ISTITUTO DI PSICOLOGIA INDIVIDUALE “A. ADLER” SCUOLA ADLERIANA DI PSICOTERAPIA IL CONVIVIO Filosofia e scienze umane per la relazione d’aiuto MITO PLATONE, PROTAGORA NARRA IL MITO DI PROMETEO http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaP/pplatone8k3kls.htm Nel "Protagora", il noto sofista di Abdera illustra la propria tesi col mito di Epimeteo e Prometeo: Zeus, per render loro possibile vivere in società, ha distribuito aidos e dike a tutti gli uomini. Gli uomini hanno bisogno della cultura e dell'organizzazione politica perché sono creature prive di doti naturali, come artigli, denti e corna, immediatamente funzionali ai loro bisogni. Tutti partecipano di queste due virtù "politiche". Ma esse non vanno viste come connaturate all'uomo, bensì come qualcosa di sopravvenuto, qualcosa che è stato trasmesso in maniera consapevole, e non semplicemente attribuito in un processo cieco, "epimeteico", del quale si può render conto soltanto ex post: per questo è possibile insegnare aidos e dike agli uomini, mentre non si può "insegnare" a un toro ad avere corna e zoccoli. Ci fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non le stirpi mortali. Quando giunse anche per queste il momento fatale della nascita, gli dei le plasmarono nel cuore della terra, mescolando terra, fuoco e tutto ciò che si amalgama con terra e fuoco. Quando le stirpi mortali stavano per venire alla luce, gli dei ordinarono a Prometeo e a Epimeteo di dare con misura e distribuire in modo opportuno a ciascuno le facoltà naturali. Epimeteo chiese a Prometeo di poter fare da solo la distribuzione: "Dopo che avrò distribuito - disse - tu controllerai". Così, persuaso Prometeo, iniziò a distribuire. Nella distribuzione, ad alcuni dava forza senza velocità, mentre donava velocità ai più deboli; alcuni forniva di armi, mentre per altri, privi di difese naturali, escogitava diversi espedienti per la sopravvivenza. [321] Ad esempio, agli esseri di piccole dimensioni forniva una possibilità di fuga attraverso il volo o una dimora sotterranea; a quelli di grandi dimensioni, invece, assegnava proprio la grandezza come mezzo di salvezza. Secondo questo stesso criterio distribuiva tutto il resto, con equilibrio. Escogitava mezzi di salvezza in modo tale che nessuna specie potesse estinguersi. Procurò agli esseri viventi possibilità di fuga dalle reciproche minacce e poi escogitò per loro facili espedienti contro le intemperie stagionali che provengono da Zeus. Li avvolse, infatti, di folti peli e di dure pelli, per difenderli dal freddo e dal caldo eccessivo. Peli e pelli costituivano inoltre una naturale coperta per ciascuno, al momento di andare a dormire. Sotto i piedi di alcuni mise poi zoccoli, sotto altri unghie e pelli dure e prive di sangue. In seguito procurò agli animali vari tipi di nutrimento, per alcuni erba, per altri frutti degli alberi, per altri radici. Alcuni fece in modo che si nutrissero di altri animali: concesse loro, però, scarsa prolificità, che diede invece in abbondanza alle loro prede, offrendo così un mezzo di sopravvivenza alla specie. Ma Epimeteo non si rivelò bravo fino in fondo: senza accorgersene aveva consumato tutte le facoltà per gli esseri privi di ragione. Il genere umano era rimasto dunque senza mezzi, e lui non sapeva cosa fare. In quel momento giunse Prometeo per controllare la distribuzione, e vide gli altri esseri viventi forniti di tutto il necessario, mentre l’uomo era nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi. Intanto era giunto il giorno fatale, in cui anche l’uomo doveva venire alla luce. Allora Prometeo, non sapendo quale mezzo di salvezza procurare all’uomo, rubò a Efesto e ad Atena la perizia tecnica, insieme al fuoco - infatti era impossibile per chiunque ottenerla o usarla senza fuoco - e li donò all’uomo. All’uomo fu concessa in tal modo la perizia tecnica necessaria per la vita, ma non la virtù politica. [322] Questa si trovava presso Zeus, e a Prometeo non era più possibile accedere all’Acropoli, la dimora di Zeus, protetta da temibili guardie. Entrò allora di nascosto nella casa comune di Atena ed Efesto, dove i due lavoravano insieme. Rubò quindi la scienza del fuoco di Efesto e la perizia tecnica di Atena e le donò all’uomo. Da questo dono derivò all’uomo abbondanza di risorse per la vita, ma, come si narra, in seguito la pena del furto colpì Prometeo, per colpa di Epimeteo. Allorché l’uomo divenne partecipe della sorte divina, in primo luogo, per la parentela con gli dei, unico fra gli esseri viventi, cominciò a credere in loro, e innalzò altari e statue di dei. Poi subito, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, e inventò case, vestiti, calzari, giacigli e l’agricoltura. Con questi mezzi in origine gli uomini vivevano sparsi qua e là, non c’erano città; perciò erano preda di animali selvatici, essendo in tutto più deboli di loro. La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve (infatti gli uomini non possedevano ancora l’arte politica, che comprende anche quella bellica). Cercarono allora di unirsi e di salvarsi costruendo città; ogni volta che stavano insieme, però, commettevano ingiustizie gli uni contro gli altri, non conoscendo ancora la politica; perciò, disperdendosi di nuovo, morivano. Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia, affinché fossero fondamenti dell’ordine delle città e vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus in quale modo dovesse distribuire rispetto e giustizia agli uomini: «Devo distribuirli come sono state distribuite le arti? Per queste, infatti, ci si è regolati così: se uno solo conosce la medicina, basta per molti che non la conoscono, e questo vale anche per gli altri artigiani. Mi devo regolare allo stesso modo per rispetto e giustizia, o posso distribuirli a tutti gli uomini?« «A tutti - rispose Zeus - e tutti ne siano partecipi; infatti non esisterebbero città, se pochi fossero partecipi di rispetto e giustizia, come succede per le arti. Istituisci inoltre a nome mio una legge in base alla quale si uccida, come peste della città, chi non sia partecipe di rispetto e giustizia». [323] Per questo motivo, Socrate, gli Ateniesi e tutti gli altri, quando si discute di architettura o di qualche altra attività artigianale, ritengono che spetti a pochi la facoltà di dare pareri e non tollerano, come tu dici - naturalmente, dico io - se qualche profano vuole intromettersi. Quando invece deliberano sulla virtù politica - che deve basarsi tutta su giustizia e saggezza - ascoltano il parere di chiunque, convinti che tutti siano partecipi di questa virtù, altrimenti non ci sarebbero città. Questa è la spiegazione, Socrate. Ti dimostro che non ti sto ingannando: eccoti un’ulteriore prova di come in realtà gli uomini ritengano che la giustizia e gli altri aspetti della virtù politica spettino a tutti. Si tratta di questo. Riguardo alle altre arti, come tu dici, se qualcuno afferma di essere un buon auleta o esperto in qualcos'altro e poi dimostri di non esserlo, viene deriso e disprezzato; i familiari, accostandosi a lui, lo rimproverano come se fosse pazzo. Riguardo alla giustizia, invece, e agli altri aspetti della virtù politica, quand’anche si sappia che qualcuno è ingiusto, se costui spontaneamente, a suo danno, lo ammette pubblicamente, ciò che nell’altra situazione ritenevano fosse saggezza - dire la verità - in questo caso la considerano una follia: dicono che è necessario che tutti diano l’impressione di essere giusti, che lo siano o no, e che è pazzo chi non finge di essere giusto. Secondo loro è inevitabile che ognuno in qualche modo sia partecipe della giustizia, oppure non appartiene al genere umano. Dunque gli uomini accettano che chiunque deliberi riguardo alla virtù politica, poiché ritengono che ognuno ne sia partecipe. Ora tenterò di dimostrarti che essi pensano che questa virtù non derivi né dalla natura né dal caso, ma che sia frutto di insegnamento e di impegno in colui nel quale sia presente. Nessuno disprezza né rimprovera né ammaestra né punisce, affinché cambino, coloro che hanno difetti che, secondo gli uomini, derivano dalla natura o dal caso. Tutti provano compassione verso queste persone: chi è così folle da voler punire persone brutte, piccole, deboli? Infatti, io credo, si sa che le caratteristiche degli uomini derivano dalla natura o dal caso, sia le buone qualità, sia i vizi contrari a queste. Se invece qualcuno non possiede quelle qualità che si sviluppano negli uomini con lo studio, l’esercizio, l’insegnamento, mentre ha i vizi opposti, viene biasimato, punito, rimproverato. (Platone, Protagora, 320 C - 324 A) SIMBOLO Egida L'egida (dal latino aegis, a sua volta derivato dal greco aigís) è lo scudo di Zeus e un capo indossato da Atena. Generalmente si pensa che sia fatta di pelle di capra, ma da un'opera di Eschilo si è ipotizzato che in origine l'egida fosse immaginata come una nube tempestosa (e precisamente il cerchio di nubi che si addensa sulla testa di Zeus al momento del tuono divino). Infatti vi è somiglianza tra i due termini: aix per capra e kataigís per uragano. L'egida usata da Atena è una corta corazza con le frange oppure uno scudo magico, dove in alcune versioni dal suo centro spicca la testa della Gorgone, attorniata da Lotta, Paura, Forza e Inseguimento. L'egida era la magica sacca di pelle di capra contenente una serpe e protetta dalla maschera della Gorgone. Erodoto lo conferma, e descrive come l'abbigliamento delle donne libiche fosse caratterizzato da grembiuli di pelle di capra, ornati di frange[1]. I Greci ne presero esempio, ma al posto dei serpenti posero delle striscioline di cuoio. Perseo uccise Medusa mozzandole la testa, la quale era in grado di pietrificare all'istante chiunque la guardasse. Atena inseguita si appropriò del talismano (la testa di Medusa) inserendolo in uno scudo fatto di pelle di capra, ed esso divenne il suo scudo magico in grado di pietrificare all'istante i suoi nemici. Bioetica 1. Dal primato delle scienze umanistiche a quello delle scienze empiriche Diversi fattori hanno contribuito alla nascita della bioetica (reazione alle pratiche mediche di sperimentazione incondizionata, sviluppo delle scienze e incremento delle possibilità tecnologiche e biomediche, questioni ambientali ...) Dal punto di vista della medicina, con l’introduzione del metodo sperimentaleinduttivo, si produce una sua trasformazione: essa, da scienza umanistica1, diviene scienza empirica. Un cambio di paradigma che le permetterà di guadagnare numerosi successi seguendo una linea di sviluppo che si muove secondo due direttrici principali: - la separazione dicotomica tra corpo e psiche (cfr. Cartesio), - l’approccio organicististo applicato, in un primo tempo, esclusivamente allo studio dei fenomeni biologici, fisiopatologici e clinici, e poi, successivamente, anche ai fenomeni psico-patologici e psichici. La medicina diviene così scienza dell’individuo organico, ovvero scienza biomedica, le cui conseguenze critiche si possono riassumere nei seguenti passaggi: - progressiva perdita della visione sistemica, con una netta separazione tra i processi biologici e quelli psicologici, - spostamento verso una sempre più marcata frammentazione e specializzazione, - incremento della tecnica, - baget come discrimine. 2. Ricadute antropologiche Come la rivoluzione copernicana del XVI sec. è stata anche una rivoluzione antropologica così quella biotecnologia apre ad una ricomprensione dell’umano. Essa può essere intesa come una sorta di rivincita dell’ “uomo” fino a quel momento ridimensionato rispetto all’antropocentrismo più tradizionale: - uomo non più al centro dell’universo (eliocentrico) - uomo in continuità evolutiva con la specie animale (Darwinismo) - uomo non solo “lucida consapevolezza”, ma anche inconscio (Freud) … I successi raggiunti dalle tecniche biomediche hanno, comunque, comportato una radicale modificazione della coscienza e della percezione della persona, del suo significato e dei valori fondamentali: - Si afferma una visione naturalistico-empirica della vita umana che genera: o un’esaltazione del valore della quantità di vita guadagnata e della qualità di vita in termini, però, primariamente, se non esclusivamente funzionali (HRQoL: Health-Related Quality of Life), a discapito del valore intrinseco di ogni persona; o una diversa percezione e apprezzamento del limite: la vita/organismo deve essere “senza difetti” altrimenti meglio la morte (eugenetica). - Si diffonde un senso di onnipotenza, quantomeno teorica, delle tecnologie: “è solo questione di tempo, ma l’uomo risolverà ogni problema di salute scoprendo e sviluppando le tecnologie adatte”. 1 A. ADLER, Der Arzt als Erzieher (orig. 1904), tr. it. Il medico come educatore, Rivista di Psicologia Individuale, n° 38 (2011) 53-71. - Il senso del valore comunitario e sociale di ogni esistenza umana viene radicalmente modificato: la persona è individuo, l’istanza sociale si riduce al concetto di società intesa come organismo artificiale puramente funzionale. 3. Bioetica come risposta al riduzionismo scientista: alcune date, alcuni dati 1927: il Fritz Jahr (pastore e teologo evangelico) coniò il termine «Bio Ethik». Affermazione e diffusione del termine ad opera dell’oncologo Van Rensselaer Potter: - 1970 articolo di Van Rensselaer Potter «Bioethics. The science of survival» in Perspectives in Biology and Medicine 14 (1970) pp. 127-153. - 1971 «Bioethics. Bridge to the future» Prentice – Hall, Englewood Cliffs. Potter intende la Bioetica come «una nuova disciplina che combina la conoscenza biologica con la conoscenza del sistema dei valori umani»: Bioetica = ponte fra le due culture cultura umanistica e cultura scientifica. In questa prospettiva la Bioetica possiede un significato più ampio rispetto alla più tradizionale «etica medica» 1978: Warren T. Reich definisce la Bioetica: «Studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta viene esaminata alla luce valori e dei principi morali»2. La Bioetica, in quanto scienza, appare pertanto strutturata secondo tre elementi che la qualifichino come tale: a) un oggetto d’indagine ben definito: l’area delle scienze della vita e della salute; b) un metodo proprio: approccio interdisciplinare (cfr. definizione dell’ Encyclopedia of Bioethics, 1995) c) dei criteri di riferimento, i principi morali appunto quali fonti e norme della conoscenza morale, ovvero quali valori morali per l’uomo. 4. Alcuni ambiti della bioetica a) b) c) d) e) f) g) 2 Sperimentazione sull’uomo Trapianti d’organo Scoperte della genetica e nuove frontiere dell’ingegneria genetica Inizio della vita e la procreazione umana Questioni di fine vita Limitazione delle risorse e priorità nelle scelte Altri ambiti non medici (ecologia, sviluppo sostenibile etc. ….) W. T. REICH, Introduction in W. T. REICH (ed.), Encyclopedia of Bioethics, Free Press, New York 1978, xix. 5. Principi della bioetica 5.1. Evoluzione storica Una prima elaborazione dei principi della bioetica la troviamo nel “Belmont Report” (1978)3. Tre i “principi etici di base” (basic ethical principles) individuati dal Rapporto: a) Principio del rispetto per le persone; b) Principio della beneficità dei trattamenti medici; c) Principio della giustizia nella ripartizione dei rischi e dei benefici. T. Beauchamp e J. Childress (Principles of biomedical ethics, 1979) riprendono tali principi come base condivisibile per teorie etiche diverse e come schema normativo di riferimento per produrre regole più specifiche4. La loro pretesa è triplice: a) estendere l'applicazione del modello dei principi dall'area della sperimentazione a tutta l'area biomedica; b) dare una più articolata sistemazione al modello in maniera da rinforzarne la capacità contenutistica-normativa; c) offrire la soluzione di dilemmi e conflitti morali nella maniera più oggettiva e imparziale possibile, escludendo il riferimento al soggetto e alla sua coscienza5. Il nucleo dei principi dell'etica biomedica risulta così composto: 1. Il principio del rispetto dell'autonomia. 2. Il principio di non maleficità. Mentre la beneficità richiede l'attivazione di uno specifico aiuto, il principio di non maleficità richiede soltanto l'astensione intenzionale di azioni che arrechino danno. 3. Il principio di beneficità. 4. Il principio di giustizia. Tale principio fonda l'obbligo di una giusta distribuzione dei benefici, dei rischi e dei costi. Il profilo epistemologico che emerge da questa prima teorizzazione della bioetica dei principi è quella di un'“etica applicata” che si preoccupa, cioè, di definire le norme capaci di guidare la decisione all'interno di situazioni problematiche sempre più complesse e in rapporto ad un contesto di pluralismo degli orientamenti morali, superando le differenze delle diverse teorie etiche. A questa interpretazione seguiranno però altri modelli che assumeranno la propria teoria di riferimento in termini molto più espliciti. Si distinguono tra questi P. Singer e T. Engelhardt che si fanno interpreti dei principi della bioetica in prospettiva rispettivamente teleologica e deontologica. La conseguenza normativamente più evidente di questo più esplicito riferimento ad una 3 Rapporto conclusivo dei lavori del primo Comitato di Bioetica, la National Commission for the protection of human subjects on biomedical and behavioural research che, istituita negli Stati Uniti dal Presidente Carter con il mandato di fissare i principi etici di base nella sperimentazione su soggetti umani, lavorò tra il 1974 e il 1978. 4 Il successo dell'opera, così come la disponibilità da parte degli autori a recepire e a rispondere alle critiche suscitate, sono testimoniate dal susseguirsi di diverse edizioni: 1983, 1989, 1994 (trad. it. Princìpi di etica biomedica, Le Lettere, Firenze 1999). 5 L'approccio proposto, centrato su principi e regole, assume la dimensione normativa come prospettiva dell'etica e della bioetica. determinata teoria è la concentrazione che i principi vengono ad avere nei loro rispettivi schemi etico-normativi: da una parte la concentrazione nello schema deontologìco-libertario di T. Engelhardt sul principio di autonomia-tolleranza, dall'altra la concentrazione nello schema teleologico-utilitaristico di Singer sul principio di beneficità-utilità. 5.2. Alcune applicazioni dei principi a) Autonomia b) Beneficialità – non malificenza c) Giustizia Conclusioni aperte 1) Cambio di paradigma nell’orizzonte etico Se da Aristotele a Kant la domanda etica era relativa alla definizione di bene, oggi la domanda etica muove a partire dall’orizzonte del male e più precisamente dalla possibilità di contenerlo (Hans Jonas parla di «euristica della paura»6). Questa trasformazione è intimamente correalata all’inevitabile passaggio da una morale antro-pocentrica, ad una bio-centrica: etica della vita e quindi della sua sopravvivenza (cfr. Potter: Bioetica come scienza per la sopravvivenza). Di qui un ulteriore determinazione della domanda morale contemporanea: o Dal “Che cosa fare?” o Al “Che cosa lasciar essere?” 2) Dalla scissione alla ricomposizione dell’umano È necessario ritrovare l’originaria unità della persona umana che integri corpo, psiche e spirito tenendo conto del fatto che l’etica si riferisce sempre ad un orizzonte antropologico da cui ha origine e a cui si rifà nella scelta dei comportamenti morali. Una rinnovata antropologia che renda ragione della dignità della persona umana e generi una più adeguata comprensione dei “principi della bioetica nord-americana”. 3) Questione di senso Poste tali premesse possiamo affermare che «il compito vero non è quello di riformare la scienza….. è piuttosto quello di correggerne lo strapotere» trovando per essa una misura, la quale «può essere offerta unicamente da condivise prospettive di senso della vita umana»7. In questa direzione ha ragione Marianna Gensabella Furnari laddove afferma che «lo spazio del filosofo non è quello della conclusione, l’ultima pagina del libro, ma è quello dell’orientamento, la prima pagina, quella dell’introduzione, che propone un “senso”, un’interpretazione che guidi la lettura. La luce della verità filosofica non è abbagliante, non si impone con autorità, è la luce dell’aurora, ancora soffusa, e tuttavia presente, capace di illuminare un giorno che deve ancora venire. Una luce che illumina gli spazi, senza fare 6 H. JONAS, Das Prinzip Verantwortung: Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation, Frankfurt/M. 1979 (trad.it. Il principio responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1993.). Una preoccupazione analoga la troviamo in J. HABERMAS, Die Zukunft der menschlichen Natur. Auf dem Weg zu einer liberalen Eugenetik?, Frankfurt a.M. 2001 (trad.it. Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi 2002). 7 G. ANGELINI, La questione radicale: quale idea di vita?, in AAVV, La Bioetica, Glossa, Milano 1998, 177206, qui 198. troppa violenza alle ombre, lasciando a chi non vuole ancora svegliarsi la possibilità di farlo più tardi»8. 8 M. GENSABELLA FURNARI, Ruolo del filosofo in bioetica, in G. RUSSO (ed.), Bioetica fondamentale e generale, SEI, Torino, 1995, p. 244.