comportamentali quali: isolamento – tristezza – disorientamento – diminuzione dell’autonomia (excess of disability). Le conseguenze di questo voler nascondere a tutti i costi “a fin di bene” non colpiscono solo l’anziano ma il caregiver stesso viene gravato sia del senso di colpa del ricovero sia del senso di colpa di dover dire continue menzogne; il segreto nato per risolvere un problema ne crea un altro diventando così fonte di angoscia e sofferenza. Occorre, per tanto, neutralizzare l’azione tossica che il segreto porta con sé utilizzando trasparenza e sincerità da dosarsi, ovviamente, nei tempi e nei modi che la specifica situazione richiede. Come detto il momento del ricovero divide la vita dell’anziano in parti: il mondo del prima e il mondo del dopo. E’ risaputo che l’accoglienza ed i primi istanti dopo il ricovero definiscono la qualità del ricovero stesso e delle relazioni interpersonali, influenzando tutto il tempo successivo. L’Approccio capacitante del Prof. Vigorelli studia e sperimenta proprio una modalità di accoglienza che possa favorire fin dall’inizio una convivenza sufficientemente felice tra ospiti, operatori e famigliari. Con l’approccio capacitante la struttura stessa ed i singoli operatori possono dotarsi di strumenti progettuali per riconoscere e tener vive la Competenze elementari degli ospiti, anche di quelli con deficit cogniti mediogravi, che sono: la competenza a parlare e a comunicare, la competenza emotiva e la competenza a contrattare e a decidere. Con l’ingresso in struttura la persona anziana entra in un contento sconosciuto nel quale vengono soddisfatti i suoi bisogni primari ma dove, spesso, non ha più l’opportunità di essere l’attore principale della propria esistenza. Purtroppo, varcare la soglia di una casa per anziani significa, il più delle volte, lasciare fuori i propri ricordi, i legami affettivi, la propria storia. La conseguenza di tutto questo è l’innescarsi di un graduale processo di depersonalizzazione, nel corso del quale l’ospite per progressivamente le capacità sviluppate, diventa silenzioso, apatico e privo di iniziativa. Per evitare tutto ciò occorre programmare interventi mirati al miglioramento della qualità della vita, che siano in grado di rimettere in primo piano la persona anziana, dandole la possibilità di esprimere se stessa e la sua storia in quanto uno dei bisogni fondamentali del vecchio ospitato in struttura è di sentirsi riconosciuto come persona. Si deve cercare di instaurare con l’ospite una relazione empatica in grado di offrire affetto e colore all’esistenza delle persone anziane in struttura. Nel prendersi cura dei soggetti anziani è fondamentale non avvalersi solamente delle terapie farmacologiche, né di modelli terapeutici specifici, ma occorre avvicinarsi a loro con un approccio il più possibile eclettico, combinando metodologie differenti, utili sia per la prevenzione che per la riabilitazione cognitiva. L’obiettivo finale che ogni struttura assistenziale per anziani dovrebbe avere è quello di “cercare di aggiungere più vita agli anni e non più anni alla vita” (Mons. Mariano Magrassi). Questo obiettivo si fonda sulla messa in atto di processi attraverso i quali le persone riscoprono la capacità di abitare “il tempo che vivono”. Occorre, per tanto, aiutare le persone a dare nuovamente un senso alla loro vita, indipendentemente dalla loro situazione psico-fisica, considerandole come ESSERI PROGETTUALI, in continuo divenire; in ogni età esiste un compito evolutivo e, nell’anzianità, la persona è chiamata a fare il resoconto della propria vita, attraverso la rielaborazione della propria esperienza passata, ed è proprio da questa elaborazione che dovrà poi trarre le energie necessarie per prepararsi serenamente al congedo dalla vita (Teoria dei cicli vitali di Erikson). Ogni persona nell’arco della sua esistenza deve continuamente mettere in atto le proprie risorse per adattarsi alle nuove condizioni di vita che cambiano inesorabilmente nel tempo. 2.2 - La riabilitazione degli anziani con deterioramento mentale “Le parti del corpo dotate di una funzione, se esercitate con moderazione e impegnate in attività per loro abituali, si mantengono sane e invecchiano più lentamente; se, invece, vengono lasciate inattive presentano difetti di sviluppo, si ammalano facilmente e invecchiano rapidamente” Ippocrate “L’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare” George Bernard Shaw La riabilitazione psicologica nella demenza è una specie di percorso multidisciplinare integrato che coinvolge il malato, i famigliari e l’équipe di professionisti che operano nella struttura e che utilizza tecniche specifiche rivolte alla persona, all’ottimizzazione dell’ambiente e al sostegno del caregiver. Gli obiettivi principali che la riabilitazione si pone sono quello di limitare le conseguenze della malattia, di migliorare la prestazione cognitiva e funzionale e di migliorare il tono dell’umore ed il comportamento; cerca, allo stesso tempo, di far acquisire all’ospite il massimo grado di indipendenza consentito dallo stadio della malattia, tramite il mantenimento ed il potenziamento delle abilità residue; dovrebbe anche favorire il rallentamento del decadimento cognitivo favorendo la ricostruzione di un nuovo equilibrio in grado di migliorare la qualità della vita di paziente e caregiver. Un programma riabilitativo efficace si basa soprattutto: sulla preparazione psicologica degli operatori su di un contesto di cura rassicurante, confortevole e famigliare sul sostegno ai famigliari dell’ospite Da studi longitudinali effettuati si evidenzia il fatto che non c’è un unico elemento determinante nel migliorare la situazione dei pazienti affetti da demenza, ma un lavoro efficace è svolto integrando attività fisica e stimolazione cognitiva in modo prolungato e giornalmente. Un ipotetico protocollo riabilitativo per un anziano soggetto da demenza di Alzheimer ospitato in una RSA può essere così realizzato: 1. al mattino l’operatore si preoccupa di supervisionare o assistere l’anziano nella pulizia e cura del corpo fino alla vestizione, chiedendo ad esempio all’ospite che cosa si usa per lavarsi, con che cosa vi si asciuga, ecc… 2. se il paziente è in grado di deambulare in autonomia supervisionarlo/assisterlo nell’arrivare alla mensa; 3. nella mattinata, dopo la colazione, lasciare del tempo per eventuali bisogni fisici, abituandolo a farlo andar in bagno ad ore ben precise così che anche durante la notte il soggetto non si sporchi e crei sia confusione mentale che alterazioni del comportamento; 4. è importante che nella mattinata l’anziano possa fare del movimento per almeno 30 minuti. Se è possibile che un caregiver o un parente porti il soggetto demente al di fuori della struttura, per una camminata anche sostenuta; oppure, sarà il fisioterapista che porterà il paziente in palestra per fargli fare cyclette o una camminata tra le parallele. Anche in questo contesto un ruolo predominante è ricoperto dalla stimolazione verbale. Eventualmente favorire l’inserimento della persona in un gruppo, anziché effettuare un trattamento singolo, per favorire la socializzazione e poter fare, allo stesso tempo, un lavoro utile, omogeneo e, soprattutto, eseguibile da tutti. Nel caso di anziani in carrozzina, si può eventualmente iniziare la seduta con esercizi mirati alla parre superiore del corpo e dividere successivamente il gruppo per consentire agli anziani con una maggiore autonomia di svolgere gli esercizi mirati agli arti inferiori. 5. dopo il training fisico e mentale occorre far seguire un periodo di riposo con eventuale piccolo break (latte, thè, ecc..). Dopo questa pausa di tranquillità e di rilassamento mentale è il momento di portare l’anziano ad un gruppo di comunicazione con suoi pari o con suoi coetanei. Anche qui l’argomento del trattamento deve essere guidato da un operatore capace e preparato (fisioterapista, logopedista, psicologo, terapista occupazionale, O.S.S.). La durata del trattamento può variare dai 30 minuti all’ora in base alle esigenze del gruppo. In questo trattamento, oltre ad una conversazione controllata, e guidata, eventualmente si possono seguire le notizie di un quotidiano e/o far rievocare ricordi passati degli anziani. In questo contesto l’obiettivo, oltre alla memoria, deve essere quello di far capire agli anziani le regole del gruppo, l’ordine in cui si deve parlare, la coerenza della discussione. 6. eventualmente il momento di gruppo può essere sostituito da un trattamento personale, più mirato alle abilità dell’anziano che si stanno perdendo in maniera rapida ed evidente. La durata, anche in questo caso, sarà dalla mezz’ora all’ora, in funzione delle condizioni del soggetto; 7. il pomeriggio deve essere scandito con ritmi più blandi per favorire anche il riposo psico-fisico dell’anziano per non stancarlo facendolo diventare irascibile e poco gestibile da tutto il personale; si possono anche prevedere pomeriggi di ANIMAZIONE: l’etimologia di questo termine vuol dire DARE ANIMA, INFONDERE VITA, METTERE IN MOVIMENTO, AGIRE CON ANIMA e le attività di animazione in una casa di riposo sono proprio specifiche attività ludico-ricreative pensate per “far trascorrere il tempo agli anziani” 8. il terapista può nuovamente riprendere in carico l’ospite per portarlo in palestra e fargli fare ancora almeno 30 minuti di esercizio fisico; in genere al pomeriggio è consigliabile una attività più tranquilla per non affaticare ulteriormente l’anziano con altre. Eventualmente si consiglia di sostituire l’esercizio fisico con un training facile di rievocazione mnemonica utilizzando uno “spaced-retrieval” 9. se possibile, anche nel pomeriggio si dovrebbe inserire un’attività di gruppo molto semplice in per facilitare la rievocazione di ricordi o sensazioni piacevoli per l’ospite; eventualmente proporre ad un gruppo di pazienti la realizzazione di gruppi di anziani lavoretti in vista delle festività o di un avvenimento importante per la struttura. Se il paziente ormai non è più in grado di compiere azioni complesse come il ritaglio di un’immagine, perché non riconosce più le forbici o perché non riesce a seguire la figura, lo si deve comunque tenere occupato dandogli un compito facile da eseguire, come raccogliere, ad esempio, ritagli di carta da buttare. 10. dopo cena, è importante che l’operatore controlli il paziente stimolandolo a cambiarsi da solo, rispettando i suoi tempi e cercando di guidarlo per non farlo entrare in confusione e far si che possa andare a dormire sereno e contento per l’operato della giornata. Questa è una operazione da non sottovalutare in quanto una nottata passata male è la premessa di una giornata vissuta peggio, in quanto il non riposo compromette il buon andamento del giorno successivo. Questo è un esempio di protocollo che può essere utilizzato in una struttura protetta, con pazienti che non siano così debilitati da rimanere confinati a letto. Rimane tuttavia un esempio, ma sicuramente lo si può utilizzare come scaletta giornaliera da seguire per non lasciare l’anziano abbandonato davanti ad una televisione o in un angolo, relegandolo a strutture tipo “ghetto” e lamentandosi della sua continua irritabilità e della sua incapacità di relazionarsi col personale e con gli altri anziani. Purtroppo, ad oggi, non ci sono ancora strumenti efficaci in grado di dire ad un paziente affetto da demenza di Alzheimer ed ai suoi famigliari che potrà migliorare e, eventualmente, guarire; possiamo solo accompagnarlo nella sua convivenza con questa patologia facendolo sentire ogni giorno una persona che non sta “perdendo i pezzi”, ma che invece ha sempre modi nuovi per poter sfruttare ancora tutto ciò che gli resta. E’, al momento, compito di tutti i professionisti che operano con questa tipologia di anziani cercare di concentrarsi nel far stare bene l’anziano proponendogli attività ogni giorno diverse, ma sempre potenzialmente efficaci, tenendo sempre bene in evidenza gli elementi causa di agitazioni e preoccupazioni per poter rendere il trattamento più efficace e sereno. 2.3 - L’assistenza psicologica nelle residenze per anziani La normativa della Regione Piemonte (D.G.R. 45/2012) prevede la presenza di uno psicologo nelle strutture per anziani e non autosufficienti. La sua mission dovrebbe essere quella di migliorare la qualità della vita dell’ospite, mettendolo al centro come persona, indipendentemente dai suoi deficit psico-motori, con il suo vissuto ed il suo mondo interiore, cercando anche di favorire la buona qualità delle relazioni all’interno della struttura stessa. Per cercare di migliorare la qualità della vita dell’ospite occorre agire su più fronti, vale a dire non solo direttamente sull’ospite stesso, ma anche sulle relazioni che l’ospite intrattiene all’interno della struttura in cui è inserito; lo psicologo deve calibrare ogni intervento in base alle esigenze specifiche di ogni persona, non dimenticando mai che l’anziano è, prima di tutto, un adulto e un individuo che sta attraversando una particolare fase di vita che può essere capita solo alla luce della sua storia personale. Il rispetto del singolo si evidenzia nella messa in atto di progetti individuali costruiti ad hoc in base alle specifiche e particolari esigenze del singolo (P.A.I. Piani Assistenziali Individualizzati). All’interno della residenza per anziani lo psicologo può realizzare due tipologie di attività diretta: a livello di supporto psicologico e di riabilitazione cognitiva – affettiva e comportamentale dell’ospite indiretta: a livello di formazione e supervisione degli operatori e a livello di supporto e consulenza per i famigliari degli ospiti Lo psicologo nelle residenze per anziani: Dovrebbe Non dovrebbe SAPERSI METTERE IN GIOCO Attendere le persone in studio Guardare alle risorse degli ospiti e Curarsi esclusivamente degli ospiti non ai loro limiti Fare prevenzione Limitarsi alla somministrazione di tests Stimolare il pensiero positivo Mettersi il camice bianco Facilitare le relazioni Conoscere tutte le persone in struttura Girare per la struttura Raccogliere la storia degli ospiti Partecipare ai P.A.I. Curare la formazione e la supervisione degli operatori Partecipare attivamente ai progetti animativi Aiutare i famigliari in difficoltà Essere meno formale e più partecipativo L’intervento con gli ospiti Nella delicata fase dell’accoglienza dell’ospite in struttura, lo psicologo ha il compito di facilitarne l’ingresso, ponendosi come tramite tra la famiglia e la struttura stessa; una volta accolto l’ospite, lo psicologo ha il compito di effettuare una prima valutazione diagnostica dal punto di vista cognitivo, emotivo, affettivo, relazione e comportamentale dell’ospite, fornendogli un adeguato sostegno psicologico nei momenti di particolare difficoltà, tramite colloqui di sostegno; in oltre ha il compito di effettuare attività di tipo terapeutico-riabilitativo rivolte al singolo paziente o al gruppo (ROT, Validation Therapy, terapia della Reminescenza, terapia della Rimotivazione, Palestra di Vita) mirate al mantenimento delle abilità residue, a stimolare la comunicazione e la socializzazione con gli altri ospiti e gli operatori. L’intervento con i famigliari Si dovrebbero organizzare colloqui individuali e gruppi di mutuo-auto aiuto per cercare di alleviare il carico emotivo di chi assiste l’anziano, fornendogli anche eventuali strategie per far fronte all’evolversi della malattia; è stato riscontrato che nel caregiver possono sorgere i differenti tipi di emozioni: depressione ed angoscia: per la paura di non essere adeguati ad affrontare la situazione senso di colpa: per aver inserito il proprio caro in una struttura residenziale rabbia: verso il comportamento della persona malata imbarazzo: per i comportamenti che il malato ha in pubblico solitudine: spesso l’assistenza riduce la libertà d’azione impotenza: per non saper cosa fare Utile potrebbe essere la soluzione di aiutare il caregiver a collaborare con la struttura: coinvolgendolo nel completare l’anamnesi del paziente aiutandolo a comunicare con il congiunto malato di demenza aiutandolo a riconoscere le emozioni in gioco e ad affrontarle L’intervento con gli operatori In ogni struttura per anziani l’interazione positiva tra ospiti, famigliari ed operatori incide sul benessere dell’anziano, facilitando la conservazione o la riattivazione della motivazione, della voglia di vivere e della memoria; gli operatori ed i fisioterapisti che quotidianamente operano con l’ospite instaurano un atteggiamento meno formale e più intimo, dimostrando una sensibilità particolare nel rispettare le singole esigenze, i tempi personali di recupero, senza sostituirsi al paziente per quello che è ancora in grado di fare, utilizzando un linguaggio chiaro e comprensibile. Lo psicologo in questo contesto serve per fornire una supervisione psicologica all’intera équipe dando, quando necessario, una valido supporto agli operatori in situazione di difficoltà (Burnout o rapporti difficili con ospiti e/o famigliari). 2.4 - Il Conversazionalismo di Lai E’ una terapia di riabilitazione per gli anziani con deterioramento mentale che analizza in modo approfondito alcuni elementi della comunicazione; fondata da Giampaolo Lai nel 1985, ha come suo obiettivo principale quello di costruire con il paziente una conversazione felice, cercando di risolvere il problema del “come si esce da una conversazione?” seguendo il “criterio della felicità”. La questione del “come se ne esce?” , alla base di tutte le conversazioni terapeutiche, si riferisce alle situazioni di sofferenza, paura, rabbia, confusione e disperazioni nelle quali, forse, ognuno di noi si è venuto a trovare nel corso della propria vita; grazie al conversazionalismo, si vuole favorire il passaggio, appunto, da uno stato di infelicità ad uno di felicità o, quanto meno, di minore infelicità. Lo scopo di questa tecnica non è quello di guarire il paziente e sconfiggere la malattia, ma quello di ottenere una convivenza ed una relazione felici. Negli ultimi anni il conversazionalismo è stato utilizzato anche con i malati di Alzheimer, per i quali è stato stilato appositamente un protocollo che contiene tutte le regole fondamentali per poter conversare con loro, cercando, così di potenziare e rendere viva la conversazione, indipendentemente dal grado di compromissione cognitiva; per tanto, non è importante quello che il paziente comunica, ma quanto comunica, arrivando anche a sostenere “una conversazione senza comunicazione”, situazione nella quale il paziente parla ma non comunica, tipica di molti pazienti con Alzheimer. Infatti, con il progredire della malattia il soggetto subisce una compromissione della competenza comunicativa, perdendo il significato delle parole, ma continua a conservare la capacità conversazionale, mantenuta fino nelle fasi più avanzate della malattia. L’approccio conversazionale consente al malato di parlare come riesce, senza farlo sentire in errore, cercando solo il raggiungimento della felicità possibile nonostante la malattia. Ogni paziente vive in un suo mondo possibile che, alle volte, può differenziarsi da quello reale, un mondo nel quale tutto può succedere, dove non esistono un tempo ed uno spazio determinati. In questo mondo il malato può assumere una delle sue molteplici identità: essere così uno studente di vent’anni, oppure si vede padre, in vacanza con la sua famiglia, o si credere ormai pensionato a casa sua e non sicuramente in una residenza per anziani; l’errore più grosso, secondo Lai, è quello di cercare di riportarlo alla realtà a tutti i costi, mentre invece si dovrebbe seguire il flusso dei suoi pensieri senza giudizi e correzioni. L’approccio conversazionale riconosce le identità molteplici ed i mondi possibili, così come si manifestano e quando si manifestano. Anche se il malato di Alzheimer ha perso il significato delle parole, può avere sempre il desiderio di comunicare e di trasmettere qualcosa. E’ importante, allora, porci in una condizione di ascolto attivo, cercando di capire quanto vuole comunicare; l’ascolto attivo esige un sincero interesse per l’altro e per il rispetto dei suoi sentimenti: la memoria del malato è compromessa ma le emozioni persistono! Si deve assumere un atteggiamento empatico, sapersi mettere nei panni del malato per riuscire così a scoprire il suo mondo interiore ancora ricco di ricordi ed emozioni. Man mano che la malattia avanza e le parole si confondono, il linguaggio non verbale e quello paraverbale assumono un’importanza fondamentale; i gesti ed i comportamenti diventeranno così molto importanti per comunicare e per relazionarsi; un atteggiamento disponibile ed accogliente, il tono di voce pacato, il ritmo lento della conversazione sono tutti elementi basilari che contribuiscono alla costruzione di una relazione terapeutica favorevole. Il setting ideale della seduta, che può essere sia individuale che di gruppo, è una stanza priva di ogni fonte di distrazione e/o disturbo; la durata dell’incontro è di circa 15-20 minuti, mentre nel caso in cui si tratti di una seduta di gruppo con 5-7 persone al massimo, la durata sarà raddoppiata. Nella terapia con una persona malata di Alzheimer è fondamentale affiancare le parole ai gesti, utilizzare un tono di voce che infonde tranquillità, parlare in modo chiaro, con frasi brevi enunciando un concetto per volta; non incalzare il paziente con una serie di domande in successione, non interromperlo quando parla, non sovrapporsi sul suo discorso e non aiutarlo a completare le frasi; l’interlocutore DEVE tollerare e rispettare il silenzio dell’altro, anche se alle volte questa attesa può essere causa di frustrazione, ma è proprio nel silenzio che il paziente ritrova uno stato di libertà in cui può tacere o parlare senza timore di essere inadeguato o di essere giudicato; il silenzio è quello spazio da cui scaturiscono le parole, è quello spazio in cui si costruisce un mondo possibile che noi possiamo accettare e condividere (P. Vigorelli, 2004). 2.5 - L'ApproccioCapacitante® di Pietro Vigorelli L'ApproccioCapacitante® fonda le sue radici nel concetto di Alleanza terapeutica e si sviluppa partendo dal Conversazionalismo di Giampaolo Lai intersecandosi con i contributi di altri autori, quali Naomi Feil e la Validation Therapy e Moyra Jones e la Gentlecare. L'ApproccioCapacitante® è una modalità di rapporto interpersonale che si basa sul riconoscimento delle competenze elementari dell'interlocutore e che ha come obiettivo finale una convivenza sufficientemente felice tra i parlanti. In geriatria è una modalità d’intervento che vuole creare nelle RSA un ambiente in cui ogni ospite possa esercitare le proprie Competenze elementari così come può, senza sentirsi in errore, con l'obiettivo di favorire una convivenza sufficientemente felice tra ospiti, operatori e familiari. Le Competenze elementari considerate sono cinque: la competenza a parlare, cioè la competenza a produrre parole, indipendentemente dal loro significato; la competenza a comunicare, mediante il linguaggio verbale, paraverbale e non verbale; la competenza emotiva, cioè la competenza a provare emozioni, a condividerle e a riconoscere quelle dell'interlocutore; la competenza a contrattare sulle cose che ci riguardano nella vita quotidiana (un'espressione di questa competenza la si osserva nella contrattazione del motivo narrativo durante gli scambi verbali); la competenza a decidere, anche in presenza di deficit cognitivi e in contesti di ridotta libertà decisionale (espressioni estreme di questa competenza sono rappresentate dai comportamenti di opposizione, di chiusura relazionale, di isolamento dal mondo). Le idee forti alla base dell'ApproccioCapacitante® sono il riconoscimento delle Competenze Elementari (la Competenza a parlare e a comunicare, la Competenza emotiva, la Competenza a contrattare e a decidere), il riconoscimento delle Identità Molteplici (l'ospite della RSA non è solo una persona che necessita di assistenza), il riconoscimento dei Mondi possibili (il Mondo del prima e il Mondo del dopo), il riconoscimento del punto di vista e del sistema di valori delle persone ricoverate in RSA. Quando si viene a creare un ambiente capacitante la persona anziana può svolgere serenamente le attività di cui è capace, così come è capace, senza sentirsi in errore, con il solo scopo, per quanto possibile, di essere felice nel quello che fa, così come lo fa, nel contesto in cui si trova. L'ApproccioCapacitante® focalizza l'attenzione sugli scambi verbali tra i parlanti; gli strumenti utilizzati sono l'ascolto e la parola. L'operatore capacitante coglie le Competenze elementari dell'interlocutore nel momento in cui si manifestano, così come si manifestano e con il proprio intervento verbale restituisce all'interlocutore il riconoscimento delle sue competenze. Gli interventi verbali dell'operatore si ispirano alle tecniche del Conversazionalismo. Per creare un ambiente capacitante nelle RSA si propone di utilizzare l'ApproccioCapacitante® sia in setting aspecifici che in setting specifici. Setting aspecifici incontri informali della vita quotidiana attività ludico - riabilitative Setting specifici colloqui d'accoglienza in RSA colloqui individuali gruppi di conversazione per persone con demenza gruppi di autoaiuto per familiari di persone con demenza corsi di formazione per operatori Tre linguaggi per comunicare: si sa che l’uomo comunica utilizzando diversi linguaggi: quello verbale, fatto di parole; quello non verbale, fatto di gesti, di mimica, di comportamenti e quello paraverbale costituito essenzialmente dal tono della voce. Quando c’è una discrepanza, un’incoerenza tra i messaggi che inviamo al nostro interlocutore, il messaggio che prevale, quello che effettivamente arriva a destinazione, è quello veicolato dal linguaggio non verbale. Questo linguaggio è anche quello che persiste più a lungo nella malattia di Alzheimer: quando le parole sembrano perdere il loro significato, un sorriso, una carezza, un tono di voce dolce sono ancora in grado di stabilire una relazione affettuosa. Quando nasciamo siamo degli animaletti “infanti” cioè “che non parlano”. Crescendo maturiamo sempre di più man mano che impariamo a parlare e ad esprimerci meglio con il linguaggio verbale. Nella vita di tutti i giorni possiamo osservare che chi parla poco tende a isolarsi e spesso si intristisce. Questo succede soprattutto nelle persone anziane e ancora di più in quelle malate di Alzheimer. Quando il malato comincia a fare errori nell’uso della parola, quando comincia a dire una parola per un’altra, quando ha i primi segni di disorientamento e non ricorda che giorno è o scambia la figlia per la madre, spesso molti provano a correggerlo, a interromperlo, a ripetergli le domande a cui non sa rispondere. L’esperienza però ci insegna che questo approccio fa spazientire il malato e tende a scoraggiarlo, costringendolo a rinunciare precocemente a parlare; ed è proprio in situazioni simili che si ricorre all’ApproccioCapacitante®, cercando così di tener vivo l’uso della parola il più a lungo possibile. Se utilizziamo alcune semplici tecniche il malato si sente ancora una persona con piena dignità ed è più sereno. Il familiare trova un modo nuovo e utile di stare con lui, non si sente più impotente ma diventa un “curante esperto”. Come prepararsi alla conversazione I malati Alzheimer fanno fatica a mantenere l'attenzione. Spesso sono anziani che ci sentono poco. Per riuscire a parlare, a conversare, è quindi opportuno utilizzare alcuni accorgimenti. Quando parliamo è meglio che la televisione sia spenta perché potrebbe creare confusione. Dobbiamo ricordare che il malato non è in grado di fare due cose nello stesso tempo, come parlare e camminare, parlare e mangiare, parlare e vestirsi. Il malato Alzheimer fa fatica a tenere l’attenzione concentrata su quello che sta facendo, quindi dobbiamo ricordare una regola semplice: quando si parla, si parla e basta. Quando vogliamo parlare con il nostro caro dobbiamo innanzitutto "agganciarlo" con lo sguardo, mettendoci ben di fronte a lui, meglio se siamo seduti comodi in una stanza tranquilla. È molto difficile riuscire a parlare se si sta camminando o si sta preparando il pranzo. Qualche volta può essere utile prendergli una mano per rassicurarlo. Ecco alcuni consigli per favorire una conversazione felice: 1. Evitare i luoghi affollati e le situazioni di gruppo 2. Quando si parla, si parla e basta 3. Mettersi in una stanza tranquilla, senza la radio e la TV 4. Illuminare bene la stanza 5. Assicurarsi che il paziente abbia la protesi acustica e gli occhiali 6. Mettersi seduti, uno di fronte all’altro 7. Agganciare con lo sguardo Usare tutti i linguaggi Con l'avanzare della malattia il parlare, cioè il linguaggio verbale, diventa sempre più difficile. Le parole tendono a perdere il loro significato e il malato cerca di capire le situazioni in altro modo. Impara a fare molta attenzione al linguaggio non verbale cioè ai gesti e ai comportamenti con cui noi accompagniamo quello che diciamo. Ma impara anche a fare attenzione al linguaggio paraverbale, cioè al modo in cui noi pronunciamo le parole, al tono di voce, al timbro, al ritmo. Un tono di voce pacato e un volto sorridente trasmettono un senso di sicurezza e rendono più piacevole l'incontro. I gesti che raccontano con le mani quello che vogliamo comunicare con le parole fanno capire meglio il messaggio, lo rinforzano. La persona malata di Alzheimer magari non capisce il significato delle parole che diciamo ma si accorge se siamo nervosi o infastiditi, se siamo aggressivi o se siamo dolci; soprattutto il tono di voce è molto importante. Ci sono poi alcuni accorgimenti che rendono più facile la comprensione di quello che vogliamo dire: utilizzare frasi brevi; dire un solo concetto; aspettare, per verificare se ha capito; lasciargli il tempo di dire quello che vuole. Come farsi capire Parlare in modo chiaro Usare un tono di voce pacato Dire frasi brevi Dire un solo concetto alla volta Fare delle brevi pause di silenzio Aspettare la risposta Accompagnare le parole con i gesti La cosa più importante è avere ben chiaro qual è il nostro obiettivo: noi desideriamo che il malato parli e parli a lungo, così com'è in grado di farlo in quel particolare momento, nonostante la malattia noi desideriamo che il malato non si senta in errore anche se parla male noi desideriamo conversare ancora con lui e che lui possa conversare ancora con noi senza curarci degli errori e dei contenuti della comunicazione noi cerchiamo la nostra felicità nell'emergere della parola e la troviamo quando il nostro caro effettivamente parla, così come può Quando parliamo con il malato Alzheimer l’obiettivo a cui tendiamo è che lui parli, così come riesce, senza sentirsi in errore, anche se sbaglia. Come fare una conversazione felice Quando si parla con un malato Alzheimer bisogna sempre molto attenti sia alle sue parole che alle nostre. Prima di parlare si dovrebbe restare in silenzio qualche momento e ascoltare, poi si dovrebbero scegliere le parole migliori per fare una conversazione felice. I 10 consigli per una conversazione felice: 1. Usare frasi dichiarative (non fare domande) 2. Seguire il discorso del malato 3. Accompagnarlo nel suo mondo possibile 4. Restituire il tema del suo discorso 5. Fare eco alle sue parole 6. Focalizzare l'attenzione sul tema più importante 7. Ampliare il discorso restando vicini al tema principale 8. Mettersi nei panni del malato 9. Parlare un po’ anche di sé 10. Fare la sintesi del suo discorso L'ApproccioCapacitante® consiste in una modalità di relazionarsi con gli anziani fragili che può essere utilizzata in modo informale anche dagli operatori e dai familiari, in tutti i contesti, con tutti gli anziani fragili (con e senza deficit cognitivi), in ogni momento della vita quotidiana e delle attività professionali. Quando viene utilizzato in un setting formale di cura, individuale o di gruppo, si configura come Terapia del riconoscimento, anche perché La malattia di Alzheimer può essere considerata una malattia dell’identità o, meglio, una malattia del riconoscimento. La perdita del riconoscimento dipende dal danno cerebrale causato dalla malattia stessa, in particolare a livello dell’ippocampo, ma dipende anche dall’ambiente circostante, vale a dire dal contesto relazionale; la perdita del riconoscimento è sicuramente causa di sofferenza sia per la persona malata sia per chi se ne prende cura e, inevitabilmente, tende ad aggravare l’espressione della malattia. Ad oggi non è ancora possibile intervenire positivamente sul danno neurologico, ma è possibile agire sul contesto relazionare con lo scopo di ridurre la sofferenza della persona malato ed il relativo peggioramento dei deficit funzionali. Il terapeuta focalizza la sua attenzione sul qui ed ora della conversazione e: - riconosce le identità molteplici della persona affetta da demenza, rispettandone la dignità - riconosce i mondi possibili in cui vive la persona - riconosce la competenze elementari della persona con demenza, nel momento in cui si manifestano, così come si manifestano e cerca di tenerle vive anche quando queste tendono ad eclissarsi L'ApproccioCapacitante® e la Terapia del Riconoscimento vogliono creare le condizioni per cui la persona con Alzheimer possa sentirsi riconosciuta e ritrovare se stessa. La persona con demenza deve sentirsi accettata così com’è, in ogni momento e in ciascuna delle sue identità molteplici e deve poter esprimere le sue capacità così come riesce. Se prima era confusa e turbata, grazie alla terapia del riconoscimento può riappropriarsi di se stessa, delle proprie identità molteplici e delle proprie capacità; deve poter ritrovare il gusto della relazione e poter parlare ed agire senza venire continuamente corretta e sentirsi in errore: solo così può ritrovare la serenità perduta e le sue parole torneranno ad avere un senso. 2.6 - IL MODELLO GENTLECARE: è un modello di assistenza “positivo” proposto da Moira Jones; il suo obiettivo principale è quello di compensare i deficit dell’ammalato e favorire così le sue funzioni residue per migliorare il più possibile la qualità della vita. Nasce da un approccio di tipo riabilitativo dopo aver valutato l'impatto della malattia sulla persona e aver condotto un accurato bilancio delle abilità che il paziente ha perduto e delle abilità che il paziente ha preservato. Gli obiettivi del Gentlecare sono così riassumibili: promuovere il benessere della persona, considerando il benessere come il "miglior livello funzionale possibile in assenza di condizioni di stress" risolvere o contenere i problemi comportamentali ridurre lo stress del caregiver ridurre l'utilizzo di mezzi di contenzione fisica e/o farmacologica Quando un paziente ammalato di demenza perde progressivamente le diverse abilità cognitive, occorre costruire una protesi che deve essere tanto più complessa quanto più avanzata è la perdita, che deve avere il compito di supportare il paziente nella sua relazione con l'ambiente sia esterno che interno. Questo intervento protesico si fonda su tre componenti che interagiscono in modo dinamico: "spazio fisico - programmi - persone". Lo spazio deve garantire al paziente sia la sicurezza che il comfort, nonché contenere elementi terapeutici che ne facilitino la lettura e la comprensione da parte della persona demente. Il progredire inesorabile della malattia fa sì che il paziente abbia sempre maggiori difficoltà nella comprensione dell'ambiente e dei segnali che l’ambiente stesso gli invia, per cui, tanto più l'ambiente in cui l’ammalato vive ha caratteristiche famigliari, tanto più il controllo che il paziente riuscirà ad effettuare sull’ambiente sarà agevolato con una conseguente riduzione delle paure e delle ansie che possono derivare da un’eventuale sensazione di estraneità. Anche le tecnologie più sofisticate possono essere utilizzare per rendere l'ambiente sicuro, ma devono essere riportate in una dimensione di familiarità e normalità per i pazienti, per poter così ottenere il massimo grado di libertà con il massimo grado di sicurezza. I programmi devono tenere conto delle attività di base della vita quotidiana, dei contenuti relazionali ed affettivi e devono nascere dal contesto di vita e culturale della persona; la giornata della persona demente deve assomigliare il più possibile ad una giornata di vacanza. Le attività devono costituire un’opportunità di recupero di un’identità individuale che spesso il paziente non è in grado di recuperare autonomamente. Le persone includono tutti coloro che si occupano del paziente, staff, familiari e volontari. Diventa fondamentale la realizzazione di una alleanza terapeutica che consenta di avere la massima condivisione possibile del programma di cura individualizzato nel quale l’ambiente vien adeguato alle effettive capacità del paziente e non viceversa. La formazione di chi assiste diventa, per tanto, fondamentale in ogni intervento di Gentlecare; la motivazione, la capacità di osservare il comportamento dei pazienti e di vivere in modo empatico le loro difficoltà, sono i punti cardini del lavoro di ogni caregiver. Il programma utilizzato nei nuclei Alzheimer ha già dato buoni risultati, in quanto si sono modificati positivamente i disturbi del comportamento, è diminuito il ricorso a psicofarmaci e a dispositivi di contenzione fisica, favorendo il benessere della persona e, al tempo stesso, il contenimento dello stress di chi la cura. 2.7 – La Palestra di Vita (PdV) Cinque pregiudizi da sfatare: 1. non è vero che invecchiando il cervello non si rigenera 2. non è vero che invecchiando perdiamo tutti la memoria 3. non è vero che invecchiando diventiamo tutti dementi 4. non è vero che invecchiando diventiamo tutti depressi 5. non è vero che invecchiando abbiamo solo da perdere “Ciò che sostanzialmente differenzia un giovane da un vecchio non è tanto la capacità di svolgere una normale attività quanto un ritmo diverso” (Prof. Fabrizio Fabris) Ma esiste una scuola per invecchiare bene? Una scuola per pensare positivo? Una scuola per socializzare? Una scuola per mantenersi attivi fisicamente e mentalmente? La risposta è stata trovata ed è stata chiamata PALESTRA DI VITA. La Palestra di Vita (PdV) è stata ideata dal Prof. Pietro Piumetti nel 1995 ed è un metodo di intervento bio-psico-socio-educativo mirato al miglioramento della qualità della vita delle persone anziane istituzionalizzate. Questo metodo di intervento riabilitativo mette al centro la relazione anziché la misurazione dei limiti della persona; nella PdV si socializza, si fa allenamento mentale e fisico, si migliora lo stile di vita per VIVERE MEGLIO! Il fare unito al pensare positivo riducono la possibilità di una patologia da ricovero ed infondono nelle persone quella sensazione speciale di sentirsi vive e in relazione con il mondo. Per la PdV la vecchiaia non è assolutamente una malattia ma lo potrebbe diventare se si conduce uno stile di vita a rischio fatto di passività ed isolamento. L’ingresso in una struttura per anziani è spesso causa di “disempowerment”, condizione nella quale la persona si sente sfiduciata, emarginata e passiva con il relativo decadimento cognitivo e sociale. Per poter mantenere attive le funzioni socio-cognitive è indispensabile un continuo esercizio ed una loro continua stimolazione. La PdV ha un doppio ed ambizioso obiettivo: migliorare la qualità della vita della persona anziana e dei caregiver migliorare i servizi della struttura stessa Oltre ad essere, in primis, un’attività di animazione e di riabilitazione psicologica, questo metodo cerca di prevenire la patologia da ricovero, il declino cognitivo promuovendo un “invecchiamento attivo”. “Le attività del metodo PdV rappresentano delle importanti opportunità di riattivazione della mente, del cuore e del cervello degli anziani e di chi li assiste” (Marcello Cesa-Bianchi). Gli assunti di base della Palestra di Vita: a) l’integrazione dell’animazione con l’assistenza psicologica, creando così un setting ideale per promuovere il benessere psicologico nelle residenze per anziani b) la considerazione della triade ospite-operatore-familiare, puntando al miglioramento della qualità della relazione tra i soggetti coinvolti c) la facilitazione all’autorealizzazione, permettendo ad ogni ospite di sviluppare ed esprimere al meglio le sue potenzialità in un clima facilitante La metodologia prevede incontri di gruppo settimanali di circa un’ora condotti da uno psicologo coadiuvato da OSS, volontari e famigliari; il setting deve essere accogliente, il clima positivo e, partendo dalla conoscenza della storia di vita di ogni partecipante, ci si deve focalizzare più sulle risorse dell’anziano che non sui suoi limiti. I nove concetti fondamentali dalla PdV 1°. relazione etica: l’obiettivo è quello di conquistare la fiducia della persona anziana creando così un’alleanza terapeutica; le relazioni umane sono il motore della vita 2°. pensare positivo: far si che l’anziano arrivi all’autotutela della propria salute, pensando positivo ed attivando le proprie risorse 3°. stile di vita sano ed impegnato: stimolare ed allenare mente e corpo 4°. cura della rete: far socializzare le persone anziane tra loro, con gli operatori e con il territorio creando un circolo virtuoso intorno agli ospiti 5°. cura del setting: interessare e motivare la persona anziana a partecipare agli incontri partendo da un locale accogliente e da un programma chiaro e comprensibile 6°. raccolta della storia di vita: aiutare l’anziano a recuperare in modo positivo la sua storia con il relativo recupero dell’identità 7°. auto e mutuo aiuto: aiutare l’anziano a sostenersi valorizzando così la competenza della sua esperienza 8°. animazione: stimolare la persona anziana a mettersi ancora in gioco, con momenti di canto, musica e giochi 9°. progettazione, documentazione e verifica: questo concetto ha una doppia valenza, in quanto serve sia allo psicologo sia all’anziano che si sente così motivato a progettare ancora il quotidiano, a trovare nuovi obiettivi e a verificarne la realizzazione. 3.”MI METTO IN GIOCO” 3.1 Tirocinio ed esperienza sul campo “La soglia della vecchiaia è soltanto la soglia di una nuova avventura” (La vecchiaia può attendere – A. Levi) La vecchiaia è tradizionalmente e culturalmente, per noi, un luogo di arrivo, dove ognuno incontra se stesso e fa i conti con ciò che è diventato e con ciò che ha realizzato; io mi immagino le fasi della vita come tanti capitoli di un libro; nel corso della nostra esistenza ognuno ha avuto la possibilità di raccogliere tanto materiale, ha accumulato riassunti ed appunti, ed ora, nella fase della vecchiaia si è giunti al luogo del riordino, della scrittura e della rilettura. Ogni anziano ha una storia da raccontare a chi è disposto ad incontrarlo e ad ascoltarlo; comunicare significa interagire, rassicurare e rasserenare la persona, e, nel caso si tratti di un anziano malato e/o istituzionalizzato, l’interazione permette così l’inconsapevole costruzione di una relazione terapeutica che può facilitare l’espressione emotiva e creativa dell’anziano stesso. La malattia “ruba” la memoria ma non priva l’anziano della sua storia personale, ed è proprio chi lavora accanto a queste persone più deboli che ha il compito di aiutarlo a difenderla e a conservarla. L’obiettivo che ogni terapia riabilitativo si pone è proprio quello di tendere al massimo recupero possibile delle abilità motorie e/o cognitive del paziente che sono state compromesse dalla malattia; l’ambito di intervento non deve essere focalizzato esclusivamente sulla condizione patologica ma un buon programma riabilitativo deve essere in grado di coinvolgere più aspetti della vita del soggetto, ed è per questo che vengono pianificate e programmate terapie multidimensionali che considerano in primo luogo le caratteristiche del paziente e, secondariamente, ma sempre con uguale importanza, quelle del contesto in cui l’anziano si trova a vivere. E’ fondamentale non focalizzare la nostra attenzione sui deficit dell’anziano, ma ogni terapia deve essere mirata a stimolare le sue capacità residue per cercare di tenerle tali il più a lungo possibile. Ogni tecnica di riabilitazione deve porsi l’ambizioso obiettivo di cercare di migliorare globalmente la qualità di vita del paziente favorendo l’instaurarsi di un nuovo equilibro personale e sociale. Uno degli obiettivi principali di tali interventi è quello di mantenere il più a lungo possibile l’autonomia dell’anziano consentendogli di convivere con i deficit cognitivi che lo affliggono e di continuare così a vivere inserito nel contesto di appartenenza svolgendo un ruolo attivo ed autonomo. Il soggetto deve sentirsi in grado di “fare”, di “riconoscere” e di “manifestare” i propri desideri e le proprie emozioni e di “provvedere” ai propri bisogni. Ogni singolo trattamento è volto a promuovere nell’anziano: 1) l’orientamento personale ed interpersonale 2) l’orientamento temporale 3) l’orientamento spaziale 4) il potenziamento delle abilità cognitive residue, quali: a. la memoria verbale per un racconto b. l’attenzione uditiva c. la prassia costruttiva Ogni operatore che si trovi a lavorare con un paziente affetto da demenza deve sempre seguire le seguenti attenzioni: scegliere attività rispondenti a predisposizioni, attitudini, gusti e passioni che la persona aveva prima dell’esordio della malattia calibrare il tempo sulla base del tempo necessario al malato per svolgere quanto gli è stato richiesto non obbligare il malato a seguire le nostre richieste ma trovare il momento giusto per “agganciarlo” non preoccuparsi mai del risultato finale ma del clima che siamo stati in grado di creare con il nostro compagno di viaggio non dedicare troppo tempo alla stimolazione in quanto l’attenzione del malato è molto labile elogiare sempre quello che riesce a fare, senza rimarcare gli errori 3.2 - L’anziano che comunica: storie di vita Grazie alle interviste svolte ad alcuni ospiti durante il tirocinio effettuato presso “L’Istituto Geriatrico Poirinese” , ho avuto modo di conoscere ed approfondire il cambiamento che avviene nell’anziano causato dal passaggio da una vita trascorsa nel proprio ambiente famigliare e lavorativo ad una vita istituzionalizzata nelle strutture preposte. Il metodo dell’intervista ha messo l’anziano in condizione di parlare e di raccontarsi nei suoi ricordi e nei suoi vissuti trascorsi e, allo stesso tempo, di parlare apertamente del suo stato attuale, sia fisico che emotivo. Con gli anziani che si sono prestati a collaborare, a parte una prima e comprensibile forma di reticenza e di timidezza, dovuta più al pensiero di “non essere in grado ed all’altezza “ di questo compito, è stato facile e, soprattutto PIACEVOLE colloquiare , riuscendo così ad ottenere un grande quantità di informazioni sulla loro vita antecedente il ricovero. Intervista a Gabriela Gabriela ha 93 anni, è una persona molto semplice, affabile e disponibile; ama molto parlare della sua vita di cui ricorda anche i minimi particolari ed è per questo che si è dimostrata sin da subito molto disponibile a parlare e a raccontarmi i suoi ricordi, anche quelli più personali; all’interno della struttura, mi ha spiegato, non ha legato con gli altri ospiti, ma lei sta bene anche così, in quanto, dato che le piace molto camminare, preferisce scendere in cortile, e passeggiare lungo i marciapiedi ed i vialetti della struttura; quando piove, rimane in camera a guardare la televisione a leggere o a fare le parole crociate; questo suo comportamento ha fatto si che socializzasse poco all’interno della struttura e questo la porta anche a partecipare raramente alle attività proposte e quando lo fa, quasi “trascinata” dall’animatrice, non dimostra alcun interesse e coinvolgimento e, appena può, sgattaiola via. Nel suoi racconti, nei quali si nota una certa ripetitività, parla con entusiasmo della sua gioventù, di quando alle 5 di mattina, con qualsiasi condizione atmosferica, inforcava la sua bicicletta ed andava a Chieri a lavorare in una fabbrica tessile; oppure racconta con ironia la storia del suo nome, che, a causa di un errore di registrazione in comune è stato segnato con una “G” sola, mentre al momento del battesimo è stata registrata con “Gabriella” e questo la portava sempre a scherzare con suo marito Silvio, dicendogli che era stato fortunato, in quanto sposando lei era come se avesse sposato due donne!!! Gli unici momenti in cui si è commossa e ha pianto, è stato quando mi ha raccontato del momento in cui è venuto a mancare il suo adorato marito…altrimenti, è sempre stata molto positiva e sorridente, arrivando a confidarmi che aspettava i nostri incontri in quanto erano l’unica cosa positiva che spezzava la monotonia della sua vita attuale. Ha accettato anche molto volentieri di fare i test relativi alle capacità mnestiche e semantiche nei quali ha evidenziato una buona padronanza linguistica; sia la memoria a lungo termine che quella a breve termine (lettura di testo + domande) sono preservate in modo soddisfacente; oltre alla padronanza linguistica anche le capacità di calcolo sono ben conservate, solo nel disegno, ha evidenziato alcune difficoltà che tuttavia penso siano più dovute a delle carenze visive che alla mancanza di motricità fine. Di seguito riporto, come esempio dei lavori svolti, alcune delle schede eseguite durante il tirocinio in occasione dei miei incontri con Gabriela. FLUENZA VERBALE PER CATEGORIE FONEMICHE G (71) Scrivere tutte le parole che iniziano per: (non più di 30” per ogni lettera): A: Avellino – avanti – avena - Abruzzo B: Brossa (il suo cognome) – buono – bene – bacio - banana C: carota – cavolo - cavolfiore D: domani – dopo – davvero – domenica – Dorotea – dolore - dito E: Emilia – estate – entrare – Eleonora F: festa – favore – fagiano – finestra – fiume – fesso G: gallo – gallina – gabbiano - gatto L: Livorno – lettera – lettura – libro - lilla MA: mamma – male – maledizione – mare - matita BA: balena – ballo – bacio – banco – balestra – balera – banana FLUENZA VERBALE PER CATEGORIE SEMANTICHE (78) Scrivere la parola adatta: NON MAGRO: grasso NON FORTE: debole NON CHIARO: scuro NON DOLCE: amaro NON BIANCO: nero NON PICCOLO: grande NON NUOVO: vecchio NON BAGNATO: asciutto NON ALTO: piccolo NON CALDO: freddo NON TRISTE: allegro NON SIMPATICO: antipatico NON RUMOROSO: silenzioso NON UTILE: non serve NON BUONO: cattivo NON DRITTO: storto RAGIONAMENTO – CATEGORIZZAZIONE (85) Dividere le parole per colore: NOTTE POMODORO CASTAGNE SOLE LIMONE FRAGOLE CIOCCOLATO RISO NEVE FUOCO TUORLO PANNA CREMA ORO SALE BUIO TERRENO MARGARINA LATTE BURRO LEGNO ALBUNE FUNGHI CARBONE SANGUE ROSSO Pomodoro Fragole Fuoco Tuorlo Sangue NERO Notte Buio Carbone MARRONE Castagne Cioccolato Terreno Legno Funghi GIALLO Sole Limone Oro BIANCO Riso Neve Panna Crema Sale Margarina Latte Burro Albume LOGICA G(119) Completare le seguenti frasi: La penna serve per scrivere Il sole scalda Dall’uva nasce il vino Dal bruco nasce la ---------- Il contadino usa la zappa La maestra fa scuola La regina vive nel castello Il cane abbaia Il gatto miagola Il leone ruggisce La mucca ------ Il vigile regola le strade ORIENTAMENTO TEMPORALE (100) Rispondere: IN QUALE MESE SI FESTEGGIA IL SANTO NATALE? 25 dicembre IN QUALE MESE SI FESTEGGIA LA PASQUA? aprile IN QUALE MESE C’E’ LA COMMEMORAZIONE DEI SANTI E DEI DEFUNTI? novembre IN QUALE MESE C’E’ L’EPIFANIA? gennaio IN QUALE MESE C’E’ LA FESTA DEI LAVORATORI? 1° maggio ORIENTAMENTO TEMPORALE (33) Gabriela OGGI E’ IL GIORNO venerdì NUMERO 13 DEL MESE DI giugno DELL’ANNO 2014 (con un piccolo aiuto perché diceva 19) DOVE SIAMO? geriatrico NEL PAESE DI Poirino IN PROVINCIA DI Torino NELLA REGIONE Piemonte LA NOSTRA PATRIA E’ Italia IL MESE SCORSO ERA Maggio IL MESE PROSSIMO SARA’ Luglio QUANTI MESI CI SONO IN UN ANNO? 12 QUANTE STAGIONI CI SONO IN UN ANNO? 4 QUANTI GIORNI CI SONO IN UNA SETTIMANA? 7 IL PRIMO MESE DELL’ANNO E’ gennaio L’ULTIMO MESE DELL’ANNO E’ dicembre QUANTI GIORNI HA FEBBRAIO? 28 QUANTI GIORNI HA NOVEMBRE? 30 QUANTI GIORNI HA DICEMBRE? 31 QUANTI GIORNI HA APRILE? 30 FLUENZA VERBALE PER CATEGORIE SEMANTICHE (89) FRUTTI: pere – albicocche – prugne – uva – ciliegie – pere – mele VERDURE: insalata – cicoria – spinaci – carote – patate – cavoli – cavolfiore zucchini ANIMALI: gatto – cane – coniglio – colombo – galline - pulcini CITTA’: Torino – Imperia – Bordighera – Avellino - Roma COLORI: rosso – verde – nero – marrone – blu - giallo PARTI DEL CORPO: braccia – gambe – testa – sedere – piedi – mani orecchie NOMI DI DONNA: Amalia – Teresa – Giovanna – Clara – Gabriela – Paola – Dorotea - Crocifissa NOMI DI UOMO: Giovanni – Gabriele – Bartolomeo – Carlo – Giuseppe - Silvio INDUMENTI INVERNALI: gonne pesanti – golf di lana – paletò - scarponcini Intervista a Teresa: Teresa ha 86 anni e fin da subito si è dimostrata un persona forte ed orgogliosa; ha accettato molto volentieri di “aiutarmi” in questo progetto di interviste, in quanto ama molto parlare di sé e della sua vita, soprattutto per rimarcare sempre quanto ha fatto per gli altri; all’interno della struttura non ha legato molto con gli altri ospiti in quanto assume sempre un comportamento altezzoso e superiore, concedendosi sempre la libertà di rimarcare sia agli ospiti che agli operatori un loro comportamento che reputa maleducato o poco consono alla situazione; questo suo atteggiamento ha contribuito alla sua esclusione da qualunque interazione sociale con gli altri ospiti; non partecipa neppure alle attività di animazione proposte dall’educatrice in quanto le reputa noiose e poco stimolanti, definendole “roba da vecchi” ! Partecipa solo ed esclusivamente all’attività della tombola proposta 2 volte alla settimana dai volontari AVO, in quanto è stata nominata aiutante, titolo che le configura certamente un certo prestigio! Durante le interviste ricorda ed espone in modo chiaro gli avvenimenti del passato, dimostrando, per tanto, una buona memoria a lungo termine, anche se un paio di volte si è dimostrata confusa, soprattutto quando racconta dell’operazione avuta d’urgenza, in quanto è fermamente convinta di essere stata operata “con l’inganno” e questo ricordo provoca sempre in lei un certo turbamento. Anche il rapporto con i suoi cinque figli con è idilliaco, ed è stata sua la scelta di entrare in struttura, proprio per non essere un peso per nessuno di loro, ma questa sua decisione, con la relativa vendita della casa ha causato un’inevitabile rottura. Nonostante la memoria a lungo termine sia ancora preservata, e usi ancora terminologie molto appropriate, nel momento in cui le sono stati proposti i test di abilità semantica ha trovato alcune difficoltà, e questo ostacolo l’ha infastidita molto, in quanto non si è sentita all’altezza della situazione, come invece si crede di essere; per tanto ha sempre preferito parlare anziché fare questi esercizi di stimolazione, anche perché, parlando si sente al centro dell’attenzione e questa sensazione appaga indubbiamente il suo senso di protagonismo. FLUENZA VERBALE PER CATEGORIE FONEMICHE T (42) Scrivere tutte le parole che iniziano per: (non più di 30” per ogni lettera): A: albero – anello – anfora – acqua - arcobaleno B: bocca – benessere – bravo - bicicletta C: conto – congresso – correre – contatto - cuore D: dormendo - dita F: frequentare – favorevole – fidarsi – fiore - fazzoletto G: giostra – girasole - giramondo L: luna – letto – latte T: tombola – tetto – tavolino – tavolo FLUENZA VERBALE PER CATEGORIE SEMANTICHE T(77) Scrivere tutte le parole che hanno a che fare con la parola data: SCUOLA: imparare – scrivere – leggere – diario – maestra - scolari ESTATE: caldo – mare - grano MONTAGNA: passeggiate – tenda da campeggio NATALE: festa – famiglia - regali CUCINA: mangiare – pentole – posate – bicchieri – pasta – riso Parallelamente ai colloqui individuali ed agli esercizi di stimolazione, ho partecipato anche al gruppo di “gero-motricità” un’attività che è un misto tra animazione e ginnastica dolce; una volta alla settimana animatrice e fisioterapista cercano di stimolare gli ospiti, anche quelli in carrozzina, con canti, musiche e movimenti dolci di braccia e gambe; tuttavia, questa forma di intrattenimento non è “accolta” in modo positivo da tutti gli ospiti, in quanto, non stimola la loro voglia di stare insieme e di socializzare; anche l’attività di animazione non è frequentata da tutti: ci sono ospiti, soprattutto donne, che si recano autonomamente nella sala polivalente per svolgere varie attività manuali: dal lavoro a maglia, alla realizzazione di quadretti, porta oggetti, bomboniere e oggettistica varia, mentre altri preferiscono passeggiare, stare in camera o nei saloni ai piani, davanti alla tv. Non avrei mai pensato che l’esperienza vissuta in una struttura geriatrica potesse rivelarsi per me così positiva e completa; all’inizio era intesa come 125 ore da dover svolgere per portare a termine il mio percorso di studi; poi, man mano che le ore venivano svolte, ho iniziato ad addentrarmi in questa realtà, per me completamente nuova, anche se non sconosciuta; ho iniziato a conoscere le persone, quelle che non vengono definite “vecchi” o “pazienti”, ma semplicemente OSPITI della struttura, quelle che, in modo amichevole vengono chiamate per nome da tutti gli operatori; ho iniziato poco per volta ad abbattere i muri della loro diffidenza, e, una volta conquistata la loro fiducia, ho potuto iniziare con alcuni di loro un percorso di conoscenza, fatto di racconti, di storie di vita, in cui si sono alternati momenti di gioia a momenti di tristezza e di malinconia; ho avuto la possibilità di realizzare test per quanto riguarda la memoria, la fluenza verbale e test mirati a misurare le abilità relative alla prassia costruttiva, al ragionamento ed alla logica. Tuttavia, quanto svolto, ha fatto nascere in me la consapevolezza che all’interno di una struttura geriatrica, la figura dello psicologo non può essere intesa come quella classica da “manuale”, ma con queste persone, lo psicologo deve essere in grado di modificarsi, di adattarsi ogni volta alla situazione, diventando animatore, compagno di giochi o confidente, senza aver paura di perdere la propria professionalità; ho notato che proprio questo “sapersi mettersi in gioco” è la chiave giusta che ti permette di entrare in relazione con tutte le persone, e, in questo caso, con gli anziani ospiti della struttura, in quanto viene meno quella diffidenza e quella paura che alle volte la figura dello psicologo può creare…. Attualmente, grazie alla fiducia accordatami dal mio relatore, Prof. Fabrizio Cavanna, sto svolgendo un’attività di tirocinio-volontariato, all’interno di una struttura per anziani “Residenza Richelmy”, nel cuore di Torino; sicuramente questa “nuova avventura” costituisce per me un qualcosa di molto prezioso ed importante che avrà un peso non indifferente nel mio bagaglio esperienziale. La mia presenza in struttura si suddivide in due parti: un incontro settimanale con gli ospiti del nucleo R.S.A. denominato “Il thè con la psicologa” e due incontri settimanali con gli ospiti del nucleo protetto N.A.T. (Nucleo Alzheimer Temporaneo). 3.3 - Il thè con la psicologa Coordinato dalla psicologa della struttura, la Dott.ssa Manna, vuole essere un momento di incontro per favorire la conoscenza e l’interazione tra gli ospiti affinché possano poi continuare la loro frequentazione all’interno della struttura anche in altri momenti non espressamente dedicati. Si è scelto di strutturare questo incontro “su invito” per cercare, così, di avere un livello, sia culturale che cognitivo dei partecipanti, abbastanza omogeneo, in quanto devono essere favoriti il dialogo ed il racconto di momenti di vita, non strettamente personali, condivisibili, quindi anche con gli altri partecipanti. Questo perché la vita è una storia bellissima e, quando la storia di una vita si intreccia con altre storie, facciamo si che il racconto continui…. Lo spunto di partenza ogni volta è differente: si può iniziare dal Santo del giorno, oppure leggendo un proverbio in piemontese o anche commentando un fatto di cronaca accaduto. Indipendentemente dall’argomento trattato, questo spazio è stato accolto con apertura ed interesse da tutti gli ospiti che dimostrano sempre un grande piacere nel raccontare le loro storie, le loro esperienze ed i loro ricordi, destando sempre l’attenzione degli ascoltatori e creando così una piacevole atmosfera di condivisione e partecipazione. 3.4 - Nucleo N.A.T. Lunedi 30 luglio 2012 la giunta regionale del Piemonte ha approvato la dgr 454248 che disciplina il nuovo modello integrato di assistenza residenziale e semiresidenziale per gli anziani non autosufficienti. Il nuovo modello – si legge nel comunicato stampa regionale – “intende migliorare gli aspetti di flessibilità del servizio e integrazione con la continuità assistenziale. Sarà così possibile, semplificando anche il quadro normativo, consentire agli anziani ricoverati nelle strutture socio-sanitarie residenziali prestazioni personalizzate e calibrate sugli effettivi bisogni. Inoltre, vengono individuati i requisiti strutturali e gestionali per il rilascio dell’autorizzazione al funzionamento delle strutture per anziani non autosufficienti”. Il “N.A.T. – Nucleo Alzheimer Temporaneo”, ha lo scopo di accogliere persone affette da demenza, che presentano disturbi comportamentali e/o problemi sanitari e assistenziali di elevata complessità, provenienti dal proprio domicilio, da residenze socio-sanitarie, dall’ospedale o da altre strutture sanitarie. Tali soggetti possono giovarsi, presso il suddetto nucleo, di uno specifico ambiente assistenziale con progetti mirati al reinserimento nel precedente o all’inserimento in un nuovo percorso di cura, dopo un periodo di ospitalità temporanea. Pertanto il N.A.T. integra il modello R.S.A. quando il livello delle prestazioni non è sufficiente a garantire una corretta assistenza; è stato appositamente progettato per accompagnare l’ospite malato di Alzheimer nel suo percorso cercando di salvaguardare il più possibile la qualità della vita, basandosi su un’esperienza specifica per la gestione di tutti gli aspetti medici e gestionali legati a tale patologia. Il Nucleo N.A.T. allestito presso la “Residenza Richelmy” di Torino è composto da 20 posti letti e tutti gli spazi (luoghi comuni, stanze, bagni e corridoi) sono stati progettati considerando l’ambiente come modello protesico per la cura della demenza. Un esempio a conferma di ciò è la camera sensoriale (Snoezelen Room), in cui l’ambiente diventa fonte di stimoli visivi, uditivi, olfattivi e tattili, finalizzati a favorire benessere e rilassamento; soprattutto nel miglioramento di taluni comportamenti quali indicata apatia, trascuratezza, oppositività, aggressività e depressione dell’umore. Si lavora individualmente con l’anziano che viene incoraggiato a sperimentare gli stimoli sensoriali che ha a disposizione. Inoltre, è stato allestito un giardino Alzheimer, che consentirà all’anziano di passeggiare liberamente in uno spazio delimitato e protetto. Il mio intervento in questo nucleo, si struttura in più momenti, in quanto, non essendo possibile realizzare una stimolazione a livello collettivo, ho preferito lavorare con piccoli gruppi o individualmente. I momenti di gruppo sono per la maggior parte mirati alla stimolazione spaziotemporale, prendendo come base di partenza la R.O.T. informale; a livello di stimolo è stato accolto con curiosità e stupore “Il tabellone del tempo” che dovrebbe aiutare a ricordare la data del giorno, il giorno della settimana, i mesi dell’anno, le stagioni, le ore e le condizioni atmosferiche. E’ stato sicuramente un qualcosa di diverso e di innovativo che si è rivelato comunque in grado di risvegliare la curiosità e la voglia di partecipare all’attività. Con quegli ospiti che non presentano ancora un grado di malattia grave, è possibile effettuare conversazioni piacevoli durante le quali mi faccio trasportare nel loro mondo, dando così loro la possibilità di parlare, di far rivivere quei ricordi che per loro non sono affatto tali, ma che sono, invece, momenti di vita presente, da vivere e condividere con il loro interlocutore. Alle volte sono l’amica del cuore, la sorella minore o, semplicemente, una persona con cui parlare, una persona che li sa ascoltare senza giudicare, senza correggere il loro racconto volendoli riportare a tutti i costi nel mondo presente, una persona a cui esternare il problema che crea loro angoscia o l’aneddoto che provoca ilarità…. E, credetemi, è bello vederli ridere….. Fernanda Anita P. La signora Fernanda, è una piacevole ospite di 84 anni che, con un certo orgoglio, definendosi istriana, ama sottolineare la sua provenienza da Pola; ha accolto questi piccoli spazi tutti per noi, fatti di conversazioni, passeggiate ed esercizi di “ginnastica per la mente” con entusiasmo e positività, in quanto li considera “estremamente necessari per non invecchiare!”. Ama raccontare di quando, da ragazzina, aiutava il papà, operatore cinematografico, a ribobinare le pellicole dei film, stando così interi pomeriggi a guardare i film in voga in quegli anni e sognando quegli attori belli e famosi, ma così irraggiungibili…. Il suo papà, violinista, le ha insegnato a suonare il pianoforte e, un giorno, trovateci per caso nella sala polivalente della struttura in cui campeggia un magnifico piano a coda bianco, si è accomodata sullo sgabellino e così, senza spartito o quant’altro, ha iniziato a suonare un brano melodioso ed è stato veramente emozionante vedere quelle dita, incurvate dall’artrosi, come, in quell’occasione, volavano agili e veloci su quei tasti! Peccato che poi, quando due giorni dopo le ho parlato di questo aneddoto, non si ricordava nulla…… ma sicuramente, quell’attimo vissuto seduta al piano, l’ha riportata in mondo sereno e felice che è stato e non sarà più…. Mi racconta con orgoglio dei sui figli, alle volte sono due, altre volte 3, due maschi ed una femmina (come effettivamente sono), del suo negozio di radio e televisori aperto con il marito una volta venuta a Torino, ma il suo racconto preferito rimane comunque la sua vita da ragazzina, a Pola, insieme a mamma e papà, per i quali dimostra un amore ed una gratitudine infiniti. Ogni suo racconto è sempre molto ricco di particolari e sfumature, quasi a voler rendere viva la situazione, ed anche le parole utilizzate sono ricercate ed appropriate, questo, a suo dire “è dovuto a tutte le parole crociate che ho fatto e che faccio durante il giorno!” Donna Rosaria (Sara) A. “Il mio nome, così particolare, piaceva molto al mio papà, è stato lui a volermi chiamare così, ma io preferisco farmi chiamare Sara, io per tutti ora sono Sara”. Così si è presentata Sara, una signora del 1930, la prima volta che ci siamo conosciute. Passa il suo tempo a sfogliare e a leggere riviste, commentando abiti ed acconciature; quando vede qualche ospite in difficoltà ha sempre una parola di conforto o di incoraggiamento; Sara non si considera un’ospite della struttura, ma si definisce “di passaggio”, in quanto vede la residenza come un bar-ristorante dove lei passa abitualmente le sue giornate “bevendo e mangiando addirittura senza pagare nulla!”; le piace molto parlare e raccontare del suo passato, di quando, da ragazza, al suo paese, Laino Borgo in provincia di Cosenza faceva la sarta; una volta sposata e trasferitasi a Torino, ha continuato a cucire, ma in casa, anche perché è diventata mamma di Andrea, il suo unico figlio; racconta sempre, con una punta di orgoglio, che nel corso della sua lunga vita non è mai stata ammalata, e, a parte qualche influenza o qualche banale raffreddore, è sempre stata bene, non è mai stata ricoverata in ospedale, e questo, secondo lei, è dovuto al fatto che ha sempre vissuto in modo salutare, mangiando genuino e conducendo una vita senza eccessi. Con la Sig.ra Sara ho avuto tante piacevoli conversazioni, anche se molto ripetitive, fatte di racconti di storia di vita e di sereni e piacevoli ricordi. Ogni qualvolta le ho proposto qualche gioco o qualche esercizio di stimolazione, diventando seria, mi diceva che non stava bene e che le era venuto un forte mal di testa e che li avrebbe fatti un’altra volta, per cui, ho preferito non insistere per non rischiare di turbare il suo equilibro e la sua serenità. CONCLUSIONI Ogni anziano, ogni ospite di una struttura è un caso a sé ed il primo obiettivo di chiunque lavori o entri in contatto con lui è cercare di recuperare la sua individualità e la sua autostima, riscoprendo potenzialità e capacità che sembravano essere scomparse con l’età ed il deterioramento psico-fisico. L’anziano non è una candela che deve lentamente spegnersi, anzi, un anziano ben integrato e vivo spiritualmente e psicologicamente, può portare ancora molto fuoco ad altre persone. (Cavanna F. Fine serie). L’invecchiamento non deve essere considerato solo ed esclusivamente un processo patologico che causa perdite e mancanze, l’invecchiamento non è una malattia, ma è una normale tappa della vita in cui l’anziano deve continuare ad essere protagonista attivo della sua esistenza. E’ stata proprio l’esperienza vissuta nelle due R.S.A. che, oltre ad essersi rivelata per me molto positiva e completa, mi ha permesso di addentrarmi in questa realtà, per me nuova, anche se non sconosciuta; il percorso svolto ha fatto nascere in me la consapevolezza che all’interno di una struttura geriatrica, la figura dello psicologo non può essere intesa come quella classica da “manuale”, ma con gli ospiti, per lo più fragili o dementi, lo psicologo deve essere in grado di modificarsi, di adattarsi sempre ad ogni nuova situazione, diventando alle animatore o compagno di giochi, alle volte confidente dal quale l’anziano si aspetta di ricevere una carezza ed una parola di conforto, senza aver paura di perdere la propria professionalità; è proprio questo “sapersi mettere in gioco” la chiave giusta che permette di entrare in relazione con tutte le persone, sia con gli operatori stessi, ma soprattutto con gli anziani ospiti della struttura, in quanto viene meno quella diffidenza e quella paura che alle volte la figura dello psicologo può creare….”mica sono matto io??”….. Il ruolo dello psicologo all’interno di una struttura geriatrica, come il ruolo di qualsiasi altro operatore, è fondamentale se, e solo se, viene svolto in stretta collaborazione e sinergia con le altre figure che operano all’interno della struttura stessa, per tanto sono indispensabili e fondamentali il dialogo, lo scambio di opinioni ed il colloquio con tutti quelli che quotidianamente interagiscono con gli ospiti; non è sufficiente la compilazione dei PAI o la lettura delle consegne, ma O.S.S., fisioterapisti, infermieri, dottori ed animatori dovrebbero avere un contatto costante, contatto che deve tassativamente avere, come fine ultimo, il bene dell’ospite stesso. In oltre, qualsiasi attività svolta all’interno della struttura non deve essere svolta solo con gli anziani autosufficienti, in quanto molto più facili da gestire, ma deve essere rivolta ad ogni ospite, coinvolgendolo e rendendolo partecipe; forse l’esito del nostro gioco o del nostro lavoro non sarà “perfetto”, ma il nostro fine deve essere quello di stimolare le capacità residue del singolo, per far si che non vadano perse, in quanto sono proprie queste capacità che possono ancora assicurare e garantire alla persona una propria dignità. Inoltre, al di là del rispetto dovuto, fare sentire un anziano meno “invisibile”, coinvolgendolo attivamente in un’attività semplice, o regalandogli anche solo un sorriso e due parole significa concedergli un regalo immenso, che a noi costa ben poco. Dovrebbe essere un’abitudine comune fare visita a chi è ricoverato in ospedali ed ospizi, anche solo per portare un po’ di compagnia; è un esperienza che arricchisce sia il paziente che il visitatore! Dovremmo imparare ad esprimere il nostro affetto ai nostri anziani anche quando la mentalità retrograda o le cose ripetute mille volte li rendono insopportabili. Un giorno potremmo rimpiangere di non aver detto loro “ti voglio bene” una volta in più. Proverbio senegalese BIBLIOGRAFIA: Ass. “Il Laboratorio” (2003) Palestra di vita Animazione psicologica nelle residenze per anziani. Savigliano (CN): L’Artistica Editrice Busato V., Bordin A. (2009) Guida pratica per la stimolazione cognitiva, affettiva, relazionale delle persone anziane istituzionalizzate. Padova: Cleup Cavanna F. (2002) Fine Serie Riflessioni sulla terza e quarta età. La Spezia: Archetipi Jones M. (1999) Gentlecare Un modello positivo di assistenza per l’Alzheimer (L. Bartorelli, Trad.). Roma: Carocci Faber Passafiume D., Di Giacomo D. (2006) La demenza di Alzheimer Guida all’intervento di stimolazione cognitiva e comportamentale. Milano: FrancoAngeli Piumetti P. (2014) Vivere è un’arte Manuale di psicologia dell’invecchiamento. Cantalupa (TO): Effatà Editrice Quaia L. (2006) Alzheimer e riabilitazione cognitiva Esercizi, attività e progetti per stimolare la memoria. Roma: Carocci Faber Vigorelli P. (a cura di) (2004) La conversazione possibile con il malato di Alzheimer. Milano: FrancoAngeli Vigorelli P. (2008) Alzheimer senza paura Manuale di aiuto per i familiari: perché parlare, come parlare. Milano: RCS Libri Vigorelli P. (2011) L’approccio capacitante Come prendersi cura degli anziani fragili e delle persone malate di Alzheimer. Milano: FrancoAngeli Vigorelli P. (2012) Aria nuova nelle case per anziani Progetti capacitanti. Milano: FrancoAngeli Zanon A., Gentile A. (2011) La comunicazione con il paziente istituzionalizzato Un’indagine. Milano: FrancoAngeli http://www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2012/32/attach/dgr_ 04248_070_30072012.pdf RINGRAZIAMENTI: Ed ora, giunta alla fine di questo mio percorso di studi, che ho sempre scherzosamente definito “magnifica avventura”, vorrei ringraziare tutte le persone, tra conoscenti ed amici, che mi sono stati vicini e che mi hanno sostenuta ed accompagnata in questo viaggio. Un grazie particolare va alla mia famiglia, che mi ha supportata e, alle volte, ahimè, anche sopportata nei momenti di demoralizzazione! A mio marito Alessandro, che ha sempre creduto in me e ha saputo infondermi la consapevolezza di potercela fare che, ogni tanto, durante il percorso, mi è venuta a mancare… Un grazie alla mia mamma, che ha “sponsorizzato” la realizzazione di questo mio sogno. Un grazie va anche ai miei figli, Roberto e Luca, che sono stati sempre orgogliosi della loro mamma, sperando di essere stata per loro un buon esempio di determinazione e di vita. Un grazie particolare va al mio relatore, il Prof. Cavanna, perché è proprio grazie a lui che ho potuto conoscere ed entrare in contatto con un mondo sconosciuto, fatto di persone speciali che hanno avuto il merito inconsapevole di farmi vivere esperienze positive, fatte di emozioni e di sensazioni nuove e profonde che, indubbiamente, rimarranno per sempre conservate nel più profondo del mio cuore. Ed infine, un doveroso ringraziamento a tutti gli anziani che hanno involontariamente contribuito alla realizzazione di questo elaborato, che mi hanno permesso di fare la loro conoscenza, di ascoltarli ed osservarli durante i colloqui avuti e gli esercizi svolti; e, soprattutto, mi hanno concesso di avvicinarmi a loro, alla loro fragilità, lasciandomi entrare in punta di piedi nella loro vita, nel loro mondo, nel quale mi sono lasciata trasportare con lo stupore e la curiosità di una nuova Alice nel Paese delle Meraviglie….. “So chi ero quando mi sono alzata stamattina, ma da allora devo essere cambiata diverse volte” Lewis Carroll – Alice nel Paese delle Meraviglie