IL TUMORE DELL’ESOFAGO Cenni di epidemiologia: il carcinoma dell’esofago rappresenta la settima causa di morte per cancro in tutto il mondo, a testimonianza della sua elevata letalità nonostante la sua non elevata incidenza. La caratteristica epidemiologica più importante del carcinoma esofageo è la grande variabilità di incidenza e distribuzione nelle diverse aree geografiche: aree geografiche ad elevata incidenza sono spesso circondate da aree ad incidenza significativamente più bassa, testimoniando la probabile presenza di fattori di rischio ambientali non ancora ben conosciuti. Raro in Europa e negli Stati Uniti, ove rappresenta l’1% di tutte le neoplasie maligne, presenta la sua maggiore incidenza mondiale nelle regioni del Kazakistan nell’ex Unione Sovietica, il nord-est dell’Iran nella regione del Mar Caspio, in Cina, Portorico e Singapore, ove la mortalità è anche elevata. Negli ultimi 20 anni, tuttavia, nel Nord America e nei paesi occidentali c’è stato un notevole cambiamento nell’epidemiologia del carcinoma esofageo, caratterizzato sia da un notevole aumento della sua incidenza che da un’aumentata prevalenza dell’adenocarcinoma della giunzione esofago-gastrica rispetto al carcinoma epidermoide del terzo medio e distale. Le cause che sottendono a questa modifica epidemiologica sono tuttora sconosciute. Il tumore dell’esofago colpisce principalmente il sesso maschile con un rapporto 3:1, i soggetti di razza nera con un rapporto di 4:1 e, generalmente, soggetti di età avanzata. Nelle donne l’aumento dell’incidenza negli ultimi anni è associato ad un più levato consumo di sigarette. Tumore raro nei soggetti con un’età inferiore ai 25 anni, l’incidenza aumenta progressivamente nella fascia d’età compresa fra 45-55 anni; l’età media di insorgenza, nell’uomo e nella donna, è di 66 anni. La variante squamocellulare è 6 volte più frequente nei maschi neri rispetto ai bianchi, mentre l’adenocarcinoma è 3 volte più frequente nei maschi bianchi rispetto ai neri. Il 15% dei carcinomi esofagei origina dal terzo superiore dell’esofago, il 50% dal terzo medio e il rimanente 35% dal terzo inferiore; in quest’ultima sede è prevalente l’adenocarcinoma, in particolare associato all’esofago di Barret. Esiste un’incidenza relativamente alta di neoplasie primitive (cavità orale, faringe, laringe, polmoni), sincrone (1,3%) o metacrone (4-9%) associate al carcinoma esofageo per fattori di rischio comuni: possono riscontrarsi lesioni esofagee sincrone (“skip lesions”) fino a 8 cm di distanza dal tumore primitivo per diffusione linfatica sottomucosa. Etiologia: fattori predisponenti al carcinoma epidermoide sono un’elevata assunzione di alcool, un notevole uso di tabacco, oppure carenze nutrizionali di vitamine e minerali, mentre l’adenocarcinoma della giunzione esofago-gastrica origina più frequentemente su un esofago di Barret. In particolare: l’alcool aumenta il rischio di carcinoma squamoso dell’esofago, ma non quello dell’adenocarcinoma; i fumatori hanno un rischio 5-10 volte superiore rispetto ai non fumatori ed il rischio è strettamente connesso al numero di sigarette consumate ed agli anni di abitudine al fumo; il rischio di sviluppare un carcinoma squamoso dell’esofago nei soggetti che consumano contemporaneamente bevande alcooliche e sigarette aumenta fino a 100 volte, poiché i cancerogeni contenuti nelle bevande alcooliche e nelle 1 sigarette si amplificano a vicenda, determinando un maggior aumento di lesioni critiche al DNA ed una riduzione della capacità ripartiva dei sistemi di controllo. Nella genesi del tumore esofageo sono implicati anche fattori genetici: la tilosi, patologia trasmessa in maniera autosomica dominante e caratterizzata da ipercheratosi palmare e plantare congenita e papillomi esofagei, è associata ad un notevole aumento del rischio di carcinoma esofageo, che si sviluppa in oltre il 90% dei soggetti entro il 65esimo anno di età. In molte patologie benigne dell’esofago, come il megaesofago, l’esofagite da reflusso, la stenosi peptica, le stenosi da caustici, le esofagiti batteriche e micotiche ed i diverticoli esofagei, il rischio di insorgenza del carcinoma esofageo è aumentato. La patogenesi comune a tutte queste condizioni sarebbe la presenza di una flogosi cronica della mucosa esofagea che, attraverso i vari gradi di displasia, porterebbe poi al carcinoma invasivo. La displasia dell’epitelio esofageo è l’unica lesione pre-neoplastica conosciuta. La displasia viene generalmente classificata in tre gradi: lieve, moderata e grave, secondo la gravità delle anomalie citologiche presenti. La displasia lieve può regredire e non necessariamente progredire verso la displasia grave ed il carcinoma invasivo, mentre è stata documentata la progressione della displasia moderata. La displasia grave viene considerata, a tutti gli effetti, un carcinoma in situ a causa delle gravi alterazioni cellulari. Per quanto riguarda il rischio di insorgenza dell’adenocarcinoma dell’esofago inferiore e del cardias, oltre alla pregressa gastroresezione per ulcera gastrica e all’alcalinizzazione del contenuto gastrico, merita una trattazione a parte la presenza di esofago di Barret. L’esofagite peptica predispone all’insorgenza di questa patologia caratterizzata dalla sostituzione dell’epitelio squamoso non cheratinizzato che normalmente riveste l’esofago distale con epitelio colonnare metaplastico, sul quale si può sviluppare la neoplasia; si può riscontrare la presenza di uno o di tutti i seguenti tipi: epitelio gastrico di tipo fundico, epitelio giunzionale e metaplasia intestinale. La displasia ed il carcinoma insorgono solo in presenza di metaplasia intestinale. I tumori esofagei benigni, come i leiomiomi ed i polipi, non vengono considerati a rischio significativo di cancerizzazione: si ritiene, piuttosto, che si tratti di patologia maligna sin dall’inizio, erroneamente classificata come benigna. La sindrome di Plummer-Vinson, caratterizzata da esofagite, anemia ipocromica e deficienza di vitamina B, è associata ad un elevato rischio di carcinoma epidermoide dell’esofago cervicale. Anche il morbo celiaco è associato ad un aumento del rischio di carcinoma esofageo, probabilmente dovuto alle multiple carenze vitaminiche e nutrizionali dovute al malassorbimento. Numerosi studi, infine, hanno messo in evidenza l’importanza della dieta e delle carenze nutrizionali nell’insorgenza del carcinoma esofageo: l’assunzione di frutta e verdura, l’arricchimento della dieta con betacarotene, vitamina E e selenio sembrano svolgere un ruolo protettivo, un carente stato nutrizionale sembra incrementare il rischio. Anatomia patologica: circa il 15% dei carcinomi esofagei sono localizzati a livello dell’esofago cervicale, il 20% all’esofago toracico superiore, il 30% all’esofago medio ed il 35% all’esofago inferiore. L’aspetto macroscopico del carcinoma esofageo viene così classificato: 2 vegetante (60%): risultanti dalla proliferazione di masse neoplastiche a grande sviluppo endoluminale; hanno larga base di impianto, cospicuo volume, superficie irregolare ed ampie zone di necrosi; ulcerato (44%): sono meno frequenti dei precedenti e si presentano sotto forma di ulcerazione neoplastica a bordi rilevati, con l’asse di ulcerazione che è sempre orientato secondo l’asse longitudinale dell’esofago; infiltrante (15%): a prevalente sviluppo intramurale, spesso circonfereziale e stenosante. Questi diversi aspetti macroscopici sono, a volte, combinati fra loro. Non si attribuisce importanza prognostica significativa all’aspetto macroscopico, come invece era in passato. Dal punto di vista istopatologico si distinguono due istotipi principali: 1. carcinoma epidermoide o squamocellulare: origina dall’epitelio malpighiano dell’esofago ed è il più frequente (80% circa); il grado di differenziazione viene classificato in tre livelli: G1: ben differenziato; G2: moderatamente differenziato; G3: scarsamente differenziato. Varianti istologiche del carcinoma epidermoide vanno considerati: i rari carcinomi mucosi, tutti ben differenziati; i carcinosarcomi, che sono, invece, scarsamente differenziati; 2. adenocarcinoma: si ritiene prenda origine dalle ghiandole esofagee sottomucose o da isole ectopiche di epitelio gastrico isolate nella mucosa epidermoide. Solo se l’adenocarcinoma è circondato da mucosa epidermoide può essere considerato di origine esofagea ed è raro. Gli adenocarcinomi dell’esofago inferiore sono quasi sempre di origine della regione cardiale o da un esofago di Barret e vanno trattati come i carcinomi del cardias. Varianti istologiche dell’adenocarcinoma sono: i carcinomi adenocistici ed i muco epidermoidi, entrambi ben differenziati; il carcinoma adenosquamoso, che unisce strutture ghiandolari ed epidermoidi. I carcinomi indifferenziati o anaplastici sono rari e comprendono una varietà a piccole cellule (oat cell) ed una a grandi cellule; queste forme istologiche dimostrano una maggiore tendenza a metastatizzare per via linfatica ed ematica. I melanomi maligni sono rarissimi, spesso polipoidi e pigmentati. Anche i tumori maligni non epiteliali sono molto rari: i sarcomi esofagei sono, in genere, di aspetto polipoide o vegetante ed in forma istologica di fibrosarcoma, leiomiosarcoma o rabdomiosarcoma. Evoluzione naturale: la displasia viene considerata la lesione iniziale della mucosa esofagea che darà origine al carcinoma invasivo in un variabile intervallo di tempo. L’evoluzione a carcinoma invasivo richiede, in media, 3-5 anni ed è irreversibile. La sopravvivenza del paziente affetto da carcinoma in situ non trattato è, in media, di circa 6 anni. I sintomi compaiono, nella massima parte, solo in presenza di un carcinoma invasivo, infiltrante la parete esofagea, in una fase avanzata della storia naturale della neoplasia. La sopravvivenza media del paziente affetto da carcinoma invasivo non trattato è inferiore ad un anno. Nella fase finale di sviluppo della neoplasia si assiste alla diffusione extraesofagea locoregionale per infiltrazione degli organi vicini, e dei linfonodi regionali, e a distanza per la comparsa di metastasi. A questo stadio la sopravvivenza media è di soli 4 mesi. La sopravvivenza globale dei pazienti affetti da carcinoma esofageo è inferiore al 10% a 5 anni. 3 Vie di diffusione: il carcinoma dell’esofago diffonde attraverso le seguenti vie: per continuità all’interno della parete esofagea in direzione prossimale e distale attraverso i vasi linfatici della sottomucosa; per contiguità alle strutture adiacenti come l’albero tracheobronchiale ed il mediastino; per via linfatica la diffusione avviene precocemente e, al momento della diagnosi, si calcola che circa il 70% dei casi abbia già metastasi linfonodali loco-regionali; per via ematogena le metastasi sono più tardive di quelle linfonodali ed interessano prevalentemente il polmone ed il fegato, mentre più rare sono quelle cerebrali e surrenali che. Stadiazione: la stadiazione più comunemente accettata è quella TNM dalla UICCAJC. Il carcinoma dell’esofago, indipendentemente dall’istotipo, può interessare vaste aree di superficie mucosa ed è spesso multifocale all’esordio, probabilmente come risultato di una carcinogenesi di area. Nonostante gli adenocarcinomi possano interessare estese aree di mucosa e sottomucosa, soprattutto nei soggetti con lunghi segmenti di esofago di Barret, ai fini della stadiazione sono presi in considerazione solo la profondità di penetrazione nella parete esofagea e lo stato linfonodale. L’esofago, situato posteriormente alla trachea ed al cuore, origina dall’ipofaringe, attraversa il mediastino posteriore e si congiunge allo stomaco attraverso un’apertura del diaframma chiamata iato. Dal punto di vista istologico l’esofago è costituito da quattro tonache: mucosa, sottomucosa, muscolare (o muscolare propria) ed avventizia. Non è presente la sierosa. Ai fini descrittivi e di stadiazione l’esofago viene suddiviso in quattro regioni, che dovrebbero essere sempre indicate e riportate separatamente, poiché la storia naturale del carcinoma dell’esofago ed il suo trattamento variano in base alle divisioni anatomiche: 1. esofago cervicale: inizia a livello del margine inferiore della cricoide e termina all’entrata nel torace (incavo sternale), circa 18 cm a partire dall’arcata dentale (in particolare dagli incisivi superiori); 2. esofago toracico superiore: si estende dall’entrata nel torace sino all’altezza della biforcazione tracheale, circa 24 cm a partire dall’arcata dentale; 4 3. esofago toracico medio: si estende dalla biforcazione tracheale fino all’esofago distale, appena sopra la giunzione esofago-gastrica, circa 32 cm a partire dall’arcata dentale; 4. esofago toracico inferiore: lungo circa 3 cm, questa porzione include anche il tratto intra-addominale del viscere e la giunzione esofago-gastrica, localizzata a circa 40 cm a partire dall’arcata dentale. La maggior parte degli adenocarcinomi origina dalla giunzione esofago-gastrica ed interessano sia l’esofago distale che lo stomaco prossimale. Esiste controversia su come distinguere i carcinomi dello stomaco prossimale che coinvolgono la giunzione esofago-gastrica dagli adenocarcinomi dell’esofago distale e della giunzione esofago-gastrica che si estendono inferiormente fino ad interessare il cardias. In assenza di una coesistente mucosa di Barret tale distinzione può essere complessa. Siewer ha proposto di classificare le neoplasie della giunzione esofago-gastrica in tre tipi, I, II e III, in base al grado di invasione dell’esofago o dello stomaco; questa classificazione, però, necessita ancora di ulteriori conferme al fine di determinare se sia attendibile ai fini della stadiazione e della prognosi. Nella pratica clinica le neoplasie che originano nella zona compresa fra la giunzione esofago gastrica ed il cardias e che hanno solo un minimo (cm 2 o meno) interessamento dell’esofago, vengono considerate come carcinomi primitivi dello stomaco. Parametro T: questo parametro viene classificato secondo la profondità di infiltrazione parietale. Tx – tumore primitivo non definibile T0 – tumore primitivo non evidenziabile Tis – carcinoma in situ T1 – tumore che infiltra la lamina propria o la sottomucosa; T2 – tumore che infiltra la muscolare propria T3 – tumore che infiltra l’avventizia T4 – tumore che infiltra le strutture adiacenti Per i tumori limitati allo stato mucoso (in situ o intramucoso) e sottomucoso si parla anche di Early Esophageal Cancer; essi rappresentano, complessivamente, l’1% di tutte le forme tumorali esofagee e se ne distinguono quattro tipi: 1. protundente (9%): lesione saliente, con aspetto papillare peduncolato o vegetante; 2. superficiale (44%): lesione a placca con una piccola erosione, può divenire circonferenziale (forma superficiale diffusa); 3. depresso (36%): lieve depressione mucosa con aspetto erosivo o ulcerativo e margini irregolari; 4. occulto (11%): area di mucosa scura translucida. 5 Parametro N: la denominazione dei linfonodi regionali varia a seconda che si consideri una neoplasia dell’esofago cervicale, dell’esofago toracico o della giunzione esofago-gastrica: 1. linfonodi regionali per l’esofago cervicale: scalenici, giugulari interni, cervicali, periesofagei, sopraclaveari; 2. linfonodi regionali per l’esofago intratoracico: (superiore, medio ed inferiore): periesofagei superiori (sopra la vena azygos), sottocarenali, periesofagei inferiori (sotto la vena azygos), mediastinici, perigastrici (esclusi i linfonodi celiaci); 3. linfonodi della giunzione EG: esofagei inferiori (sotto la vena azygos), diaframmatici, pericardi ali, gastrici sinistri, celiaci. L’interessamento di linfonodi più distanti (come quelli cervicali o del tronco celiaco per le neoplasie intratoraciche) è, attualmente, considerato come metastasi a distanza (M1a). Recenti studi suggeriscono, tuttavia, che un esteso interessamento linfonodale è associato ad una migliore sopravvivenza rispetto alle metastasi viscerali, con un possibilità di cura intorno al 100% dopo resezione chirurgica. In base a ciò è stato suggerito di classificare le metastasi nei linfonodi distanti come N2 piuttosto che come M1a, anche se tale modifica della classificazione richiede ulteriori studi. Nel passato, per indicare le sedi dei linfonodi metastatici è stata frequentemente utilizzata la nomenclatura citata. Più recentemente è stata sviluppata ed utilizzata una mappa linfonodale dell’esofago che estende la nomenclatura ed il sistema di numerazione utilizzato per la stadiazione dei carcinomi non a piccole cellule del polmone. Tale mappa permette una più precisa identificazione dei linfonodi interessati. 6 Parametro M: il fegato, i polmoni e la pleura sono le sedi più frequenti di metastasi a distanza. Occasionalmente la neoplasia può estendersi per contiguità alle strutture mediastiniche prima che sia evidente una metastasi a distanza, ciò succede frequentemente per le neoplasie dell’esofago intratoracico che possono estendersi direttamente all’aorta, alla trachea ed al pericardio. Per il carcinoma dell’esofago cervicale viene definito M1 il coinvolgimento dei linfonodi al di fuori della regione cervicale e sottoclaveare MX – metastasi a distanza non valutabili M0 – metastasi a distanza assenti M1 – metastasi a distanza presenti Tumori dell’esofago toracico inferiore: per i carcinomi dell’esofago toracico inferiore il coinvolgimento dei linfonodi al di fuori della regione toracica inferiore viene definito: M1a – metastasi nei linfonodi celiaci M1b – altre metastasi a distanza 7 Tumori dell’esofago medio toracico: per i carcinomi dell’esofago medio toracico viene definito M1b una metastasi in qualsiasi linfonodo non regionale e/o a distanza; pertanto: M1a – non applicabile M1b – metastasi ai linfonodi non regionali e/o ad altre sedi distanti Tumori dell’esofago toracico superiore: per i carcinomi dell’esofago toracico superiore l’interessamento dei linfonodi al di fuori di quelli regionali viene definito: M1a – metastasi nei linfonodi cervicali M1b – altre metastasi a distanza 8 La classificazione TNM del carcinoma esofageo comprende quattro stadi: più estesa è la malattia, più alta è la cifra e tanto più avanzato è lo stadio. Sintomatologia: il carcinoma esofageo nelle fasi iniziali è asintomatico e può essere diagnosticato occasionalmente in seguito ad accertamenti eseguiti per altre patologie o per la presenza di sintomi aspecifici. Questo spiega come la diagnosi sia spesso tardiva: i sintomi, infatti, compaiono quando la neoplasia infiltra già i 2/3 della circonferenza esofagea oppure quando occupa il lume dell’esofago alterandone la funzione. La disfagia è il sintomo più comune, presente in oltre l’80% dei casi: inizialmente lieve e limitata ai cibi solidi, si aggrava in genere lentamente e, nel corso di settimane o mesi, si estende ai liquidi fino a diventare totale. A volte si verificano episodi acuti di disfagia per l’arresto del bolo alimentare in corrispondenza della stenosi neoplastica. Sintomi associati alla disfagia sono il rigurgito alimentate e la scialorrea. Il calo ponderale è presente nel 40% dei casi ed è causato dall’ipoalimentazione conseguente alla disfagia ed all’anoressia. Il dolore toracico retrosternale irradiato al dorso, spesso aggravato dalla deglutizione, è presente nel 20-30% dei casi ed indica, in genere, la presenza di un’infiltrazione mediastinica. La disfonia può essere causata dalla paralisi di una corda vocale, in genere la sinistra, perché il decorso intorno all’arco aortico del nervo laringeo inferiore sinistro ne rende più facile l’infiltrazione da parte nella neoplasia o delle metastasi linfonodali paratracheali. La tosse, la dispnea, le broncopolmoniti recidivanti ed altri sintomi respiratori sono causati dalla compressione o dall’infiltrazione della trachea e dei 9 bronchi. Anche il rigurgito alimentare dovuto ad una stenosi serrata può causare gli stessi sintomi. Qualora si sia formata una fistola esofago-aerea la tosse diviene parossistica ad ogni deglutizione. L’esame clinico non rivela in genere alterazioni patognomoniche. Il calo ponderale e la compromissione dello stato generale di salute sono, in genere, i segni più evidenti. Raramente sono presenti metastasi linfonodali palpabili in regione sovraclaveare o latero-cervicale. Diagnosi: in genere il primo esame che viene eseguito è una radiografia delle prime vie digestive, che fornisce indicazioni sulla sede e sul tipo di lesione esofagea e sulla presenza di patologie concomitanti. L‘esame deve comprendere uno studio accurato del passaggio faringo-esofageo e di tutto l’esofago. Le neoplasie esofagee superficiali sono difficili da visualizzare ed appaiono alla radiografia come lievi irregolarità della superficie mucosa, che in corrispondenza può risultare ipomobile. Lo studio radiologico mostra elevata sensibilità nelle forme tardive e bassa specificità nelle forme precoci. Molto chiaro, invece, è l’aspetto radiologico del carcinoma esofageo invasivo, che si presenta come un difetto irregolare della parete esofagea, spesso circonfereziale e stenosante, che assume forma vegetante, ulcerata o infiltrante. L’angolazione dell’asse esofageo può far sospettare un’infiltrazione mediastinica. L’esame endoscopico è indispensabile in tutti i casi: ha elevata specificità e sensibilità e consente la precisazione istologica mediante l’esecuzione di biopsie multiple mirate. Tutte le lesioni messe in evidenza dall’esofagoscopia devono essere sia biotipizzate che valutate con brushing, in quanto la valutazione cito-istologica raggiunge un’accuratezza diagnostica vicina al 100%, superiore sia alla sola citologia che alla sola istologia. Utile alla valutazione della profondità parietale di invasione della neoplasia e dell’interessamento dei linfonodi regionali è l’ecografia endoscopica, che giunge ad un’accuratezza nella determinazione di T dell’85% e dell’interessamento linfonodale del 79%, consentendo anche di effettuare agoaspitati eco guidati dei linfonodi loco regionali, la cui positività può costituire una controindicazione all’intervento chirurgico con intento radicale. Per una corretta stadiazione del paziente è necessaria una radiografia standard del torace ed una TAC del torace e dell’addome superiore, per valutare l’estensione locoregionale della malattia (invasione tracheobronchiale, invasione dell’aorta, presenza di linfoadenopatie mediastiniche e sottodiaframmatiche) e la presenza di eventuali metastasi ad organi addominali. La RMN ha mostrato, in alcune esperienze, sensibilità e specificità superiori alla TAC nella valutazione dell’infiltrazione del mediastino e del cuore. I pazienti con una neoplasia esofagea del terzo medio e del terzo superiore devono essere sottoposti a broncoscopia, al fine di escludere l’invasione tracheobronchiale. La PET ha dimostrato una buona sensibilità per la stadiazione TNM pre-trattamento radiochemioterapico o pre-chirurgia, per la valutazione della risposta ai trattamenti combinati chemio-radioterapici, per la diagnosi di malattia al IV stadio. Attualmente la TAC collo, mediastino ed addome rimane l’esame indispensabile per la stadiazione di T ed N, per la rivalutazione pre e postoperatoria, nella fase posttrattamento radioterapico adiuvante per pazienti R1 ed R2. Tra i requisiti essenziali per un trattamento radio chemioterapico con finalità neoadiuvante, adiuvante o palliativo sono importanti la corretta valutazione della funzionalità respiratoria e dello stato nutrizionale, in particolar modo nei pazienti con perdita di peso >10% negli ultimi tre mesi. 10 Terapia: lo scopo della terapia del carcinoma esofageo è duplice: prolungare la sopravvivenza e migliorare la sintomatologia e la qualità della vita. L’intervento chirurgico di resezione esofagea rappresenta ancora oggi il trattamento di scelta del carcinoma dell’esofago, in quanto consente una rapida terapia palliativa della disfagia, ripristinando il transito alimentare e, nello stesso tempo, offre la migliore possibilità di lunga sopravvivenza come singola modalità terapeutica. La terapia multimodale, chemio-radio-chirurgica potrebbe migliorare la prognosi ed è già la terapia di scelta nei casi di stadio avanzato. Terapia chirurgica: la selezione dei pazienti candidati all’intervento chirurgico di resezione esofagea deve essere effettuata valutando sia la stadiazione della neoplasia e la sua resecabilità che le condizioni generali del paziente ed il rischio operatorio. Quest’ultimo, infatti, è spesso molto alto a causa delle scadenti condizioni generali di molti pazienti, le frequenti patologie associate ed il peso dell’intervento di esofagectomia, che spesso necessita di laparotomia, toracotomia e cervicotomia simultanee. Complessivamente circa il 60% dei pazienti può essere sottoposto ad intervento chirurgico di resezione esofagea. Le vie di accesso per il carcinoma dell’esofago sono spesso multiple: laparo- e toracotomia destra per le neoplasie localizzate all’esofago toracico medio ed inferiore; toraco-laparo- e cervicotomia per le neoplasie dell’esofago toracico superiore; laparo- e cervicotomia con esofagectomia a torace chiuso per i pazienti che non possono tollerare la toracotomia per l’elevato rischio respiratorio. La scelta della tecnica chirurgica dipenderà soprattutto dalla sede della neoplasia esofagea. Indipendentemente dalla via di accesso considerata e dalla sede della neoplasia tutti gli interventi chirurgici che abbiano intento di radicalità oncologica devono soddisfare alcuni principi per quanto riguarda l’estensione della resezione esofagea e della linfoadenectomia. La resezione esofagea deve essere sempre estesa almeno 6 cm a monte del margine macroscopico della neoplasia per la tendenza del carcinoma esofageo a diffondere per via linfatica intramurale. La linfoadenectomia locoregionale deve essere effettuata a livello dell’addome superiore, nella regione della piccola curva gastrica e del tripode celiaco, e a livello latero-cervicale e sovraclaveare se la neoplasia è localizzata all’esofago cervicale. Questa estensione della linfoadenectomia è giustificata dalla tendenza del carcinoma dell’esofago a metastatizzare per via linfatica, ed è indispensabile per un’adeguata stadiazione post-chirurgica, poiché la presenza di metastasi linfonodali è il più importante fattore prognostico conosciuto. Le casistiche pubblicate riportano dati molto diversi in termini di percentuale di resecabilità, di complicanze post-operatorie e di sopravvivenza. Attualmente i gruppi che hanno più esperienza in chirurgia dell’esofago riportano una mortalità post-operatoria del 5-10%. Le complicanze più gravi sono in genere quelle polmonari e le fistole anastomotiche. La sopravvivenza a 5 anni dopo intervento di esofagectomia con intento di radicalità oncologica varia dal 15 al 30%, e dipende soprattutto dallo stadio della neoplasia. Infatti le neoplasie che infiltrano solo parzialmente la patere esofagea e non hanno metastasi linfonodali (T1, N0 e T2, N0) hanno una sopravvivenza a 5 anni che supera il 60%, mentre in presenza di infiltrazione di tutta la parete e con metastasi linfonodali (T3, N1) la sopravvivenza a 5 anni scende al 5%. Questi dati dimostrano i buoni risultati ottenibili con l’intervento chirurgico in casi selezionati. La sede di recidiva dopo intervento di esofagectomia è sia locoregionale che a distanza. Il carcinoma dell’esofago toracico superiore ha una tendenza elevata alla recidiva locale ed una prognosi significativamente peggiore rispetto alle altre localizzazioni. Recenti studi 11 sembrano indicare che la chemioterapia e, soprattutto la chemio-radioterapia preoperatorie possono migliorare la sopravvivenza a lungo termine almeno in alcuni stadi della neoplasia. In particolare questo trattamento preoperatorio si è rilevato utile nei casi localmente avanzati (T4), in cui un intervento chirurgico curativo è stato possibile solo dopo la riduzione del volume della massa tumorale. La radioterapia e la chemioterapia post-operatorie non hanno, invece, ancora dimostrato alcun miglioramento in termini di sopravvivenza; Radioterapia: da sola viene in genere ritenuta poco efficace come trattamento con intento curativo del carcinoma dell’esofago. Non vi sono, in letteratura, studi validi ed un confronto non è proponibile per i migliori risultati ottenibili con l’associazione di chemio- e radioterapia. Il campo d’irradiazione comprende l’esofago e le stazioni linfonodali secondo la localizzazione della neoplasia. Il carcinoma epidermoide è più sensibile dell’adenocarcinoma, per il quale è necessario un dosaggio superiore. Le complicanze del trattamento radiante possono essere la perforazione della neoplasia e le fistole esofago-aeree, l’esofagite attinica e la tossicità polmonare, spinale e cardiaca. La brachiterapia endoluminale, introdotta di recente, sembra poter migliorare i risultati, almeno palliativi della radioterapia tradizionale; Chemioterapia: i primi tentativi di chemioterapia del carcinoma dell’esofago risalgono agli anni ’70 con risultanti molto scadenti. I risultati migliori si sono ottenuti con alcuni schemi di polichemioterapia, che hanno una percentuale di risposta intorno al 40% ed una durata di risposta di pochi mesi, senza alcun miglioramento dimostrabile della sopravvivenza, al prezzo di una non trascurabile tossicità renale, ematologica e gastrointestinale; Terapia combinata (chemio- radioterapia associate alla chirurgia): il razionale dell’associazione di radio- e chemioterapia si basa sull’effetto radio sensibilizzante di alcuni farmaci chemioterapici, oltre all’effetto dei singoli trattamenti. L’associazione con la chirurgia nei trattamenti combinati multimodali è la più promettente terapia del carcinoma esofageo. Studi iniziati a partire dagli anni ’80 hanno dimostrato un aumento della resecabilità ed anche della sopravvivenza nei pazienti che rispondono al trattamento. Il trattamento combinato è indicato anche in caso di carcinoma localmente avanzato, T4, giudicato non operabile al momento della diagnosi; Terapia palliativa: almeno il 40% dei pazienti affetti da carcinoma esofageo non possono essere sottoposti ad un trattamento chirurgico o combinato con intento curativo, a causa dell’estensione della neoplasia o per le loro condizioni generali. L’obiettivo principale della terapia palliativa è quello di migliorare la disfagia e favorire la ripresa dell’alimentazione. Le tecniche più applicate sono l’esofagectomia palliativa, l’esofago-gastrostomia, l’applicazione di stent esofagei e la laserterapia. Gli interventi chirurgici di resezione palliativa e di bypass della stenosi sono indicati solo in casi molto selezionati, a causa dell’elevato rischio di complicanze. Migliori risultati possono essere ottenuti mediante procedure endoscopiche di applicazione di endoprotesi esofagee che, però, non possono essere applicate in caso di stenosi esofagee insondabili, che richiederanno invece il ricorso ad una gastrostomia o digiunostomia di alimentazione. Nel caso di neoplasie esofagee superficiali, limitate alla mucosa ed alla sottomucosa, in pazienti non operabili per l’elevato rischio operatorio, la laserterapia fotodinamica, associata alla radioterapia, può ottenere l’eradicazione della neoplasia. 12 13