IL CONCETTO DI DISABILITA' Se da un punto di vista intuitivo chiunque capisce a chi si faccia riferimento parlando di persona disabile, in realtà il concetto di disabilità rimanda a un’impostazione classificatoria ben definita, che assegna significati differenti ai concetti di menomazione, disabilità e handicap. Si tratta di concetti richiamati nella Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità e Svantaggi Esistenziali (ICIDH-International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps) divulgata nel 1980 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e recentemente evolutasi con l’ICF. Malattia e disabilità: concetti e classificazioni differenti Una prima fondamentale distinzione è quella fra malattia e disabilità, concetti che fanno capo a classificazioni diverse. La disabilità può essere la conseguenza di una malattia o di un incidente, ma non va confusa col concetto di malattia. Due persone con la stessa malattia possono avere diverse disabilità, così come due persone con la stessa disabilità non hanno necessariamente la stessa malattia. Nelle classificazioni internazionali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità le condizioni di salute vengono classificate mediante la Classificazione Internazionale delle Malattie (ICDInternational Classification of Diseases). Tale classificazione è soggetta ad aggiornamenti, cosicché negli anni si sono avvicendate versioni successive. L’ICD IX effettua una classificazione secondo gruppi di cause, partendo da un livello di aggregazione elevato e scendendo poi nel dettaglio di sottogruppi fino a giungere al codice di malattia a 4 cifre. Oltre alla Classificazione Internazionale delle Malattie, vi sono altri sistemi classificatori che si concentrano su gruppi di patologie, in particolare per quanto riguarda le malattie mentali e le cause esterne (ovvero i traumi volontari e involontari). Relativamente alle malattie mentali, il principale riferimento dopo l’ICD è dato dal DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), anch’esso sottoposto a revisioni e giunto ora alla versione IV. La Classificazione Internazionale delle Malattie è basata sulla sequenza etiologia >> patologia >> manifestazione clinica, e non consente di cogliere le eventuali situazioni disabilitanti a seguito della malattia. Nella Classificazione Internazionale delle Menomazioni, Disabilità e Svantaggi Esistenziali (ICIDH-International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps), evolutasi con la Classificazione Internazionale del Funzionamento e delle Disabilità (ICIDH-2), vengono classificate le disabilità associate alle condizioni di salute. L’ICD e l’ICIDH sono pertanto complementari, e andrebbero perciò utilizzate insieme: l’ICD fornisce una diagnosi e questa informazione si arricchisce delle informazioni aggiuntive offerte dall’ICIDH riguardo al funzionamento delle persone sul piano corporeo, personale e sociale. Quindi l’associazione di informazioni sulla diagnosi e sul funzionamento fornisce un quadro più ampio e significativo. Il seguente grafico può essere chiarificatorio. MODELLO BIO-MEDICO CLASSICO eziologia patologia sintomatologia limiti - Modello di suddivisione delle competenze mediche in relazione all’organo bersaglio - Non si è in grado di aggredire la causa perché trascorsa (TCE) o perché ignota (SM) - Non si arriva alla guarigione della malattia MODELLO ICIDH (modello bio-psico-sociale) eziologia patologia menomazione disabilità handicap - Modello di ragionamento che definisce gli interventi in base alle problematiche del singolo paziente - Trattamento che mira a migliorare le condizioni del malato ai tre livelli - Ruolo attivo del paziente - Cultura interdisciplinare che porta all’analisi delle capacità residue Conseguenze della malattia (evento morboso) Criticismi dell’ICIDH Critiche concettuali Basato sul modello medico di disabilità Causalità lineare da menomazione a handicap Insufficiente descrizione degli handicaps Assenza della dimensione ambientale Descrizione delle situazioni in termini negativi Critiche concettuali Complesso e pesante Utilizzo di termini obsoleti Sovrapposizione di categorie Dall’ICIDH all’ICF: la Classificazione Internazionale del Funzionamento e delle Disabilità Dopo diversi anni di utilizzo dell’ICIDH e l’esperienza maturata, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ritenuto di rivedere l’ICIDH, anche alla luce della consapevolezza e della maturità acquisita a livello internazionale relativamente al tema della disabilità. L’evento che più di tutti ha influenzato le decisioni politiche delle istituzioni internazionali è stata l’adozione nel 1994, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, di una risoluzione dal titolo Norme standard per la parità di opportunità per i disabili. Sebbene tale risoluzione non costituisse un vincolo legale, essa rappresentava una forte raccomandazione ai Governi per l’adozione di politiche indirizzate ad ottenere l’uguaglianza dei diritti e delle opportunità, oltre che dei doveri, delle persone disabili. Nel recepire le norme standard, l’ICF ha prima di tutto eliminato i termini disabilità e handicap, dalla valenza negativa, e ha inserito una terminologia più neutrale, cosicché il riferimento è all’attività e non più alla disabilità, alla partecipazione e non più all’handicap. L’ICF organizza le informazioni secondo tre dimensioni: 1. a livello corporeo (Funzioni e struttura del corpo). Essa comprende due classificazioni, una per le funzioni dei sistemi corporei, e una per la struttura corporea 2. a livello personale (Attività). Copre la gamma completa delle attività svolte da una persona. Le attività contenute nei capitoli vanno da quelle semplici a quelle complesse. 3. a livello sociale (Partecipazione). Classifica le aree della vita in cui un individuo è coinvolto, ha accesso, ha opportunità sociali o incontra barriere. Le aree classificate vanno da quelle semplici a quelle complesse. - Menomazioni del Disabilit à nel Handicap Linguaggio Parlare Orientamento Udito Ascoltare Vista Vedere Scheletriche Vestirsi, Alimentarsi Indipendenza fisica Camminare Mobilit à Psicologiche comportarsi Integrazione sociale Rispetto all’ICIDH, l’ICF enfatizza molto di più il ruolo della classificazione come modello sociale. In tal senso,essa include anche una lista di fattori ambientali e di contesto, che si ritiene possano influenzare il funzionamento e le disabilità dell’uomo. Il diagramma successivo illustra come disabilità e funzionamento umano siano il risultato di interazioni fra lo stato di salute e fattori di contesto. Tale interazione è complessa, bidirezionale e dinamica. A differenza dell’ICIDH, il modello dell’ICF non prevede un nesso causale fra le tre dimensioni. Definizioni: Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei (incluse le funzioni psicologiche) Le strutture corporee sono le parti anatomiche del corpo, come gli organi, gli arti e le loro componenti Le menomazioni sono problemi nella funzione o nella struttura del corpo, intesi come una deviazione o una perdita significative L’ attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte dell’individuo La partecipazione è il coinvolgimento nelle situazioni di vita Le limitazioni dell’attività sono le difficoltà che un individuo può incontrare nell’eseguire delle attività Le restrizioni della partecipazione sono i problemi che un individuo può sperimentare nel coinvolgimenti nelle situazioni di vita I fattori ambientali costituiscono gli atteggiamenti, l’ambiente fisico e sociale in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza I fattori di contesto sono di due tipi: a. Fattori ambientali sociali e fisici (organizzazione della società, caratteristiche architettoniche, strutture giuridiche e sociali, clima, struttura del territorio, …) b. Fattori personali (sesso, età, livello d’istruzione, professione, stili di vita,…) Applicazioni dell’ICF L’utilizzazione di un linguaggio comune può essere utile: o Statistica: demografia, studi su popolazioni, sistemi informativi o Ricerca: per misurare i risultati, la qualità della vita o i fattori ambientali o Clinica: assessment dei bisogni, valutazione dei risultati o Politica sociale: previdenza sociale, indennità, pianificazione dei servizi o Formazione: incremento della consapevolezza e delle azioni sociali CONCETTI GENERALI DI RIABILITAZIONE Nuova definizione di “Medicina Fisica e Riabilitazione” Si riporta di seguito la definizione proposta nella riunione UEMS-PRM di Lubiana (marzo 2003): “PRM is an independent medical specialty concerned with the promotion of physical and cognitive functioning, behaviour, quality of life (activities and participation) and with the prevention, diagnosis, treatment and rehabilitation management of people with disabling medical conditions and comorbidity across all ages. Specialists in PRM have a holistic approach to people with acute and chronic conditions, examples of which are musculo-skeletal and neurological disorders, amputations, pelvic organ dysfunction, cardio-respiratory insufficiency and the disability due to chronic pain and cancer. PRM specialists work in various facilities from acute care units to community settings. They use specific diagnostic assessment tools and carry out treatments including pharmacological, physical, technical, educational and vocational interventions. Because of their comprehensive training, they are best placed to be responsible for the activities of multiprofessional teams in order to achieve optimal outcomes.” MEDICINA RIABILITATIVA Aspetti metodologici e organizzativi - Centralità della persona disabile e della sua famiglia - Approccio globale al paziente inteso come unità bio-psico-sociale secondo un intervento fortemente connotato come “soluzione di problemi” - Passaggio da un modello di erogazione prestazioni a uno finalizzato al raggiungimento di determinati, ben definiti e misurabili “outcome” - Lavoro di gruppo “attività sanitarie di riabilitazione” possono essere definite come il complesso di interventi valutativi, diagnostici, terapeutici e altre procedure finalizzate a portare il soggetto disabile a muoversi, camminare, parlare, vestirsi, mangiare e comunicare efficacemente, ma soprattutto farlo ritornare attivo nel proprio ambiente familiare, lavorativo, scolastico e sociale. Si definiscono “attività di riabilitazione sociale” le azioni e gli interventi finalizzati a garantire al disabile la massima partecipazione possibile alla vita sociale con la minore restrizione possibile delle sue scelte operative, indipendentemente dalla gravità della menomazione e delle disabilità irreversibili, al fine di contenere la condizione di handicap. La riabilitazione medica persegue i seguenti aspetti del problema: •l’individuazione, la prevenzione, la diagnosi, la cura e la riabilitazione delle menomazioni,delle disabilità e degli handicap •il recupero dell’autonomia personale mediante l’attuazione della rieducazione funzionale e la fornitura di ortesi, protesi ed ausilii, per la cui prescrizione è necessario un intervento medico specialistico •la reintegrazione socio-familiare, scolare, professionale Gli interventi di tipo sociale hanno lo scopo di intervenire sull’ambiente per adattarlo alle esigenze del disabile (lottando quindi contro le barriere fisiche, psicologiche e sociali e cercando di prevenire la possibile insorgenza di handicap) Gli obiettivi della riabilitazione si basano inoltre su due principi: - la partecipazione attiva della persona interessata alla propria riabilitazione - il dovere per la società di adattarsi ai bisogni specifici delle persone disabili. MEDICINA RIABILITATIVA Aspetti metodologici e organizzativi •Centralità della persona disabile e della sua famiglia •Approccio globale al paziente inteso come unità bio-psico-sociale secondo un intervento fortemente connotato come “soluzione di problemi” •Passaggio da un modello di erogazione prestazioni a uno finalizzato al raggiungimento di determinati, ben definiti e misurabili “outcome” •Lavoro di gruppo La riabilitazione medica è quindi caratterizzata da un processo di soluzione di problemi e di educazione, nel corso del quale si porta una persona disabile a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, emozionale e sociale, con la minor restrizione possibile delle sue scelte operative, pur nell’ambito della limitazione della sua menomazione e della quantità di risorse disponibili. Ciò necessita, oltre al recupero funzionale, anche dell’utilizzazione delle capacità funzionali residue e della compensazione di quelle perdute, tenendo conto di tutti gli aspetti della vita e della persona e giovandosi dell’apporto di un team interdisciplinare di medici e tecnici che lavorano in modo coordinato. IL “TEAM” RIABILITATIVO •Persona disabile e famiglia •Fisiatra: responsabile del progetto riabilitativo, effettua la diagnosi riabilitativa, gestisce le problematiche mediche e coordina il team riabilitativo •Fisioterapista: assiste il paziente nell’iter di recupero funzionale, partecipa all’elaborazione del progetto riabilitativo e realizza, per quanto di sua competenza, il programma terapeutico rivolto alle menomazioni e alle disabilità motorie secondo le indicazioni del fisiatra. •Logopedista: partecipa all’elaborazione del progetto riabilitativoe aiuta la persona nelle problematiche relative alla comunicazione •Psicologo: fornisce supporto al disabile e alla famiglia sulle modifiche di vita relative alla malattia, la disabilità •Terapista Occupazionale: aiuta la persona a recuperare l’indipendenza nelle attività della vita quotidiana come vestirsi, igiene personale e mangiare, reinserimento lavorativo, controllo dell’ambiente •Tecnico Ortopedico: partecipa al progetto riabilitativo ed è responsabile dell’a valutazione, disegno e fabbricazione di ortesi e protesi •Assistente sociale: valuta l’impatto sociale,relazionale ed economico della disabilità sulla persona •Educatore professionale: partecipa all’elaborazione del progetto riabilitativo e supporta gli aspetti pedagogico- vocazionali •Altre professionalità: dietista, bioingegnerie, podologo… Al fisiatra, in quanto medico specialista in fisiopatologia e clinica delle funzioni neuromotorie, competono: •la diagnosi e la valutazione delle conseguenze funzionali della malattia in atto, da inserirsi nel contesto delle problematiche mediche pregresse e concomitanti •la pianificazione e l’attuazione del programma di intervento terapeutico nei confronti del soggetto disabile •la verifica dei risultati Alle altre figure professionali, quali gli operatori tecnici della riabilitazione, spetta la realizzazione dell’intervento terapeutico rivolto alle menomazioni e alle disabilità incluse nello specifico ambito di competenza (fisioterapisti per il motorio, logopedisti per il linguaggio, terapisti occupazionali per la traduzione funzionale del recupero) nel quadro del progetto di intervento generale, nonché l’intervento di informazione ed educazione nei confronti del paziente e di coloro che a vario titolo saranno interessati dalla situazione di disabilità. Il “team”è un gruppo interprofessionale, cioè un insieme di operatori sanitari, con professionalità e ruoli differenziati, che condividono valori comuni e interagiscono per il conseguimento di un obiettivo comune Lo strumento principale di operatività del “team” è la riunione del gruppo alla cui preparazione e conduzione devono essere dedicate adeguate risorse. OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO RIABILITATIVO Tra i principali obiettivi del trattamento rieducativo vengono indicati: 1) Recupero della mobilità 2) Controllo del dolore 3) Raggiungimento dell’autosufficienza nelle attività quotidiane 4) Autogestione del controllo sfinterico 5) Prevenzione delle complicanze 6) Ripresa della comunicazione 7) Recupero della attività relazionali e cognitive 8) Reinserimento familiare e sociale 9) Reinserimento occupazionale-lavorativo 10) Educazione sanitaria ed informazione al paziente ed alla sua famiglia In medicina riabilitativa l’erogazione degli interventi o, come più propriamente si dovrebbe definire, la presa in carico del paziente avviene obbligatoriamente non mediante una prescrizione più o meno generica e dettagliata realizzata dal medico competente, ma mediante la realizzazione di un progetto riabilitativo di persona, mentre i singoli interventi vengono realizzati nell’ambito di specifici programmi terapeutici. Progetto riabilitativo individuale: Si definisce progetto riabilitativo individuale l’insieme di proposizioni, elaborate dall’equipe riabilitativa, coordinata dal medico responsabile Programma riabilitativo: All’interno del progetto riabilitativo, il programma riabilitativo definisce le aree di intervento specifiche, gli obiettivi a breve e medio termine, i tempi e le modalità di erogazione degli interventi, gli operatori coinvolti, la verifica degli interventi. Progetto riabilitativo di struttura: La struttura deve garantire genericamente una “valenza riabilitativa” tramite la disponibilità, l’organizzazione e l’arredamento degli spazi, l’organizzazione del lavoro e delle modalità operative, di tutta la struttura a l fine di fornire un idoneo supporto orientato alla protezione e alla stimolazione delle capacità funzionali e relazionali o di tutti i soggetti ospitati. Che cos’è l’”outcome” finale o globale Rappresenta il risultato finale di tutti gli interventi clinici e terapeutici intesi nel senso più ampio , nonché degli interventi della riabilitazione sociale; è il risultato degli outcome specifici del paziente; caratterizza le menomazioni, disabilità e handicap residui. E’ un’espressione del recupero obiettivo acquisito e delle percezioni soggettive acquisite che contribuiscono nel determinare la qualità della vita della persona. Concetto di valutazione funzionale Secondo Anochin si può considerare in senso lato come funzione ogni attività esercitata dal soggetto per soddisfare determinati bisogni. Per valutazione funzionale si intende ogni proposta sistematica di misurare obiettivamente il livello di funzionamento di una persona in ognuna delle molteplici aree che costituiscono la persona stessa, come la salute fisica, la capacità di mantenersi, il ruolo svolto nelle varie attività, lo stato intellettuale, l’attività sociale, l’attitudine a girare il mondo e lo stato di sé ed emozionale. Le due principali tipologie di misura di Outcome riabilitativi sono relative a: -modificazione dello stato funzionale, considerato come una maggiore indipendenza nelle attività della vita quotidiana (strumenti di misura delle ADL,etc) -aumento delle opportunità di partecipazione e coinvolgimento dell’individuo nelle varie situazioni di vita, con possibilità di scelta in relazione alle condizioni di salute e di funzionalità e a fattori contestuali al fine di migliorare la qualità della vita quotidiana. METODI DI VALUTAZIONE CLINICO-FUNZIONALE Misurare: significa quantificare una osservazione relativa ad oggetti o ad eventi in rapporto ad un sistema di riferimento pre-determinato Valutare: significa attribuire un significato ad un dato, a una misura o ad un insieme di misure in uno specifico contesto. SCALE DI VALUTAZIONE Le scale di valutazione utilizzano valori numerici o punteggi in base alla prestazione del soggetto. Le scale sono normalmente divise in ITEMS cioe’ moduli e la somma dei punteggi dei singoli moduli fornisce al medico riabilitatore un criterio di valutazione oggettiva sullo stato clinicofunzionale del paziente, sulla sua disabilita’ o handicap. Le scale devono possedere i seguenti requisiti: Validità, Affidabilità, Sensibilità, Semplicità, Comunicabilità, Norme per la somministrazione e devono essere soggette a validazione Ambiti di uso delle misurazioni CLINICO : Diagnosi, prognosi, Stima di gravita’, Scelta e valutazione trattamenti, Valutazione di outcome, Comunicazione tra operatori sanitari, Ricerca clinica, Autovalutazione, Epidemiologia clinica INFORMATIVO/EDUCATIVO: Comunicazione con pazienti, familiari, operatori non sanitari GESTIONALE: Valutazione efficienza, definizione criteri di accesso ai servizi, Analisi rapporti costo/beneficio e costo/efficacia, Impiego delle risorse, Miglioramento continuo della assistenza, Valutazione dei programmi. L’applicazione delle scale di valutazione permette al riabilitatore di: - attribuire al paziente un livello di performance funzionale - di scegliere obiettivi realistici - di pianificare il percorso riabilitativo - di giudicare il risultato del trattamento nel tempo in base a confronti successivi - di avere dati per effettuare controlli di qualita’ per gestire in modo piu’ accurato le risorse in funzione dei risultati -di standardizzare i criteri di valutazione migliorando gli scambi comunicativi tra il personale riabilitativo e i vari centri. REQUISITI DELLE SCALE DI VALUTAZIONE - Validità: intesa come la capacità di misurare realmente cio’ che si vuole misurare (validita’ di costrutto, validita’ concorrente, validita’ predittiva, vaòidita’ di contenuto,validita’ ecologica, validita’ apparente) - Affidabilità: rimanda ai concetti di ripetibilità (capacità del test di dare lo stesso risultato se ripetuto sullo stesso soggetto dal medesimo operatore) e di riproducibilità (se ripetibile da operatori diversi con lo stesso risultato nello stesso soggetto) - Sensibilità: capacità di un test di misurare i reali cambiamenti. Se manca si incorre nell’effetto pavimento (vanno tutti male) o soffitto (vanno tutti bene). - Semplicità e Comunicabilità: poter essere utilizzato da piu’ operatori con capacità professionali affini e proprietà di essere comunicato a piu’ persone (“friendly”) - Norme per la somministrazione: tempo possibilmente inferiore a mezz’ora (cala con la collaborazione), istruzioni chiare e precise a corredo del test per la somministrazione. La validazione di un test prevede l’uso della scala ad un numero esteso di soggetti per verificare se risponde a tutti i requisiti. GLI INTERVENTI DELLA MEDICINA RIABILITATIVA Interventi terapeutici: volti a modificare le menomazioni e le disabilità Interventi assistenziali: volti a mantenere e a promuovere le migliori condizioni concesse dalla malattia disabilitante e dalla disabilità Interventi educativi: volti a consegnare alla persona disabile e/o alle persone a lei vicine strumenti conoscitivi e operativi utili all’accettazione della disabilità inemendabile e alla sua gestione FASI DI INTERVENTO DELLA MEDICINA RIABILITATIVA •Fase della prevenzione del danno e di conseguenti menomazioni secondarie nelle patologie ad alto rischio di sviluppo della disabilità. Questa fase caratterizza gli interventi riabilitativi nei reparti per acuti, tale intervento è strettamente integrato con il nursing infermieristico. •Fase della riabilitazione intensiva (fase acuta della riabilitazione), caratterizzata da interventi valutativi e terapeutici intensivi. Viene abitualmente collocata nella cosiddetta fase dell’immediata post-acuzie della malattia, quando l’intervento riabilitativo può positivamente influenzare i processi biologici che sottendono il recupero contenendo e riducendo l’entità ella menomazione e la disabilità è maggiormanete modificabile. •Fase di completamento del processo di recupero e del progetto di riabilitazione (fase subacuta della riabilitazione) •Fase di mantenimento e o di prevenzione del degrado del recupero motorio funzionale acquisito (fase postacuta della riabilitazione) Attività sanitarie di riabilitazione Le attività sanitarie di riabilitazione sono costituite dagli interventi valutativi, diagnostici terapeutici e dalle altre procedure finalizzate a portare il soggetto affetto da menomazioni al recupero, per quanto possibile, della autonomia nelle principali attività della vita quotidiana. In relazione alla intensità e complessità delle attività sanitarie di riabilitazione ed alla quantità e qualità delle risorse assorbite, le stesse si distinguono in : A) attività di riabilitazione intensiva, dirette al recupero di disabilità importanti e complesse nonché di quelle connesse con forme di patologia rara che richiedono la permanenza in ambiente riabilitativo dedicato e l’interazione con altre discipline mediche specialistiche. Ai fini della appropriatezza della prestazione, le disabilità debbono possedere il carattere della modificabilità a seguito di riabilitazione, richiedere un elevato impegno diagnostico medico riabilitativo ed un intervento inteso come quello erogato direttamente dal personale tecnico sanitario della riabilitazione, in termini di durata e\o complessità, orientativamente riferibile ad almeno tre ore giornaliere di terapia specifica. Le attività di riabilitazione intensiva possono essere erogate in regime di : • ricovero ospedaliero a ciclo continuativo e\o diurno in strutture organizzative complesse di Medicina Riabilitativa; • residenziale a ciclo continuativo e\o diurno; • ambulatoriale, extramurale e domiciliare per disabilità complesse che richiedono la presa in carico del team multiprofessionale con approccio interprofessionale. • Unità Spinali con unipolarità perlomeno riabilitativa per l’assistenza di soggetti con lesioni midollari di origine traumatica o da altra causa; Unità per le Gravi cerebrolesioni acquisite ed i gravi traumi cranio encefalici; Unità per le disabilità gravi in età evolutiva. B) attività di riabilitazione estensiva caratterizzate da un forte supporto assistenziale e da un moderato impegno terapeutico, comunque tale da richiedere una presa in carico specificatamente riabilitativa ed una attività complessiva specifica valutabile da una a tre ore giornaliere. Le attività di riabilitazione estensiva sono rivolte al trattamento di: • disabilità importanti, spesso multiple, con possibili esiti permanenti che richiedono una presa in carico nel lungo termine mediante la formulazione di un progetto riabilitativo individuale;• disabilità transitorie e\o minimali che richiedono un breve programma terapeutico riabilitativo quale quello attuabile ricorrendo alle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale di cui al DM 22\07\96. Gli interventi di riabilitazione estensiva sono erogati presso le seguenti strutture pubbliche e private accreditate: • presidi ambulatoriali di Recupero e Rieducazione Funzionale territoriali e ospedalieri; • strutture ospedaliere di Lungodegenza post acuzie; • presidi di Medicina Fisica e Riabilitativa extra ospedaliera a ciclo diurno e\o continuativo; • Residenze Sanitarie Assistenziali; • strutture residenziali, semiresidenziali per anziani e disabili; • centri socio riabilitativi ESAME CINESIOLOGICO 1) ANATOMIA DI SUPERFICIE: (articolazione e muscolatura satellite, cute e sottocute) osservazione visiva (ispezione): Vengono raccolte informazioni che contribuiscono a inquadrare clinicamente il paziente e a pianificare la valutazione: simmetria di movimento, postura, contorni muscolari, proporzioni corporee, colorito, condizioni della cute. palpazione E’ l’esame della superficie corporea mediante il tatto. Permette di apprezzare i contorni ossei e i punti di repere ossei, la consistenza dei muscoli (contrattura, flaccidita’), la temperatura e le condizioni della cute e del sottocutaneo. 2) DESCRIZIONE DEL MOVIMENTO e misurazione dell’escursione articolare (attiva e passiva) 3) VALUTAZIONE DELLA FORZA MUSCOLARE E DELLA FUNZIONE MUSCOLARE ESAME ARTICOLARE (Range of Motion-RoM) L’esame articolare serve per mettere in evidenza eventuali modificazioni, in difetto o in eccesso, della motilita’ articolare o la presenza di una motilita’ patologica. La rilevazione dell’ampiezza del movimento nelle diverse direzioni e’ relativamente semplice. Il soggetto deve essere sistemato in una posizione comoda e sicura: in genere supino, prono solo per qualche movimento (estensione del capo, del braccio, della coscia, flessione del ginocchio), seduto per i movimenti della mano e delle dita. Posizione anatomica e posizione 0 L’ampiezza del movimento va sempre rilevata a partire dalla posizione 0 (neutra) di ogni articolazione: per definire la posizione neutra bisogna definire la posizione di riferimento del corpo umano, alla quale poter riferire le eventuali variazioni in termini di spostamento (in genere angolare) dei diversi segmenti. Questa posizione e’, per convenzione, la posizione anatomica, quella cioè nella quale i termini anatomici hanno significato. Questa posizione corrisponde alla stazione eretta con arti superiori allineati ai fianchi e palmi delle mani rivolti in avanti. Le posizioni delle singole articolazioni in questo atteggiamento sono le posizioni 0 o posizioni di partenza. Piani di Movimento - Piani sagittali: sono piani verticali, dall’avanti all’indietro, che dividono il corpo umano in una parte destra e sinistra - Piani frontali o coronali: sono piani verticali, da destra a sinistra che dividono il corpo in una parte anteriore o ventrale e una posteriore o dorsale - Piani orizzontali o trasversali: dividono il corpo in una parte superiore o craniale e una inferiore o caudale. Ogni serie e’ costituita da un numero infinito di piani paralleli tra di loro. Per ogni serie vi e’ un piano privilegiato, mediano o cardinale,che divide il corpo in due parti di massa uguale. I tre piani cardinali sagittale, frontale e orizzontale si incontrano in un punto che e’ il centro di massa o baricentro del corpo in posizione anatomica. In posizione anatomica il baricentro si trova approssimativamente al 56% dell’altezza totale del soggetto, all’incirca all’altezza della prima-seconda vertebra sacrale. Il piano che contiene il baricentro coincide con il piano che divide in due il volume del corpo. Assi di Movimento Quando un segmento si sposta su uno dei piani descritti si muove attorno ad un asse perpendicolare al piano ( e quindi determinato dall’incontro degli altri due piani ortogonali che passano per il centro di rotazione). - I movimenti che avvengono sul piano sagittale avvengono intorno ad un asse trasversale. - I movimenti sul piano frontale avvengono attorno ad un asse sagittale o anteroposteriore - I movimenti sul piano orizzontale avvengono intorno ad un asse verticale. Movimento - I movimenti sul piano sagittale, si chiamano flessione ed estensione. - I movimenti sul piano frontale si chiamano abduzione (in fuori) e adduzione (in dentro) per i segmenti pari e inclinazione o flessione a destra e a sinistra per i segmenti posti sull’asse mediano del corpo. Per quanto riguarda le dita i termini di abduzione e adduzione non vengono riferiti al piano mediano del corpo ma a quello della mano (passa per il terzo raggio) e del piede (secondo raggio). - I movimenti sul piano orizzontale si chiamano rotazione interna (in senso mediale) e esterna (in senso laterale) per i segmenti pari, o a destra e a sinistra per i segmenti posti sull’asso mediano. CONTROINDICAZIONI E PRECAUZIONI all’esame articolare 1) Nel sospetto di lussazione articolare o di una frattura non stabilizzata 2) Subito dopo interventi chirurgici su tendini, muscoli, articolazioni e legamenti 3) Processi flogistici in atto 4) Emofilia 5) Presenza di neuro-radicolopatie FATTORI LIMITANTI L’ESCURSIONE ARTICOLARE (Attenzione ai muscoli biarticolari, misurare nelle due posizioni) 1) Contatto tra le parti molli (ginocchio) 2) Messa in tensione di legamenti o capsula articolare (spalla) 3) Stiramento di parti molli (muscoli, cute) come nella dorsoflessione del piede 4) Contatto tra segmenti ossei (gomito) Esame muscolare (Manual Muscle testing - MMT) “Il test muscolare manuale e’ una procedura per la valutazione della forza di singoli muscoli o di gruppi muscolari che si basa sulla capacita’ di eseguire un movimento in rapporto all’intervento della forza di gravita’ e di resistenze manuali” GRADING FORZA MUSCOLARE 5. Riesce a vincere la massima resistenza posta dall’operatore 4. Riesce a vincere la metà della resistenza posta dall’operatore 3. Movimento contro gravità 2. Movimento in assenza di gravità 1. Contrae senza movimento 0. Non contrae E’ importante assicurare una opportuna: o Posizione del paziente (tavolo di esame, borotalco) o Fissazione dei segmenti prossimali : in caso di insufficienza dei muscoli fissatori deve essere assicurata dall’esaminatore. o Controllo delle Compensazioni: trucchi che il paziente mette in atto per tentare di rispondere alla richiesta di movimento: movimenti sostitutivi, movimenti rapidi che trascinano per inerzia il segmento in esame, gravi deformita’. CONTROINDICAZIONI E PRECAUZIONI AL TEST MUSCOLARE 1) Infiammazione locale 2) Dolore 3) Pazienti con gravi patologie cardio-vascolari in anamnesi o in atto 4) Pazienti che abbiamo recentemente eseguito interventi di chirurgia addominale o portatori di ernie addominali (a meno che istruiti a non esercitare la manovra diValsalva) 5) Quando condizioni di fatica possono aggravare la situazione del paziente (SM, BPCO, tumori, Miastenia...) FUNZIONI MUSCOLARI MUSCOLO AGONISTA (o primo motore) + muscoli motori assistenti o sinergici (coagonisti): muscolo/i che contraendosi realizza un determinato movimento a livello dell’articolazione che attraversa. MUSCOLO ANTAGONISTA: muscolo/i la cui contrazione in accorciamento realizza un movimento articolare esattamente contrario quello causato dagli agonisti. Co-contrazione agonisti (isometrica) - antagonisti (isometrica) Co-contrazione agonisti (concentrica) - antagonisti (eccentrica) Attivazione dell’antagonista: 1) insieme o in un’alternativa rapida per migliorare la progressione del movimento; 2) alla fine del movimento per proteggere l’articolazione da un’escursione eccessiva e per preparare l’eventuale movimento di ritorno; 3) si oppongono comunque al movimento senza contrarsi per la loro resistenza elastica e viscosa; 4) insieme per stabilizzare un segmento osseo. CONTRAZIONE ISOMETRICA (statica), stabilizzante, per la fissazione: la forza interna non supera e non viene superata dalla forza esterna, si realizza una condizione di equilibrio, non cambia la lunghezza esterna del muscolo (la distanza tra le 2 inserzioni ossee) ma all’interno del muscolo si ha un allungamento della componente elastica,compensato dall’accorciamento di quella contrattile). CONTRAZIONE CONCENTRICA (in accorciamento), serve per accelerare il movimento: la forza interna > forza esterna: si produce movimento; il muscolo si accorcia avvicinando le leve ossee). CONTRAZIONE ECCENTRICA (in allungamento), serve per decelerare il movimento : quando la forza esterna eccede la forza interna il muscolo pur realizzando una tensione, viene allungato. MUSCOLO FISSATORE (o sinergico) sinergia di fissazione: muscolo che contraendosi ha il compito di fissare (bloccare) un segmento osseo, in modo da offrire una base stabile per l’azione dei muscoli agonisti che ad esso si inseriscono. Esso costituisce la forza necessaria per aggiungere la massa di un altro o di altri segmenti alla massa di quello dei due segmenti cui si inserisce l’agonista, che deve restare fermo MUSCOLO NEUTRALIZZATORE (o sinergico) sinergia di neutralizzazione: ha il compito di eliminare le azioni secondarie e non volute dell’agonista DESCRIZIONE DEL MOVIMENTO CATENA CINEMATICA: combinazione di più articolazioni che uniscono segmenti successivi: il più distale dei segmenti ha in genere più gradi di libertà rispetto al prossimale. C.C. APERTA: il segmento distale termina libero nello spazio (fase oscillante del cammino, della salita e discesa dalle scale); molto rappresentata nel corpo umano (colonna vertebrale, arti) C.C. CHIUSA: il segmento distale è fissato: ”l’articolazione terminale incontra una determinata resistenza che impedisce o limita il movimento libero” (fase di appoggio del cammino, alzarsi dalla seggiola appoggiandosi); poco rappresentata nel corpo umano (cingolo pelvico, cassa toracica) APPROCCIO CLINICO PER LA VALUTAZIONE DEI PROBLEMI MOTORI NELL’ANZIANO (EQUILIBRIO E CAMMINO) 1) Approccio funzionale: Misure di performance di un singolo task motorio Gait Speed Tandem gait (Potvin et al., 1980) Parallel stance (Fornoff et al., 1994) Tandem stance (Heitmann et al., 1989) Single-leg stance (Fornoff et al., 1994) Test di performance per tasks multipli Physical performance test (Reuben & Sui, 1990) Balance scale (Berg et al., 1989) Physical disability index (Gerety et al., 1993) FICSIT balance scale (Fornoff et al., 1994) Up & Go test (Podsiadlo & Richardson, 1991) EPESE Short physical performance battery (Guralnik et al., 1994) Gait assessment trolley (Klenerman et al., 1988) Extra laboratory gait assessment method (Fried et al., 1990) Misure dinamiche e misure di destabilizzazione posturale Functional reach (Duncan et al, 1990) Sit to stand (Buchner et al, 1993) Sternal push (Wild et al., 1981) Postural stress test (Wolfson et al., 1986) Walk & Talk (Lundin_Ollson et al, 1997) 2) Approccio strumentale Sistemi strumentali per lo studio del movimento •Video registrazione •Misure temporo-spaziali •Foot switches •Gait mats •Pressioni del piede •Pedane di pressione •Solette di pressione •Movimento •Electrogoniometri •Sistemi Stereofotogrammetrici •Accelerometri •Giroscopi •Forze •Piattaforme di forza •Scarpe strumentate •Ausili per il cammino strumentati •Elettromiografia dinamica •Elettrodi di superficie •Elettrodi a filo MEZZI E TECNICHE DI TRATTAMENTO •Terapia farmacologica •Chinesiterapia (passiva, assistita, attivo-assistita, attiva, contro-resistenza…..) •Rieducazione neuromotoria (Bobath, Kabath, Vojta, Perfetti, Doman, Mezieres…..) •Massaggio (manuale, connettivale, linfatico,...) •Mezzi fisici: Elettroterapia (effetto stimolante o antalgico) faradica, galvanica, esponenziale, Kotz, ionoforesi, bacinelle galvaniche, interferenziali, TENS, correnti diadinamiche; Ultrasonoterapia, Laserterapia, Magnetoterapia, Ultravioletti, Infrarossi; Trazioni vertebrali, Isocinetica •Manipolazioni: Tecnica di Maigne (vertebrali- DIM) Tecnica di McMennel (periferica)… •Biofeedback (EMG) Insegna al paziente a controllare il rilassamento muscolare •Infiltrazioni, Articolari, mesoterapia, trattamento focale della spasticità •Ergoterapia (Terapia Occupazionale) Reinserimento vita sociale e lavorativa •Protesi, ausili, ortesi Protesi: apparecchio che sostituisce totalmente o parzialmente parti del corpo mancanti, recuperando per quanto e’ possibile la funzione danneggiata (protesi esterne, protesi interne) Ortesi: tutori applicati direttamente sui diversi segmenti corporei con scopi diversi: prevenire complicanze come deformita’ articolari, sostituire muscoli deficitari, consentire funzioni altrimenti impossibili. Ausili : ogni dispositivo o accorgimento (bastoni, deambulatore, carrozzina) che consente al paziente il superamento di una disabilita’ e la riacquisizione di una capacita’ funzionale perduta per compensare le funzioni perse in seguito ad un danno fisico o sensoriale. (Nomenclatore tariffario) TECNICHE FISIOCHINESITERAPICHE La Fisioterapia e’ quella branca della Medicina che utilizza le energie fisiche naturali (calorica, elettrica, radiante, meccanica...) a scopo terapeutico…. Concetto di Omeostasi Fisiologica: “L’organismo dell’uomo vive in un perfetto equilibrio, in virtù dei suoi automatici meccanismi di regolazione che lo tutelano nei confronti dell’energia calorica, radiante, elettrica e di tutte le altre forme di energia che gli gravitano intorno, modulando adeguatamente l’insieme delle sue risposte affinché ogni parte del corpo, dagli apparati più differenziati alla più semplice delle cellule, si trovi inserito in un complesso, interdipendente, sistema di difesa, che realizzi per tutti quella che va sotto il nome di “omeostasi fisiologica”, cioè una condizione per cui ogni livello biologico e’ in grado di esprimere nel modo migliore la sua attività funzionale.” Efficacia dello stimolo energetico: Intensità dello stimolo: ”uno stimolo somministrato a scopo terapeutico per prima cosa deve essere tale da oltrepassare la soglia di equilibrio del substrato e scatenare in esso le sequenze difensive, deve essere cioè sovraliminare.” Durata dello stimolo: “rapporto tra la quantità di energia somministrata e il tempo di somministrazione: uno stimolo anche di bassa entità può diventare sovraliminare se protratto per un certo periodo di tempo” (ricordare concetto di assuefazione dei tessuti biologici allo stimolo). Meccanismo di risposta del substrato: 1) Afferenza centripeta 2) Elaborazione del segnale ed attivazione della risposta di difesa 3) Efferenza dei segnali per attivare le difese “Lo stimolo sovraliminare, quando arriva al substrato, trova dei recettori capaci di raccogliere le informazioni utili a valutarne le caratteristiche quantitative-qualitative e topografiche che, convogliate attraverso le vie afferenti sensitive ai centri afferenti midollari e arricchite dei segnali da parte dei centri superiori, permetteranno ai centri vegetativi dei metameri midollari interessati di esprimere, con le relative sequenze automatiche, le difese distrettuali (vasodilatazione, sudorazione, modificazione metabolica) e generali appropriate”. Specificità dello stimolo Specificità della risposta Fase fisiochinesiterapica della malattia_ 1) Ogni malattia ha una propria dinamica evolutiva dall’esordio alla conclusione con notevole polimorfismo clinico intermedio. 2) Concomitante farmacoterapia che potrebbe mascherare i segni della flogosi e trarre in inganno sulla fase della malattia. Concetto di crisi reattiva: “L’effetto terapeutico si estrinseca attraverso l’attivazione di situazione metaboliche capaci di segnalare la loro attivita’ attraverso sintomi soggettivi e obiettivi che costituiscono la fase di reazione” ENERGIA TERMICA Criteri di utilizzazione del calore in terapia Reazioni biochimiche cellulari: “il calore acquista significato terapeutico quando un evento morboso rallenta le dinamiche biologiche di un substrato organico” - Effetti locali e generali (termoregolazione) del riscaldamento - Profondita’ del trattamento (dipende dalla capacita’ di penetrazione nell’organismo delle varie energie) Principali effetti biologici prodotti dall’aumento di calore - Aumento del metabolismo - Vasodilatazione - Apporto di ossigeno e metaboliti - Rimozione dei cataboliti - Aumento della temperatura localizzato e generalizzato - Caduta della pressione sanguigna - Riduzione della viscosita’ ematica - Effetto sedativo e stimolante sulle terminazioni nervose - Rilasciamento muscolare ed aumento dell’efficacia contrattile - Incremento dell’attivita’ delle ghiandole sudoripare. TECNICHE TERMOTERAPICHE -Termoterapia con mezzi solidi: Borsa d’acqua calda Sabbiature Fanghi Termoforo -Termoterapia con mezzi liquidi: bagno caldo doccia Termoterapia con mezzi gassosi: - Applicazioni in ambiente Bagno turco Sauna finnica Grotte - Applicazioni locali Termoterapia con Raggi Luminosi e Radiazioni Infrarosse Termoterapia con Onde Corte (Marconi-terapia) Termoterapia con micro-onde (Radar terapia) Termoterapia con Ultrasuoni INDICAZIONI 1) Trattamento generale - malattie reumatiche di tipo degenerativo poliarticolare - malattie metaboliche ad estrinsecazione reumatica (gotta...) 2) Trattamento locale Artropatie di tipo degenerativo (artrosi) e post-traumatiche Lombalgie e lombosciatalgie (in fase sub-acuta o cronica) Fibrositi, Contratture muscolari, mialgie (di tipo non infiammatorio), tendiniti, periartriti, algie post-traumatiche, come preparazione alle sedute di massoterapia e chinesiterapia. CONTROINDICAZIONI Generali: febbre, gravidanza, neoplasie, malattie cardio-circ. scompensate. Locali: flogosi acute art. e cut., varici, endoportesi metalliche, idrarti, ipoestesia o anestesia cutanea, arteriopatie periferiche. CRIOTERAPIA Effetto opposto alla termoterapia con rallentamento del metabolismo tissutale. L’effetto piu’ evidente della sottrazione di calore e’ la vasocostrizione. Effetti biologici prodotti dalla diminuzione di calore: - Effetto analgesico per diminuzione dell’eccitabilita’ delle fibre nervose con conseguente ipo o anestesia del territorio cutaneo interessato. - Vasocostrizione che limita lo stravaso ematico e la formazione di edema - Riduce o evita la contrattura muscolare riflessa INDICAZIONI - Contusioni traumatiche Entro le 24 ore. Effetto di vasocostrizione riducendo la pressione, la formazione di edema e il dolore. - Spasmi muscolari, spasticita’ - Artrite (periartite scapolo-omerale) Riduce l’infiammazione per l’azione vasocostrittrice, favorisce la remissione del dolore al ridursi della pressione generata dal’edema, il dolore diminuisce anche per l’effetto diretto sulle terminazioni nervose. Modalita’ di applicazione: Borsa del ghiaccio, strofinamento di cubetti IDROCHINESITERAPIA Rappresenta una metodica che utilizza le proprietà fisiche dell’acqua (temperatura, pressione etc.) per favorire la rieducazione al movimento dei vari distretti corporei. L’azione antigravitaria dovuta all’immersione (legge di Archimede) permette lo scarico articolare facilitando il movimento dei vari segmenti corporei; L’acqua riscaldata a una temperatura di 32°-35° ha un’azione analgesica e decontratturante; L’acqua ha un’azione di integrazione fra la sensibilità propriocettiva (dovuta ai recettori articolari che permettono di avvertire la posizione del proprio corpo) ed esterocettiva (dovuta ai recettori cutanei per la temperatura, il dolore etc…) INDICAZIONI ALL’IDROCHINESITERAPIA Patologia Ortopedica - traumatologica Esiti di interventi chirurgici per lesioni traumatiche; Esiti di fratture o interventi a livello della colonna vertebrale; Esiti di interventi di protesizzazione articolare; Traumatologia sportiva. Patologia Reumatologica Artrosi; Artrite reumatoide (non in fase acuta); Spondilartrosi anchilopoietica; Fibromialgia; Patologia neurologica Morbo di Parkinson. Patologia Angiologica Esiti di flebopatie; Arteriopatie croniche; Linfedema cronico. Patologia Geriatrica Prevenzione delle rigidità articolari e miglioramento delle performance motorie ENERGIA ELETTRICA La forma d’onda di corrente viene caratterizzata dall’insieme dei valori che l’intensita’ di corrente assume nel tempo : 1. Ampiezza 2. Frequenza 3. Lunghezza d’onda 4. Periodo Corrente continua Intensita’ costante nel tempo e nella direzione. Corrente faradica Durata dell’impulso compresa tra 0,1 e 1 msec, frequenza di 50-100 impulsi/sec. Tempo di salita dell’impulso uguale al tempo di discesa. Forme d’onda impulsive Si ottengono interrompendo periodicamente una corrente continua per cui e’ necessario introdurre ulteriori parametri: - Larghezza dell’impulso - Pausa : intervallo di tempo in cui l’intensita’ e’ nulla - Tempo di salita e tempo di discesa dell’impulso Corrente rettangolare, triangolare, esponenziale. Effetti biologici della corrente elettrica Una corrente elettrica applicata ad una cellula ne provoca rispettivamente una depolarizzazione al catodo e l’iperpolarizzaione all’anodo del circuito. Lo stimolo elettrico, per essere efficace deve avere una determinata intensita’ ed essere applicato per un certo periodo di tempo. Curva dell’eccitabilita’, o intensita’/durata. Effetto eccitomotorio Origina a livello del catodo e provoca l’insorgenza di un potenziale d’azione. L’intensita’ della corrente deve variare bruscamente di ampiezza se si vuole evitare che la cellula si accomodi diventando ineccitabile. La corrente deve essere necessariamente variabile o interrotta. Effetto termico La somministrazione di corrente oltre una certa frequenza non determina piu’ la contrazione muscolare ma solo la produzione di calore. Per scopi terapeutici si usano le onde corte (MarconiTerapia) e le onde ultra-corte (Radar terapia). Effetto analgesico La corrente continua e quella variabile agiscono, oltre che sui nervi motori anche su quelli sensitivi (dalla sensazione di formicolio, fino alla scossa dolorosa). In corrispondenza del polo positivo si osserva una diminuzione della eccitabilità nervosa, fino al punto da impedire il passaggio di uno stimolo sensitivo, con conseguente anestesia se la corrente e’ continua. Effetto trofico L’azione del campo elettrico sarebbe responsabile, in virtu’ dei cambiamenti della differenza di potenziale della membrana cellulare di modificazioni dell’attivita’ biochimica cellulare: a cio’ conseguirebbe un accresciuto consumo di ossigeno, una maggiore produzione di anidride carbonica e un incremento delle richieste circolatorie locali. Tutte le correnti hanno poi un effetto diretto sulla circolazione, favorendo la vasodilatazione. Effetto chimico Quando una corrente continua attraversa un elettrolita, si verificano particolari reazioni chimiche a livello degli elettrodi, per concentrazione di ioni + al di sotto dell’anodo e di ioni - al catodo. Transcutaneous electrical nerve stimulation (TENS) Stimolazione elettrica neurale transcutanea Si tratta di una metodica di uso comune in medicina, soprattutto in ambito fisioterapico, con finalità analgesico-antalgiche di estrema efficacia, di facile utilizzo e a basso costo. Tale semplicità ne consente l’utilizzo anche a domicilio da parte del paziente per l’intero ciclo terapeutico. L’impiego della TENS offre un positivo aiuto per la risoluzione di molte patologie osteo-mioarticolari, dei tendini, dei legamenti e neuronali. PRINCIPI La stimolazione per via trans-cutanea è la tecnica elettroterapica più utilizzata negli ultimi anni: agendo a livello dei nervi periferici, riesce ad ottenere una sensibile diminuizione della sintomatologia dolorosa. La vie nervose deputate alla conduzione della sensibilità tattile e dolorifica fanno giungere le proprie informazioni, provenienti dai recettori periferici, al midollo spinale: a questo livello una via comune conduce le informazioni periferiche al cervello,che le elabora. Il principio fisiologico su cui la TENS fa riferimento è quello del GATE-CONTROL, o controllo a cancello. Se infatti questa via comune diretta al cervello viene impegnata da un eccesso di stimoli tattili (elettrostimolazione) viene inibita la conduzione degli stimoli dolorifici. In pratica si viene a chiudere il cancello a tutte le informazioni dolorifiche dirette al cervello. E’ Come se un interruttore inibitorio bloccasse tutti questi messaggi. In questo modo, e senza l’utilizzo di farmaci, si crea un effetto analgesico che pone fine al circolo vizioso: DOLORE > CONTRATTURA MUSCOLARE > DOLORE Gli effetti biologici generati dalla TENS possono essere così riassunti: - INIBIZIONE della trasmissione NOCICETTIVA - LIBERAZIONE di ENDORFINE - MODIFICAZIONE dell’eccitabilita’ periferica con un conseguente innalzamento della soglia del dolore. CONTROINDICAZIONI Naturalmente gli impulsi elettrici potrebbero interferire negativamente su apparecchiature quali PACE- MAKER. Particolare attenzione deve essere posta in soggetti con TURBE del RITMO CARDIACO. Gli elettrodi non vanno mai posizionati sopra FERITE, PIAGHE, o in zone di ALTERATA SENSIBILITA'. LASERTERAPIA Impiega un fascio di luce caratterizzato da stessa direzione, ampiezza, frequenza e fase della radiazione. Questo spiega la grande proprieta’ del laser che e’ la direzionalita’. Nelle applicazioni fisioterapiche la luce laser viene fatta passare attraverso un sistema di lenti divergenti per ottenere un’energia distribuita su un’area maggiore. Diversi tipi di laser: a stato solido (rubinio, neodimio..), a gas (HE-Ne), CO2, a stato liquido. L’apparecchio consiste in un generatore di luce laser collegato con un manipolo terminale che permette di sfuocare il raggio e di irradiare le zone colpite dal processo patologico o le aree reflessogene. L’effetto biologico e’: Analgesico (riduzione della trasmissione dello stimolo algico per iperpolarizzazione della membrana della fibra nervosa e attenuazione dello stato infiammatorio. Antiedemigeno: riattivazione dei vasi (soprattutto linfatici) Biologico di rigenerazione cellulare (stimolazione dei mitocondri) INDICAZIONI: Artriti, tendiniti, borsiti, malattie degenerative articolari, radicolopatie,. patologie post-traumatiche, ulcere varicose. MAGNETOTERAPIA Si basa sul principio che un conduttore percorso da corrente elettrica variabile e’ in grado di generare attorno a se’ un campo magnetic che a sua volta e’in grado di indurre in um conduttore una corrente elettrica (corrente indotta). Il campo magnetico puo’ essere prodotto da un solenoide avvolto intorno al segmento da trattare. L’effetto biologico e’: Facilitazione dei circoli collaterali arteriosi Regolarizzazione del tono e della permeabilita’ capillare Riassorbimento di edemi flogistici e post-traumatici Accentuazione dll’attivita’ antibatterica dei globuli bianchi INDICAZIONI: Piaghe e ulcere vascolari, lesioni traumatiche delle parti molli, ritardi di consolidazione e pseudoartrosi. CONTROINDICAZIONI: Presenza di pace-maker, di protesi metalliche, mezzi di sintesi. CHINESITERAPIA Si intende per chinesiterapia l’utilizzo del movimento come metodo terapeutico, e il movimento, oltre ad essere il mezzo di guarigione, rappresenta anche lo scopo ultimo di questo tipo di terapia. Chinesiterapia passiva Chinesiterapia attiva 1) Allineamento posturale passivo 1) Esercizi attivi generali 2) Mobilizzazione passiva in rilasciamento 2) Esercizi attivi segmentari 3) Mobilizzazione passiva forzata 3) Tecniche di facilitazione neuromuscolare 4) Rieducazione funzionale 5) Stretching CHINESITERAPIA PASSIVA Per chinesiterapia passiva si intendono i movimenti che vengono fatti compiere dalle articolazioni di un paziente senza che questo partecipi al movimento con la contrazione muscolare volontaria. 1) Allineamento posturale passivo E’ il complesso di provvedimenti terapeutici atti a prevenire alterazioni e deformita’ articolari in pazienti costretti a letto per lunghi periodi. Ha la funzione di evitare che al momento della ripresa motoria il paziente presenti alterazioni dell’apparato locomotore tali da limitare o rendere addirittura impossibile la prestazione funzionale. Fondamentale in questi pazienti e’ il cambio frequente di posizione nel letto, che ha lo scopo di prevenire non solo le deformita’ da postura forzata, ma anche di evitare la formazione dei decubiti cutanei. E’ utile a questo scopo associare al cambio di posizione massaggi e frizioni cutanee oltre all’impiego di materassi antidecubito, archetti metallici, docce di posizione, etc. 2) Mobilizzazione passiva in rilasciamento Consiste in una serie di manovre finalizzate al mantenimento di uno stato anatomico e funzionale onde evitare rigidita’ e deformita’. Occorre quindi prevenire retrazioni capsulari e muscolari, mantenere libere le articolazioni e conservare lo schema motorio. Puo’ essere eseguita dal fisioterapista o mediante appositi apparecchi. E’ indispensabile che ogni manovra mobilizzi selettivamente le singole articolazioni, che il paziente sia completamente rilasciato, che il movimento non risvegli dolore (scatenando la contrattura) e che la mobilizzazione venga eseguita con costanza e a volte per lunghi periodi. La mobilizzazione passiva continua (MPC) si puo’ effettuare attraverso apparecchi motorizzati che fanno compiere escursioni articolari graduabili, permettendo un progressivo recupero dell’escursione articolare senza scatenare indesiderate contratture. 2) Mobilizzazione passiva forzata A differenza delle precedenti forme di chinesiterapia passiva che hanno un significato preventivo, la mobilizzazione passiva forzata ha lo scopo di vincere aderenze e retrazioni cutanee, muscolari e capsulari ormai gia’ instauratesi. E’ pertanto indicata nelle rigidita’ da immobilizzazione, in quelle congenite e nelle deformita’ da non uso. CHINESITERAPIA ATTIVA Si intende l’insieme dei movimenti che il paziente compie utilizzando la contrazione muscolare volontaria. Ha lo scopo di costruire o ricostruire lo schema motorio del paziente, migliorare il trofismo muscolare, l’azione di pompa sui liquidi organici e la coordinazione muscolare. 1) Esercizi attivi generali Interessano gran parte del corpo e possono rientrare nella generica definizione di ginnastica. La ginnastica puo’ avere lo scopo di correggere soprattutto durante l’eta’ infantile difetti posturali, mentre nella eta’ adulta e nella terza eta’ puo’ assumere un significato generico di attivita’ di prevenzione, mantenimento e ricondizionamento. 2) Esercizi attivi segmentari Consistono nell’esecuzione di contrazioni (isotoniche o isometriche) a livello di un distretto muscolare. Sono indicate nel caso di ipotonia muscolare o di rigidita’ articolare. 3) Tecniche di facilitazione neuromusoclare Si tratta di metodiche chinesiterapiche capaci di attivare meccanismi neuro-motori in grado di migliorare la funzione di muscoli. Si basano sulla stimolazione di recettori periferici che inviando ripetuti impulsi afferenti, sono in grado di modificare il circuiti neuronale nel quale sono inseriti. Oltre che nelle vere e proprie malattie della cellula nervosa (paralisi spastiche, paresi dell’adulto) permettono di ottenere ottimi risultati in caso di ipotrofie muscolari o rigidita’ articolari posttraumatiche. Tra le numerose tecniche di facilitazione neuromuscolare, le piu’impiegate sono quelle del Bobath e quelle di Kabat. 4) Rieducazione funzionale Ha lo scopo di mantenere inalterati i distretti muscolari ed articolari non interessati da malattie ma che potrebbero andare incontro ad alterazioni a causa di lunghi periodi idi immobilizzazione. Per ottenere questo e’ fondamentale iniziare la rieducazione il piu’ precocemente possibile, in modo da conferire un significato preventivo a questa forma di terapia. 5) Stretching Si tratta di una metodica di stiramento muscolare ottenuta assumendo posizioni in cui i capi inserzionali del muscolo si trovano ad una distanza tale, da sollecitare in lunghezza la componente visco-elastica del muscolo stesso. E’ necessario che la tensione muscolare non superi la soglia del dolore e che l’allungamento sia lento, graduale e realizzato in situazione di rilassamento psicofisico. Ogni allungamento, meglio se preceduto da una contrazione isometrica dello stesso muscolo, deve durare 20-30 sec. Anche se piu’ spesso attuata attivamente dal paziente, questa tecnica puo’ essere eseguita dal fisioterapista che sottopone a sollecitazioni in allungamento gruppi muscolari che sono andati incontro a retrazione. MASSAGGIO TERAPEUTICO Per massaggio si intende una serie di manovre specifiche su uno o piu’ segmenti corporei a scopo terapeutico. L’azione interessa tutti i tessuti molli a partire dalla cute, il derma, connettivo, muscoli, vasi sanguigni e linfatici e terminazioni nervose. Gli effetti terapeutici si esplicano secondo due meccanismi: 1. Azione diretta o meccanica - Sulla cute: rimozione delle cellule di sfaldamento, favorisce la funzione respiratorio, delle ghiandole sudoripare e sebacee. - Sui muscoli: rimozione delle scori (acido lattico) e l’afflusso di glucosio e ossigeno, azione trofica sul muscolo ipotonico per la presenza di contrazioni spontanee in corrispondenza della zona massaggiata. Effetto di scollamento in presenza di esiti cicatriziali fibrosi e di riassorbimento di raccolte siero-ematiche in esito a strappi muscolari. - A livello vascolare: aumento della circolazione sanguigna con maggiore afflusso di sostanze nutritizie e smaltimento dei cataboliti, favorisce il drenaggio venoso e linfatico. - Sulle terminazioni nervose: effetto antalgico dovuto all’aumento di flusso ematico e al rilasciamento muscolare. 2. Azione indiretta o riflessa Viene mediata dal sistema nervoso periferico e centrale. La stimolazione dei nervi vasomotori determina iperemia attiva (rossore e riscaldamento cutaneo). Le modificazione emodinamiche periferiche stimolano la funzionalita’ dell’apparato cardiocircolatorio: - migliora la gittata sistolica, - diminuisce la pressione sistolica e diastolica, per riduzione delle resistenze periferiche - regolarizzazione del ritmo cardiaco. Aumento della diuresi, per mobilizzazione di maggiori quantita’ di liquidi. Azione reflessogena mediata dal sistema nervoso centrale a partenza dai propriocettori ed esterocettori con conseguenti risposte da parte del sistema neuromotorio e neurovegetativo. Stretto legame tra le strutture muscolari e cutanee e le strutture viscerali. Effetto psicologico Il massaggio va eseguito principalmente sulle strutture muscolari perche’ - I muscoli sono le strutture che imprimono il movimento ed e’ su di essi che si notano precocemente i segni di lesioni dell’apparato locomotore, sia perche’ direttamente colpiti da danni neurologici, sia perche’ indeboliti dal non uso. - Essendo i muscoli molto vascolarizzati e’ qui che si puo’ agire sul processo di riequilibrio del circolo, pompando sangue venoso verso il cuore e favorendo l’afflusso di sangue arterioso pulito, a beneficio anche di tutte le altre strutture dell’apparatolocomotore. - Dove non ci sono i muscoli le manovre possono risultare dannose o dolorose per le strutture sottostanti (linfonodi, vasi, articolazioni...) INDICAZIONI In tutti casi di ipotrofia e ipotonia muscolare dovuta a : - malattie neurologiche (paralisi flaccide, polineuropatie) - malattie articolari infiammatorie o degenerative con o senza blocco articolare - malattie che richiedono prolungato riposo a letto - immobilizzazione per traumi, interventi chirurgici. Esiti di contratture Per facilitare il riassorbimento di ematomi, edemi di origine meccanico-circolatoria. Per lo scollamento degli esiti cicatriziali. CONTROINDICAZIONI Assolute Stati infiammatori acuti Malattie infeetive Lesioni e traumi recenti Neurolesioni di tipo centrale (ipertono) Relative Condizioni particolari del paziente in rapporto all’eta’ e alle condizioni di salute Fratture recenti Varici Abrasioni Iperestesia Zone delicate (cavo popliteo, ascelle, inguine) LE CARATTERISTICHE DEL PAZIENTE ANZIANO (modello di riferimento integrato) Alcune caratteristiche del paziente anziano rendono necessario un ampliamento dell’iter diagnostico, tendendo alla valutazione delle diverse bio-dimensioni in cui si inquadra il caso clinico in esame. In particolare, accanto ad un approccio eziopatogenetico sulle cause di malattia, va tenuto in considerazione la valutazione funzionale delle funzioni residue dell’anziano malato (utili ad impostare il trattamento riabilitativo, la cura e l’assistenza) sia il contesto psico-sociale (tratti psicologici, situazione ambientale in cui si sviluppa la malattia) Principali concetti di interesse in Riabilitazione Geriatrica 1. Comorbilità 2. Disabilità e handicap 3. Fragilità 4. Aspettativa di vita (attiva) 5. Valutazione multidimensionale Basic geriatric paradigm “A group of people defined not simply by age but representing a complex syndrome of multiple, simultaneous, interactive problems [which impair patients’ functional status and cause disability] Definizione di “Anziano Fragile “Frailty is a state of reduced physiologic reserve associated with increased susceptibility to disability”. Quei soggetti di età avanzata o molto avanzata, cronicamente affetti da patologie multiple, con stato di salute instabile, frequentemente disabili, in cui gli effetti dell’invecchiamento e delle malattie sono spesso complicati da problematiche di tipo socio-economico. ASPETTATIVA DI VITA Numero di anni di vita attesa per un individuo di una certa età ASPETTATIVA DI VITA ATTIVA Numero di anni di vita senza disabilità attesi per un individuo di una certa età VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE GERIATRICA CARATTERISTICHE DEL PAZIENTE GERIATRICO Patologie a carattere cronico Comorbilità (presenza contemporanea di più patologie) Non autosufficienza Problemi cognitivi ed affettivi Precarie condizioni socio-ambientali Valutazione multidisciplinare La corretta modalità di approccio è rappresentata dalla Valutazione Multidimensionale, che si può definire come un “Procedimento diagnostico multidisciplinare finalizzato alla valutazione globale dell’anziano”. In particolare devono essere valutate: •le condizioni cliniche •lo stato funzionale •le capacità cognitive •le componenti psico-affettive •le condizioni sociali, economiche ed ambientali. Sono identificati, descritti e spiegati i molteplici problemi di un individuo anziano Vengono definite le sue capacità funzionali Viene stabilita la necessità di servizi assistenziali Viene sviluppato un piano di trattamento e di cure, nel quale i differenti interventi siano commisurati ai bisogni e ai problemi Valutazione clinica •Raccolta dell’anamnesi •Esame obiettivo: Peso ed altezza, Cute e sottocutaneo, Muscolatura, Apparato scheletrico ed articolazioni, Capo,Occhio,Orecchio, Apparato cardiovascolare, Apparato respiratorio, Addome, Organi genitali, Sistema Nervoso, Misurazione della pressione arteriosa Valutazione funzionale Disabilità catastrofica, Disabilità progressiva Si valutano: •le Basic Activities of Daily Living, cioè le attività basiliari della vita quotidiana (muoversi, vestirsi, lavarsi, espletare le funzini fisiologiche, mangiare); •le Instrumental Activities of Daily Living, cioè le attività della vita quotidiana che richiedono una certa abilità nell’uso di strumenti, quali l’uso del telefono e dei mezzi di trasporto, fare la spesa, preparare i pasti, eseguire i lavori domestici, assumere correttamente i farmaci e gestire il denaro. Valutazione motoria: test di performance, valutazione clinica e strumentale Valutazione cognitiva ed affettiva: MiniMental State, Geriatric Depressiona Scale Valutazione dello stato socio-economico CURE DOMICILIARI NEL PAZIENTE ANZIANO. CRONICO O DISABILE APPRIOCCIO BIO-PSICO-SOCIALE QUALITA’ DELL’ASSISTENZA MODELLI D’INTERVENTO ALIMENTAZIONE PROBLEMI: 1) DIMENSIONE PSICHICA: motivazione e interesse al cibo. 2) DIMENSIONE COGNITIVA: capacità cognitive e di programmazione. 3) DIMENSIONE MOTORIA: capacità motorie, di coordinazione e di destrezza dell’arto superiore, di equilibrio nella stazione seduta. Particolare attenzione va posta alla ridotta abilità globale in destrezza e forza (mano, masticazione) e alle alterazioni della deglutizione (disfagia). CONSEGUENZE: 1) DISIDRATAZIONE 2) MALNUTRIZIONE (fino alla cachessia) 3) ASPIRAZIONE DI MATERIALE ALIMENTARE NELL’ALBERO BRONCHIALE (con polmoniti ab-ingestis) IDENTIFICAZIONE DEL DISTURBO ALIMENTARE VALUTAZIONE “FUNZIONALE” VALUTAZIONE “AMBIENTALE” 1) VALUTAZIONE “FUNZIONALE” Sensorio à Sono presenti alterazioni del gusto, dell’olfatto o della vista che possono rendere problematica l’alimentazione? Dentatura à La persona possiede e usa una corretta dentatura? Coordinazione à I movimenti delle mani alla bocca sono alterati? Il paziente ha una normale capacità rimaneggiare utensili? Stato mentale à Lo stato cognitivo impedisce una normale alimentazione? Stato cardiovascolare e respiratorio à Lo stato cardiovascolare e respiratorio del paziente interferiscono con una normale alimentazione? Deglutizione à E’ presente disfagia, rischio di aspirazione, o rigurgito di materiale alimentare? Mobilità à Il paziente è autonomamente mobile? Riesce a mantenere la posizione seduta? Livello di assistenza à Il paziente richiede assistenza durante l’alimentazione? Il paziente assume almeno tutte 4 le categorie di alimenti (proteine, lipidi, carboidrati e vitamine)? Sono presenti disturbi gastrointestinali che interferiscono con l’alimentazione? E’ presente depressione? E’ presente instabilità clinica? VALUTAZIONE “AMBIENTALE” La tipologia dei cibi offerti al paziente corrisponde alle sue richieste, alle sue abitudini alimentari e ai suoi gusti? La presentazione del cibo è sufficientemente stimolante? Sono stati previsti cibi voluttuari? E’ stato dato sufficiente tempo per l’assunzione del cibo? Sono state verificate strategie alternative di orario, di tempo, di luogo o di ambiente? E’ presente interferenza da parte dei caregiver? Principi generali à Gli anziani devono essere incoraggiati a mangiare da soli, usando utensili (cucchiaio, forchetta ecc.) normali o modificati, quando sia il caso, pronti ad aiutarli in caso di necessità. Bisogna vincere la tentazione di semplificare: evitare di imboccare l’assistito. à L’autonomia, sia a letto sia in poltrona o a tavola, è favorita da una spaziosa e ferma superficie su cui piatti, bicchieri, posaterie, tovagliolo, pane ecc. sono sistemati, nonché dalla piacevolezza del pasto stesso: igiene, odori, sapori, colori devono rispondere il più possibile alle preferenze e ai desideri dell’assistito. à Gli ambienti devono essere il più possibile accoglienti e tranquilli, senza distrazioni (televisione, persone attorno) à All’assistito va garantito il tempo necessario à Il paziente deve essere seduto comodo con il busto eretto, eventualmente sostenuto da cuscini se il controllo del tronco è incompleto, braccia appoggiate al tavolo e il collo lievemente flesso in avanti (da 15° a 30°): evitare il collo piegato indietro con il mento all’insù perché favorisce la chiusura dell’ostio esofageo e l’apertura della trachea, con rischio di aspirazione. à Guardare in faccia il paziente mentre lo si assiste à Togliere le protesi se non perfettamente aderenti o non ben tollerate à Vanno cercati utili accorgimenti per i deficit specifici: per un ipovedente o un cieco, evitare cibi di difficile manipolazione (per es. i piselli), mettere nel piatto cibi di facile aggredibilità, disponendoli a orologio (per es. la carne in corrispondenza delle ore 12, le verdure in corrispondenza delle ore 3, le patate delle ore 9); in tal modo la persona, debitamente informata sulla posizione dei cibi nel piatto, avrà ridotta necessità di assistenza à Adeguare il ritmo di imboccamento o di assistenza alla velocità masticatoria o deglutitoria del paziente e non viceversa à Usare cucchiai di grandezza adeguata alla bocca del paziente à Non eccedere nella quantità di cibo nel piatto e anche nel cucchiaio à Evitare di far parlare il paziente con il cibo in bocca à Dare da bere separatamente dal mangiare à Intercalare piccoli sorsi di liquido solamente tra un boccone e l’altro: non agevolare la deglutizione dei cibi mediante sorsi di liquido à Far schiarire sempre la gola, tra un boccone e l’altro e sempre prima di bere FUNZIONI SFINTERICHE INCONTINENZA URINARIA (la perdita involontaria di urine in quantità o con frequenza tali da costituire un problema sociale o di salute) CAUSE DI INCONTINENZA TRANSITORIA: Delirio Infezione urinaria Uretrite atrofica e vaginite Farmaci Disordini psichiatrici Eccessivo flusso urinario Ridotta mobilità Costipazione fecale FATTORI FONDAMENTALI DELLA CONTINENZA 1. Normale funzionalità dell’apparato urinario sia nella funzione di serbatoio sia in quella di svuotamento 2. Adeguata mobilità e destrezza della persona nell’uso della toilette e/o nello svestirsi e rivestirsi 3. Adeguate funzioni cognitive per riconoscere la necessità di andare in bagno e per trovare il bagno 4. Motivazione ad essere continente 5. Assenza di barriere à architettoniche (accessibilità domestica) o iatrogene (farmaci deprimenti le funzioni degli apparati interessati: sistema nervoso e sistema locomotore CONSEGUENZE Persistente Transitoria (DIAPRESS) GENERALI LOCALI ISOLAMENTO CADUTE DEPRESSIONE SOCIALE LESIONI CUTANEE PERINEALI LESIONI DA DECUBITO INFEZIONI DELLE VIE URINARIE SEPSI INCONTINENZA FECALE • Incontinenza spuria, da impatto fecale, per la presenza di stipsi ostinata (anziani istituzionalizzati) che irrita la parete intestinale con diarrea paradossa • Incontinenza funzionale: mancato riconoscimento dello stimolo • Incontinenza fecale sintomatica: patologia rettocolica sottostante • Incontinenza anorettale: da lesione dei nervi motori o sensoriali del plesso sacrale o del nervo pudendo IGIENE PERSONALE • Deficit dovuti ai cambiamenti normali dell’invecchiamento: destrezza di esecuzione, diminuzione della competenza, depressione…) • Deficit dovuti alla presenza di malattie croniche (Parkinson, artrite reumatoide, ictus, Alzheimer…) • Deficit che derivano dalla ipotrofia/atrofia muscolare dovuti ad uso inadeguato • Deficit che derivano dal situazioni traumatiche (frattura anca…) CONSEGUENZE: • Difficoltà di organizzazione dei gesti e delle sequenze delle azioni da compiere • Difficoltà di gestione degli oggetti • Incapacità a svolgere le azioni per uno stato di confusione ideomotoria • Completa dipendenza per motivazioni di tipo psico-affettivo, motorio, sensitivo-percettivo ABBIGLIAMENTO • Deficit funzionali • Limitazione nell’ampiezza dei movimenti delle articolazioni • Diminuzione della forza e coordinazione dei movimenti • Difficoltà a mantenere la stazione eretta • Aprassia • Difficoltà nella manipolazione (tremore) • Dolore articolare • Limitazioni selettive del movimento (protesi articolare) • Difficoltà visive • Emiplegia MOVIMENTO E CAMMINO IL CAMMINO DELL’ANZIANO: • Rallentamento della velocità • Passi più corti e a cadenza superiore • Aumento della base e del tempo di doppio appoggio • Maggiore dipendenza del controllo visivo • Diminuzione delle possibili strategie alternative AUSILI PER IL CAMMINO: • Deambulatore • Girello ascellare • Tripodi e quadripodi (dal lato opposto a quello affetto o bilateralmente) • Bastoni canadesi • Bastone da passeggio Criteri generali di scelta: • In relazione allo stato mentale e alla comorbilità • Il paziente è motivato all’utilizzo dell’ausilio? • Come è l’ambiente domiciliare del paziente? Obiettivi: 1. Ridurre il peso del corpo su determinati segmenti 2. Stabilizzare la persona allargando la base di appoggio del corpo CALZATURE E ORTESI CALZATURE • Modificare gli appoggi della pianta (redistribuzione delle pressioni) • Modificare le posizioni relative tra i segmenti del piede e tra piede e gamba ORTESI • Molla di Codivilla per favorire la flessione dorsale del piede cadente dell’emiplegico • Ortesi peroneale per evitare l’inversione o l’eversione del piede nelle paralisi • Tutori dinamici per favorire determinati movimenti NORME GENERALI DI COMPORTAMENTO Permettere a una persona in difficoltà di camminare sicura significa, innanzitutto, metterla nelle condizioni migliori per poterlo fare: Se una donna anziana ha sempre portato i tacchi, sarà presente retrazione dei tendini achillei. Camminare senza tacchi procurerà retropulsione anche in assenza di alterazioni franche dei riflessi posturali: bisognerà prevedere un tacco largo sotto le pantofole o far indossare le scarpe abituali; In presenza di anomalia morfologica o funzionale del piede, far usare calzature predisposte od ortopediche su misura; L’abbigliamento dovrà essere comodo ma non ingombrante: evitare camicione da notte, se possibile; Nell’aiutare, disporsi sempre dalla parte del corpo malata o più debole. Quindi: Dare il sostegno nel modo seguente: l’assistente porge la propria mano con il palmo rivolto verso l’alto e all’altezza del fianco, non più in alto. Il paziente deve appoggiarcisi come a un bastone; evitare che la persona afferri il braccio dell’assistente, si tiri o debba tenere il braccio in alto; A volte, per fissare meglio il tronco, è necessario sostenere il malato anche sotto l’ascella, dallo stesso lato da cui si porge la mano; Osservare attentamente lo schema e la velocità del passo: non va affrettato. L’assistente adegua il proprio passo a quello del paziente e non viceversa: “tirare” la persona, oltre che scomodo, è pericoloso ed inefficace; Per affrontare le scale in salita far avanzare per primo l’arto sano o comunque il più efficiente; in discesa far avanzare per primo l’arto malato o il meno efficiente; Consultare il fisioterapista che ha avuto in cura il paziente in caso di ospedalizzazione: egli è generalmente in grado di fornire notizie dettagliate su come assistere al meglio la persona dopo la dimissione; Valutare attentamente la possibilità di adattamenti, anche minimi, dell’ambiente domestico che facilitino lo spostamento del malato in modo autonomo (es. corrimano ai lati, posizionamento particolare di alcun i mobili rispetto al lato sano, copertura di piccoli dislivelli con rampre semplici, anche artigianali ecc.) LA RIABILITAZIONE POST-ICTUS L’approccio riabilitativo al paziente con stroke non può prescindere da due aspetti fondamentali: 1.La conoscenza del decorso del recupero neurologico e funzionale dopo stroke in termini di evoluzione temporale e sue modalità 2.La possibilità di disporre di un’accurata predizione dell’outcome dello stroke attraverso l’individuazione di sicuri fattori predittivi o indicatori prognostici del recupero. - Più idonea pianificazione del trattamento - Più precise indicazioni prognostiche 7 fasi del comportamento motorio degli arti plegici dopo stroke (Brunnstrom) I fase: flaccidità, nessun movimento è possibile II fase: iniziale sviluppo della spasticità e delle sinergie di base degli arti o alcune loro componenti possono comparire come reazioni associate; possibile presenza di movimenti volontari accennati III fase: acquisizione del controllo volontario delle sinergie di base anche se realizzate parzialmente; la spasticità diventa marcata IV fase: possibilità di realizzare alcune combinazioni di movimenti che non seguono gli schemi delle sinergie di base (inizialmente con difficoltà poi con maggiore facilità); la spasticità inizia a diminuire V fase: si apprendono combinazioni di movimenti più vari e più difficili dato che le sinergie di base perdono la loro dominanza sulle attività motorie; la spasticità continua a diminuire VI fase: scomparsa della spasticità e diventano possibili movimenti articolari isolati e la coordinazione si avvicina alla normalità VII fase: funzione motoria normale RECUPERO DOPO STROKE Considerazioni importanti eccezioni al tipico pattern di ripresa motoria: il processo di recupero si può arrestare in qualsiasi fase occorre considerare l’unicità di ogni singolo caso, al di là del pattern tipico il recupero della motricità non necessariamente si traduce in un recupero della funzionalità La concomitanza di deficit sensitivo, specie riguardo le modalità tattile e propriocettiva, può impedire al paziente con buon recupero della motricità attiva, un completo utilizzo dell’arto inferiore e superiore, rendendo difficoltosa ed insicura la deambulazione od ostacolando la realizzazione di compiti di manualità e di destrezza manuale RECUPERO DOPO STROKE Tempistica Il recupero dopo stroke si realizza principalmente e più rapidamente nelle prime settimane e comunque entro i primi 3-6 mesi. E’ possibile un ulteriore recupero fino a 1 anno. Entro i primi 6 mesi, si concentra il massimo impegno riabilitativo con lo scopo di stimolare ed accompagnare il recupero neurale. C’è un rapporto tra epoca di comparsa dei primi segni di ripresa motoria ed entità del recupero complessivo Il massimo recupero sensitivo si realizza prevalentemente entro i primi 2 mesi e in genere non oltre il quarto mese. La persistenza del deficit sensitivo è considerata di valore prognostico negativo. OUTCOME DOPO STROKE L’accurata predizione dell’outcome dello stroke è di importanza cruciale per il riabilitatore. L’identificazione di predittori in grado di discriminare tra pazienti a prognosi negativa o positiva può infatti consentire di cogliere coloro che meglio possono beneficiare della riabilitazione, garantendo così un più efficace utilizzo dei servizi di riabilitazione. Un consenso univoco in materia di predizione dell’outcome è ostacolato dal difficile confronto tra gli studi, a causa delle differenti popolazioni di pazienti, epoche di valutazione, criteri di definizione e misurazione dell’outcome e strumenti di misura adottati. OUTCOME DOPO STROKE Indicatori prognostici negativi età avanzata presenza di precedenti stroke nell’anamnesi incontinenza sfinterica coesistenza di deficit visuo-spaziali percettivi coesistenza di deficit sensitivo propriocettivo severità della paralisi scarso controllo del tronco compromissione prolungata dello stato di coscienza in fase acuta durata dell’intervallo tra epoca di insorgenza dello stroke ed ingresso in riabilitazione VALUTAZIONE RIABILITATIVA Obiettivi: diagnostico-clinico (semeiotica internistica classica) prognostico (l’identificazione delle menomazioni e disabilità del soggetto è utilizzata per formulare un giudizio sulla successiva evoluzione) identificazione dei trattamenti necessari nelle fasi dopo l’evento morboso identificazione dei pazienti candidati alla riabilitazione identificazione dell’entità e l’andamento del recupero, sia spontaneo sia come effetto di uno specifico trattamento, monitorandone così validità e risultati RECUPERO DOPO STROKE Insieme delle modificazioni del comportamento post-lesionale del paziente cui si attribuisce un significato di miglioramento rispetto alla fase di insorgenza della malattia - recupero intrinseco: ripristino totale o parziale della funzionalità delle strutture nervose danneggiate, con possibilità di raggiungere un controllo neurologico sugli arti paralizzati ed il recupero di una motricità funzionalmente utile. Si verifica per fenomeni al livello ultra strutturale, quali risoluzione dell’edema, rigenerazione e sprouting assonale, modificazioni sinaptiche, ecc. - recupero adattativo: compensazione della funzione a seguito dell’intervento di strutture residue rimaste integre. Si realizza per modificazioni comportamentali grazie a fenomeni di apprendimento e riorganizzazione: addestramento dell’emicorpo sano all’acquisizione di strategie in grado di compensare il deficit motorio dell’emicorpo leso. RIABILITAZIONE DOPO STROKE E’ un processo dinamico che mira a favorire la graduale ricostruzione delle funzioni del SNC danneggiate e/o “disorganizzate” dall’evento lesivo: ciò ha l’obiettivo di portare ad una riduzione delle menomazioni conseguenti all’evento morboso ed a raggiungere il più elevato grado di recupero funzionale consentito dalla lesione, in termini di autonomia fino all’ottenimento della miglior reintegrazione possibile a livello familiare e sociale. L’approccio riabilitativo prevede alcuni obiettivi: prevenzione delle complicanze secondarie trattamento specifico e mirato dei deficit neurologici presenti sviluppo di strategie di compenso laddove non sia possibile ripristinare la funzione parzialmente o completamente mantenimento del recupero senso-motorio e funzionale raggiunto FASI DEL TRATTAMENTO fase acuta: comprende l’esordio della patologia fino al superamento della diaschisi ed ha una durata di circa 1-3 settimane fase del recupero: corrisponde al trattamento riabilitativo intensivo con progressivo recupero degli schemi motori e funzionali fase degli esiti stabilizzati: inizia quando è definitivamente raggiunto il massimo recupero intrinseco permesso dalla lesione FASE ACUTA Nella fase acuta si rileva generalmente completa assenza di motricità dall’emilato colpito con ipotonia; può risultare compromessa anche la sensibilità e le funzioni corticali superiori (linguistiche, prassiche, gnosiche, attentivo-mnesiche, tono dell’umore). Le problematiche clinicointernistiche sono prioritarie rispetto all’intervento riabilitativo in questa fase. E’ fondamentale però prevedere alcuni interventi di base: • Prevenzione immediata delle complicanze legate all’immobilità (posture) • Adeguata igiene articolare (mobilizzazione) • Prevenzione della spalla dolorosa, sindrome spalla-mano, capsulite retrattile (postura corretta, mobilizzazione, ortesi) Man mano che si raggiunge una maggiore stabilità clinica si intensifica il programma riabilitativo • Ripresa del controllo posturale del tronco da seduto • Monitoraggio dell’evoluzione del tono muscolare • Autonomia nelle funzioni vitali (deglutizione, incontinenza urinaria) FASE DI RECUPERO Obiettivi: • ripresa della motricità volontaria • recupero graduale della stazione eretta e dell’autonomia nei trasferimenti • ripresa della deambulazione con o senza ausili (o raggiungimento dell’autonomia in carrozzina) • mantenimento della motilità articolare polidistrettuale • trattamento dei deficit cognitivi (eminegligenza spaziale unilaterale, afasia, aprassia) TRATTAMENTO DEI DEFICIT SENSOMOTORI • facilitazione: tecniche che sfruttano riflessi indotti da manovre di posizionamento del paziente o da richiesta di attività contro resistenza (Kabat, Bobath,…) • compenso: tecniche che enfatizzano il raggiungimento di un’indipendenza funzionale nelle attività della vita quotidiana con strategie specifiche proprie dell’arto malato o sano, oppure attraverso l’uso di ausilii • controllo motorio: tecniche che si avvalgono di esercizi correlabili ad un miglioramento del controllo motorio attraverso un apprendimento compito-dipendente (BFB, FES…) FASE DEGLI ESITI prevenzione del degrado motorio e funzionale mantenimento delle abilità acquisite Follow-up, una volta realizzata la dimissione, attraverso controllo ambulatoriale: - monitoraggio delle menomazioni e disabilità residue, oltre che dell’integrazione familiare e sociale - valutazione e riconoscimento di eventuali problematiche specifiche intercorrenti o subentranti (insorgenza di sindromi algiche o limitazioni articolari, necessità di modifcare la prescrizione di ausili o di rivalutazione della spasticità) La spasticità La spasticità è un disordine del sistema sensomotorio caratterizzato da un aumento del tono muscolare velocità-dipendente, con un aumento dei riflessi osteotendinei risultante da un’ ipereccitabilità del riflesso da stiramento. La spasticità è una delle componenti della sindrome del motoneurone superiore, insieme ad un aumento dei riflessi flessori, debolezza, perdita di destrezza. Quando la spasticità limita il movimento, può derivarne una disabilità. La spasticità nel tempo può determinare cambiamenti nelle proprietà reologiche della muscolatura interessata e delle articolazioni, causando retrazioni, anchilosi, atrofia e fibrosi La spasticità deve essere trattata solo se interferisce con i livelli di: • funzionalità • posizionamento • nursing • comfort In sostanza quando dalla spasticità deriva una disabilità (presente o futura) o un disagio (diretto o indiretto) Trattamento della spasticità Generale o Reversibile Baclofene orale o intratecale Rieducazione neuromotoria o Permanente Mielotomia Rizotomia Locale o Reversibile Tossina botulinica Blocchi fenolici Rieducazione neuromotoria o Permanente Chirurgia “riabilitativa” (trasposizioni, allungamenti) Chirurgia “demolitiva” (tenotomie, stabilizzazioni,) osteotomie …) LINEE GUIDA PER LA RIABILITAZIONE DI GRUPPO IN PAZIENTI AFFETTI DA MORBO DI PARKINSON Il morbo di Parkinson, come è noto, è una malattia neurodegenerativa ad eziologia sconosciuta, caratterizzata da una perdita di neuroni nella sostanza nera, nucleo mesencefalico di partenza del circuito dopaminergico migro-striato-talamo-corticale che pur nella variabilità individuale del quadro clinico conduce inesorabilmente i pazienti all’invalidità totale. L’alterazione del tono muscolare di base e durante il movimento, la perdita progressiva delle fisiologiche reazioni posturali e delle coordinazioni comporta la restrizione delle abilità motorie volontarie e riflesse con alterazioni del movimento e dell’equilibrio La restrizione motoria e la rigidità conducono all’instaurarsi di un danno terziario alle strutture muscolo-scheletriche. La rigidità della gabbia toracica e della muscolatura respiratoria e l’incoordinazione respiratoria portano ad un’insufficienza respiratoria di tipo misto. Pur non essendo sperimentalmente dimostrata l’efficacia della riabilitazione nel prevenire la progressione della malattia, il trattamento rieducativo del paziente con lieve, moderata, o grave disabilità è in grado di contrastare sia la restrizione del movimento, sia l’instaurarsi del danno secondario e terziario purchè venga condotto con continuità. Ad ogni modo, più precocemente sarà iniziato il trattamento migliori saranno i risultati, sia perché il paziente non avrà ancora perso completamente gli schemi di movimento normali e soprattutto non avrà strutturato i compensi patologici, sia perché il danno delle strutture muscolo-scheletriche non sarà divenuto irreversibile. La scelta di trattare in gruppo pazienti affetti da morbo di Parkinson con lieve o moderata disabilità È stata fatta nell’intento di sfruttare le dinamiche relazionali (competitività,emulazione,socializzazione) tipiche degli ambienti socializzanti, per favorire i processi di apprendimento motorio che,come è noto, in questo tipo di malati risultano essere particolarmente compromessi. Nella Malattia di Parkinson idiopatica l’esordio è in genere monolaterale. I sintomi principali sono: tremore a riposo, bradicinesia, ipertono plastico, atteggiamento camptocormico, impaccio dell’andatura e disturbi dell’equilibrio ad insorgenza più tardiva. I sintomi secondari sono: modificazioni della voce, alterazioni della deglutizione, scialorrea, dimagramento, alterazioni della funzionalità intestinale e della minzione, eccesso di sudorazione, depressione e ansia. VALUTAZIONE NEUROMOTORIA: Bradicinesia: Consiste nella lentezza di esecuzione del movimento, aumenta con il progredire della malattia fino all’acinesia (mancanza di movimento). E’ accompagnata dalla perdita di movimenti automatici come il pendolamento delle braccia, la deglutizione, la amimia facciale. Difficoltà anche ad iniziare e a bloccare il movimento. Alterazione dei riflessi posturali che correggono la posizione del capo in funzomne di quella del corpo e del baricentro con conseguente alterazione dello schema corporeo. Negli stadi più avanzati è presente il freezing: acinesia paradossa, caratterizzata da congelamento dei piedi, che sembrano incoltati al suolo; da questa posizione di blocco il paziente può tornare improvvisamente ad una motricità normale. Rigidità: può essere il solo segno clinic all’esordio della malattia. E’ definita plastica (troclea dentata) poiché il muscolo si decontrae a scatti. L’ipertono muscolare interessa i muscoli agonisti ed antagonisti con una resistenza omogenea alla mobilizzazione passiva. Negli stadi avanzati i normali movimenti di rotazione della colonna vertebrale si annullano, rendendo impossibile la rotazione sul proprio asse. Tremore: può essere l’unico sintomo evidente. E’ presente durante il riposo, è fine e si accentua nelle situazioni di stress, scompare durante il sonno e nei movimenti di larga ampiezza. Interessa il capo, le mani, è inizialmente monoartuale per poi estendersi a tutto il corpo. Coordinazione: man mano che la patologia avanza viene meno una normale coordinazione. Instabilità posturale: negli stadi più avanzati vengono meno progressivamente gli aggiustamenti posturali per cui la stazione eretta e i cambiamenti posturali dapprima sono insicuri ,poi difficili o impossibili autonomamente, con comparsa di retro, antero, lateropulsione che aumenta il rischio di caduta. La “destinazione”: il paziente inizia il movimento con difficoltà per poi proseguire di corsa alla ricerca del proprio baricentro. Attività della vita quotidiana Valutazione della stazione eretta, passaggi posturali e deambulazione (negli stadi avanzati avviene a piccoli passi, con piedi trascinati e ginocchia flesse, assenza di movimenti pendolari degli arti superiori, con corpo “en bloc”. Valutazione articolare: in fase terziaria i vizi di posizione sono irreversibili: flessione del capo, cifosi dorsale, flessione degli arti, equino varismo dei piedi, mano a ceppo o ad artiglio. Movimenti involontari: le discinesie possono essere collegate alla somministrazione di levo-dopa da lungo tempo. Valutazione delle funzioni cognitive e dell’umore Fattori contestuali OBIETTIVI GENERALI A-Miglioramento della coordinazione motoria nelle diverse situazioni funzionali (supino,seduto,ortostatismo,cammino) Componenti trattabili: - reazioni di raddrizzamento - reazioni di equilibrio - coordinazioni tronco-cingoli-arti - coordinazioni biartuali Esito: recupero delle risalite, dell’ortostatismo con assetto posturale corretto, del cammino con schema corretto. B-Miglioramento della dinamica respiratoria Componenti trattabili: rigidità muscolo-scheletrica – coordinazione respiratoria - fonazione C- Miglioramento del danno secondario e terziario D- Miglioramento delle abilità nelle ADL E- Miglioramento delle capacità relazionali, dell’apprendimento motorio, della sicurezza, del tono dell’umore. FINALITÀ DEL TRATTAMENTO - Migliorare o almeno mantenere l’escursione articolare attiva o passiva, in particolare per ciò che riguarda l’estensione, e prevenire eventuali contratture tramite esercizi di allungamento muscolare - Rendere più veloci i movimenti ripetitivi migliorando flessibilità, destrezza e coordinazione motoria - Aumentare la consapevolezza delle posizioni assunte e dell’equilibrio in modo da permettere un maggior controllo - Favorire movimenti di contrazione ed espansione toracica non solo per una migliore respirazione, ma anche per aumentare il volume della voce - Controllare la deambulazione lavorando sull’allungamento del passo, sulla base d’appoggio e sull’articolazione dell’anca, controllando il movimento pendolare di accompagnamento delle braccia e di conseguenza migliorare l’avvio e il cambio di direzione, spesso resi difficoltosi dal fenomeno del “freezing” - Insegnare al paziente, e a chi gli sta accanto, a gestire le normali attività della vita quotidiana, mostrando come si possono semplificare alcuni compiti e risparmiare energia. A- TRATTAMENTO DI GRUPPO - pazienti con età <75 anni - motivazione - disabilità lieve o moderata (Hoehn Yahr I o II / Scala columbia < 24) B- TRATTAMENTO INDIVIDUALE E’ indicato per i pazienti affetti da disabilità moderata o grave (Hoehn Yahr III e IV / Scala columbia >24<48): presenza di danno II e III – presenza di problematiche cardio-respiratorie – osteoporosi grave –freezing LA SINDROME DA ALLETTAMENTO Può essere definita come una condizione morbosa multisistemica, interessante diversi organi e apparati, che insorge in seguito a prolungata immobilità a letto. La sindrome è più frequente fra gli anziani istituzionalizzati, a causa della maggiore prevalenza di patologie a carattere cronico ed invalidante ed alla frequente mancanza di interventi riabilitativi, necessari alla prevenzione e al recupero funzionale della ipocinesia. DECONDIZIONAMENTO Diminuzione della capacità funzionale del corpo e dei suoi organi in seguito al non uso Un recente studio (Buschbacher, 1994) ha mostrato che in unità di degenza riabilitativa, in un periodo di 6 mesi, il 20% delle ammissioni riguardavano diagnosi da decondizionamento in pazienti anziani, in seguito ad altre degenze ospedaliere per varie condizioni internistiche o chirurgiche ed erano andati incontro a complicanze dovute all’immobilità. CAUSE DI SINDROME DA NON USO - stile di vita sedentario (abitudine personale) - allettamento imposto da un problema medico o chirurgico - “negligenza” medica o infermieristica che obbliga ad una immobilità non necessaria, in genere in ospedale o in casa di cura - immobilizzazione del corpo o parte di esso con gessi o tutori in seguito a trauma o frattura - immobilità da paralisi o malattia neuromuscolare Sistema muscolo-scheletrico Le funzioni primarie sono: - il sostegno del corpo - lo spostamento del corpo nello spazio - l’uso del corpo per svolgere funzioni e realizzare attività fisiche Sindrome da allettamento Mancanza della normale mobilizzazione articolare Atrofia muscolare e retrazione dei tessuti connettivi periarticolari, ed anche dei tendini, legamenti, muscoli Limitazione dell’ampiezza del movimento articolare passivo ATROFIA MUSCOLARE DA IMMOBILIZZAZIONE •Andamento nel tempo: - perdita massima della forza nelle prime 2 settimane (1-5% della forza iniziale al giorno) - raggiungimento del plateau con perdita pari al 25-40% della forza iniziale •Colpisce in maniera più cospicua alcuni tipi di muscoli: - antigravitari (quadricipite…) - muscoli di dimensioni maggiori •Colpisce in maniera più cospicua alcuni tipi di fibre: - le fibre di tipo I, a contrazione lenta Anchilosi articolare La contrattura è una anormale limitazione dell’ampiezza di movimento passivo, generalmente dovuta ad una retrazione dei tessuti connettivi periarticolari, ma che, nelle fasi più avanzate coinvolge anche tendini, legamenti, muscoli e articolazioni fino all’anchilosi articolare Prevenzione e trattamento delle contratture - posizionamento appropriato del paziente (cuscini, sacchetti di sabbia, cunei, archetto) - esercizi passivi di ampiezza di movimento (mai dolorosi o aggressivi) - esercizi attivi/assistiti di ampiezza di movimento - splint statici e dinamici - (blocchi nervosi, gessi progressivi, interventi chirurgici) (se associate a spasticità) DECONDIZIONAMENTO CARDIACO - frequenza cardiaca (a riposo ed in risposta ad un esercizio sub-massimale) - gettata sistolica - dimensione cardiaca e volume cardiaco INTOLLERANZA ORTOSTATICA Tachicardia, ipotensione, nausea, vertigini, sudorazione, pallore, sincope CONSEGUENZE SUL SISTEMA NERVOSO - deprivazione sensoriale (↓attenzione, consapevolezza alterata del tempo, depressione, ansietà) - ↓ coordinazione ed equilibrio Programma di ricondizionamento ristabilimento di una adeguata escursione articolare (esercizio attivo o passivo) rinforzo muscolare recupero progressivo della stazione eretta a seconda dei casi (passaggi posturali a letto fino all’ortostatismo) recupero della coordinazione esercizi per l’equilibrio esercizi per la ventilazione adeguata stimolazione sensoriale e intellettiva PIAGHE DA DECUBITO O ULCERE DA PRESSIONE Le piaghe da decubito sono lesioni del tessuto cutaneo, sottocutaneo e muscolare dovute ad una compressione prolungata e circostritta di aree cutane tra un piano d’appoggio e la superficie ossea sottostante, come avviene in soggetti che non si muovono agevolmente o che mantengono a lungo posture o decubiti obbligati, con conseguente alterazione della circolazione ematica, apporto di ossigeno e sostanze nutritive. PIAGHE DA DECUBITO: sedi Le sedi più frequenti sono rappresentate dai punti di appoggio dove siano presenti sporgenze ossee su cui la pressione si viene a concentrare: la regione sacrale, i talloni e i malleoli, le scapole e la nuca, le tuberosità ischiatiche. Le piaghe da decubito sono particolarmente frequenti negli anziani, più spesso costretti all’immobilità per diversi motivi. Si calcola che dal 3 all’11% dei soggetti ospedalizzati di età superiore ai 65 anni vada incontro a tale patologia. in pazienti istituzionalizzati l’incidenza delle piaghe da decubito è maggiore, con tassi che variano dal 7,7% al 26,9% dei soggetti. PIAGHE DA DECUBITO: valutazione del rischio Ci sono numerose scale di valutazione del rischio (Braden Scale, Gasnell Scale, Norton Scale). I fattori che maggiormente incidono sulla formazione di piaghe da decubito sono: • lo stato di coscienza, • il prolungato allettamento, • sollecitazioni da stiramento e attrito, • incontinenza fecale-urinaria, • diminuita sensibilità tattile e dolorifica, • i disordini nutrizionali, • l’obesità, • i disturbi circolatori, • la macerazione cutanea • l’età del paziente per le caratteristiche involutive dell’epidermide e del derma. Classificazione NPUAP (National Pressure Ulser Advisory Panel) I stadio Area circoscritta, arrossata (eritema) non reversibile alla digitopressione, segno premonitore di ulcerazione come lo scollamento cutaneo, il calore, l’indurimento. II stadio Lesione a spessore parziale che coinvolge l’epidermide o il derma. L’ulcera è superficiale e si presenta clinicamente come un’abrasione, una vescica o una lieve cavità. III stadio Lesione a tutto spessore che implica danno o necrosi del tessuto sottocutaneo, che si estende fino alla fascia sottostante ma non oltre. L’ulcera clinicamente si presenta come una profonda cavità che può sottominare o meno il tessuto adiacente. Può essere presente un essudato sieroso e/o purulento. IV stadio Lesione a tutto spessore con una distruzione estesa, necrosi tissutale o danni ai muscoli, alle ossa o alle strutture di supporto (tendini…) Linee Guida per la Prevenzione In presenza di fattori di rischio è necessario assicurare • Piano educativo • Cura della cute • Riduzione delle forze pressorie • Adeguato piano nutrizionale • Prevenzione e trattamento dell’incontinenza • Valutazione psico-socio-cognitiva Prevenzione Piano educativo (medici, infermieri, familiari) • conoscenza della fisiopatologia dei fattori di rischio per lo sviluppo delle lesioni; • valutazione dei fattori di rischio; • valutazione dello stato di salute della cute (buona illuminazione); • capacità di selezionare e utilizzare in modo corretto gli ausili per ridistribuire le forze pressorie; • norme igieniche; • abbigliamento; • corretto posizionamento del paziente per ridurre il danno tissutale da pressione… Riduzione delle forze pressorie • I pazienti immobili devono essere posizionati correttamente. Si raccomanda di mantenere le funzioni motorie residue; in assenza di controindicazioni si deve implementare la riabilitazione motoria o comunque la mobilizzazione del paziente. • I pazienti dovrebbero essere incoraggiati a muoversi nel letto da soli, almeno ogni 15 minuti eventualmente utilizzando strumenti di aiuto allo spostamento manuale. In ogni caso è necessario variare la posizione ogni 2-3- ore. • Durante gli spostamento sollevare il corpo più possibile ed evitare gli sfregamenti • La corretta posizione del paziente allettato è con la testa sollevata di 30°, con il corpo girato di 30° su un lato; anche la posizione supina può essere mantenuta. • E’ necessario utilizzare cuscini e cunei per ridurre le forze pressorie tra le prominenze ossee e le superfici di appoggio, soprattutto la tuberosità ischiatica, i piedi, i talloni, i fianchi e il gran trocantere. • Quando si posiziona il paziente, minimizzare l’impatto delle prominenze ossee con la superficie di appoggio. • Uso di presidi antidecubito (materassi, cuscini ad aria,ad acqua, in schiuma o gel) Un cuscino antidecubito deve avere come obiettivo la riduzione delle pressioni di contatto possibilmente entro il limite dell’occlusione capillare, in modo da evitare l’ischemia dei tessuti cutanei e sottocutanei; anche la riduzione di attriti, forze di taglio e macerazione rientra nei compiti principali di un efficace ausilio per la prevenzione e la terapia delle lesioni da decubito. IL RISCHIO DI CADUTA NELL’ANZIANO Questo capitolo, ampiamente ispirato al “Guideline for the prevention of falls in older persons”(redatto nel 2001 dal Panel on Falls Prevention, PFP) si prefigge di evidenziare e quantificare le problematiche relative alle cadute nell’anziano con lo scopo di individuarne ed eventualmente attenuarne i rischi correlati. Le cadute nell’anziano sono evenienze frequenti e abbastanza gravi in quanto spesso associate ad un’alta morbilità e mortalità, ridotta funzionalità motoria e conseguente prematura istituzionalizzazione. Le cadute generalmente derivano da un’interazione tra situazioni e fattori di rischio multipli e diversi, molti dei quali è forse possibile correggere. Questa interazione viene modificata dall’età, da eventuali malattie e dalla presenza di pericoli nell’ambiente. Spesso le persone anziane non sono consapevoli del proprio rischio di cadere, spesso non riconoscono nemmeno i fattori di rischio e non riportano questi problemi ai loro medici. Di conseguenza, la possibilità di prevenzione delle cadute è spesso trascurata, ed i rischi diventano evidenti solo dopo che sono già occorsi danni e inabilità. Sia l’incidenza delle cadute che la serietà delle complicazioni correlate ad esse aumentano costantemente dopo i 60 anni. Nella popolazione di 65 anni e oltre, che costituisce approssimativamente fra il 35% e il 40% di coloro che abitano in comunità, le cadute sono presenti anche in un certo numero di anziani generalmente sani ma, sopra i 75 anni le percentuali sono più alte. I tassi di incidenza di cadute nelle case di cura e negli ospedali sono circa 3 volte superiori a quelle degli abitanti in comunità con 65 anni ed oltre (1,5 cadute all’anno per letto). Anche le percentuali di lesione conseguenti a caduta sono considerevolmente più alte nelle istituzioni di cura: dal 10% al 25%; delle cadute portano a fratture, lacerazioni o necessità di ospedalizzazione. Recentemente, negli USA, le lesioni correlate alle cadute richiedono il 6% di tutte le spese mediche per le persone di età superiore ai 65 anni. Un punto chiave da considerare non è semplicemente l’elevata incidenza delle cadute nelle persone anziane (bambini ed atleti hanno un tasso di caduta ancora maggiore), ma piuttosto la combinazione di un’alta incidenza e un’alta suscettibilità alle lesioni. Questa propensione alle lesioni correlate alle cadute negli anziani deriva da un’alta prevalenza di comorbilità (per es. osteoporosi) e dal declino fisiologico correlato all’età (per es. riflessi più lenti), che rendono potenzialmente pericolosa anche una caduta relativamente lieve. Approssimativamente il 5% degli anziani che cadono necessitano di ospedalizzazione. Le lesioni accidentali sono la 5° principale causa di morte negli adulti anziani (dopo le cause cardiovascolari, neoplastiche, cerebrovascolari e polmonari) e le cadute sono responsabili dei 2/3 di queste morti. Più esplicitamente, negli USA il 75% delle morti dovute a caduta avvengono nel 13% della popolazione di età superiore ai 65 anni.. Oltre alle lesioni fisiche, le cadute possono determinare anche conseguenze psicologiche e sociali. Le cadute ricorrenti sono una causa comune di ammissione di persone anziane, precedentemente indipendenti, a istituzioni di cura a lunga degenza . Uno studio (Bezon J. et all 1999) ha scoperto che le cadute sono il motivo principale del 40% degli ingressi in casa di riposo. Anche la paura di cadere e la sindrome ansiosa da post-caduta sono ben riconosciute come conseguenze negative delle cadute. La perdita di fiducia nelle proprie capacità di camminare con sicurezza può portare ad autoimporsi limitazioni funzionali. 1.1 FATTORI DI RISCHIO DI CADUTA Questi possono essere classificati in: - Intriseci (per es. debolezza delle estremità inferiori, scarsa forza di presa, disordini dell’equilibrio, deterioramenti funzionali e cognitivi, deficit visivi); - Estrinseci (per esempio la “polypharmacy” cioè la prescrizione di quattro o più medicinali); -Ambientali (come la scarsa illuminazione, tappeti non tesi e la mancanza di attrezzature di sicurezza specie nei bagni). Sebbene gli studiosi non abbiano usato classificazioni tra loro coerenti, una recente revisione degli studi sui fattori di rischio di caduta li ha classificati associando il rischio relativo di caduta con ciascun fattore di rischio. Fra i fattori di rischio considerati è presente la debolezza muscolare. L’esperienza comune e numerosi studi condotti su questo argomento indicano che con l’avanzare dell’età si può riscontrare un decadimento della forza muscolare, ma anche di altri parametri come la potenza e la velocità. Tale decadimento comporta il deterioramento delle capacità funzionali, con inevitabili conseguenze a livello sociale, economico ed assistenziale. Grinby e Saltin (1983 e 1986) hanno affermato nei loro lavori che la forza muscolare statica e dinamica diminuisce leggermente fino all’età di 45 anni; in seguito vi è un deterioramento delle prestazioni pari al 5% per ogni decade, tale da determinare una diminuzione di forza di circa il 25% all’età di 65 anni. Tali autori hanno osservato che il motivo principale della perdita di forza muscolare dell’anziano dipendeva da una riduzione della massa muscolare di tipo quantitativo e non qualitativo; teoria confermata successivamente da Lexell et al. (1988). Gli autori hanno valutato il numero di fibre del vasto laterale nel corso di autopsie, concludendone che, nell’arco di vita che va dai 20 agli 80 anni si attua una riduzione nell’area muscolare del 40% e del 39% nel numero totale delle fibre. La perdita di forza muscolare statica e dinamica si verificherebbe più o meno con lo stesso ritmo della diminuzione, dovuta all’età, della massa muscolare magra, suggerendo una relazione causale tra indebolimento muscolare e diminuzione di massa muscolare (Tzankoff e Norris 1977; Grenby at al. 1982; Fleg e Lakatta 1988). Successivamente Harrige e Young (1996) hanno verificato che a partire dalla quarta decade di vita l’uomo perde progressivamente forza (come può essere misurato con dinamometri isometrici), con una percentuale del 1-2% per anno, arrivando a 70 anni con una forza residua di circa il 60% rispetto a quella giovanile. E’ da notare che questi dati sono: desunti prevalentemente da misure trasversali, laddove misurazioni longitudinali potrebbero modificare molto le nostre conoscenze. sono desunti in soggetti selezionati come “sani”, il che è abbastanza eccezionale in età avanzata, infatti in soggetti affetti da malattie o da esiti di traumi gravi la compromissione della forza risulta assai maggiore. Le cause della perdita di forza sono molteplici, ma la principale (come osservato precedentemente) risulta connessa con una notevole riduzione della massa muscolare complessiva (Sarcopenia ), questa a sua volta è dovuta ad una riduzione del numero di fibre che compongono il muscolo, in particolare delle fibre di tipo II che essendo capaci di sviluppare maggior forza, contribuiscono in proporzione maggiore allo sviluppo complessivo di questa nel muscolo giovane. Un’altra causa di riduzione di forza muscolare nell’anziano è la maggiore estensione di tessuto adiposo e connettivo con conseguente riduzione percentuale della componente contrattile. Anche la ridotta elaborazione di ormoni miotrofici nell’anziano partecipa come ulteriore fattore causale al progressivo decremento della forza. Inoltre è stato proposto che anche la struttura biochimica dei ponti actomiosinici si modifichi con l’età, rendendosi meno efficiente. Alle cause di deterioramento è da aggiungere la relativa immobilità dell’anziano, che talvolta assume il carattere di una vera e propria malattia ipocinetica. E’ però da notare che l’ipotrofia da non uso determina una riduzione delle fibre muscolari ma non una perdita di numero di queste, per cui si deve ammettere che la ipocinesia sia una delle cause dell’involuzione senile, ma non l’unica e né forse la principale. Altro importante fattore di rischio di caduta nell’ anziano è la assunzione di farmaci,come ha evidenziato una meta-analisi che ha studiato la relazione fra cadute e medicinali, individuando un rischio significativamente elevato per i farmaci psicotropi (Odds Ratio=1,7), i farmaci antiaritmici di classe 1a (OR = 1,2), la Digossina (OR=1,2) e i diuretici (OR = 1,1). Alcune brevi considerazioni meritano anche i fattori di rischio ambientali. L’”inciampare” su una superficie rialzata viene considerata una delle cause più frequenti di caduta negli anziani (Campbell et al, 1990). In ambienti pubblici questo tipo di incidenti può verificarsi a causa di gradini, marciapiedi e tappeti, mentre in casa sono stati associati al rischio di caduta gli spigoli ed i bordi dei tappeti, il pavimento rialzato e le soglie delle porte (Chen et al, 1991).La presenza di un ostacolo (come per altro riprenderemo anche nel prossimo capitolo),quale una superficie rialzata, richiede una “negoziazione” con il terreno che non può essere evitata e deve essere superata. Anche lo studio di M.J.Pavol et al (1999) merita di essere citato a questo punto : gli autori hanno studiato il cammino di 79 anziani sani ai quali era stato indotto un inciampamento ed hanno concluso che l’incidenza delle cadute derivanti è determinata primariamente dalla frequenza dell’inciampare e non dalla abilità di riprendersi da uno sgambetto. Gli anziani possono ridurre le loro probabilità di caduta successiva all’inciampare semplicemente non affrettandosi durante il cammino. Da citare inoltre, riguardo alle difficoltà dell’anziano nel “negoziare” una superficie rialzata, è un recente articolo di K. Begg e W.A. Sparrow (2000) che, confrontando le caratteristiche del cammino fra 6 soggetti giovani e 6 anziani, ha suggerito che l’approccio all’ostacolo può essere un fattore critico nella sicurezza dell’ anziano. Forse tanto importante quanto identificare i fattori di rischio è comprendere l’interazione e il probabile sinergismo fra i fattori di rischio multipli. Vari studi hanno mostrato che il rischio di caduta aumenta drammaticamente quando cresce il numero dei fattori di rischio. Tinetti e collaboratori hanno osservato persone anziane abitanti in comunità e hanno riportato che la percentuale delle persone che cadevano aumentava dal 27%, per quelli con uno o nessun fattore di rischio, al 78% per quelli con quattro o più fattori di rischio.Risultati simili sono stati trovati all’ interno di una popolazione istituzionalizzata. In un altro studio Nevitt ed altri hanno riportato che la percentuale di persone viventi in comunità con cadute ricorrenti aumentava dal 10% al 69% quando il numero dei fattori di rischio aumentava da 1 a 4 o più. In alcuni anziani è poi evidente una sovrapposizione dei sintomi dovuti a caduta e sintomi conseguenti a sincope. Ciò è dovuto sia all’amnesia per la perdita di coscienza, sia alla perdita di equilibrio indotta dall’ipotensione in persone con instabilità di marcia e di equilibrio. Fino ad oggi, questa sovrapposizione si è riferita a popolazioni selezionate con disordini bradicardizzanti, come la Sindrome del Seno Carotideo, mentre non è ancora nota la prevalenza delle cadute di origine cardiovascolare nella popolazione generale. CRITERI DI VALUTAZIONE DELLE PERSONE CHE CADONO O A RISCHIO DI CADUTA - Principi generali E’ un principio fondamentale per la “Guideline ,“al fine di ridurre le probabilità future di caduta, indagare la storia di cadute dell’anziano e formulare una valutazione dei rischi relativi. Uno studio che merita particolare attenzione a questo riguardo è quello di : A.J. Campbell e al. (1990): “Circumstances and consequences of falls experienced by a community population 70 years and over during a prospective study”. In questo lavoro gli autori hanno analizzato un campione di 761 soggetti di 70 anni e oltre di un comune rurale. Ciascun soggetto è stato valutato e seguito per un anno al fine di determinare l’incidenza di cadute e i fattori correlati ad esse. La percentuale di cadute è cresciuta da 47 per quelli con età dai 70, ai 74 anni a 121 per quelli con 80 anni e oltre. Non c’è stata nessuna differenza legata al sesso in questa percentuale, ma gli uomini hanno avuto più probabilità rispetto alle donne di cadere all’esterno delle abitazioni e per livelli di attività più intensi. Il 20% delle cadute è stato associato con l’inciampare e lo scivolare, ma non è stata trovato nessun segno evidente che l’ispezione delle case e l’installazione di misure di sicurezza avrebbero diminuito queste percentuali. Il 10% delle cadute hanno provocato lesioni importanti. Gli uomini che sono caduti hanno avuto un aumentato successivo rischio di morte rispetto a chi non è caduto. La successiva mortalità è aumentata anche fra le donne che sono cadute ma non a livelli significativi. La valutazione proposta nella “Guideline” descrive ciò che dovrebbe essere fatto per capire i fattori di rischio di un individuo e per operare un intervento efficace. L’approfondimento di questa valutazione varia in base alla popolazione individuata. Per esempio, la valutazione del rischio di caduta, come parte delle visite di routine per la cura primaria della salute della popolazione adulta a basso rischio, comporterebbe una breve valutazione. Al contrario, gruppi ad alto rischio – come persone soggette a cadute ricorrenti, quelle che vivono nelle case di cura, persone che sono inclini ad avere cadute con ferite o persone che necessitano di cura dopo una caduta – richiederebbero una valutazione più dettagliata e comprensibile. Gli elementi essenziali di ogni valutazione relativa alle cadute includono: i dettagli sulle circostanze della caduta stessa (inclusa un’eventuale testimonianza), l’identificazione dei fattori di rischio di caduta del soggetto, qualsiasi comorbilità medica, lo stato funzionale e rischi ambientali. Per una valutazione comprensibile può rendersi necessario il riferimento ad uno specialista (es. geriatra). I fattori di rischio identificati nella valutazione possono essere modificabili (come ad esempio la debolezza muscolare, gli effetti collaterali di una medicazione o l’ipotensione) o non modificabili (come l’emiplegia o la cecità). Comunque, la conoscenza di tutti i fattori di rischio è importante per pianificare un trattamento. A questo punto della trattazione, ci sembra doveroso riportare fedelmente le raccomandazioni specifiche redatte nella “Giudeline”, in quanto anche se forse non facilmente applicabili in modo capillare, rappresentano comunque un valido contributo per ampliare le conoscenze e per sensibilizzare gli operatori sanitari a un problema così importante, come quello della caduta dell’anziano e della relativa prevenzione. - Raccomandazioni Specifiche: Valutazione Approccio agli anziani come parte delle cure di routine (non dopo una caduta) A tutte le persone anziane che si trovano sotto la cura di un professionista della salute (o di chiunque li assista) si dovrebbe chiedere almeno una volta all’anno se sono cadute. Tutti gli anziani che sono caduti una sola volta dovrebbero essere osservati mentre si alzano da una sedia senza l’aiuto delle braccia, si allontanano di alcuni passi e ritornano (per es. “Get up and go Test”). Quelli che non dimostrano alcuna difficoltà o instabilità non necessitano di ulteriori valutazioni. Le persone che hanno difficoltà o che dimostrano instabilità nello svolgere questo test, richiedono un’ulteriore valutazione. Approccio agli anziani che presentano una o due cadute, anomalie nel modo di camminare e/o nell’equilibrio, o che hanno avuto cadute ricorrenti Anziani che necessitano di attenzione medica a causa di una caduta, che hanno subito numerose cadute nel corso dell’ultimo anno o che mostrano anomalie nell’andatura e/o nell’equilibrio dovrebbero essere sottoposti ad una valutazione della caduta. Questa valutazione dovrebbe essere effettuata da personale clinico con una certa abilità ed esperienza e potrebbe rendersi necessario il riferimento ad uno specialista (es. geriatra). La valutazione di una caduta deve includere quanto segue: la storia delle circostanze della caduta, le medicazioni, problemi medici acuti o cronici e i livelli di mobilità; un esame della visione, dell’andatura, dell’equilibrio e della funzionalità articolare delle estremità inferiori; un esame della funzione neurologica di base, incluso lo stato mentale, la forza muscolare, i nervi periferici delle estremità inferiori, i riflessi, test sulla funzione corticale, extrapiramidale e cerebellare, valutazione dello stato cardiovascolare incluso il ritmo e l’indice cardiaco, la pulsatilità posturale e la pressione sanguigna e, se appropriato, l’indice cardiaco e la pressione sanguigna in risposta alla stimolazione del seno carotideo. INTERVENTI PER PREVENIRE LA CADUTE - Principi generali Le strategie di intervento che sono state valutate dal Panel on Falls Prevention (P.F.P.) per la loro efficacia nel prevenire le cadute, sono state classificate come strategie singole o multifattoriali e come generiche o individuali. - Raccomandazioni specifiche: interventi multifattoriali Fra gli anziani residenti in comunità (cioè coloro che vivono nelle proprie case), gli interventi multifattoriali dovrebbero includere: training di cammino e consigli sull’uso appropriato degli strumenti di ausilio ; revisione e variazione dei medicinali, soprattutto dei farmaci psicotropi ; programmi di esercizi aventi come una delle componenti l’esercitazione dell’equilibrio; il trattamento dell’ipotensione posturale; la modificazione dei rischi ambientali ed il trattamento dei disordini cardiovascolari, incluse le aritmie cardiache. Nelle strutture per lunga degenza e in quelle di assistenza, gli interventi multifattoriali dovrebbero comprendere: programmi di educazione del personale ; esercizi di cammino e indicazioni sull’uso appropriato degli strumenti di ausilio; controllo e variazione dei medicinali, soprattutto di quelli psicotropi . I dati sono insufficienti per formulare raccomandazioni pro o contro gli interventi multifattoriali per i pazienti in terapia intensiva. Studi compiuti in comunità Sono stati trovati dalla P.F.P. 11 studi randomizzati su anziani residenti in comunità, che includevano programmi di autogestione, modifiche ambientali della casa,consigli sull’uso dei farmaci (con eventuali successive loro modificazioni), esercizi, assistenza medica e gestione dei disordini cardiovascolari (come l’ipotensione posturale e la sindrome del seno carotideo). -Degli studi che prevedevano una revisione dei farmaci hanno dato esito positivo soprattutto quelli che ne prevedevano una riduzione. -I programmi di esercizio hanno portato a benefici in tutti e 3 gli studi che includevano questo intervento. -L’accertamento medico seguito da interventi specifici per qualsiasi tipo di problema medico identificato (incluso i disordini cardiovascolari e i problemi visivi) ha portato benefici in un solo studio. Inoltre, la gestione dell’ipotensione posturale è stata parte di un intervento efficace in due studi . -I dati riguardo all’eventuale beneficio prodotto dalla modifica dei rischi casalinghi sono equivoci in uno studio e di nessuna importanza in un altro. -I programmi per il personale non sono stati efficaci nel ridurre le cadute. I programmi di autogestione non hanno portato alcun beneficio in nessuno dei cinque studi riportati. -Il solo consiglio di modificare i fattori di rischio di caduta (senza le misure necessarie per mettere in atto i cambiamenti raccomandati) ha portato un beneficio equivoco in tre studi e nessun beneficio in due. Studi effettuati in strutture per lunga degenza Sono stati effettuati due studi randomizzati in strutture per lunga degenza. Entrambi mostrano un beneficio globale derivante da interventi multifattoriali, sebbene solo uno studio abbia documentato riduzioni significative delle cadute successive. Le componenti efficaci sembrano essere: una valutazione chiara, l’educazione del personale (al contrario di quanto avvenuto nelle comunità), gli strumenti di ausilio e la riduzione delle cure. Studi effettuati negli ospedali Non ci sono adeguati trials randomizzati relativi a studi su interventi multifattoriali per ridurre le cadute fra i pazienti ricoverati in ospedale. - Raccomandazioni specifiche: intervento singolo Esercizio Sebbene l’esercizio abbia mostrato di portare benefici comprovati, la tipologia ottimale, la durata e l’intensità dell’esercizio per prevenire le cadute rimangono poco chiari . Agli anziani che hanno avuto cadute ricorrenti dovrebbe essere offerto un tipo di esercizio a lungo termine e un programma di allenamento dell’equilibrio. Il P.F.P. ha fatto un certo numero di osservazioni generali sull’esercizio. Ci sono vari dati riguardo al beneficio derivante dall’esercizio nella prevenzione delle cadute. Comunque, il P.F.P. non è stato in grado di determinare quale programma di esercizio suggerire. Inoltre esso ha identificato diverse scoperte chiave: i dati sono molto positivi riguardo agli esercizi sull’equilibrio; esistono meno dati riguardo agli esercizi aerobici e di resistenza; pochi quelli riguardanti l’intensità o la tipologia dell’esercizio. I programmi che hanno avuto successo sono durati più di 10 settimane. Per ottenere benefici di un certo valore, l’esercizio deve essere intenso. Nelle strutture per lunga degenza, non ci sono dati relativi a benefici prodotti dal solo esercizio. Fra gli anziani residenti in comunità e relativamente sani, un programma molto intenso e di una certa durata ha ridotto il rischio di successive cadute e la percentuale di soggetti caduti. In un altro studio sulle donne residenti in comunità, non si sono trovati dati riguardo alla riduzione delle cadute grazie ad un programma generico di esercizi. Nelle donne adulte giovani, residenti in comunità, frequenti esercizi di trasporto pesi a basso impatto e un supplemento di calcio per un periodo di oltre due anni, non hanno mostrato di ridurre le cadute in modo significativo. Nelle donne anziane in comunità, programmi individuali svolti a casa, comprendenti esercizi di forza e di equilibrio, hanno mostrato di ridurre sia le cadute che le lesioni ; per coloro che hanno continuato ad esercitarsi, i benefici sono stati evidenti dopo un periodo di due anni. In uno studio randomizzato riferito ad un programma di esercizi di gruppo, tenuto tre volte alla settimana per uomini anziani caduti in avanti, è stato evidenziato un incremento della forza, della resistenza, del cammino e della funzionalità, inoltre una riduzione delle percentuali di caduta relative ai maggiori livelli di attività . Fra le donne anziane che hanno subito cadute ricorrenti, un corso di fisioterapia orientato alla forza e all’equilibrio è stato efficace nel ridurre le cadute, mentre un programma generico di esercizi per uomini anziani in comunità non ha mostrato benefici nella riduzione delle cadute. Un programma di esercizi individuali per pazienti in casa di cura con lieve demenza, non ha ridotto le cadute. Modifiche ambientali Quando gli anziani ad alto rischio di caduta vengono dimessi dall’ospedale, dovrebbe essere tenuto in considerazione un ambiente residenziale facilitato. In un sottogruppo di anziani, un programma di modifica dell’ambiente residenziale dopo la dimissione dall’ospedale, si è dimostrato efficace nella riduzione delle cadute. Al contrario, la modifica dell’ambiente residenziale senza le altre componenti dell’intervento multifattoriale non ha portato benefici. Medicinali Per i pazienti che sono caduti si dovrebbero rivedere, modificare o sospendere i medicinali in modo appropriato, alla luce del loro rischio di future cadute. Si dovrebbe fare particolare attenzione alla riduzione dei medicinali per quegli anziani che prendono quattro o più medicinali e per coloro che prendono farmaci psicotropi. Per tutte le ambientazioni (comunità, strutture per lunga degenza, ospedali e riabilitazione), c’è una notevole associazione fra l’uso di medicinali psicotropi (ad es. neurolettici, benzodiazepine e antidepressivi) e le cadute. Studi multifattoriali suggeriscono che una riduzione nel numero dei farmaci in pazienti che prendono più di quattro preparati è utile. Non c’è una netta differenza nel rischio di caduta fra le benzodiazepine a lunga o breve durata. Strumenti di ausilio Gli studi sugli interventi multifattoriali che hanno incluso gli strumenti di ausilio (compresi gli allarmi da letto, bastoni da passeggio), e protezioni per l’anca) hanno mostrato diversi benefici. Comunque, non ci sono conferme dirette che il solo uso di attrezzature di ausilio possa prevenire le cadute. Quindi, mentre le attrezzature di ausilio possono essere elementi efficaci di un programma di intervento multifattoriale, il loro uso isolato, senza attenzione agli altri fattori di rischio, non può essere raccomandato. Esistono pochi studi di valutazione sull’effetto di tali attrezzature come intervento per prevenire le cadute: Fra i pazienti ospedalizzati ci sono dati insufficienti pro o contro l’uso degli allarmi da letto. Sembra che le protezioni per l’anca non abbiano alcun influsso sul rischio di caduta. Comunque, c’è un certo numero di studi, inclusi tre test randomizzati, che sostengono con fermezza l’uso delle protezioni per prevenire le fratture dell’anca negli individui ad alto rischio. Programmi di educazione e di comportamento Sebbene gli studi sugli interventi multifattoriali che hanno incluso programmi di educazione e di comportamento abbiano dimostrato un certo beneficio, quando viene usata come intervento isolato, l’educazione della salute e del comportamento non riduce le cadute e non dovrebbe essere fatta isolatamente. Le guide pratiche dei dipartimenti di emergenza non hanno modificato la documentazione sui fattori di rischio di caduta, sulle cause delle cadute, sulle loro conseguenze, o sul perfezionamento delle guide pratiche. - Commenti su altri interventi potenziali Medicinali per il tono calcico osseo Un certo numero di medicinali ampiamente usati per prevenire o trattare l’osteoporosi (per es. la terapia ormonale sostitutiva (HRT), il calcio, la vitamina D) riducono gli indici di frattura. Comunque, questi agenti non riducono gli indici del rischio di caduta. Provvedimenti sull’apparato cardiovascolare Una serie di dati mostra una sovrapposizione dei sintomi delle cadute e della sincope e un’associazione causale fra alcuni disordini cardiovascolari e le cadute, soprattutto l’ipotensione ortostatica, la sindrome del seno carotideo e la sindrome vasovagale. In particolare, quando la bradiaritmia è indotta sperimentalmente, fino a un 30% dei pazienti anziani con sindrome del seno carotideo è soggetto a cadute e ad amnesia per perdita di coscienza. Studi preliminari suggeriscono che pazienti con cadute ricorrenti inspiegabili e una risposta bradicardica alla stimolazione del seno carotideo, beneficiano di un minor numero di cadute dopo l’impianto di un pacemaker cardiaco permanente. Interventi sulla visione Ai pazienti dovrebbero essere rivolte domande sulla propria capacità visiva e, se dovessero riportare qualche problema, dovrebbe essere fatta una valutazione della vista e ogni anomalia visiva curabile dovrebbe essere trattata. Non ci sono studi randomizzati controllati su interventi per problemi visivi, a dispetto del fatto che esiste un rapporto significativo fra cadute, fratture e acuità visiva. Le fratture all’anca dovute a caduta sono più alte in pazienti con indebolimento visivo. I fattori visivi associati a due o più cadute comprendono la scarsa acuità visiva, una ridotta sensibilità al contrasto, una diminuzione del campo visivo, la cataratta posteriore sub-capsulare e la cura del glaucoma non miotico. Interventi sulle calzature Anche la stessa “Guideline” da cui abbiamo preso ampio spunto, non è in grado di raccomandare specifici cambiamenti di calzature per evitare le cadute. Comunque è qui opportuno ricordare un lavoro di S.Robbins et al. del 1993 sulla stabilità propiocettiva derivante dalla consapevolezza della posizione dei piedi in funzione dell’età e delle calzature. Gli autori hanno concluso che la sensibilità della posizione del piede si riduce con l’età, principalmente a causa della perdita della sensibilità tattile plantare. Inoltre è stato evidenziato che le calzature peggiorano la consapevolezza della posizione del piede sia nei giovani che nei vecchi. Questa ridotta propriocezione può contribuire ad un aumento delle cadute nell’anziano. Alcuni studi riportano un miglioramento dell’equilibrio e della spinta, dopo interventi specifici sulle calzature. Nelle donne, i risultati dei test sulla mobilità funzionale erano migliori quando i soggetti indossavano scarpe da passeggio rispetto a quando camminavano scalzi. L’equilibrio statico e dinamico era migliore con scarpe dal tacco basso piuttosto che con scarpe a tacco alto o a piedi nudi. Negli uomini, la consapevolezza della posizione del piede e della stabilità era migliore con un’elevata durezza e un basso spessore della parte di mezzo della suola. L’equilibrio statico era massimo con scarpe dalla suola dura. Per concludere,in tema di prevenzione è doveroso citare lo studio di R. Ruchinskas (2003) “Clinical prediction of falls in the elderly” in cui l’autore si pone l’obiettivo di valutare l’abilità di terapisti fisici ed occupazionali di predire le cadute nell’anziano. L’ autore conclude che è difficoltoso cercare di predire un evento futuro infrequente come sono le cadute. Inoltre sostiene che, per migliorare potenzialmente gli indici di previsione ,sono raccomandate sia l’istruzione riguardante i fattori di rischio di caduta conosciuti ,sia l’inclusione di misurazioni standardizzate per definire lo stato fisico del soggetto,insieme all’adozione di una consapevolezza realistica riguardo le capacità degli operatori di prevenire le cadute. Atti del Congresso Regionale S.I.M.F.E.R. «La Malattia Osteoporotica: dall’individuazione del paziente al suo corretto trattamento» a cura di M. Monticane Asti, 21-22 Febbraio 2003 IL PROGETTO RIABILITATIVO PER LA MALATTIA OSTEOPOROTICA Marco Monticone Dipartimento di Chirurgia Sezione Terapia e Riabilitazione degli Organi del Movimento Università degli Studi di Pavia La continua e rigorosa ricerca scientifica e la pratica clinica riabilitativa contemporanea hanno conosciuto una progressiva metamorfosi in ambito metodologico ed organizzativo. L’esercizio medico e le terapie fisiche ad esso complementari, cardini terapeutici in possesso dello specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione di questi ultimi decenni, hanno lasciato, infatti, spazio ad un approccio diagnostico e riabilitativo completamente diverso: la Medicina Riabilitativa è cambiata perché sospinta, fondamentalmente, da un radicale mutamento nella mentalità riabilitativa, come insegnato e trasmesso dall’esperienza della Scuola Ferrarese di Riabilitazione del prof. Nino Basaglia in questi ultimi tempi. Alla base di questa metamorfosi, gli elementi di maggior rilievo sono: - la centralità del disabile nella pianificazione degli interventi terapeutici - la necessità di un approccio globale al paziente, omnicomprensivo delle diverse problematiche presenti e finalizzato alla loro reale presa in carico e soluzione terapeutica - la necessità di avere a disposizione un modello medico e riabilitativo mirante a raggiungere outcome realistici, predeterminabili e predefiniti, nonché misurabili e monitorabili nel tempo (outcome based rehabilitation) - la necessità di un intervento coordinato ed integrato (team riabilitativo) vincente, in armonia con il pensiero contemporaneo riabilitativo, essenzialmente transdisciplinare ed interprofessionale, in aperta contrapposizione ad un approccio ostinatamente individuale, destinato al fallimento. L’intervento riabilitativo oggigiorno richiede, dunque, una completa presa in carico del disabile, conducendo il fisiatra alla elaborazione di un progetto riabilitativo individuale ed alla creazione di uno o più programmi riabilitativi ad esso correlati. In particolare, il progetto riabilitativo specifico per disabilità rappresenterà il piano di intervento terapeutico generale, essenzialmente descrittivo e finalizzato ad individuare l’outcome globale (funzionale e sociale) basandosi sulle abilità, motorie cognitive ed emozionali reali e residue. All’interno del progetto riabilitativo il programma riabilitativo rappresenta, invece la definizione dettagliata di ogni specifico intervento necessario (medico, farmacologico, nutrizionale ortesico, motorio, psicologico, sociale…), comprendente obiettivi a breve (goal) e medio termine (objective) ed il timing riabilitativo. È essenziale, infatti, individuare il percorso, o i percorsi più utili e meno costosi per raggiungere l’outcome globale, meta finale del viaggio riabilitativo e risultato ultimo di tutti gli interventi programmatici della Medicina Riabilitativa. Secondo la personale esperienza del nostro gruppo di ricerca pavese ed astigiano, anche la malattia osteoporotica, al pari di altre importanti malattie di rilevanza sociale, è fonte di disabilità complessa e come tale è meritevole di un progetto riabilitativo individuale e specifico, garante di una presa in carico globale. L’intervento fisiatrico nei confronti del paziente con diagnosi clinica di malattia osteoporotica non deve esaurirsi unicamente nella prescrizione di un protocollo di esercizi ritenuti utili, sia in senso preventivo che terapeutico, in tali pazienti. Come è noto, l’osso è biomeccanicamente stimolato da sollecitazioni specifiche, continue e favorenti l’attività osteometabolica. È il carico dinamico diretto e gravante sull’osso che, sfruttando l’effetto piezoelettrico così determinato, è in grado di stimolare l’attività osteo-formatrice. Il divenire biologico del tessuto osseo è basato su un corretto equilibrio dei fenomeni di riassorbimento e di neo-apposizione minerale costantemente presenti. Le alterazioni a livello osseo in senso osteopenizzante dipendono da molteplici fattori sia di natura endogena (in particolare, endocrino-ormonale e metabolica) sia soprattutto di natura esogena, quali le variazioni del carico nell’ambito dell’attività fisica, della forza di gravità e della forza/tensione muscolare. Il modellamento osseo, infatti, è strettamente dipendente dalle forze di trazione, di compressione o miste che vengono ad agire su di esso. Le fibre ossee si orientano secondo una legge carico-dipendente: orizzontali per effetto della compressione, verticali per effetto della trazione. Un aumento o una diminuzione dell’attività fisica, soprattutto caratterizzata da esercizi in catena cinetica chiusa ed in carico diretto (osteogenico), provoca cambiamenti strutturali a carico dell’osso, dei legamenti e dei tendini. L’inattività, inoltre, non incide solo sulla forza muscolare, sull’osso e sulle articolazioni, ma, diminuisce anche le forze trasmesse da legamenti e tendini all’osso; un programma di esercizi specifico può aumentare queste forze, mantenere la massa ossea, prevenire la demineralizzazione e rafforzare tutte le strutture dell’apparato locomotore. L’effetto dell’esercizio fisico dipende dalla modalità di esecuzione: il risultato finale è determinato dalla specificità e selettività osteogenica dell’esercizio, offrendo un positivo beneficio alle strutture coinvolte nell’attività fisica svolta. La consapevolezza dell’importanza dell’esercizio riabilitativo, confortata dalla ormai consolidata evidenza scientifica, non deve, però, limitarci nel nostro intervento medico fisiatrico, né nella organizzazione e valutazione dei diversi interventi programmatici nei confronti del paziente con diagnosi di malattia osteoporotica. Deve, altresì , rappresentare un saldo punto fermo su cui costruire il nostro progetto riabilitativo. In relazione alla tendenza evolutiva della malattia osteoporotica ed alle disabilità correlabili, è fondamentale una valutazione fisiatrica olistica del paziente, propedeutica alla formulazione diagnostica ed alla doverosa creazione di un progetto riabilitativo individuale e specifico. In pratica, il progetto riabilitativo ed i programmi attuativi saranno impostati dal fisiatra, responsabile del team riabilitativo, immediatamente dopo la formulazione clinica diagnostica di malattia osteoporotica. Per ogni programma, inoltre, sarà doveroso individuare il responsabile (all’interno delle diverse professionalità coinvolte), garante del corretto svolgimento dello stesso e del raggiungimento degli objective e dei goal predefiniti. Nelle tabelle di seguito elencate sono riportati i tratti essenziali del progetto riabilitativo nei confronti del paziente con diagnosi clinica di malattia osteoporotica ed i relativi sotto- interventi programmatici specifici. PROGETTO RIABIILITATIIVO INDIVIDUALE PER LA MALATTIA OSTEOPOROTICA Responsabile Medico Fisiatra Composizione del team Paziente, Fisiatra, Specialista di riferimento, Medico di MG, Fisioterapista, Terapista Occupazionale, Tecnico Ortopedico Outcome globale incremento (o mantenimento) della BMD, riduzione del rischio di frattura, massima indipendenza funzionale ed integrazione sociale Outcome funzionale recupero articolare, stenico, algico, trasferimenti, deambulazione Outcome sociale reinserimento in ambiente familiare e lavorativo Valutazione globale su tutte le aree di problematicità Ruolo del team individuazione dei programmi all’interno del progetto riabilitativo, degli obiettivi a breve e medio termine, assicurando verifiche in itinere e nel tempo Strumenti di comunicazione e valutazione cartella clinica medico-riabilitativa (aggiornata in itinere) Time planning tempo previsto per il raggiungimento dei singoli programmi in funzione dell’outcome globale PROTOCOLLI TERAPEUTICI RIABILITATIVI NELLA MALATTIA OSTEOPOROTICA Garri R., Barbarino A.* Fisioterapista Cred. MDT,* Fisiatra, INTRODUZIONE All’interno del progetto riabilitativo per il paziente affetto da malattia osteoporotica si richiede l’elaborazione di un programma riabilitativo specifico per le funzioni motorie, i trasferimenti e la deambulazione. Prima di creare un programma riabilitativo specifico è necessario una appropriata valutazione funzionale. Una valutazione completa, con l’anamnesi e l’esame fisico, è necessaria, ma molti fattori condizionano la scelta delle domande e delle procedure. Anamnesi Le domande rilevanti per la valutazione soggettiva nell’ambito della salute ossea del paziente sono le seguenti: - risultati della DXA: punteggi T e Z nei distretti analizzati; - storia familiare di osteoporosi; - anamnesi di frattura: è utile accertarsi che non ci siano state fratture pregresse; - storia delle cadute; - assunzione attuale o passata di farmaci steroidei, ecc. - storia mestruale, - abitudini legate al fumo; - dieta; - condizioni fisiche generali: è utile sapere se da giovane il paziente ha praticato sport e se attualmente esegue attività fisica e a che livello; - postura: atteggiamento cifotico in posizione eretta e seduta, abitudini quotidiane che incoraggiano una postura errata; - problemi muscoli- scheletrici e stato funzionale: dolore, debolezza, scarso equilibrio e coordinazione, limitazioni funzionali. Esame fisico Si procede, ora, alla descrizione dei parametri di valutazione, compresi quelli descritti nelle linee guida sviluppate da Gisela Creed e Sarah Mitchell per la UK Chartered Society of Physiotherapy (1999). Postura - Le misurazioni dell’altezza dell’individuo vanno registrate periodicamente. - La severità della deformità cervicale e dorsale può essere valutata misurando la distanza dell’occipite rispetto alla parete con il paziente in piedi contro il muro. Range di movimento Si consigliano le seguenti misurazioni: - elevazione della spalla; - Articolarità dei tratti cervicale, dorsale e lombare; - mano dietro la schiena e dietro la testa; - dorsiflessione della caviglia, la cui limitazione o eccessiva mobilità può aumentare il rischio di cadute, e viene valutata meglio quando si portano dei pesi. Forza e resistenza muscolari L’avanzare dell’età è associato a un notevole numero di cambiamenti nella composizione del corpo. Si verifica una diminuzione della massa magra con il risultato della perdita della massa muscolare. Questa perdita della massa muscolare legata all’età è chiamata sarcopenia. La riduzione dei muscoli, con l’avanzare dell’età, è una causa diretta della perdita di forza muscolare legata all’età avanzata. La ridotta forza muscolare degli anziani è la causa principale della loro crescente predisposizione alla disabilità. I muscoli di principale interesse sono i quadricipiti e glutei, dorsiflessori della caviglia, gli estensori del dorso e lombari, gli addominali (specialmente il trasverso dell’addome) e i muscoli degli avambracci. Capacità aerobica Possono essere adatti dei semplici test che richiedono un equipaggiamento minimo, come il Timed 6m Walk test. Equilibrio e coordinazione A secondo del livello funzionale della persona, le misurazioni includono: - test di equilibrio monopodalico ad occhi aperti e a occhi chiusi; - test del gradino nel quale viene contato il numero di volte in cui la persona riesce a porre il piede su e giù da un gradino in 15 secondi; - l’allungamento funzionale, il quale misura la distanza anteriore e posteriore massimale che la persona può raggiungere in piedi con le braccia estese. Dolore e funzione Semplici test funzionali possono essere eseguiti per definire il grado di disabilità del paziente, come ad esempio il Timed up and go test e il Timed 6m Walk test. I questionari autosomministrati possono fornire ulteriori informazioni, come ad esempio il Functional Disability Questionnaire o Roland and Morris disability questionnaire. Il dolore può essere valutato utilizzando le scale analogiche visuali (VAS). PROTOCOLLO TERAPEUTICO Il protocollo terapeutico riabilitativo comprende: 1. un programma riabilitativo delle funzioni motorie, nel quale sono previsti esercizi per uno stimolo osteogenico, esercizi per il miglioramento funzionale (ipocinesia, ipostenia...), esercizi antalgici; 2. un programma per il miglioramento della postura, della mobilità e della sicurezza durante i trasferimenti; 3. un programma per migliorare la deambulazione e per prevenire le cadute. 1. Programma riabilitativo delle funzioni motorie Il trattamento riabilitativo varierà a secondo dei risultati della valutazione e dell’outcome funzionale del progetto riabilitativo, in particolare l’età del paziente, i risultati della DXA e lo stato funzionale. Gli obiettivi generali devono essere i seguenti: - mantenimento o incremento della massa ossea; - miglioramento della flessibilità e della funzione; - riduzione o abolizione , quando è possibile, del dolore; - prevenzione delle fratture dei siti ossei particolarmente a rischio: l’avambraccio distale, le vertebre (in particolare il soma), il femore prossimale, in misura minore l’omero prossimale. Il programma di trattamento con protocolli di esercizi da adattare alle esigenze e capacità dei pazienti, comprende: Esercizi specifici per incrementare la massa ossea, o almeno ridurne la perdita. Al fine di ottenere un incremento della massa ossea vengono utilizzati carichi distrettuali, in cui si ricorre alla stimolazione meccanica diretta di siti ossei particolarmente a rischio. Iniziamo, quindi con l’avambraccio: Ayalon J., 1987 e Simkin A., 1987, hanno proposto, in due importanti studi, sforzi con carico in trazione, compressione, flessione e torsione. Il programma fisioterapico consisteva, a grandi linee, in esercizi finalizzati alla porzione distale del radio e dell’ulna, tenendo presente che per il rimodellamento osseo la varietà di sforzo è importante quanto la sua velocità e la sua intensità. Gli unici carichi applicati sono stati l’attività muscolare e il peso del corpo in esercizi come appendersi ad una spalliera (tensione e trazione), spinte e torsione opponendosi ad un partner (tensione e torsione), spingere contro un muro (compressione), e cadute sulle braccia. Per quanto riguarda l’attività muscolare per l’avambraccio è fondamentale fare un lavoro intenso per i muscoli che controllano i movimenti delle dita e del polso, i quali producono un notevole stress meccanico su radio e ulna. A tal proposito, Beverly, in un lavoro pubblicato sul British Medical Journal (1989), dimostrò l’efficacia del seguente esercizio: il soggetto doveva comprimere il più forte possibile una palla da tennis per 3 volte consecutivamente ogni giorno per almeno sei settimane. Tutti i lavori in letteratura hanno proposto protocolli di esercizi per gli arti inferiori, impostati solo sul carico gravitario diretto, in cui le forze esterne applicate sono praticamente sempre in compressione (ad esempio la corsa sul posto, abduzione e slanci di un arto in appoggio monopodalico, esercizi su una tavoletta oscillante, camminata veloce, ecc.). Per quanto riguarda la colonna vertebrale, in particolare il tratto dorsale, la situazione è più complicata rispetto al livello appendicolare. Sinaki M., 1984, in uno studio dimostrò che, in pazienti in età postmenopausale con osteoporosi, un programma di esercizi in flessione produsse un numero significativamente più alto di fratture vertebrali da compressione, in confronto con i pazienti che eseguirono solo esercizi in estensione. In conclusione: 1) gli esercizi in flessione del tronco hanno un maggior significato osteogenico; sono indicati in soggetti normali , ma non in pazienti con osteopenia e con osteoporosi; 2) gli esercizi in estensione del tronco sono indicati in pazienti a rischio. Esercizi di stabilizzazione vertebrale intersegmentaria e globale. Sono esercizi finalizzati a costruire un apparato neuromuscolare adeguato per proteggere la colonna vertebrale da eventuali danni prodotti da eccessive sollecitazioni meccaniche quotidiane: spesso, infatti, si mantengono posizioni troppo a lungo o si compiono movimenti ripetuti sempre nelle stesse direzioni. Il vantaggio di eseguire questo tipo di esercizi di rinforzo muscolare è il fatto che la posizione mantenuta durante la loro esecuzione è sempre neutrale, cioè c'è sempre la completa assenza di dolore e il mantenimento delle curve fisiologiche della colonna vertebrale. Esercizi personalizzati per ridurre e/o prevenire la ricomparsa dei propri sintomi e dolori. E’ stato dimostrato che l’esercizio fisico allevia il dolore nei soggetti affetti da osteopenia e osteoporosi e migliora il benessere psicologico. A tal proposito, è molto indicato l’autotrattamento del paziente proposto nel metodo Mckenzie. Gli esercizi di tipo Mckenzie sono finalizzati, principalmente a prevenire ricadute dolorose e ad intervenire in maniera efficace e tempestiva non appena ricompaiano i primi sintomi dolorosi. E’ indispensabile eseguire questi esercizi tutti i giorni, e, comunque, tutte le volte che il caso lo richieda: il paziente sarà addestrato a ragionare sulla scelta adeguata dell’esercizio a seconda dell’attività che sta svolgendo. Il programma di esercizi di tipo Mckenzie, risulterà, inoltre, molto efficace per il completo recupero dell’articolarità vertebrale e delle articolazioni periferiche, condizione necessaria per garantire un buon funzionamento delle suddette strutture. Esercizi di stretching. Sono esercizi non utili per l’incremento della massa ossea, ma finalizzati ad ottenere una lunghezza ideale di alcuni muscoli che dal test di valutazione risultano raccorciati e quindi contribuiscono a creare tensioni eccessive in altre parti del corpo. 2. Programma per il miglioramento della postura, della mobilità e della sicurezza durante i trasferimenti. Educazione circa l’osteoporosi E’ indispensabile informare i pazienti riguardo i principali fattori a rischio dell’osteoporosi riportati da molti autori: familiarità, età, sesso femminile, magrezza, ridotta massa ossea e muscolare, ridotto apporto alimentare di calcio, menopausa precoce, ovariectomia, ipocinesia, immobilizzazione, fumo, alcol, fattori iatrogeni (l’uso continuativo di corticosteroidei, anticonvulsionanti, anticoagulanti riduce la conservazione della massa ossea). Miglioramento della mobilità e della sicurezza durante i trasferimenti. Le persone con una scarsa forma fisica e con una marcata rigidità, hanno un alto rischio di cadere durante gli spostamenti in casa o fuori casa procurandosi fratture, talvolta, molto gravi. Per il miglioramento della mobilità restano validi gli esercizi del programma riabilitativo delle funzioni motorie. Ergonomia. Durante la lezione di ergonomia ci si allena ad adottare le posizioni corrette frequentemente adottate durante l’attività quotidiana, ad eseguire in modo corretto movimenti ripetuti che spesso producono sovraccarichi dolorosi sulle strutture della colonna vertebrale. Il paziente si troverà in difficoltà per alcuni mesi ad automatizzare i gesti e le posizioni ergonomiche, perché sono, spesso, molto diversi da quelli abitualmente utilizzati. Si propone, in questo contesto, una Bone School (scuola dell’osso), che si ispira al programma della Back School con alcune modifiche. Negli ultimi 20 anni si è diffuso in tutto il mondo un programma di prevenzione e trattamento delle algie vertebrali noto come Back School (scuola della schiena). Le esperienze di Back School sono, attualmente, moltissime nel mondo e hanno come obiettivo la finalità educativo-preventiva, l’esercitazione di gruppo (proseguita anche a domicilio), il controllo periodico dei pazienti e la ricerca di una partecipazione attiva degli stessi alla gestione della propria patologia. Il contenuto dei corsi varia considerevolmente da una struttura all’altra: l’ideatore e divulgatore di una delle più famose Back School, un certo svedese White A., ha fatto rilevare che esistono tante scuole della schiena quanti sono i rieducatori che le applicano. White ha, però, affermato che devono avere come comune denominatore una forma di esercizio fisico (la stabilizzazione vertebrale). Ogni paziente dovrebbe godere di nozioni di Back School, più o meno standardizzate, e quindi adattate al suo problema. L’educazione, gli esercizi e le posture sono stati utilizzati per centinaia d’anni come trattamento per il mal di schiena. 3. Programma per il miglioramento della deambulazione e per la prevenzione di cadute. La riduzione delle cadute ha sicuramente una rilevanza importantissima verso le conseguenze negative che ne susseguono. La modifica dei rischi domestici può essere spesso richiesta. In letteratura non esistono studi che abbiano dimostrato un’evidenza sufficiente a prescrivere uno specifico programma di esercizi per la prevenzione di cadute. Esiste, comunque, una sufficiente evidenza a raccomandare programmi basati su esercizi rivolti al miglioramento dell’equilibrio e della coordinazione, della resistenza e della forza a trasportare pesi, del cammino veloce, come parte di un intervento diversificato per rivolgersi a tutti i fattori rischio delle cadute. E’ stato recentemente dimostrato che l’uso di cuscinetti protettivi a livello delle anche riduce significativamente il rischio di frattura di femore in soggetti anziani ad elevato rischio di caduta (Kannus et al 2000).